Con Ish,
presentato alla
40ª Settimana della Critica nell’ambito della Mostra del Cinema
di Venezia 82, l’artista, musicista e film-maker britannico
Imran Perretta firma un debutto alla regia sorprendente e
già maturo. Co-sceneggiato insieme al drammaturgo Enda
Walsh e fotografato con un elegante bianco e nero da
Jermaine Canute Edwards, il film si colloca a metà
strada tra racconto di formazione e poema urbano, mescolando il
lirismo del paesaggio con la crudezza di un contesto sociale
attraversato da discriminazioni sottili e persistenti.
Luton e i suoi dintorni
diventano lo scenario di una storia intima e al tempo stesso
universale: i boschi vicino al Wardown Park, le strade sotto le
rotte degli aerei, i riflessi accecanti dei fari dello stadio di
calcio. Luoghi ordinari e marginali, che nel film si trasformano in
spazi sospesi, percorsi dai fantasmi dell’adolescenza e dai segni
di un’Inghilterra divisa, in cui le comunità musulmane e
sudasiatiche sono ancora vittime di pregiudizi e sorveglianze
invasive.
Una doppia storia di
formazione
Al centro del film ci
sono due ragazzi: Ishmail, detto Ish, interpretato dal giovane
esordiente Farhan Hasnat, e il suo migliore amico Maram
(Yahya Kitana). Due adolescenti cresciuti in
famiglie diverse, ma legati da un’amicizia che somiglia a un patto
segreto, cementato da giornate trascorse a vagabondare, parlare in
slang, raccogliere more selvatiche, immaginare un futuro
incerto.
Ish vive con la nonna
(Sudha Bhuchar), con il padre Naeem (Avin
Shah), impiegato all’aeroporto, e con la sorella maggiore
Samira (Joy Crookes), figura di mediazione tra
generazioni. La madre è morta da poco, e l’assenza pesa come un
macigno in una casa dove le emozioni restano soffocate. Maram
invece porta sulle spalle una rabbia più cupa, alimentata dal
rapporto conflittuale con il padre tassista e da un costante senso
di esclusione. Quando sente parlare delle violenze a Gaza,
rielabora quel conflitto nel suo linguaggio quotidiano: chiunque lo
minacci diventa parte degli “IDF”, l’esercito nemico.
Il film mostra come i due
ragazzi, pur così vicini, siano destinati a percorrere strade
divergenti. In alcuni momenti Maram sembra già più grande, attratto
dal mondo dei ragazzi più adulti che lo guardano con rispetto.
Ish, invece, resta intrappolato in un limbo tra
infanzia e adolescenza, ancora capace di stupore, ma fragile di
fronte alle pressioni esterne.
Il peso delle scelte e il
trauma della discriminazione
La scena cardine di
Ish arriva con un episodio tanto realistico quanto
disturbante: l’incontro con un furgone di polizia dotato di
tecnologia di riconoscimento facciale. È un controllo arbitrario,
un atto di profilazione razziale che colpisce i due ragazzi senza
motivo. Ish e Maram corrono via; Ish riesce a
fuggire, mentre l’amico viene catturato, perquisito, umiliato e
infine rilasciato senza spiegazioni.
È un momento che segna
una frattura. Maram è furioso non solo con la polizia, ma anche con
Ish, colpevole di essere scappato, di non aver condiviso la sua
umiliazione. In realtà la rabbia è rivolta anche verso se stesso,
verso la consapevolezza di essere stato considerato “inutile”, un
corpo fermato e poi scartato. La tensione maschile, la difficoltà
di elaborare la paura e la vergogna, esplodono in silenzi e accuse
reciproche.
Perretta costruisce
questa sequenza con un rigore quasi documentario, ma senza
rinunciare alla dimensione poetica. Il bianco e nero scolpisce i
volti e le ombre, rendendo evidente l’asimmetria di potere tra due
ragazzini e un sistema tecnologico e repressivo che li osserva e li
giudica.
Tra realismo e
lirismo
Dal punto di vista
formale, il film colpisce per l’equilibrio tra durezza e lirismo.
La fotografia di Edwards utilizza il bianco e nero per trasformare
spazi marginali in paesaggi mitici: un aereo che attraversa il
cielo diventa un’astronave minacciosa, i fari dello stadio creano
un’aura sacrale, i boschi di Bedfordshire si caricano di simboli di
fuga e di libertà.
Il linguaggio giovanile,
con il suo slang e i suoi cambi di codice tra inglese e
“roadman-speak”, viene reso con precisione, senza
paternalismi. È attraverso queste parole che i ragazzi costruiscono
la loro identità, oscillando tra appartenenza e ribellione.
Perretta evita tanto l’estetizzazione compiaciuta quanto il
moralismo: il suo sguardo è empatico, ma non indulgente.
Nel finale, le
traiettorie dei due ragazzi si separano definitivamente. Maram, più
grande e più segnato dagli eventi, appare avviato verso un percorso
di rabbia e isolamento. Ish, grazie alla vicinanza della sua
famiglia e soprattutto della nonna, sembra avere ancora la
possibilità di crescere e trovare una forma di equilibrio. Ma il
film non offre consolazioni semplici: crescere, in questo contesto,
significa anche fare i conti con un mondo che ti osserva e ti
giudica in base al colore della pelle e al quartiere in cui
vivi.
Ish è un
esordio di grande forza
Ish è un’opera
prima che sorprende per maturità e sensibilità. Imran
Perretta riesce a parlare di temi enormi — identità,
discriminazione, adolescenza, comunità — attraverso uno sguardo
intimo e concreto, che mette al centro due ragazzi e la loro
amicizia spezzata. Il film si muove tra realismo sociale e poesia
visiva, tra cronaca e mito, offrendo una rappresentazione autentica
e commovente di cosa significhi crescere oggi come giovane
musulmano in Inghilterra.
Più che una storia di
riscatto, è un racconto di fragilità: fragilità di corpi
adolescenti che devono farsi adulti troppo presto, fragilità di
famiglie che cercano di proteggere e al tempo stesso di
sopravvivere, fragilità di una società che pretende di garantire
sicurezza ma finisce per alimentare diffidenza e separazione.
Con questo film, Perretta
dimostra di essere un autore da seguire con attenzione: la sua
capacità di coniugare linguaggi diversi e di restituire dignità e
complessità ai suoi personaggi apre prospettive nuove per il cinema
europeo contemporaneo. Ish è un esordio che
non si dimentica, perché riesce a essere allo stesso tempo politico
e profondamente umano.