Home Blog Pagina 15

Vision Quest: svelato il logo ufficiale dello spin-off della Marvel

0

È stata rivelata una prima immagine del logo della serie Vision Quest della Marvel Television, sul set di un film della DC Studios! Il titolo della serie spin-off di WandaVision, che ora sembra essere ufficialmente intitolata Vision Quest, è stato notato sul retro della maglietta di un membro della troupe sul set di Clayface a Liverpool (si può vedere qui la foto). La serie dovrebbe debuttare su Disney+ nel corso del prossimo anno. Al momento non è ancora noto se le riprese siano già iniziate, ma secondo alcune indiscrezioni lo show dovrebbe essere in ogni caso girato all’inizio di settembre.

La serie Vision Quest

Il progetto Vision Quest è stato descritto come “la terza parte di una trilogia iniziata con WandaVision e che continua con Agatha All Along“.

Oltre a Paul Bettany, James Spader di Avengers: Age of Ultron riprenderà il ruolo di Ultron (non è chiaro se Ultron tornerà come robot o in forma umana). Non c’è stato alcun accenno al potenziale coinvolgimento di Elizabeth Olsen, ma la serie sarà ambientata dopo gli eventi di WandaVision, “mentre il fantasma di Visione presumibilmente esplora il suo nuovo scopo nella vita”. T’Nia Miller è stata confermata per il ruolo di Jocasta. Orla Brady apparirà nei panni di F.R.I.D.A.Y. in forma umana, mentre Emily Hampshire sarà E.D.I.T.H. Todd Stashwick sarà Paladino.

Il finale di WandaVision ha rivelato che la Visione con cui avevamo trascorso del tempo nel corso della stagione era in realtà una delle creature di Wanda, ma la vera “Visione Bianca” è stata ricostruita dalla S.W.O.R.D. e programmata per rintracciare e uccidere Scarlet Witch. Questa versione del personaggio si è allontanata verso luoghi sconosciuti verso la fine dell’episodio, dopo essersi dichiarata la “vera Visione”.

Per quanto riguarda Wanda, l’ultima volta che abbiamo visto la potente strega era mentre devastava gli Illuminati e si faceva crollare una montagna addosso in Doctor Strange nel Multiverso della Follia.

Anche l’attore di Picard, Todd Stashwick, è nel cast, nei panni di “un assassino sulle tracce di un androide e della tecnologia in suo possesso”. Vision Quest debutterà su Disney+ nel 2026.

Jude Law su Il Mago del Cremlino: “Non temevo ripercussioni” per il ruolo di Putin

Jude Law non ha avuto remore nell’interpretare lo spietato leader russo Vladimir Putin nel thriller politico di Olivier Assayas Il Mago del Cremlino (leggi qui la nostra recensione dal Festival di Venezia). “Spero di non sembrare ingenuo, ma non temevo ripercussioni. Mi sentivo sicuro, nelle mani di Olivier e della sceneggiatura, che questa storia sarebbe stata raccontata in modo intelligente, con sfumature e considerazioni”, ha detto Jude Law alla conferenza stampa ufficiale del film a Venezia. “Non cercavamo polemiche fine a se stesse. È un personaggio in una storia più ampia. Non stavamo cercando di definire nulla su nessuno”.

Jude Law ha modificato il suo aspetto fisico, ma ha scelto deliberatamente di usare la propria voce, piuttosto che indossare un forte accento russo, per incarnare il giovane Putin. “Olivier e io abbiamo discusso che questo non doveva essere un’interpretazione di Putin, e lui non voleva che mi nascondessi dietro una maschera di protesi. Abbiamo lavorato con un team di truccatori e parrucchieri straordinario e abbiamo avuto come riferimento quel periodo della vita di Putin. Abbiamo cercato di trovare una familiarità in me”, ha detto Law. “È incredibile cosa può fare una buona parrucca”.

Di cosa parla Il Mago del cremlino con Jude Law

Tratto dall’omonimo best seller di Giuliano da Empoli del 2022, Il Mago del Cremlino è un racconto immaginario dell’ascesa al potere di Putin (Jude Law) nel caos post-sovietico e del suo rapporto con lo spin doctor Vadim Baranov (Paul Dano). Sebbene quest’ultimo non sia una persona reale, è ispirato a Vladislav Sourkov, un vero e proprio “facilitatore” a cui è stato attribuito un ruolo chiave nella definizione della personalità e dello stile di leadership autoritario di Putin. Alicia Vikander, Tom Sturridge e Jeffrey Wright, tutti presenti alla conferenza stampa, completano il cast.

GUARDA ANCHE: Venezia 82, le foto dal red carpet di Il Mago del Cremlino

La nostra recensione di Il Mago del Cremlino

Venezia 82, le foto dal red carpet di Motocity con Shailene Woodley e il cast

Il red carpet di Venezia 82 ha accolto il cast di Motocity, il nuovo film diretto da Potsy Ponciroli, presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Un progetto statunitense che unisce azione e intensità drammatica, destinato a lasciare il segno nella stagione cinematografica 2024.

A calcare il tappeto rosso sono stati i protagonisti Alan Ritchson, reduce dal successo della serie Reacher, e Shailene Woodley, attrice amatissima dal pubblico per titoli come Colpa delle stelle e Big Little Lies. Con loro anche Ben Foster, Pablo Schreiber, Ben McKenzie, Lionel Boyce, Amar Chadha-Patel e Rafael Cebrián, per una parata di star che ha subito attirato l’attenzione dei fotografi e degli appassionati presenti al Lido.

Le foto dal red carpet restituiscono tutta l’energia di un cast compatto e affiatato, pronto a sostenere il film insieme al regista Ponciroli e ai produttori di Stampede Ventures, Greg Silverman e Jon Berg. Atmosfera glamour, sorrisi e momenti di complicità hanno reso l’evento uno degli appuntamenti più seguiti della giornata veneziana.

Con una durata di 103 minuti e girato in lingua inglese, Motocity rappresenta uno dei titoli americani più attesi del festival, grazie a un cast corale e a una regia che promette ritmo e spettacolarità. Il tappeto rosso ha confermato l’alto livello di interesse nei confronti del progetto, che unisce interpreti carismatici e una storia pronta a conquistare il grande schermo.

Il debutto a Venezia 82 ha segnato dunque un momento di festa e celebrazione per Motocity, che si prepara ora ad arrivare nelle sale come uno dei film più discussi della stagione.

Clayface: al via le riprese con prime foto di Tom Rhys Harries

0
Clayface: al via le riprese con prime foto di Tom Rhys Harries

Le riprese del prossimo film del DC Universe, Clayface, sono ufficialmente iniziate, come dimostrano le nuove foto dal set dell’ultima produzione DC Universe. Dopo aver già pubblicato diversi progetti del Capitolo 1: “Dei e Mostri” della DCU, la DC Studios sta dunque ora lavorando a uno dei suoi prossimi film per il 2026. In uscita l’11 settembre 2026, Clayface racconterà la storia di uno dei mostruosi nemici di Bruce Wayne nel debutto live-action del personaggio. James Watkins dirigerà il film basato su una sceneggiatura di Mike Flanagan.

Dopo alcune foto che mostravano dettagli e preparativi sul set, sono quindi ora finalmente iniziate le riprese principali a Liverpool, nel Regno Unito, e Just Jared ha pubblicato diverse foto (si possono vedere qui) dal set della produzione, offrendo un primo sguardo al protagonista Tom Rhys Harries nei panni del personaggio titolare. Sebbene ci siano state voci secondo cui interpreterà la versione di Clayface creata da Matt Hagen, la DC Studios non ha ancora confermato la notizia.

Le foto dal set pubblicate da Just Jared mostrano Harries che cammina indossando una felpa blu con cappuccio, accanto a un attore che indossa lo stesso abbigliamento. Sebbene il sito identifichi il co-protagonista di Harries come Eddie Marsan, la DC Studios non ha ancora confermato la sua partecipazione. Anche il Daily Mail ha ottenuto delle immagini dell’attore protagonista che mostrano il personaggio pieno di lividi e coperto di sangue (si possono vedere qui). Le foto mostrano anche le riprese di una scena in cui un paziente, probabilmente il personaggio di Harries, viene trasportato d’urgenza in ospedale.

LEGGI ANCHE:

Cosa sappiamo di Clayface

Al momento sono stati rivelati pochi dettagli sulla trama, ma abbiamo appreso che Matt Hagen sarà al centro dell’attenzione. Nei fumetti, era il secondo Clayface, un avventuriero che si è trasformato in un mostro dopo aver incontrato una pozza radioattiva di protoplasma. Questo è cambiato in Batman: The Animated Series, dove è stato ritratto come un attore che usava una crema anti-età per sembrare più giovane. Dopo essersi scontrato con il suo creatore, Roland Daggett, Hagen viene immerso in una vasca di quella sostanza e diventa il “classico” Clayface che tutti conoscete dai fumetti.

Stando ad alcuni rumor emersi online, la storia di Clayface sarà incentrata su un attore in ascesa il cui volto è sfigurato da un gangster. Come ultima risorsa, il divo si rivolge a uno scienziato eccentrico in stile per chiedere aiuto. All’inizio l’esperimento ha successo, ma le cose prenderanno presto una piega inaspettata.

Poiché Clayface sarà ambientato nell’universo DC, i fan dovrebbero aspettarsi molti collegamenti con l’universo più ampio, e saremmo molto sorpresi se Batman apparisse o fosse anche solo menzionato. Il produttore Peter Safran ha condiviso alcuni nuovi dettagli sulla sceneggiatura di Flanagan, sottolineando che il film sarà effettivamente un film horror in piena regola, sulla scia di La mosca di David Cronenberg, ma si dice trarrà anche ispirazione dal successo horror di Coralie Fargeat, The Substance.

Clayface, vedete, è una storia horror hollywoodiana, secondo le nostre fonti, che utilizza l’incarnazione più popolare del cattivo: un attore di film di serie B che si inietta una sostanza per rimanere rilevante, solo per scoprire che può rimodellare il proprio viso e la propria forma, diventando un pezzo di argilla ambulante”, ha dichiarato Safran.

Tom Rhys Harries interpreterà il personaggio principale di Clayface, il film dei DC Studios. Il film è basato su una storia di Mike Flanagan, attore di La caduta della casa degli Usher (l’ultima bozza è stata firmata da Hossein Amini, sceneggiatore di Drive), con James Watkins, regista di Speak No Evil, alla regia.

Clayface è attualmente previsto per l’arrivo nelle sale l’11 settembre 2026.

Venezia 82, in concorso The Smashing Machine di Benny Safdie

Venezia 82, in concorso The Smashing Machine di Benny Safdie

La 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia continua a sorprendere con uno dei titoli più attesi in concorso: The Smashing Machine, nuovo film diretto da Benny Safdie, qui al suo esordio alla regia solista dopo i successi in coppia con il fratello Josh (Good Time, Uncut Gems).

Il film racconta la storia di Mark Kerr, leggendario lottatore di MMA degli anni ’90, soprannominato proprio The Smashing Machine per la sua forza devastante e la sua carriera segnata tanto da vittorie epiche quanto da fragilità personali.

A guidare il cast è Dwayne Johnson nei panni di Mark Kerr, in un ruolo che promette una svolta drammatica nella sua carriera. Al suo fianco Emily Blunt interpreta Dawn Staples, mentre Ryan Bader veste i panni di Mark Coleman. Il film schiera anche volti noti del mondo degli sport da combattimento e interpreti internazionali: Bas Rutten nel ruolo di sé stesso, Oleksandr Usyk come Ihor Vovčančyn, Lyndsey Gavin come Elizabeth Coleman, Satoshi Ishii come Enson Inoue, James Moontasri come Akira Shoji e Yoko Hamamura come Kazuyuki Fujita.

La pellicola promette di unire l’energia frenetica tipica del cinema dei Safdie con una riflessione intima e toccante sulla vulnerabilità dietro la forza. Non a caso, The Smashing Machine è già uno dei film più discussi e attesi del Festival, pronto a far parlare di sé sia per la trasformazione fisica e interpretativa di Johnson che per la regia visionaria di Benny Safdie.

Il debutto al Lido segna dunque un momento cruciale per il percorso del regista e potrebbe consacrare The Smashing Machine tra i titoli più importanti di questa edizione di Venezia.

Venezia 82, oggi in concorso The Testament of Ann Lee di Mona Fastvold

La 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia entra nel vivo con la presentazione in concorso di The Testament of Ann Lee, il nuovo film diretto da Mona Fastvold, già autrice de The World to Come (2020), apprezzato per la sua sensibilità nel raccontare storie intime e profondamente radicate nella complessità dei sentimenti.

Il film porta sul grande schermo una vicenda intensa e originale, che riflette sull’identità, la fede e la ricerca di senso, proseguendo il percorso registico della Fastvold, sempre attenta a indagare i conflitti interiori e la fragilità dei rapporti umani. Con una cifra stilistica elegante e poetica, la regista norvegese si conferma una delle voci più interessanti del panorama internazionale.

In concorso a Venezia 82, The Testament of Ann Lee è uno dei titoli più attesi della giornata e promette di suscitare dibattito per la forza del suo immaginario e per le interpretazioni degli attori coinvolti. Un film che si inserisce nel filone di opere capaci di mescolare introspezione psicologica e tensione narrativa, offrendo allo spettatore un’esperienza di visione profonda e coinvolgente.

Protagonisti del film sono Amanda Seyfried, Thomasin McKenzie, Lewis Pullman, Stacy Martin, Tim Blake Nelson, Christopher Abbott, Matthew Beard, Scott Handy, Jamie Bogyo, Viola Prettejohn e David Cale, un cast corale di grande talento che promette di donare ulteriore profondità alla narrazione.

Nelle prossime ore il pubblico e la critica avranno dunque modo di scoprire questa nuova opera della Fastvold, che si candida a lasciare un segno importante in questa edizione del Festival.

Venezia 82, le foto dal red carpet di Il Mago del Cremlino

Venezia 82, le foto dal red carpet di Il Mago del Cremlino

Il red carpet della 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è acceso per la presentazione de Il Mago del Cremlino (2025), uno dei titoli più discussi del concorso. Tratto dal romanzo di Giuliano Da Empoli, il film porta sul grande schermo i giochi di potere e le ombre del Cremlino, mescolando realtà e finzione in un racconto di forte attualità politica.

Sul tappeto rosso hanno sfilato i protagonisti Paul Dano, che interpreta Vadim Baranov, Alicia Vikander nei panni di Ksenija, Jude Law come Vladimir Putin, Will Keen nei panni di Boris Berezovskij, Tom Sturridge in quelli di Dmitrij Sidorov e Jeffrey Wright come Rowland. Un cast internazionale di altissimo livello, accolto con entusiasmo dal pubblico e dall’attenzione della stampa mondiale.

Il Mago del Cremlino ha attirato i riflettori non solo per la sua tematica, che tocca corde sensibili della contemporaneità, ma anche per la qualità della messa in scena, che promette di essere una delle rivelazioni di questa edizione del Festival.

In attesa di scoprirne la distribuzione ufficiale, vi proponiamo una selezione delle immagini più suggestive dal red carpet veneziano: sguardi, abiti e momenti che hanno reso la serata un evento indimenticabile.

Venezia 82, le foto dal red carpet di Maestro con Pierfrancesco Favino

La magia del red carpet di Venezia 82 ha accolto la presentazione ufficiale di Maestro,l nuovo film diretto da Andrea Di Stefano che vede protagonista Pierfrancesco Favino, uno degli attori italiani più apprezzati a livello internazionale. L’attore romano, impeccabile come sempre, ha sfilato sul tappeto rosso del Lido attirando l’attenzione di fotografi, fan e giornalisti, regalando pose eleganti e momenti di grande intensità.

Le foto dal red carpet raccontano un evento mondano che ha unito glamour e cinema d’autore, con Favino che ha confermato la sua presenza magnetica, capace di coniugare carisma e naturalezza. L’attore, più volte protagonista alla Mostra del Cinema di Venezia, torna a calcare la passerella più prestigiosa del cinema italiano con un progetto che si preannuncia tra i più discussi della stagione.

Accanto a lui hanno sfilato anche altri membri del cast e della troupe, offrendo agli obiettivi dei fotografi momenti di complicità e sorrisi che hanno reso ancora più speciale la serata. Come da tradizione, il red carpet ha rappresentato l’occasione perfetta per celebrare non solo il film ma anche il talento di Favino, interprete che ha saputo distinguersi in una carriera costellata da ruoli complessi e apprezzati in Italia e all’estero.

Le immagini catturate testimoniano l’entusiasmo e la grande attesa che circondano Maestro, un titolo che porta al Lido un’ulteriore riflessione sulla capacità del cinema di unire spettacolo e profondità narrativa. L’eleganza di Favino e l’accoglienza calorosa del pubblico confermano il valore simbolico di un evento che va oltre la semplice anteprima, diventando parte integrante del fascino senza tempo della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Father Mother Sister Brother: recensione del film di Jim Jarmusch – Venezia 82

0

Alla sua 82ª edizione, la Mostra del Cinema di Venezia ha accolto Jim Jarmusch, uno dei registi americani più amati e rispettati nel panorama indipendente, invitato in concorso con il suo nuovo lavoro, Father Mother Sister Brother. Un titolo che sembra già contenere l’intera essenza del film: un mosaico di rapporti familiari, di legami di sangue e di intimità mai del tutto esplicitata, raccontato attraverso tre episodi distinti ma accomunati dal tema della difficoltà comunicativa tra genitori e figli, fratelli e sorelle.

Come spesso accade nel cinema di Jarmusch, non ci sono climax narrativi o svolte drammatiche improvvise: al contrario, prevale un andamento contemplativo, fatto di silenzi, pause e tempi morti che diventano lo spazio privilegiato in cui i personaggi, e lo spettatore con loro, sono costretti a confrontarsi con la complessità delle relazioni familiari. È un cinema che rifiuta l’urgenza dell’azione e privilegia l’ascolto, la riflessione e soprattutto l’imbarazzo.

Father Mother Sister Brother: tre episodi, un unico filo

Il film si articola in tre capitoli, autonomi ma speculari. Nel primo episodio, due figli fanno visita al padre rimasto vedovo. La situazione, di per sé carica di emotività, viene raccontata da Jarmusch con un tono straniante: invece del pathos del lutto, emerge un senso di disagio palpabile. Padre e figli non si vedono quasi mai, non si parlano con naturalezza, e ogni gesto è carico di una tensione trattenuta. È qui che il regista dimostra la sua consueta abilità nel rendere cinematografico ciò che, a parole, sembra irrappresentabile: l’imbarazzo. Attraverso inquadrature fisse, dialoghi essenziali e silenzi protratti, Jarmusch restituisce con precisione chirurgica la distanza emotiva che spesso si crea in molte famiglie reali.

(Credits Frederick Elmes Vague Notion)

Il secondo episodio porta lo spettatore in una dimensione apparentemente più leggera, ma altrettanto significativa. Due sorelle si recano a casa della madre per prendere il tè. La donna è una scrittrice affermata, mentre le figlie navigano in una precarietà personale e professionale che le rende vulnerabili. Anche in questo caso, il rapporto non è idilliaco: la conversazione è formale, distaccata, pervasa da una sottile competizione tra l’autorità materna e l’incertezza delle figlie. Jarmusch mette in scena un altro volto della famiglia, quello della distanza generazionale, dell’asimmetria tra chi ha trovato il proprio posto nel mondo e chi ancora lo cerca.

Il terzo episodio cambia radicalmente tono. Qui i protagonisti sono due fratelli gemelli, un ragazzo e una ragazza, rimasti orfani in seguito a un incidente aereo. Insieme ricordano i loro genitori, una coppia tanto disordinata quanto affettuosa, e lo fanno con una tenerezza che finalmente scioglie la freddezza degli episodi precedenti. È il momento più intimo e commovente del film, dove la memoria diventa un atto d’amore e i silenzi si caricano non più di imbarazzo, ma di nostalgia.

Lo stile inconfondibile di Jarmusch

In Father Mother Sister Brother Jarmusch riassume il proprio stile in maniera quasi programmatica. Tempi morti, riflessioni sottili, silenzi che pesano più delle parole: tutto ciò che da sempre contraddistingue il suo cinema è presente e amplificato. Lo spettatore viene volutamente spiazzato, costretto a sostare dentro momenti che nella vita reale verrebbero facilmente evitati o lasciati passare sotto silenzio.

Non si tratta di un film “piacevole” nel senso più immediato del termine. Al contrario, la visione può risultare faticosa, proprio perché ci costringe a fare i conti con l’essenza delle relazioni più difficili da affrontare: quelle con i membri della nostra famiglia. Il regista non cerca di consolare lo spettatore, né di offrire soluzioni. Piuttosto, gli mette davanti uno specchio in cui riconoscere imbarazzi, conflitti e fragilità che appartengono a tutti.

(Credits Carole Bethuel Vague Notion)

Alla luce di queste caratteristiche, è difficile immaginare che Father Mother Sister Brother possa conquistare i premi principali del concorso veneziano. Non è un film pensato per stupire la giuria o per offrire un intrattenimento immediato: è, piuttosto, un esercizio di stile coerente e rigoroso, destinato soprattutto agli estimatori del regista.

Tuttavia, la presenza di un cast stellare, da Tom Waits ad Adam Driver, passando per Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Vicky Krieps e molti altri, garantisce al film un forte richiamo mediatico. Sul red carpet, l’opera si trasforma in uno degli eventi più attesi della Mostra, e per i fan sarà senza dubbio una festa poter vedere riuniti tanti nomi di primo piano sotto la direzione di Jarmusch.

Un piccolo trattato sui legami di sangue

In definitiva, Father Mother Sister Brother non è un film che si ricorderà per i colpi di scena o per la spettacolarità, ma per la delicatezza con cui affronta un tema universale: la famiglia. Jarmusch costruisce tre variazioni sullo stesso motivo, mostrando come i legami di sangue possano essere al tempo stesso fonte di imbarazzo, conflitto, dolore e tenerezza.

Un film che richiede pazienza e disponibilità all’ascolto, e che probabilmente dividerà pubblico e critica. Ma è proprio in questa sua radicale fedeltà allo stile del suo autore che risiede il suo valore: Father Mother Sister Brother è un ritratto sincero della condizione umana, dove l’intimità più autentica si nasconde spesso dietro i silenzi più difficili da colmare.

La valle dei Sorrisi: recensione del film di Paolo Strippoli – Venezia 82

0

Fuori concorso a Venezia 82, Paolo Strippoli presenta La valle dei sorrisi, film che conferma la sua predilezione per l’horror come linguaggio eletto per parlare di paure sociali e intime fragilità. Dopo aver già esplorato i territori del perturbante in chiave più canonica, il regista sceglie questa volta di addentrarsi in una dimensione metaforica e quasi allegorica, in cui l’elemento soprannaturale si intreccia alla riflessione sui rapporti comunitari.

L’idea di partenza è affascinante: cosa accadrebbe se un ragazzo adolescente fosse percepito come un piccolo messia, capace di lenire il dolore in modo unico, ma anche distruttivo e incontrollabile? Da qui prende forma un racconto che, pur muovendosi entro coordinate note al genere cerca una propria via espressiva.

La valle dei sorrisi: un messia adolescente e il prezzo della consolazione

Il protagonista è Matteo, un ragazzo solitario, fragile e insieme carismatico, che diventa per i compagni di scuola e per il suo paese di montagna una sorta di icona salvifica. La sua capacità di alleviare il dolore fisico e psichico lo rende un punto di riferimento quasi religioso, tanto che il gruppo lo innalza a figura messianica. Ma dietro questa aura angelica si nasconde un’ambiguità profonda: se è vero che Matteo sembra portare sollievo, lo fa lasciando dietro di sé tracce irreversibili.

Michele Riondino in La valle dei sorrisiIn questo contesto emerge la figura di Sergio (Michele Riondino), adulto tormentato che intravede nel ragazzo un sostituto del figlio perduto. È l’unico a chiedersi davvero chi sia Matteo e cosa comporti il suo potere. La relazione tra i due diventa il nucleo emotivo del film, una dinamica di dipendenza reciproca in cui il bisogno di consolazione si intreccia al vuoto affettivo. Ma accanto a questa tensione, Strippoli introduce anche un delicato sottotesto: un adolescente innamorato del proprio antagonista, schiacciato dall’adorazione che il gruppo riversa su di lui. L’omosessualità repressa, l’invidia, il desiderio e la paura si mescolano in un quadro che parla molto dell’adolescenza reale, pur calandosi in una cornice sovrannaturale.

Tra riferimenti e suggestioni visive

La critica ha già evocato paragoni illustri: ci sono echi di Carrie e di The Omen, spunti che rimandano a The Village di Shyamalan, e persino un’atmosfera che guarda a certe stilizzazioni nordiche come Lasciami entrare di Tomas Alfredson o The Innocents di Eskil Vogt, fino ad arrivare al più recente Midsommar di Ari Aster. Oltre al riferimento chiarissimo a Profumo di Ruskin, ma in questo caso ci avviciniamo pericolosamente allo spoiler.

Strippoli, tuttavia, non si limita alla citazione. Se da un lato si percepiscono gli omaggi, dall’altro il regista cerca di tenere insieme i fili di un racconto che non vuole mai rinunciare all’ambivalenza morale. L’adolescente che offre la fine della sofferenza diventa il volto di una promessa pericolosa, perché vivere senza dolore equivale a vivere senza vita.

Un’idea forte, una realizzazione fragile

La valle dei sorrisi parte da un’intuizione potente: mettere in scena il bisogno di appartenenza e di consolazione come un fenomeno comunitario, capace di trasformare un semplice ragazzo in un idolo. È una riflessione che tocca corde profonde, soprattutto in un’epoca segnata dalla ricerca spasmodica di figure carismatiche e dall’incapacità di elaborare il dolore collettivo.

Nonostante la premessa, il film inciampa in un difetto che lo accompagna fino alla fine: un’eccessiva compiacenza, una sorta di ingenuità che si traduce in una messinscena a tratti troppo schematica. Strippoli sembra più interessato a sottolineare la forza del proprio assunto che a lasciare spazio allo spettatore per colmare i vuoti, e questo rischia di rendere la parabola meno incisiva di quanto potrebbe, senza il sostegno di una sceneggiatura solida.

Il finale, visivamente potente, accentua questa sensazione: l’energia accumulata esplode, ma senza la sottigliezza necessaria a reggere fino in fondo la complessità morale che il film aveva promesso. Rimane un’opera affascinante ma irrisolta, che vive di lampi e intuizioni.

Un passo ambizioso e imperfetto

Il risultato non è privo di fascino, ma si avverte una certa ingenuità nella gestione di un materiale tanto complesso. La valle dei sorrisi rimane un tassello importante per il percorso di Strippoli, un’opera che ha il merito di portare nel fuori concorso veneziano un discorso coraggioso sulla collettività, sul dolore e sull’ambiguità del desiderio umano.

Il mago del Cremlino: recensione del film di Olivier Assayas – Venezia 82

Olivier Assayas, regista di intrighi e cospirazioni atipiche in cui i misteri, piuttosto che venire spiegati, spariscono nella loro inafferabilità, porta in concorso a Venezia 82 Il mago del Cremlino, adattamento dell’omonimo romanzo fantapolitico di Giuliano da Empoli, vincitore del Grand prix du roman de l’Académie française nel 2022.

L’uomo che verrà

Russia, primi anni ’90. L’Unione Sovietica è crollata e, nel caos di un Paese che cerca di ricostruirsi, un giovane dalla straordinaria intelligenza, Vadim Baranov (Paul Dano), inizia a tracciare il proprio cammino. Da artista d’avanguardia a produttore di reality show, Baranov diventa presto il consigliere ufficioso di un ex agente del KGB destinato a conquistare il potere assoluto: l’uomo che il mondo imparerà a conoscere come “lo Zar”, Vladimir Putin (Jude Law).

Immerso nel cuore del sistema, Baranov si trasforma nello spin doctor della nuova Russia, capace di modellare discorsi, illusioni e percezioni. Ma c’è una figura che sfugge al suo controllo: Ksenia, donna libera e inafferrabile, simbolo di una possibile via di fuga lontana dalle logiche di dominio e manipolazione politica.

Quindici anni più tardi, dopo essersi ritirato nel silenzio, Baranov decide di parlare con un giornalista americano (Jeffrey Wright). Le sue rivelazioni confondono i confini tra verità e menzogna, convinzione e strategia. Il mago del Cremlino è un viaggio nei corridoi oscuri del potere, un film in cui ogni parola diventa parte di un disegno più grande.

L’enigmatico Paul Dano

Baranov pensa che il personaggio di Jeffrey Wright, a differenza di tanti altri, abbia capito qualcosa – non tutto, ci tiene a sottolineare – della sua carriera politica. Dall’incontro tra i due parte un racconto a ritroso che ci conduce alla giovinezza di Baranov, periodo in cui, come tanti altri coetanei, era ancora prigioniero della vecchia idea russa che l’arte è profezia, bloccato nella bolla artistica e nell’assioma che la cultura potesse ancora esercitare potere. Man mano, il giovane capisce però che vuole essere protagonista dei suoi tempi, che la Russia è diventata un supermercato ed è tempo di inventarsi qualcosa di nuovo. Così, passa dal mondo degli spettacoli teatrali ai reality show: nella Mosca degli anni ’90 non si può più essere noiosi, tutte le altre istituzioni sono cadute, rimane solo la televisione.

Uomini di potere derivano la loro aura dalla posizione che occupano. Per Baranov, il cui operato è stato definito “finta democrazia” in uno studio scritto dal personaggio di Wright, questa è una certezza assoluta, così come il fatto che ciò che conta veramente in Russia sia la vicinanza al potere, non i soldi. Lo sguardo misterioso di Paul Dano – capace di interpretare ruoli agli antipodi nella sua carriera, dall’impacciato figlio di una famiglia “ambulante (Little Miss Sunshine) agli individui più inquietanti (Prisoners), fino ai villain dei cinecomic (l’enigmista in The Batman)- ritrae con spiazzante lucidità questa figura fittizia che sembra abitare il nostro presente, prestigiatore onniscente dei movimenti dell’attualità.

Il potere verticale

Arriviamo poi all’incontro di Putin, introdotto come funzionario ed ex spia del KGB, che Boris Berezovskij pensa possa essere la figura perfetta per liberarsi dal giogo degi imbonitori (El’cin), creando una nuova figura politica. La prerogativa è solo una: ricostruire l’integrità della federazione russa. Dall’introduzione del futuro Zar, assisteremo alla gestione della seconda guerra cecena, l’affondamento del Kursk, la crisi degli ostaggi del 2002, la rivoluzione arancione, fino ad arrivare alle prime fasi della guerra ucraina del 2022.

Nel corso dell’inserimento di Putin all’interno delle sfere del potere emerge il contrasto incolmabile tra Boris, uomo di televisione ed emozioni, e lo Zar: secondo Baranov, si pensava di sostituire soltanto una figura, non l’intero sistema. È la fine dell’era degli oligarchi che, nel tentare di ritrasformare la Russia in ciò che è sempre stata, creano una prigione grande come un Paese.

Un Assayas affilato ma meno spiazzante

Il mago del Cremlino è thriller politico riuscito anche se forse fin troppo convenzionale per Assayas, che avrebbe potuto decostruire ancora di più l’influsso taumaturgico del potere. Lo sancio particolarmente ispirato nella direzione visiva – a cui il regista ci ha abituati soprattutto nelle sue opere più recenti – viene però bilanciato da dialoghi incredibilmente ben scritti. Sembra, indubbiamente grazie anche alla presenza di Emmanuel Carrère alla sceneggiatura, di sfogliare le pagine di un libro. Di particolare rilievo è l’indagine sulla parola come strumento magico, dei toni e delle conversazioni pacate che vanno a infliggere il male, dell’idea che non serva urlare per stabilire regole.

Nel dominio incontrastato di soli uomini si inserisce Ksenia, figura femminile sfuggente, archetipo tanto caro ad Assayas che, come le donne di No Other Choice, potrebbe offrire una soluzione o via di fuga dall’egemonia del potere. Nel presente, che vede smaterializzarsi il personaggio di Alicia Vikander, c’è invece una bambina che Baranov ha voluto crescere “in sicurezza”, dopo che la Russia ha divorato suo nonno e suo padre. Lui, che ha sempre vissuto il futuro, ha trovato il presente con la figlia. Ma per un uomo che ha deciso di sposare i suoi tempi, forse i tempi ora vogliono scappare da lui.

Gorgonà: recensione del film di Evi Kalogiropoulou – SIC – Venezia 82

0

A volte un film d’esordio riesce a condensare visioni, ossessioni e desideri in una forma tanto potente da scuotere lo spettatore sin dalle prime immagini. È il caso di Gorgonà, opera prima della regista greca Evi Kalogiropoulou, presentata in concorso alla 40ª Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 82. Un lavoro che, pur partendo da un impianto narrativo di genere, si trasforma in un’esperienza simbolica, dove amore e morte, mito e realtà, si intrecciano in un flusso visivo in grado di lasciare il segno.

La regista aveva già fatto parlare di sé con il cortometraggio On Xerxes’ Throne (2022), presentato a Cannes, in cui il divieto di contatto fisico tra i lavoratori di un cantiere navale diventava la scintilla per un’esplosione di desiderio trattenuto. Già allora era evidente il suo interesse per i corpi, per la tensione erotica e per l’energia sotterranea che pulsa nelle comunità marginali. Con Gorgonà, Kalogiropoulou porta queste intuizioni alle estreme conseguenze, costruendo un universo che mescola realismo sporco e mitologia, precarietà quotidiana e visioni quasi soprannaturali.

Gorgonà: un mondo in rovina e il mito che ritorna

Il film si apre con un’immagine iconica: Eleni (Aurora Marion) eretta su una zattera, i capelli sciolti che riflettono la luce dorata del tramonto, i cinturoni scintillanti che la trasformano in un’apparizione sacrificale. La sua figura, ceduta dai genitori in cambio di una tanica di benzina, introduce lo spettatore a un mondo in cui il baratto più crudele è ormai la norma: ciò che resta di una città industriale abbandonata, un tempo produttiva, oggi ridotta a ruderi arrugginiti e a raffinerie controllate da bande armate.

(Credits Neda Film, Blue Monday Productions, Kidam Blonde, 2025)

Al comando c’è Nikos (Christos Loulis), capo carismatico e brutale che governa un clan di uomini ossessionati dall’addestramento fisico e dall’uso delle armi. In questo contesto di testosterone e violenza ritualizzata, la figura di Maria (Melissanthi Mahut) spicca per complessità: unica donna del gruppo, è la prediletta di Nikos, destinata a ereditarne il potere. Il suo sguardo implacabile e la resistenza fisica la rendono un corpo estraneo, e al tempo stesso indispensabile, in una comunità che riconosce in lei non tanto una leader, quanto una minaccia alla leadership maschile.

Eleni e Maria si attraggono e si sfidano, due poli femminili che incarnano, ciascuno a suo modo, una possibilità di emancipazione. I costumi – pelli di serpente, stampe animalier, glitter e colori sgargianti – e il trucco marcato sono segnali di identità che marcano un territorio femminile in un ambiente che tenta di ridurlo a funzione ornamentale o servile. Kalogiropoulou, insieme alla co-sceneggiatrice Louise Groult, lavora su queste tensioni con una scrittura che intreccia desiderio, rivalità e trauma familiare, fino a far emergere la verità più semplice: in ogni struttura patriarcale stagnante, le donne trovano sempre un modo per riconoscersi e allearsi.

Tra Eros e Thanatos: la forza visiva di Kalogiropoulou

Uno degli aspetti più sorprendenti di Gorgonà è la capacità della regista di fondere la pulsione di morte e quella di vita in un unico respiro cinematografico. Le scene di addestramento maschile, con i corpi bruciati dal sole e i fucili che diventano prolungamenti fallici, restituiscono un immaginario di potere autodistruttivo, sterile, ripiegato su sé stesso. A contrastarlo, i momenti in cui la cinepresa indugia sui corpi femminili – lo sguardo obliquo di Eleni, i capelli di Maria distesi sul cuscino come serpenti di Medusa – aprono varchi di sensualità e di trascendenza.

Il titolo stesso richiama il mito della Gorgone, creatura tanto temuta quanto affascinante, capace di trasformare chi la guarda in pietra. Kalogiropoulou utilizza questa suggestione in maniera sottile, insinuando un elemento soprannaturale che non rompe mai il realismo ruvido della messa in scena, ma lo amplifica. L’effetto è quello di un film che respira su due livelli: da un lato il ritratto sociale e politico di una comunità allo sbando, dall’altro la parabola mitica di una trasformazione, di un’emancipazione che ha radici antiche quanto il mito stesso.

(Credits Neda Film, Blue Monday Productions, Kidam Blonde, 2025)

Anche la colonna sonora contribuisce a questa stratificazione: le ballate greche malinconiche che punteggiano la narrazione sembrano piangere non solo un passato industriale ormai scomparso, ma anche una comunità ferita, incapace di riconoscere la propria caduta. La fotografia, con i suoi toni metallici e dorati, restituisce un paesaggio arrugginito che diventa sensuale nella sua decadenza.

Con Gorgonà, Evi Kalogiropoulou firma un esordio ambizioso e radicale, che non si limita a raccontare una distopia, ma la rende terribilmente familiare. In un’epoca in cui il potere maschile armato sembra ancora dettare le regole del mondo, la regista greca costruisce un’allegoria capace di evocare insieme il dolore del presente e la possibilità di un futuro diverso.

Il film non è privo di eccessi e di scelte rischiose, ma è proprio in questo coraggio che si riconosce la forza di un’artista pronta a imprimere la propria visione nel panorama del cinema europeo contemporaneo. Gorgonà è un’opera che parla di desiderio, di violenza, di resistenza, ma soprattutto di incontri tra donne: sguardi, gesti e tensioni che, anche nel contesto più oppressivo, aprono una breccia di intimità e di speranza.

«L’arte è un atto d’amore»: Guillermo Del Toro e il cast di Frankenstein presentano il nuovo film del regista messicano a Venezia 82

Nato dall’immaginazione di una Mary Shelley poco più che diciottenne, Frankenstein è un mito che continua a interrogare il nostro tempo. La storia del giovane scienziato che osa sfidare i confini della vita e della morte non ha mai smesso di rigenerarsi attraverso le epoche, adattandosi a nuovi linguaggi e sensibilità. Dal romanzo ottocentesco al cinema muto, dai cult di Hollywood alle rivisitazioni femministe più recenti, il “moderno Prometeo” rimane una parabola senza tempo sulla responsabilità della creazione, sulla fragilità dell’umano e sul bisogno di riconoscere l’altro.

Non sorprende quindi che Guillermo Del Toro, regista che ha fatto dei mostri i veri protagonisti del suo cinema, abbia deciso di affrontare questa eredità. Dopo aver raccontato creature marginali con la forza del fantastico – fino al Leone d’Oro con La forma dell’acqua – il regista approda al capolavoro di Shelley, presentato in concorso a Venezia con il titolo che più di ogni altro sembrava attenderlo: Frankenstein.

All’incontro con la stampa italiana, il cineasta messicano ha spiegato subito il legame profondo che lo unisce a questa storia: «Qualunque cosa vi aspettiate di vedere, vedrete qualcosa di diverso. Questo romanzo vive con me da quando ero bambino. Sono la creatura, sono Victor, sono ogni personaggio. È un dialogo con me stesso attraverso i decenni».

Frankenstein Guillermo Del Toro

Del Toro ha raccontato come il libro lo abbia accompagnato nelle tappe fondamentali della vita: «Quando ho imparato cosa significa essere figlio, quando ho imparato cosa significa essere padre, quando ho imparato ad andare avanti, tutto questo è entrato nel film. Ho portato con me i migliori collaboratori dei miei trent’anni di cinema, perché arrivare a Frankenstein significava arrivare alla terra santa».

Oscar Isaac ha definito l’esperienza sul set «ipnotica, psichedelica, incredibilmente emotiva, un culto. Abbiamo riso tantissimo per un materiale così oscuro. C’era una gioia travolgente. Mi svegliavo alle quattro del mattino e non vedevo l’ora di andare sul set». Jacob Elordi, interprete della Creatura, ha sottolineato invece l’aspetto più personale: «Questo personaggio è più me di quanto io stesso lo sia. Ci ho messo dentro tutta la mia vita, la mia esperienza, mio padre. Quelle dieci ore di trucco ogni giorno non erano una fatica, erano un sacramento. Mi permettevano di diventare niente e trasformarmi».

Mia Goth, nel ruolo di Elizabeth, ha parlato della responsabilità di far parte di un’opera così attesa: «È stato completamente magico, un sogno realizzato. Non ho mai smesso di pensare che stavo recitando nel Frankenstein di Guillermo Del Toro, e questo portava con sé un’enorme pressione. Tutti sul set sapevano quanto fosse importante quel momento».

Mia Goth in Frankenstein di Guillermo Del Toro
© Cortesia di Netflix

Del Toro ha poi affrontato il senso più ampio del film oggi: «Viviamo in un mondo che ci disumanizza ogni giorno, dividendoci in buoni o cattivi. Il film fa pace con l’imperfezione, ricorda che essere umani significa anche commettere errori e perdonare. I veri mostri non portano maschere prostetiche, indossano giacca e cravatta. Sartre diceva che l’inferno sono gli altri, io dico che la salvezza sono gli altri».

E se Frankenstein è anche una storia d’amore, Del Toro la lega al senso stesso dell’arte: «L’arte è un atto d’amore. Non è chimica né matematica, è vulnerabilità. È ciò che ci permette di riconoscerci negli altri. Alla fine, siamo attratti da chi porta le stesse ferite che portiamo noi. E quando un film o una canzone racconta questo dolore, diventa necessario».

Frankenstein di Guillermo Del Toro
© Cortesia di Netflix

Sul legame con Mary Shelley, il regista è stato netto: «Lei scrisse quel romanzo a diciotto anni, con un coraggio assoluto e una sincerità totale. Leggendo Frankenstein ti innamori di lei, ed è successo anche a me. Il mio dovere era essere altrettanto sincero, per far sì che lo spettatore riconosca lo spirito. Ogni dieci minuti il film cambia, come la vita stessa, ma alla fine resta la domanda più urgente: cosa significa essere vivi?».

Chad Powers: il trailer della nuova serie con Glen Powell

0
Chad Powers: il trailer della nuova serie con Glen Powell

I film di Glen Powell, da Top Gun: Maverick a Tutti tranne te, sono noti per ritrarre l’attore come un rubacuori, ma il suo ruolo nella nuova serie di Hulu Chad Powers, di cui è ora disponibile il trailer ufficiale, lo vedrà interpretare un personaggio più buffo.  Si tratta di una serie comica che seguirà Powell nei panni di Russ Holliday, un giocatore di football professionista che rovina la sua carriera e si trasforma in un personaggio stupido per poter giocare di nuovo.

Chad Powers, creata da Powell e Michael Waldron, debutterà su Hulu il 30 settembre. La serie è basata su una trovata pubblicitaria realmente messa in atto dal quarterback professionista Eli Manning per la sua serie ESPN intitolata Eli’s Places, in cui si è travestito da Chad Powers, un personaggio dai modi gentili.

Il trailer ufficiale di Chad Powers ha ora svelato ulteriori dettagli su ciò che ci aspetta. Nel filmato di 2 minuti e 38 secondi, agli spettatori viene mostrato come il quarterback Russ Holiday abbia commesso un grave errore in una partita importante, distruggendo per sempre la sua carriera. Dopo aver visto un cartellone pubblicitario del film Mrs. Doubtfire, Russ capisce che il modo perfetto per riconquistare la sua fama è diventare una persona completamente diversa.

Oltre al trailer dello show, sono state pubblicate diverse immagini tramite TV Insider. Due delle quattro immagini ritraggono Powell nei panni di Chad, mentre una mostra l’attore nei panni di Russ Holiday. Una quarta immagine ritrae il personaggio dell’allenatore interpretato da Steve Zahn in piedi su un campo in sospeso tra altri due allenatori.

Il trailer suggerisce inoltre che lo show sarà una commedia sulla falsariga di Tootsie e altri film in cui i personaggi indossano travestimenti per diventare completamente qualcun altro. Ciò è in linea con i commenti di Waldron su Tootsie e Mrs. Doubtfire come due delle maggiori fonti di ispirazione dello show. Manning ha creato il personaggio di Chad Powers per Eli’s Places al fine di comprendere l’esperienza di far parte di una squadra alla Penn State, quindi è probabile che la serie esplorerà temi simili.

Le immagini sembrano inoltre confermare che la serie sarà leggera e divertente, ma avrà anche un cuore. Waldron anticipa che Chad è un “vero stronzo del 2025, ma il tipo di persona con cui si può comunque empatizzare e amare”. Anche la fotografia sembra brillante e ricca di dettagli, il che indica che gli spettatori potranno godersi una storia dettagliata accompagnata da immagini di qualità quando sintonizzeranno Chad Powers alla fine del prossimo mese.

Avengers: Doomsday, Chris Hemsworth cauto sulla possibilità che anticipi Thor 5

0

Chris Hemsworth è stato il primo attore che abbiamo visto aggiungersi al cast di Avengers: Doomsday all’inizio di quest’anno. Quello che non sappiamo è esattamente quale sarà il contributo del Dio del Tuono nel film. Thor: Love and Thunder si è concluso con l’asgardiano ora accompagnato nelle sue avventure da una potente giovane figlia adottiva, “Love”. Suo fratello, Loki, nel frattempo, si trova al centro del Multiverso, e la loro riunione promette di essere una parte importante della storia raccontata dai fratelli Russo.

Deadpool & Wolverine sembrava anche confermare che l’asgardiano troverà un nuovo alleato nel Mercenario Chiacchierone, Deadpool. In precedenza era stato riferito che la Marvel Studios sta pianificando un quinto film su Thor, ma Hemsworth ha scelto con cura le parole quando la BBC gli ha chiesto se Avengers: Doomsday preparerà effettivamente il terreno per un’altra avventura solitaria.

Non lo so. Vedremo dove porterà Avengers: Doomsday“, ha detto l’attore. ”Stiamo in qualche modo svelando tutto questo mentre parliamo e cercando di capire dove andrà ciascuno di questi personaggi“. Riguardo a com’è stato lavorare al prossimo film corale, Hemsworth ha detto a Etalk: “Quando ci siamo separati dopo l’ultimo film, non sapevamo se lo avremmo rifatto, ed eccoci qui. Alcuni dei vecchi membri del cast, come me, e poi molti nuovi arrivati”.

Cosa sappiamo di Avengers: Doomsday

Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars arriveranno in sala rispettivamente il 18 dicembre 2026, e il 17 dicembre 2027. Entrambi i film saranno diretti da Joe e Anthony Russo, che tornano anche nel MCU dopo aver diretto Captain America: The Winter Soldier, Captain America: Civil War, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame.

Sono confermati nel cast del film (per ora): Paul Rudd (Ant-Man), Simu Liu (Shang-Chi), Tom Hiddleston (Loki), Lewis Pullman (Bob/Sentry), Florence Pugh (Yelena), Danny Ramirez (Falcon), Ian McKellen (Magneto), Sebastian Stan (Bucky), Winston Duke (M’Baku), Chris Hemsworth (Thor), Kelsey Grammer Bestia), James Marsden (Ciclope), Channing Tatum (Gambit), Wyatt Russell (U.S. Agent), Vanessa Kirby (Sue Storm), Rebecca Romijn (Mystica), Patrick Stewart (Professor X), Alan Cumming (Nightcrawler), Letitia Wright (Black Panther), Tenoch Huerta Mejia (Namor), Pedro Pascal (Reed Richards), Hannah John-Kamen (Ghost), Joseph Quinn (Johnny Storm), David Harbour (Red Guardian), Robert Downey Jr. (Dottor Destino), Ebon Moss-Bachrach (La Cosa), Anthony Mackie (Captain America).

Scarface: in sviluppo il remake con Danny Ramirez nel ruolo di Tony Montana

0

Diretto da Brian De Palma, il film Scarface del 1983 è a sua volta un remake di un film del 1932, basato sull’omonimo romanzo del 1930. In esso si segue Tony Montana, interpretato da Al Pacino, un immigrato cubano che diventa un famigerato trafficante di droga a Miami mentre combatte la propria tossicodipendenza. Il film è uscito con recensioni piuttosto tiepide, ma da allora è diventato un classico del cinema poliziesco.

In una recente intervista con Deadline, Danny Ramirez e Tom Culliver hanno rivelato che stanno sviluppando una nuova versione modernizzata di Scarface attraverso la loro società di produzione, Pinstripes. Ramirez, noto soprattutto per aver interpretato Joaquin Torres/Falcon nell’MCU, interpreterà Montana nel film. “Uno dei diritti di proprietà intellettuale più importanti che stiamo adattando al momento è Scarface. Ovviamente, Danny interpreterà il protagonista. Vogliamo modernizzarlo, adattando il romanzo originale“, afferma Culliver.

Lo stiamo sviluppando in modo indipendente; abbiamo già alcuni finanziamenti per lo sviluppo. Ovviamente, c’è l’eredità di Pacino degli anni ’80 e poi il film originale del 1932, ma penso che sia giunto il momento di modernizzarlo, e avere qualcuno come Danny nel ruolo principale è davvero emozionante”. “Svilupperemo la nostra proprietà intellettuale, ma cercheremo anche partner che abbiano proprietà intellettuali interessanti e che vogliano collaborare con noi come creativi. Ma ci sono anche alcuni progetti che stiamo sviluppando da soli, con i nostri modesti fondi”, aggiunge Ramirez.

Culliver e Ramirez sottolineano anche che la loro versione di Scarface presenterà alcune modifiche. Anche se il duo non entra nei dettagli, Ramirez afferma che una versione aggiornata dell’epopea criminale potrebbe essere piuttosto rilevante nel 2025. “Penso che, per quanto riguarda la proprietà intellettuale, sia importante non impegnarci in qualcosa se non abbiamo un approccio totalmente unico e innovativo. Non si vuole fare qualcosa solo per il gusto di rifare qualcosa. Non lo faremo in modo codardo; abbiamo qualcosa da dire con questo materiale”.

Negli ultimi 20 anni se ne sono viste troppe di queste cose, di rifacimenti fatti solo perché si può attingere a un pubblico già costruito dall’IP. Bisogna avere una nuova storia da raccontare al suo interno”, afferma Culliver. “Scarface, per noi, è il ruolo che abbiamo sempre sognato di interpretare, ma anche di sviluppare in un modo che io possa comprendere. Penso che nel 2025 sarà più attuale che mai. Ecco perché siamo entusiasti di intraprendere questa sfida”, aggiunge Ramirez.

Da tempo si parla di un remake di Scarface

La Universal Pictures era stata precedentemente coinvolta nello sviluppo di un reboot di Scarface, con il regista di Challengers (2024) Luca Guadagnino che si era unito al progetto nel 2020. Guadagnino ha poi rivelato nel 2023 che non stava più lavorando al reboot, senza fornire dettagli sul motivo per cui il progetto fosse fallito. Evidentemente, però, questo ha lasciato la porta aperta a Ramirez e Culliver per lavorare alla loro versione del film poliziesco con Pacino.

Va notato che il fatto che un progetto sia in fase di sviluppo non garantisce che verrà realizzato, e Culliver sottolinea che il finanziamento ottenuto è per lo sviluppo, non per la produzione. Se la versione di Scarface di Pinstripes dovesse vedere la luce, sembra che il pubblico potrà aspettarsi alcuni aggiornamenti rispetto alle versioni del 1983 e del 1932. Sia Ramirez che Culliver chiariscono che perseguirebbero l’IP esistente solo se sentissero di avere una loro visione unica del materiale. Il loro Scarface, quindi, potrebbe risultare fresco e nuovo.

Resta da vedere come Ramirez e Culliver modernizzeranno Scarface e gli daranno il loro tocco personale, ma utilizzare lo status di Tony Montana come immigrato cubano potrebbe essere un modo per esplorare tematiche moderne. Il film è ancora in fase di sviluppo, quindi ci vorranno ancora diversi anni prima che possa vedere la luce.

Clayface: foto dal set rivelano il primo sguardo a un villain e (forse) allo stesso Clayface

0

Sebbene le riprese vere e proprie sembra non siano ancora iniziate, le troupe di produzione si stanno preparando a girare il film Clayface della DC Studios a Liverpool, in Inghilterra, e dopo alcune prime immagini, nuove ultime foto dal set offrono alcune intriganti anticipazioni. La copertina del Gotham Gazette (la si può vedere qui) rivela che Jimmy “Red” McCoy apparirà nel film. McCoy era un cattivo di basso livello di Batman ai tempi, ed è altamente improbabile che sia il cattivo principale.

Apocalyptic Horseman di Nexus Point News ritiene che il grande cattivo di Clayface sarà un boss mafioso della DC Comics più riconoscibile, con un attore importante nel ruolo. La storia di McCoy è anche in evidenza sulla copertina del Gotham Herald, insieme a un’immagine di qualcuno che sembra avere il volto sfigurato o che indossa una sorta di maschera. Il testo che accompagna l’immagine è troppo sfocato per essere decifrato, ma potrebbe trattarsi della nostra prima anteprima di Tom Rhys Harries nei panni di Matt Hagen, alias Clayface? Non resta che avere maggiori dettagli dal set per scoprirlo!

LEGGI ANCHE:

Cosa sappiamo di Clayface

Al momento sono stati rivelati pochi dettagli sulla trama, ma abbiamo appreso che Matt Hagen sarà al centro dell’attenzione. Nei fumetti, era il secondo Clayface, un avventuriero che si è trasformato in un mostro dopo aver incontrato una pozza radioattiva di protoplasma. Questo è cambiato in Batman: The Animated Series, dove è stato ritratto come un attore che usava una crema anti-età per sembrare più giovane. Dopo essersi scontrato con il suo creatore, Roland Daggett, Hagen viene immerso in una vasca di quella sostanza e diventa il “classico” Clayface che tutti conoscete dai fumetti.

Stando ad alcuni rumor emersi online, la storia di Clayface sarà incentrata su un attore in ascesa il cui volto è sfigurato da un gangster. Come ultima risorsa, il divo si rivolge a uno scienziato eccentrico in stile per chiedere aiuto. All’inizio l’esperimento ha successo, ma le cose prenderanno presto una piega inaspettata.

Poiché Clayface sarà ambientato nell’universo DC, i fan dovrebbero aspettarsi molti collegamenti con l’universo più ampio, e saremmo molto sorpresi se Batman apparisse o fosse anche solo menzionato. Il produttore Peter Safran ha condiviso alcuni nuovi dettagli sulla sceneggiatura di Flanagan, sottolineando che il film sarà effettivamente un film horror in piena regola, sulla scia di La mosca di David Cronenberg, ma si dice trarrà anche ispirazione dal successo horror di Coralie Fargeat, The Substance.

Clayface, vedete, è una storia horror hollywoodiana, secondo le nostre fonti, che utilizza l’incarnazione più popolare del cattivo: un attore di film di serie B che si inietta una sostanza per rimanere rilevante, solo per scoprire che può rimodellare il proprio viso e la propria forma, diventando un pezzo di argilla ambulante”, ha dichiarato Safran.

Tom Rhys Harries interpreterà il personaggio principale di Clayface, il film dei DC Studios. Il film è basato su una storia di Mike Flanagan, attore di La caduta della casa degli Usher (l’ultima bozza è stata firmata da Hossein Amini, sceneggiatore di Drive), con James Watkins, regista di Speak No Evil, alla regia.

Clayface è attualmente previsto per l’arrivo nelle sale l’11 settembre 2026.

Venezia 82, le foto dal red carpet di The Last Viking con Mads Mikkelsen e Nikolaj Lie Kaas

Al Festival di Venezia 82 è andato in scena il red carpet di The Last Viking, il nuovo film diretto da Anders Thomas Jensen, uno dei registi più apprezzati del cinema europeo contemporaneo. L’autore danese, già noto per titoli come Men & Chicken e Riders of Justice, torna con una pellicola che mescola commedia nera, noir e dramma familiare, confermando il suo inconfondibile stile capace di unire ironia e profondità.

Protagonisti assoluti della passerella al Lido sono stati Mads Mikkelsen, attore simbolo del cinema scandinavo e star internazionale, e Nikolaj Lie Kaas, storico collaboratore di Jensen. Con loro anche Sofie Gråbøl, celebre interprete della serie The Killing, che arricchisce il cast con la sua intensità.

Le foto dal red carpet testimoniano l’entusiasmo con cui il pubblico veneziano ha accolto il team creativo e gli interpreti di The Last Viking. Mikkelsen, con la sua eleganza sobria, e Lie Kaas, visibilmente emozionato, hanno catturato i riflettori insieme a Jensen, che ha presentato il film sottolineando il valore della collaborazione con i suoi attori di lunga data.

Con atmosfere che oscillano tra il grottesco e il toccante, The Last Viking racconta il legame complesso e commovente tra due fratelli, in un mix di violenza, comicità e malinconia. Una formula che ha reso Jensen uno dei registi più originali del panorama europeo e che sembra destinata a conquistare anche il pubblico internazionale.

Il tappeto rosso veneziano ha così celebrato uno dei titoli più curiosi e attesi del concorso, confermando ancora una volta come il cinema nordico sappia sorprendere con storie potenti e interpretazioni di altissimo livello.

Venezia 82, le foto dal red carpet di Frankenstein di Guillermo Del Toro

Uno degli eventi più attesi della 82ª Mostra del Cinema di Venezia è stato senza dubbio il red carpet di Frankenstein, il nuovo film diretto da Guillermo Del Toro e presentato in concorso. L’opera, adattamento del classico di Mary Shelley, ha riportato sul Lido l’atmosfera gotica e visionaria tipica del regista premio Oscar, accompagnata dall’entusiasmo di pubblico e fotografi accorsi per immortalare i protagonisti.

Sul tappeto rosso hanno sfilato i membri del cast, a partire da Jacob Elordi e Oscar Isaac, protagonisti rispettivamente nei panni della Creatura e di Victor Frankenstein, fino a Christoph Waltz, Mia Goth e Felix Kammerer. Non sono mancati anche Charles Dance, David Bradley, Lars Mikkelsen e il giovanissimo Christian Convery, tutti accolti con calorosi applausi.

Guillermo Del Toro, grande protagonista della serata, ha ribadito come il film non voglia essere una metafora sull’intelligenza artificiale, ma piuttosto un racconto universale su paternità, creazione e imperfezione. Le sue parole in conferenza stampa – “Non ho paura dell’intelligenza artificiale, ho paura della stupidità naturale” – sono già diventate uno dei momenti più discussi del Festival.

L’anteprima veneziana di Frankenstein ha dunque confermato l’altissima attesa attorno a questo progetto, capace di unire spettacolo, riflessione e un cast di livello internazionale. In attesa dell’uscita nelle sale, ecco le foto più belle dal red carpet di Venezia 82.

The Last Viking: recensione del film di Anders Thomas Jensen – Venezia 82

0

Con The Last Viking, presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Anders Thomas Jensen conferma la sua abilità nel muoversi tra i registri più disparati: commedia nera, slapstick, noir da rapina e riflessione sui legami familiari. Nessun altro regista europeo contemporaneo sembra capace di giostrarsi con tanta naturalezza tra ironia, violenza e tenerezza. A rendere il tutto ancora più memorabile c’è l’ennesima prova d’attore di Mads Mikkelsen, che qui presta volto e corpo a un personaggio fragile e surreale, ma anche sorprendentemente umano.

Una coppia di fratelli fuori dall’ordinario

Il film si apre con una sequenza rapida e decisiva: Anker (interpretato da Nikolaj Lie Kaas) commette una rapina, nasconde il bottino e affida al fratello Manfred il compito di occultarne la chiave in un luogo segreto. Pochi istanti dopo, la storia compie un salto temporale di quindici anni: Anker è appena uscito di prigione e Manfred non è più lo stesso. O, meglio, non è più Manfred: convinto di essere John Lennon, rifiuta persino di rispondere al suo vero nome e reagisce con gesti estremi a chi prova a richiamarlo alla realtà.

Questa premessa dà subito il tono della pellicola: un racconto che intreccia situazioni paradossali, un umorismo nero e un sottotesto malinconico. Anker cerca disperatamente di recuperare il denaro nascosto, ma deve fare i conti con l’instabilità del fratello e con un mondo che sembra popolato da figure altrettanto eccentriche.

The Last Viking: commedia nera e tenerezza inattesa

Il cuore pulsante del film è proprio il rapporto tra i due fratelli. Jensen costruisce una relazione fatta di contrasti: da un lato Anker, pragmatico, ruvido e talvolta brutale; dall’altro Manfred, fragile, visionario e apparentemente disancorato dal reale. Kaas riesce a restituire tutta la durezza e la segreta vulnerabilità di Anker, mentre Mikkelsen offre una delle sue interpretazioni più sottili, donando dignità e grazia a un uomo psicologicamente instabile, ma capace di una devozione assoluta.

Accanto a loro si muove una galleria di personaggi secondari che arricchiscono la trama di situazioni assurde e irresistibili. La coppia proprietaria dell’Airbnb in cui i fratelli si rifugiano, ad esempio, sembra uscita da una farsa domestica; il medico Lothar porta con sé due pazienti psichiatrici con l’idea folle di mettere in piedi una cover band dei Beatles, convinto che ciò possa “guarire” Manfred. Ma al di là delle gag e dei paradossi, il film non cade mai nel ridicolo: al contrario, mostra come ciascuno, con le proprie stranezze, viva una forma di scollamento dalla normalità.

Una giostra di generi e atmosfere

Come già in Riders of Justice o in Men & Chicken, Jensen dimostra una straordinaria abilità nel cambiare tono senza mai perdere coerenza. In The Last Viking si passa dalla comicità slapstick alla violenza cruda in modo fluido, senza strappi. Alcune scene sono autentici momenti di farsa, altre virano al thriller più cupo, altre ancora si tingono di malinconia grazie ai flashback dell’infanzia dei fratelli, quando Manfred sognava di essere un vichingo e veniva bullizzato per questo.

Il titolo del film trova proprio lì la sua radice simbolica: nel bambino che non si arrende alla crudeltà del mondo e sceglie di resistere con l’immaginazione. Questi ricordi, che emergono gradualmente, donano al film un sottotesto emotivo potente e rivelano quanto il legame familiare, pur segnato da ferite e incomprensioni, sia il vero collante della narrazione.

La scelta di aprire e chiudere la pellicola con una sequenza animata è un’altra dimostrazione della ricchezza di registri dell’autore. La parabola del re che ordina ai sudditi di mutilarsi per eguagliare il figlio storpio, inizialmente enigmatica, acquista un significato toccante solo alla fine, illuminando retrospettivamente il percorso dei due protagonisti.

Ciò che rende The Last Viking così riuscito è la sua capacità di essere, contemporaneamente, un racconto grottesco e una riflessione universale. Jensen non deride mai la fragilità dei suoi personaggi, ma la abbraccia. E così facendo restituisce allo spettatore una visione del mondo in cui la normalità è un’illusione e ciò che conta davvero sono i legami.

The Last Viking è una commedia nera brillante, violenta e allo stesso tempo umana. Grazie a un cast affiatato e a una regia che non teme i salti di registro, il film riesce a intrattenere e commuovere, spesso nello stesso momento. È una riflessione sull’amore fraterno, sulla resilienza e sulla capacità di sopravvivere al caos della vita, anche quando ci si sente fuori posto come un vichingo o come un Beatle fuori dal tempo.

Hexed: annunciato il nuovo film Disney per il 2026

0
Hexed: annunciato il nuovo film Disney per il 2026

Disney annuncia un nuovo film in uscita nelle sale il prossimo anno. Dopo le uscite di Elio, Lilo & Stitch e Biancaneve quest’anno, la società presenterà Zootropolis 2 della Pixar a novembre. Il programma per il prossimo anno includerà invece un sequel di Toy Story e un adattamento live-action di Oceania. Al D23, Disney ha ora annunciato anche un nuovo progetto originale dei Walt Disney Animation Studios. Intitolato Hexed, il nuovo film uscirà nelle sale nell’autunno 2026.

All’evento, il progetto animato è stato descritto come “la storia di un adolescente eccentrico e di sua madre, che scoprono la sua stranezza come una magia nascosta che detiene la chiave di un regno dove la magia può scorrere libera“. Lo studio ha anche pubblicato un breve clip, mostrando il logo verde scintillante e confermando la data di uscita. Un altro post ha invece offerto un’anteprima del protagonista adolescente e della sua mamma, che ha scoperto i suoi poteri magici.

I prossimi film della Disney, da L’era glaciale: Boiling Point a Hexed

Al D23, la Disney ha anche fornito un aggiornamento su diversi titoli in uscita. L’attesissimo sequel di L’era glaciale ha ora un titolo ufficiale, L’Era Glaciale: Boiling Point, e una nuova data di uscita, il 5 febbraio 2027. Nel frattempo, la Pixar distribuirà un film d’animazione originale, Hoppers, nel 2026, mentre Gatto arriverà nelle sale nel 2027.

Gli Incredibili 3 e Coco 2 sono stati programmati per il 2028 e oltre. Sebbene lo studio abbia diversi remake in lavorazione, Hexed è attualmente l’unico film originale annunciato dalla Walt Disney Animation Studios che uscirà nel 2026. Questo annuncio significa che il programma del prossimo anno sarà meno ricco di remake per lo studio.

Oceania 2 ha segnato l’ultimo lungometraggio animato originale della Disney. Uscito nel 2024, il film ha ottenuto un grande successo al botteghino, incassando oltre 1 miliardo di dollari durante la sua permanenza nelle sale. Mentre l’uscita originale dello studio nel 2023, Wish, è stata un flop, Encanto è diventato un fenomeno di passaparola su Disney+.

Venezia 82: enorme protesta contro l’attacco militare israeliano a Gaza

La Mostra del Cinema di Venezia è diventata lo sfondo di quella che probabilmente è stata la più grande protesta mai vista in un importante evento cinematografico contro l’attacco militare israeliano in corso a Gaza.

Migliaia di persone, tra ospiti del festival, accreditati e pubblico, hanno preso parte a una grande marcia per denunciare Israele e chiedere la fine del genocidio. La protesta, organizzata con il sostegno di numerosi gruppi, associazioni e organizzazioni, mirava a garantire che il festival assumesse una posizione visibile e pubblica sulla guerra a Gaza e fosse utilizzata come piattaforma. “La Mostra del Cinema di Venezia non deve rimanere un evento isolato dalla realtà, ma piuttosto diventare uno spazio per denunciare il genocidio perpetrato da Israele, la complicità dei governi occidentali e offrire un sostegno concreto al popolo palestinese”, avevano dichiarato gli organizzatori in un comunicato.

“A Gaza, ospedali, scuole e campi profughi vengono bombardati; i civili vengono privati ​​di cibo e acqua; giornalisti e medici vengono uccisi; navi umanitarie come la Freedom Flotilla vengono sequestrate. Allo stesso tempo, in Cisgiordania, l’apartheid e la violenza dei coloni continuano incessantemente. L’occupazione permanente di Gaza da parte del governo israeliano segna un’escalation che ha superato ogni limite di umanità e di diritto internazionale”, si legge nella dichiarazione. “L’Italia e l’Europa – attraverso forniture di armi, accordi economici e copertura diplomatica – sono complici di questa barbarie. È ora di fermare il massacro: fermare il genocidio, fermare la vendita di armi, fermare la complicità occidentale”.

In vista del festival, centinaia di registi e artisti internazionali hanno esortato gli organizzatori di Venezia ad assumere una “posizione chiara e inequivocabile [nel] condannare il genocidio in corso a Gaza e la pulizia etnica in Palestina perpetrata dal governo e dall’esercito israeliani”. E’ stato anche loro chiesto di non invitare celebrità che hanno mostrato pubblicamente sostegno a Israele, in particolare Gal Gadot e Gerard Butler.

Security: dal cast al finale, le curiosità sul film con Antonio Banderas

Prima di recitare nell’acclamato Dolor y Gloria, il film di Pedro Almodovar che gli ha fatto guadagnare la sua prima nomination all’Oscar, Antonio Banderas ha preso parte, tra i tanti, al film Security, action thriller diretto da Alain DesRochers e scritto dagli sceneggiatori Tony Mosher e John Sullivan. All’interno di questo, uscito nel 2017, l’attore spagnolo interpreta un’inarrestabile guardia del corpo pronto a tutto pur di difendere un’innocente bambina. Nello stesso anno in cui recita in Vendetta finale, Banderas dimostra ulteriormente la sua predisposizione a tale genere, risultando minaccioso e agguerrito quanto occorre alla storia. Un ruolo non inedito, ma che gli permette di mettersi alla prova anche con prove più fisiche.

Girato in Bulgaria con un budget di 15 milioni di dollari, il film presenta tutte le principali caratteristiche che il genere richiede, con sequenze action di grande impatto ma anche tanta emotività. Al pari di titoli simili come Man on Fire o The Equalizer, anche qui si costruisce infatti una relazione tra un duro e una giovane da proteggere, insegnandosi molto a vicenda. Nonostante il cast di celebri attori presenti, però, Security è passato grossomodo inosservato, arrivando direttamente in streaming per molti paesi. Ciò ha dunque impedito al film di conoscere una maggior popolarità.

Per quanti sono curiosi di vedere Banderas in un ruolo diverso da suoi soliti, questo è però il titolo giusto. Allo stesso tempo, per gli amanti di questo genere si tratta di un buon prodotto in grado di regalare intrattenimento a volontà nella sua durata di appena un’ora e mezzo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Security cast

La trama di Security

Protagonista del film è Eduardo “Eddie” Deacon, veterano delle forze speciali estremamente preparato ad ogni tipo di combattimento, sia con armi che a mani nude. Nonostante la sua gloriosa attività, da quando egli ha lasciato la Delta Company dei Marine non è più riuscito a trovare un’occupazione decente. Questo ha ovviamente avuto pesanti ripercussioni sulla sua vita, a partire da quella famigliare. La sua frustrazione si ripercuote infatti sui rapporti con la moglie e la figlia. Alla disperata ricerca di un nuovo impiego che gli permetta di ottenere un sostentamento minimo, Eddie finisce con l’accettare l’incarico di addetto alla sicurezza in centro commerciale.

Questo si trova però in una zona particolarmente malfamata della città, dove rapine e scontri con armi da fuoco sono pressocché all’ordine del giorno. Già alla sua prima notte di servizio, infatti, egli si ritrova coinvolto in un brutto affare. Una giova bambina di nome Jamie bussa infatti alle porte del centro, alla ricerca di un rifugio sicuro. Eddie apprenderà di come sia riuscita a scappare da un gruppo di assassini, i quali la vogliono morta in quanto testimone di un delicato processo. Prima che Eddie possa rendersene conto, il boss criminale Charlie e i suoi uomini circonderanno il centro commerciale, dando vita ad un assalto da cui sarà difficile uscire vivi.

Il cast del film

Come anticipato, nel ruolo del protagonista Eddie Deacon vi è l’attore Antonio Banderas. Entusiasta dalla possibilità di interpretare un ruolo tanto basato sulla fisicità, egli accettò da subito l’offerta, iniziando a prepararsi con grande dedizione. In particolare, Banderas si sottopose ad un rigido addestramento che gli ha permesso di interpretare quante più scene possibile, senza ricorrere troppo a controfigure. Allo stesso tempo, si è esercitato nell’utilizzo di varie armi, così da avere una maggiore padronanza di queste al momento delle riprese. Accanto a lui, nei panni della giovani Jamie, vi è l’attrice Katherine de la Rocha. Per lei si è trattato dell’esordio cinematografico in un ruolo di rilievo, ed è stata scelta tra numerosissime candidate.

Nei panni dello spietato criminale Charlie, invece, si ritrova l’attore premio Oscar Ben Kingsley. Noto per i suoi ruoli di vario genere, questi ha negli ultimi anni interpretato diversi villain, cercando però di distinguere ognuno di questi tra loro. Per questo nuovo personaggio, infatti, ha ricercato la freddezza necessaria per ordinare di far uccidere una bambina. Nel film si ritrova poi l’attore Liam McIntyre, celebre per essere stato il protagonista della serie Spartacus, nei panni di Vance. Cung Le, ex lottatore di arti marziali miste, interpreta Dead Eyes, mentre l’attore taiwanese Jiro Wang è Johnny Wei, qui nel suo primo film statunitense. Infine, Chad Lindberg recita nel ruolo di Mason.

Ben Kingsley in Security

Il finale di Security

Nel finale di Security, Eddie, Ruby e gli altri riescono ad uccidere diversi mercenari; la donna, più tardi, muore però dissanguata in seguito a diverse sparatorie, così come Mason, che viene ucciso da una squadra di finti U.S Marshals, ed il cecchino di Charlie. Quando lo stesso Charlie irrompe nel centro commerciale e cattura Jamie, minacciando di ucciderla, arriva Eddie, già colpito da un proiettile: quando il criminale sta per sparare a Eddie, Jamie lo colpisce con un taser, permettendo ad Eddie di sparargli, uccidendolo. Poco dopo arriva la polizia e Jamie, Eddie e Vance escono vivi dal centro commerciale. Il film finisce dunque con Eddie, nel frattempo guarito dalle ferite di pistola, all’aeroporto, che si ricongiunge con sua figlia, Silvia, ormai cresciuta.

Il finale di Security porta con sé un messaggio chiaro sul valore della resilienza e sul significato più profondo della protezione. Eddie, inizialmente un uomo alla ricerca di un riscatto personale e professionale, trova un nuovo senso di sé attraverso la difesa di Jamie, trasformando il lavoro da semplice impiego a missione morale. Lo scontro finale evidenzia come il coraggio e la determinazione possano emergere anche nelle condizioni più avverse, ribaltando il ruolo di individui apparentemente comuni. La ricongiunzione con la figlia chiude il cerchio tematico, restituendo ad Eddie dignità, speranza e un rinnovato senso di paternità.

Il trailer di Security e dove vedere il film in streaming e in TV

Security è attualmente presente su Netflix, una delle piattaforme streaming più famose disponibili sul Web. Per poterlo vedere, basterà sottoscrivere un abbonamento generale, cosa che permetterà l’accesso anche a tutti gli altri titoli presenti nel catalogo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 30 agosto alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset. Potrà dunque essere visto in quest’occasione da quanti ne sono incuriositi.

Fonte: IMDb

Folle ossessione: la spiegazione del finale del film

Folle ossessione: la spiegazione del finale del film

Folle ossessione (film del 2021 diretto da Jessica Janos il cui titolo originale è Designed for Death) si inserisce pienamente nella tradizione dei thriller televisivi firmati Lifetime, dove l’intreccio ruota attorno a dinamiche familiari minacciate dall’arrivo di una figura esterna. Il film segue la parabola di Ava, un’interior designer tormentata da un passato doloroso e da disturbi ossessivi, che trasforma la sua attrazione per un cliente in un’ossessione pericolosa. La tipologia è quindi quella del “domestic thriller”, un sottogenere che mette in scena tensioni psicologiche, manipolazioni e il progressivo smantellamento della normalità familiare.

Dal punto di vista dei temi, Folle ossessione affronta dunque argomenti come l’ossessione amorosa, la gelosia e il desiderio di sostituirsi a una vita che non ci appartiene. Attraverso Ava, il film esplora la fragilità mentale e la pericolosità di traumi infantili mai risolti, che si trasformano in comportamenti distruttivi verso se stessi e gli altri. In questo senso, il personaggio non è solo la “villain” del racconto, ma diventa anche la rappresentazione di una fragilità che esplode in maniera incontrollabile.

Collocato nel filone dei thriller televisivi a basso budget, il film può essere messo in dialogo con altri titoli come La mia ossessione (My Husband’s Secret Wife) o Una donna sotto assedio (A Mother’s Nightmare), dove le dinamiche familiari vengono invase da figure esterne tanto affascinanti quanto minacciose. Come in questi casi, l’intreccio si costruisce su un crescendo di tensione che culmina in un terzo atto ricco di colpi di scena. Nel resto dell’articolo, approfondiremo proprio il finale del film e il suo significato.

Kelcie Stranahan in Folle ossessione
Kelcie Stranahan in Folle ossessione

La trama di Folle ossesione

Il film segue la storia di Ava (Kelcie Stranahan), una decoratrice d’interni brillante e ambiziosa che dopo aver completato il restyling di una magnifica casa in un tranquillo quartiere residenziale, scopre un’attrazione travolgente nei confronti del suo ultimo cliente.
L’uomo, gentile e affascinante, rappresenta per la donna l’incarnazione della vita perfetta. Famiglia, successo e una casa da sogno che lei stessa ha contribuito a trasformare. Ma ciò che inizia come una semplice cotta, si trasforma rapidamente in una fissazione morbosa.

Ossessionata dall’idea di far parte di quella famiglia, Ava oltrepassa ogni limite. Installa di nascosto telecamere tra i mobili e negli angoli nascosti della casa, osservando ogni momento d’intimità dell’uomo e dei suoi familiari. Mentre la sua mente si frammenta sempre di più, Ava sviluppa un piano tanto folle quanto inquietante, quello di eliminare sua moglie e i suoi figli. È convinta che solo così potrà finalmente vivere con lui nella casa che considera ormai un nido d’amore costruito a sua immagine e somiglianza.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Folle ossessione, l’ossessione di Ava raggiunge il suo culmine, trasformandosi in una spirale distruttiva senza ritorno. Dopo aver eliminato Derek, che minacciava di smascherarla, la donna intensifica la sua presenza nella vita di Jim e della sua famiglia, fino a presentarsi come l’unica figura di riferimento per Chelsea. Quando Miranda scopre la verità sul passato di Ava e tenta di smascherarla, ne diventa la nuova vittima: la donna viene aggredita e ridotta in fin di vita, costretta a un ricovero d’urgenza. Questo gesto estremo mostra come Ava, ormai fuori controllo, sia pronta a distruggere chiunque ostacoli il suo sogno distorto di vita perfetta al fianco di Jim.

La tensione si scioglie nell’epilogo, che porta a un confronto diretto e definitivo. Ava, incapace di abbandonare la sua illusione, rapisce Chelsea e avvelena Jim, organizzando un ultimo piano per eliminare la famiglia e sostituirsi a Miranda. Tuttavia, la sua violenza si ritorce contro di lei: Jim riesce a liberarsi, mentre Chelsea dimostra coraggio trovando la forza di reagire da sola. Il confronto finale, pur anti-climatico, sancisce la sconfitta di Ava, che viene sopraffatta e arrestata. Il film si chiude con la famiglia riunita accanto a Miranda, finalmente in via di guarigione, mentre Ava viene internata in un istituto psichiatrico, condannata a convivere con le sue ossessioni.

Ashlynn Judy e Kelcie Stranahan in Folle ossessione
Ashlynn Judy e Kelcie Stranahan in Folle ossessione

Il finale di Folle ossessione rappresenta il crollo inevitabile di una costruzione patologica che non poteva reggere a lungo. Ava, segnata da un’infanzia di abusi e dalla necessità di riempire un vuoto affettivo mai colmato, cerca di appropriarsi con la forza di ciò che non le appartiene: una famiglia, un marito, una figlia. La sua ossessione si nutre di fragilità e desiderio di controllo, ma il film mostra come la realtà non possa essere piegata a un delirio personale senza generare distruzione. La scelta di farla terminare in un ospedale psichiatrico sottolinea l’impossibilità di guarire dalla follia senza un riconoscimento della propria malattia.

Al tempo stesso, la risoluzione non è priva di ambiguità. La vittoria di Jim e Chelsea su Ava appare parziale, perché ciò che resta è un trauma destinato a segnarli per sempre. La figlia, costretta a confrontarsi con la minaccia di sostituzione materna e con la violenza estrema, incarna l’elemento più fragile della vicenda: pur salvandosi, porta addosso le cicatrici di una manipolazione psicologica che difficilmente potrà dimenticare. L’ultima immagine di Ava con la bambola nelle mani, simbolo della sua identità spezzata, lascia allo spettatore un senso di inquietudine che contrasta con il ritorno all’ordine familiare.

Cosa ci lascia il film Folle ossessione

In definitiva, Folle ossessione utilizza i codici del thriller televisivo per raccontare una storia di desiderio malato e distruzione domestica. Pur affidandosi a meccanismi narrativi spesso sopra le righe, il film mette in evidenza la fragilità dei rapporti familiari e la facilità con cui una figura manipolatrice può insinuarsi in un contesto vulnerabile. Ciò che rimane allo spettatore non è soltanto la sconfitta di Ava, ma la consapevolezza che la linea di confine tra normalità e follia è più sottile di quanto sembri, e che i fantasmi del passato, se non affrontati, possono trasformarsi in ossessioni distruttive.

Scopri anche il finale di film simili a Folle ossessione

Viaggio al centro della Terra: il significato del finale del film e il suo sequel

Viaggio al centro della Terra, diretto nel 2008 da si presenta come una rilettura in chiave moderna del celebre romanzo di Jules Verne, rielaborato con lo scopo di avvicinare un pubblico giovane alla fantascienza avventurosa. Non si tratta di un adattamento fedele, ma piuttosto di un film che utilizza l’opera verniana come punto di partenza per costruire un racconto autonomo, arricchito da elementi spettacolari e da una narrazione pensata per il cinema 3D, allora in forte espansione. La tipologia è quindi quella del family adventure movie, capace di unire azione, leggerezza e meraviglia visiva.

Il genere di riferimento è dunque il fantasy-avventuroso con forti contaminazioni fantascientifiche: il film trasporta i protagonisti in un mondo sotterraneo popolato da paesaggi incredibili, creature preistoriche e fenomeni naturali impossibili. Le novità risiedono soprattutto nell’uso della tecnologia 3D, che nel 2008 rappresentava un esperimento immersivo ancora raro, e nell’approccio che mescola il gusto classico dell’avventura ottocentesca con un ritmo narrativo e un umorismo più vicino al cinema per famiglie contemporaneo. Tra i temi principali emergono il rapporto tra scienza e immaginazione, la scoperta come forma di crescita personale e il valore del legame familiare.

Per impostazione narrativa e tono spettacolare, il film può essere avvicinato ad altri titoli che rivisitano la letteratura d’avventura in chiave moderna, come Le cronache di Narnia, La bussola d’oro o Pirati dei Caraibi. Tutti condividono la volontà di riproporre l’epica avventurosa a un pubblico giovane, bilanciando azione e intrattenimento. Nel caso di Viaggio al centro della Terra, l’operazione funziona soprattutto nel creare un ponte tra il mito letterario e il cinema d’intrattenimento, aprendo la strada a un seguito. Nel resto dell’articolo analizzeremo infatti il finale del film e il modo in cui anticipa il sequel.

Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra
Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra

La trama di Viaggio al centro della Terra 

Il vulcanologo Trevor Anderson (Brendan Fraser) conduce delle ricerche sulle placche tettoniche, purtroppo con esiti fallimentari. Il laboratorio al college di Boston, dove tiene le sue lezioni, rischia infatti di chiudere in assenza di scoperte interessanti. Ad interrompere bruscamente le frustranti giornate dello scienziato è suo nipote Sean (Josh Hutcherson), che si trasferisce da lui per qualche giorno. I due, impacciati, cercano di combattere la noia rovistando in una vecchia scatola appartenuta a Max, fratello di Trevor e padre di Sean, anch’egli ricercatore scientifico.

Trovano così una copia del romanzo di Jules Verne, che Max, prima di partire per una spedizione in Islanda che gli era stata fatale, aveva riempito di appunti. Seguendo gli indizi del libro, che descrive minuziosamente il mondo sotterraneo, i due decidono di raggiungere l’isola e portare avanti la ricerca. Inizia così un’avventura straordinaria, in cui ad accompagnare i protagonisti è Hannah (Anita Briem), un’affascinante guida di montagna. Per una serie di peripezie e sfortunati eventi, i tre si ritrovano però catapultati al centro della Terra, tra paesaggi mai visti e creature irreali.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Viaggio al centro della Terra, Trevor, Sean e Hannah devono affrontare l’ultima e più rischiosa sfida: trovare un modo per risalire in superficie prima che l’aumento delle temperature renda impossibile la sopravvivenza. La scoperta del diario di Max, fratello di Trevor e padre di Sean, non solo porta con sé un forte impatto emotivo – segnato dalla sepoltura del corpo dell’uomo – ma diventa anche un punto di svolta, poiché fornisce indicazioni preziose per la fuga. L’avventura diventa così una corsa contro il tempo, tra ostacoli naturali, pericoli e creature preistoriche che mettono in pericolo soprattutto Sean, separato per un momento dagli adulti e costretto a cavarsela da solo.

Il climax arriva con l’intuizione di Trevor: usare il contatto tra una parete di magnesio e un razzo di segnalazione per generare l’esplosione necessaria a innescare il geyser che li proietterà fuori dal sottosuolo. L’espediente funziona, e i protagonisti riescono a emergere attraverso il cratere del Vesuvio, approdando in Italia e salvandosi così da una fine certa. Il ritorno in superficie non segna solo la sopravvivenza, ma anche la chiusura emotiva del viaggio: Sean ha trovato un legame più profondo con lo zio, Trevor ha fatto pace con la memoria del fratello e Hannah è ormai parte integrante del loro futuro.

Viaggio al Centro della Terra sequel
Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra

La spiegazione di questo finale risiede proprio nel modo in cui unisce spettacolo e intimità. Da un lato, il film rispetta la sua vocazione di avventura fantastica con un’esplosione visiva che sfrutta al massimo l’impianto 3D, dall’altro conclude il percorso personale dei protagonisti, trasformando un viaggio apparentemente impossibile in un’esperienza di crescita, elaborazione del lutto e costruzione di nuovi rapporti affettivi. L’eroismo di Trevor, la maturazione di Sean e il coraggio di Hannah trovano tutti compimento in questa conclusione.

Allo stesso tempo, il finale lascia agli spettatori una riflessione più ampia: l’idea che la scienza e l’immaginazione, spesso poste in conflitto, possano convivere e arricchirsi a vicenda. La realtà straordinaria scoperta dai protagonisti non è solo un’avventura fuori dall’ordinario, ma diventa metafora di come il desiderio di conoscenza e la spinta verso l’ignoto siano motori essenziali dell’essere umano. Per questo il film, pur nella sua leggerezza da prodotto family, porta con sé un messaggio universale di scoperta e speranza.

Il sequel di Viaggio al centro della Terra

Infine, la scena conclusiva con Trevor che regala a Sean il libro Atlantis non è soltanto un gesto simbolico, ma un vero e proprio gancio narrativo che apre le porte a un possibile sequel. L’allusione a una nuova avventura, unita al legame ormai saldo tra i protagonisti, prepara il terreno per Viaggio nell’isola misteriosa (2012), continuazione ideale che espande l’universo di Jules Verne e porta avanti il filone dell’avventura spettacolare inaugurato da questo film. In questo sequel, tuttavia, Fraser è sostituito da Dwayne Johnson. Inizialmente era previsto anche un terzo film, basato sul romanzo di Verne Dalla Terra alla Luna, ma questo non è mai stato realizzato.

Frankenstein: recensione del film di Guillermo Del Toro – Venezia 82

Solo i mostri giocano a fare Dio. I mostri tracotanti, che pensano di poter espandere gli stretti limiti della scienza accademica per rispondere con la maestosità della creazione al dolore inesauribile di una perdita. Guillermo Del Toro arriva in concorso a Venezia 82 con la sua personale rilettura di Frankenstein, il film che – citando le parole dell’interprete Mia Goth – “avremmo sempre voluto vederlo dirigere“.

Dai primi anni 2000 ad oggi, il regista messicano ha infatti instaurato un prolungato dialogato d’amore con le creature che la società tenderebbe a trattenere ai margini, reinventate tramite il filtro del fantastico, e che hanno sempre raccontato con innegabile intensità l’essere umano. Con uno di questi, a metà tra il marittimo e l’umano, si è anche aggiudicato il Leone d’Oro alla mostra del cinema nel 2017 (La forma dell’acqua). Partendo da queste premesse, il cineasta doveva per forza approdare al capolavoro di Mary Shelley, che ha ridefinito il concetto stesso di vita e morte.

Il moderno Prometeo

Oscar Isaac interpreta qui Victor Frankenstein, scienziato geniale ma tormentato, che spinto dal proprio ego intraprende l’impresa di dare vita a una nuovo essere. Il risultato è la Creatura, interpretata da Jacob Elordi, la cui sola esistenza mette in discussione il confine tra umanità e mostruosità.

Il film attraversa scenari che vanno dalle gelide distese dell’Artico ai sanguinosi campi di battaglia dell’Europa ottocentesca, seguendo il viaggio parallelo di Frankenstein e della sua Creatura, entrambi alla ricerca di un significato in un mondo dominato dalla follia. Nel cast anche Mia Goth, nel ruolo della luminosa Elizabeth, e Christoph Waltz, due volte premio Oscar.

Mia Goth in Frankenstein di Guillermo Del Toro
© Cortesia di Netflix

La cura del benessere

Nella migliore tradizione artigianale di Del Toro – che anche in questo caso ci delizia con scenografie e character design mozzafiato – Victor Frankenstein viene qui rappresentato più come un artista che come uno scienziato, che sembra lavorare direttamente in un atelier bohémien. Grottesco conquistatore, prometeo incandescente, nel prologo ambientato nel gelido polo ci viene però introdotto come un uomo bestiale, che si scontra con una creatura dalla forza bruta. Così, con progenitore e progenie riuniti, parte un viaggio a ritroso alla scoperta di due esperienze complementari, dall’ideazione alla creazione fino all’autodeterminazione. Due uomini cuciti assieme, che si vedono per la prima volta al risveglio, quasi come se avessero passato la notte insieme, e che non potranno mai più dirsi addio.

Figlio di un padre chirurgo, fin da piccolo Victor conosce l’abbandono e il disprezzo da parte di chi gli ha dato la vita, segnato dalla perdita di una madre che vede come luminosa stella polare. Nel momento in cui questa figura che era la vita è diventata la morte, Victor decide che, proprio come recita il significato intrinseco del suo cognome, conquisterà la morte.

Come si fa a vivere con un cuore infranto? Come si può esistere senza avere la possibilità di morire? Angeli e demoni, è tutta un’illusione: siamo entrambi, allo stesso tempo. Quello imbastito da Del Toro è un racconto di punti di vista, Victor Frankenstein ha concesso alla creatura lo spazio di esistere ma il regista messicano gli dà quello di parlare. C’è un lavoro di delicata eleganza sui dialoghi, che intesse l’universo fantasy-gotico ben caro ai conoscitori del suo cinema, impreziosito ulteriormente dal romanticismo struggente che suggellava il rapporto tra Elisa (Sally Hawkins) e la creatura in La forma dell’acqua.

Frankenstein Film 2025
© Cortesia di Netflix

Non posso dimenticare ciò che non riesco a ricordare

Il film di Del Toro ci racconta la creatura principalmente fuori dal laboratorio di Frankenstein, dal momento in cui chiama a gran voce il nome del suo creatore e capisce di essere solo. Si veste, mangia, si accompagna segretamente alla quotidianità di una famiglia, diventa uno spirito della foresta che fa del bene. Due ricerche di un senso che procedono in parallelo, che sembrano scontrarsi ma in fondo sono imprescindibili, si inseguono finchè non resta più nulla se non loro stessi.

Curioso come, solo due anni fa, alla Mostra del Cinema di Venezia abbia trionfato Povere Creature! di Yorgos Lanthimos, che pure rileggeva il mito di Frankenstein da una chiave però femminile e femminista. Laddove Bella Baxter, figlia di Godwin Baxter, salpava all’avventura “abbandonando” il padre-dio-creatore per scoprire nei modi più disparati e viscerali cosa significa scegliere, la creatura di Victor Frankenstein è obbligata a sopravvivere senza possibilità. Può solo assumere la consapevolezza che è nato dalla morte e muore per vivere. Solo così si diventa umani, quando un cuore smette di battere e l’altro forse inizia per la prima volta: nella riappacificazione oltre ogni forma, nella capacità di ricordare e perdonare.

Ish: recensione del film di Imran Perretta – SIC – Venezia 82

0
Ish: recensione del film di Imran Perretta – SIC – Venezia 82

Con Ish, presentato alla 40ª Settimana della Critica nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia 82, l’artista, musicista e film-maker britannico Imran Perretta firma un debutto alla regia sorprendente e già maturo. Co-sceneggiato insieme al drammaturgo Enda Walsh e fotografato con un elegante bianco e nero da Jermaine Canute Edwards, il film si colloca a metà strada tra racconto di formazione e poema urbano, mescolando il lirismo del paesaggio con la crudezza di un contesto sociale attraversato da discriminazioni sottili e persistenti.

Luton e i suoi dintorni diventano lo scenario di una storia intima e al tempo stesso universale: i boschi vicino al Wardown Park, le strade sotto le rotte degli aerei, i riflessi accecanti dei fari dello stadio di calcio. Luoghi ordinari e marginali, che nel film si trasformano in spazi sospesi, percorsi dai fantasmi dell’adolescenza e dai segni di un’Inghilterra divisa, in cui le comunità musulmane e sudasiatiche sono ancora vittime di pregiudizi e sorveglianze invasive.

Una doppia storia di formazione

Al centro del film ci sono due ragazzi: Ishmail, detto Ish, interpretato dal giovane esordiente Farhan Hasnat, e il suo migliore amico Maram (Yahya Kitana). Due adolescenti cresciuti in famiglie diverse, ma legati da un’amicizia che somiglia a un patto segreto, cementato da giornate trascorse a vagabondare, parlare in slang, raccogliere more selvatiche, immaginare un futuro incerto.

Ish vive con la nonna (Sudha Bhuchar), con il padre Naeem (Avin Shah), impiegato all’aeroporto, e con la sorella maggiore Samira (Joy Crookes), figura di mediazione tra generazioni. La madre è morta da poco, e l’assenza pesa come un macigno in una casa dove le emozioni restano soffocate. Maram invece porta sulle spalle una rabbia più cupa, alimentata dal rapporto conflittuale con il padre tassista e da un costante senso di esclusione. Quando sente parlare delle violenze a Gaza, rielabora quel conflitto nel suo linguaggio quotidiano: chiunque lo minacci diventa parte degli “IDF”, l’esercito nemico.

Il film mostra come i due ragazzi, pur così vicini, siano destinati a percorrere strade divergenti. In alcuni momenti Maram sembra già più grande, attratto dal mondo dei ragazzi più adulti che lo guardano con rispetto. Ish, invece, resta intrappolato in un limbo tra infanzia e adolescenza, ancora capace di stupore, ma fragile di fronte alle pressioni esterne.

Il peso delle scelte e il trauma della discriminazione

La scena cardine di Ish arriva con un episodio tanto realistico quanto disturbante: l’incontro con un furgone di polizia dotato di tecnologia di riconoscimento facciale. È un controllo arbitrario, un atto di profilazione razziale che colpisce i due ragazzi senza motivo. Ish e Maram corrono via; Ish riesce a fuggire, mentre l’amico viene catturato, perquisito, umiliato e infine rilasciato senza spiegazioni.

È un momento che segna una frattura. Maram è furioso non solo con la polizia, ma anche con Ish, colpevole di essere scappato, di non aver condiviso la sua umiliazione. In realtà la rabbia è rivolta anche verso se stesso, verso la consapevolezza di essere stato considerato “inutile”, un corpo fermato e poi scartato. La tensione maschile, la difficoltà di elaborare la paura e la vergogna, esplodono in silenzi e accuse reciproche.

Perretta costruisce questa sequenza con un rigore quasi documentario, ma senza rinunciare alla dimensione poetica. Il bianco e nero scolpisce i volti e le ombre, rendendo evidente l’asimmetria di potere tra due ragazzini e un sistema tecnologico e repressivo che li osserva e li giudica.

Tra realismo e lirismo

Dal punto di vista formale, il film colpisce per l’equilibrio tra durezza e lirismo. La fotografia di Edwards utilizza il bianco e nero per trasformare spazi marginali in paesaggi mitici: un aereo che attraversa il cielo diventa un’astronave minacciosa, i fari dello stadio creano un’aura sacrale, i boschi di Bedfordshire si caricano di simboli di fuga e di libertà.

Il linguaggio giovanile, con il suo slang e i suoi cambi di codice tra inglese e “roadman-speak”, viene reso con precisione, senza paternalismi. È attraverso queste parole che i ragazzi costruiscono la loro identità, oscillando tra appartenenza e ribellione. Perretta evita tanto l’estetizzazione compiaciuta quanto il moralismo: il suo sguardo è empatico, ma non indulgente.

Nel finale, le traiettorie dei due ragazzi si separano definitivamente. Maram, più grande e più segnato dagli eventi, appare avviato verso un percorso di rabbia e isolamento. Ish, grazie alla vicinanza della sua famiglia e soprattutto della nonna, sembra avere ancora la possibilità di crescere e trovare una forma di equilibrio. Ma il film non offre consolazioni semplici: crescere, in questo contesto, significa anche fare i conti con un mondo che ti osserva e ti giudica in base al colore della pelle e al quartiere in cui vivi.

Ish è un esordio di grande forza

Ish è un’opera prima che sorprende per maturità e sensibilità. Imran Perretta riesce a parlare di temi enormi — identità, discriminazione, adolescenza, comunità — attraverso uno sguardo intimo e concreto, che mette al centro due ragazzi e la loro amicizia spezzata. Il film si muove tra realismo sociale e poesia visiva, tra cronaca e mito, offrendo una rappresentazione autentica e commovente di cosa significhi crescere oggi come giovane musulmano in Inghilterra.

Più che una storia di riscatto, è un racconto di fragilità: fragilità di corpi adolescenti che devono farsi adulti troppo presto, fragilità di famiglie che cercano di proteggere e al tempo stesso di sopravvivere, fragilità di una società che pretende di garantire sicurezza ma finisce per alimentare diffidenza e separazione.

Con questo film, Perretta dimostra di essere un autore da seguire con attenzione: la sua capacità di coniugare linguaggi diversi e di restituire dignità e complessità ai suoi personaggi apre prospettive nuove per il cinema europeo contemporaneo. Ish è un esordio che non si dimentica, perché riesce a essere allo stesso tempo politico e profondamente umano.

Broken English: recensione del film di Iain Forsyth e Jane Pollard – Venezia 82

0

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 82, Broken English di Iain Forsyth e Jane Pollard è un documentario atipico, ibrido, che rende omaggio a una delle figure più controverse, fragili e indomabili della musica e della cultura del Novecento: Marianne Faithfull. Morta a inizio anno all’età di 78 anni, la cantante britannica riceve qui non solo un tributo, ma una vera e propria rivendicazione del suo posto nella storia.

Forsyth e Pollard non sono nuovi a simili operazioni: nel 2014 avevano raccontato Nick Cave con 20,000 Days on Earth, un film che mescolava documentario e finzione, cronaca e mito personale. Con Broken English adottano un approccio simile, giocando con la dimensione post-moderna e immaginando la cantante convocata all’interno di un luogo fittizio chiamato Ministry of Not Forgetting. Lì, sotto lo sguardo austero di Tilda Swinton nei panni di un’onnisciente “Overseer”, Faithfull è interrogata dal “Record Keeper”, interpretato da George MacKay. Un pretesto teatrale, quasi kafkiano, che all’inizio può sembrare manierato, ma che si rivela funzionale a ciò che davvero conta: restituire alla cantante la possibilità di raccontarsi con la sua voce inconfondibile, ancora viva, ancora tagliente.

Broken English: Marianne Faithfull oltre i cliché

La vicenda di Marianne Faithfull è stata troppo spesso piegata a stereotipi e ridotta a note a piè di pagina della storia del rock. Per molti, resta soltanto “l’ex fidanzata di Mick Jagger”, la musa dei Rolling Stones, protagonista suo malgrado di scandali e pettegolezzi. Broken English si incarica di smontare questo racconto parziale, mostrando una donna che ha attraversato con coraggio decenni di musica, arte e letteratura, pagando un prezzo altissimo ma lasciando dietro di sé un’eredità artistica impressionante: trenta album pubblicati in sessant’anni di carriera.

Tilda Swinton in Broken English
(Credits Amelia Troubridge)

Forsyth e Pollard accompagnano lo spettatore in un viaggio attraverso i momenti cruciali della sua vita, alternando conversazioni intime con Faithfull a materiali d’archivio straordinari. Dall’esordio adolescenziale con As Tears Go By, scritta per lei da Jagger e Richards, fino agli anni della caduta, della tossicodipendenza e della marginalità, per poi seguire la sorprendente rinascita artistica degli anni ’80 con l’album Broken English (1979), che dà il titolo al film.

Il documentario non nasconde le ombre: la dipendenza, le malattie, la povertà, i periodi in cui Faithfull ha letteralmente vissuto per strada a Soho. Ma ciò che emerge con forza è la sua resilienza, la sua ironia, la capacità di guardarsi indietro senza autocommiserazione.

Dentro e fuori la leggenda: il format del Ministry of Not Forgetting

La scelta di ambientare il racconto dentro un’istituzione immaginaria — il Ministry of Not Forgetting — non è solo un vezzo registico. È un modo per riflettere sul valore della memoria, sul rischio dell’oblio e sulla necessità di rimettere al centro chi è stato emarginato dalla storia ufficiale. “Cerchiamo ricordi, ma speriamo in risonanza”, dichiara l’Overseer di Tilda Swinton. Ed è proprio questa la missione del film: restituire risonanza a una figura spesso dimenticata o ridicolizzata.

George MacKay, nei panni del Record Keeper, dialoga con Faithfull con delicatezza e rispetto, ponendole domande dirette ma mai invadenti. Il contrasto tra la giovinezza dell’attore e la fragilità della cantante, segnata nel fisico dopo il coma da Covid, diventa un dispositivo narrativo che funziona sorprendentemente bene. Le loro conversazioni non hanno il tono formale dell’intervista giornalistica, ma la naturalezza di un incontro umano.

(Credits Joseph Lynn)

La voce e la musica come eredità

Se il film ha il merito innegabile di riportare in primo piano la musica. Le performance d’archivio, dalle prime apparizioni televisive agli show più recenti, rivelano la straordinaria capacità di Faithfull di trasformare ogni canzone in confessione personale. Il culmine è però affidato alla stessa Faithfull: la sua esibizione di Misunderstanding, dal disco Negative Capability (2018), accompagnata da Warren Ellis e Nick Cave. Una performance straziante e definitiva, in cui la voce della cantante diventa testimonianza viva della sua intera esistenza. Faithfull si prende l’ultima parola, e soprattutto l’ultimo silenzio.

Marianne Faithfull non è mai stata una figura facilmente incasellabile, e il film le rende giustizia con un linguaggio che mescola archivio, finzione e performance. Non tutto funziona alla perfezione, ma nel complesso l’opera riesce a dare spazio e voce a una donna che per troppo tempo è stata ridotta a un’icona scandalistica o a un’appendice della storia dei Rolling Stones.

Con Broken English, Forsyth e Pollard non solo celebrano Marianne Faithfull, ma le restituiscono la centralità che merita. E noi spettatori possiamo uscire dalla sala con le viscere in subbuglio per l’emozione e la certezza che, nonostante tutto, la sua voce non verrà dimenticata.

Oscar Isaac: 10 cose che non sai sull’attore

0
Oscar Isaac: 10 cose che non sai sull’attore

Oscar Isaac è degli attori più brillanti degli ultimi anni che è riuscito a distinguersi per il suo talento, il suo fascino e le sue abilità che lo rendono un attore apprezzato da più di mezzo mondo. La sua è stata una bella gavetta, ma è riuscito ad affrontare e a regala al pubblico diversi ruoli iconici che lo hanno aiutato ad essere famoso.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su Oscar Isaac.

Oscar Isaac: i suoi film

1. Ha recitato in celebri film. Dopo piccole apparizioni in All About the Benjamins (2002) e Nativity (2006), Oscar Isaac ha visto la sua carriera decollare con titoli come Davanti agli occhi (2007), Che – L’argentino (2008), Nessuna verità (2008), Agora (2009) e Robin Hood (2010). Negli anni successivi si è affermato grazie a interpretazioni intense in film come Drive (2011), 10 Years (2011), The Bourne Legacy (2012), A proposito di Davis (2013), con cui vinse il Golden Globe, e 1981: Indagine a New York (2014).

Tra i suoi successi più noti figurano Ex Machina (2015), la nuova trilogia di Star Wars (Il risveglio della Forza, 2015; Gli ultimi Jedi, 2017; L’ascesa di Skywalker, 2019), X-Men – Apocalisse (2016), Annientamento (2018) e Il collezionista di carte (2021). Negli ultimi anni ha consolidato il suo status internazionale con Dune (2021), Dune: Parte Due (2024) e con Frankenstein di Guillermo Del Toro (2025), presentato in concorso a Venezia 82.

2. È anche doppiatore e ha recitato per la TV. Isaac ha esplorato vari ambiti del cinema e dell’intrattenimento, prestando la voce a progetti come i videogiochi Disney Infinity 3.0 (2015) e LEGO Star Wars: Il risveglio della Forza (2016), la serie animata Star Wars Resistance (2018) e film come Spider-Man: Un nuovo universo (2018) e The Addams Family (2019).

Sul fronte televisivo, ha ottenuto grande successo con la miniserie HBO Show Me a Hero (2015), che gli è valsa un Golden Globe, e con Scene da un matrimonio (2021), accanto a Jessica Chastain. Nel 2022 è stato protagonista della serie Marvel Moon Knight, apprezzata per la sua interpretazione intensa e sfaccettata, che ha confermato la sua versatilità anche sul piccolo schermo.

Oscar Isaac e Jessica Chastain

Jessica Chastain e Oscar Isaac
Foto di Luigi de Pompeis © Cinefilos.it

3. Ha recitato con l’attrice in una miniserie. Nel 2021 Oscar Isaac ha condiviso lo schermo con Jessica Chastain nella miniserie HBO Scene da un matrimonio, remake dell’omonima opera di Ingmar Bergman del 1973. I due attori, amici da oltre vent’anni dai tempi dell’accademia, hanno messo in mostra una chimica palpabile che ha reso la serie particolarmente intensa, affrontando temi come la crisi di coppia e la fragilità dei rapporti umani. Le loro interpretazioni hanno raccolto ampi consensi di critica e pubblico, contribuendo a consolidare la reputazione di Isaac come uno degli attori più talentuosi e ricercati della sua generazione.

Oscar Isaac Star Wars

Oscar Isaac, la moglie e figli Eugene e Mads Isaac

4. È padre di due figli.Tendezialmente, quando una persona diventa famosa si inizia a scavare nella sua vita privata, andando ben oltre quella lavorativa. Lo stesso è accaduto con Oscar Isaac che, però, ha sempre mantenuto il più stretto riserbo circa la sua vita sentimentale. Delle poche informazioni trapelate, si sa che l’attore è impegnato dal 2012 con la regista Elvira Lind e che i due sono diventati genitori di un maschietto di nome Eugene Isaac nell’aprile del 2017, rivelando la gravidanza solo pochi mesi prima del parto. Nel 2019 è invece nato il secondo figlio, Mads.

Oscar Isaac in Star Wars

5. Ha suggerito dettagli sulla biografia del suo personaggio. Nella nuova trilogia di Star Wars Isaac interpreta il pilota e spia Poe Dameron. Per prepararsi al ruolo, l’attore ha avuto modo di costruire personalmente una biografia del suo personaggio, al fine di poterlo comprendere meglio. Egli ha così stabilito che Poe Dameron è nato sulla luna Yavin IV, la posizione della Base Ribelle in Guerre stellari (1977). L’attore ha suggerito questo dettaglio perché originario del Guatemala, località dove sono state girate le scene relative a Yavin IV.

Oscar Isaac in Dune

Oscar Isaac in Dune

6. Ha descritto come “emozionante” la sua scena di nudo. In Dune, Isaac interpreta il Duca Leto Atreides. Tra le tante entusiasmanti scene che lo vedono protagonista, ve ne è anche una dove l’attore appare totalmente nudo. Per l’attore non è stato un problema girare questa scena, trovandola anzi particolarmente emozionante per ciò che rappresenta per il personaggio. “Fino a quel momento abbiamo sempre visto il personaggio così abbottonato e in controllo della situazione, e improvvisamente è una questa figura così vulnerabile, nuda simile a Cristo che sta per essere sacrificato”, ha raccontato l’attore.

Oscar Isaac in Ex Machina

7. Ha dato vita al suo personaggio insieme ad Alex Garland. Per far sì che il personaggio di Nathan, un inventore solitario che vive in isolamento da cinque anni, fosse autentico e realistico, Oscar Isaac e il regista del film, Alex Garland, hanno cercato di capire quali potessero essere le sue caratteristiche grazie ad una sessione di brainstorming. Tra le altre cose, una delle ispirazioni dell’attore è stato l’aspetto di Stanley Kubrick, un visionario, attento ai dettagli e molto solitario.

oscar isaac

Oscar Isaac in Robin Hood

8. Per interpretare il Principe Giovanni si è lasciato andare a parallelismi. Durante la promozione del film Robin Hood, Isaac ha raccontato come ha dato vita al personaggio del Principe Giovanni, uno dei ruoli di maggiore impatto nel film: “Ho letto molto, tutto quello che potevo trovare su di lui, e ne ho parlato con Ridley. Mi sono venute alcune idee che ho passato a lui e lui mi dava altre idee, e abbiamo lavorato insieme per capire come sarebbe potuto essere e come era la sua visione del mondo. Da questo punto in poi, ho pensato anche alle persone che mi ricordavano quel personaggio e ho fatto dei parallelismi”.

Oscar Isaac non è su Instagram

9. Non possiede nessun profilo social. Per pura scelta personale, l’attore guatemalteco non possiede nessun profilo Instagram e social ufficiale, decidendo di vivere la sua vita nella maniera più privata possibile. Un film come Ex Machina ha certamente aiutato a riflettere l’attore sul tema della tecnologia e su quanto essa abbia potere nelle nostre vite, dichiarando che tutti ne dovremmo avere timore, più che altro della forte dipendenza che si può avere verso di essa. Per lui, social media, e-mail e quant’altro sembra essere eretto sulla convenienza e sul fatto che bisogna sacrificare la propria privacy per questo. E l’attore non è proprio d’accordo circa questo aspetto.

Oscar Isaac: età, altezza e peso

10. Oscar Isaac è nato il 9 marzo del 1979 a Città del Guatemala, in Guatemala. L’attore è alto complessivamente 174 centimetri.

Fonti: IMDb, Vanity Fair, shortlist, Vulture, Indiewire

Jacob Elordi: 10 cose che non sai sull’attore

Jacob Elordi: 10 cose che non sai sull’attore

Uno degli attori emergenti più popolari degli ultimi anni è senza ombra di dubbio Jacob Elordi. Affermatosi grazie ai film di The Kissing Booth e alla serie Euphoria, ha in breve conquistato le attenzioni di Hollywood. Oggi è particolarmente richiesto per progetti di varia natura, da film di genere ad opere d’autore. Così facendo Elordi sta confermando la propria versatilità come interprete, consolidando la propria personalità all’interno dell’industria cinematografica.

Ecco 10 cose che non sai su Jacob Elordi.

Jacob Elordi: i suoi film e le serie TV

1. Ha recitato in celebri film. Dopo piccole partecipazioni in Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar  (2017) e Swinging Safari (2017), Jacob Elordi ha raggiunto la popolarità grazie al film Netflix The Kissing Booth (2018), a cui sono seguiti i sequel The Kissing Booth 2 (2020) e The Kissing Booth 3 (2021). In seguito ha preso parte a titoli sempre più importanti come 2 Hearts – Intreccio di destini (2020), Acque profonde (2022) con Ben Affleck, The Sweet East (2023), Priscilla (2023) di Sofia Coppola e Saltburn (2023) di Emerald Fennell, che lo ha consacrato come uno dei volti più interessanti della sua generazione. Nel 2025 è tra i protagonisti di Frankenstein di Guillermo Del Toro, presentato in concorso a Venezia 82.

 2. È tra i protagonisti di una nota serie TV. Sul piccolo schermo, Elordi si è fatto conoscere soprattutto grazie a Euphoria, la celebre serie HBO creata da Sam Levinson, dove recita accanto a Zendaya e Sydney Sweenie. Qui interpreta Nate Jacobs, uno dei personaggi maschili principali, apparso in tutte e due le stagioni finora distribuite, per un totale di sedici episodi. La sua presenza è stata confermata anche per la terza stagione già annunciata, la cui uscita è attesa nei prossimi anni.

Jacob Elordi in Euphoria

3. Prova sentimenti contrastanti per il suo personaggio. In Euphoria, Jacob Elordi interpreta Nate Jacobs, un giovane problematico, violento e manipolatore. L’attore lo ha descritto come un vero e proprio “terrorista emotivo” e ha dichiarato di provare sentimenti contrastanti nei suoi confronti: da un lato lo detesta e vorrebbe “prenderlo a pugni”, dall’altro prova compassione per il suo dolore e riesce a comprendere la fragilità che si cela dietro i suoi comportamenti tossici.

Jacob Elordi Euphoria
Jacob Elordi in Euphoria

4. Ha cercato di ripartire da zero con Nate. Dopo una prima stagione in cui Nate si affema come una sorta di villain, per la seconda stagione Elordi ha cercato di non farsi influenzare nel giudizio rispetto a quanto fino a quel momento compiuto da Nate. L’attore si è dunque approcciato ai nuovi episodi cercando di ripartire da zero, con l’obiettivo di indagare il dolore di Nate e come poter far emergere anche le sue fragilità umane. Pur rimanendo un personaggio controverso, nella seconda stagione Nate vive infatti dei momenti in cui lascia intravedere la propria umanità.

Jacob Elordi è Elvis Presley in Priscilla

5. Ha cercato il fanciullo dentro l’icona. Nel film diretto da Sofia Coppola, Priscilla, dedicato alla vita e alla relazione di Priscilla Presley con l’iconico Elvis, ad interpretare quest’ultimo è proprio Elordi. L’attore, chiamato dunque a confrontarsi con uno dei ruoli più importanti e impegnativi della sua carriera fino ad oggi, ha raccontato di essersi concentrato sul ricercare il fanciullo e dunque l’aspetto umano racchiuso all’interno della personalità “larger than life” di Elvis come celebrità, cercando dunque di umanizzarlo il più possibile.

Jacob Elordi in Pirati dei Caraibi

6. Ha lavorato come comparsa sul film Disney. La prima esperienza di Elordi sul set di un film di Hollywood è stata per Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, a cui ha preso parte come comparsa. Si tratta dunque di un ruolo non accreditato, svolto quando l’attore aveva da poco deciso di intraprendere questa carriera. Ancora oggi i fan, riguardando il film, cercando di individuare il volto di Elordi nelle scene di massa presenti nella pellicola.

Jacob Elordi Elvis Presley Priscilla
Jacob Elordi in una scena di Priscilla

Jacob Elordi e le sue fidanzate, da Joey King a Zendaya

7. Ha avuto una relazione con una nota attrice. La vita sentimentale di Jacob Elordi è spesso finita sotto i riflettori tanto quanto i suoi film. Negli anni l’attore è stato legato a diverse colleghe, da Joey King, conosciuta sul set di The Kissing Booth, a Kaia Gerber, modella e figlia di Cindy Crawford. Nel 2023 ha fatto molto parlare la sua relazione con Olivia Jade Giannulli, influencer e figlia dell’attrice Lori Loughlin. Al 2025, Elordi continua a mantenere un profilo piuttosto riservato riguardo alla sua vita privata: nonostante la curiosità del pubblico e dei media, l’attore preferisce non condividere pubblicamente dettagli sulle sue relazioni, concentrandosi soprattutto sulla carriera.

8. Non ha mai confermato una sua relazione con Zendaya. Sul set della serie Euphoria Elordi ha conosciuto l’attrice Zendaya, protagonista dello show. Tra i due è nata subito una fortissima amicizia, che secondo molti potrebbe essersi trasformata in qualcosa di più. I due attori non hanno infatti mai confermato, ma da alcune foto che li ritraggono insieme i fan ipotizzano possa esserci stata una relazione sentimentale tra di loro. Se ciò fosse vero, la cosa si sarebbe comunque conclusa nel 2020.

Jacob Elordi è su Instagram

9. Ha un profilo sul social network. L’attore è naturalmente presente sul social network Instagram, con un profilo seguito attualmente da 12,5 milioni di persone. Su tale piattaforma egli ha ad oggi pubblicato appena una cinquantina di post, tutti relativi alle sue attività come attore o modello. Si possono infatti ritrovare diverse immagini relative a momenti trascorsi sul set ma anche foto promozionali dei suoi progetti. Seguendolo si può dunque rimanere aggiornati sulle sue attività.

Jacob Elordi: età, altezza e fisico dell’attore

10. Jacob Elordi è nato a Brisbane, Australia, il 26 giugno del 1997. L’attore è alto 1,96 metri. Data la sua altezza, Elordi possiede un fisico particolarmente possente, che non manca di curare attraverso continui allenamenti.

Fonti: IMDb, Instagram