Nel filone di drammi ecologici
recenti, tra
Alcarràs (Carla Simòn), Costa
Brava Lebanon (Mounia Akl) e How
to Blow Up a Pipeline (Daniel Goldhaber),
arriva in concorso a Venezia 80 il film Evil Does Not
Exist, del regista giapponese Ryusuke
Hamaguchi, che ha ottenuto la fama internazionale con
Drive My Car, vincitore dell’Oscar al miglior
film straniero nel 2022. Questo suo nuovo progetto è una
riflessione sui comportamenti che l’essere umano assume se
riportato in uno stato di natura, un perimetro dalla bellezza
apparentemente incontrastata ma che risveglia istinti latenti in
chi cerca di imporvisi.
Evil Does Not Exist: la minaccia
del “glamping”
Takumi e sua figlia
Hana vivono nel villaggio di Mizubiki, vicino a
Tokyo. Come le generazioni che li hanno preceduti, vivono una vita
modesta secondo i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli
abitanti del villaggio vengono a conoscenza di un progetto per la
costruzione di un sito glamping vicino alla casa di Takumi, che
offrirà agli abitanti della città una comoda “fuga” nella natura.
Quando due rappresentanti di un’azienda di Tokyo arrivano nel
villaggio per tenere una riunione, diventa chiaro che il progetto
avrà un impatto negativo sull’approvvigionamento idrico locale,
causando disordini. Le intenzioni sbagliate dell’agenzia mettono in
pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano che il loro
stile di vita, con conseguenze che colpiscono profondamente la vita
di Takumi.
Con una durata limitata – appena
un’ora e trenta di girato – Hamaguchi mette a
punto un film dal tono mutevole, che passa dalla satira anche
piuttosto ironica, all’angoscia e al respiro affannoso di un
predatore. Come l’acqua del villaggio che scorre verso il basso, il
film di Hamaguchi procede lentamente, seguendo i
ritmi della comunità isolata, e culminando in un finale in cui la
violenza è latente in ogni immagine, ma si è ormai insediata
ovunque, dopo che l’uomo moderno ne ha contaminato
inconsapevolmente il ritmo.
Un eco-dramma preciso nello svolgimento
Evil Does Not Exist
è un film di preoccupazioni, confronti e punti di vista: due parti,
investitori e locali, devono capire come procedere di pari passo
nel presente, dopo essersi resi conto della loro incompetenza, i
primi, e aver messo in chiaro le priorità della comunità, i
secondi. Ingenuità e consapevolezza continuano a scontrarsi in
dialoghi sinceri, che mai nascondono le ragioni dei personaggi e
fanno presagire un punto di rottura fin dall’inizio, che si palesa
quando il rappresentante del glamping manifesta la sua arroganza
credendo di poter provare a diventare un uomo interessante
imparando a vivere nella natura. In mezzo a questo scontro a due
armi, vi è la figlia di Takumi, enigmatico
personaggio i cui occhi sono anche il nostro primo ingresso nella
riserva naturale. Un personaggio che continua a vagare per i boschi
e le strade in cui i bambini possono ancora giocare senza
supervisione, almeno fino all’arrivo degli uomini di città. Da
allora, il sindaco della comunità inizierà ad avvertirla di non
recarsi nel bosco da sola: un monito inedito per la piccola che,
nella sua inconsapevolezza dell’esistenza di regole di vita altre,
lascerà questo consiglio inascoltato.
Ryusuke
Hamaguchi porta in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia 2023 un film dal respiro estremamente attuale, che sviscera
la complessità dell’animo umano con cambi di tono e di stile
precisissimi. La durata contenuta, la direzione dell’attore e,
soprattutto, una notevole agilità di scrittura, lo consacrano
definitivamente come una delle firme internazionali più
interessanti.
Ecco cinque clip di Doggy
Style, l’insolita commedia diretta da Josh
Greenbaum (Barb e Star vanno a Vista Del Mar), scritta da
Dan Perrault (Players, American Vandal), al cinema
dal 14 settembre.
Si dice che il cane sia il
migliore amico dell’uomo, ma se l’uomo in questione fosse un vero
bastardo? In questo caso, potrebbe essere il momento di una dolce
vendetta, da cani. Quando Reggie (Will Ferrell),
un Border Terrier innocente ed inesorabilmente ottimista, viene
abbandonato dal suo spregevole padrone per le pericolose strade
cittadine, Doug (Will Forte; The Last Man on Earth, Nebraska),
Reggie è sicuro che il suo amato padrone non lo abbandonerebbe mai
di proposito.
Ma quando Reggie si imbatte in Bug
(il premio Oscar Jamie Foxx), un Boston Terrier logorroico e
poco elegante, un randagio che ama la sua libertà e non crede nella
bontà dei padroni, finalmente si rende conto di che spregevole uomo
senza cuore sia Doug e di che amore tossico avesse per lui.
Determinato ad avere la
sua vendetta, Reggie insieme a Bug e ai suoi amici – Maggie
(Isla
Fisher; Now You See Me, 2 Single a nozze), un
intelligentissimo Pastore Australiano rimpiazzato dal suo padrone
con un nuovo cucciolo, e Hunter (Randall Park; Finché forse non vi
separi, Aquaman), un ansioso Alano stressato dal suo lavoro
come animale da supporto emotivo – escogitano un piano e iniziano
un’avventura epica per aiutare Reggie a ritrovare la via di
casa… e a farla pagare a Doug mordendogli quell’estremità di
sé stesso che più ama (Indizio: non è il suo piede).
Doggy
Style non è il solito film sui cani a cui siamo abituati.
È diretto da Josh Greenbaum (Barb e Star vanno a
Vista Del Mar) e scritto da Dan Perrault (Players, American
Vandal), è una commedia divertente vietata ai minori sulle
complicazioni dell’amore, l’importanza delle grandi amicizie e gli
inaspettati vantaggi di flirtare con un divano.
Con le voci italiane di:
Massimo De Ambrosis (Reggie), Pino Insegno (Bug), Federica De
Bortoli (Maggie), Federico Di Pofi (Hunter), Michele D’Anca (Doug),
Dario Oppido (Rolf). Doggy Style è prodotto dal fondatore e
amministratore delegato di Picturestart Erik Feig (La ragazza più
fortunata del mondo, Cha Cha Real Smooth), da Louis Leterrier
(regista di Fast X, Scontro tra Titani), da Dan Perrault (Players,
American Vandal) e da Phil Lord e Chris Miller (Spider-Man: Un
nuovo universo, The Lego Movie 2: Una nuova avventura) e Lord
Miller presidente di Film Aditya Sood (Sopravvissuto, Cocainorso).
Produttori esecutivi: Jessica Switch, Nikki Baida e Julia
Hammer.
Sono partite lo scorso 2 settembre
le riprese del film Leopardi &Co una co-produzione Camaleo/Eagle
Pictures – il film diretto da Federica Biondi che
vede in un ruolo comprimario, accanto a quello dei due protagonisti
della commedia romantica, Jeremy Irvine e Denise
Tantucci, e agli altri attori del cast Paolo
Calabresi e Paolo Camilli, il Premio
Oscar Whoopi
Goldberg.
La trama di Leopardi & Co
David
(Jeremy Irvine) è un giovane attore americano che
sogna un ruolo in grado di consacrarlo come una vera star mondiale.
Ma David è talmente superficiale che nemmeno legge i copioni che
gli arrivano finché la sua agente Mildred (Whoopi
Goldberg) lo costringe ad accettare il ruolo di
protagonista in “Giacomo in Love” film diretto dal mitico regista
italiano Ruggero Mitri (Paolo Calabresi). David,
convinto sia la storia di Casanova, arriva sul set a Recanati
totalmente impreparato per cui viene affidato a Silvia
(Denise Tantucci) una coach del luogo col compito
di spiegare all’americano chi era il Sommo. Tra i due è odio a
prima vista…
E’ stato presentato in concorso a
Venezia 80Coup De Chance, il nuovo film di
Woody Allen che ha sfilato sul red carpet rosso con il
cast del film. Il commento del regista “Questo è il mio
cinquantesimo film. È stato un grande privilegio averlo realizzato
a Parigi ed è un grande onore presentarlo a Venezia”.
Coup de Chance parla
dell’importante ruolo che il caso e la fortuna giocano nelle nostre
vite. Fanny e Jean sembrano la coppia di sposi ideale: sono
entrambi realizzati professionalmente, vivono in un meraviglioso
appartamento in un quartiere esclusivo di Parigi, e sembrano
innamorati come la prima volta che si sono incontrati. Ma quando
Fanny s’imbatte accidentalmente in Alain, un ex compagno di liceo,
perde la testa. Presto si rivedono e diventano sempre più
intimi…
E’ stato presentato in concorso a
Venezia 80 Priscilla, il nuovo film di
Sofia Coppola che ha sfilato sul red carpet rosso con
il cast del film Cailee Spaeny e e ovviamente la vera Priscilla
Presley.
In merito al film la regista ha
commentato “Sono rimasta colpita dall’autobiografia di Priscilla
Presley sugli anni che ha vissuto, da giovane donna, a Graceland. E
ho cercato di cogliere cosa provasse nell’immergersi nel mondo di
Elvis, per poi alla fine riemergerne e scoprire la sua identità.
Come artista per me è importante mostrare il mondo attraverso gli
occhi dei miei personaggi, senza giudicare. Mi hanno sempre
interessato i concetti riguardanti l’identità, il vissuto e la
trasformazione degli individui. Questo film indaga il modo in cui
Priscilla è diventata quello che è, e cosa significa e ha
significato essere donna per lei e per le generazioni successive.
Ha vissuto esperienze comuni a molte giovani donne, con la
differenza che le ha affrontate in un contesto inusuale. Ed è per
questo che nella storia di Priscilla, pur essendo unica, ci
possiamo incredibilmente identificare tutte..
Nel film Quando l’adolescente
Priscilla Beaulieu incontra a una festa Elvis Presley, l’uomo, che
è già una superstar del rock’n’roll, nel privato le si rivela
come qualcuno di completamente diverso: un amore travolgente, un
alleato nella solitudine e un amico vulnerabile. Attraverso gli
occhi di Priscilla, Sofia Coppola ci racconta il lato nascosto di
un grande mito americano, nel lungo corteggiamento e nel matrimonio
turbolento con Elvis. Una storia iniziata in una base dell’esercito
tedesco e proseguita nella sua tenuta da sogno a Graceland. Una
storia fatta di amore, sogni e fama.
Cosa succede quando caso e fortuna
entrano in gioco? Woody Allen delinea questo quadro cosmico in
Coup de Chance quando, cioè, il colpo di fortuna ti cambia
la vita. La cinquantesima pellicola del regista si muove per le
strade della Parigi di Midnight in Paris ma lancia uno sguardo al passato
ricordando molto il suo precedente Match Point. A differenza della sua enorme filmografia
questa volta Woody Allen arriva Fuori
Concorso a Venezia 80 con un film interamente girato in
francese sorprendendo tutti. Nonostante le continue voci sul suo
possibile ritiro, Allen smentisce tutto dicendo di aver pronto un
nuovo film ambientato nella sua New York.
Coup de Chance, la
trama
Jean (Melvil
Poupaud) e Fanny (Lou de Laâge) sono una
coppia di parigini, ricca e affascinante. Sono sposati ma non hanno
figli e passano i weekend nella loro casa in campagna a caccia con
gli amici. Woody Allen ci presenta il quadro della
situazione di questa famiglia il cui equilibrio viene rotto
dall’arrivo di Alain (Niels Schneider), un ex
compagno di liceo di Fanny eternamente innamorato di lei. Un
equilibrio che Allen, con l’autore della fotografia Vittorio Storaro, cerca di rompere utilizzando
la palette dei colori. La prima parte del film affronta proprio
l’incontro e l’inizio della relazione tra Alain e Fanny. Tra
appuntamenti nascosti e pranzi appartati, la coppia viaggia
indietro nel tempo tornando agli anni di spensieratezza
liceale.
In questa prima parte si
accavallano anche i sentimenti contrastanti nel cuore di
Fanny, scissa tra il marito, possessivo e
calcolatore, – reso visivamente con colori freddi e neutri – e
l’amante, romantico e fugace – dove esplodono i colori caldi e
intensi. La storia d’amore si consuma, forse destinata a durare in
eterno, ma nella seconda parte di Coup de Chance si
abbandona il destino e la fortuna, Woody Allen trasforma il lungometraggio da
dramma romantico a thriller. In questa parte il personaggio della
mamma di Fanny avrà un ruolo chiave. Interpretata da
Valérie Lemercier la donna sembra avere molto in
comune con il genero anzi è sollevata dal fatto che la figlia viva
al sicuro con un uomo stabile e ricco. Tuttavia, l’istinto materno
interviene al momento giusto quando scopre la verità su Jean.
La vita è una variabile
aleatoria
Jean è un uomo d’affari carismatico
e di grande successo, fa colpo su tutti e si circonda di molti
amici su cui sa di poter avere il controllo – lo stesso controllo
che esercita sul treno meccanico, unico oggetto che può manovrare.
Persone noiose, ricche e nullafacenti di cui si serve per
compiacersi. Il pettegolezzo però è sempre dietro l’angolo e viene
sussurrato alle sfarzose feste tra la folla. Jean sarebbe stato il
mandante di un omicidio del suo socio in affari
ereditando pare della ricchezza. Mentre Alain abbraccia il caso e
la fortuna, Jean è scettico nei confronti di questi argomenti che
nella filmografia di Woody Allen sono ricorrenti.
Gli spettatori che vedranno Coup de Chance non potranno
non notare la somiglianza con Match Point sotto alcuni
aspetti della trama. I continui incontri tra Alain e Fanny
insospettiscono Jean che possessivo e maniacale assume un
investigatore privato.
Caso, fortuna e probabilità si
ripresentano in una dura lotta di contrasti alla fine del film: un
biglietto della lotteria accostato a una battuta di caccia al
cervo. Quante probabilità ci sono di vincere e quante di prendere
l’animale al primo colpo? Woody Allen spiazza lo
spettatore e ancora una volta giocando con le probabilità si prende
gli applausi a scena aperta.
Sofia Coppola torna
al punto di vista femminile con il suo Priscilla,
presentato in concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia 2023, biopic che racconta
l’amore tra Elvis Presley e la giovanissima
Priscilla Beaulieu, poi divenuta Presly. Optando
per un impianto da coming of age, che ben si sposa con il taglio
editoriale di A24 e MUBI – impegnate nella produzione e
distribuzione del film, il
film di Sofia Coppola è un indie molto lineare ma
sentito nelle intenzioni, un racconto di formazione che segue una
ragazza diventare donna, passare dalla libertà alla prigione e
viceversa, sulla strada travolgente di un amore che, per quanto
faccia male, non svanisce.
Priscilla: Elvis ed io, un passo
dietro a lui, e al suo fianco
Quando l’adolescente
Priscilla Beaulieu incontra a una festa
Elvis Presley, l’uomo, che è già una superstar
del rock’n’roll, nel privato le si rivela come qualcuno di
completamente diverso: un amore travolgente, un alleato nella
solitudine e un amico vulnerabile. Attraverso gli occhi di
Priscilla, Sofia Coppola ci racconta il lato
nascosto di un grande mito americano, nel lungo corteggiamento e
nel matrimonio turbolento con Elvis. Una storia iniziata in una
base dell’esercito tedesco e proseguita nella sua tenuta da sogno a
Graceland. Una storia fatta di amore, sogni e fama.
Priscilla ed
Elvis si incontrano in un luogo lontano dagli
States, entrambi con un’incredibile nostalgia di casa. Nella
Germania Ovest, dove Elvis sta prestando servizio militare e
Priscilla si è trasferita con la famiglia, non c’è tanto da fare.
Sarà proprio l’intrattenimento e la provenienza a farli avvicinare
e, in pochissimo tempo, ad elevare – ironicamente – la piccola
Priscilla a confidente prediletta del re del rock
‘n roll.
La “little one” di
Elvis ha 14 anni quando la sua vita cambierà per
sempre: molto più matura della sua età, capisce subito di essere
una figura necessaria per Elvis. Ma nemmeno il re del rock ‘n roll
è immune alla “fase di conoscenza” dei genitori e alle regole da
rispettare nel corteggiare una ragazza. Con fatica e tanta
caparbietà, la ragazza inizierà pian piano a vivere tra Germania e
Stati Uniti, ad assaporare uno stile di vita che le era
completamente alieno, a rendersi conto che, quando si è così vicini
a una figura pubblica, forse, si inizia a perdere un po’ se stessi,
soprattutto se non ci si è ancora conosciuti.
Alla ricerca di un punto di vista
Il fim di Sofia Coppola esplora in maniera
ottimale le prime fasi di conoscenza tra Elvis e
Priscilla, umanizzandola e avvicinandola al
pattern di tanti altri incontri romantici, con tutto l’imbarazzo e
la voglia di non perdersi del caso. Una seconda parte più
frettolosa e dal montaggio discontinuo, potrebbero precludere alla
pellicola di elevarsi e afferrare la portata di una storia d’amore
così intensa – ma dobbiamo ricordarci che si tratta di una
produzione indipendente e, per come è stata concepita e girata, è
perfettamente in linea con il marchio A24.
Coppola lavora sull’immagine
trasferendovi tutta una serie di significati altrimenti lasciati
impliciti: cosa cambia nella vita di Priscilla e in che successione
temporale, le sue emozioni e chi coinvolgono, sono tutti dettagli
non affidati alla sceneggiatura, ma alla costruzione di un
immaginario coerente con l’arco del nostro personaggio. Gli spazi
di Elvis e Priscilla si
influenzano e combaciano in base ai loro spostamenti, ed è lo
stesso per i loro ritmi di vita. Un dettaglio inedito a questo
proposito è il fatto che, pur adottando un punto di vista
espressamente femminile, il mondo di Priscilla è un mondo maschile.
Laddove la Coppola è diventata celebre proprio per
aver plasmato una personalissima impronta di universo femminile,
Graceland non la accoglie totalmente. A Priscilla
vengono forniti vestiti, viene detto come abbinarli e truccarsi per
esaltare al massimo la sua bellezza, viene portata a fare shopping
– ma deve esibire ogni outfit davanti a una folla di uomini,
Elvis e i membri della sua band. La giovane donna
maturerà in fretta abbastanza da rendersi conto che non ha ancora
un proprio punto di vista, e tutta la sua permanenza negli spazi
vitali di Elvis lo evidenzia.
Benché diseguale nella narrazione,
il Priscilla di Sofia
Coppola farà parlare di se per come la mano sicura
della regista disegna la presa di coraggio di una giovane donna in
divenire: quella a cui è stato concesso un sogno, quella a cui
verrà domandato tante volte “perché proprio tu”, quella che saprà
sempre nel suo cuore la risposta a questa domanda, ma non avrà
paura a cercarla anche altrove.
Come tutte le cose esistenti, anche
il MCU vive di pregi e
difetti. Di sicuro, posti sulla bilancia, sono i primi ad avere più
peso all’interno del franchise, ma ciò non vuol dire che gli
elementi non funzionanti al suo interno debbano cadere in
prescrizione e non essere aggiustati. Uno dei problemi che ha
sempre afflito il Marvel Cinematic Universe è la
confusione riguardo la sua timeline, la quale ha suscitato nel
tempo tantissime domande e dubbi. Attenzione, però, perché il
prossimo mese, precisamente ad ottobre, uscirà Marvel Studios The Marvel Cinematic
Universe: An Official Timeliner, il
libro che avrà il compito di spiegare
molti degli eventi confusionari del MCU, chiarendo eventuali
disguidi. Il volume dovrebbe abbracciare ogni episodio principale
del
franchise, dall’inizio alla fine, in maniera dettagliata, e
dovrebbe rispondere soprattutto a dieci lampanti incrinature
presenti. Scopriamo quali.
In Iron Man 2 c’era Peter
Parker?
Da quando è uscito Spider-Man:
Homecoming, molti si sono domandati nel tempo se il
bambino che indossava il casco di Iron Man, opponendosi a uno
dei droni di Whiplash in Iron Man 2, fosse Peter Parker. La teoria è stata
supportata dal fatto che gli spettatori, in realtà, non hanno mai
potuto vedere il suo viso. In seguito, sia il protagonista di
Spider-Man, Tom Holland, che il suo regista, Jon Watts,
hanno trovato una linea comune secondo la quale quel bambino fosse
davvero Peter. Una conferma arrivata anche da
Keving Faige, ma che per il momento è rimasta solo verbale.
Magari il libro sulla timeline del MCU potrà spiegare e
approfondire meglio la questione.
L’errore temporale di di
Spider-Man: Homecoming
Sempre in
Spider-Man: Homecoming c’è un altro evento che non è stato
bene inquadrato, ma che anzi ha solo generato molta confusione.
All’inizio del film vediamo infatti Adrian Toomes e il suo
equipaggio venire congedati dopo la battaglia di New York; in
quell’occasione il film ci suggerisce che la storia di cui si
parlerà si svolge otto anni dopo l’evento. Il grande punto
interrogativo non tarda ad arrivare, poiché prima di allora si
pensava che la Battaglia di New York avesse avuto luogo nel 2012,
il che significava che Spider-Man:
Homecoming doveva essere ambientato nel 2020 e non in
concomitanza con l’uscita del 2017. Questo è uno degli errori più
lampanti del MCU che il libro dovrà
sicuramente risolvere.
La canonicità delle serie Marvel
Television
Quando le serie della Marvel Television cominciarono a
prendere forma e vita, esse erano state pensate per essere
canoniche. In seguito, però, gli show si sono allontanati di
parecchio dalla continuità del MCU: molti degli eventi
accaduti al loro interno, tra l’altro notevolmente importanti, non
sono mai stati inseriti o menzionati all’interno dei film, tanto da
lasciar intendere che non siano più canonici. Con l’approdo, negli
ultimi tempi, degli show dei Marvel Studios sulla piattaforma di
Disney+, tale canonicità ha avuto maggiore
confusione, soprattutto perché nessuno ne ha dato o meno conferma.
Il libro della timeline potrebbe perciò chiarire questo
disorientamento, dicendoci se Agents of
S.H.I.E.L.D, Inhumans,
Runaways e tanti altri possono essere definiti
canonici. Oppure no.
Quando Stark è diventato Iron
Man?
Quando il MCU è ufficialmente nato,
quindi sin dalla sua Fase 1, la cronologia del suo primo capitolo è
stata uno dei temi più caldi su cui per diverso tempo si è
disquisito. All’inizio, l’impressione era che i film fossero
ambientati negli stessi anni in cui uscivano, salvo L’incredibile Hulk e
Iron Man 2, fino a quando un episodio inserito nei
Marvel Comics, intitolato La grande settimana
di Fury, non ha confuso di parecchio le idee. La storia menzionata
suggeriva che, dopo i sei mesi trascorsi tra Iron Man e Iron Man 2, il resto della Fase 1
si sarebbe svolto nell’arco di una sola settimana, anziché
nell’arco di quattro anni. Il libro arriverà in soccorso, in quanto
dovrà confermare sia ai fan che al pubblico tutto che Iron
Man si svolge nel 2008.
Per quanto tempo Doctor Strange si
è allenato a Kamar-Taj?
Nel 2016, con l’arrivo di Doctor
Strange, sotto la regia di Scott Derrickson, facciamo la
conoscenza di un strabiliante chirurgo che, in seguito ad un
incidente automobilistico, sarà costretto ad osservare la sua vita
cambiare, evento che lo porterà a diventare lo stregone che oggi
tutti conosciamo. La sua cronologia, però, è uno dei punti più
controversi del MCU, e molto del problema
riguarda il suo allenamento a Kamar-Taj. Intanto, è chiaro che
prima di diventare Maestro delle Arti Mistiche, Strange si è dovuto
allenare per diverso tempo lì. Sappiamo che il finale si svolge
prima degli eventi di Thor:
Ragnarok del 2017, ma non sappiamo se
Doctor Strange si sia allenato per settimane, mesi o
addirittura anni, poiché non è ancora stato confermato. Questa
confusa linea temporale potrà però essere chiarita in definitiva
nel libro della timeline e ci farà capire quanto tempo ha impiegato
il nuovo Avenger prima di aiutare i suoi compagni a sconfiggere
Thanos.
Ma i personaggi della saga dei
Defenders?
Lo dicevamo prima per gli show della
Marvel Television, ma anche lo status di canone delle serie
Netflix non è stato toccato dai Marvel Studios dopo le loro
cancellazioni. In seguito al ritorno nel MCU di Charlie Cox,
Vincent D’Onofrio e Jon Bernthal nei panni di Daredevil, Kingpin e
del Punitore dopo il debutto nella Saga dei Difensori di Netflix, il
pubblico necessita di alcune conferme riguardo le loro avventure,
se queste siano canoniche o meno. Essendo state delle serie
avvincenti, che hanno appassionato il pubblico nel tempo in cui
sono uscite, sarebbe interessante poter capire meglio la loro linea
temporale.
Il Guardiano Rosso ha combattuto
contro una versione di Capitan America?
Quando uscì Black Widow nel 2021, il film presentò al pubblico un
altro personaggio, che doveva fungere un po’ come risposta della
Russia al
Capitan America degli USA: il Guardiano Rosso, aka Alexei
Shostakov. L’uomo diventa il Guardiano Rosso durante la Guerra
Fredda, e nella linea temporale questo accade più avanti rispetto
all’ibernazione di Steve Rogers. Nonostante ciò, Shostakov dichiara
ad un certo punto di aver combattuto contro l’Avenger in un
impreciso momento degli anni ’80. E’ stato poi rivelato che il
governo degli Stati Uniti, in seguito all’apparente dipartita di
Steve Rogers, si è impegnato a creare altri super-soldati. Il libro
della timeline potrebbe chiarirne la dinamica: magari il Guardiano
Rosso potrebbe aver combattuto contro una sua versione.
Quando è tornato T’Challa a
Wakanda?
Un altro dubbio che ha afflitto i
fan e il pubblico durante gli intrecciati film del MCU riguarda gli eventi di
Black
Panther del 2018 e quando essi si svolgono. All’inizio
sembrava che Black Panther si svolgesse una settimana dopo Captain America: Civil War, quindi poco dopo la morte
del re wakandiano T’Chaka. C’è però una questione in sospeso,
perché l’affidamento di
Bucky Barnes alle cure dei wakandiani nel secondo film citato,
e la sua successiva apparizione alla fine di Black Panther, gettano nel caos questa linea
temporale, perché non è possibile che il controllo dell’HYDRA su
Bucky, alias il Soldato d’Inverno, sia stato eliminato con così
tanta velocità. Sarà dunque un altro aspetto che dovrà essere
affrontato nella timeline.
Dov’erano gli Eterni nella
battaglia degli Avengers contro Thanos?
In Eternals, film
del MCU diretto da Chloé Zao,
ci vengono poi presentati gli Eterni, delle creature immortali e
potentissime, che la storia ci rivela essere arrivati sulla Terra
nel 5000 a.C., suggerendo che per tutto il tempo hanno vissuto
sullo sfondo del Marvel Cinematic Universe. Per
questa ragione, sono sorte alcune domande sul perché la squadra più
forte dell’universo non sia intervenuta in una delle battaglie più
sanguinose e importanti del franchise, ossia quella degli Avengers
contro
Thanos. Se si considera che l’obiettivo degli Eterni era
proteggere l’umanità per garantire l’emersione del Tiamut Celeste,
è strano non averli visti al loro fianco quando l’obiettivo del
folle Titano era proprio quello di annientare metà delle forme di
vita. Il libro potrebbe spiegarne i motivi.
Cosa ha fatto Capitan Marvel per
trent’anni?
Dopo averci fatto conoscere
una serie di sfaccettati supereroi e villain, il MCU ci fa conoscere solo
nel 2019 uno dei più forti e tenaci con Captain
Marvel, introducendo
Carol Danvers. Il film è ambientato nel 1995, e la nostra
protagonista diventa Captain Marvel molto prima che una grande
fetta di Avengers si trasformi nei supereroi che oggi conosciamo.
Nel finale, Danvers parte alla volta dell’universo e fino ad
Avengers: Endgame di lei non si ha più
traccia. Ciò ha portato all’idea che la supereroina sia stata
assente per ben trent’anni. Pur credendo che The
Marvels (in uscita a breve), possa rispondere al quesito,
il libro sulla timeline potrebbe comunque essere più chiaro e
dettagliato.
L’estate 2023 è stata
caratterizzata dalla riscoperta dei cinema per molti, grazie
all’arrivo nelle sale italiane di due pellicole che hanno saputo
attirare il grande pubblico: stiamo parlando di
Barbie ed
Oppenheimer! Quest’ultimo conquista per la seconda
settimana consecutiva il primo posto nella classifica Box office,
con un incasso di €1.308.936 nel solo fine settimana, su un totale
che sfiora i 18 milioni solo in Italia.
Al secondo posto, con un notevole
distacco, ritroviamo The equalizer 3- senza tregua, terzo capitolo
della serie cinematografica con Denzel Washington come protagonista. Il film
incassa €197.764 al suo primo week end nei cinema, essendo nelle
sale italiane dal 30 agosto.
Terzo classificato è
Tartarughe ninja: caos mutante, film animato basato
sui noti personaggi della serie di fumetti. Il cartone incassa
€167.967 a fronte di un totale di circa 743 mila euro dalla sua
uscita nei cinema il 30 agosto.
Box office: il resto della
classifica
Rispettivamente al quarto ed al
quinto posto ritroviamo La casa dei fantasmi, remake dell’omonimo film
del 2003 con Eddie Murphy, e
Jeanne Du Barry- la favorita del re, pellicola che
sigla il ritorno di
Johnny Depp sulla scena dopo il lungo processo con
Amber Heard. La casa dei fantasmi raggiunge un incasso
di €140.137 su un totale che sfiora i due milioni di euro dalla
prima uscita il 23 agosto, mentre Jeanne Du Barry incassa €132.847
nel suo primo week end. Scende vertiginosamente di posizione
Barbie, sesta classificata, con un incasso di
€132.143, a fronte però di un totale che supera i 31 milioni di
euro dalla sua uscita nelle sale italiane il 20 luglio.
Al settimo ed ottavo posto si
trovano due pellicole italiane:
L’ordine del tempo, diretto da Liliana
Cavani e tratto dall’omonimo saggio di Carlo Rovelli, e
Una
commedia pericolosa. L’ordine del tempo incassa
€57.683, mentre Una commedia pericolosa raggiunge un guadagno di
€34.368.
Ultimi due classificati nel Box
office del fine settimana appena concluso sono
Mastaney, pellicola indiana, e
Manodopera, film d’animazione prodotto da Francia,
Italia e Svizzera. Mentre Mastaney incassa €29.103, Manodopera
raggiunge un guadagno di soli €17.304.
Paramount+ ha annunciato l’arrivo di
The Caine Mutiny Court-Martial – scritto
e diretto dal celebre regista premio Oscar William
Friedkin e basato sull’omonima opera teatrale di Hermon
Wouk, vincitrice del premio Pulitzer – prossimamente in Italia e in
tutti i mercati internazionali in cui il servizio è attualmente
attivo.
L’avvincente film, che è stato
presentato ieri in anteprima all’80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia, segue le vicende di un primo ufficiale della Marina
degli Stati Uniti che viene processato per aver orchestrato un
ammutinamento dopo che il suo capitano inizia a dare segni di
squilibrio, mettendo a repentaglio la vita del suo equipaggio.
Interpretato da un cast eccezionale, The
Caine Mutiny Court-Martial vede il coinvolgimento di
Kiefer Sutherland (24), Jason Clarke (Oppenheimer), Jake Lacy (White
Lotus), Monica Raymund (Chicago Fire),
Lewis Pullman (Top Gun: Maverick), Jay
Duplass (Transparent), Tom Riley (The
Nevers) e Lance Reddick (John Wick).
All’inizio della corte marziale
della Marina, Barney Greenwald (Clarke), uno scettico avvocato
della Marina, accetta con riluttanza di difendere il tenente Steve
Maryk (Lacy), un primo ufficiale della Marina che ha preso il
controllo della U.S.S. CAINE dal suo capitano autoritario, il
tenente Philip Francis Queeg (Sutherland) durante una violenta
tempesta in acque ostili. Con l’avanzare del processo, Greenwald si
preoccupa sempre di più e si chiede se gli eventi a bordo del Caine
siano stati un vero ammutinamento o semplicemente atti di coraggio
di un gruppo di marinai che non si fidavano del loro leader
instabile.
Il lungometraggio della Republic
Pictures, The Caine Mutiny Court-Martial, è un
film di William Friedkin (The French Connection,
L’esorcista) basato sull’opera teatrale di Herman Wouk.
Scritto e diretto da Friedkin, il film è
prodotto da Annabelle Dunne (Joan Didion: The Center Will Not
Hold, Everything Is Copy And Fake Famous) e Matt Parker
(Beasts of the Southern Wild) con Michael Salven (Dungeons &
Dragons: Honor Among Thieves) e Mike Upton (John Wick)
come produttori esecutivi. Il film è distribuito da
Paramount Global Content Distribution.
Il film, The Caine Mutiny
Court-Martial, è stato completato poco prima della morte
di William Friedkin, avvenuta il 7 agosto scorso.
Reduce dalla vittoria agli Oscar per
il suo Drive my Car, il
regista giapponese Ryūsuke
Hamaguchi porta in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia il suo nuovo film, dal titolo
Evil Does Not Exist, storia di
Takumi e sua figlia Hana, che
vivono nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo. Come altre
generazioni prima di loro, conducono una vita modesta assecondando
i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del
villaggio vengono però a conoscenza del progetto di costruire,
vicino alla casa di Takumi, un glamping, inteso a offrire ai
residenti delle città una piacevole fonte di “evasione” nella
natura.
Quando due funzionari di Tokio
giungono al villaggio per tenere un incontro, diventa chiaro che il
progetto avrà un impatto negativo sulla rete idrica locale, e ciò
causa il malcontento generale. Le intenzioni contraddittorie
dell’agenzia mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico
dell’altopiano sia lo stile di vita degli abitanti. “In questo
film ho avuto la meravigliosa opportunità di lavorare nuovamente
con il compositore di Drive My Car, Eiko
Ishibashi. – racconta Hamaguchi – Il progetto del
film è iniziato quando mi ha chiesto di creare alcune riprese per
la sua performance dal vivo e ho concepito il film come un
“materiale originale” per le riprese”.
“Man mano che mi legavo sempre
di più al film che stavamo creando, anche Eiko e le sue amiche mi
hanno aiutato molto nelle riprese. Era un modo molto libero di fare
cinema, cosa che mi ha rivitalizzato molto. Dopo le riprese,
sentivo di aver catturato le interazioni delle persone nella natura
e di aver completato il lavoro come un unico film con il bellissimo
tema musicale di Eiko Ishibashi. Spero che il pubblico senta la
forza vitale delle figure che si agitano nella natura e nella
musica di Evil Does Not Exist”.
Il lavoro degli attori sui personaggi
“Per quanto riguarda il mio
personaggio, – racconta Ryuji Kosaka,
interprete di Takumi – mi ha molto interessato il suo stile di
vita così vicino alla natura, il tagliare la legna, raccogliere
l’acqua del fiume o cercare funghi e altre piante del bosco. Era un
modo di vivere che mi interessava poter esplorare”. “Io
invece ho pensato ad Hana come una bambina molto vivace e curiosa
– aggiunge la giovane RyoNishikawa, interprete della figlia di Takumi.
Aiko Masubuki,
interprete di uno dei due funzionari, afferma invece che
“c’erano aspetti del mio personaggio con cui potevo
immedesimarmi ma sin da subito ho scelto di non stringermi troppo
alla sua personalità e mantenere un minimo di distacco“.
“Per il mio personaggio mi sono invece chiesta come poter dar
vita ad una personalità confusa, divisa tra il proprio lavoro e il
bisogno di mantenersi vicino al bene comune”, spiega
Ayaka Shibutani, interprete dell’altro funzionario
presente nel film.
Il rapporto con la natura di Hamaguchi
“Prima di girare Evil Does Not
Exist, in realtà, non avevo una grande connessione con la natura,
mi limitavo a frequentare i parchi di Tokyo. – spiega
Hamaguchi – Dopo averlo girato mi sono reso conto di quanto
essa sia importante per sentirci ispirati ma anche per guarirci dai
mali di ogni giorno. Ho notato che di questi tempi quando poni
degli elementi naturali in un film emerge subito il tema della
salvaguardia ambientale, quindi sapevo di non poter evitare questa
idea e per questo mi sono concentrato sul mostrare come un dialogo
sincero possa essere, forse, l’opzione migliore per cercare delle
concrete soluzioni su tale questione”, conclude Hamaguchi.
Scritto e diretto da Sofia
Coppola, Priscilla,
in concorso al
Festival di Venezia 2023, è basato sul libro di
memorie del 1985 Elvis and Me, scritto da
Presley e Sandra Harmon. Nel
film, la giovanissima Priscilla Beaulieu (incontra
Elvis a una festa, quando è già una superstar del
rock-and-roll, ma diventa per lei una persona del tutto
inaspettata nei momenti privati: una cotta entusiasmante, un
alleato nella solitudine, un migliore amico vulnerabile. Dal punto
di vista di Priscilla, il film esamina il lato inedito di un grande
mito americano nel lungo corteggiamento e nel turbolento matrimonio
di Elvis e Priscilla.
Alla conferenza stampa di
presentazione del film, la regista
ha spiegato cosa l’abbia spinta a dedicarsi a questo progetto:
“sono rimasta colpita dal fatto che l’ambientazione è così
insolita, ma lei attraversa tutte le cose che tutte le ragazze
attraversano crescendo verso la femminilità – il suo primo bacio e
il diventare madre – tutti questi momenti a cui potevo riferirmi,
ma in questa ambientazione così insolita che siamo così curiosi di
conoscere“.
In un momento molto emozionante
della conferenza stampa, la stessa Priscilla
Presley ha raccontato come è stato affiancare Coppola e il
cast condividendo con loro momenti della sua vita: “È molto
difficile stare seduti a guardare un film che parla di te, della
tua vita e del tuo amore. Sofia ha fatto un lavoro straordinario,
ha fatto il suo dovere… E io ho dato tutto quello che potevo per
lei“.
“È stato molto difficile per i
miei genitori capire che Elvis si interessasse così tanto a me e
penso davvero che, poiché ero più una persona che ascoltava, Elvis
mi riversava il suo cuore, le sue paure, le sue speranze, la
perdita di sua madre che non aveva mai superato, e io ero la
persona che si sedeva davvero per ascoltarlo e confortarlo. Ero un
po’ più grande nella vita che nei numeri e questa era l’attrazione.
La gente pensa: “Oh, era sesso, era questo”. Non è affatto così.
Non ho mai fatto sesso con lui. Era molto gentile, molto tenero,
molto affettuoso, ma rispettava anche il fatto che avessi solo 14
anni“.
Presley ha anche
chiarito che quando se ne andò, anni dopo, “non fu perché non
lo amavo, era l’amore della mia vita. Era lo stile di vita che era
così difficile per me… Avevamo nostra figlia e mi assicuravo che
lui la vedesse sempre, era come se non ci fossimo mai lasciati.
Voglio che questo sia chiaro“.
Il film è interpretato da
Cailee Spaeny nel ruolo di Priscilla
Beaulieu Presley e da Jacob Elordi nel
ruolo di Elvis. Il cast ha potuto recarsi a
Venezia per sostenere il film dopo aver ricevuto un accordo
provvisorio SAG-AFTRA. Proprio in merito allo sciopero,
Coppola ha detto: “È un lavoro duro lottare
per un giusto compenso e spero che si risolva presto perché ci sono
così tante persone che vogliono tornare a lavorare“.
Spaeny ha detto di
aver accettato il ruolo: “Con molto timore, ma sono stato molto
fortunato ad avere un po’ di tempo con Priscilla. È stata molto
generosa con il suo tempo e molto gentile con me e mi ha
sostenuto“. Elordi ha commentato:
“L’intera prospettiva che avevo di fronte era una specie di
enorme montagna e mi ha detto: “Mettiti i paraocchi e vai fino in
fondo”. Non c’era spazio per non farlo“.
Parlando della relazione tra
Priscilla ed Elvis, il giovane
protagonista di Euphoria
ha attirato gli applausi dei giornalisti: “La cosa più
impressionante per me è la portata di questo amore e la potenza di
questo amore. E ancora oggi, anche se lui non è qui, quando parli
con Priscilla puoi ancora sentire l’amore. È vero, è imperituro ed
è semplicemente bellissimo… È questo legame che unisce due persone
e penso che sia per l’eternità“.
Priscilla
arriverà nelle sale statunitensi il 27 ottobre tramite A24.
Mubi ha
anche acquisito i diritti in diversi territori, tra cui il Regno
Unito.
Woody Allen arriva a Venezia 80 per presentare la qua cinquantesima
pellicola. Il regista torna in Francia, ormai una seconda casa per
i suoi film anche se il nuovo Coup de
Chance è girato internamente in francese. Parigi,
ambientazione che nel 2010 Woody Allen porta in scena in
Midnight in Paris e in Tutti dicono I
Love You: “Quando ero giovane i film che più mi colpivano
erano quelli francesi e italiani, tutti volevamo realizzare film
come gli europei e per tutta la mia vita ho cercato di fare così e
da tempo volevo realizzare la storia di due americani che vivono a
Parigi e sono così innamorato della Francia che ho voluto
realizzarlo in lingua francese. Volevo unirmi a quel gruppo di
registi composto da Truffaut, Godard, Renoir e tanti altri ancora
che considero maestri”, afferma il regista.
In Coup de Chance, già dal
titolo appare chiaro il risultato dell’opera. Il colpo di fortuna,
il caso, il destino sono tutti argomenti ricorrenti. Per Woody Allen sono anche argomenti con cui ha un
forte legame: “Sono stato fortunato per tutta la mia vita, ho
una famiglia, non sono mai stato in ospedale, non mi è mai accaduto
nulla di male. Quando ho iniziato a fare film altrettanto sono
stato fortunato, ho ricevuto molto rispetto e spero che continui ad
essere così”. Continua dicendo: “Coupe de Chance e
Match Point riflettono entrambi su come il caso e la fortuna
possano avere un impatto nella nostra vita. Non penso ci sia nulla
che possiamo fare con la morte. Alla fine di questo film abbiamo
lasciato che il sottotitolo “non farci troppo caso” rimanesse
più a lungo delle immagini perché è così che dovremmo rapportarci
con la morte e il caos della vita.
Coup de Chance, Vittorio
Storaro: “Chiamatemi autore della fotografia non direttore”
Quella tra Allen e Vittorio
Storaro è una collaborazione che va è iniziata nel 2016
per Café
Society. Autore della fotografia la sua impronta nei film
di Allen contribuisce una resa delle immagini particolarmente
curiosa. “Bisogna dare rispetto al regista e all’autore della
fotografia. Noi non siamo director, noi siamo co-autori della
fotografia cinematografia, ovvero scrivere con la luce in
un’immagine. Noi dobbiamo avere un rapporto con i colori e le ombre
per analizzare il concetto delle parole e presentarle al regista e
se lui approva quella mia lettura allora mi sento soddisfatto,
perché ho saputo comprendere le intenzioni del solo e unico
regista”, racconta Vittorio Storaro in conferenza stampa.
“Io senza uno scritto e senza
un regista non esisto. Quando ho letto la sceneggiatura di questo
film ho quindi ritrovato una cosa che amo molto, ovvero la dualità:
con il marito Fanny ha un preciso tono cromatico, mentre quando è
con l’amante ne ha un altro che è più concentrato sui toni caldi e
solari. Quando è con il marito è invece tutto azzurro, freddo.
Questo è stato il concetto visivo che ho presentato a Woody e lui
lo ha ritenuto coerente con quanto aveva scritto”,
conclude.
Nonostante da ormai diversi anni
giri voce di un possibile addio alla sedia da regista per Woody Allen, 87 anni, c’è ancora molto lavoro
da fare: “Ho una nuova buona idea per un film a New York e se
qualcuno si offrirà di finanziarlo alle mie strette condizioni,
allora sì, lo farò”.
Ecco il trailer di Enea,
che sarà presentato in Concorso alla 80° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di Venezia. Nel suo nuovo
film,
Pietro Castellitto recita anche al fianco di
Giorgio Quarzo Guarascio,
Benedetta Porcaroli,Chiara Noschese, Giorgio
Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore,
Cesare Castellitto, Clara Galante, Paolo Giovannucci e con
Sergio Castellitto.
Enea rincorre
il mito che porta nel nome, lo fa per sentirsi vivo in un’epoca
morta e decadente. Lo fa assieme a Valentino, aviatore appena
battezzato. I due, oltre allo spaccio e le feste, condividono la
giovinezza. Amici da sempre, vittime e artefici di un mondo
corrotto, ma mossi da una vitalità incorruttibile. Oltre i confini
delle regole, dall’altra parte della morale, c’è un mare pieno di
umanità e simboli da scoprire. Enea e Valentino ci voleranno sopra
fino alle più estreme conseguenze. Tuttavia, droga e malavita
sono l’ombra invisibile di una storia che parla d’altro: un padre
malinconico, un fratello che litiga a scuola, una madre sconfitta
dall’amore e una ragazza bellissima, un lieto fine e una lieta
morte, una palma che cade su un mondo di vetro. È in mezzo alle
crepe della quotidianità che l’avventura di Enea e Valentino
lentamente si assolve. Un’avventura che agli altri apparirà
criminale, ma che per loro è, e sarà, prima di tutto, un’avventura
d’amicizia e d’amore.
L’Esorcista, che ha sconvolto il mondo
terrorizzando generazioni di spettatori ed è tuttora considerato un
capolavoro della storia del cinema, viene presentato oggi all’80.
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sua
versione restaurata Director’s Cut 4K nell’ambito della sezione
Venezia Classici.
In occasione del
50° anniversario di quest’opera epocale tratta dal romanzo omonimo
di William Peter Blatty, il film sarà proiettato nei cinema
italiani nei giorni25, 26 e 27 settembre nella sua spettacolare
versione Director’s Cut, completamente restaurata in 4K da Warner
Bros. Discovery. Questo evento senza precedenti porterà nuovamente
l’orrore e il brivido nelle sale cinematografiche, illuminando il
buio con immagini straordinarie che terranno gli spettatori
incollati allo schermo, proprio come ha fatto con le generazioni
passate.
‘Credo
che The Exorcist sia tanto intenso oggi, a
distanza di cinquant’anni, quanto lo fu al momento della sua prima
uscita. È questa la genialità della storia di William P.
Blatty’ – dichiarava il compianto regista
William Friedkin, scomparso nelle scorse settimane, in
occasione dell’annuncio della presenza della versione restaurata
del film alla Mostra del Cinema.
L’Esorcista è molto più di un semplice film
horror; è un’icona del cinema, una pietra miliare nella storia del
grande schermo. Da quando è stato presentato per la prima volta nel
lontano 1973, ha spaventato, affascinato e incantato il pubblico di
tutto il mondo. Le sue scene indimenticabili, i personaggi iconici
e l’atmosfera da brivido lo rendono un’opera d’arte cinematografica
senza tempo. Anche dopo cinque decenni, continua a esercitare un
impatto culturale straordinario, influenzando il genere horror e
l’arte del cinema in generale. È una testimonianza del potere
duraturo del cinema nel catturare l’immaginazione e spingere gli
spettatori al limite del terrore e della suspense.
In occasione di
questo anniversario epocale, Warner Bros. Discovery ha dedicato un
impegno straordinario per restaurare L’Esorcista
in una magnifica versione Director’s Cut, con una qualità visiva
ineguagliabile grazie alla tecnologia 4K. Ogni dettaglio è stato
curato con precisione, dal suono inquietante ai dettagli visivi
mozzafiato, creando un’esperienza cinematografica completamente
immersiva.
Per celebrare
questa ricorrenza straordinaria, “L’Esorcista Director’s Cut – 4K
Restaurata” farà il suo ritorno spettacolare nei cinema di tutta
Italia. L’evento si terrà nei giorni 25-26-27 settembre e offrirà
agli spettatori una rara opportunità di rivivere l’angosciante
storia di possessione e fede su uno schermo grande come la vita
stessa. Questa tre giorni di evento esclusivo promette di essere
un’esperienza imperdibile per gli amanti del cinema, sia per coloro
che conoscono già l’opera, sia per chi vuole sperimentarla per la
prima volta. Questo evento epico è un omaggio a un capolavoro
senza tempo, che ha spaventato, incantato e influenzato
innumerevoli spettatori attraverso le generazioni.
“Tutti i film che ho realizzato,
che ho scelto di realizzare, riguardano la sottile linea tra il
bene e il male. E anche la sottile linea che esiste in ognuno di
noi. Questo è ciò di cui parlano i miei film”. Con questa
citazione del regista William Friedkin viene introdotto
alla Mostra del Cinema di Venezia il suo
nuovo film dal titolo The Caine Mutiny
Court-Martial, che arriva a dodici anni dal suo precedente
lungometraggio, Killer Joe, dopo
essersi scolpito un posto nella storia del cinema grazie a film
come Il braccio violento della legge, L’esorcista e Vivere e
morire a Los Angeles.
Si tratta, come noto, dell’ultima
fatica cinematografica di Friedkin, venuto a mancare nell’agosto di
quest’anno, prima di poter dunque presentare il nuovo film al
grande pubblico. Arrivato a Venezia senza il proprio regista,
The Caine Mutiny Court-Martialsi
dimostra essere in ogni caso la testimonianza di un Friedkin in
piene forze, che adatta l’opera teatrale di Herman
Wouk dal titolo Corte marziale per l’ammutinamento del
Caine con meticolosa precisione, gusto per la parola e completa
padronanza del ritmo, facendo dunque di questo nuovo lungometraggio
un’opera di grande valore.
The Caine Mutiny Court-Martial, la trama del
film
La vicenda narrata vede l’avvocato
Greenwald (Jason Clarke)
difendere con riluttanza Maryk (Jake
Lacy), l’ufficiale della Marina che ha sollevato dal
comando il tirannico capitano Queeg
(Kiefer
Sutherland), accusato di instabilità mentale nel corso
di una violenta burrasca. Man mano che il processo va avanti,
Greenwald diventa sempre più interessato a fare chiarezza,
domandandosi se quello del Caine sia stato un vero ammutinamento o
semplicemente l’atto coraggioso di un gruppo di marinai che non
potevano più fidarsi del loro instabile capitano.
Dal testo allo schermo
Legal drama a tutti gli
effetti, The Caine Mutiny
Court-Martialera un film che Friedkin
ambiva a realizzare da tempo, affascinato dai dubbi che il racconto
morale solleva e da quel confine tra bene e male esistente in ogni
essere umano e che per tutta la sua carriera il regista ha
esplorato. Lo spettatore viene dunque fatto entrare in una piccola
aula dove si svolge il processo tra Maryk e Queeg e qui rimarrà
sostanzialmente fino alla fine, ascoltando le testimonianze dei due
diretti in causa come anche quelle di una serie di testimoni ed
esperti. Ci si trova dunque di fronte ad un film dalla forte
economia narrativa, dove alla parola è conferita massima
attenzione.
Friedkin, anche sceneggiatore del
film, riadatta il testo non solo per aggiornarlo ma anche per
incrementare la musicalità delle battute, delle parole, dando così
vita ad un film che è un piacere ancora solo da ascoltare.
The Caine Mutiny Court-Martialè
però non solo una vera e propria lezione di adattamento, quanto
anche di costruzione delle immagini. Quelle che potrebbero apparire
delle limitazioni – la sola location e il forte uso della parola –
non impediscono a Friedkin di lavorare su una ricerca del ritmo e
in generale della messa in scena degni di un maestro quale è lui.
Non è un film facile questo, specialmente se non si è amanti di
questo genere di opere, ma è davvero difficile staccare gli occhi
dallo schermo.
Il confine tra bene e male
Friedkin riesce dunque a rendere
appassionante la vicenda narrata, fornendo indizi, testimonianze,
prove o suggestioni che permettono di far emergere tutta
l’ambiguità e l’universalità di quanto proposto. Lo spettatore si
trova infatti a dover scegliere egli stesso da che parte stare, se
da quella dell’ufficiale Maryk o quella del capitano Queeg. Per
scegliere, occorre ascoltare quanto viene detto, cercare di
formulare il proprio giudizio, che può essere naturalmente
influenzato da innumerevoli fattori personali. Il regista sceglie
di rimanere volutamente ambiguo, proponendo sì una risoluzione dei
fatti ma concentrandosi sul far emergere, una volta di più, quel
confine tra bene e male e la sua facilità nell’oltrepassarlo, sia
in un senso che nell’altro.
Jacob Elordi ha
ottenuto il ruolo da co-protagonista in
Saltburn anche se la regista Emerald
Fennell non ha mai visto un episodio di Euphoria, la serie HBO che ha regalato a
Elordi il primo assaggio di fama.
Meglio conosciuto per aver
interpretato il personaggio di Nate Jacobs nel cast principale
della serie HBO, Jacob Elordi sarà sul grande schermo accanto a
Barry Keoghan (Gli spiriti dell’isola) in
Saltburn. Il film segue uno studente di Oxford di nome Oliver Quick
(Keoghan) che viene trascinato in un mondo sensuale di intrighi e
opulenza durante una visita alla sontuosa tenuta del suo
irresistibile compagno di classe Felix (Elordi).
Emerald Fennell
(vincitrice dell’Oscar per la sceneggiatura del suo debutto alla
regia Una donna promettente, e parte del cast di
Barbie) ha recentemente parlato con Vanity
Fair prima dell’uscita di Saltburn, prevista per il 24 novembre
negli USA, commentando il fatto che non ha mai visto un solo
episodio di Euphoria. Tuttavia, ha scelto Elordi
per un ruolo importante nel suo film grazie al provino
dell’attore:
“Ha offerto una performance incredibilmente potente, rilassata e
reale di una persona che potrebbe facilmente non essere reale. Puoi
capire perfettamente che nessuno sarebbe capace di resistere a
questa persona. Ma allo stesso tempo puoi anche capire che è anche
una sorta di illusione, un’illusione che altre persone proiettano
su di lui – e in realtà non è necessariamente particolarmente
speciale o interessante. Sembra proprio che lo sia.”
Woody Allen
presenta al Festival del cinema di Venezia il suo ultimo
film, Coup de Chance, un thriller romantico che sarà
il suo cinquantesimo e che potrebbe essere il suo ultimo film. Il
film in lingua francese, proiettato in uno dei maggiori festival
europei, rappresenta il continuo abbraccio reciproco tra il
regista e il continente, dice
Variety, dopo che le controversie legali che lo hanno visto
protagonista lo hanno allontanato dagli Stati Uniti.
“Ho così tante idee per i film
che sarei tentato di realizzarli, se fosse facile finanziarli
– ha spiegato Woody Allen – Ma oltre a ciò, non so se ho
la stessa verve di un tempo per andare a cercare i
fondi.”
Nel corso dell’intervista con
Variety, il regista ha anche ribadito il fatto di essere un
sostenitore del #MeToo. “Penso che qualsiasi
movimento in cui ci sia un beneficio reale, in cui si fa qualcosa
di positivo, in questo caso per le donne, sia una buona cosa.
Quando diventa sciocco, è sciocco. Ho letto casi in cui è stato
molto vantaggioso, in cui la situazione è stata molto vantaggiosa
per le donne, e questo è positivo. Quando leggo di alcuni casi in
un articolo sul giornale in cui il movimento diventa sciocco,
allora lo è.”
E quando gli viene chiesto di
spiegarsi meglio, Woody Allen risponde: “È sciocco, sai, quando
non è realmente una questione femminista o una questione di
ingiustizia nei confronti delle donne. Quando si è troppo estremi
nel cercare di trasformarlo in un problema quando, in realtà, la
maggior parte delle persone non considererebbe la situazione
specifica per nulla offensiva.”
E per quello che riguarda la sua
esperienza personale, Allen conferma di non aver mai ricevuto
lamentele riguardo ai suoi set e al suo modo di lavorare: “Non
ho mai ricevuto lamentele. Anni fa ho detto che avrei dovuto essere
un manifesto [del movimento #MeToo] e ne sono rimasti tutti
entusiasti. Ma la verità è che è proprio così. Ho realizzato 50
film. Ho sempre avuto ottime parti femminili, ho sempre avuto donne
nella troupe, le ho sempre pagate esattamente la stessa cifra che
pagavamo agli uomini, ho lavorato con centinaia di attrici e non ho
mai, mai avuto una sola lamentela da parte di nessuna di loro in
nessun caso. Punto. Nessuno ha mai detto: “Lavorando con lui, era
cattivo o molesto”. Questo non è stato un problema. I miei
redattori sono state donne. Non ho alcun problema con questo. Non è
mai stato nella mia mente in alcun modo. Assumo chi penso sia
adatto al ruolo. Come ho detto, ho lavorato con centinaia di
attrici, attrici sconosciute, star, attrici di medio livello.
Nessuno si è mai lamentato e non c’è niente di cui
lamentarsi.”
E sulla cancel culture e sull’eventualità di esserne vittima,
Woody Allen spiega: “Sento che se questa cultura vuole
cancellarti, allora va bene. Trovo che sia tutto così sciocco. Non
ci penso. Non so cosa significhi essere cancellato. So che nel
corso degli anni per me è stato tutto uguale. Faccio i miei film.
Ciò che è cambiato è la presentazione dei film. Sai, lavoro e per
me è la stessa routine. Scrivo la sceneggiatura, raccolgo i soldi,
realizzo il film, lo giro, lo monto, esce. La differenza non è
dovuta alla cultura dell’annullamento. La differenza è il modo in
cui presentano i film. È questo il grande cambiamento.”
Guillermo Del Toro ha fatto da regista di
riserva per il suo amico, il grande William Friedkin, durante le riprese
dell’ultimo film di Friedkin The Caine Mutiny
Court-Trial, presentato in anteprima mondiale al Festival
del cinema di Venezia.
Friedkin, morto il 7 agosto a Los
Angeles all’età di 87 anni, aveva bisogno contrattualmente di un
sostegno per poter realizzare il film, “È molto comune come
pratica, Hollywood è discriminatoria verso l’età”, ha detto la
produttrice Annabelle Dunne che ha deciso di non
rivelare la cosa fino alla conferenza stampa di presentazione al
Lido e ha raccontato che quando ha sollevato la questione con
Friedkin lui ha detto: “Lasciatemi pensare” prima di dirle che
aveva il nome: “Ok, tesoro, ho il ragazzo. Prendi una penna: è
Guillermo Del Toro, hai capito?”.
Quando Dunne ha poi contattato Del
Toro, che all’epoca stava promuovendo il suo
Pinocchio, le disse: “Verrò sul set ogni
singolo giorno e mi siederò accanto a te”. “È stata una gioia per
tutti noi, compresi gli attori, avere la sua presenza lì”, ha
ricordato. “Ha chiarito abbondantemente che era il film di
Billy. Ha detto che era la nostra mascotte.” Il film è
stato completato prima della morte di William Friedkin.
The Caine Mutiny
Court-Trial vede Kiefer Sutherland
nei panni del tenente comandante Queeg, sotto processo per
ammutinamento per aver usurpato il comando di una nave dopo che le
azioni del comandante di diritto erano state ritenute pericolose
per la nave e per il suo equipaggio.
L’ultimo film di William Friedkin della Republic Pictures
è basato sull’opera teatrale vincitrice del Premio Pulitzer di
Hermon Wouk. La storia è stata precedentemente
adattata per lo schermo in un film del 1954 di Edward
Dmytryk con Humphrey Bogart nel ruolo di
Queeg e in un film per la TV del 1988 diretto da Robert
Altman.
The Caine Mutiny
Court-Martial, distribuito da Paramount Global Content
Distribution, uscirà su Paramount+ questo autunno in tutti i
mercati internazionali in cui il servizio di streaming è attivo e
verrà trasmesso su Showtime negli Stati Uniti. Non sarà distribuito
nelle sale.
Alla conferenza stampa di
presentazione di Povere
Creature (leggi
la recensione) alla Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di Venezia 80, il regista
Yorgos Lanthimos ha detto che avrebbe davvero
desiderato che
Emma Stone fosse al Lido per parlare, tra le
altre cose, del fatto che Bella Baxter, il personaggio che
interpreta, ha molte scene di sesso nel film.
“È un peccato che Emma non
possa essere qui per parlarne di più”, ha detto il regista.
“Prima di tutto il sesso è una parte intrinseca del personaggio
del romanzo stesso, la sua libertà su tutto, compresa la sessualità
(…) In secondo luogo, per me era molto importante non fare un film
che fosse pudico, perché sarebbe stato come tradire completamente
il personaggio principale”, ha continuato. “Dovevamo essere sicuri
che Emma non dovesse vergognarsi del suo corpo, della sua nudità,
del coinvolgimento in quelle scene e lei lo ha capito
subito.”
“La cosa bella di me ed Emma è
che abbiamo realizzato quattro film insieme; c’è una scorciatoia e
possiamo comunicare senza dover spiegare o parlare molto delle
cose”, ha continuato a spiegare Lanthimos. “Appena
cominciavo a dire qualcosa su quelle scene, lei diceva: ‘sì’,
certo, è Bella. Faremo quello che dobbiamo fare”.
Basato sul romanzo omonimo di
Alasdair Gray,Povere
Creature è una storia ispirata a Frankenstein e
vede
Emma Stone nei panni di una giovane donna che viene
riportata in vita da uno scienziato (Willem
Dafoe) che le impianta il cervello del suo bimbo mai
nato. Nel film recitano anche
Mark Ruffalo, Ramy Youssef e
Jerrod Carmichael. Il film uscirà nelle sale
italiane il 25 gennaio 2024.
Damien Chazelle ha
reso omaggio al defunto William Friedkin in un commovente discorso al
Festival del cinema di Venezia, dove l’ultimo film di Friedkin,
The Caine Mutiny Court-Trial, è stato presentato
in anteprima fuori concorso tra calorosi applausi.
Friedkin, morto il 7 agosto a Los
Angeles all’età di 87 anni, aveva completato il film, che vede
Kiefer Sutherland nei panni del tenente comandante
Queeg, sotto processo per ammutinamento per aver usurpato il
comando di una nave dopo che le azioni del comandante di diritto
erano state ritenute pericolose per la nave e per il suo
equipaggio.
“Quando ho sentito per la prima
volta il nome Billy Friedkin ero un bambino, e il nome stesso mi ha
riempito di paura”, ha detto Chazelle, che presiede la giuria
di Venezia
80. “Probabilmente avevo in mente L’Esorcista. Non
avevo ancora visto il film, ma avevo visto le lettere scritte con
quel carattere e il suono della parola “Fried-kin” sembrava
suggerirmi i recessi più oscuri e proibiti dell’immaginazione. Il
genere di cose che ispirano incubi per il resto della tua
vita”, ha aggiunto Chazelle.
“Quindi per me William Friedkin
significava paura. Ma oggi penso al suo nome, e penso all’amore.
Penso all’amore per il cinema, all’amore per tutta l’arte e alla
visione di come le arti possano intersecarsi e informarsi a
vicenda. Una visione del cinema non separata, ma indissolubilmente
legata alla musica, alla letteratura, alla pittura. Ovviamente
all’opera”, ha sottolineato Chazelle. “Penso alla
gentilezza e alla generosità che mi ha mostrato quando avevo
iniziato a lavorare come regista”, ha continuato
Damien Chazelle raccontando che quando aveva
appena realizzato il suo film del 2014, Whiplash,
Friedkin lo ha invitato a casa sua.
“E non dimenticherò mai
l’esperienza di scoprire che un uomo responsabile di film che mi
hanno dato un pugno nello stomaco così spietato, come “Sorcerer”,
“French Connection”, “Cruising” e “Killer Joe”, era di persona così
affettuoso, così accogliente, così dolce, umile, amorevole.
Conoscere Billy e trascorrere del tempo con lui e Sherry [Lansing]
è stato uno dei più grandi onori della mia vita” ha continuato
il regista.
“Era impavido in ogni senso
della parola. Nei suoi film si ha la sensazione di un regista e dei
suoi personaggi che si spingono oltre i confini di ciò che è
possibile e alla fine li superano.“
L’ultimo film di William Friedkin della Republic Pictures
è basato sull’opera teatrale vincitrice del Premio Pulitzer di
Hermon Wouk. La storia è stata precedentemente
adattata per lo schermo in un film del 1954 di Edward
Dmytryk con Humphrey Bogart nel ruolo di
Queeg e in un film per la TV del 1988 diretto da Robert
Altman.
The Caine Mutiny
Court-Martial, distribuito da Paramount Global Content
Distribution, uscirà su Paramount+ questo autunno in tutti i
mercati internazionali in cui il servizio di streaming è attivo e
verrà trasmesso su Showtime negli Stati Uniti. Non sarà distribuito
nelle sale.
Ha avuto luogo a Venezia la nuova
edizione del FILMING ITALY BEST MOVIE AWARD, in
cui Tiziana Rocca, Direttore Generale Filming
Italy Award e Vito Sinopoli, Amministratore Unico
Duesse Communication e Presidente onorario del Premio, annunceranno
tutti i premiati di quest’anno. Il FILMING ITALY BEST MOVIE
AWARD conta sulla collaborazione e il supporto della
Biennale di Venezia e del Direttore Artistico
della Mostra internazionale d’arte cinematografica
di VeneziaAlberto Barbera, e gode del
patrocinio della Direzione Generale Cinemae Audiovisivodel MIC, di
ANEC, di ANICA e del
Centro Sperimentale di Cinematografia.
La giuria di qualità è composta da
diversi esponenti tra le eccellenze della cinematografia italiana:
Alberto Barbera, Direttore Artistico della
Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia;
Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema; Chiara
Sbarigia, Presidente di Cinecittà; Guglielmo
Marchetti, Presidente e AD di Notorious Pictures;
Tinny Andreatta, VP delle serie originali italiane
Netflix; Giampaolo Letta, VP e AD di
Medusa; il giornalista Antonello Sarno;
Maria Pia Ammirati, Direttore Rai Fiction;
Luciano Sovena, Presidente della Fondazione Roma
Lazio Film Commission; Nicola Maccanico, AD di
Cinecittà; Roberto Stabile, Responsabile delle
relazioni internazionali di ANICA; Massimiliano
Orfei, AD di Vision Distribution; Marta
Donzelli, Presidente del Centro Sperimentale di
Cinematografia; Mario Lorini, Presidente di ANEC;
Stefano Sardo, Presidente dell’Associazione
100autori; Franco Montini, Presidente del
Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI). Ecco
tutte le foto dei protagonisti che hanno sfilato sul red carpet del
lido:
Si è tenuta nella serata la
premiere del film Originale Netflix
The Killer di David Fincher in concorso a
Venezia
80. Assente il cast per via dello sciopero in corso ad
hollywood
Michael Fassbender,
Tilda Swinton, Charles Parnell, Arliss Howard, Kerry O’Malley,
Sophie Charlotte, Sala Baker.
Dopo un disastroso passo falso, un assassino sfida i propri
committenti, e se stesso, in una caccia all’uomo su scala globale
che giura non essere personale.
In merito al film il regista ha
commentato. The
Killer rappresenta il mio personale tentativo di
conciliare la visione che ho da anni delle storie cinematografiche
con la maniera di raccontarle. Penso da sempre che la frase: “Cosa
ci facevi a Chinatown?… Il meno possibile” sia la più riuscita
evocazione di una retroscena che io abbia mai sentito. Nutrivo
anche una certa curiosità per il genere revenge,
come strumento per creare tensione. Così quando il Sig. Walker ha
deciso di unirsi a noi e ha abbracciato le mie idee/domande sulle
ampie pennellate di senso che lasciano il posto all’invisibile
“espansione del momento”, ho capito che dovevamo inventarci
qualcosa. La risposta tre ore dopo del Sig. Fassbender: “Si,
facciamolo!” ci ha convinto entrambi, e, ovviamente, volevamo tutti
Tilda (Il Sig. Walker ha scritto la storia intorno a lei – ma per
favore non diteglielo, potrebbe diventare insopportabile se
scoprisse che letteralmente tutti pensano questo di lei).
Julio Cesar ha quasi quarant’anni e
vive ancora con sua madre, una donna colombiana dalla personalità
trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul
fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno
spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e
merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo
stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibrio precario rischia
di andare in crisi con l’arrivo di Ines, giovane ragazza colombiana
reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina. Tra
desiderio e gelosia la situazione precipita rapidamente, al punto
che Julio si troverà a compiere un gesto estremo, in un viaggio
doloroso che lo porterà per la prima volta nella sua terra di
origine.
“Prima la fisica e poi le
donne“: una battuta pronunciata da uno scienziato nel corso
del film Die Theorie Von Allem, presentato in
concorso a
Venezia 80, che strappa una risata al pubblico. Solo
il corso degli eventi del film di Timm Kröger ci
farà capire che questa frase potrebbe sintetizzare il conflitto del
suo protagonista, Johannes, un dottorando in
fisica che sta scrivendo la tesi finale da due anni con non poche
difficoltà e il cui percorso verso la laurea potrebbe venire
ulteriormente messo in crisi da una serie di doppi femminili.
Die Theorie Von Allem, la
trama
1962. Johannes
Leinert, insieme al suo consulente di dottorato, si reca a
un congresso di fisica sulle Alpi svizzere, dove uno scienziato
iraniano dovrebbe rivelare una “teoria rivoluzionaria della
meccanica quantistica”. Ma quando i fisici arrivano all’hotel a
cinque stelle, l’ospite iraniano non si trova da nessuna parte. In
assenza di una nuova teoria da discutere, la comunità dei fisici si
rivolge pazientemente allo sci. Johannes, invece,
rimane in albergo per lavorare alla sua tesi di dottorato, ma
presto si distrae, sviluppando una particolare attrazione per
Karin, una giovane pianista jazz. Qualcosa in lei sembra strano,
sfuggente. Sembra che lei sappia delle cose su di lui, cose che lui
pensava di conoscere soltanto. Quando una mattina uno dei fisici
tedeschi viene trovato morto, due ispettori arrivano sulla scena,
indagando su un caso di omicidio. Mentre nel cielo appaiono
formazioni nuvolose sempre più bizzarre, il pianista scompare senza
lasciare traccia e Johannes si ritrova trascinato
in una sinistra storia di falsi ricordi, incubi reali, amori
impossibili e un oscuro, ruggente mistero nascosto sotto la
montagna.
Una teoria di bianchi e neri
Timm Kröger, che è
stato per anni direttore della fotografia, usa la fotografia come
veicolo principale per la costruzione di un’atmosfera immersiva e
avvolgente, consacrata da un bianco e nero d’impostazione
estremamente classica. Dal punto di vista visivo e d’immaginario,
il film ha un’impronta precisa e sicura, che convince senza
sovrastare la narrazione, almeno in una prima parte.
Come la tesi di
Johannes, incentrata sulla probabilità e un’idea
venutagli in sogno, Die Theorie Von Allem ci
catapulta in un racconto di doppi, punti di vista differenti,
orbite sconosciute, intrecciando la declinazione di sci-fi che un
fortunatissimo prodotto televisivo sempre tedesco, Dark, ha portato in auge, alla
cospirazione e all’impianto da noir classico. Purtroppo, la sua
struttura sfilacciata e lacunosa, tanto quanto la tesi di Johannes
– idea di partenza più che brillante – fatica a tenere alta
l’attenzione dello spettatore, sempre più confuso sul ruolo che i
personaggi giocano nella storia.
Timm Kröger
assicura alla trama una notevole direzione degli attori, che
riescono quasi sempre a rimanere dei punti di riferimento per gli
spettatori, anche quando il tessuto narrativo inizia a vacillare.
Jan Bülow e Olivia Ross, in
particolare, convincono in una dinamica amorosa alla
Vertigo, che ci fa dubitare di ogni
immagine e parole pronunciate da questa famme fatale, una pianista
jazz, che potrebbe saperne molto più di lui di fisica. La loro
storia d’amore sopravvive all’ipertrofia semantica del film, che
sta sempre su un gradino più in alto dello spettatore, sul
cucuzzolo delle montagne svizzere, mentre rimaniamo intrappolati
nelle grotte sotteranee dove spazio e tempo divergono.
Presentato oggi in concorso a
Venezia
80, La bête, il film francese diretto
da Bertrand Bonello con Léa Seydoux e
George MacKay, entrambi assenti. Sul red ha sfilato il
regista e parte del cast.
In merito al film il regista ha
dichiarato: “Per prima cosa, volevo ritrarre una donna e occuparmi
di amore e di melodramma. Dopodiché, inserire il tutto nel cinema
di genere, visto che secondo me le storie d’amore e il cinema di
genere sono una buona combinazione. Ho voluto mescolare l’intimo e
lo spettacolare, classicismo e modernità, il noto e l’ignoto, il
visibile e l’invisibile. Parlare, forse, del più straziante dei
sentimenti, la paura dell’amore. Il film è anche il ritratto di
una donna, che diventa quasi documentario su un’attrice.”
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Bertrand Bonello
Nel film In un futuro prossimo in cui regna suprema
l’intelligenza artificiale, le emozioni umane sono ormai
considerate una minaccia. Per liberarsene, Gabrielle deve
purificare il suo DNA: si immerge quindi in vite precedenti, dove
rincontra Louis, suo grande amore. Ma la donna è vinta dalla
paura, un presagio che la catastrofe è vicina.
Fondato nel 1930 nella Francia
centrale, il ristorante della famiglia Troisgros detiene 3 stelle
Michelin da 55 anni e da quattro generazioni. Frederick
Wiseman racconta questa storia attraverso i membri della
storica brigata di cucina. Michel Troisgros, terza
generazione a capo del ristorante, ha passato la responsabilità
della cucina al figlio César, quarta generazione di chef Troisgros.
Dal mercato per la raccolta delle verdure fresche, all’impianto di
lavorazione del formaggio, al vigneto, all’allevamento di bestiame
biologico, fino all’orto che rifornisce il ristorante, Wiseman ci
accompagna in un viaggio goloso e piacevole nelle cucine dei tre
ristoranti della famiglia. Un’esperienza coinvolgente, che mostra
la grande maestria, l’ingegno, l’immaginazione e il duro lavoro
dello staff del ristorante nel creare, preparare e presentare
piatti di altissima qualità.
Michel Troisgros,
Léo Troisgros e Frederick Wiseman hanno presentato il film Fuori
Concorso a Venezia 80. Un film che ruota intorno al tema della
gastronomia e della cucina unito all’amore per la famiglia. Lo
stesso regista è affascinato da questo processo creativo e della
preparazione: “Penso che la preparazione e la creazione del
cibo siano una forma d’arte. Ogni piatto prima di lasciare la
cucina viene esaminato con cura da Michel e Leo e ho voluto
soffermarmi anche su questi piccoli dettagli come mettere in ordine
gli elementi sul piatto attraverso l’uso delle pinze da
cucina”.
Frederick Wiseman presenta Menus Plaisirs – Les
Troisgros
Anche dalla parte degli attori e
protagonisti di questa storia familiare hanno commentato la
collaborazione con il regista e sono rimasti colpiti dalla sua
dedizione al progetto. “Non conoscevo il cinema di Fred. Il
progetto è iniziato l’anno prima del Covid. È venuto a visitarci al
ristorante e ha incontrato mio figlio e ha amato il piatto che gli
hanno preparato dimostrando una certa attenzione al nostro mondo,
alla nostra eredità e alla nostra storia di famiglia. Ogni
generazione appartiene a questo mondo. Quando ci è venuto a trovare
subito dopo ci ha parlato del progetto. Poi ho recuperato tutti i
suoi film, ho visto Crazy Horse [ride]”., racconta Michel.
Un progetto che ha messo a dura
prova il regista con delle scene particolari e dettagliate sul
lavoro di preparazione dei piatti: “La famiglia mi ha dato il
permesso di girare e introdurmi ovunque, senza nessuna restrizione.
Le parti da girare in cucina sono state le più difficili perché
c’erano sempre molte persone e volevo essere sicuro di dare uno
sguardo accurato al loro lavoro all’interno della cucina. La
famiglia ci ha aiutato ad ottenere i permessi anche per gli ospiti
che venivano serviti durante il servizio. Ho voluto anche
soffermarmi su quello che riguarda la preparazione del piatto
quindi elementi di quotidianità come la spesa al mercato”.
La narrazione fuori dal ristorante è
stata necessaria per raccontare il dietro le quinte della
composizione e preparazione dei piatti e ha sottolineato ancora una
volta la cura e la dedizione al progetto da parte di Frederick
Wiseman: “È stata una parte importante perché fa parte del
nostro quotidiano perché è come se facessero parte della famiglia,
sono più dei compagni di viaggio che dei fornitori, sono la risorsa
che porta avanti il ristorante”.
Entrambe le parti si sono spesa
anima e corpo per la riuscita di Menus Plaisirs e anche per la brigata di
cucina è stato intenso condividere uno spazio così riservato con le
telecamere: “È stata una sfida anche per noi ma ci siamo
abituati. C’erano solo un paio di persone che si muovevano attorno
a noi mentre cucinavamo. Cercava di dare consigli per rendere la
scena sempre più fluida ma allo stesso tempo gli conferisce
rispetto e trasmette la complicità della squadra anche attraverso i
dialoghi. C’è molta intensità in cucina, Fred vuoel dare a vedere
la forza dei gesti nella successione tra le varie tecniche che si
accavallano in cucina, che seguono un certo ritmo” ha detto
Michel.
La storia della famiglia Troisgros
va avanti da moltissime generazioni e come racconta Leo, è una
passione che è cresciuta con il tempo: “La passione si è
trasmessa a noi dai nostri genitori davvero in modo naturale.
Abbiamo sempre visto fare questo all’interno della nostra famiglia,
siamo cresciuto così e questa passione si è ampliata crescendo. I
nostri genitori ci hanno permesso di farde moltissime esperienze
all’interno della haute cuisine e sono tutti molto
interessanti”.
Bertrand Bonello ha
presentato quest’oggi in conferenza stampa il suo nuovo film,
La Bête, melodramma sci-fi da una sceneggiatura
scritta insieme a Guillaume Bréaud e
Benjamin Charbit, liberamente ispirata al racconto
di Henry James del 1903 La bestia nella giungla. Il film è
interpretato da Léa
Seydoux e George MacKay, con Guslagie
Malanda e Dasha Nekrasova nei ruoli
secondari. È stato presentato in anteprima mondiale in concorso
ufficiale alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
2023 e sarà distribuito nelle sale francesi da Ad
Vitam il 28 febbraio 2024.
La trama del film è ambientata in un
futuro prossimo in cui le emozioni sono diventate una minaccia,
Gabrielle decide finalmente di purificare il suo
DNA in una macchina che la immergerà nelle sue vite passate e la
libererà da ogni sentimento forte. Incontra Louis
e sente un forte legame, come se lo avesse sempre conosciuto. La
storia si svolge in tre periodi distinti: 1910, 2014 e 2044.
Lo sci-fi di Bonello, tra amore e paura
La Bête costituisce
la prima incursione del regista francese nel genere
fantascientifico: “Avevo molti desideri per questo film, uno
tra questi era che sarebbe dovuto essere un melodramma. Il libro di
Henry James, che è stato per tantissimo tempo sulla mia scrivania,
mi è sembrato il perfetto punto di partenza, che ho poi combinato
con lo sci-fi, l’horror e altri generi. Ho pensato di dover portare
all’estreme conseguenze i temi dell’amore e della paura, questa è
stata la mia interpretazione e il modo in cui ho “tradito” il
romanzo“. La fantascienza non fa davvero parte della mia
cultura, è la prima volta che mi ci immergo come regista. Ho voluto
trovare una via di mezzo tra i grandi temi dello sci-fi e
l’apocalittico. Il mio film è ambientato nel futuro, ma un futuro
vicinissimo, il nostro domani: è il 2044. Ho voluto eliminare delle
cose del nostro presente: non c’è internet, non ci sono i
cellulare, gli schermi, non ci sono le macchine: ho cercato una
maniera personale di inventare un futuro“.
“La struttura del film è
complessa, come un gioco matematico, ma tutte le sequenze al suo
interno sono molto semplici. Tutte le emozioni proposte sono molto
semplici e basiche, anche quello che si dicono i personaggi, tutto
è molto più semplice rispetto ai miei altri film“. “Ci
sono due tipi di paura, paralizzante e che ti spinge a fare cose.
Ma la paura ci fa sentire vivi, è la parte migliore dell’umanità.
Ci fa voler agire, trovare delle soluzioni. Film sulla paura
dell’amore. Quando c’è amore c’è paura: la paura di perdere, di
qualcosa che finisca“.
La Bête: la minaccia dell’IA e il futuro del cinema
Bertrand Bonello ha anche affrontato il tema
dell’IA, e quanto questa possa essere vista come opportunità o
minaccia al contempo: “Quando ho iniziato a scrivere il
copione, mai mi sarei aspettato che sarebbe stato così attinente
alle attualiti discussioni sull’IA. Durante l’editing, abbiamo
capito pienamente quanto spaventoso fosse quello che avevamo
scritto”. è un mix di entrambe, sappiamo che potrebbe essere
utilissima in alcuni ambiti, come quello medico. Ma è uno
strumento, e gli strumenti diventano minaccia quando sono ormai più
grandi di noi: è tutta una questione di etica e morale“.
La Bête parla di futuro e di presente,
intrecciandoli costantemente. A questo proposito, il regista
francese ha riflettuto sullo stato attuale del cinema e su come
quest’arte cambierà, alla luce dei recenti avvenimenti che hanno
interessato l’industria. “I capolavori della Settima Arte sono
nati da momenti di crisi. Il cinema non morirà mai, il modo di
vedere i film cambierà e non so come ma, se li vorremo vedere, ci
sarà il modo. Ovviamente siamo tutti preoccupati, è sempre più
difficile ottenere i fondi per far partire una produzione.
C’è stato un momento, soprattutto durante il covid, che il pubblico
ha iniziato ad allontanarsi dal cinema e avvicinarsi alle serie. In
questo momento ci sono dei problemi interni all’industria del
cinema, non so cosa succederà, ma non penso che il cinema
morirà“.
Reduce dalla vittoria del Gran
Premio della Giuria alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica
di Venezia con L’ufficiale e la
spia, Roman Polanskitorna al Festival,
stavolta fuori concorso, con The
Palace. Il film segna inoltre il suo ritorno al
genere della commedia satirica e dissacrante, da cui
sostanzialmente mancava dal 2011, anno di Carnage.
Questo nuovo lungometraggio, da Polanski scritto insieme a
Jerzy Skolimowski (regista del recente EO) e Ewa
Piaskowska, va dunque a riunire un gruppo di ricchi
viziati all’interno di un unico ambiente, con l’intento di portare
alla luce tutto il loro squallore.
Benvenuti al The Palace
Il racconto si svolge dunque
all’interno del Palace Hotel, uno straordinario castello progettato
all’inizio del 1900 che si trova nel bel mezzo di una valle
svizzera innevata, dove ogni anno convergono da tutto il mondo
ospiti ricchi e viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La
festa di Capodanno 2000 li ha ora riuniti tutti in un evento
irripetibile. Al servizio delle loro stravaganti esigenze c’è uno
stuolo di camerieri, facchini, cuochi e receptionist.
Hansueli (Oliver Masucci),
zelante direttore dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima
dell’arrivo degli ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del
nuovo millennio, non sarà la fine del mondo, nonostante le paure
nei confronti del Millennium Bug.
Fortunato Cerlino John Cleese Oliver Masucci in una scena di The
Palace. Foto di M. Abramowska.
Un film dalle buone premesse…
C’era grande attesa per questo nuovo
film di Polanski, capace come pochi di mettere davvero alla berlina
i suoi personaggi e l’umanità tutta. Le premesse di
questo The Palace facevano inoltre immaginare una
nuova cinica rappresentazione di un’alta società ultimamente molto
spesso posta in ridicolo (si veda ad esempio Triangle of Sadness,
con cui certamente The Palace dovrà scontrarsi in un
insensato paragone). Probabilmente nessuno si aspettava però di
trovarsi di fronte ad un film così spiazzante, purtroppo in senso
negativo. Perché The Palace non ha per nulla l’aspetto di
una pungente satira, bensì di un’opera che non sa sfruttare il
proprio potenziale.
Perché va riconosciuto che l’idea
alla base del racconto è del tutto propria del cinema di Polanski,
con questo luogo chiuso che impedisce ogni contatto con l’esterno e
costringendo quanti all’interno a relazionarsi con sé stessi e con
gli altri con cui non vorrebbero avere a che fare. Diversi sono
inoltre i personaggi che sfoggiano da subito un certo fascino e
potenziale comico, basti pensare al ricco Bill Crush di Mickey Rourke o
al direttore dell’albergo Hansueli, per non dimenticare il Tonino
di Fortunato Cerlino o l’Arthur William Dallas III
di John Cleese, protagonista probabilmente del
segmento narrativo più divertente.
Ciò che poi va riconosciuto a
Polanski è la capacità di tenere in equilibrio questa grande
varietà di protagonisti, passando dall’uno all’altro con grande
disinvoltura ed eleganza. Polanski si aggira quasi con fare
documentaristico tra i corridoi e gli spazi del Palace Hotel,
indagando quanto avviene ai suoi ospiti. Assistiamo così ad una
serie di microepisodi dai quali è intenzione del regista far
emergere tutta una serie di sfumature sull’umanità alla fine del
millennio, che tramontando sembra portare la notte anche su
un’intera generazione, le sue paure e i suoi vizi.
Milan Peschel in una scena di The Palace. Foto di M.
Abramowska.
… che non vengono però mantenute
Che Polanski si sia divertito a
realizzare The Palace si percepisce ed è sempre bello
vedere un regista che, anche a 90 anni da poco compiuti, sa
infondere una tale passione nel proprio lavoro. Qualcosa deve
essere andato storto in fase di produzione, tuttavia, poiché il
film inizia, si svolge e finisce senza che vi sia stato un arco
evolutivo particolarmente significativo, senza che si sia proposta
una reale critica nei confronti di quanto vediamo. Certo, Polanski
non è sguaiato come lo è RubenÖstlund, regista appunto di
Triangle of Sadness, e dunque il suo messaggio può
presentarsi in modo più tacito. Ma in questo caso, tuttavia, questo
manca proprio di arrivare a destinazione.
Più che una satira nei confronti di
questa classe sociale, del film si potranno ricordare una serie di
gag piuttosto grottesche, che stanno già portando a definire
The Palace come “il cinepanettone di Polanski”.
Se fare tale accostamento risulta davvero facile, più difficile è
capire cosa possa essere accaduto ad un regista sempre così attento
a ciò che avviene sul proprio set. Ciò che è certo, è che The
Palace manca nel far ridere, manca nel riuscire a dire
qualcosa di nuovo sull’argomento trattato e manca di dotarsi di una
messa in scena che si possa dire memorabile. Il risultato è dunque
un film molto sottotono, che si spera possa venire rapidamente
messo in ombra dall’arrivo di un nuovo lungometraggio del Polanski
che tutti conosciamo e amiamo.
Il nuovo film di David
Fincher, The Killer, è tra i titoli più
attesi della
Mostra del Cinema di Venezia 2023. Il regista di
Fight Club e Zodiac ha raccontato quest’oggi in conferenza stampa
il suo nuovo progetto, dalla scelta di Michael Fassbender come “protagonista
perfetto”, alla sinergia tra ogni reparto per creare il ritratto
perfetto di un killer metodico, apparentemente ineccepibile, che
non lascia spazio all’empatia ma di cui, paradossalmente attraverso
pochissime parole, scopriremo tanto.
The Killer è un
film d’azione psicologico neo noir americano diretto da David
Fincher da una sceneggiatura di Andrew Kevin
Walker, basato sull’omonima serie di graphic novel
francese scritta da Alexis “Matz” Nolent e
illustrata da Luc Jacamon. Il film è interpretato
da Michael Fassbender nel ruolo dell’assassino protagonista, che
viene coinvolto in una caccia all’uomo internazionale dopo un colpo
andato male. Arliss Howard, Charles
Parnell, Kerry O’Malley, Sala
Baker, Sophie Charlotte e Tilda
Swinton appaiono in ruoli secondari. Sarà distribuito in
sale limitate il 27 ottobre 2023, prima di approdare su Netflix il 10 novembre 2023.
The Killer: il codice dell’assassino
David Fincher ha
svelato cosa lo ha spinto a creare una versione tanto peculiare di
un serial killer: “Ho usato tante altre volte il voice over nei
film: mi piace come strumento narrativo ma, in questo caso, ho
aggiunto un tassello ulteriore. Mi sono chiesto se quello che ci
racconta il personaggio è effettivamente vero. Tramite il
voiceover, il killer crea in un qualche modo un suo codice, si
impone di non allontanarsene mai, eppure sarà costretto a
improvvisare nel corso del film. Quando c’è il voice over,
le scene sono molto più rigorose, quando questo manca, cambia lo
stile e la fotografia. C’è una scissione tra il suo mantra e il comportamento che
deve aggiustare in corso d’opera“.
Michael Fassbender, tra imperturbabilità ed eleganza
Michael Fassbender, interprete duttile, capace
di straordinarie azioni fisiche mantenedo sempre compostezza ed
eleganza, torna con un ruolo da protagonista in The
Killer: “Michael ha un set di skills incredibili, il
nostro interprete doveva essere in grado di muoversi dentro uno
spazio piccolissimo ma raccontandoci tanto, e Michael è il tipo di
attore che riesce a tirare fuori tutte le sfumature necessarie in
ogni sequenza“. “Non avevo bisogno di qualcuno che facesse
paura anche a livello estetico, ma che sembrasse rigoroso. Non
capiamo che quello che ripete ogni giorno è un mantra finchè non
arriviamo al secondo omicidio. Pian piano, il mantra viene
modificato, interrotto da qualcuno che arriva nella stanza ad
esempio. Michael è riuscito a inglobare la totalità dei significati
che il killer rappresenta“.
Il sound editing di The Killer
La musica occupa una parte
fondamentale nella routine del killer e nella diegesi: “Il mio
approccio è stato molto diverso rispetto a Fight Club, soprattutto
per quanto riguarda la colonna sonora, il sound editing. Questa
volta volevamo sfruttare la lente dell’intimità per entrare nel
mondo del killer. Non volevo nemmeno che si sentissero i suoi
vocalizzi“. “Gli Smiths sono stati un’aggiunta della
post-produzione. Adoravo l’idea che potessimo usare la musica per
incanalare le sue ansie o aiutarlo a meditare. La musica è la
nostra finestra sulla sua personalità“.
Fincher ha inoltre sottolineato come il lavoro di
sound design di The Killer sia stato completamente
innovativo rispetto alle sue altre produzioni: “Volevo dare
un’idea quasi documentartista. In un montaggio normale, non si
avvertono quasi i tagli, le immagini sono fluide. Qui, abbiamo
voluto sfidare questa estetica rendendo molto più netto l’editing,
in modo da aumentare il senso di ansia e disagio“.
Alla domanda se il codice del killer
e quello del regista coincidano, Fincher ha
risposto: “In un certo senso sì. Hai in entrambi i casi una
posta in gioco molto alta, tecnologie avanzate. Così come il killer
è maniacale, volevo concepire qualcosa che, nella sua semplicità,
fosse mentalmente estenuante per lo spettatore. Tutto dipende da
come scegli di raccontare un punto di vista e fare immergere lo
spettatore nella vicenda“.