A quanto pare, la decisione di
riportare in vita i due iconici personaggi è direttamente collegata
alla vita privata della regista, che all’epoca della stesura dello
script di Resurrections era alla ricerca di un modo per
riuscire a superare alcuni grandi dolori personali. “Mio padre
era morto, e poi erano morti anche un mio carissimo amico e mia
madre. Non sapevo davvero come fare per elaborare quel tipo di
dolore”, ha spiegato Lana.
“Non avevo mai sperimentato la
morte così da vicino. Sapevo che le loro vite stavano per finire,
eppure è stato lo stesso molto difficile. Il mio cervello è sempre
stato alimentato dalla mia immaginazione e una notte, mentre
piangevo e non riuscivo a dormire, all’improvviso è letteralmente
esplosa nella mia mente questa storia. Non potevo più avere mio
padre e mia padre con me, ma all’improvviso mi sono resa conto che
potevo riavere Neo e Trinity, che sono probabilmente i due
personaggi più importanti di tutta la mia vita.”
“È stato incredibilmente
confortante avere di nuovo a che fare con quei personaggi, ed è
stato in realtà anche molto semplice”, ha aggiunto la regista.
“Molti potrebbero pensare che riportare in vita due personaggi
morti potrebbe non funzionare. E invece io l’ho fatto! È stato un
processo davvero semplice. Dopotutto, è questo che l’arte e le
storie devono fare: darci conforto.”
Matrix
Resurrections vedrà nel cast il ritorno
di Keanu
Reeves, Carrie-Ann
Moss e Jada
Pinkett-Smith al fianco delle new
entry Yahya Abdul-Mateen II, Neil
Patrick Harris, Jonathan Groff, Jessica
Henwick, Toby
Onwumere e Christina Ricci.
L’uscita nelle sale è fissata per il 22 dicembre 2021. Il nuovo
capitolo del franchise sarà diretto da Lana
Wachowski. La sceneggiatura del film è stata firmata a sei
mani con Aleksandar Hemon e David Mitchell.
Giulia, che è
costantemente divisa tra il bisogno di sentirsi a casa, amata e una
selvaggia e sacrosanta voglia di libertà, si ritrova letteralmente
in mezzo ad una strada e inizia, in maniera tutta sua, a cercare un
rifugio e un posto nel mondo. Tra un illusorio desiderio di
maternità e qualche espediente per sbarcare il lunario, passa i
giorni più caldi di una torrida estate romana con dei personaggi
dall’esistenza vuota, inafferrabili puri e meravigliosi come lei.
In una sospensione fatta di niente (e di tutto) Giulia comprende
che sta a lei decidere come vivere, o non vivere, la vita.
GiULiA, la recensione
La forza di GiULiA si
situa nel fotografare in maniera così efficace e allo stesso tempo
sospesa una situazione comune condivisa a seguito di un periodo
tanto surreale quanto difficile per ognuno. Tuttavia De Caro non
manca di sottolineare che la difficoltà è un aspetto della vita che
tutti vivono in maniera differente: quello che per Giulia è
complicato da affrontare, per il suo ex e per la sua famiglia non è
altro che una nuova avventura. Ma questo perché ognuno reagisce
alla vita con i propri strumenti.
L’immersione nella
contemporaneità del film è un elemento prezioso e raro, nel cinema
contemporaneo che ha deciso di fare finta che la pandemia non ci
sia mai stata, e questo fa di GiULiA anche un
documento importante della contemporaneità.
Il film si posa
naturalmente tutto sulle spalle di Rosa
Palasciano, inafferrabile, eterea, che sembra sfuggire
allo stesso occhio dell macchina da presa e che crea comunque con
lo spettatore un legame magnetico inedito, affascinante e
respingente allo stesso tempo. Con lei, come compagni di viaggio
insoliti, Fabrizio Ciavoni e Valerio Di Benedetto
formano un trio equilibrato, perfettamente intonato con il mood del
film e una specie di gruppetto di teneri freak, ognuno alla ricerca
di un posto in quel mondo (questo) che sta impazzendo.
Non tutti riusciamo
sempre a fare ciò che è bene per noi, non tutti abbiamo la forza di
affrontare con lucidità le nostre difficoltà, ma
GiULiA ci insegna che non dobbiamo farlo per
forza, che la vita può essere anche lasciata scorrere via, senza
cura per nessuno e niente, e che in questo può esserci una forma di
pace, come sembra suggerirci l’ultima inquadratura del
film.
Definito sul red carpet
il King of Venice vista la massiccia presenza di
suoi lavori al festival (oltre al film in concorso anche Dune e la serie HBO
Scenes from a Marriage) Oscar Isaac ha cominciato questa sua
avventura al Lido come protagonista del film The Card
Counter di Paul Schrader,
distribuito in Italia in 232 sale cinematografiche a partire dal 3
settembre con il titolo più ridondante de Il
Collezionista di Carte. Il film prodotto da
Martin Scorsese, conserva il carattere duro e
deciso dei precedenti film di Schrader e si concentra su pochi
personaggi mostrandocene le varie sfaccettature. Il passato e i
fantasmi che in esso si tentano di seppellire, un po’ i Leitmotive
di questa mostra, sono centrali anche nella sceneggiatura di
The Card Counter.
Il collezionista di carte,
la trama
William “Tell”
Tillich, Oscar Isaac per l’appunto, è un ex detenuto
che mantenendo un basso profilo e “accontentandosi” di vincere
piccole somme passa le sue giornate in solitaria spostandosi da un
casinò all’altro giocando a Black Jack e contando le carte.
Vive nelle camere dei
motel che, di volta in volta cambia, come un fantasma senza
lasciare traccia. Nonostante i suoi tentativi di passare
inosservato, viene però notato da La Linda (Tiffany
Haddish) una donna che si occupa di mettere in contatto
giocatori di poker promettenti con possibili investitori ma declina
l’offerta.
Un giorno in uno dei
tanti casinò dove sta giocando Tell si imbatte in un seminario
sulla sicurezza tenuto dal maggiore John Gordo (Willem
Dafoe), sua vecchia conoscenza, e le cose cambieranno.
A quel punto il giocatore sarà costretto a richiamare La Linda e ad
accettare la sua proposta per provare a chiudere i conti con il suo
vissuto aiutando un ragazzo (Tye Sheridan) che
condivide con lui, anche se indirettamente, un’esperienza
traumatica.
05856_FP_CARDCOUNTER
Oscar Isaac stars as William Tell in THE CARD COUNTER, a Focus
Features release.
Credit: Courtesy of Focus Features
Solida regia e ottimo ritmo
La regia di Paul
Schrader è solida e ritmata, il film coinvolge e
intrattiene ma allo stesso tempo prende una chiara posizione
politica e mette in luce un vergognoso fatto della storia recente
troppo presto ripiombato nell’ombra.
Il passato del
protagonista ci viene svelato tramite l’uso del flashback che
attraverso le orchestrazioni messe in atto dalla regia di Schrader
trascineranno visivamente anche lo spettatore nel vortice dei
ricordi favorendo maggiormente la comprensione dei motivi che
spingono il personaggio ad agire e i sensi di colpa che lo
tormentano.
Chi correrà al cinema
aspettandosi un film sul gioco della carte sul modello di
21 di Robert Luketic rimarrà
sicuramente deluso, non è quella l’intenzione di Schrader che
sfrutta un’ambientazione accattivante per raccontare la sua storia,
ciò risulta ancora più chiaro nelle fasi finali del film in cui la
partita più importante da giocare sarà quella lontana dal tavolo.
Isaac regala un’interpretazione credibile e suadente, di concerto
con il resto del cast ben amalgamato.
La commedia action è un genere per
tutte le stagioni, ma in particolare per quel periodo dell’anno che
ci costringe tutti a lasciare spiagge o montagne, posti di vacanza,
insomma, per riportarci ad uffici e scrivanie, insomma l’autunno.
Quale stagione migliore per alleggerire lo spirito con delle
commedie action che possano farci rilassare e divertire. Il
catalogo di NOW in
streaming offre una vastissima scelta di titoli di questo genere,
spaziando tra titoli d’autore a titoli più semplici. Ecco le
commedie action da vedere su NOW.
Tutti le Commedie action sono disponibile
suNOWe anche on demand su Sky.Iscriviti a soli
3 europer il primo mese e guarda
il film e molto altro.
1Scott Pilgrim vs. the World
Scott Pilgrim vs. the World è il film del 2010
di Edgar Wright che vede protagonisti Michael Cera e
Mary Elizabeth Winstead. Il film è una commedia romantica e
d’azione che ha ottenuto un successo sia di pubblico che di
critica. Nel film Scott Pilgrim è un chitarrista disoccupato che
incontra la ragazza dei suoi sogni, Ramona Flowers. Per conquistare
totalmente il cuore della giovane Scott deve però affrontare i suoi
diabolici sette ex fidanzati, decisi a ucciderlo.
Kick-Ass 2
Kick-Ass 2 è il sequel del 2013 del film Kick-Ass e vede il
ritorno dei due protagonisti Aaron Taylor-Johnson,
Chloë Grace Moretz in azione contro un nuovo cattivo. Il film è
stato meno fortunato del primo capitolo e decisamente meno bello.
Nel film Dave, insieme a Mindy, crea la prima squadra di supereroi
a livello mondiale. Sfortunatamente, però, Hit Girl viene
smascherata ed è costretta a ritirarsi.
Art of the Steal – L’arte del
furto
Art of the Steal – L’arte
del furto è la commedia del 2013 di Jonathan Sobol con protagonisti
Kurt Russell e Matt Dillon. Nel film un motociclista temerario
decide di mettere insieme la propria vecchia squadra per aiutare il
fratello a rubare un libro prezioso. Tuttavia non può sapere che
questi ha altri progetti in mente.
Starsky & Hutch
Starsky & Hutch è
l’adattamento cinematografico della famosissima serie tv Starsky &
Hutch. Il film è diretto dal candidato all’oscar
Todd Phillips ed è interpretato da due leggende della commedia
americano contemporanea Ben Stiller e
Owen Wilson. Nel cast anche
Vince Vaughn, Snoop Dogg e
Juliette Lewis.
Nel film Bay City, anni Settanta. Dave
Starsky, un detective ossessionato dal proprio lavoro, e il collega
Ken Hutch hanno il compito di indagare per smascherare un
pericoloso trafficante di droga.
Fuga in tacchi a
spillo
Fuga in tacchi a spillo è
la commedi d’azione del 2015 diretta da Anne Fletcher, con
protagoniste un’insolita coppia:
Reese Witherspoon e
Sofía Vergara. Nel film La poliziotta Cooper è emozionata
all’idea di dover accompagnare Daniella Riva, una bellissima e
sarcastica ragazza, da San Antonio fino a Dallas così che possa,
assieme al marito, testimoniare contro un trafficante di droga. I
piani non vanno però come previsto ed il trio viene bloccato da una
banda di criminali assetati di vendetta.
Giacomo Agostini,
il leggendario pilota campione del mondo, ha partecipato alla
presentazione di Benelli su Benelli, un
originale docufilm ispirato alla vita del pilota Tonino
Benelli in cui, grazie al lavoro di un team al femminile
della regista Marta Miniucchi e della sceneggiatrice
Annapaola Fabbri, si ricostruisce la breve vita umana e
sportiva del più piccolo dei sei fratelli Benelli, fondatori ai
primi del Novecento della famosa casa motociclistica di Pesaro, un
marchio divenuto leggendario.
Abbiamo raggiunto Agostini per una
breve intervista in cui ha raccontato come è stato coinvolto nel
progetto, ha parlato dello sport ad alta velocità ieri e oggi e ha
condiviso dei progetti cinematografici per il futuro.
“Sono stato
contattato dalla regista che mi ha detto che stava facendo questo
documentario e avrebbe voluto che dicessi qualcosa in merito.
Naturalmente io non ho mai conosciuto Tonino Benelli, non l’ho
visto correre né ho corso con lui, ero troppo piccolo. Però Benelli
è un grande marchio che ha fatto la storia della velocità. Il mio
intervento è stato più un’intervista.” Esordisce
Giacomo Agostini, per poi continuare: “È
giusto che la storia venga ricordata, questa in particolare di una
famiglia che ha trasformato una grande passione in un vero e
proprio lavoro e in un marchio famoso in tutto il mondo, Dobbiamo
essere grati a questa realtà.”
Il film parte con
un elogio alla madre dei Benelli, Teresa Boni. Quanto è importante
per un sognatore, che sia inventore, sportivo, una persona con un
sogno, avere genitori o figure di riferimento che lo
aiutino?
“È senz’altro un
grande aiuto. Hanno creduto a questa grande passione e ai loro
figli, che sono riusciti a fondare una grande azienda. Il mio caso
è stato contrario perché mio padre non voleva assolutamente che
corressi, aveva paura, e io non sono stato sostenuto, ma alla fine
ce l’ho fatta lo stesso, anche da solo. Ma effettivamente ai miei
tempi, e prima ancora peggio, era pericolosissimo. Mentre la mamma
dei Benelli è stata brava, ha avuto fiducia e i ragazzi hanno fatto
quello che hanno fatto.”
Lei parla proprio
di passione e coraggio di fronte ad uno stadio di evoluzione
tecnica di uno sport che era solo per pazzi, date le condizioni di
non sicurezza in cui si gareggiava all’epoca.
“Sì, le piste non
erano quelle di oggi, i caschi non erano quelli di oggi, le tute
proprio non erano quelle di oggi. Era uno sport pericolosissimo,
oggi invece con la tecnologia e i sistemi di sicurezza correre è
diventato molto più sicuro.“
Però i campioni
si sono distinti anche in situazioni meno sicure.
“Certo, io
personalmente ci ho messo tanto del mio, sono stato sempre
scrupoloso e preparato e avevo il pensiero costante che non potevo
cadere, perché altrimenti sarei morto. Oggi possono anche cadere,
fortunatamente si alzano, c’è tanta protezione.”
Quindi forse voi
eravate più bravi?
“Più bravi, non so.
Il pilota era più impegnato, oggi c’è tanto aiuto ed elettronica.
Il lavoro nostro era più artigianale e più fisico. Ma per andar
forte bisogna essere sempre al 100%, per cui era difficile ai miei
tempi, ma è difficile anche oggi.”
Non è nuovo al
mondo del cinema. Negli anni ’70 ha ricevuto una proposta da Pietro
Germi, che ha rifiutato perché interferiva con le
corse.
“Ho rifiutato perché
il mio grande amore era correre in moto. Sono nato pensando di
correre in moto non di fare l’attore, per cui quando mi hanno detto
che le riprese del film cominciavano quando cominciavano le gare,
ho rifiutato. Pietro Germi è anche rimasto male, ma ha capito qual
era la mia passione.”
E ora che il
mondo del cinema si è riaffacciato nella sua vita, le piacerebbe
partecipare a qualche produzione?
“Io avevo già fatto
tre piccoli film, e ora sto considerando l’ipotesi di fare un film
sulla mia vita. Sarebbe bello raccontare la mia vita, ne sto
parlando con diverse persone e se si riesce a mettere insieme un
bel progetto, lo faccio, altrimenti no.”
Dopo
la premiere a Venezia, Benelli su Benelli verrà mostrato
in anteprimaregionale a Pesaro e arriverà
prossimamente al cinema distribuito da Genoma Films. Approderà
quindi sia sui canali Sky che successivamente sui
Rai, raggiungendo in questo modo anche tutto il pubblico
televisivo.
L’evento è un
libro scritto nel 2000 da Annie Ernaux. L’autrice francese molto
prolifica, vincitrice anche del Premio Strega nel 2016, compone le
proprie opere traendo spunto dalla sua storia personale, traumi
compresi, anzi, partendo soprattutto da quelli.
La regista
Audrey Diwan lo traspone su pellicola
(L’Événement) fino a farlo arrivare in concorso alla 78esima
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Per
lei è il suo secondo lungometraggio, il primo era stato Mais
vous êtes fous nel 2019, che affrontava il tema della
dipendenza dalla droga. E anche questa volta l’argomento non è meno
leggero né meno importante.
L’Événement, la trama
Annie Ernaux, rispetto
alla propria vita, ha spesso raccontato quanto sia stata devastante
l’esperienza dell’aborto nell’anno 1963, quando praticarlo era
illegale e si rischiava la galera, e lei di anni ne aveva
ventitré.
Perché è esattamente di
questo che parla il suo romanzo, che è più un flusso di coscienza,
ed è quanto viene messo in scena da Audrey Diwan
con Anamaria Vartolomei che ne interpreta la
protagonista.
La giovane e incantevole
Anne, brillante studentessa di lettere che sta preparandosi per la
maturità, spiccando in acume e applicazione agli studi, scopre di
essere incinta. Ma il problema è che l’evento – infatti – creerebbe
una battuta d’arresto ai suoi progetti futuri e, probabilmente, non
si tratterebbe solo di questo.
C’è da dire che Anne non
ha un rapporto rappacificato con le origini umili dei suoi
genitori, e questo aspetto torna spesso nei libri della Ernaux,
quindi la forte spinta a volersi garantire una ricca formazione
cela insieme a un desiderio di forte riscatto anche il rifiuto
delle proprie radici. Ma, di nuovo, non è comunque solo questo il
punto.
Il racconto del dolore
lacerante che la ragazza prova dentro, fuori, nel corpo e
nell’anima, nei rapporti e in ogni parte di sé, parla di un
abbandono che è prima di tutto relazionale, da cui solo in seguito
accade a cascata tutto il resto.
Ci sono certi problemi
che vengono affrontati solo dopo che tante grida sono state
lanciate. Sembra retorica, ma è un fatto. E spesso la risoluzione
che viene trovata nell’immediato finisce col generare nuovi
problemi. Ed è ciò che accade quando l’intervento non si fa sul
cuore della ferita che per prima ha iniziato a sanguinare, ma sul
tamponare un danno che ormai ha già ridotto quasi tutto a
brandelli.
L’Événement mostra la vita di Anne che,
anche all’inizio, nella sua spensieratezza, ha amiche che
fondamentalmente sono delle egoiste, un amico che sembra che la
corteggi, ma quando lei gli chiede di aiutarla, acconsente ma tenta
di approfittarsene. E così in progressione, sequenza dopo sequenza,
la spina dorsale della protagonista deve trovare sempre di più un
proprio modo per riuscire a sostenersi, senza crollare.
E la regista preme
fortissimo nel concentrarsi su di lei, che viene resa in modo
pazzesco dall’attrice franco-rumena, capace di combinare ogni
piccola sfumatura della crescita e decrescita degli stati emotivi
del personaggio. Il corpo della giovane diviene dunque il
linguaggio del film, il canale attraverso cui esprimere ciò che sta
accadendo, e lo splendido volto di lei ne è la continua
didascalia.
La più grande sofferenza
che Anne subisce, prima di ogni altra, è la solitudine come
risultato dell’indifferenza di tutti quelli che le ruotano attorno,
tutti quanti. Al di là del ruolo, dell’età e della posizione
sociale.
E alla fine, l’aborto
che lei vorrebbe compiere è verso ciò che ha gettato la luce sulle
relazioni instaurate fino a quel momento, sul mondo che aveva
costruito e quello che aveva ricevuto, e su tutto quanto non riesce
più a capire. L’evento scatenante non è affatto diverso da
tutto quello che normalmente ci capita ma che mai avremmo voluto
che succedesse. Come sempre, il vero ostacolo non è l’ostacolo in
sé, ma tutto quello che genera non appena si manifesta. E nel
trovarsi a vivere tutta questa montagna di roba, Anne non può che
cavarsela da sola, usando quell’angoscia come calce per
cementificare e saldare le sue ferite: fisiche e psichiche.
L’Événement non è solo la spiegazione
di un fallimento di un ordine socio-culturale, ma la descrizione di
quanto accade quando veniamo dimenticati.
Si è tenuta nella sera la cerimonia
di chiusura con la consegna dei premi di Venezia
78, assegnati dalle quattro giurie internazionali. La
Giuria di VENEZIA 78, presieduta da Bong
Joon Ho e composta da Saverio
Costanzo, Virginie
Efira, Cynthia Erivo, Sarah
Gadon, Alexander
Nanau e Chloé Zhao, dopo aver
visionato i 21 film in competizione. Ecco le foto di tutti i
vincitori.
Sono stati assegnati i premi di
Venezia 78. La giuria presieduta da Bong
Joon-ho ha proclamato i suoi vincitori in una serata
condotta con allegria e spontaneità dalla madrina, Serena
Rossi. Ecco di seguito tutti i vincitori di Venezia
78:
I Wonder Pictures è
orgogliosa di distribuire nei cinema italiani due titoli che hanno
trionfato nella sezione Orizzonti della 78esima edizione della
Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia: Full
Timecon ilPremio Orizzonti per la miglior
interpretazione femminile a Laure Calamy e il Premio Orizzonti per
la migliore regia a Eric Gravel, e Il cieco che non
voleva vedere Titanic con il Premio degli Spettatori – Armany
Beauty in Orizzonti Extra.
Full Time
(titolo originale: À plein temps), è diretto da Eric Gravel
e vede protagonista Laure Calamy, nel ruolo di una madre
single in costante movimento e alle prese con un capitolo piuttosto
caotico della sua vita. Arriverà nei cinema
prossimamente con I Wonder Pictures.
Il cieco che non
voleva vedere Titanic è diretto dal pluripremiato regista
finlandese Teemu Nikki e con il bravissimo Petri
Poikolainen nel ruolo di protagonista: il film racconta la
storia e il bisogno di amare e di essere amato di Jaakko, un uomo
costretto sulla sedia a rotelle, che decide, nonostante la sua
paralisi e la sua cecità, di intraprendere un viaggio che lo
porterà dalla sua amata. Un viaggio difficile, in cui perderà e
riacquisterà la fede e la fiducia nell’umanità…
Il film sarà
contemporaneamente su IWONDERFULL.IT e al cinema da martedì 14
settembre grazie ad I Wonder Pictures e Unipol Biografilm
Collection.
Commenta Andrea
Romeo, fondatore e direttore editoriale di I Wonder Pictures:
“Al di là dei premi che fanno sempre piacere, Il cieco che non
voleva vedere Titanic e Full time sono stati per noi due vere
scoperte in cui abbiamo creduto, per le storie necessarie che
raccontano, per l’originale punto di vista con cui le mettono in
scena, e per i personaggi che ci presentano e che non possiamo fare
a meno di amare. Sono molto contento che il pubblico, gli
accreditati e la stampa ne abbiano fatto due veri e propri casi di
entusiasmo e passaparola come non vedevo da anni qui alla Mostra
del cinema. Penso che il pubblico oggi abbiamo bisogno di film come
questi”.
Sinossi Full
TimeJulie fa di tutto per crescere i
suoi due figli in campagna e mantenere il suo lavoro in un hotel di
lusso parigino. Quando finalmente ottiene un colloquio di lavoro
per una posizione in cui sperava da tempo, scoppia uno sciopero
nazionale che paralizza il sistema dei trasporti pubblici. Il
fragile equilibrio che Julie ha creato è messo in pericolo. Così
decide di lanciarsi in una frenetica corsa contro il tempo, con il
rischio di inciampare.
Sinossi Il cieco
che non voleva vedere Titanic: Tutti
hanno bisogno di amore, anche Jaakko, costretto sulla sua sedia a
rotelle. Jaakko è innamorato di Sirpa. Non si sono mai incontrati
nella vita reale, ma si telefonano tutti i giorni. Sirpa riceve
notizie terribili sulla sua salute e Jaakko decide di andare subito
da lei. Solo che Jaakko è cieco e paralizzato. “Ho capito tutto. Ho
bisogno di aiuto solo in cinque posti. Da casa mia al taxi, dal
taxi alla stazione, dalla stazione al treno, dal treno al taxi e
infine, dal taxi a te. Dovrò fare affidamento su cinque
sconosciuti.”
Competencia
Oficial segna il gradito ritorno alla Mostra del
cinema di Venezia dei registi argentini Mariano
Cohn e Gastón Duprat. I due tornano, a
distanza di cinque anni, dopo il successo della pellicola Il Cittadino illustre che valse al suo
protagonista Oscar Martínez una meritata Coppa
Volpi per la migliore interpretazione maschile. Lo stesso Martínez,
affiancato da due attori del calibro di
Antonio Banderase
Penélope Cruz, è uno dei tre protagonisti.
Competencia oficial, la
trama
Il film, in
concorso nella selezione ufficiale, è una commedia ironica e
dissacrante sul mondo del cinema. Il pretesto che innesca la storia
riguarda un miliardario che è deciso a lasciare un buon ricordo di
sé nel mondo, per questo è intenzionato a dare vita ad un progetto
che porterà alto il suo nome. Tra le possibilità può scegliere se
costruire un nuovo ponte o finanziare un grande film di successo,
suo malgrado opterà proprio per la seconda opzione dando il via ad
una narrazione metacinematografica. Il soggetto del film nel film è
tratto da un bestseller di un famoso premio Nobel proprio a voler
strizzare l’occhio a quel cittadino illustre del film precedente e
ha per protagonisti due fratelli. Il film è affidato dall’anziano
committente ad una regista eccentrica Lola Cuevas (Penélope
Cruz) che ha già ottenuto diversi riconoscimenti in
ambito internazionale, a sua volta Lola sceglie come protagonisti
della pellicola due attori agli antipodi: Ivàn (Martínez) attore di
forte tradizione teatrale considerato un grande maestro e Félix
(Antonio
Banderas) star affermata in patria e a Hollywood. Il
contrasto tra le due forti personalità è la forza motrice e
ispiratrice della pellicola che si accingono a realizzare ma anche
di quella a cui stiamo assistendo. I registi ci mostrano le fasi
della preparazione al film regalando momenti di pura ilarità senza
tralasciare stoccate pungenti per gli addetti ai
lavori.
Una commedia esilarante
Le risate del pubblico
che hanno accompagnato le visioni della brillante commedia in quel
di Venezia si fanno però via via sempre più amare e ragionate. Il
film è sicuramente un vero e proprio elogio all’arte dell’attore,
la perfetta capacità dei tre protagonisti di condividere lo schermo
è sublime. Quello che ci viene mostrato è un emisfero popolato da
prime donne in cui anche il personaggio più positivo finisce per
restare vittima del proprio ego.
La maggior parte del film
è ambientato in una villa, allo stesso tempo maestosa e asettica,
ideale per mostrarci gli scontri e i dispetti tra i due attori ma
anche tra loro e la regista come su un ring allargato e
amplificato. Il film entra nel profondo del mestiere dell’attore,
si esplorano le tecniche, le metodologie e allo stesso tempo le
storie personali e le prove d’attore che ingannano persino i più
scettici. Come nei film precedenti non manca la morale che
giustifica anche un dialogo diretto con lo spettatore.
Mariano
Cohn e Gastón Duprat si confermano due
voci originali della commedia “intelligente” senza risultare
leziosi.
Ecco la nostra intervista a
Jamie Lee Curtis che torna a interpretare Laurie
Strode in Halloween
Kills, presentato Fuori Concorso a Venezia 78. Con lei
anche il regista del film, David Gordon Green.
Scritto da David Gordon
Green, Danny McBride e Scott Teems, basato sui personaggi
creati da John Carpenter e Debra Hill, il film sarà diretto da
David Gordon Green e prodotto da Malek Akkad, Jason Blum e
Bill Block. John Carpenter, Jamie Lee Curtis, Jeanette
Volturno, Couper Samuelson, Danny McBride, David Gordon Green e
Ryan Freimann sono i produttori esecutivi. Ryan Turek sta
supervisionando il progetto per Blumhouse.
Ridley
Scott ormai è una rassicurante certezza. Giunto alla
nobile età di ottantatré anni, appena nel 2017 ci consegnava il suo
ultimo film, anzi, i suoi due, per esser precisi: Tutti i soldi del mondo e Alien: Covenant. Arriva dunque alla
78esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia presentando fuori
concorso la sua nuova pellicola The Last
Duel, dal sapore non troppo dissimile dai suoi vecchi
titoli in costume, dall’atmosfera epica, trionfante e piovosa.
The Last Duel, tratto da
una storia vera
I macro temi affrontati
girano sempre attorno all’eterna lotta tra oppressori e oppressi
che, a dispetto del lontano contesto storico, sono talmente attuali
da risultare quasi manipolati. Invece, soprattutto in questo caso,
è tutto vero. The Last
Duel infatti copre gli ultimi anni del 1300 ed è
la trasposizione cinematografica di un saggio storico scritto nel
2004 da Eric Jager, dove si tratta di un fatto realmente accaduto
in Francia che vide lo svolgersi dell’ultimo duello – appunto –
legalmente approvato, dopo il quale la pratica iniziò
progressivamente a cadere in disuso, anche per la crescente
opposizione della Chiesa riguardo a un tale genere di risoluzione
giudiziaria. La specificità del combattimento consisteva nel fatto
che, in mancanza di prove, l’esito della contesa – dunque chi dei
due sarebbe morto – sarebbe stata decisione di Dio.
La storia perciò narra
precisamente di un tragico caso del genere, che coinvolse una
moglie (Jodie
Comer) che venne violentata da un vecchio amico del
marito (Adam Driver l’uno e Jodie Comer l’altro), e decise di
denunciare l’episodio, con tutta la valanga di conseguenze del
caso, tra cui, naturalmente, l’incredulità dell’intero Paese. Per
tamponare il pubblico ludibrio e salvare il proprio orgoglio, il
marito, quindi, sfida l’uomo al duello del titolo. Il vincitore
sarà il portatore della verità, che significherà la condanna a
morte della donna, qualora fosse il marito a morire.
Scritto a sei mani
Scritto proprio da
Jodie Comer,
Ben Affleck (che si cala anche nei panni del
conte Pierre) e Nicole Holofcener, il film è
strutturato in tre parti che raccontano, in sequenza, i tre punti
di vista sull’andamento dei fatti. L’inizio è quello del cavaliere
Jean de Carrouges (Damon), il successivo è dell’amico Jacques Le
Gris (Driver) e l’ultimo di Marguerite de Carrouges (Comer).
Il modo in cui ogni
attore incarna la propria versione dei fatti attraverso le
sfumature recitative, è nettamente un elemento degno di nota,
perché gran parte dell’intero corpo del film è splendidamente
sostenuto dalle tre figure dei protagonisti. Su tutti spicca la
personalità di Adam Driver, che però non oscura minimamente i due
colleghi, al contrario. Ciascuno si avvale dell’altro per costruire
la sua singola ondulazione narrativa, e così creare il quadro
perfetto di una storia, in fondo, veramente triste.
Una storia, tre punti di
vista
La scelta di portare alla
luce un episodio più unico che raro – figuriamoci per quei tempi –
è naturalmente di un’attualità che è quasi scontato sottolineare.
Fa chiaramente riflettere molto, specialmente per questo. Ad ogni
modo, Ridley Scott sa dirigere i tre episodi, e di
conseguenza tutto l’impianto, con una perfetta armonia. E ogni
contrasto creato dai differenti punti di vista, viene montato con
chiarezza e crescente ritmo, che giunge all’apice con lo sguardo di
Marguerite de Carrouges, per poi culminare con la battaglia finale
tra i due contendenti visivamente spettacolare e che condensa,
forse, più di ogni altro momento l’impronta del regista.
Il penoso evento
raccontato, è reso ancor più doloroso dal progressivo dischiudersi
di come stiano le cose in realtà, poiché, in un modo o nell’altro,
la protagonista femminile è sostanzialmente sola e usata in ogni
caso e la sua non è una condizione eccezionale ma, anzi, è un
aspetto culturale di cui sono intrisi millenni di storia. Ciò che,
però, è mostrato in maniera evidente e delicata, è la forza dolce e
ostinata con cui Marguerite de Carrouges porta avanti la sua
decisione di difendersi, il suo personale duello, che non avviene
affatto con un suo pari, com’è invece nel caso dei due uomini. La
sua è una lotta impari, tra lei e un sistema intero.
Ma quello che alcune
donne lasciano indelebile nel tempo, non è solo un esempio da
seguire, ma la consapevolezza che le cose si possano cambiare
operando delle scelte concrete. Accettando, in certi momenti, di
combattere da sole, con una forza la cui potenza si propaga nel
tempo.
Matt Damon è uno
degli attori più apprezzati di tutto il mondo e di tutto il cinema
moderno e contemporaneo. Ma non solo: è anche uno sceneggiatore e
produttore di successo. Premiato con i riconoscimenti più
prestigiosi del cinema, come l’Oscar e il Golden Globe, Damon ha
sempre dimostrato il suo talento.
Apprezzato per la sua versalità e
l’abilità di fare propri tutti i personaggi che interpreta, Damon è
sempre stato una scelta valida di tutti i registi con cui ha
lavorato, dando dimostrazione delle sue capacità e diversi talenti.
Sono tanti i film di successo a cui a partecipato e che lo hanno
reso famoso. Ecco, allora, quello che non sapevate su film,
altezza e il cameo in Thor: Ragnarok di Matt
Damon.
Matt Damon: film
Sin dalla più tenera età, Damon ha
sempre coltivato la passione per il cinema, che ha condiviso con il
suo grande amico Ben Affleck quando si sono conosciuti all’età
di dieci anni. Dopo aver praticato il palco teatrale per qualche
tempo, per 1988 debutta al cinema in Mystic Pizza, in un
piccolo ruolo.
Dopo un po’ di gavetta e dopo aver
interpretato ruoli marginali, ottiene la sua prima parte importante
per il film Il coraggio della verità, recitando insieme ad
attori del calibro di Meg Ryan e Denzel Washington. La metà degli anni ’90 sarà
il periodo chiave che darà una svolta alla sua carriera.
Dopo essere stato chiamato a
lavorare da Francis Ford Coppola nel 1997 in
L’uomo della pioggia, nello stesso anno scrive, insieme al
suo amico fraterno Ben, la sceneggiatura di un film che sarà poi un
cult: Will Hunting – Genio Ribelle. Per questo lavoro i due
ottengono l’Oscar per la migliore sceneggiatura l’anno
successivo.
Grazie a questo premio, la sua
carriera decolla: partecipa a Salvate il soldato Ryan di
Steven Spielberg, prende parte a Il talento di Mr. Ripley e alla
trilogia Ocean’s (Ocean’s Eleven – Fate il vostro
gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen).
Alto quasi un metro e ottanta,
Damon non ha mai avuto problemi con ogni tipo di
ruolo. Il suo fisico è sempre stato in grado di sostenere ruoli
di livello, sempre considerato per le sue qualità che per la sua
fisicità. Semmai, l’unica altezza che si può considerare, è quella
recitativa: perché Damon è sempre all’altezza dei ruoli da lui
interpretati e lo è stato anche in relazione ai suoi colleghi.
Perché non è proprio da tutti
essere in grado di partecipare a film importanti in giovane età, di
vincere un Oscar alla Migliore Sceneggiatura originale a soli 28
anni, di ricevere un’altra nomination dieci anni dopo al Miglior
Attore non Protagonista e lavorare con registi di primo ordine.
Senza contare la terza nomination per Sopravvissuto – The Martian e
la quarta come produttore per Manchester by the Sea.
È quindi all’altezza dei
suoi colleghi? Sicuramente, e non solo. Perché Damon è
sempre stato in grado di scegliere ruoli di un certo rilievo e, più
che altro, è stato in grado di dargli personalità, carattere, di
farli propri. Ad ogni personaggio da lui interpretato, Damon gli ha
conferito un’anima, la parte focale. Attore molto apprezzato per la
sua versatilità e per l’impegno, sceneggiatore stimato, produttore
coraggioso, Damon ha sempre rischiato con il suo lavoro e ha sempre
fatto bene.
Matt Damon in Thor Ragnarok
Nel novembre del 2017 è uscito al
cinema il terzo capitolo della saga dedicate al Dio del nord,
ovvero Thor: Ragnarok. In questo film, targato
Marvel Studios, Matt Damon è comparso
in un
cameo rivelatosi del tutto inaspettato per il pubblico. Durante
un’intervista, l’attore ha rivelato di essere stato contattato da
Chris Hemsworth e Taika Waititi:
Damon, amico di entrambi, ha ascoltato la loro idea e ha deciso di
accettare.
Ha pensato che fosse una cosa
pazza, ma che fosse anche geniale: cioè quella di un attore
teatrale che, facente parte di una comunità intergalattica, mette
in scena la fantasia del personaggio di Lok: Loki, infatti, aveva
chiesto di essere interpretato da una stella del teatro Asgardiano,
mentre si sarebbe recitata la sua morte.
In questo momento sono presenti
anche Luke Hemsworth (nei panni di Thor, ovvero quelli di suo
fratello Chris) e Sam Neill (nelle vesti di Odino, che aveva
lavorato con Waititi in Selvaggi in fuga). Sembra che tutti i
membri del cast si siano divertiti moltissimo, sia i tre attori,
sia Tom e Chris che si sono visti diversamente. Insomma, un’altra
bella esperienza per l’attore
americano.
Nel film, diretto da Taika Waititi,
vi sono Chris Hemworth,
Tom Hiddleston, Idris Elba e Anthony
Hopkins rispettivamente nei panni di Thor, Loki, Heimdall
e Odino, mentre tra le new entry ci sono Cate Blanchett,
Jeff Goldblum, Tessa Thompson, Karl Urban e Mark
Ruffalo (nei panni di Bruce Banner/Hulk). Alcuni camei
sono così veloci che non sono stati nemmeno accreditati, come è
successo a quello di Damon stesso.
Si è tenuta ieri sera la
presentazione attesissima di The Last
Duel, ultimo film del regista Ridley Scott,
Fuori concorso a Venezia 78. Attesissimi erano la
coppia del momento Ben Affleck e Jennifer Lopez.
Con loro il resto del cast
Matt Damon,Jodie
Comer e il regista.
Avvincente
storia di tradimento e vendetta, ambientata nel clima brutale della
Francia del XIV secolo, The Last
Duel è un film epico storico, un dramma provocatorio
che esplora l’onnipresente potere dell’uomo, la fragilità della
giustizia e la forza e il coraggio di una donna pronta a mettersi
da sola al servizio della verità. Basato su fatti realmente
accaduti, il film fa luce sulle ipotesi a lungo tenute per vere
riguardo all’ultimo duello legalmente autorizzato in Francia,
disputato tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, due amici
diventati acerrimi rivali. La moglie di Carrouges, Marguerite,
viene brutalmente aggredita da Le Gris, ma questi respinge
l’accusa. Tuttavia la donna rifiuta di stare zitta e si fa avanti
per accusare il suo aggressore: un atto di coraggio e di sfida che
mette a repentaglio la sua vita. Ne segue un estenuante duello a
morte che mette il destino dei tre nelle mani di Dio.
COMMENTO DEL REGISTA
La prima volta
che ho sentito parlare dell’ultimo duello legalmente autorizzato
disputato nella Francia medievale, ho capito subito che se ne
sarebbe potuto ricavare un film potente. E quando ho saputo che
Matt Damon, Ben Affleck, e Nicole Holofcener stavano scrivendo la
sceneggiatura, non ho avuto dubbi sul fatto che sarei stato io a
dirigerlo. Il film mi ha dato l’occasione di riprendere il tipo di
storia epica che amo, ma arricchita dai temi del coraggio,
dell’inganno e della difesa di una causa che fanno presa sul
pubblico di oggi. Il film è la storia di un’amicizia e di un’unione
coniugale distrutti a causa di un atto particolarmente crudele e
disonorevole, ma è anche la storia del coraggio di una donna che fa
sentire la propria voce. È un’opera che fa riflettere, e ne sono
particolarmente orgoglioso.
Ecco la nostra intervista a
Andrea
Carpenzano, Francesco Lettieri e
Ludovica Martino, protagonisti e regista di Lovely
Boy, il film scelto come evento speciale di
chiusura, fuori concorso, delle Giornate degli Autori
2021 a Venezia 78.
Leggi la recensione di Lovely Boy
Lovely
Boy, il film Sky Original di
Francesco Lettieri presentato oggi fuori Fuori Concorso alle
Giornate degli Autori della 78ª Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia. Lovely
Boy – Un film Sky Original, prodotto da Indigo Film in
coproduzione con Vision Distribution con il sostegno di IDM Film
Fund & Commission dell’Alto Adige, sarà trasmesso in prima assoluta
su Sky Cinema Uno lunedì 4 ottobre, disponibile anche on demand e
in streaming su NOW.
Nic, in arte Lovely Boy, è
l’astro nascente della scena trap romana. Tatuaggi in faccia,
talento puro, completa strafottenza per il mondo. Inizialmente
proiettato verso una folgorante ascesa musicale, rischia di essere
risucchiato in una spirale di autodistruzione.
Scritto da Peppe Fiore e Francesco
Lettieri, Lovely Boy ha tra i
protagonisti Andrea
Carpenzano(La terra dell’abbastanza, Il
Campione), Ludovica
Martino(Il Campione, Skam Italia, Sotto il
sole di Riccione, Carosello Carosone) ed Enrico
Borello (Il filo invisibile, Settembre), e si avvale
della direzione della fotografia di Gianluca Palma, della
scenografia di Marcella Mosca, dei costumi di Antonella Mignogna e
del montaggio di Mauro Rodella.
Ben Affleck ha dichiarato di sperare che il
suo ultimo film, The Last
Duel, presentato Fuori Concorso a Venezia
78, generi “molta catarsi ed empatia” tra il pubblico
dell’epopea storica diretta da Ridley Scott, che
sarà il film protagonista della penultima serata della Mostra.
Affleck ha detto che la storia è
“quella che speravo avrebbe sviluppato nello spettatore un
senso di compassione e l’idea che potremmo guardarci l’un l’altro
in un modo diverso, e con più empatia, e con il senso di chiedersi
se la nostra prospettiva personale possa non prendere in
considerazione completamente la realtà, la storia, la cultura e
l’educazione dell’altro”.
Basato su eventi reali, The
Last Duel è una storia di tradimento e vendetta ambientata
nella brutale Francia del XIV secolo. La storia è incentrata su
Marguerite de Carrouges (Jodie
Comer), la moglie di Jean de Carrouges (Matt
Damon), che accusa Jacques Le Gris (Adam
Driver) di averla aggredita sessualmente. Il destino di
tutti e tre deve essere deciso in un duello all’ultimo sangue.
La sceneggiatura, scritta da
Nicole Holofcener, Affleck e
Damon, ha una struttura in tre parti, con le prime
due raccontate dal punto di vista degli uomini e la terza
raccontata dal punto di vista di Marguerite. Comer ha detto che
quando ha preso la parte al progetto aveva voluto “assicurarsi
che questa donna fosse completamente incarnata e che avesse questa
esperienza, ma non ne fosse definita”. Ha aggiunto che,
nonostante le diverse prospettive ritratte, “alla fine del film
c’è solo una verità”.
Ben Affleck, Matt Damon e Jodie
Comer presentano The Last
Duel a Venezia 78
Alla domanda se il movimento #MeToo
avesse influenzato la sua performance, Comer ha detto: “Penso
che per me, accettando questo ruolo, il senso del dovere di
diligenza sia sempre stato molto presente – penso che ci saranno
così tante donne che guardando questo film entreranno in relazione
con la storia”.
Holofcener, che ha lavorato
principalmente per fornire la prospettiva di Marguerite nel film,
ha aggiunto: “Certo, eravamo tutti consapevoli del movimento
#MeToo e di come questa esperienza – quello che ha attraversato –
stia ancora andando avanti, ma non scrivo davvero in quel modo.
Volevo che la storia si raccontasse in tutta la sua rilevanza,
perché penso che la gente la capirà, senza bisogno di scriverlo. Ho
lavorato su di lei come essere umano e su quello che ha passato. E
abbiamo fatto molta attenzione per assicurarci che la sua storia
fosse la vera storia”.
Matt Damon, che
pure scrive, produce e recita nel film, ha spiegato che per lui
“era importante e interessante raccontare una storia che non
fosse solo un atto d’accusa contro una persona cattiva, ma che
indicasse l’antecedente culturale che l’Europa e i paesi
colonizzati dai paesi europei condividono, ovvero il fatto di non
vedere le donne per molti, molti secoli come esseri umani, e di
fatto ancora adesso rimangono molti aspetti residui di quella
prospettiva nella nostra società”.
Diretto da Ridley Scott, The
Last Duel è un’appassionante storia di tradimento
e vendetta che racconta la brutalità e l’oppressione femminile
nella Francia del XIV secolo e uscirà in Italia il 14 ottobre.
Targato 20th Century Studios, il film storico vede protagonisti il
vincitore dell’Oscar Matt Damon e il due volte candidato
all’Academy Award Adam Driver nei panni di due uomini,
entrambi nobili di nascita, che devono affrontarsi in un duello
all’ultimo sangue per risolvere i propri rancori. The Last
Duel vede nel cast anche la vincitrice dell’Emmy
Jodie Comer e il vincitore di due Premi Oscar
Ben Affleck.
Ecco la nostra intervista ai
protagonisti di America Latina, quinto film italiano in
Concorso a Venezia 78. Ai microfoni i registi e sceneggiatori
Fabio e Damiano D’Innocenzo e il protagonista
Elio Germano, alla sua seconda collaborazione con
il duo romano.
America
Latina arriverà in sala a novembre 2021, è scritto e
diretto da Fabio D’Innocenzo e Damiano
D’Innocenzo e prodotto da The Apartment (Lorenzo Mieli),
Vision Distribution, Le Pacte. Nel cast Elio Germano, Astrid Casali, Sara
Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo
Dini, Massimo Wertmüller.
Si è tenuta venerdì
10 settembre alle
ore 17.30 presso la Sala degli Stucchi
dell’Hotel Excelsior la cerimonia di premiazione del Leoncino d’Oro
istituito da AGISCUOLA, alla presenza
di Francesca Puglisi, Capo della
Segreteria Tecnica del Ministro
dell’Istruzione, Roberto
Cicutto, Presidente La Biennale, Alberto
Barbera, Direttore della Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica, Andrea Del Mercato,
Direttore Generale La Biennale, Luigi
Lonigro, Presidente Nazionale Distributori Anica,
Giuseppe Pierro, Dirigente Ufficio VI Direzione
generale per il personale scolastico del Ministero dell’Istruzione.
A fare gli onori di casa erano presenti Piera
Detassis, Presidente Accademia del Cinema Italiano – Premi
David di Donatello, Mario Lorini, Vice
Presidente AGIS e Presidente ANEC, Carmela
Pace, Presidente Unicef Italia, Simone
Gialdini, Direttore Generale Anec.
Il Ministro dell’Istruzione
Patrizio Bianchi, a testimonianza della sua
vicinanza, ha inviato un videomessaggio agli studenti della giuria
del Leoncino d’Oro e ha dichiarato:
“Il Leoncino d’oro è un Premio
importante perché testimonia la vicinanza e la sintonia che c’è tra
scuola e cinema. Come Ministero abbiamo appena firmato un
Protocollo per dare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi più
strumenti per esprimere la loro creatività e la loro capacità di
interpretare questo mondo così complesso. Il cinema è uno strumento
fondamentale in una nuova scuola, una scuola aperta, diffusa,
sconfinata perché è lo strumento con cui il nostro occhio si
espande e noi riusciamo a cogliere anche quella parte dell’intimità
delle persone che usualmente, nella superficialità del giorno, non
riusciremmo a cogliere. Complimenti a tutte le ragazze e ai ragazzi
e a tutte le persone che lavorano nel cinema italiano e che sono
l’emblema stesso della voglia di rinascita del nostro
Paese”.
Giunto alla 33° edizione, il
Leoncino è divenuto nel tempo uno dei premi collaterali più
importanti e significativi della Mostra del Cinema di Venezia.
Anche quest’anno il gruppo di giovani giurati provenienti da
tutta Italia ha assegnato – in seguito ad un accordo siglato con il
Comitato Italiano per l’UNICEF – il prestigioso
premio Segnalazione Cinema For UNICEF,
riconoscimento istituito dal Comitato Italiano per l’UNICEF presso
la Mostra sin dal 1980.
Nel corso della cerimonia di
premiazione, è stato assegnato il Premio Leoncino
d’Oro della 78. Mostra d’arte cinematografica di
Venezia al film FREAKS
OUT di GabrieleMainetti alla presenza del regista, con la
seguente motivazione:
“Un’imprevedibile atmosfera
conquista lo spettatore proiettandolo in un mondo tanto
spettacolare quanto catastrofico. Tra tendoni da circo e campi
da guerra, quattro protagonisti, nella loro diversità, esprimono la
necessità di essere umani. Un’opera innovativa e coraggiosa,
che racchiude in una grande avventura fra sogno e realtà, tutto
l’amore per il cinema. Per queste ragioni il Leoncino d’Oro
della 78esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di
Venezia va a Freaks Out di Gabriele Mainetti.”
La giuria ha assegnato
la Segnalazione Cinema For UNICEF al
film LA
CAJA di Lorenzo
Vigas, presente alla premiazione, con la seguente
motivazione:
“ Povertà, sfruttamento e
abbandono sono le ferite di un Paese orfano di certezze. Il
paesaggio desertico diventa metafora della vita di tutti i ragazzi
privati di una famiglia e dei loro diritti. Attraverso gli
occhi di un bambino, il film ci proietta nel profondo di una
tragica realtà nella quale il protagonista ci mostra che affermare
la propria identità è sempre possibile. Per queste ragioni la
Segnalazione Cinema for Unicef della 78esima Mostra internazionale
d’arte cinematografica di Venezia va a “La Caja” di Lorenzo
Vigas.”
Al film “Il
Buco” di Michelangelo Frammartino, in
concorso alla 78maMostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia, è andato il “Green Drop Award” 2021 di
Green Cross Italia.
Il premio – la goccia di vetro di
Murano realizzata dal maestro Simone Cenedese – in occasione della
sua decima edizione è stato consegnato da Lino Banfi, stamattina
all’Hotel Excelsior nella Sala della Fondazione dello Spettacolo,
alle produttrici Piera Boccacciaro e Chiara
Cerretini di Doppio Nodo Double Bind.
Alla cerimonia di premiazione,
condotta dal giornalista Marco Gisotti, sono intervenuti gli attori
Ronn Moss e Mayra Pietracola, protagonisti con Lino Banfi del film
“Viaggio a sorpresa”, in anteprima alla Mostra, Bepi Vigna,
presidente della Giuria del Green Drop Award, Elio
Pacilio, presidente di Green Cross Italia, Nevina Satta,
CEO della Sardegna Film Commission e General Secretary EUFCN, la pr
del cinema italiano Paola Comin e lo scrittore americano di best
seller green John Woods.
Il Green Drop Award, che ad ogni
edizione contiene la terra proveniente da un luogo di particolare
significato, quest’anno ha al proprio interno la terra di Glasgow,
la città scozzese dove a novembre si svolgerà la Conferenza
mondiale delle parti sul Clima (COP 26). L’origine della terra è
stata certificata dal prof. Rodolfo Coccioni paleontologo e
geologo, professore Onorario dell’Università di Urbino.
“Il buco” è ambientato durante il
boom economico degli anni Sessanta e racconta il viaggio di
un gruppo di giovani speleologi che esplorano la grotta più
profonda d’Europa nel cuore del Parco del Pollino. È stato premiato
con il Green Drop per “il rigore con cui descrive la
grandiosa bellezza della natura – si legge nella motivazione della
Giuria -, conducendo la rappresentazione su un piano quasi mistico,
che riesce a coniugare il viaggio nelle viscere della Terra al
percorso della vita; e per la capacità di rendere poeticamente il
senso del tempo, conferendo significato allegorico all’esplorazione
di un abisso nel Sud italiano e l’edificazione, nel Nord, del
grattacielo simbolo di una nuova era”.
“Ringraziamo per questo premio,
siamo molto emozionati ed onorati. Per Doppio nodo double bind è
molto importante la questione ambientale e cercare di fare un
cinema che possa sensibilizzare sulle tematiche ambientali e di
sostenibilità. Nella lavorazione de Il Buco ci siamo impegnati come
produzione a rispettare il protocollo green ottenendo il patrocinio
dell’Ente Parco Nazionale del Pollino.” hanno dichiarato
Piera Boccacciaro e Chiara
Cerretini, produttrici del film, ritirando il premio.
Nel corso della cerimonia, Green
Cross Italia ha voluto rendere omaggio per l’impegno sociale e per
il lavoro di sensibilizzazione verso le nuove generazioni a
Lino Banfi e Ronn Moss con
un’edizione speciale della goccia, di colore blu, come quelle
assegnate nelle passate edizioni a Francesco Rosi e Terry
Gilliam.
A Simone Cenedese, Maestro vetraio
di Murano è stata consegnata una targa speciale per la
realizzazione delle sue preziose gocce d’artista che nel corso
delle dieci edizioni del Green Drop Award sono diventate il simbolo
di un cinema ecosostenibile.
La Settimana Internazionale della Critica (SIC),
sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato
Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito
della 78.Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di Venezia(1 – 11 settembre 2021), ha assegnato oggi, venerdì 10
settembre, i premi della 36esimaedizione.
La giuria
internazionale composta da Claudio Cupellini,
Vanja Kaludjercic e Sandrine
Marques ha assegnato il Gran Premio Settimana
Internazionale della Critica a ZALAVA di
Arsalan Amiri. Questa la motivazione: “La giuria è rimasta colpita dall’abile maestria del regista
nella realizzazione del suo film d’esordio. È un lavoro maturo che
naviga con competenza attraverso diversi stati d’animo nel film,
consegnando un potente messaggio di superstizione e ignoranza, così
rilevante per questi tempi difficili. Il regista rappresenta una
voce fresca che, attraverso un linguaggio cinematografico giocoso,
trasmette un messaggio universale. Il Gran Premio Settimana
Internazionale della Critica di Venezia va a ZALAVA di
Arsalan Amiri”.
A ZALAVA anche il Premio Internazionale
Fipresci assegnato dalla Fédération Internationale
de la Presse Cinématographique.
La giuria composta da
Greta Calaciura, Sofia Mantovani, Cristiano Devigili, Riccardo
Chiaramondia e Guglielmo Scialpi hanno deciso di assegnare Il
Premio Circolo del Cinema di Verona al film più
innovativo, ELTÖRÖLNI FRANKOT / ERASING FRANK di
Gàbor Fabricius, “L’opera che abbiamo
deciso di premiare declina, attraverso un viaggio sonoro in un
universo orwelliano, il topos della lotta contro l’oppressione.
Questo conflitto si esprime attraverso una violenza sonora e
chiaroscurale che logora i corpi dei protagonisti fino ad
annientarli. L’omologazione finale del protagonista e il
soffocamento della sua voce, in antitesi alla potenza iniziale,
segnano la dolorosa e inevitabile sconfitta della libertà
individuale. Per la capacità di esprimere con intensità un tema
delicato e universale, il Premio del Circolo del Cinema va a
Eltörölni Frankot, di Gábor Fabricius”.
Il Premio Mario Serandrei –
Hotel Saturnia per il Miglior Contributo
Tecnico, assegnato da un’apposita
commissione di esperti composta Massimo
Causo,Adriano De
Grandise Silvana
Silvestri, è andato al film ELES TRANSPORTAN A
MORTE – THEY CARRY DEATH dei registi Helena
Girón e Samuel M. Delgado. La motivazione:
Per la capacità di elaborare una dimensione sonora
immersiva, in cui la tensione tra figure e ambienti si amplifica e
dialoga profondamente con la ricerca visiva degli autori. Una
partitura di suoni, rumori e immagini, che alimenta una storia di
misteri, vita e morte, dalla dimensione del mito fino alla deriva
esistenziale dei personaggi.
Nell’ambito della
sesta edizione di SIC@SIC (Short Italian Cinema @
Settimana Internazionale della Critica) la giuria composta da tre
professionisti dell’industria cinematografica
– Jacopo Chessa, Silvia Luzi e Nadia
Trevisan – ha selezionato i seguenti vincitori tra i sette
cortometraggi in concorso:
Premio Miglior CortometraggioINCHEIdi
Federico Demattè con la motivazione “La naturalezza del gesto filmico e lo sguardo
privo di giudizio ne fanno un film che racchiude un mondo pieno di
sfaccettature e che crea aspettative verso le future opere
dell’autore.”
Premio
Migliore RegiaINCHEIdi Federico
Demattè con la motivazione“La capacità di entrare in
intimità con i personaggi e gli ambienti si coniuga perfettamente
ad una narrazione libera da ogni sovrastruttura che permette ai
protagonisti di essere completamente credibili.”
Premio
Miglior Contributo TecnicoL’INCANTOdi Chiara
Caterina con la motivazione “Per la capacità di far
dialogare diversi formati e materiali, riuscendo a costruire una
narrazione evocativa in grado di raccontare l’inconscio, la
violenza, la morte.”
“Si
conclude un’edizione dallo sguardo plurale, curioso e onnivoro,
orientato a rappresentare la vasta complessità del presente
attraverso temi universali e forme originali. Abbiamo lavorato
cercando di offrire uno spettro ampio di possibilità del fare
cinema oggi e i vincitori sono la concreta testimonianza di questa
varietà: cinema di genere e d’autore, dal Medio Oriente all’Europa
dell’Est e del Mediterraneo. Sono il segno di un cinema che
nonostante le avversità che viviamo è sempre più vitale, inquieto e
globale”. Commenta così questa edizione
il Delegato Generale Beatrice
Fiorentino.
“I
dibattiti, i confronti e le discussioni attorno ai film sono sempre
segno di vitalità e interesse. E quest’anno con i titoli proposti
nel cartellone della 36. Settimana Internazionale della Critica è
accaduto regolarmente, a dimostrazione di una selezione quanto mai
varia per generi, modalità produttive e soprattutto tematiche. La
Settimana Internazionale della Critica, infatti, pur essendo da
sempre concentrata su nuovi autori, nuovi linguaggi, proposte
inusuali e inconsuete, non intende promuovere un unico ed esclusivo
modello cinematografico, ma portare alla luce tutto ciò che per i
più svariati motivi, giudica meritevole di interesse e l’edizione
2021 della SIC ne è stata l’ennesima” conferma dichiaraFranco Montini, Presidente del Sindacato
Nazionale Critici Cinematografici Italiani
(SNCCI).
Alla Settimana della
Critica, oltre al Premio Internazionale FIPRESCI dellaFédération Internationale de la Presse
Cinématographique,va il Premio
QueerLion per il film LA DERNIÈRE
SÉANCE di Gianluca Matarrese con la seguente
motivazione: “Per la sua capacità di tracciare un
ritratto che da intimo si fa universale, usando la forma
documentaria con notevole efficacia narrativa per dare voce alla
memoria cruciale di un capitolo di storia, quello dell’Aids,
tutt’altro che chiuso, e disinnescando al contempo con intelligenza
il tabù intorno alle pratiche BDSM.”
Il Premio “Autrici under 40” dedicato a Valentina
Pedicini va invece a Ekaterina Selenkina per il film DETOURS.Domani. sabato 11 settembre,
ore 14, in Sala Perla si terranno,per tutti
gli accreditati, le proiezioni del cortometraggio e del
lungometraggio vincitori del Gran Premio Settimana Internazionale
della Critica.
Si è tenuto oggi
il Premio Collaterale de “La
Pellicola D’oro” pressola
Sala – Spazio Italian Pavillon all’interno dell’Hotel
Excelsior nell’ambito della 78° Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia. “La Pellicola
D’oro”,promossa ed organizzata
dall’AssociazioneCulturale “Articolo
9 Cultura & Spettacolo” e dalla “Sas Cinema” di cui è
Presidente lo scenografo e regista Enzo De
Camillis (ideatore dell’evento), è il primo
premio in Europa a riconoscere i mestieri e l’artigianato del
cinema. Erano presenti all’evento: Enrico Bufalini
(Responsabile archivio storico di Cinecittá) Nicola
Maccanico (amministratore di
Cinecittá), Antonio Falduto (regista) e la
Direttrice Laura Nobili che ha ritirato il premio
per la Sartoria Tirelli. Si ringrazia per questa occasione, La
Biennale di Venezia.
Si premia per la V Edizione le
maestranze e l’artigianato dei seguenti film in concorso:a
“FREAKS
OUT” di Gabriele Mainetti
Miglior Tecnico di Effetti
Speciali: Maurizio Corridori
“FREAKS OUT” di
Gabriele Mainetti
Miglior Capo
Elettricista: Loris Felici
“IL BUCO” di
Michelangelo Frammartino
Miglior Operatore di
Macchina: Luca Massa
“QUI RIDO IO” di
Mario Martone
Miglior Sartoria
Cineteatrale Tirelli
La giuria è composta da:
1) Presidente – Francesco
Martino De Carles (Produttore esecutivo)
01 Distribution ha diffuso oggi il
trailer ufficiale de Il
bambino nascosto, il nuovo film del regista
Roberto Andò con
Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi,
dal 4 novembre al cinema. Nel cast anche Roberto Herlitzka,
Lino Musella, Francesco Di Leva, Enzo Casertano
Ne Il bambino
nascosto Gabriele Santoro vive in un quartiere popolare di
Napoli ed è titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio
San Pietro a Majella. Una mattina, mentre sta radendosi la barba,
il postino suona al citofono per avvertirlo che c’è un pacco, lui
apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia.
In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua
nel suo appartamento e vi si nasconde. “Il maestro”– così lo
chiamano nel quartiere – se ne accorgerà solo a tarda sera. Quando
accade, riconoscerà nell’intruso, Ciro, un bambino che abita con i
genitori e con i fratelli nell’attico del suo stesso palazzo.
Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Nonostante
questo, il maestro, d’istinto, decide di nasconderlo in casa,
ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro.
Scoprirà presto che il bambino è figlio di un camorrista e che,
come accade a chi ha dovuto negare presto la propria infanzia, Ciro
ignora l’alfabeto dei sentimenti. Silenzioso, colto,
solitario, il maestro di pianoforte è uomo di passioni nascoste,
segrete. Toccherà a lui lo svezzamento affettivo di questo bambino
che si è sottratto a un destino già scritto. Una partita rischiosa
in cui, dopo una iniziale esitazione, Gabriele Santoro si getta
senza freni.
SKY ha diffuso il trailer di
Lovely
Boy, il film Sky Original di
Francesco Lettieri presentato oggi fuori Fuori Concorso alle
Giornate degli Autori della 78ª Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia. Lovely
Boy – Un film Sky Original, prodotto da Indigo Film in
coproduzione con Vision Distribution con il sostegno di IDM Film
Fund & Commission dell’Alto Adige, sarà trasmesso in prima assoluta
su Sky Cinema Uno lunedì 4 ottobre, disponibile anche on demand e
in streaming su NOW.
Nic, in arte Lovely Boy, è
l’astro nascente della scena trap romana. Tatuaggi in faccia,
talento puro, completa strafottenza per il mondo. Inizialmente
proiettato verso una folgorante ascesa musicale, rischia di essere
risucchiato in una spirale di autodistruzione.
Scritto da Peppe Fiore e Francesco
Lettieri, Lovely Boy ha tra i
protagonisti Andrea
Carpenzano(La terra dell’abbastanza, Il
Campione), Ludovica
Martino(Il Campione, Skam Italia, Sotto il
sole di Riccione, Carosello Carosone) ed Enrico
Borello (Il filo invisibile, Settembre), e si avvale
della direzione della fotografia di Gianluca Palma, della
scenografia di Marcella Mosca, dei costumi di Antonella Mignogna e
del montaggio di Mauro Rodella.
In onore del 20° anniversario
“9/11: Inside The President’s War Room” sarà
disponibile per la visione gratuita l’11 settembre su
Apple
TV+. Questo speciale documentario Apple Original,
narrato dal vincitore dell’Emmy Award Jeff Daniels
(“The Looming Tower”, “Sfida al presidente – The Comey Rule”),
esplora gli eventi dell’11 settembre 2001 attraverso gli occhi del
presidente Bush e dei suoi più stretti collaboratori, ricostruendo
– grazie alle testimonianze inedite degli uomini-chiave che hanno
preso decisioni importanti e delicate per le sorti del paese – le
ore cruciali di quel giorno storico.
Apple TV+ è disponibile sull’app
Apple TV in oltre 100 paesi, su oltre 1 miliardo di schermi,
inclusi iPhone, iPad, Apple TV, iPod touch, Mac, specifiche smart
TV Samsung, LG, Sony e VIZIO, Amazon Fire TV e dispositivi Roku,
console PlayStation e Xbox e su tv.apple.com, per € 4,99 al mese
con una prova gratuita di sette giorni. Per un periodo di tempo
limitato, i clienti che acquistano un nuovo iPhone, iPad,
Apple TV, Mac o iPod touch possono usufruire gratuitamente di un
anno di Apple TV+. Questa offerta speciale è valida per tre mesi
dopo la prima attivazione del dispositivo. Skydance Animation
è una divisione di Skydance Media di David Ellison, gestita da John
Lasseter (Head of Animation) e Holly Edwards (President of Skydance
Animation)
Dopo un anno dalla presentazione
alla
77esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di
Venezia, approda nelle sale italiane Figli del sole, nuovo film di Majid
Majidi, già regista de I ragazzi del
paradiso (1997), che gli valse da candidatura di primo
film iraniano candidato agli Oscar, pellicola che si serve degli
stilemi della trama d’avventura per affrontare il tema
dell’infanzia negata.
I figli del sole: un racconto realista dai toni
avventureschi
La trama de I figli del
sole è intrinsecamente legata al fenomeno disumano dello
sfruttamento minorile, e il regista lo mette in chiaro fin da
subito: il film, difatti, si apre con una dedica ai 152 milioni di
bambini costretti al lavoro forzato e soggiogati da ambienti loschi
e malsani per poter sostenere le proprie famiglie. Il film di Majid
muove quindi le fila dal tema dell’infanzia negata e profanata, che
ha come cornice il sottobosco criminale di Teheran e le
vicissitudini di un gruppo di amici: Ali,
Mamad, Reda e
Abofazl. I quattro amici sono infatti costretti ad
interfacciarsi col lavoro coatto e il mondo criminale, ma scovano
una scintilla inaspettata nel conseguimento di un obiettivo comune:
trovare un tesoro nascosto che potrebbe cambiare per sempre il
corso delle loro vite. Per farlo, dovranno però recarsi in un’area
unicamente accessibile attraverso la Scuola del
sole, un’associazione di beneficienza che cerca di educare
i bambini che vivono per strada.
Le radici narrative di Figli
del sole sono profondamente radicate nel contesto
socio-politico d’ambientazione, ricreato in maniera piuttosto
realistica e senza troppi filtri soggettivi da parte del regista.
La metafora dello scavare per arrivare al tesoro e,
figurativamente, di dirigersi verso un’emancipazione atta a
sottolineare la funzione innovatrice degli animi giovanili, è
preponderante. L’istituzione scolastica è, infatti, qui vista come
unico punto di luce in un sistema deformato in cui la comunità nel
complesso è sorda di fronte all’anelito di libertà dei ragazzi.
Sfortunatamente la sceneggiatura di Figli del
sole pecca nel non riuscire effettivamente a sondare le
profondità psicologiche dei giovani protagonisti, alzando una
barriera protettiva nei confronti di un realismo registico
pervasivo, che sfocia in un imperativo narrativo fuorviante, debole
per quanto riguarda l’acquisizione di un legame ragguardevole tra
personaggi e spettatori, che caratterizza invece il cinema di
un’altra regista mediorientale, Nadine Labaki.
I figli del sole: un realismo magico mancato
Di notevole interesse è il lavoro
svolto per quanto riguarda il casting, che ha occupato oltre
quattro mesi e coinvolto quattromila giovani da tutto il paese; il
regista, infatti, era fermamente risoluto nel voler assoldare
attori non professionisti, per poter conferire maggiore
verosimiglianza e valore alla vicenda narrata. Nelle interviste ha
dichiarato più volte lo sforzo produttivo effettuato, col fine di
scovare talenti genuini, senza tuttavia mai esimersi dal ribadire
che il dover escludere i tanti partecipanti al casting è stata
fonte di grande sofferenza, proprio per la consapevolezza che la
partecipazione al film sarebbe potuta essere una svolta assoluta
per tante famiglie iraniane in grande difficoltà.
Colonna portante del film è poi
l’antinomia tra realismo e fiaba, due dimensioni narrative
apparentemente differenti che ne I figli del sole
emergono in maniera preponderante, conferendo all’intera vicenda
narrata quelle sfumature di realismo magico che, cercando di
convergere con una dimensione storica, hanno dato risultati
strabilianti in altre pellicole, come ne Il labirinto del Fauno di Guillermo
del Toro. Certamente i guizzi narrativi de I
figli del sole non raggiungono l’organicità filmica del
grande regista messicano, tuttavia avrebbero potuto rappresentare
premesse interessanti dalle quali far emergere l’elemento di
denuncia sociale; ciò che, purtroppo, manca al soggetto è proprio
la fluidità, il dinamismo e la ritmicità tali da riuscire a
qualificare ancora di più il grande lavoro attoriale, soprattutto
del protagonista Roohollah Zamani, premiato come
miglior giovane attore al Festival di Venezia.
Il nobile intento di Majidi non
riesce purtroppo ad essere supportato da una sceneggiatura chiara e
ben architettata, pertanto i Figli del sole si rivela nel complesso
pressochè innocuo, discostandosi senza soluzione di continuità
dalla cornice apparentemente impegnata e da cinéma vérité
degli eventi. Non vi è un’estetica ben definita a supportarne il
discorso politico, né una regia ferma e incisiva a dare adito alle
voci inascoltate di chi tenta disperatamente di esprimersi, per
sancire una propria impronta. Resta dunque in mano allo spettatore
la difficoltà dell’interpretare integralmente una visione poetica
incerta, che vuole portare avanti un discorso socio-politico netto
e chiaro, eppure senza realmente porre interrogativi di spessore
allo spettatore.
Doctor Strange ha dimostrato di essere in
grado di espandere notevolmente i suoi poteri e le sue abilità nel
quarto episodio della serie What If… ?. La versione a fumetti dello
Stregone Supremo ha, però, una vasta gamma di poteri che non si
limitano solo alla magia. Con il suo intelletto, le sue abilità nel
combattimento e il suo talento mistico, Doctor Strange è di fatto
uno dei più potenti supereroi Marvel.
1La consapevolezza cosmica
Insieme alla sua capacità di viaggiare tra
diverse dimensioni, Doctor Strange ha raggiunto la consapevolezza
cosmica, o universale. Ciò gli consente di percepire eventi in
altri regni e realtà, nonché di anticipare minacce o invasioni dei
principali supercriminali, come Dormammu o Shuma-Gorath.
Ciò
viene potenziato notevolmente dall’Occhio di Agamotto, un antico
manufatto di immenso potere. Strange ottenne l’Occhio e il suo
potere da Eternità, quando l’entità cosmica lo ritenne degno del
suo potere.
Ennesimo tassello della
nota saga sorta nell’anno 1978 e all’epoca diretta dal gran
John Carpenter, Halloween
Kills viene presentato fuori concorso alla 78esima
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia. La storia
non tiene per nulla conto di tutti i sequel che sono usciti dal ’78
in poi, ma solo di quello del 2018, che ne era immediata
continuazione e dal quale prosegue senza soluzione di
continuità.
Ancora con la regia di
David Gordon Green, tre anni fa avevamo lasciato
il nostro noto tagliagole Michael Myers intrappolato nel
seminterrato di Laurie (Jamie
Lee Curtis), che pareva essere spacciato, ma il cui
respiro affannato lasciava dedurre che le cose non fossero proprio
così semplici. E infatti avevamo ragione.
Halloween Kills, la trama
Il racconto inizia con la
spiacevole sorpresa di un’intensa e serrata ripresa dei giochi,
dove troviamo Laurie insieme alla figlia Karen (Judy
Greer) e alla nipote Allyson (Andi
Matichak) che stanno compiendo una sfrenata corsa a bordo
di un pick-up verso l’ospedale per ricucire l’addome della
protagonista che il killer ha tentato più volte di perforare
fatalmente. Ma la faccenda si mette ovviamente male: Michael Myers
affetta tutti, scappa e ricomincia tutto daccapo.
Il sottogenere
slasher, facente parte della categoria horror, è stato
praticamente inaugurato da John Carpenter proprio
con questo lungometraggio. In realtà la principale derivazione
dello stile sarebbe Psyco di sir Alfred
Hitchcock ma, ad ogni modo, le principali delineazioni che
ne sono conseguite si son sviluppate tutte dagli anni 80 in poi, e
hanno generato tutti quei film in cui il cattivo trucida più gente
che può ed è tendenzialmente mascherato o dal volto sfigurato. Ma
l’aspetto che per certi versi sfiora il tragicomico, è tutto quello
per cui è necessario applicare la sospensione dell’incredulità.
Perché ce ne sarebbe da vendere, d’incredulità.
Il ritorno (di nuovo) di Michael Myers
Michael
Myers, così come tutti quei tremendi Uomini Neri che
braccano e massacrano senza pietà, è la personificazione di quel
che si definisce l’archetipo dell’ombra, o, in altri termini, tutto
quel che dentro e fuori di noi è rappresentazione dei nostri
peggiori incubi, in qualunque forma si possano manifestare.
È chiaro che Halloween
Kills sia sostanzialmente un sollazzo da serate
goliardiche a base di grida, risate casalinghe, pop-corn, e cuscini
per ripararsi gli occhi. Ma è altrettanto vero che c’è un motivo
molto più profondo di quel che sembra se, nonostante ci terrorizzi,
sia così magnetico.
David Gordon
Green gestisce e organizza in maniera molto organica il
lento peregrinare del killer. Lo fa con una maggiore scorrevolezza
rispetto al precedente: sia rispetto ai singoli agguati con
corrispondenti efferati omicidi, che per quanto concerne la
narrazione, con il montaggio parallelo dell’ospedale in cui Laurie
è ricoverata e fa parzialmente da controcampo, spiegando le
dinamiche della psicologia di Michael.
Ma il punto
fondamentalmente resta sempre lo stesso, per quanto possa essere
motivato e pianificato da trame più o meno originali: Michael Myers
è invincibile perché in caso contrario verrebbe meno il senso
rappresentativo di questo genere di film.
Se è vero che ad un certo
punto diventa snervante pensare di aver davanti un personaggio che,
stando al patto stabilito col pubblico, è un essere umano ma che
comunque seguita a rialzarsi dopo qualunque tipo di mazzata,
d’altra parte è altrettanto vero che, invece, venga da pensare che
possa andare esattamente così.
Paure universali
In fondo, è proprio
quella la realizzazione delle nostre paure più grandi: il fatto che
mai saranno dissipate, che mai ci sarà la luce e che, presto o
tardi, ci staneranno e sarà la fine. Halloween
Kills è un prodotto che funziona perché fa da specchio
a qualcosa che si teme universalmente, ad ogni latitudine.
E un punto sul quale
David Gordon Green mette l’accento è che il capro
espiatorio si pensa sempre che sia la soluzione ai mali del mondo,
ma non è affatto così, al contrario. È la solidarietà che fa la
forza, soprattutto quando per diventare dei mostri terribili è
sufficiente voler uccidere qualcuno, anche se si tratta del
cattivo. Perché non c’è nessuno che sia veramente cattivo. O forse
sì.
All’inizio di quest’anno, quando la
Disney ha annunciato che avrebbe distribuito Black Widow sia nei
cinema che su Disney+ tramite Accesso Vip, nessuno
avrebbe mai potuto immaginare che tale scelta avrebbe avuto delle
conseguenze imprevedibili.
Quando il film diretto da
Cate Shortland ha debuttato lo scorso luglio, è
diventato il più grande weekend d’apertura in epoca pandemica
grazie ai suoi 80 milioni di dollari raccolti al botteghino, ai
quali si sono poi aggiunti i 30 milioni derivati da Disney+. Sebbene in molti abbiamo
discusso sul fatto che l’uscita in streaming abbia impedito a
Black Widow di
incassare ancora di più al box office, alla fine la polemica
sembrava fosse destinata a spegnersi molto rapidamente.
Poi, all’improvviso, Scarlett
Johansson ha letteralmente sorpreso Hollywood e i
fan del MCU quando ha deciso di fare causa
alla Disney per una presunta violazione del contratto. L’attrice,
che è anche produttrice di Black Widow, ha affermato che le
era stato promesso che il film sarebbe uscito solo al cinema e che,
attraverso l’uscita in streaming, la Disney le avrebbe in qualche
modo negato i bonus legati agli incassi. Da allora le dinamiche
della battaglia legale sono diventate assai caotiche, con Disney
che ha insinuato che Johansson avesse assunto un atteggiamento
insensibile di fronte all’attuale situazione legata alla pandemia e
con Johansson che, dal canto suo, ha visto una risposta misogina
nelle parole della multinazionale.
La Disney sta attualmente cercando
di risolvere la causa legata a Black Widow in via
stragiudiziale, ma pare che prima di arrivare alla decisione di
intentare una causa, Johansson abbia cercato di chiarire la
situazione usando un’altra strada. Secondo un nuovo report del
Wall Street Journal (via
IGN), infatti, l’attrice avrebbe cercato di negoziare con la
Disney con l’obiettivo di ricevere una somma pari a 100 milioni di
dollari. Questo totale sarebbe stato calcolato “in base a ciò
che la star avrebbe ricevuto da un ipotetico incasso globale al
botteghino, pari a 1,2 miliardi”, calcolato sulla base dei
totali raggiunti dai precedenti film del MCU.
Questa cifra si sarebbe dovuta
aggiungere al compenso originale ricevuto dall’attrice, che
ammonterebbe a 20 milioni di dollari. Il report specifica che i 100
milioni di dollari erano soltanto un numero di partenza, e che la
Disney non ha mai provato a fare una controfferta.
Quanto ha incassato ad oggi Black Widow?
La Disney avrebbe cercato di
insistere sul fatto che l’uscita in streaming di Black Widowsignificava che
Johansson avrebbe avuto comunque diritto ad una retribuzione
significativa. Tuttavia, quando ci si è resi conto che l’attrice
stava pianificando di arrivare ad un fatturato globale di oltre un
miliardo, l’approccio da parte della multinazionale sarebbe in
qualche modo cambiato. Attualmente, Black Widow ha incassato 372,3
milioni di dollari in tutto il mondo. Considerando le entrate di
Disney+, il film ha raggiunto un totale
di 500 milioni, cifra che non può essere in alcun modo paragonata
ai precedenti, esorbitanti, numeri al botteghino raggiunti dai film
del MCU.
La regia di Black Widow è stata
affidata a Cate Shortland, seconda donna
(dopo Anna Boden di Captain
Marvel) a dirigere un titolo dell’universo
cinematografico Marvel, mentre la sceneggiatura è stata riscritta
nei mesi scorsi da Ned Benson(The
Disappearance of Eleanor Rigby). Insieme a Scarlett
Johansson ci saranno anche David
Harbour, Florence
Pugh e Rachel
Weisz. Il film arriverà nelle sale il 7 luglio e
su Disney+ con
Accesso Vip il 9 luglio.
In Black Widow, quando sorgerà
una pericolosa cospirazione collegata al suo passato, Natasha
Romanoff dovrà fare i conti con il lato più oscuro delle sue
origini. Inseguita da una forza che non si fermerà davanti a nulla
pur di sconfiggerla, Natasha dovrà affrontare la sua storia in
qualità di spia e le relazioni interrotte lasciate in sospeso anni
prima che diventasse un membro degli Avengers.
Quinto e ultimo film italiano in
Concorso a Venezia 78, America
Latina è il terzo film dei Fratelli Fabio e
Damiano D’Innocenzo. Dopo aver conquistato il Festival di
Berlino e il circuito di festival minori con i loro primo due
lavori, La terra dell’abbastanza e Favolacce, i due gemelli romani si preparano a
conquistare anche il Lido con un film che promette di dividere,
almeno stando alle prime reazioni della stampa.
Nella frase che accompagna la
locandina del film si legge “È amore“. “Ogni volta che
ci approcciamo all’amore parliamo di sentimenti – esordisce
Fabio – quali il ricongiungersi con fantasmi e ossessioni, con
una grandissima suspence e con l’incertezza sull’avvenire. Quindi
col thriller, con tutte le sue variabili impazzite.”
Per Damiano
D’Innocenzo, “America Latina non è un thriller”
pur avendone degli aspetti, ma “un film misterioso e
volutamente ambiguo“. “Se vogliamo usare la parola
thriller possiamo usare la definizione thriller psicologico –
prosegue – Amiamo i generi perché il genere ha delle regole
precise ed è bello conoscerle tutte, approfittarsi di una regola
che può far decollare in maniera rapida una storia ma anche
aggirarne tante altre. America Latina contiene la voglia di non
ripetere quanto abbiamo già fatto, io e mi fratello vogliamo
rimanere scomodi. Innanzitutto a noi stessi.”
Il film sembra essere in connessione
con Favolacce, il loro film precedente, che al
Festival di Berlino ha vinto il riconoscimento alla migliore
sceneggiatura, e Fabio D’Innocenzo commenta:
“L’abbiamo scritto a Berlino durante la presentazione
di Favolacce, anche per scordarci della competizione e se
avevamo vinto un premio oppure no, per non pensare a come sarebbe
stato recepito. Abbiamo iniziato a pensare al successivo andando,
per anticorpi, verso un film meno episodico e frammentario, con un
personaggio che vive la storia e ce la fa vivere in modo molto
dritto. Noi siamo lui, siamo il suo sguardo, viviamo questo
racconto in prima persona. Non è un viaggio al termine della notte
ma al termine di un uomo, come ha detto oggi mio fratello Damiano,
è una frase bellissima che gli rubo. Non è stata però un fatto
scientifico, non ci siamo detti di fare il contrappunto di Favolacce, anche perché noi lavoriamo bene in
una condizione di incertezza. Per cui ci siamo detti: ripartiamo da
zero, facciamo un nuovo esordio.”
America
Latina arriverà in sala a novembre 2021, è scritto e
diretto da Fabio D’Innocenzo e Damiano
D’Innocenzo e prodotto da The Apartment (Lorenzo Mieli),
Vision Distribution, Le Pacte. Nel cast Elio Germano, Astrid Casali, Sara
Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo
Dini, Massimo Wertmüller.
Ecco le foto dal red carpet di
Venezia 78 dove hanno sfilato cast e crew
dell’ultimo film italiano in concorso, America
Latina, dei Fratelli D’Innocenzo, che
hanno partecipato alla premiere del film insieme al loro cast.
Protagonista del film è Elio Germano.
America
Latina di Fabio D’Innocenzo, Damiano D’Innocenzo
prodotto da The Apartment (Lorenzo Mieli), Vision Distribution, Le
Pacte. Nel cast
Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico,
Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo Dini, Massimo
Wertmüller
SINOSSI
Latina: paludi,
bonifiche, centrali nucleari dismesse, umidità. Massimo Sisti è il
titolare di uno studio dentistico che porta il suo nome.
Professionale, gentile, pacato, ha conquistato tutto ciò che poteva
desiderare: una villa immersa nella quiete e una famiglia che ama e
che lo accompagna nello scorrere dei giorni, dei mesi, degli anni.
La moglie Alessandra e le figlie Laura e Ilenia (la prima
adolescente, la seconda non ancora) sono la sua ragione di vita, la
sua felicità, la ricompensa a un’esistenza improntata
all’abnegazione e alla correttezza. È in questa primavera
imperturbabile e calma che irrompe l’imprevedibile: un giorno come
un altro Massimo scende in cantina e l’assurdo si impossessa della
sua vita.
COMMENTO DEI REGISTI
Abbiamo scelto di
raccontare questa storia perché, semplicemente, era quella che ci
metteva più in crisi. In crisi come esseri umani, come narratori,
come spettatori. Una storia che sollevava in noi domande alle quali
non avevamo (e non abbiamo, nemmeno a film ultimato) risposte che
non si contraddicessero l’una con l’altra. Interrogarci su noi
stessi è la missione più preziosa che il cinema ci permette e
America
Latina prende alla lettera questa possibilità,
raccontando un uomo costretto a rimettere in discussione la propria
identità. Essendo gemelli, anche i nostri due film precedenti
raccontavano storie di famiglie, di senso di appartenenza, di
sangue, ma non ci eravamo mai addentrati così a fondo nel tema e
abbiamo scelto la via per noi più rischiosa: la dolcezza. La
dolcezza e tutte le sue estreme conseguenze. America
Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di
vista privilegiato dell’oscurità per osservarla.