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Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

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Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

Disney+ ha svelato che la giovane donna di Fuoco Ember e il ragazzo di Acqua Wade del film Disney e Pixar Elemental arriveranno sulla piattaforma streaming dal 13 settembre. Lo stesso giorno debutteranno anche il documentario sul making-of Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental e il cortometraggio dei Pixar Animation Studios L’appuntamento di Carl con l’amatissimo cane parlante Dug. È disponibile la key art che celebra l’imminente arrivo in streaming di Elemental.

Dopo l’uscita al cinema quest’estate, il lungometraggio originale Disney e Pixar Elemental è tra i 10 film di maggior successo del 2023 a livello mondiale, con un incasso di 480 milioni di dollari. Ambientato a Element City, dove gli elementi – Fuoco, Acqua, Terra e Aria – vivono insieme, il lungometraggio originale introduce Ember, la cui amicizia con un ragazzo di nome Wade, divertente e sdolcinato, mette alla prova le sue convinzioni sul mondo in cui vivono. Elemental è diretto da Peter Sohn e prodotto da Denise Ream p.g.a., mentre Pete Docter è il produttore esecutivo. La sceneggiatura è di John Hoberg & Kat Likkel e Brenda Hsueh, con un soggetto di Sohn, Hoberg & Likkel e Hsueh.

Nella versione italiana del film, prestano le proprie voci Valentina Romani nel ruolo di Ember, una brillante ragazza di Fuoco sulla ventina con un grande senso dell’umorismo che ama la sua famiglia ma che a volte si infiamma facilmente; Stefano De Martino nel ruolo di Wade, un attento ed empatico ventenne di Acqua che non ha paura di mostrare le proprie emozioni, che sono difficili da non notare; Serra Yilmaz nel ruolo della mamma di Ember, Cinder; e Hal Yamanouchi nel ruolo del padre di Ember prossimo alla pensione, Bernie. Inoltre, Francesco Bagnaia, pilota motociclistico e campione del mondo in carica di MotoGP, interpreta uno speciale cameo nel ruolo di “Pecco”.

Il regista Pixar Peter Sohn accompagna gli spettatori in un viaggio personale e divertente alla scoperta di ciò che ha ispirato la creazione del lungometraggio Disney e Pixar Elemental. Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental ripercorre il viaggio dei suoi genitori dalla Corea a New York, esplora l’ex negozio di alimentari del padre nel cuore del Bronx e approfondisce la sua scelta di intraprendere una carriera nell’animazione, piuttosto che nell’attività di famiglia. Il documentario è un piacevole approfondimento sulle influenze inaspettate che hanno portato alla realizzazione di Elemental. Good Chemistry è diretto da Tony Kaplan e prodotto da Sureena Mann.

Scritto e diretto dal candidato all’Academy Award® e vincitore dell’Emmy® Bob Peterson e prodotto da Kim Collins, il nuovo corto L’Appuntamento di Carl vede Carl accettare con riluttanza di andare a un appuntamento con un’amica, ma senza avere idea di come funzionino gli appuntamenti al giorno d’oggi. Dug, da sempre un amico disponibile, interviene per calmare l’agitazione di Carl prima dell’appuntamento e per offrirgli alcuni affidabili consigli su come fare amicizia… se sei un cane. Il nuovo cortometraggio, che ha debuttato nelle sale il 21 giugno insieme a Elemental, si aggiunge alla collezione di cortometraggi già disponibile su Disney+, Una vita da Dug, che segue le divertenti disavventure dell’adorabile cucciolo con il collare high-tech

Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

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Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

Netflix rilascia il trailer della terza parte di Lupin, svelando un primo sguardo sulla serie francese fenomeno globale. Il gentiluomo più ricercato della Francia farà il suo ritorno dal 5 ottobre in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.

In questi nuovi 7 episodi Omar Sy tornerà nel ruolo di Assane Diop al fianco di Ludivine Sagnier, Antoine Gouy, Soufiane Guerrab e Shirine Boutella. Creata da George Kay in collaborazione con François Uzan, la serie è diretta da Ludovic Bernard, Podz (Daniel Grou) e Xavier Gens e prodotta da Gaumont.

Lupin – parte terza, la trama

Assane ora è in clandestinità e deve imparare a vivere lontano dalla moglie e dal figlio. Le sofferenze che lui stesso ha causato lo spingono a tornare a Parigi con una folle proposta: abbandonare la Francia e ricominciare da capo altrove. Ma gli spettri del passato sono sempre dietro l’angolo e un ritorno inatteso sconvolgerà i suoi piani.

Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

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Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

Paramount+ ha annunciato oggi la terza stagione dell’acclamata serie originale drammatica MAYOR OF KINGSTOWN (leggi la recensione della seconda stagione), interpretata dal candidato all’Oscar Jeremy Renner. Creata dal candidato all’oscar Taylor Sheridan insieme a Hugh Dillon, la serie originale è prodotta da MTV Entertainment Studios e 101 Studios in esclusiva per Paramount+.

MAYOR OF KINGSTOWN è una delle fiction originali più performanti del servizio di streaming e, durante il periodo di disponibilità in piattaforma, è stata terza solo alle altre serie di successo di Sheridan, 1923 e TULSA KING.

MAYOR OF KINGSTOWN segue la famiglia McLusky, mediatori di potere a Kingstown, Michigan, dove il business dell’incarcerazione è l’unica industria fiorente. Affrontando i temi del razzismo sistemico, della corruzione e dell’ineguaglianza, la serie offre uno sguardo crudo sul loro tentativo di portare ordine e giustizia in una città che non ha né l’uno né l’altro.

Tra i produttori esecutivi, oltre a Sheridan e Dillon, anche Renner, Antoine Fuqua, David C. Glasser, Ron Burkle, Bob Yari, Michael Friedman, Dave Erickson e Regina Corrado. MAYOR OF KINGSTOWN fa parte del palinsesto in continua crescita di Sheridan su Paramount+, che comprende SPECIAL OPS: LIONESS, 1923, 1883, TULSA KING e le prossime serie LAWMEN: BASS REEVES e LAND MAN. La prima e la seconda stagione di MAYOR OF KINGSTOWN sono disponibili in esclusiva su Paramount+.

Venezia 80: spariti i poster di Maestro e The Killer di fronte all’Excelsior

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Chi, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia si muove in bici lungo il Lido, sa bene che venire derubati del proprio mezzo di trasporto è una possibilità. Nel corso degli anni sono stati tanti i report e i racconti in merito, ma quest’anno i ladri lidensi sembrano essersi specializzati in… poster.

Apprendiamo da Deadline che sei poster di Maestro e di The Killer sono scomparsi lunedì sera dagli espositori posti di fronte all’Excelsior, lasciando i membri dello staff di Netflix di stucco, a chiedersi se le sparizioni fossero il risultato di un furto da parte di fan troppo zelanti o ci fosse dietro una qualche forma di protesta non meglio rivendicata verso i film targati N rossa presenti nella Selezione Ufficiale. Martedì, è stata cura dello streamer aggiungere altri poster, tuttavia il dubbio rimane.

C’è stato un tempo, ormai passato, che i film targati Netflix non erano visti di buon occhio nel circuito dei festival, ma è chiaro che non è il caso di Venezia, tra le prime grandi kermesse dedicate al cinema che hanno aperto le porte a queste produzioni. Sembra quindi più probabile che dei fan di Bradley Cooper e di Michael Fassbender abbiano voluto portare a casa dei souvenir speciali da Venezia 80. L’organizzazione del festival non ha commentato l’accaduto.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), recensione della serie tv di Jasmila Žbanić

La showrunner Jasmila Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi fuori concorso a Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie insieme a Damir Ibrahimović, con Alen Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una famiglia e una società

L’ultimo caso di Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single, colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino, venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.

znam kako dišeš (2023)

L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić

Fino a che punto comprendiamo veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro? Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), che si propone come una precisa riflessione sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio di preservare la nostra stessa dignità.

Nei primi due episodi di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si annidano anche tra le mura delle nostre case.

Ciò che contraddistingue in modo particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca della verità. La recitazione di Djuricic e Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic, seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante. Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia, al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la realtà che forse non conosciamo i nostri cari così approfonditamente come pensavamo.

Penélope Cruz protagonista de I Giorni dell’Abbandono da Elena Ferrante

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Penélope Cruz è stata scelta per interpretare la protagonista dell’adattamento de I Giorni dell’Abbandono, di Elena Ferrante. Il film sarà diretto da Isabel Coixet, una delle più acclamate registe spagnole, The Bookshop, Elegy, My Life Without Me. È stata premiata con dieci Goya, più di qualsiasi altra regista donna nella storia della Spagna. La sceneggiatura è affidata a Laurence Coriat, sceneggiatrice francese, nota soprattutto per il suo lavoro con Michael Winterbottom.

Già nel 2005, Roberto Faenza aveva adattato il romanzo, dirigendo Margherita Buy nei panni della protagonista della storia.

Una donna ancora giovane, serena e appagata, tutt’altro che inattiva nel cerchio sicuro della famiglia, viene abbandonata all’improvviso dal marito e precipita in un gorgo scuro e antico. Rimasta con i due figli e il cane, profondamente segnata dal dolore e dall’umiliazione, Olga, dalla tranquilla Torino dove si è trasferita da qualche anno, è risucchiata tra i fantasmi della sua infanzia napoletana, che si impossessano del presente e la chiudono in una alienata e intermittente percezione di sé. Comincia a questo punto una caduta rovinosa che mozza il respiro, un racconto che cattura e trascina fino al fondo più nero, più dolente dell’esperienza femminile.

LOTUS PRODUCTION – Una società Leone Film Group

Lotus Production è una casa di produzione cinematografica e televisiva guidata da Raffaella Leone e Andrea Leone e controllata da Leone Film Group, società operante nel mercato cinematografico e audiovisivo e quotata sul mercato AIM Italia dal 2013. Affermata e riconosciuta anche a livello internazionale, Lotus ha prodotto negli anni film e serie TV di successo, collaborando con alcuni tra i principali autori italiani, tra cui Paolo Genovese, Gabriele Muccino e Paolo Virzì. Dopo aver prodotto titoli del calibro di Perfetti sconosciuti, La pazza gioia, e A Casa tutti bene e A casa tutti bene – La serie saranno presto disponibili su Disney+ due importanti progetti targati Lotus: l’adattamento televisivo del bestseller I leoni di Sicilia di Stefania Auci, diretto da Paolo Genovese e Uonderbois, serie tv urban fantasy diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano. Su Sky è in arrivo la nuova stagione di A casa tutti bene – La serie, diretta da Gabriele Muccino. Nell’aprile 2022 è stata aperta una nuova divisione della società diretta da Elisa Ambanelli e dedicata allo sviluppo di progetti di intrattenimento unscripted con focus su documentari, docu-serie e format tv originali e d’acquisto.

Penélope Cruz

Penélope Cruz, vincitrice di un premio Oscar e tre volte candidata all’Oscar, è una delle attrici più versatili dei nostri giorni. Tra i suoi ruoli passati figurano DON’T MOVE, VOLVER, VICKY CRISTINA BARCELONA e NINE. Nel 2021 ha recitato in Madres paralelas di Pedro Almodóvar, per il quale è stata candidata all’Oscar per la migliore attrice e ha vinto la Coppa Volpi per la migliore attrice alla Mostra del Cinema di Venezia del 2021. Recentemente la Cruz è stata ha recitato nel thriller sociale ON THE FRINGE di Juan Diego Botto e in L’IMMENSITA di Emanuele Crialese. Prossimamente sarà protagonista di FERARRI di Michael Mann, accanto ad Adam Driver e Shailene Woodley.

MOONLYON

Nel 2022, Penélope Cruz ha collaborato con la CEO di MediaPro Studio, Laura Fernández Espeso, per lanciare la sua casa di produzione chiamata Moonlyon. Questa azienda internazionale e indipendente si concentrerà sulla produzione di contenuti premium non fiction e drammatici. L’obiettivo dell’azienda è quello di produrre e distribuire storie diverse provenienti da tutto il mondo, con il supporto dell’infrastruttura globale e della posizione internazionale di MediaPro. Con 25 anni di esperienza nell’industria dei contenuti e 56 sedi internazionali in tutto il mondo, MediaPro ha una forte influenza nel mercato della produzione in Spagna e in Europa e assisterà nella distribuzione e nelle vendite.

The Penitent – A Rational Man: recensione del film di e con Luca Barbareschi #Venezia80

Il primo film statunitense di Luca Barbareschi, The Penitent – A Rational Man, è ispirato ad un caso di cronaca, quello di Vitali Tarasoff, psicanalista rimasto vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango causata da una comunicazione pilotata. Un caso complesso, dove la Corte Suprema della California ha infine stabilito che un professionista della salute mentale ha un dovere non solo nei confronti di un paziente ma anche nei confronti degli individui che possono essere minacciati da quel paziente. Un caso, dunque, che solleva l’interrogativo di quando sia lecito o necessario rompere il silenzio e scegliere di proteggere piuttosto che rispettare il segreto professionale.

Su questa vicenda il drammaturgo e sceneggiatore David Mamet ha scritto un testo teatrale, lavorando a partire dalle domande suscitate da tale caso. Un testo su cui Barbareschi ha già lavorato, portandolo in teatro, e che ora ha scelto di adattare per il cinema, ritenendolo quantomai attuale e urgente. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film è infatti fortemente radicato nel nostro contemporaneo e diventa dunque l’occasione per riflettere sulla cancel culture, sul ruolo dei media nella sua crescente popolarità e su dove questi e altri aspetti inerenti il politicamente corretto stiano portando la società attuale.

The Penitent – A Rational Man, la verità di un uomo

Ambientato in una New York, che rimane però sempre sullo sfondo, il film ha per protagonista uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh (Luca Barbareschi), che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

In completo ascolto dei personaggi

Nel raccontare questa storia, Barbareschi vuole andare dritto al sodo, concentrandosi su poche ma lunghe scene, ambienti unici e un massimo di due o tre attori in scena. The Penitent – A Rational Man mantiene dunque una forte impostazione teatrale, che porta lo spettatore a passare da un ambiente all’altro e in esso assistere allo scontro tra il protagonista con alcune persone a lui vicine, dalla moglie Kath (interpretata da Catherine McCormack) all’avvocato Richard (ruolo ricoperto da Adam James), fino al PM (che ha il volto di Adrian Lester).

Personaggi stretti in ambienti ora claustrofici ora ampi e asettici, ma sempre pensati secondo una volontà di esteriorizzare ciò che si agita all’interno dell’animo dei personaggi. Si ha modo di notare tutto ciò e il modo in cui Barbareschi costruisce una certa distanza o freddezza tra i personaggi grazie dunque a queste scene che si prendono il loro tempo per raccontare quanto necessario. The Penitent – A Rational Man non offre di certo un ritmo incalzante, cosa che ne rende ostica la visione, ma è una scelta che trova spiegazione nella volontà del regista di andare al cuore di questi personaggi e delle loro vicende.

The Penitent - Luca Barbareschi Adrian Lester
Luca Barbareschi e Adrian Lester in una scena di The Penitent – A Rational Man. Foto di F. Di Benedetto.

Un film senz’anima, che sacrifica i propri aspetti migliori

Esteticamente, dunque, Barbareschi conferisce al film una precisa impronta, che può o meno piacere in base ai propri personali gusti cinematografici. Ciò che invece risulta obiettivamente funzionare meno è il modo in cui si sceglie di affrontare i dialoghi, i quali troppo spesso scadono nel didascalico o comunque difficilmente capaci di risuonare sinceri sullo schermo cinematografico così come magari potrebbero farlo invece a teatro. Si ha inoltre talvolta la sensazione che il racconto non riesca a progredire come dovrebbe, perdendosi spesso e volentieri in accuse contro la cancel culture che, al di là della loro condivisibilità o meno, distolgono da altri ben più interessanti aspetti del film.

Il principale tra questi è probabilmente il rapporto di Hirsch con la fede ebbraica e con Dio, il modo in cui si può o meno interpretare la parola divina e come essa trova applicazione nella realtà. Aspetti complessi, che un film che si prende i tempi necessari come questo avrebbe potuto esplorare meglio. L’obiettivo sembra però quello di proporre riflessioni sulla pericolosità di un pensiero che cancella ciò che non va bene e di come in assenza di un controllo di ciò si può rischiare una nuova dittatura. Questioni certamente attuali, importanti e urgenti, ma che così affrontate non trovano il giusto valore e non lasciano spazio ad altro, portando così il film ad essere privo di una vera anima.

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Scritto e diretto dalla candidata all’Oscar Ava DuVernay, Origin si ispira alla straordinaria vita e al lavoro della scrittrice premio Pulitzer Isabel Wilkerson (Aunjanue Ellis-Taylor), mentre scrive il suo libro Caste: The Origin of Our Discontents. Alle prese con un’immane tragedia personale, Isabel intraprende un percorso di indagine e scoperta globale. Nonostante la portata colossale del suo progetto, trova la bellezza e il coraggio di scrivere uno dei libri americani più importanti del nostro tempo. DuVernay racconta in modo emozionante la sua storia dal forte simbolismo non solo metaforico – che scoppia nel suo finale – ma anche nel concreto.

La premessa iniziale presenta l’omicidio di Trayvon Martin come parte integrante di un pensiero che la stessa regista insieme a Wilkerson hanno portato avanti per il lungometraggio. Quella è davvero la voce dell’assassino di Martin che chiama il 911. Si tratta di una registrazione, usata all’inizio del film, di George Zimmerman prima che sparasse e uccidesse il ragazzo, un adolescente che tornava a casa da un minimarket in Florida nel 2012. A Martin, infatti, è dedicata la prima inquadratura di Origin e anche la chiusura.

Origin, la trama

Cosa succede quando non ti uniformi al sistema? Il lungometraggio di Ava DuVernay torna più volte sull’argomento e vuole andare oltre alla semplice risposta: “Bisogna comportarsi in modo da non mettersi in pericolo”. Nelle sue due ore di storia tra perdite e lutti, l’intento di Isabel è quello di scoprire l’origine di un mondo che fa delle diversità un nemico da combattere. In alcuni tratti, soprattutto sul finale molto didascalico, la ricerca di Wilkerson durante la stesura del suo romanzo cerca una connessione tra nazismo, schiavitù e sistema delle caste. Così come in Mangia, Prega, Ama, Isabel intraprende questo viaggio mentre la sua vita privata si sgretola in mille pezzi.

Un viaggio dove passato e presente si accavallano, mentre Isabel affronta momenti belli ma anche difficili. Si parte dalla Germania e dalle trascrizioni di alcuni incontri di soldati delle SS per cercare una connessione tra i regimi totalitari. In una scena del film che si svolge in Germania, Isabel ha un confronto con una amica ebrea, una conversazione per cercare una connessione tra le forse di razzismo che diventa una gara a chi ha sofferto di più. Gli ebrei sono stati perseguitati, gli schiavi venduti come oggetti. Un botta e risposta che poi trova la sua conclusione: è vero, in modo totalmente diverso, questi due momenti storici hanno la loro connessione. Il regime totalitario si è ispirato alle leggi di Jim Grow per collegarle all’Olocausto. A queste immagini vengono anche contrapposti frammenti di storie reali come per esempio la storia d’amore tra August e Irma, un membro tedesco del Partito Nazista e una donna ebrea.

La deferenza

Ci spostiamo poi in America, cercando ancora informazioni per il libro da scrivere. Siamo a metà film e la ricerca inizia a dare i suoi frutti per la stesura del romanzo. Torna allora il tema della schiavitù ma questa volta tramite la lente di Ava DuVernay e Isabel Wilkerson viene introdotto il tema della deferenza, la condiscendenza rispettosa nei confronti dell’altrui volontà. Vediamo il mondo con due lenti diverse: un poliziotto che fa la ronda nel quartiere popolato da soli bianchi è un amico, una autorità che protegge. Ma subito dopo vediamo la stessa scena con occhi diversi, cambiamo quartiere e mentre dei ragazzi afroamericani giocano a pallone la stessa ronda diventa più oscura, lo sguardo del poliziotto si acciglia come se fiutasse il pericolo.

Arriviamo alla parte finale di questo viaggio, dove tutto è iniziato: in India. Il razzismo non è un problema di razza ma di caste esclusive. Un road movie che viene tirato avanti da due filoni: da una parte la stesura del libro che serve allo stesso modo a Isabel per incanalare il dolore per la perdita delle persone a lei care e riuscire ad affrontarlo. Non esiste arma migliore, non voltare le spalle al dolore ma prenderlo di petto.

“Un mondo senza caste renderebbe tutti liberi”.

Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

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Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

Ecco una clip in esclusiva dal cortometraggio DIVE di Aldo Iuliano, presentato domani in concorso nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

https://www.youtube.com/watch?v=dsQGVRLAnrs

DIVE di Aldo Iuliano, prodotto da NewGen Entertainment con Greif Production in collaborazione con Rai Cinema, Mompracem, Daitona e Aldo Iuliano, sarà in concorso domani 7 settembre nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il cortometraggio è diretto da Aldo Iuliano (Penalty, Space Monkeys) e interpretato dai giovani e promettenti Danyil Kamenskyi e Veronika Lukyanenko.

Dive è la favola di Roman e Julia, due adolescenti contemporanei che giocano in spiaggia desiderosi di lasciarsi andare alle proprie emozioni e ai propri sentimenti. I loro sguardi e i loro gesti annullano il tempo e lo spazio, il mare partecipa alla loro complicità ma l’incanto non è eterno, e la realtà irrompe prepotente nelle loro vite, stravolgendole per sempre.

“Volevo ritrarre un tuffo nei sentimenti più innocenti che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita – dichiara il regista – quelli che ci rendono vivi nel senso più positivo del termine, in un mondo che sta perdendo la propria umanità. Dive è una stretta al cuore per ricordarci chi siamo, nel bene e nel male”.

Il soggetto e la sceneggiatura portano la firma di Severino Iuliano, la fotografia è di Daniele Ciprì, il montaggio di Marco Spoletini.

“Racconto il controcampo dell’immigrazione”, Matteo Garrone presenta Io Capitano a Venezia

Il regista Matteo Garrone arriva per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film, Io Capitano (qui la recensione), storia dell’avventuroso viaggio di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Io Capitano, una storia che arriva da lontano

“La storia mi è venuta in mente diversi anni fa, quando mi fu raccontato di questo adolescente che da solo aveva guidato un’imbarcazione con circa 250 persone a bordo. – racconta Matteo GarroneUna volta arrivato a destinazione, travolto dall’emozione di aver portato tutti in salvo ha iniziato a gridare “io capitano, io capitano”. Però mi sentivo in imbarazzo, da borghese, a pensare di raccontare quella storia e i suoi retroscena. Poi, qualche anno dopo, ho incontrato il ragazzo che quel finale lo ha vissuto, il cui nome è Fofanà, e quell’incontro mi ha riavvicinato a quel racconto, motivandomi a riprenderlo in mano”

“A quel punto abbiamo deciso di costruire questo film seguendo i canoni del racconto d’avventura e del viaggio dell’eroe e così spero sarà accessibile anche ai più giovani che potranno sensibilizzarsi all’argomento”, continua Garrone. “Bisogna infatti sapere che ci sono tanti tipi di immigrazione, quella raccontata in Io Capitano è legata al fatto che il 70% della popolazione africana è composta da giovani e questi giovani sono influenzati dalla globalizzazione occidentale, di cui penso sia importante raccontare gli effetti sulle popolazioni.” – afferma poi Matteo Garrone, aprendo la conferenza stampa.

“Hanno dunque il desiderio legittimo di voler accedere ad un futuro migliore, così come noi da giovani volevamo scoprire l’America. A noi però bastava prendere un aereo per arrivare lì, mentre loro devono affrontare un viaggio rischioso e potenzialmente mortale. Il film affronta quindi una parte di immigrazione di cui a volte si parla meno ma che esiste, ovvero quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e avere maggiori opportunità e che non per forza scappano da situazioni di guerra”, conclude il regista.

Io Capitano Matteo Garrone Mamadou Kouassi

La scrittura della sceneggiatura e la ricerca degli attori

Tra gli autori della sceneggiatura, oltre a Garrone, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, vi è anche Massimo Ceccherini. Il regista ha dunque speso due parole per chiarire il ruolo avuto da quest’ultimo nella realizzazione del progetto. “Massimo mi ha aiutato molto nella scrittura di questo film, che è un racconto di avventure popolari. – spiega Garrone – Massimo viene dal popolo e quindi quando abbiamo scritto la sceneggiatura ha apportato la sua conoscenza di certe dinamiche che a me sono estranee. In sostanza, m ha aiutato a ricercare una purezza del racconto che si sposa con quella dei protagonisti”.

Fondamentale però è stato anche il lavoro di ricerca sul campo, necessario affinché si potesse raccontare la verità su ciò che avviene durante questo viaggio verso l’Europa. “Abbiamo fatto un grosso lavoro di documentazione, durato qualche anno, e poi per cercare di raccontare questa storia ci siamo affidati a chi queste vicende le ha vissute in prima persona. – racconta Garrone – È stato un lavoro assolutamente collettivo, reso possibile grazie a persone come Mamadou Kouassi, che mi hanno raccontato le loro storie al servizio delle quali io ho potuto mettere le mie conoscenze tecniche“.

La parola passa allora proprio a Kouassi, collaboratore alla sceneggiatura, che afferma: “ho vissuto l’esperienza di quel viaggio, delle prigioni libiche, della paura e degli orrori e tutto questo l’ho ritrovato in Io Capitano. Matteo ci porta davvero nel mondo dell’immigrazione e sono orgoglioso di aver potuto contribuire a dare voce a chi non ce l’ha. Sostanzialmente, raccontiamo la storia di ogni singolo immigrato che ha vissuto questa avventura. Partire vuol dire andare incontro alla morte, veramente questa è la realtà che si verifica ma scegliamo di affrontarla perché è giusto perseguire i propri diritti. Siamo obbligati, in un certo senso”.

Io Capitano Seydou Sarr Moustapha FallRiguardo gli interpreti dei due giovani protagonisti, Seydou Sarr e Moustapha Fall, Garrone racconta di averli cercati dappertutto, giungendo infine ad una consapevolezza inevitabile. “Abbiamo cercato gli attori giusti in tutta Europa, – racconta il regista – ma alla fine li abbiamo trovati in Senegal. Ci siamo infatti resi conto che lo sguardo di una persona di lì ha naturalmente una qualità diversa sull’argomento“. Parlando dei due protagonisti, Garrone riconosce infine che “qualcosa di Pinocchio c’è in questo film, che si sposa con la storia di questi ragazzi. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dai pericoli del mondo circostante. I protagonisti qui inseguono il paese dei balocchi, tradendo i propri cari e poi finiscono con lo scontrarsi con una realtà molto dura, che richiama un po’ anche Gomorra“.

Io Capitano, dal 7 settembre al cinema

Garrone ha infine parlato di come abbia a lungo rimandato la realizzazione di questo film non sentendosi sicuro di avere il diritto di raccontarla, in quanto non avendo vissuto quel tipo di esperienza. La sua opinione è però poi cambiata nel tempo, arrivando ora a poter affermare che “il film nasce da un lavoro collettivo tra il mio sguardo e le loro testimonianze e da sempre credo che l’arte sia legata a delle contaminazioni, un artista non deve parlare solo di ciò che riguarda la sua vita, altrimenti l’arte si impoverirebbe. Penso sia giusto giudicare l’opera in base alla sua sincerità e non a chi l’ha fatta. L’opera rimane, noi no”.

Non si dovrà aspettare molto prima di poter vedere film che, dopo la prima proiezione pubblica a Venezia il 6 settembre, uscirà nelle sale italiane, con 203 copie, dal 7 settembre, distribuito da 01 Distribution. È stato inoltre confermato che il film non presenterà un doppiaggio italiano, una caratteristica a lungo valutata ed infine scelta per rispetto nei confronti dei protagonisti di questo racconto e ai loro interpreti, i quali meritano di essere sentiti esprimersi nella loro lingua natìa.

Origin, Ava DuVernay: “Ho lavorato a stretto contatto con Isabel Wilkerson”

Presentato in Concorso a Venezia 80, Origin di Ava DuVernay racconta in modo emozionante la storia di Isabel Wilkerson. La scrittrice vinse un Pulitzer per il reportage individuale per il suo lavoro sulle inondazioni del Midwest e su un bambino di 10 anni che si prende cura dei suoi fratelli. Durante la presentazione ha parlato della genesi di questo progetto: “Ho letto il libro e sono rimasta affascinata da tutto quello che Isabel Wilkerson ha messo al suo interno. L’ho letto tre volte per capirlo realmente e già alla seconda lettura ho iniziato a vedere lei, la donna che lo ha costruito. Ho iniziato a pensare alla storia cercado di adattarla nel modo in cui lui l’ha vissuta e traumatizzata. Tutto quello che riguarda la sua storia che non è presente nel libro me l’ha raccontato lei di persona. Abbiamo parlato per un anno, ci sono stati così tanti incontri e si è aperta molto con me è stata generosa”.

Ava DuVernay è la prima donna afroamericana ad arrivare in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: “Ai registi neri viene detto che le persone che amano i film in altre parti del mondo non si interessano alle nostre storie e non si interessano ai nostri film. Questo è qualcosa che ci viene detto spesso: non potete partecipare ai festival internazionali, non verrà nessuno“, ha detto DuVernay. “La gente non verrà alle conferenze stampa, non verrà alle proiezioni. Non saranno interessati a vendere i biglietti. Potreste anche non entrare in questo festival, non fate domanda. Non so dirvi quante volte mi hanno detto: “Non fare domanda a Venezia, non entrerai. Non succederà”. E quest’anno è successo qualcosa che non era mai accaduto in otto decenni: una donna afroamericana in concorso. Quindi ora questa è una porta aperta che confido e spero che il festival mantenga aperta“.

Il cast di Origin

Oltre a Ellis-Taylor e Bernthal, Origin è interpretato anche da Niecy Nash-Betts, Vera Farmiga, Audra McDonald, Nick Offerman, Blair Underwood, Connie Nielsen, Emily Yancy, Jasmine Cephas-Jones, Finn Wittock, Victoria Pedretti, Isha Blaaker e Myles Frost.La collisione tra gli attori e protagonisti del mondo reale è interessante perché è stata una esperienza lavorare con persone realmente esistite: la bibliotecaria a Berlino per esempio. Non credo che avremmo avuto il cast che abbiamo avuto se fosse rimasto nel sistema degli studios“, ha detto DuVernay. “Il sistema degli studios è un luogo in cui ho lavorato e realizzato progetti di cui sono orgogliosa, ma c’è davvero un aspetto di controllo su chi interpreta cosa. E c’è l’idea di chi fa soldi, di chi attira l’attenzione e a volte questo è in contrasto con chi potrebbe essere la persona migliore per la parte. Aunjanue Ellis-Taylor era la persona migliore per questa parte“.

Io Capitano: recensione del film di Matteo Garrone #Venezia80

Io Capitano: recensione del film di Matteo Garrone #Venezia80

Le immagini riguardanti l’arrivo degli immigrati africani che vediamo ogni giorno nei telegiornali ci mostrano uomini, donne e bambini ai quali troppo facilmente si appiccicano etichette con cui definirli senza che neanche li si conosca. Sono persone senza nome, senza identità, la cui storia rimane avvolta nella leggenda, nell’esagerazione o, troppo spesso, nell’ignoranza. Con il suo nuovo film, dal titolo Io capitano, il regista Matteo Garrone (Gomorra, Dogman, Pinocchio) si pone dunque l’obiettivo di fornire un’identità e una voce a chi troppo spesso non ce l’ha. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film porta dunque lo spettatore ad intraprendere l’odierna Odissea dei migranti.

Per Garrone si tratta quasi di un controcampo sul suo film d’esordio, Terra di mezzo, del 1996, articolato in tre episodi distinti che raccontano le storie di emarginazione di alcuni stranieri immigrati in Italia. Se lì il focus era dunque su come queste persone vengono recepite nel nuovo contesto raggiungo, con Io Capitano si va invece all’origine del viaggio, a ciò che lo ha motivato, come anche a tutti gli orrori e gli ostacoli che si è dovuto superare per poter arrivare dove desiderato. Raccontare tutto ciò è un obiettivo ambizioso, ma Garrone sa come approcciarsi alle sfide più ostiche, traendone il meglio.

Io Capitano, la trama del film

In Io Capitano si racconta dunque il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Quando ormai sarà troppo tardi per tornare indietro, i due ragazzi si troveranno a dover proseguire il percorso, scoprendo quanto quel paese dei balocchi promesso sia meno splendente e colorato del previsto.

Odissea nel deserto

L’immigrazione è uno degli argomenti più scottanti e delicati tra quelli presenti sul tavolo delle discussioni odierne. Nel farlo, si può facilmente banalizzare, fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che lo riguarda. Ecco perché il regista Matteo Garrone ha atteso a lungo prima di decidersi a realizzare questo film, convinto di non avere il diritto di raccontare una storia che non gli è propria e come la maggior parte degli italiani e degli europei vive principalmente attraverso le immagini proposte dai media. Fortunatamente, però, si può scegliere di voler andare oltre le comuni convinzioni, gli stereotipi, e svolgere ricerche necessarie a far emergere la verità di queste situazioni.

Così ha fatto Garrone, circondatosi di collaboratori che in prima persona hanno vissuto gli orrori di questa Odissea nel deserto, con interminabili traversate nel deserto, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio di essere catturati e posti in stato di schiavitù nei centri di detenzione libici. A partire da queste testimonianze, Garrone segue dunque i due personaggi protagonisti nel loro scontrarsi con queste tappe di cui poco o nulla si sa fino a quando non ci si scontra personalmente con esse. Avviene dunque una vera e propria trasformazione nel corso di Io Capitano, con i due protagonisti che passano dall’essere spensierati giovani a sopravvissuti ormai privati della loro innocenza.

A sua volta, anche il film si trasforma, passando da una prima parte più colorata, allegra, spensierata nei toni e nelle atmosfere, coerentemente con lo stato di Seydou e Moussa in quel dato momento. Quando però ha inizio il viaggio, piano piano il film si incupisce sempre di più, l’atmosfera si fa pesante, spaventosa e non c’è più posto per quanto si era visto fino a quel momento. È a questo punto che Garrone non si risparmia alcune immagini particolarmente crude, ritrovabili naturalmente all’interno delle carceri libiche. Se dunque il tutto inizia come una fiaba sulla scia di quel filone del regista che ha prodotto fantasy come Il racconto dei racconti e Pinocchi, ben presto si giunge in territori più dark, propri di un film come Gomorra.

Io Capitano Seydou Sarr
Seydou Sarr in una scena di Io Capitano. Foto di Greta De Lazzaris.

Matteo Garrone infonde verità ed emozione nel racconto

Il modo in cui Garrone sceglie di costruire il racconto ha dunque l’obiettivo di ricercare una certa spontaneità e sincerità, necessarie per coinvolgere il pubblico e renderlo partecipe di questa problematica tanto grande. Talmente grande che non è facile dare delle risposte a riguardo, motivo per cui al regista si rinfaccerà il suo non aver proposto una versione più politica di tale argomento, ma di essersi tenuto invece più dalle parti del racconto d’avventura. Un racconto che però giustifica la propria semplicità – che talvolta può essere confusa con un certo didascalismo – con l’intenzione di raggiungere un pubblico molto ampio, possibilmente di ragazzi, da sensibilizzare su tali vicende.

Per farlo il regista si muove dunque consapevolmente sopra un confine molto esile tra la retorica e la sincerità, riuscendo grossomodo a rimanere nell’area di quest’ultima e portando a compimento un film particolarmente emozionante. Il merito è da riconoscere però anche a Seydou Sarr, il giovane protagonista esordiente, che dà vita ad un’interpretazione convincente, che acquista intensità di pari passo con la crescita emotiva del suo personaggio. Seyoud ci appare inoltre come una sorta di Pinocchio migrante, alla ricerca di una terra dei balocchi che scoprirà essere tutt’altro che paradisiaca. E terminando lì dove iniziano le immagini dei telegiornali, Io Capitano ci offre dunque un controcampo a cui non si dovrebbe rimanere indifferenti.

The Super Models: il trailer del nuovo documentario evento in arrivo il 20 settembre su Apple TV+

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Apple TV+ ha svelato oggi il trailer del nuovo documentario evento in quattro parti “The Super Models” che accende i fari sulle straordinarie carriere di Naomi Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington.

Ogni episodio della docuserie, in uscita il 20 settembre su Apple TV+, presenta contributi inediti di alcuni dei più grandi nomi della moda e della cultura, tra cui Fabien Baron, Jeanne Beker, Emily Bierman, Tim Blanks, Martin Brading, Paul Cavaco, Carlyne Cerf De Dudzeele, Grace Coddington, Sante D’orazio, Charles Decaro, Arthur Elgort, Edward Enninful, David Fincher, Tom Freston, John Galliano, Garren, Robin Givhan, Tonne Goodman, Michael Gross, Bethann Hardison, Marc Jacobs, Kim Jones, Donna Karan, Calvin Klein, Michael Kors, Rocco Laspata, Suzy Menkes, Isaac Mizrahi, Michael Musto, François Nars, Todd Oldham, Hal Rubenstein, Anna Sui, Annie Veltri, Donatella Versace e Vivienne Westwood.

“The Super Models” ripercorre gli anni ’80, quando quattro donne provenienti da diversi angoli del mondo si unirono a New York. Già forti di per sé, la gravitas che raggiunsero insieme trascendeva l’industria stessa. Il loro prestigio era così straordinario che permise alle quattro di superare la fama dei marchi che presentavano, rendendo i nomi di Naomi, Cindy, Linda e Christy tanto importanti, quanto gli stilisti che le vestivano. Oggi, le quattro supermodelle restano in prima linea nel contributo alla cultura grazie all’attivismo, alla filantropia e all’abilità negli affari. Mentre l’industria della moda continua a ridefinire se stessa – e i ruoli delle donne al suo interno – questo documentario racconta la storia di come quattro donne si sono riunite per rivendicare il loro potere, aprendo la strada a quelle successive.

“The Super Models” è prodotto per Apple TV+ da Imagine Documentaries e One Story Up, con i produttori esecutivi Brian Grazer, Ron Howard, Sara Bernstein, Justin Wilkes, Barbara Kopple, Roger Ross Williams e Geoff Martz, insieme a Naomi Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington Burns.

The Nun 2, la recensione del ritorno dell’incubo Blumhouse

The Nun 2, la recensione del ritorno dell’incubo Blumhouse

A circa sette anni dalla sua prima apparizione nella serie e un lustro dopo l’uscita del primo film, la Blumhouse torna a mettere al centro del suo ultimo The Nun 2 la suora malvagia che i fan del The Conjuring Universe conoscono molto bene. In sala a settembre, distribuito da Warner Bros. Pictures, il film diretto da Michael Chaves (The Conjuring – Per ordine del diavolo, La llorona) si collega direttamente al The Nun – La vocazione del male del 2018 e ai suoi personaggi, di nuovo interpretati da Taissa Farmiga e Jonas Bloquet (Io sono tuo padre).

The Nun 2, la trama

Sono loro la suor Irene e il “Francese” Maurice scampati allo scontro finale del precedente capitolo, anche se non senza conseguenze. Quelle delle quali continuiamo a scontare gli effetti letali nella Francia del 1956, a Tarascon, dove prete muore bruciato nella sua stessa chiesa. Ma è solo l’ennesima dimostrazione di quanto il male si stia ormai diffondendo, uno dei casi sui quali la giovane sorella è chiamata a investigare, seguendo una traccia che la porterà nuovamente faccia a faccia conil demoniaco Valak.

Il franchise continua, un sequel con pregi e difetti

Ormai una presenza ricorrente e caratteristica della serie, l’apparizione della inquietante versione ecclesiastica del demone creato da Jason Blum era stata di tale impatto da rendere quasi inevitabile continuare a sfruttarla. Soprattutto considerato che The Nun è a tutt’oggi il primo per incassi mondiali dei titoli del franchise di The Conjuring (366 milioni di dollari contro i 320 dei primi due capitoli). Un record che difficilmente verrà scalfito – o anche solo impensiero – dal film con cui continua questa deriva della serie, prossima a toccare quota dieci film con l’annunciato The Conjuring 4.

Purtroppo, il ritorno della Suor Irene di Taissa Farmiga difficilmente verrà ricordato. E probabilmente i vari Gary Dauberman, Carey Hayes, David Leslie Johnson e James Wan non lasceranno più le loro creature agli autori (Ian Goldberg e Richard Naing, qui affiancati da Akela Cooper, padre della storia in questione oltre che di M3GAN e Malignant) di una sceneggiatura tanto confusa.

The Nun 2
NUN2

The Dangerous Lives of Altar Boys

Questa volta sono chierichetti e giovinette in età da collegio le vittime preferite di questa manifestazione del Male, che resta nell’ombra più di quanto il buon senso o l’equilibrio consiglierebbero. Una scelta che evidentemente segue l’encomiabile intenzione di dare più risalto alle diverse linee narrative che si intrecciano sullo schermo (ma sarebbe bastato semplificare quelle esistenti, soprattutto quella ‘familiare’ del Francese, la Kate di Anna Popplewell e la piccola Sophie di Rose Downey), ma che sul lungo fa sentire la mancanza della protagonista più attesa (che lo stesso regista sembra accennare potremmo ritrovare nel prossimo The Conjuring: Last Rites).

Uno dei diversi autogol che subisce il film che, dopo un inizio promettente e intrigante, sembra affidarsi maggiormente alla cura formale della confezione e a una inusuale cura dell’aspetto visivo (quasi patinato) e delle location che alla gestione equilibrata di comportamenti e azioni. Soprattutto quelli di interpreti tendenti all’eccesso o poco convincenti (nessuno escluso), nel primo caso, e quelle di demoni particolarmente distratti e innocui.

Un peccato, visto che nel “lot of fun stuff” promesso dall’onesto Chaves non mancano scene meritevoli, dall’interessante trovata di mascherare il necessario spiegone ‘per chi non avesse visto le puntate precedenti’ da leggenda alle scene dello scontro a colpi di aspersorio o dell’edicola da strada scelta da Valak per palesarsi. Momenti rinfrancanti e illusori in un lungo combattimento con il senso di certe scelte e gli strappi immotivati di una backstory fin troppo fantasiosa e forzata. E che aumentano il rammarico per il tentativo fallito di fare qualcosa di più del solito, puntando su sogni e visioni – poco thriller e minacciose – più che le usuali apparizioni o un abuso di jumpscare.

The Nun 2 da oggi al cinema!

The Nun 2 da oggi al cinema!

New Line Cinema presenta il thriller horror The Nun 2, il secondo capitolo della saga di The Nun, l’opera di maggior successo dell’universo The Conjuring, che ha incassato più di 2 miliardi di dollari. Taissa Farmiga (“The Nun”, “The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”, “The Nun”), Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell (“Fairytale”, la trilogia de “Le cronache di Narnia”) Bonnie Aarons (al suo ritorno in “The Nun”) e da un cast di star internazionali.

In The Nun 2 Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del film campione d’incassi segue le vicende di Suor Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora demoniaca. Michael Chaves (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”) dirige da una sceneggiatura di Ian Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy of Jane Doe”) e Akela Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia di Akela Cooper, basata sui personaggi creati da James Wan & Gary Dauberman.

Il film è prodotto dalla Safran Company di Peter Safran e dalla Atomic Monster di James Wan che danno seguito alle passate collaborazioni nei precedenti film della saga “Conjuring”. Produttori esecutivi di “The Nun II” sono, Richard Brener, Dave Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman, Michael Clear, Judson Scott e Michael Polaire. Nel team creativo che ha affiancato il regista Michael Chaves troviamo il direttore della fotografia Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”, “The Dark and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend (“Les Vedettes”, “The French Dispatch”), il montatore Gregory Plotkin ( “Scream” 2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti visivi Sophie A. Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès Béziers (“Oxygen”, “The Breitner Commando”), e il compositore Marco Beltrami ( “Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”) autore della colonna sonora.

L’universo “The Conjuring” rappresenta la saga horror di maggior successo nella storia al box office con un incasso complessivo globale di 2 miliardi di dollari. A livello mondiale, quattro dei titoli di “The Conjuring” hanno incassato ciascuno oltre 300 milioni di dollari nel mondo (“The Nun” $366 million; “The Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring” $320 million; “Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo della saga ha incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The Nun” è al vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366 milioni di dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una produzione Atomic Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà nelle sale italiane a settembre distribuito da Warner Bros. Pictures.

Superman: Legacy, “deludenti” aggiornamenti sul costume

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Superman: Legacy, “deludenti” aggiornamenti sul costume

Sono davvero “deludenti” gli aggiornamenti che James Gunn offre, di prima mano, ai suoi fan, in merito a Superman: Legacy e al costume del nuovo Uomo d’Acciaio. Mentre è stato già annunciato che il film vedrà protagonisti David Corenswet nei panni di Clark Kent e Rachel Brosnahan nei panni di Lois Lane e che il film mostrerà anche altri eroi DC, molti dettagli sono ancora nascosti, uno dei quali è il nuovo costume di Superman: Legacy.

Su Instagram, Gunn ha rivelato che i fan della DC dovranno aspettare ancora a lungo prima che il costume di Superman: Legacy che indosserà Corenswet venga svelato.

Dopo che un fan ha chiesto a Gunn se poteva già “pubblicare la foto del costume di Superman”, lo sceneggiatore/regista ha risposto con un aggiornamento deludente, dicendo: “Nemmeno lontanamente vicino a farlo”. Bisognerà aspettare ancora a lungo…

Superman: Legacy, tutto quello che sappiamo sul film

Superman: Legacy, scritto e diretto da James Gunn, non sarà un’altra storia sulle origini, ma il Clark Kent che incontriamo per la prima volta qui sarà un “giovane reporter” a Metropolis. Si prevede che abbia già incontrato Lois Lane e, potenzialmente, i suoi compagni eroi (Gunn ha detto che esistono già in questo mondo e che l’Uomo di domani non è il primo metaumano del DCU). Il casting, come già detto, ha portato alla scelta degli attori David Corenswet e Rachel Brosnahan come Clark Kent/Superman e Lois Lane.

Il film è stato anche descritto come una “storia delle origini sul posto di lavoro“, suggerendo che una buona parte del film si concentrerà sull’identità civile di Superman, Clark Kent, che è un giornalista del Daily Planet. Secondo quanto riferito, Gunn ha consegnato la prima bozza della sua sceneggiatura prima dello sciopero degli sceneggiatori, ma ciò non significa che la produzione non subirà alcun impatto in futuro.

“Superman: Legacy è il vero fondamento della nostra visione creativa per l’Universo DC. Non solo Superman è una parte iconica della tradizione DC, ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori di fumetti, dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto il mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista DCU. “Non vedo l’ora di presentare la nostra versione di Superman, che il pubblico potrà seguire e conoscere attraverso film, film d’animazione e giochi”. Superman: Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025.

Aquaman e Il Regno Perduto: Orm avrà un costume molto diverso rispetto a quello dei fumetti

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Le nuove action figure dedicate a Aquaman e il regno perduto mostrano un assaggio di quello che sarà il costume di Orm, ovvero Orm Marius, noto anche come The Ocean Master, fratellastro di Aquaman e il prossimo in linea di successione al trono di Atlantide. Nei fumetti, l’iconico elmo alettato con gli occhi rossi di Orm lo ha sempre fatto risaltare nella galleria dei cattivi di Aquaman, tuttavia, soltanto verso il finale del primo film abbiamo visto il personaggio, interpretato da Patrick Wilson, indossare quel costume argento e viola che rendeva omaggio alla sua rappresentazione nei fumetti.

Grazie alla foto di una action figure di Aquaman e il regno perduto, vediamo ora che Orm non avrà più un costume così accurato rispetto ai fumetti. Questa figura mostra Orm che indossa un’elegante tuta da combattimento per tutto il corpo con sfumature viola e nere. È certamente un miglioramento rispetto all’aspetto trasandato di Orm rivelato nelle foto dal set di Aquaman 2, l’abito scuro sembra pratico e minaccioso, il che significa che Arthur Curry ha ancora molto di cui preoccuparsi per quanto riguarda il suo malvagio fratellastro.

Tutto quello che c’è da sapere su Aquaman e il Regno Perduto

Jason Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe in Aquaman e il regno perduto, sequel del film che ha rilanciato in positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo seguito, diretto ancora una volta da James Wan (Insidious, The Conjuring), torneranno anche Patrick Wilson nei panni di Ocean Master, Amber Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta, che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo film. David Leslie Johnson-McGoldrick, collaboratore ricorrente di Wanscriverà la sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter Safran saranno co-produttori.

Thor: Love and Thunder, una scena tagliata avrebbe mostrato la redenzione di un villain della Fase 3

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Una scena cancellata di Thor: Love and Thunder rivela che uno dei cattivi del Marvel Cinematic Universe avrebbe avuto la sua redenzione nel film. Il Thor di Chris Hemsworth ha percorso un lungo viaggio nel MCU, così come il suo franchise, che ha modificato completamente il suo tono per arrivare a trasformarsi del tutto, al suo quarto capitolo.

Ora, William Groebe, l’artista dello storyboard di Love and Thunder, ha condiviso una sequenza di storyboard del film che includono un nuovo sguardo alla scena di Jeff Goldblum nei panni del Gran Maestro, che purtroppo non è sopravvissuta alla sala di montaggio.

Thor Love and Thunder

Gli storyboard di Thor: Love and Thunder con il Gran Maestro fanno parte della sequenza cancellata “Moon of Shame”, che avrebbe visto il cattivo del MCU rivelarsi dotato di appendici robotiche. Thor, Jane Foster e Valkyrie avrebbero combattuto Gorr il Macellatore di Dei e i suoi mostri ombra e il Gran Maestro di Goldblum e Korg – con la testa attaccata a un piccolo carro armato – sarebbero arrivati per aiutare gli eroi.

Giuliano Montaldo: addio al regista, sceneggiatore e attore genovese

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Si è spento a 93 anni Giuliano Montaldo, regista, sceneggiatore e attore genovese che ha contribuito a rendere grande il nome del cinema italiano nel mondo. Lascia la moglie, Vera Pescarolo, la figlia Elisabetta e i suoi due nipoti Inti e Jana Carboni.

Ha iniziato la sua carriera da attore, negli anni Cinquanta, e all’inizio degli anni Sessante debutta come regista con Tiro al Piccione (1961). Nel corso della sua carriera ha diretto oltre 20 film, tra cui Gli Intoccabili (1969), Sacco e Vanzetti (1970), Giordano Bruno (1973), L’Agnese Va A Morire (1976) e Gli Occhiali d’Oro (1987).

Tuttavia, uno dei suoi più recenti riconoscimenti è stato attribuito alle sue doti di interprete davanti alla macchina da presa: nel 2018 ha ricevuto il David di Donatello come miglior attore non protagonista nel film Tutto quello che vuoi (2017), di Francesco Bruni. Per Giuliano Montaldo era il secondo, visto che nel 2007 gli era stato assegnato quello alla carriera.

Succession: Logan aveva cancellato o sottolineato il nome di Kendall nel testamento?

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Succession è riuscita a diventare una delle serie televisive più acclamate di tutti i tempi grazie alla sua scrittura implacabile e ai suoi personaggi splendidamente ideati e interpretati.

Di tutta la splendida quarta stagione, un punto però è risultato oscuro tanto agli spettatori quanto ai protagonisti. Nelle ore immediatamente successive alla morte di Logan Roy, viene ritrovato un suo testamento che riporta un segno sul nome di Kendall, un segno che non si capisce se indica una sottolineatura o una cancellatura del nome. Alla luce di tutto quello che Kendall ha tentato di fare per detronizzare il padre mentre era ancora in vita, il magnate e capofamiglia Roy ha deciso di punirlo estromettendolo dal testamento oppure ha visto in lui un degno successore privo di scrupoli?

Ebbene, la serie non dà risposte, ma il suo creatore, Jesse Armstrong, ha rilasciato una dichiarazione che potrebbe aver sciolto il dubbio sulle ultime volontà di Logan Roy. Durante la sua partecipazione a un evento del Financial Times a Londra (registrato dal giornalista Cassam Looch), ad Armstrong è stato chiesto di valutare se il nome di Kendall fosse sottolineato o cancellato. Pur evitando di rispondere a una domande del genere durante la messa in onda dello spettacolo, Armstrong ha spiegato di sentirsi più libero di commentare il significato di certe scene ora che non ci sono più segreti da nascondere al pubblico e che la serie si è conclusa.

Succession 4×10, la spiegazione del finale: chi è il nuovo CEO?

“Se dovessi cancellare un nome, non inizieresti tracciando una linea dal basso, vero?” ha detto Armstrong al pubblico, suscitando applausi quando i membri del pubblico si sono resi conto che intendeva dire che Logan aveva sottolineato il nome.

In effetti, sebbene lo show si sia basato molto su colpi di scena e decisioni imprevedibili, il sorriso beffardo di Logan Roy di fronte ai tradimenti del figlio maggiore (sarà sempre considerato tale, con buona pace del povero Connor) sono sempre sembrati una specie di investitura a rivale degno. E ora ne abbiamo la conferma. Peccato che, alla fine, nessuno dei figli di Roy avesse i nervi e la caratura (sebbene declinata al male) del padre, tale da prendere le redini della società.

Succession è una delle serie con il maggior numero di nomination che gareggia ai prossimi Emmy. Il premio verrà assegnato a gennaio 2024.

Il più bel secolo della mia vita: intervista ai protagonisti

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Il più bel secolo della mia vita: intervista ai protagonisti

In occasione dell’uscita in sala di Il più bel secolo della mia vita, ecco la nostra intervista al regista Alessandro Bardani, e ai protagonisti Valerio Lundini e Sergio Castellitto. Il più bel secolo della mia vita esce il 7 settembre distribuito da Lucky Red.

Il più bel secolo della mia vita, la recensione

Nel cast anche Carla Signoris, Antonio Zavatteri, Elena Lander, Marzio El Moety con Betti Pedrazzi nel ruolo di Suor Grazia e con l’amichevole partecipazione di Sandra Milo Nel film è presente il brano inedito “La vita com’è” di Brunori SAS Una produzione Goon Films, Lucky Red con Rai Cinema In collaborazione con Prime Video. Il film sarà presentato in anteprima assoluta al 53 Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18 il prossimo 23 luglio 2023 e al cinema il 7 Settembre 2023.

La trama del film

Un’assurda legge ancora in vigore in Italia impedisce a Giovanni, figlio non riconosciuto alla nascita, di sapere l’identità dei suoi genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. Per riuscire ad attirare l’opinione pubblica, la sua unica speranza è ottenere la complicità di Gustavo, unico centenario non riconosciuto alla nascita in vita. Il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma che sembra non aver alcun interesse a farlo. Il più bel secolo della mia vita racconta l’incontro tra un centenario proiettato nel futuro e un giovane ancorato al passato e del loro viaggio alla riscoperta delle proprie origini.

Nina dei lupi gratis al cinema con Cinefilos.it dall’8 al 10 settembre

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Cinefilos.it offre la possibilità di vedere al cinema, gratis, NINA DEI LUPI, presentato alle Giornate degli Autori 2023 e diretto da Antonio Pisu, con Sergio Rubini, Sara Ciocca, Sandra Ceccarelli, Cesare Bocci, Davide Silvestri, in uscita il 31 agosto distribuito in Italia da Genoma Films.

Ecco le città in cui sarà possibile partecipare alle anteprime:

ROMA
 
CINEMA GIULIO CESARE
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
 
CINEMA GREENWICH
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
 
BOLOGNA
 
CINEMA ODEON
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
 
TORINO
 
CINEMA GIULIO NAZIONALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
 
MILANO
 
CINEMA CENTRALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti

I biglietti saranno validi per qualsiasi spettacolo dall’8 al 10 settembre e potranno essere richiesti, fino ad esaurimento, inviando una email a [email protected]in cui andranno specificati il giorno in cui si intende utilizzare i biglietti e un secondo giorno alternativo nel caso per il giorno prescelto non ci sia più disponibilità di posto.

I biglietti dovranno essere richiesti improrogabilmente entro e non oltre l‘8 settembre e non saranno prese in considerazioni eventuali richieste formulate successivamente alla suddetta data. L’oggetto della e-mail deve contenere il titolo del film.

NB: riceveranno risposta solo gli assegnatari dei biglietti.

Gli orari delle proiezioni andranno consultati direttamente sui siti dei cinema.

È di fondamentale importanza che nell’email venga evidenziato che si sta chiedendo l’invito via CINEFILOS.

I biglietti potranno essere ritirati direttamente alla cassa dei cinema presentando la email di conferma ricevuta unitamente ad un documento di identità.

Guarda il trailer di Nina dei Lupi

In the Land of Saints and Sinners: il trailer del film con Liam Neeson

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In occasione della presentazione alla 80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, ecco il trailer originale di In the Land of Saints and Sinners, il film diretto da Robert Lorenz e presentato nella sezione Orizzonti Extra. Nel cast del film Liam Neeson, Kerry Condon, Jack Gleeson, Colm Meaney e Ciarán Hinds.

Questa è la seconda collaborazione di Liam Neeson con Robert Lorenz dopo The Marksman nel 2019 e il primo ruolo da protagonista importante di Kerry Condon dalla sua nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista per Gli Spiriti dell’Isola.

In the Land of Saints and Sinners, la trama

Irlanda, anni ’70. Desideroso di lasciarsi alle spalle il suo oscuro passato, Finbar Murphy (Liam Neeson) conduce una vita tranquilla nella remota città costiera di Glen Colm Cille, lontano dalla violenza politica che attanaglia il resto del paese. Quando arriva una minacciosa banda di terroristi, guidata da una donna spietata di nome Doireann (Kerry Condon), Finbar scopre presto che uno di loro ha abusato di una giovane ragazza del posto. Coinvolto in un gioco sempre più feroce del gatto col topo, Finbar deve scegliere tra rivelare la sua identità segreta o difendere i suoi amici e vicini.

I Am Groot, la recensione della seconda stagione della serie dedicata al personaggio del MCU

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Debuttano il 6 settembre su Disney+ i nuovi 5 cortometraggi che formano la seconda stagione di I Am Groot, la serie d’animazione in CGI ambientata nel Marvel Cinematic Universe che ci mostra la vita del piccolo alberello alle prese con le sfide di tutti i giorni in una galassia bizzarra, piena di animali buffi, situazioni insolite e piccoli ostacoli da superare.

Proprio come la prima stagione, anche in questo caso Kirsten Lepore, sceneggiatrice e regista della prima stagione, ritorna nella stessa veste per raccontare le nuove avventura di Baby Groot, che questa volta agisce completamente in solitaria, senza interagire con nessuno dei personaggi del MCU che conosciamo, con l’eccezione per dell’Osservatore, di nuovo doppiato da Jeffrey Wright, come accaduto in What If…?, oltre ovviamente a Vin Diesel, ormai indissolubile dalla sua controparte arborea animata.

Il viaggio di Groot questa volta tocca 5 luoghi (o situazioni) molto diverse che trovano sempre il modo di mostrare un aspetto diverso della colorata personalità del personaggio. Dall’amicizia con un pulcino di una strana specie pennuta, fino al tentativo di comprare del gelato nello spazio, passando per un pianeta innevato, un’esperienza olfattiva molto intensa e un’avventura in stile Indiana Jones, il piccolo alberello che fa parte della squadra ufficiale di Guardiani della Galassia dovrà affrontare molte avventure, potendo contare solo sulle sue forze.

I Am Groot, la recensione della seconda stagione

Divertenti e con un protagonista irrimediabilmente simpatico, data la mescolanza tra dolcezza e furbizia con cui agisce in ogni circostanza, i cortometraggi riscuoteranno sicuramente grande successo, specialmente di fronte al pubblico dei più piccoli, che sono poi anche i principali destinatari dell’infinita fabbrica di merchandise che questo personaggio genera.

Con un preciso pubblico di riferimento, le pillole di I Am Groot si inseriscono senza fatica in un quadro più ampio e complesso che fino a questo momento è stato il Marvel Cinematic Universe. Da una parte confermando la potenza delle storie, che vanno sulle proprie gambe anche divincolate da limiti e argini di continuity, dall’altra smascherando in maniera impietosa la necessità disumana della piattaforma di realizzare contenuti per un pubblico ormai bulimico, sempre in cerca di nuovi prodotti e imbarazzato di fronte alla scelta infinita proposta dagli streamer, I Am Groot sembra un fiacco esercizio di stile, senza nessun guizzo né ricercatezza tecnica, fallendo anche nella possibilità di rappresentare un banco di prova per affinare e arricchire gli strumenti che sono a disposizione dei Marvel Studios.

Oltre a Kirsten Lepore, che scrive e dirige, lo staff di I Am Groot è composto anche dal supervising producer, Danielle Costa; i produttori, Craig Rittenbaum e Alex Scharf; i produttori esecutivi, Brad Winderbaum, Kevin Feige, Louis D’Esposito, Victoria Alonso e Kirsten Lepore, e Dana Vasquez-Eberhardt che ricopre il ruolo di co-produttrice esecutiva. I Am Groot sarà disponibile su Disney+ dal 6 settembre.

Venezia 80, le foto dal red carpet di Enea di Pietro Castellitto

Venezia 80, le foto dal red carpet di Enea di Pietro Castellitto

Presentato in Concorso a Venezia 80, Enea è il secondo film di Pietro Castellitto da regista. Ecco di seguito le foto dal red carpet della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 2023. Nel cast del film Pietro Castellitto, Benedetta Porcaroli, Chiara Noschese, Giorgio Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore, Sergio Castellitto.

Enea è un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere senza il genere. La componente criminale del film viaggia silenziosa su un binario nascosto, e sopraggiunge improvvisa nelle fessure dei rapporti quotidiani, sconvolgendo i protagonisti ignari. L’idea era quella di creare una narrazione in cui il punto di vista dello spettatore combaciasse con quello di chi subisce il narcotraffico: all’improvviso si può vincere e all’improvviso si può morire, e nessuno saprà mai il perché. I protagonisti sono mossi dal mistero della giovinezza. Non fanno quello che fanno né per i soldi né per il potere, ma forse per vitalità, per testare il cuore, per capire fino a che punto ci si possa sentire vivi oggi, all’alba di questo nuovo millennio, saturo di guerre raccontate e di attentati soltanto visti.

Gli Attassati, la recensione del film di Matranga e Minafò

Gli Attassati, la recensione del film di Matranga e Minafò

Gli Attassati è su Prime Video dal 31 agosto ed è il secondo film della coppia di comici siciliani Matranga e Minafò, dopo il loro esordio del 2020 intitolato Un pugno di amici e diretto da Sergio Colabona.

Tony Matranga e Emanuele Minafò si sono incontrati agli inizi degli anni 2000 lavorando insieme come animatori in villaggi turistici, occasione propizia per dare avvio a una vocazione condivisa e da cui è sorto un sodalizio che li ha portati fino alle piattaforme.

Una carriera decollata nelle trasmissioni comiche

Il loro percorso inizia tra serate nei locali e su reti regionali in cui definiscono i cavalli di battaglia che poi manterranno, consolidando il profilo umoristico che li caratterizza tutt’oggi. Approdano anche a Made in Sud che fa allargare la loro conoscenza verso il grande pubblico e gli crea il bacino a cui attingere per gran parte del cast di Un pugno di amici. Lanciano due pezzi musicali dal titolo S’inzuppa il biscottino e Tutto il 2020 in una canzone e l’anno scorso sono stati persino ospiti di Stasera tutto è possibile.

La loro carriera è quindi piuttosto delineata. O, almeno, per quel che concerne il territorio di un certo tipo di comicità in Italia. Prodotto da Lungta Film, Vision Distribution e Sicilia Social Star – che aveva già finanziato Un pugno di amiciGli Attassati è diretto da Lorenzo Tiberia che esordisce al cinema con questo film, a differenza dei suoi attori. Noto sul web per una massiccia serie di lavori satirici e non, insieme ad un gruppo da lui fondato con il nome di Actual, Tiberia ha infatti affrontato anche temi di una certa profondità: a partire dai soprusi subiti dai più deboli in vari settori della società da parte di chi ricopre ruoli che, al contrario, dovrebbero tutelare.

La regia de Gli Attassati è dunque gestita con un buon impegno, anche rispetto all’uso delle musiche, le luci e la macchina da presa. Di nuovo Matranga e Minafò tentano la strada dell’heist movie, esplicitando in più momenti riferimenti a Il buono, il brutto, il cattivo o a Ocean’s eleven, e lo fanno con tanta simpatia: tutto il cast ci mette del suo con più di una scena che strappa qualche sorriso.

Gli Attassati, la trama

Ad essere Attassati, e cioè riempiti di debiti fino al collo, sono gli abitanti di un paese del sud in cui il direttore di Equitù (Maurizio Bologna), un’agenzia senza scrupoli di recupero crediti, è in combutta con il sindaco (Alfonso Postiglione) per racimolare più soldi possibili e appianare buchi di bilancio accumulati nel tempo, per poi far carriera in politica. I nostri scalcagnati eroi dovranno perciò penetrare all’interno degli uffici di Equitù e far sparire tutte le cartelle esattoriali incriminate.

La banda che viene messa insieme dai due protagonisti è piuttosto ben assortita, sia per quanto riguarda la scelta dei profili che la resa degli attori che danno bene l’idea di raffazzonamento del colpo che devono organizzare. La base, cioè il soggetto della storia, è sinceramente concepiti con grande entusiasmo e inventiva, ma il risultato finale è fragile e vagamente piatto.

Le gag non bastano a portare avanti un racconto

Il duo di comici mette tutta la propria passione nel caricare le gag e inserirle in ogni scena, ma non può essere sufficiente a costruire e – soprattutto – portare avanti un racconto. Condurre i passaggi e le svolte di una narrazione omogenea, con le variazioni necessarie ad accompagnare lo spettatore, non possono essere gestite se tutta l’energia viene dedicata agli scambi di battute, incuranti (o poco più) da quello che deve accadere prima e dopo. Così, il prezzo da pagare è inevitabilmente la forza dell’intero film che scricchiola e diventa infantile.

Operazione Kandahar, la recensione del film con Gerard Butler

Operazione Kandahar, la recensione del film con Gerard Butler

Il nuovo film con Gerarld Butler è per la regia di Ric Roman Wugh, che l’aveva già diretto in Attacco al potere 3 e Greenland, di cui per entrambi sta lavorando a un prossimo capitolo. Il regista, che ha fatto anche lo stuntman durante gli anni 80 e i 90, è stato tra l’altro ingaggiato per un sequel di Cliffhanger, che aveva vissuto in quel periodo proprio dal punto di vista della controfigura, pur non avendo partecipato al progetto, ma empatizzando profondamente con la mole di allenamento che aveva comportato.

Per Operazione Kandahar resta sul genere action a cui, appunto, è tanto affezionato, aggiungendo un’intensa quota di spionaggio internazionale ficcandosi nelle spire della violenza del terrorismo islamico.

La sceneggiatura è infatti ad opera di Mitchell LaFortune, un ex ufficiale della Defense Intelligence Agency e analizzatore per i servizi segreti dell’esercito degli Stati Uniti che ha redatto la storia dietro ad Operazione Kandahar intitolandola inizialmente Burn Run. Gli eventi si basano sulla sua esperienza vissuta nel 2013 in Afghanistan durante la quale ci fu una pericolosa fuga di notizie da parte del consulente informatico americano Edward Snowden che diffuse dati altamente riservati di proprietà della National Security Agency.

Operazione Kandahar, la trama

Qui Gerard Butler è Tom Harris, un agente della CIA sotto copertura che sta portando avanti una delicata missione in Medio Oriente per cui deve impiantare dei virus nei sistemi di sicurezza arabi e metterli – per così dire – fuori uso. La sua vita privata è ovviamente a gambe all’aria e, ultimato il suo compito, cerca quindi di partire sbrigativamente per tornare a casa. Ma, mentre cerca di prendere il volo del ritorno, ritrova un vecchio amico (Travis Fimmel, l’attore di Vikings la cui carriera aveva visto le luci della ribalda agli inizi degli anni 2000 in uno spot per Calvin Klein, non dimentichiamolo mai) che gli affida una nuova missione che lui accetta. Tom si ritrova però improvvisamente braccato e in fuga nel deserto arabo insieme al suo interprete Mohammad Doud (Fahim Fazli) in una situazione spaventosa e sanguinaria che non gli lascerà tregua nemmeno per un attimo.

La descrizione delle violenze e i disastri lasciati in Medio Oriente

Il film di Ric Roman Waugh è un thriller di guerra a tensione continua, che ansima continuamente e a tratti dispera. Il regista indugia nel mostrare la violenza (anche se non esplicita) e i disastri lasciati in Paesi come l’Iran e l’Afghanistan dove le dinamiche di collaborazione con i nuclei terroristici esistono e sussistono anche tra le nazioni occidentali che fingono di non vedere finché la situazione permette loro un vantaggio. La struttura stessa delle riprese descrive perfettamente questa dinamica: da una plancia di comando, due alte cariche della CIA seguono i movimenti dei protagonisti osservandoli su un maxi schermo da cui si vede ogni cosa ripresa dall’alto, come se un drone seguisse sempre i protagonisti.

Esattamente come in un videogame

Il quadro che si vede alla fine è un po’ di più rispetto a una sola successione di sequenze d’azione. Certo, nell’andare in profondità non si spinge chissà quanto oltre, ma risulta interessante il modo in cui Waugh mette in scena quello che vuole raccontare. La CIA resta a guardare quello che succede: attacchi, violenze, torture, la scoperta dei covi di chi comanda e guadagna da una terra inzuppata del sangue dei civili, e non fa mai nulla. Gli uomini sembrano essere come insetti le cui vite non contano nulla.

La bravura dell’ex agente Mitchell LaFortune nel scrivere la storia e del regista nel tradurla in immagini, è per aver fatto una descrizione molto chiara di un’atmosfera attinente con la (terribile) realtà, all’interno di un film dal ritmo serrato e incalzante.

Zielona granica (Green Border): recensione del film di Agnieszka Holland #Venezia80

Circa trent’anni fa la regista Agnieszka Holland (regista recentemente di In Darkness e Charlatan – Il potere dell’erborista) ha realizzato quello che ancora oggi è uno dei suoi film più famosi, dal titolo Europa Europa, dove con tale ripetizione si puntava a proporre una riflessione sulle due identità dell’Europa quale luogo di civiltà e rispetto delle leggi ma anche di crudeli crimini contro l’umanità. Non molto sembra essere cambiato da quel film, con la seconda delle due identità che sembra però aver prevalso sulla prima e a mostrarcelo è la stessa Holland con il suo nuovo lungometraggio Zielona granica (Green Border), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

Un film che spicca tra gli altri titoli in corsa per il Leone d’oro per la sua capacità di sbattere in faccia allo spettatore una tragica realtà troppo spesso sottovalutata, quella dei migranti al confine tra Biellorussia e Polonia, sorretta da una costruzione drammaturgia che permette non solo di entrare nel vivo di questa crisi umanitaria ma anche di confrontarsi con i molteplici punti di vista in gioco in tale dinamica. Zielona granica (Green Border) è dunque cinema politico al suo meglio, frutto di un’autrice che all’età di 74 anni sfoggia una lucidità e un controllo del mezzo cinematografico sbalorditivi.

La trama di Zielona granica (Green Border)

La vicenda si svolge dunque nelle insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, dove i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica cinicamente architettata dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko. Nel tentativo di provocare l’Europa, i rifugiati sono infatti attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE. Pedine di questa guerra sommersa, le vite di Julia, un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una confortevole esistenza, di Jan, una giovane guardia di frontiera, e di una famiglia siriana si intrecciano.

Accanto ai migranti, per cogliere la loro realtà

Inutile nasconderselo, l’idea di vedere un film polacco in bianco e nero della durata di due ore e mezza, può far pensare ad un’esperienza a dir poco ostica, riservata ai soli cinefili amanti di questo genere di cinematografie. La realtà, come ci dimostra la stessa regista con il racconto di questo film, è spesso però differente da come la immaginiamo. Perché quando il film ha inizio ci si rende conto in breve tempo di trovarsi davanti ad un’opera estremamente dinamica, rapida nei tempi e senza mezzi termini nel proporre anche le situazioni più difficili. Un’opera, dunque, che vede la sua regista porsi con la sua macchina da presa direttamente accanto ai migranti per cogliere la loro realtà.

Lo spettatore viene allora chiamato a vivere la fame, la sete, la paura e il dolore, ma anche la consapevolezza che riuscire ad attraversare il confine non equivale ad aver trovato la libertà. Il bosco pullula infatti di militari e forze dell’ordine, pronte a rispedire i migranti al di là del confine solo per dar vita ad una possibilmente infinita situazione di stallo. Il film si svolge dunque praticamente tutto in questo ambiente naturale che si rivela però tutt’altro che amico di chi vi è incastrato dentro. La Hollan riprende tutto ciò senza preoccuparsi troppo dell’estetica, perché non vi è tempo per preoccuparsene davanti all’orrore che, come riportato dalle didascalie a fine film, avviene ogni giorno, anche ora mentre si sta leggendo questa recensione.

Zielona granica Green Border Agnieszka Holland

Zielona granica (Green Border) è il cinema che pone domande

Non c’è dunque pathos né eroismo nel modo in cui si presentano i personaggi e si raccontano le loro storie. Vengono invece raffigurati semplicemente come esseri umani vittime di situazioni sociali e politiche insostenibili e attraverso l’impiego di tre ben distinti punti di vista è possibile avere un quadro completo e preciso di ciò che accade in quei luoghi ma anche nel corpo e nell’anima di chi è direttamente coinvolto. La Holland segue tutti questi personaggi trovando un magnifico equilibrio tra opera di fiction e documentario, fornendo così al suo film una forza comunicativa davvero sorprendente. Tale molteplicità di sguardi finisce talvolta con il presentare alcune vicende che si sarebbero potute asciugare un po’, specialmente nella seconda ora del film.

Zielona granica (Green Border) avrebbe potuto probabilmente essere un eccellente film di due ore, ma ciò non gli toglie di essere uno dei film più forti, cinematograficamente e politicamente parlando, visti quest’anno alla Mostra del Cinema. Lo è anche grazie al suo abbagliante bianco e nero, che risulta significativo in quanto da un lato è coerente con lo stato d’animo dei protagonisti, i quali metaforicamente vivono una vicenda priva di colori, ma dall’altro sembra voler richiamare alla mente i vecchi war movie e ribadire che quella mostrata qui è a tutti gli effetti una situazione di guerra, resa ancor più grave dal consapevole impiego di esseri umani quali “proiettili viventi”, come verranno definiti ad un certo punto del film gli immigrati.

Zielona granica (Green Border) non è un film perfetto né vuole esserlo, avendo come primario obiettivo quello di ricordarci che il cinema è un mezzo estremamente potente, che chiama in questo caso a confrontarsi nuovamente con realtà troppo drammatiche perché vengano ignorate. Pone domande alle quali non conosciamo le risposte, ma è solo ponendole che si può tentare di dare un po’ più di senso al mondo. La Holland fa proprio questo con il suo film, spingendo lo spettatore a chiedersi perché quanto qui mostrato debba verificarsi, perché silenziosamente la storia tenda a ripetersi. È a partire da film come questo che, scossi nell’animo, si può iniziare a cercare risposte a queste domande, che la regista non vuole assolutamente rimangano irrisolte.

L’esorcista: Il credente, il secondo trailer dell’horror

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L’esorcista: Il credente, il secondo trailer dell’horror

La Universal Pictures ha diffuso in rete il secondo trailer di The Exorcist: Believer, in Italia distribuito come L’esorcista: Il credente. Si tratta di un nuovo sequel del lungometraggio del 1973, diretto dal regista della nuova trilogia di Halloween David Gordon Green. Sebbene il film horror fungerà da sequel diretto de L’esorcista, è stato comunicato che gli altri film esistenti nel franchise rimarranno canonici. Il trailer, della durata di ben 3 minuti, introduce gli spettatori all’atmosfera, alle vicende e ai personaggi del film, promettendo tanto richiami all’opera originale quanto nuovi sconvolgenti orrori.

L’esorcista – Il credente, tutto quello che sappiamo sul film

L’esorcista: Il credente si concentrerà sul padre di una bambina posseduta, che in cerca di aiuto entrerà in contatto con Chris MacNiel (Ellen Burstyn). La Burstyn riprenderà il suo ruolo de L’esorcista, dove era la madre di Regan (interpretata da Linda Blair), per aiutare a combattere il possesso della bambina e di una sua amica. Oltre alla Burstyn, il cast di L’esorcista – Il credente include Leslie Odom Jr. (Hamilton), Ann Dowd (The Handmaid’s Tale), Raphael Sbarge (C’era una volta) e la cantante Jennifer Nettles.

Con un cast di talento riconoscibile che dà vita al film, L’esorcista: Il credente sta prendendo forma come un degno seguito di L’esorcista. La decisione di avere tutti i film nel canone di indica inoltre che ci saranno riferimenti anche agli altri quattro titoli della serie. Il nuovo film, però, segna anche l’inizio di una nuova trilogia di sequel, similmente a quanto fatto anche con i sequel di Halloween, di  cui appunto Green è stato regista.

Resta però da vedere come questo nuovo film si affermerà presso il grande pubblico. Mentre Green si è dimostrato un talentuoso regista slasher con Halloween, i suoi sequel Halloween Kills e Halloween Ends non sono stati particolarmente apprezzati né dal pubblico né dalla critica. Tuttavia, con L’esorcista – Il credente, che crea una nuova storia all’interno dell’universo di L’esorcista, il film potrebbe svelare nuovi entusiasmanti aspetti degni di essere raccontati.

Richard Linklater presenta Hit Man, la frizzante action-comedy con Glen Powell

Richard Linklater ha presentato in anteprima a Venezia 80 Hit Man, commedia brillante interpretata da Glen Powell, anche co-autore della sceneggiatura. La trama del film ruota attorno a Gary Johnson (Powell), il killer professionista più richiesto di New Orleans. Per i suoi clienti è come se fosse uscito da un film: il misterioso sicario da ingaggiare. Ma se lo si assolda per fare fuori un marito infedele o un boss violento, è bene stare in guardia, perché lui lavora per la polizia. Quando infrange il protocollo per aiutare una donna disperata che cerca di scappare da un fidanzato violento, si ritrova ad assumere una delle sue false identità: si innamorerà della donna e accarezzerà l’idea di diventare lui stesso un criminale.

Hit Man, genesi e tematiche del nuovo film di Richard Linklater

Il regista di Boyhood si è soffermato sulla genesi di Hit Man, raccontando: “Nella primavera 2020 Glen mi ha chiamato, dicendomi di aver letto l’articolo di Skip Hollandsworth sul Texas Monthly. lo gli ho risposto, “la conosco da quando portavi il pannolino!’ e così abbiamo iniziato a parlarne. Dalle basi reali della storia di Gary Johnson, ci siamo domandati cosa sarebbe potuto succedere se l’incontro tra lui e il personaggio di Madison si fosse tramutato in una dinamica contorta e oscura“.

Penso di avere un punto di vista molto da dark-comedy nella vita in generale, così sono riuscito ad avvertire il potenziale comico anche in una storia in realtà molto seria. Ho spaziato tra più generi perchè credo che il mondo moderno sia molto più complesso di quello del passato, tra identità instabili e la disinformazione che permettono con più facilità alle persone di presentarsi come ciò che non sono davvero“.

Linklater ha poi svelato cosa lo ha attirato el fare un film su un hitman, un sicario: “Il fatto che non esistano veramente. Come società, penso che porteremo avanti questo mito, ma è un mito nato dal cinema ed è incredibilmente divertente“. “Anche questo mio film ruota attorno all’eterna e antica domanda che ci facciamo, se le persone possano o meno cambiare. Tutti noi vogliamo essere delle persone migliori, c’è questo istinto naturale, e io voglio parlarne perchè mi spaventa l’idea di un mondo passivo dove questo non accade e le persone non riescono a scindere il vero dal falso“.

L’opinione sugli scioperi della SAG-AFTRA e della WGA

Richard Linklater ha dichiarato di credere che gli scioperi della SAG-AFTRA e della WGA negli Stati Uniti si risolveranno “presto“, perché “qualcosa deve cedere“. Il regista statunitense ha rivelato che spera di riprendere le riprese di Merrily We Roll Along, il suo progetto ventennale con Paul Mescal, “molto presto, se possibile“. Non ha fornito date precise per la ripresa delle riprese. Il film è prodotto dalla Blumhouse Productions.

Rispondendo a una domanda sugli scioperi posta durante la conferenza stampa per il suo titolo in concorso a Venezia, Hitman, Linklater ha detto: “Tutti lo sentono, nessuno è felice. Questo è il problema quando sei in un’industria e improvvisamente nessuno è contento; forse è il momento di ricalibrare e proporre alcune cose che potrebbero essere giuste per tutti“. “Penso che qualcosa debba cedere“, ha continuato il regista. “Non sono tanto al centro della questione; sono in sciopero, sono un fiero membro del sindacato, di un paio di sindacati. Si risolverà tutto“.

Gli scioperi sono un processo necessario dell’evoluzione del mercato del lavoro, suggerisce il regista. “È uno di quei momenti cruciali che si verificano di tanto in tanto – siamo qui perché 60 anni fa la gente ha scioperato. Il lavoro è sempre progredito attraverso questo, quindi ogni tanto è il momento di fare una correzione per il futuro. Sembra che sia arrivato adesso; non credo che sia stato previsto in questa misura, ma di tanto in tanto“. “E tutti noi ci stiamo sentendo a nostro agio, non sappiamo nemmeno quale sarà la situazione in futuro. Ognuno di noi sta affrontando la situazione nel miglior modo possibile“.

Progetti futuri

Il regista ha dichiarato che sarebbe aperto a un altro capitolo della sua popolare trilogia Before, che ha prodotto tre episodi a intervalli di nove anni: Before Sunrise del 1995, Before Sunset del 2004 e Before Midnight del 2013. “Qualche anno fa abbiamo mancato l’appuntamento con i nove anni; ma finché siamo qui, non si sa mai”, ha detto Linklater. “Non lo faremo solo per farlo; per quanto sarà divertente, dobbiamo avere qualcosa da dire sulla vita in quella fase“.

La collaborazione con Glen Powell

Linklater ha anche parlato con affetto di Powell, che ha incontrato per la prima volta quando l’attore un adolescente e si è assicurato un ruolo nel film di Linklater Fast Food Nation del 2006. “C’è una qualità alla [Matthew] McConaughey“, ha detto Linklater, ricordando un altro talento statunitense a cui ha dato una grande opportunità, in Dazed And Confused. “Il grande salto che [Powell] ha fatto quando è arrivato per Everybody Wants Some – a quel punto era un uomo. Era così intelligente, divertente e affascinante. È ovviamente una star, così come Adria Arjona. È stato divertente avere queste parti per persone di quell’età. Sono entrambi così talentuosi. Glenn è speciale – se il mondo non lo sa ancora, spero che Hit Man lo dimostri“.

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