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Venezia 82, le foto dal red carpet di The Last Viking con Mads Mikkelsen e Nikolaj Lie Kaas

Al Festival di Venezia 82 è andato in scena il red carpet di The Last Viking, il nuovo film diretto da Anders Thomas Jensen, uno dei registi più apprezzati del cinema europeo contemporaneo. L’autore danese, già noto per titoli come Men & Chicken e Riders of Justice, torna con una pellicola che mescola commedia nera, noir e dramma familiare, confermando il suo inconfondibile stile capace di unire ironia e profondità.

Protagonisti assoluti della passerella al Lido sono stati Mads Mikkelsen, attore simbolo del cinema scandinavo e star internazionale, e Nikolaj Lie Kaas, storico collaboratore di Jensen. Con loro anche Sofie Gråbøl, celebre interprete della serie The Killing, che arricchisce il cast con la sua intensità.

Le foto dal red carpet testimoniano l’entusiasmo con cui il pubblico veneziano ha accolto il team creativo e gli interpreti di The Last Viking. Mikkelsen, con la sua eleganza sobria, e Lie Kaas, visibilmente emozionato, hanno catturato i riflettori insieme a Jensen, che ha presentato il film sottolineando il valore della collaborazione con i suoi attori di lunga data.

Con atmosfere che oscillano tra il grottesco e il toccante, The Last Viking racconta il legame complesso e commovente tra due fratelli, in un mix di violenza, comicità e malinconia. Una formula che ha reso Jensen uno dei registi più originali del panorama europeo e che sembra destinata a conquistare anche il pubblico internazionale.

Il tappeto rosso veneziano ha così celebrato uno dei titoli più curiosi e attesi del concorso, confermando ancora una volta come il cinema nordico sappia sorprendere con storie potenti e interpretazioni di altissimo livello.

Venezia 82, le foto dal red carpet di Frankenstein di Guillermo Del Toro

Uno degli eventi più attesi della 82ª Mostra del Cinema di Venezia è stato senza dubbio il red carpet di Frankenstein, il nuovo film diretto da Guillermo Del Toro e presentato in concorso. L’opera, adattamento del classico di Mary Shelley, ha riportato sul Lido l’atmosfera gotica e visionaria tipica del regista premio Oscar, accompagnata dall’entusiasmo di pubblico e fotografi accorsi per immortalare i protagonisti.

Sul tappeto rosso hanno sfilato i membri del cast, a partire da Jacob Elordi e Oscar Isaac, protagonisti rispettivamente nei panni della Creatura e di Victor Frankenstein, fino a Christoph Waltz, Mia Goth e Felix Kammerer. Non sono mancati anche Charles Dance, David Bradley, Lars Mikkelsen e il giovanissimo Christian Convery, tutti accolti con calorosi applausi.

Guillermo Del Toro, grande protagonista della serata, ha ribadito come il film non voglia essere una metafora sull’intelligenza artificiale, ma piuttosto un racconto universale su paternità, creazione e imperfezione. Le sue parole in conferenza stampa – “Non ho paura dell’intelligenza artificiale, ho paura della stupidità naturale” – sono già diventate uno dei momenti più discussi del Festival.

L’anteprima veneziana di Frankenstein ha dunque confermato l’altissima attesa attorno a questo progetto, capace di unire spettacolo, riflessione e un cast di livello internazionale. In attesa dell’uscita nelle sale, ecco le foto più belle dal red carpet di Venezia 82.

The Last Viking: recensione del film di Anders Thomas Jensen – Venezia 82

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Con The Last Viking, presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Anders Thomas Jensen conferma la sua abilità nel muoversi tra i registri più disparati: commedia nera, slapstick, noir da rapina e riflessione sui legami familiari. Nessun altro regista europeo contemporaneo sembra capace di giostrarsi con tanta naturalezza tra ironia, violenza e tenerezza. A rendere il tutto ancora più memorabile c’è l’ennesima prova d’attore di Mads Mikkelsen, che qui presta volto e corpo a un personaggio fragile e surreale, ma anche sorprendentemente umano.

Una coppia di fratelli fuori dall’ordinario

Il film si apre con una sequenza rapida e decisiva: Anker (interpretato da Nikolaj Lie Kaas) commette una rapina, nasconde il bottino e affida al fratello Manfred il compito di occultarne la chiave in un luogo segreto. Pochi istanti dopo, la storia compie un salto temporale di quindici anni: Anker è appena uscito di prigione e Manfred non è più lo stesso. O, meglio, non è più Manfred: convinto di essere John Lennon, rifiuta persino di rispondere al suo vero nome e reagisce con gesti estremi a chi prova a richiamarlo alla realtà.

Questa premessa dà subito il tono della pellicola: un racconto che intreccia situazioni paradossali, un umorismo nero e un sottotesto malinconico. Anker cerca disperatamente di recuperare il denaro nascosto, ma deve fare i conti con l’instabilità del fratello e con un mondo che sembra popolato da figure altrettanto eccentriche.

The Last Viking: commedia nera e tenerezza inattesa

Il cuore pulsante del film è proprio il rapporto tra i due fratelli. Jensen costruisce una relazione fatta di contrasti: da un lato Anker, pragmatico, ruvido e talvolta brutale; dall’altro Manfred, fragile, visionario e apparentemente disancorato dal reale. Kaas riesce a restituire tutta la durezza e la segreta vulnerabilità di Anker, mentre Mikkelsen offre una delle sue interpretazioni più sottili, donando dignità e grazia a un uomo psicologicamente instabile, ma capace di una devozione assoluta.

Accanto a loro si muove una galleria di personaggi secondari che arricchiscono la trama di situazioni assurde e irresistibili. La coppia proprietaria dell’Airbnb in cui i fratelli si rifugiano, ad esempio, sembra uscita da una farsa domestica; il medico Lothar porta con sé due pazienti psichiatrici con l’idea folle di mettere in piedi una cover band dei Beatles, convinto che ciò possa “guarire” Manfred. Ma al di là delle gag e dei paradossi, il film non cade mai nel ridicolo: al contrario, mostra come ciascuno, con le proprie stranezze, viva una forma di scollamento dalla normalità.

Una giostra di generi e atmosfere

Come già in Riders of Justice o in Men & Chicken, Jensen dimostra una straordinaria abilità nel cambiare tono senza mai perdere coerenza. In The Last Viking si passa dalla comicità slapstick alla violenza cruda in modo fluido, senza strappi. Alcune scene sono autentici momenti di farsa, altre virano al thriller più cupo, altre ancora si tingono di malinconia grazie ai flashback dell’infanzia dei fratelli, quando Manfred sognava di essere un vichingo e veniva bullizzato per questo.

Il titolo del film trova proprio lì la sua radice simbolica: nel bambino che non si arrende alla crudeltà del mondo e sceglie di resistere con l’immaginazione. Questi ricordi, che emergono gradualmente, donano al film un sottotesto emotivo potente e rivelano quanto il legame familiare, pur segnato da ferite e incomprensioni, sia il vero collante della narrazione.

La scelta di aprire e chiudere la pellicola con una sequenza animata è un’altra dimostrazione della ricchezza di registri dell’autore. La parabola del re che ordina ai sudditi di mutilarsi per eguagliare il figlio storpio, inizialmente enigmatica, acquista un significato toccante solo alla fine, illuminando retrospettivamente il percorso dei due protagonisti.

Ciò che rende The Last Viking così riuscito è la sua capacità di essere, contemporaneamente, un racconto grottesco e una riflessione universale. Jensen non deride mai la fragilità dei suoi personaggi, ma la abbraccia. E così facendo restituisce allo spettatore una visione del mondo in cui la normalità è un’illusione e ciò che conta davvero sono i legami.

The Last Viking è una commedia nera brillante, violenta e allo stesso tempo umana. Grazie a un cast affiatato e a una regia che non teme i salti di registro, il film riesce a intrattenere e commuovere, spesso nello stesso momento. È una riflessione sull’amore fraterno, sulla resilienza e sulla capacità di sopravvivere al caos della vita, anche quando ci si sente fuori posto come un vichingo o come un Beatle fuori dal tempo.

Hexed: annunciato il nuovo film Disney per il 2026

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Hexed: annunciato il nuovo film Disney per il 2026

Disney annuncia un nuovo film in uscita nelle sale il prossimo anno. Dopo le uscite di Elio, Lilo & Stitch e Biancaneve quest’anno, la società presenterà Zootropolis 2 della Pixar a novembre. Il programma per il prossimo anno includerà invece un sequel di Toy Story e un adattamento live-action di Oceania. Al D23, Disney ha ora annunciato anche un nuovo progetto originale dei Walt Disney Animation Studios. Intitolato Hexed, il nuovo film uscirà nelle sale nell’autunno 2026.

All’evento, il progetto animato è stato descritto come “la storia di un adolescente eccentrico e di sua madre, che scoprono la sua stranezza come una magia nascosta che detiene la chiave di un regno dove la magia può scorrere libera“. Lo studio ha anche pubblicato un breve clip, mostrando il logo verde scintillante e confermando la data di uscita. Un altro post ha invece offerto un’anteprima del protagonista adolescente e della sua mamma, che ha scoperto i suoi poteri magici.

I prossimi film della Disney, da L’era glaciale: Boiling Point a Hexed

Al D23, la Disney ha anche fornito un aggiornamento su diversi titoli in uscita. L’attesissimo sequel di L’era glaciale ha ora un titolo ufficiale, L’Era Glaciale: Boiling Point, e una nuova data di uscita, il 5 febbraio 2027. Nel frattempo, la Pixar distribuirà un film d’animazione originale, Hoppers, nel 2026, mentre Gatto arriverà nelle sale nel 2027.

Gli Incredibili 3 e Coco 2 sono stati programmati per il 2028 e oltre. Sebbene lo studio abbia diversi remake in lavorazione, Hexed è attualmente l’unico film originale annunciato dalla Walt Disney Animation Studios che uscirà nel 2026. Questo annuncio significa che il programma del prossimo anno sarà meno ricco di remake per lo studio.

Oceania 2 ha segnato l’ultimo lungometraggio animato originale della Disney. Uscito nel 2024, il film ha ottenuto un grande successo al botteghino, incassando oltre 1 miliardo di dollari durante la sua permanenza nelle sale. Mentre l’uscita originale dello studio nel 2023, Wish, è stata un flop, Encanto è diventato un fenomeno di passaparola su Disney+.

Venezia 82: enorme protesta contro l’attacco militare israeliano a Gaza

La Mostra del Cinema di Venezia è diventata lo sfondo di quella che probabilmente è stata la più grande protesta mai vista in un importante evento cinematografico contro l’attacco militare israeliano in corso a Gaza.

Migliaia di persone, tra ospiti del festival, accreditati e pubblico, hanno preso parte a una grande marcia per denunciare Israele e chiedere la fine del genocidio. La protesta, organizzata con il sostegno di numerosi gruppi, associazioni e organizzazioni, mirava a garantire che il festival assumesse una posizione visibile e pubblica sulla guerra a Gaza e fosse utilizzata come piattaforma. “La Mostra del Cinema di Venezia non deve rimanere un evento isolato dalla realtà, ma piuttosto diventare uno spazio per denunciare il genocidio perpetrato da Israele, la complicità dei governi occidentali e offrire un sostegno concreto al popolo palestinese”, avevano dichiarato gli organizzatori in un comunicato.

“A Gaza, ospedali, scuole e campi profughi vengono bombardati; i civili vengono privati ​​di cibo e acqua; giornalisti e medici vengono uccisi; navi umanitarie come la Freedom Flotilla vengono sequestrate. Allo stesso tempo, in Cisgiordania, l’apartheid e la violenza dei coloni continuano incessantemente. L’occupazione permanente di Gaza da parte del governo israeliano segna un’escalation che ha superato ogni limite di umanità e di diritto internazionale”, si legge nella dichiarazione. “L’Italia e l’Europa – attraverso forniture di armi, accordi economici e copertura diplomatica – sono complici di questa barbarie. È ora di fermare il massacro: fermare il genocidio, fermare la vendita di armi, fermare la complicità occidentale”.

In vista del festival, centinaia di registi e artisti internazionali hanno esortato gli organizzatori di Venezia ad assumere una “posizione chiara e inequivocabile [nel] condannare il genocidio in corso a Gaza e la pulizia etnica in Palestina perpetrata dal governo e dall’esercito israeliani”. E’ stato anche loro chiesto di non invitare celebrità che hanno mostrato pubblicamente sostegno a Israele, in particolare Gal Gadot e Gerard Butler.

Security: dal cast al finale, le curiosità sul film con Antonio Banderas

Prima di recitare nell’acclamato Dolor y Gloria, il film di Pedro Almodovar che gli ha fatto guadagnare la sua prima nomination all’Oscar, Antonio Banderas ha preso parte, tra i tanti, al film Security, action thriller diretto da Alain DesRochers e scritto dagli sceneggiatori Tony Mosher e John Sullivan. All’interno di questo, uscito nel 2017, l’attore spagnolo interpreta un’inarrestabile guardia del corpo pronto a tutto pur di difendere un’innocente bambina. Nello stesso anno in cui recita in Vendetta finale, Banderas dimostra ulteriormente la sua predisposizione a tale genere, risultando minaccioso e agguerrito quanto occorre alla storia. Un ruolo non inedito, ma che gli permette di mettersi alla prova anche con prove più fisiche.

Girato in Bulgaria con un budget di 15 milioni di dollari, il film presenta tutte le principali caratteristiche che il genere richiede, con sequenze action di grande impatto ma anche tanta emotività. Al pari di titoli simili come Man on Fire o The Equalizer, anche qui si costruisce infatti una relazione tra un duro e una giovane da proteggere, insegnandosi molto a vicenda. Nonostante il cast di celebri attori presenti, però, Security è passato grossomodo inosservato, arrivando direttamente in streaming per molti paesi. Ciò ha dunque impedito al film di conoscere una maggior popolarità.

Per quanti sono curiosi di vedere Banderas in un ruolo diverso da suoi soliti, questo è però il titolo giusto. Allo stesso tempo, per gli amanti di questo genere si tratta di un buon prodotto in grado di regalare intrattenimento a volontà nella sua durata di appena un’ora e mezzo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Security cast

La trama di Security

Protagonista del film è Eduardo “Eddie” Deacon, veterano delle forze speciali estremamente preparato ad ogni tipo di combattimento, sia con armi che a mani nude. Nonostante la sua gloriosa attività, da quando egli ha lasciato la Delta Company dei Marine non è più riuscito a trovare un’occupazione decente. Questo ha ovviamente avuto pesanti ripercussioni sulla sua vita, a partire da quella famigliare. La sua frustrazione si ripercuote infatti sui rapporti con la moglie e la figlia. Alla disperata ricerca di un nuovo impiego che gli permetta di ottenere un sostentamento minimo, Eddie finisce con l’accettare l’incarico di addetto alla sicurezza in centro commerciale.

Questo si trova però in una zona particolarmente malfamata della città, dove rapine e scontri con armi da fuoco sono pressocché all’ordine del giorno. Già alla sua prima notte di servizio, infatti, egli si ritrova coinvolto in un brutto affare. Una giova bambina di nome Jamie bussa infatti alle porte del centro, alla ricerca di un rifugio sicuro. Eddie apprenderà di come sia riuscita a scappare da un gruppo di assassini, i quali la vogliono morta in quanto testimone di un delicato processo. Prima che Eddie possa rendersene conto, il boss criminale Charlie e i suoi uomini circonderanno il centro commerciale, dando vita ad un assalto da cui sarà difficile uscire vivi.

Il cast del film

Come anticipato, nel ruolo del protagonista Eddie Deacon vi è l’attore Antonio Banderas. Entusiasta dalla possibilità di interpretare un ruolo tanto basato sulla fisicità, egli accettò da subito l’offerta, iniziando a prepararsi con grande dedizione. In particolare, Banderas si sottopose ad un rigido addestramento che gli ha permesso di interpretare quante più scene possibile, senza ricorrere troppo a controfigure. Allo stesso tempo, si è esercitato nell’utilizzo di varie armi, così da avere una maggiore padronanza di queste al momento delle riprese. Accanto a lui, nei panni della giovani Jamie, vi è l’attrice Katherine de la Rocha. Per lei si è trattato dell’esordio cinematografico in un ruolo di rilievo, ed è stata scelta tra numerosissime candidate.

Nei panni dello spietato criminale Charlie, invece, si ritrova l’attore premio Oscar Ben Kingsley. Noto per i suoi ruoli di vario genere, questi ha negli ultimi anni interpretato diversi villain, cercando però di distinguere ognuno di questi tra loro. Per questo nuovo personaggio, infatti, ha ricercato la freddezza necessaria per ordinare di far uccidere una bambina. Nel film si ritrova poi l’attore Liam McIntyre, celebre per essere stato il protagonista della serie Spartacus, nei panni di Vance. Cung Le, ex lottatore di arti marziali miste, interpreta Dead Eyes, mentre l’attore taiwanese Jiro Wang è Johnny Wei, qui nel suo primo film statunitense. Infine, Chad Lindberg recita nel ruolo di Mason.

Ben Kingsley in Security

Il finale di Security

Nel finale di Security, Eddie, Ruby e gli altri riescono ad uccidere diversi mercenari; la donna, più tardi, muore però dissanguata in seguito a diverse sparatorie, così come Mason, che viene ucciso da una squadra di finti U.S Marshals, ed il cecchino di Charlie. Quando lo stesso Charlie irrompe nel centro commerciale e cattura Jamie, minacciando di ucciderla, arriva Eddie, già colpito da un proiettile: quando il criminale sta per sparare a Eddie, Jamie lo colpisce con un taser, permettendo ad Eddie di sparargli, uccidendolo. Poco dopo arriva la polizia e Jamie, Eddie e Vance escono vivi dal centro commerciale. Il film finisce dunque con Eddie, nel frattempo guarito dalle ferite di pistola, all’aeroporto, che si ricongiunge con sua figlia, Silvia, ormai cresciuta.

Il finale di Security porta con sé un messaggio chiaro sul valore della resilienza e sul significato più profondo della protezione. Eddie, inizialmente un uomo alla ricerca di un riscatto personale e professionale, trova un nuovo senso di sé attraverso la difesa di Jamie, trasformando il lavoro da semplice impiego a missione morale. Lo scontro finale evidenzia come il coraggio e la determinazione possano emergere anche nelle condizioni più avverse, ribaltando il ruolo di individui apparentemente comuni. La ricongiunzione con la figlia chiude il cerchio tematico, restituendo ad Eddie dignità, speranza e un rinnovato senso di paternità.

Il trailer di Security e dove vedere il film in streaming e in TV

Security è attualmente presente su Netflix, una delle piattaforme streaming più famose disponibili sul Web. Per poterlo vedere, basterà sottoscrivere un abbonamento generale, cosa che permetterà l’accesso anche a tutti gli altri titoli presenti nel catalogo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 30 agosto alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset. Potrà dunque essere visto in quest’occasione da quanti ne sono incuriositi.

Fonte: IMDb

Folle ossessione: la spiegazione del finale del film

Folle ossessione: la spiegazione del finale del film

Folle ossessione (film del 2021 diretto da Jessica Janos il cui titolo originale è Designed for Death) si inserisce pienamente nella tradizione dei thriller televisivi firmati Lifetime, dove l’intreccio ruota attorno a dinamiche familiari minacciate dall’arrivo di una figura esterna. Il film segue la parabola di Ava, un’interior designer tormentata da un passato doloroso e da disturbi ossessivi, che trasforma la sua attrazione per un cliente in un’ossessione pericolosa. La tipologia è quindi quella del “domestic thriller”, un sottogenere che mette in scena tensioni psicologiche, manipolazioni e il progressivo smantellamento della normalità familiare.

Dal punto di vista dei temi, Folle ossessione affronta dunque argomenti come l’ossessione amorosa, la gelosia e il desiderio di sostituirsi a una vita che non ci appartiene. Attraverso Ava, il film esplora la fragilità mentale e la pericolosità di traumi infantili mai risolti, che si trasformano in comportamenti distruttivi verso se stessi e gli altri. In questo senso, il personaggio non è solo la “villain” del racconto, ma diventa anche la rappresentazione di una fragilità che esplode in maniera incontrollabile.

Collocato nel filone dei thriller televisivi a basso budget, il film può essere messo in dialogo con altri titoli come La mia ossessione (My Husband’s Secret Wife) o Una donna sotto assedio (A Mother’s Nightmare), dove le dinamiche familiari vengono invase da figure esterne tanto affascinanti quanto minacciose. Come in questi casi, l’intreccio si costruisce su un crescendo di tensione che culmina in un terzo atto ricco di colpi di scena. Nel resto dell’articolo, approfondiremo proprio il finale del film e il suo significato.

Kelcie Stranahan in Folle ossessione
Kelcie Stranahan in Folle ossessione

La trama di Folle ossesione

Il film segue la storia di Ava (Kelcie Stranahan), una decoratrice d’interni brillante e ambiziosa che dopo aver completato il restyling di una magnifica casa in un tranquillo quartiere residenziale, scopre un’attrazione travolgente nei confronti del suo ultimo cliente.
L’uomo, gentile e affascinante, rappresenta per la donna l’incarnazione della vita perfetta. Famiglia, successo e una casa da sogno che lei stessa ha contribuito a trasformare. Ma ciò che inizia come una semplice cotta, si trasforma rapidamente in una fissazione morbosa.

Ossessionata dall’idea di far parte di quella famiglia, Ava oltrepassa ogni limite. Installa di nascosto telecamere tra i mobili e negli angoli nascosti della casa, osservando ogni momento d’intimità dell’uomo e dei suoi familiari. Mentre la sua mente si frammenta sempre di più, Ava sviluppa un piano tanto folle quanto inquietante, quello di eliminare sua moglie e i suoi figli. È convinta che solo così potrà finalmente vivere con lui nella casa che considera ormai un nido d’amore costruito a sua immagine e somiglianza.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Folle ossessione, l’ossessione di Ava raggiunge il suo culmine, trasformandosi in una spirale distruttiva senza ritorno. Dopo aver eliminato Derek, che minacciava di smascherarla, la donna intensifica la sua presenza nella vita di Jim e della sua famiglia, fino a presentarsi come l’unica figura di riferimento per Chelsea. Quando Miranda scopre la verità sul passato di Ava e tenta di smascherarla, ne diventa la nuova vittima: la donna viene aggredita e ridotta in fin di vita, costretta a un ricovero d’urgenza. Questo gesto estremo mostra come Ava, ormai fuori controllo, sia pronta a distruggere chiunque ostacoli il suo sogno distorto di vita perfetta al fianco di Jim.

La tensione si scioglie nell’epilogo, che porta a un confronto diretto e definitivo. Ava, incapace di abbandonare la sua illusione, rapisce Chelsea e avvelena Jim, organizzando un ultimo piano per eliminare la famiglia e sostituirsi a Miranda. Tuttavia, la sua violenza si ritorce contro di lei: Jim riesce a liberarsi, mentre Chelsea dimostra coraggio trovando la forza di reagire da sola. Il confronto finale, pur anti-climatico, sancisce la sconfitta di Ava, che viene sopraffatta e arrestata. Il film si chiude con la famiglia riunita accanto a Miranda, finalmente in via di guarigione, mentre Ava viene internata in un istituto psichiatrico, condannata a convivere con le sue ossessioni.

Ashlynn Judy e Kelcie Stranahan in Folle ossessione
Ashlynn Judy e Kelcie Stranahan in Folle ossessione

Il finale di Folle ossessione rappresenta il crollo inevitabile di una costruzione patologica che non poteva reggere a lungo. Ava, segnata da un’infanzia di abusi e dalla necessità di riempire un vuoto affettivo mai colmato, cerca di appropriarsi con la forza di ciò che non le appartiene: una famiglia, un marito, una figlia. La sua ossessione si nutre di fragilità e desiderio di controllo, ma il film mostra come la realtà non possa essere piegata a un delirio personale senza generare distruzione. La scelta di farla terminare in un ospedale psichiatrico sottolinea l’impossibilità di guarire dalla follia senza un riconoscimento della propria malattia.

Al tempo stesso, la risoluzione non è priva di ambiguità. La vittoria di Jim e Chelsea su Ava appare parziale, perché ciò che resta è un trauma destinato a segnarli per sempre. La figlia, costretta a confrontarsi con la minaccia di sostituzione materna e con la violenza estrema, incarna l’elemento più fragile della vicenda: pur salvandosi, porta addosso le cicatrici di una manipolazione psicologica che difficilmente potrà dimenticare. L’ultima immagine di Ava con la bambola nelle mani, simbolo della sua identità spezzata, lascia allo spettatore un senso di inquietudine che contrasta con il ritorno all’ordine familiare.

Cosa ci lascia il film Folle ossessione

In definitiva, Folle ossessione utilizza i codici del thriller televisivo per raccontare una storia di desiderio malato e distruzione domestica. Pur affidandosi a meccanismi narrativi spesso sopra le righe, il film mette in evidenza la fragilità dei rapporti familiari e la facilità con cui una figura manipolatrice può insinuarsi in un contesto vulnerabile. Ciò che rimane allo spettatore non è soltanto la sconfitta di Ava, ma la consapevolezza che la linea di confine tra normalità e follia è più sottile di quanto sembri, e che i fantasmi del passato, se non affrontati, possono trasformarsi in ossessioni distruttive.

Scopri anche il finale di film simili a Folle ossessione

Viaggio al centro della Terra: il significato del finale del film e il suo sequel

Viaggio al centro della Terra, diretto nel 2008 da si presenta come una rilettura in chiave moderna del celebre romanzo di Jules Verne, rielaborato con lo scopo di avvicinare un pubblico giovane alla fantascienza avventurosa. Non si tratta di un adattamento fedele, ma piuttosto di un film che utilizza l’opera verniana come punto di partenza per costruire un racconto autonomo, arricchito da elementi spettacolari e da una narrazione pensata per il cinema 3D, allora in forte espansione. La tipologia è quindi quella del family adventure movie, capace di unire azione, leggerezza e meraviglia visiva.

Il genere di riferimento è dunque il fantasy-avventuroso con forti contaminazioni fantascientifiche: il film trasporta i protagonisti in un mondo sotterraneo popolato da paesaggi incredibili, creature preistoriche e fenomeni naturali impossibili. Le novità risiedono soprattutto nell’uso della tecnologia 3D, che nel 2008 rappresentava un esperimento immersivo ancora raro, e nell’approccio che mescola il gusto classico dell’avventura ottocentesca con un ritmo narrativo e un umorismo più vicino al cinema per famiglie contemporaneo. Tra i temi principali emergono il rapporto tra scienza e immaginazione, la scoperta come forma di crescita personale e il valore del legame familiare.

Per impostazione narrativa e tono spettacolare, il film può essere avvicinato ad altri titoli che rivisitano la letteratura d’avventura in chiave moderna, come Le cronache di Narnia, La bussola d’oro o Pirati dei Caraibi. Tutti condividono la volontà di riproporre l’epica avventurosa a un pubblico giovane, bilanciando azione e intrattenimento. Nel caso di Viaggio al centro della Terra, l’operazione funziona soprattutto nel creare un ponte tra il mito letterario e il cinema d’intrattenimento, aprendo la strada a un seguito. Nel resto dell’articolo analizzeremo infatti il finale del film e il modo in cui anticipa il sequel.

Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra
Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra

La trama di Viaggio al centro della Terra 

Il vulcanologo Trevor Anderson (Brendan Fraser) conduce delle ricerche sulle placche tettoniche, purtroppo con esiti fallimentari. Il laboratorio al college di Boston, dove tiene le sue lezioni, rischia infatti di chiudere in assenza di scoperte interessanti. Ad interrompere bruscamente le frustranti giornate dello scienziato è suo nipote Sean (Josh Hutcherson), che si trasferisce da lui per qualche giorno. I due, impacciati, cercano di combattere la noia rovistando in una vecchia scatola appartenuta a Max, fratello di Trevor e padre di Sean, anch’egli ricercatore scientifico.

Trovano così una copia del romanzo di Jules Verne, che Max, prima di partire per una spedizione in Islanda che gli era stata fatale, aveva riempito di appunti. Seguendo gli indizi del libro, che descrive minuziosamente il mondo sotterraneo, i due decidono di raggiungere l’isola e portare avanti la ricerca. Inizia così un’avventura straordinaria, in cui ad accompagnare i protagonisti è Hannah (Anita Briem), un’affascinante guida di montagna. Per una serie di peripezie e sfortunati eventi, i tre si ritrovano però catapultati al centro della Terra, tra paesaggi mai visti e creature irreali.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Viaggio al centro della Terra, Trevor, Sean e Hannah devono affrontare l’ultima e più rischiosa sfida: trovare un modo per risalire in superficie prima che l’aumento delle temperature renda impossibile la sopravvivenza. La scoperta del diario di Max, fratello di Trevor e padre di Sean, non solo porta con sé un forte impatto emotivo – segnato dalla sepoltura del corpo dell’uomo – ma diventa anche un punto di svolta, poiché fornisce indicazioni preziose per la fuga. L’avventura diventa così una corsa contro il tempo, tra ostacoli naturali, pericoli e creature preistoriche che mettono in pericolo soprattutto Sean, separato per un momento dagli adulti e costretto a cavarsela da solo.

Il climax arriva con l’intuizione di Trevor: usare il contatto tra una parete di magnesio e un razzo di segnalazione per generare l’esplosione necessaria a innescare il geyser che li proietterà fuori dal sottosuolo. L’espediente funziona, e i protagonisti riescono a emergere attraverso il cratere del Vesuvio, approdando in Italia e salvandosi così da una fine certa. Il ritorno in superficie non segna solo la sopravvivenza, ma anche la chiusura emotiva del viaggio: Sean ha trovato un legame più profondo con lo zio, Trevor ha fatto pace con la memoria del fratello e Hannah è ormai parte integrante del loro futuro.

Viaggio al Centro della Terra sequel
Brendan Fraser, Josh Hutcherson e Anita Briem in Viaggio al centro della Terra

La spiegazione di questo finale risiede proprio nel modo in cui unisce spettacolo e intimità. Da un lato, il film rispetta la sua vocazione di avventura fantastica con un’esplosione visiva che sfrutta al massimo l’impianto 3D, dall’altro conclude il percorso personale dei protagonisti, trasformando un viaggio apparentemente impossibile in un’esperienza di crescita, elaborazione del lutto e costruzione di nuovi rapporti affettivi. L’eroismo di Trevor, la maturazione di Sean e il coraggio di Hannah trovano tutti compimento in questa conclusione.

Allo stesso tempo, il finale lascia agli spettatori una riflessione più ampia: l’idea che la scienza e l’immaginazione, spesso poste in conflitto, possano convivere e arricchirsi a vicenda. La realtà straordinaria scoperta dai protagonisti non è solo un’avventura fuori dall’ordinario, ma diventa metafora di come il desiderio di conoscenza e la spinta verso l’ignoto siano motori essenziali dell’essere umano. Per questo il film, pur nella sua leggerezza da prodotto family, porta con sé un messaggio universale di scoperta e speranza.

Il sequel di Viaggio al centro della Terra

Infine, la scena conclusiva con Trevor che regala a Sean il libro Atlantis non è soltanto un gesto simbolico, ma un vero e proprio gancio narrativo che apre le porte a un possibile sequel. L’allusione a una nuova avventura, unita al legame ormai saldo tra i protagonisti, prepara il terreno per Viaggio nell’isola misteriosa (2012), continuazione ideale che espande l’universo di Jules Verne e porta avanti il filone dell’avventura spettacolare inaugurato da questo film. In questo sequel, tuttavia, Fraser è sostituito da Dwayne Johnson. Inizialmente era previsto anche un terzo film, basato sul romanzo di Verne Dalla Terra alla Luna, ma questo non è mai stato realizzato.

Frankenstein: recensione del film di Guillermo Del Toro – Venezia 82

Solo i mostri giocano a fare Dio. I mostri tracotanti, che pensano di poter espandere gli stretti limiti della scienza accademica per rispondere con la maestosità della creazione al dolore inesauribile di una perdita. Guillermo Del Toro arriva in concorso a Venezia 82 con la sua personale rilettura di Frankenstein, il film che – citando le parole dell’interprete Mia Goth – “avremmo sempre voluto vederlo dirigere“.

Dai primi anni 2000 ad oggi, il regista messicano ha infatti instaurato un prolungato dialogato d’amore con le creature che la società tenderebbe a trattenere ai margini, reinventate tramite il filtro del fantastico, e che hanno sempre raccontato con innegabile intensità l’essere umano. Con uno di questi, a metà tra il marittimo e l’umano, si è anche aggiudicato il Leone d’Oro alla mostra del cinema nel 2017 (La forma dell’acqua). Partendo da queste premesse, il cineasta doveva per forza approdare al capolavoro di Mary Shelley, che ha ridefinito il concetto stesso di vita e morte.

Il moderno Prometeo

Oscar Isaac interpreta qui Victor Frankenstein, scienziato geniale ma tormentato, che spinto dal proprio ego intraprende l’impresa di dare vita a una nuovo essere. Il risultato è la Creatura, interpretata da Jacob Elordi, la cui sola esistenza mette in discussione il confine tra umanità e mostruosità.

Il film attraversa scenari che vanno dalle gelide distese dell’Artico ai sanguinosi campi di battaglia dell’Europa ottocentesca, seguendo il viaggio parallelo di Frankenstein e della sua Creatura, entrambi alla ricerca di un significato in un mondo dominato dalla follia. Nel cast anche Mia Goth, nel ruolo della luminosa Elizabeth, e Christoph Waltz, due volte premio Oscar.

Mia Goth in Frankenstein di Guillermo Del Toro
© Cortesia di Netflix

La cura del benessere

Nella migliore tradizione artigianale di Del Toro – che anche in questo caso ci delizia con scenografie e character design mozzafiato – Victor Frankenstein viene qui rappresentato più come un artista che come uno scienziato, che sembra lavorare direttamente in un atelier bohémien. Grottesco conquistatore, prometeo incandescente, nel prologo ambientato nel gelido polo ci viene però introdotto come un uomo bestiale, che si scontra con una creatura dalla forza bruta. Così, con progenitore e progenie riuniti, parte un viaggio a ritroso alla scoperta di due esperienze complementari, dall’ideazione alla creazione fino all’autodeterminazione. Due uomini cuciti assieme, che si vedono per la prima volta al risveglio, quasi come se avessero passato la notte insieme, e che non potranno mai più dirsi addio.

Figlio di un padre chirurgo, fin da piccolo Victor conosce l’abbandono e il disprezzo da parte di chi gli ha dato la vita, segnato dalla perdita di una madre che vede come luminosa stella polare. Nel momento in cui questa figura che era la vita è diventata la morte, Victor decide che, proprio come recita il significato intrinseco del suo cognome, conquisterà la morte.

Come si fa a vivere con un cuore infranto? Come si può esistere senza avere la possibilità di morire? Angeli e demoni, è tutta un’illusione: siamo entrambi, allo stesso tempo. Quello imbastito da Del Toro è un racconto di punti di vista, Victor Frankenstein ha concesso alla creatura lo spazio di esistere ma il regista messicano gli dà quello di parlare. C’è un lavoro di delicata eleganza sui dialoghi, che intesse l’universo fantasy-gotico ben caro ai conoscitori del suo cinema, impreziosito ulteriormente dal romanticismo struggente che suggellava il rapporto tra Elisa (Sally Hawkins) e la creatura in La forma dell’acqua.

Frankenstein Film 2025
© Cortesia di Netflix

Non posso dimenticare ciò che non riesco a ricordare

Il film di Del Toro ci racconta la creatura principalmente fuori dal laboratorio di Frankenstein, dal momento in cui chiama a gran voce il nome del suo creatore e capisce di essere solo. Si veste, mangia, si accompagna segretamente alla quotidianità di una famiglia, diventa uno spirito della foresta che fa del bene. Due ricerche di un senso che procedono in parallelo, che sembrano scontrarsi ma in fondo sono imprescindibili, si inseguono finchè non resta più nulla se non loro stessi.

Curioso come, solo due anni fa, alla Mostra del Cinema di Venezia abbia trionfato Povere Creature! di Yorgos Lanthimos, che pure rileggeva il mito di Frankenstein da una chiave però femminile e femminista. Laddove Bella Baxter, figlia di Godwin Baxter, salpava all’avventura “abbandonando” il padre-dio-creatore per scoprire nei modi più disparati e viscerali cosa significa scegliere, la creatura di Victor Frankenstein è obbligata a sopravvivere senza possibilità. Può solo assumere la consapevolezza che è nato dalla morte e muore per vivere. Solo così si diventa umani, quando un cuore smette di battere e l’altro forse inizia per la prima volta: nella riappacificazione oltre ogni forma, nella capacità di ricordare e perdonare.

Ish: recensione del film di Imran Perretta – SIC – Venezia 82

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Ish: recensione del film di Imran Perretta – SIC – Venezia 82

Con Ish, presentato alla 40ª Settimana della Critica nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia 82, l’artista, musicista e film-maker britannico Imran Perretta firma un debutto alla regia sorprendente e già maturo. Co-sceneggiato insieme al drammaturgo Enda Walsh e fotografato con un elegante bianco e nero da Jermaine Canute Edwards, il film si colloca a metà strada tra racconto di formazione e poema urbano, mescolando il lirismo del paesaggio con la crudezza di un contesto sociale attraversato da discriminazioni sottili e persistenti.

Luton e i suoi dintorni diventano lo scenario di una storia intima e al tempo stesso universale: i boschi vicino al Wardown Park, le strade sotto le rotte degli aerei, i riflessi accecanti dei fari dello stadio di calcio. Luoghi ordinari e marginali, che nel film si trasformano in spazi sospesi, percorsi dai fantasmi dell’adolescenza e dai segni di un’Inghilterra divisa, in cui le comunità musulmane e sudasiatiche sono ancora vittime di pregiudizi e sorveglianze invasive.

Una doppia storia di formazione

Al centro del film ci sono due ragazzi: Ishmail, detto Ish, interpretato dal giovane esordiente Farhan Hasnat, e il suo migliore amico Maram (Yahya Kitana). Due adolescenti cresciuti in famiglie diverse, ma legati da un’amicizia che somiglia a un patto segreto, cementato da giornate trascorse a vagabondare, parlare in slang, raccogliere more selvatiche, immaginare un futuro incerto.

Ish vive con la nonna (Sudha Bhuchar), con il padre Naeem (Avin Shah), impiegato all’aeroporto, e con la sorella maggiore Samira (Joy Crookes), figura di mediazione tra generazioni. La madre è morta da poco, e l’assenza pesa come un macigno in una casa dove le emozioni restano soffocate. Maram invece porta sulle spalle una rabbia più cupa, alimentata dal rapporto conflittuale con il padre tassista e da un costante senso di esclusione. Quando sente parlare delle violenze a Gaza, rielabora quel conflitto nel suo linguaggio quotidiano: chiunque lo minacci diventa parte degli “IDF”, l’esercito nemico.

Il film mostra come i due ragazzi, pur così vicini, siano destinati a percorrere strade divergenti. In alcuni momenti Maram sembra già più grande, attratto dal mondo dei ragazzi più adulti che lo guardano con rispetto. Ish, invece, resta intrappolato in un limbo tra infanzia e adolescenza, ancora capace di stupore, ma fragile di fronte alle pressioni esterne.

Il peso delle scelte e il trauma della discriminazione

La scena cardine di Ish arriva con un episodio tanto realistico quanto disturbante: l’incontro con un furgone di polizia dotato di tecnologia di riconoscimento facciale. È un controllo arbitrario, un atto di profilazione razziale che colpisce i due ragazzi senza motivo. Ish e Maram corrono via; Ish riesce a fuggire, mentre l’amico viene catturato, perquisito, umiliato e infine rilasciato senza spiegazioni.

È un momento che segna una frattura. Maram è furioso non solo con la polizia, ma anche con Ish, colpevole di essere scappato, di non aver condiviso la sua umiliazione. In realtà la rabbia è rivolta anche verso se stesso, verso la consapevolezza di essere stato considerato “inutile”, un corpo fermato e poi scartato. La tensione maschile, la difficoltà di elaborare la paura e la vergogna, esplodono in silenzi e accuse reciproche.

Perretta costruisce questa sequenza con un rigore quasi documentario, ma senza rinunciare alla dimensione poetica. Il bianco e nero scolpisce i volti e le ombre, rendendo evidente l’asimmetria di potere tra due ragazzini e un sistema tecnologico e repressivo che li osserva e li giudica.

Tra realismo e lirismo

Dal punto di vista formale, il film colpisce per l’equilibrio tra durezza e lirismo. La fotografia di Edwards utilizza il bianco e nero per trasformare spazi marginali in paesaggi mitici: un aereo che attraversa il cielo diventa un’astronave minacciosa, i fari dello stadio creano un’aura sacrale, i boschi di Bedfordshire si caricano di simboli di fuga e di libertà.

Il linguaggio giovanile, con il suo slang e i suoi cambi di codice tra inglese e “roadman-speak”, viene reso con precisione, senza paternalismi. È attraverso queste parole che i ragazzi costruiscono la loro identità, oscillando tra appartenenza e ribellione. Perretta evita tanto l’estetizzazione compiaciuta quanto il moralismo: il suo sguardo è empatico, ma non indulgente.

Nel finale, le traiettorie dei due ragazzi si separano definitivamente. Maram, più grande e più segnato dagli eventi, appare avviato verso un percorso di rabbia e isolamento. Ish, grazie alla vicinanza della sua famiglia e soprattutto della nonna, sembra avere ancora la possibilità di crescere e trovare una forma di equilibrio. Ma il film non offre consolazioni semplici: crescere, in questo contesto, significa anche fare i conti con un mondo che ti osserva e ti giudica in base al colore della pelle e al quartiere in cui vivi.

Ish è un esordio di grande forza

Ish è un’opera prima che sorprende per maturità e sensibilità. Imran Perretta riesce a parlare di temi enormi — identità, discriminazione, adolescenza, comunità — attraverso uno sguardo intimo e concreto, che mette al centro due ragazzi e la loro amicizia spezzata. Il film si muove tra realismo sociale e poesia visiva, tra cronaca e mito, offrendo una rappresentazione autentica e commovente di cosa significhi crescere oggi come giovane musulmano in Inghilterra.

Più che una storia di riscatto, è un racconto di fragilità: fragilità di corpi adolescenti che devono farsi adulti troppo presto, fragilità di famiglie che cercano di proteggere e al tempo stesso di sopravvivere, fragilità di una società che pretende di garantire sicurezza ma finisce per alimentare diffidenza e separazione.

Con questo film, Perretta dimostra di essere un autore da seguire con attenzione: la sua capacità di coniugare linguaggi diversi e di restituire dignità e complessità ai suoi personaggi apre prospettive nuove per il cinema europeo contemporaneo. Ish è un esordio che non si dimentica, perché riesce a essere allo stesso tempo politico e profondamente umano.

Broken English: recensione del film di Iain Forsyth e Jane Pollard – Venezia 82

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Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 82, Broken English di Iain Forsyth e Jane Pollard è un documentario atipico, ibrido, che rende omaggio a una delle figure più controverse, fragili e indomabili della musica e della cultura del Novecento: Marianne Faithfull. Morta a inizio anno all’età di 78 anni, la cantante britannica riceve qui non solo un tributo, ma una vera e propria rivendicazione del suo posto nella storia.

Forsyth e Pollard non sono nuovi a simili operazioni: nel 2014 avevano raccontato Nick Cave con 20,000 Days on Earth, un film che mescolava documentario e finzione, cronaca e mito personale. Con Broken English adottano un approccio simile, giocando con la dimensione post-moderna e immaginando la cantante convocata all’interno di un luogo fittizio chiamato Ministry of Not Forgetting. Lì, sotto lo sguardo austero di Tilda Swinton nei panni di un’onnisciente “Overseer”, Faithfull è interrogata dal “Record Keeper”, interpretato da George MacKay. Un pretesto teatrale, quasi kafkiano, che all’inizio può sembrare manierato, ma che si rivela funzionale a ciò che davvero conta: restituire alla cantante la possibilità di raccontarsi con la sua voce inconfondibile, ancora viva, ancora tagliente.

Broken English: Marianne Faithfull oltre i cliché

La vicenda di Marianne Faithfull è stata troppo spesso piegata a stereotipi e ridotta a note a piè di pagina della storia del rock. Per molti, resta soltanto “l’ex fidanzata di Mick Jagger”, la musa dei Rolling Stones, protagonista suo malgrado di scandali e pettegolezzi. Broken English si incarica di smontare questo racconto parziale, mostrando una donna che ha attraversato con coraggio decenni di musica, arte e letteratura, pagando un prezzo altissimo ma lasciando dietro di sé un’eredità artistica impressionante: trenta album pubblicati in sessant’anni di carriera.

Tilda Swinton in Broken English
(Credits Amelia Troubridge)

Forsyth e Pollard accompagnano lo spettatore in un viaggio attraverso i momenti cruciali della sua vita, alternando conversazioni intime con Faithfull a materiali d’archivio straordinari. Dall’esordio adolescenziale con As Tears Go By, scritta per lei da Jagger e Richards, fino agli anni della caduta, della tossicodipendenza e della marginalità, per poi seguire la sorprendente rinascita artistica degli anni ’80 con l’album Broken English (1979), che dà il titolo al film.

Il documentario non nasconde le ombre: la dipendenza, le malattie, la povertà, i periodi in cui Faithfull ha letteralmente vissuto per strada a Soho. Ma ciò che emerge con forza è la sua resilienza, la sua ironia, la capacità di guardarsi indietro senza autocommiserazione.

Dentro e fuori la leggenda: il format del Ministry of Not Forgetting

La scelta di ambientare il racconto dentro un’istituzione immaginaria — il Ministry of Not Forgetting — non è solo un vezzo registico. È un modo per riflettere sul valore della memoria, sul rischio dell’oblio e sulla necessità di rimettere al centro chi è stato emarginato dalla storia ufficiale. “Cerchiamo ricordi, ma speriamo in risonanza”, dichiara l’Overseer di Tilda Swinton. Ed è proprio questa la missione del film: restituire risonanza a una figura spesso dimenticata o ridicolizzata.

George MacKay, nei panni del Record Keeper, dialoga con Faithfull con delicatezza e rispetto, ponendole domande dirette ma mai invadenti. Il contrasto tra la giovinezza dell’attore e la fragilità della cantante, segnata nel fisico dopo il coma da Covid, diventa un dispositivo narrativo che funziona sorprendentemente bene. Le loro conversazioni non hanno il tono formale dell’intervista giornalistica, ma la naturalezza di un incontro umano.

(Credits Joseph Lynn)

La voce e la musica come eredità

Se il film ha il merito innegabile di riportare in primo piano la musica. Le performance d’archivio, dalle prime apparizioni televisive agli show più recenti, rivelano la straordinaria capacità di Faithfull di trasformare ogni canzone in confessione personale. Il culmine è però affidato alla stessa Faithfull: la sua esibizione di Misunderstanding, dal disco Negative Capability (2018), accompagnata da Warren Ellis e Nick Cave. Una performance straziante e definitiva, in cui la voce della cantante diventa testimonianza viva della sua intera esistenza. Faithfull si prende l’ultima parola, e soprattutto l’ultimo silenzio.

Marianne Faithfull non è mai stata una figura facilmente incasellabile, e il film le rende giustizia con un linguaggio che mescola archivio, finzione e performance. Non tutto funziona alla perfezione, ma nel complesso l’opera riesce a dare spazio e voce a una donna che per troppo tempo è stata ridotta a un’icona scandalistica o a un’appendice della storia dei Rolling Stones.

Con Broken English, Forsyth e Pollard non solo celebrano Marianne Faithfull, ma le restituiscono la centralità che merita. E noi spettatori possiamo uscire dalla sala con le viscere in subbuglio per l’emozione e la certezza che, nonostante tutto, la sua voce non verrà dimenticata.

Oscar Isaac: 10 cose che non sai sull’attore

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Oscar Isaac: 10 cose che non sai sull’attore

Oscar Isaac è degli attori più brillanti degli ultimi anni che è riuscito a distinguersi per il suo talento, il suo fascino e le sue abilità che lo rendono un attore apprezzato da più di mezzo mondo. La sua è stata una bella gavetta, ma è riuscito ad affrontare e a regala al pubblico diversi ruoli iconici che lo hanno aiutato ad essere famoso.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su Oscar Isaac.

Oscar Isaac: i suoi film

1. Ha recitato in celebri film. Dopo piccole apparizioni in All About the Benjamins (2002) e Nativity (2006), Oscar Isaac ha visto la sua carriera decollare con titoli come Davanti agli occhi (2007), Che – L’argentino (2008), Nessuna verità (2008), Agora (2009) e Robin Hood (2010). Negli anni successivi si è affermato grazie a interpretazioni intense in film come Drive (2011), 10 Years (2011), The Bourne Legacy (2012), A proposito di Davis (2013), con cui vinse il Golden Globe, e 1981: Indagine a New York (2014).

Tra i suoi successi più noti figurano Ex Machina (2015), la nuova trilogia di Star Wars (Il risveglio della Forza, 2015; Gli ultimi Jedi, 2017; L’ascesa di Skywalker, 2019), X-Men – Apocalisse (2016), Annientamento (2018) e Il collezionista di carte (2021). Negli ultimi anni ha consolidato il suo status internazionale con Dune (2021), Dune: Parte Due (2024) e con Frankenstein di Guillermo Del Toro (2025), presentato in concorso a Venezia 82.

2. È anche doppiatore e ha recitato per la TV. Isaac ha esplorato vari ambiti del cinema e dell’intrattenimento, prestando la voce a progetti come i videogiochi Disney Infinity 3.0 (2015) e LEGO Star Wars: Il risveglio della Forza (2016), la serie animata Star Wars Resistance (2018) e film come Spider-Man: Un nuovo universo (2018) e The Addams Family (2019).

Sul fronte televisivo, ha ottenuto grande successo con la miniserie HBO Show Me a Hero (2015), che gli è valsa un Golden Globe, e con Scene da un matrimonio (2021), accanto a Jessica Chastain. Nel 2022 è stato protagonista della serie Marvel Moon Knight, apprezzata per la sua interpretazione intensa e sfaccettata, che ha confermato la sua versatilità anche sul piccolo schermo.

Oscar Isaac e Jessica Chastain

Jessica Chastain e Oscar Isaac
Foto di Luigi de Pompeis © Cinefilos.it

3. Ha recitato con l’attrice in una miniserie. Nel 2021 Oscar Isaac ha condiviso lo schermo con Jessica Chastain nella miniserie HBO Scene da un matrimonio, remake dell’omonima opera di Ingmar Bergman del 1973. I due attori, amici da oltre vent’anni dai tempi dell’accademia, hanno messo in mostra una chimica palpabile che ha reso la serie particolarmente intensa, affrontando temi come la crisi di coppia e la fragilità dei rapporti umani. Le loro interpretazioni hanno raccolto ampi consensi di critica e pubblico, contribuendo a consolidare la reputazione di Isaac come uno degli attori più talentuosi e ricercati della sua generazione.

Oscar Isaac Star Wars

Oscar Isaac, la moglie e figli Eugene e Mads Isaac

4. È padre di due figli.Tendezialmente, quando una persona diventa famosa si inizia a scavare nella sua vita privata, andando ben oltre quella lavorativa. Lo stesso è accaduto con Oscar Isaac che, però, ha sempre mantenuto il più stretto riserbo circa la sua vita sentimentale. Delle poche informazioni trapelate, si sa che l’attore è impegnato dal 2012 con la regista Elvira Lind e che i due sono diventati genitori di un maschietto di nome Eugene Isaac nell’aprile del 2017, rivelando la gravidanza solo pochi mesi prima del parto. Nel 2019 è invece nato il secondo figlio, Mads.

Oscar Isaac in Star Wars

5. Ha suggerito dettagli sulla biografia del suo personaggio. Nella nuova trilogia di Star Wars Isaac interpreta il pilota e spia Poe Dameron. Per prepararsi al ruolo, l’attore ha avuto modo di costruire personalmente una biografia del suo personaggio, al fine di poterlo comprendere meglio. Egli ha così stabilito che Poe Dameron è nato sulla luna Yavin IV, la posizione della Base Ribelle in Guerre stellari (1977). L’attore ha suggerito questo dettaglio perché originario del Guatemala, località dove sono state girate le scene relative a Yavin IV.

Oscar Isaac in Dune

Oscar Isaac in Dune

6. Ha descritto come “emozionante” la sua scena di nudo. In Dune, Isaac interpreta il Duca Leto Atreides. Tra le tante entusiasmanti scene che lo vedono protagonista, ve ne è anche una dove l’attore appare totalmente nudo. Per l’attore non è stato un problema girare questa scena, trovandola anzi particolarmente emozionante per ciò che rappresenta per il personaggio. “Fino a quel momento abbiamo sempre visto il personaggio così abbottonato e in controllo della situazione, e improvvisamente è una questa figura così vulnerabile, nuda simile a Cristo che sta per essere sacrificato”, ha raccontato l’attore.

Oscar Isaac in Ex Machina

7. Ha dato vita al suo personaggio insieme ad Alex Garland. Per far sì che il personaggio di Nathan, un inventore solitario che vive in isolamento da cinque anni, fosse autentico e realistico, Oscar Isaac e il regista del film, Alex Garland, hanno cercato di capire quali potessero essere le sue caratteristiche grazie ad una sessione di brainstorming. Tra le altre cose, una delle ispirazioni dell’attore è stato l’aspetto di Stanley Kubrick, un visionario, attento ai dettagli e molto solitario.

oscar isaac

Oscar Isaac in Robin Hood

8. Per interpretare il Principe Giovanni si è lasciato andare a parallelismi. Durante la promozione del film Robin Hood, Isaac ha raccontato come ha dato vita al personaggio del Principe Giovanni, uno dei ruoli di maggiore impatto nel film: “Ho letto molto, tutto quello che potevo trovare su di lui, e ne ho parlato con Ridley. Mi sono venute alcune idee che ho passato a lui e lui mi dava altre idee, e abbiamo lavorato insieme per capire come sarebbe potuto essere e come era la sua visione del mondo. Da questo punto in poi, ho pensato anche alle persone che mi ricordavano quel personaggio e ho fatto dei parallelismi”.

Oscar Isaac non è su Instagram

9. Non possiede nessun profilo social. Per pura scelta personale, l’attore guatemalteco non possiede nessun profilo Instagram e social ufficiale, decidendo di vivere la sua vita nella maniera più privata possibile. Un film come Ex Machina ha certamente aiutato a riflettere l’attore sul tema della tecnologia e su quanto essa abbia potere nelle nostre vite, dichiarando che tutti ne dovremmo avere timore, più che altro della forte dipendenza che si può avere verso di essa. Per lui, social media, e-mail e quant’altro sembra essere eretto sulla convenienza e sul fatto che bisogna sacrificare la propria privacy per questo. E l’attore non è proprio d’accordo circa questo aspetto.

Oscar Isaac: età, altezza e peso

10. Oscar Isaac è nato il 9 marzo del 1979 a Città del Guatemala, in Guatemala. L’attore è alto complessivamente 174 centimetri.

Fonti: IMDb, Vanity Fair, shortlist, Vulture, Indiewire

Jacob Elordi: 10 cose che non sai sull’attore

Jacob Elordi: 10 cose che non sai sull’attore

Uno degli attori emergenti più popolari degli ultimi anni è senza ombra di dubbio Jacob Elordi. Affermatosi grazie ai film di The Kissing Booth e alla serie Euphoria, ha in breve conquistato le attenzioni di Hollywood. Oggi è particolarmente richiesto per progetti di varia natura, da film di genere ad opere d’autore. Così facendo Elordi sta confermando la propria versatilità come interprete, consolidando la propria personalità all’interno dell’industria cinematografica.

Ecco 10 cose che non sai su Jacob Elordi.

Jacob Elordi: i suoi film e le serie TV

1. Ha recitato in celebri film. Dopo piccole partecipazioni in Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar  (2017) e Swinging Safari (2017), Jacob Elordi ha raggiunto la popolarità grazie al film Netflix The Kissing Booth (2018), a cui sono seguiti i sequel The Kissing Booth 2 (2020) e The Kissing Booth 3 (2021). In seguito ha preso parte a titoli sempre più importanti come 2 Hearts – Intreccio di destini (2020), Acque profonde (2022) con Ben Affleck, The Sweet East (2023), Priscilla (2023) di Sofia Coppola e Saltburn (2023) di Emerald Fennell, che lo ha consacrato come uno dei volti più interessanti della sua generazione. Nel 2025 è tra i protagonisti di Frankenstein di Guillermo Del Toro, presentato in concorso a Venezia 82.

 2. È tra i protagonisti di una nota serie TV. Sul piccolo schermo, Elordi si è fatto conoscere soprattutto grazie a Euphoria, la celebre serie HBO creata da Sam Levinson, dove recita accanto a Zendaya e Sydney Sweenie. Qui interpreta Nate Jacobs, uno dei personaggi maschili principali, apparso in tutte e due le stagioni finora distribuite, per un totale di sedici episodi. La sua presenza è stata confermata anche per la terza stagione già annunciata, la cui uscita è attesa nei prossimi anni.

Jacob Elordi in Euphoria

3. Prova sentimenti contrastanti per il suo personaggio. In Euphoria, Jacob Elordi interpreta Nate Jacobs, un giovane problematico, violento e manipolatore. L’attore lo ha descritto come un vero e proprio “terrorista emotivo” e ha dichiarato di provare sentimenti contrastanti nei suoi confronti: da un lato lo detesta e vorrebbe “prenderlo a pugni”, dall’altro prova compassione per il suo dolore e riesce a comprendere la fragilità che si cela dietro i suoi comportamenti tossici.

Jacob Elordi Euphoria
Jacob Elordi in Euphoria

4. Ha cercato di ripartire da zero con Nate. Dopo una prima stagione in cui Nate si affema come una sorta di villain, per la seconda stagione Elordi ha cercato di non farsi influenzare nel giudizio rispetto a quanto fino a quel momento compiuto da Nate. L’attore si è dunque approcciato ai nuovi episodi cercando di ripartire da zero, con l’obiettivo di indagare il dolore di Nate e come poter far emergere anche le sue fragilità umane. Pur rimanendo un personaggio controverso, nella seconda stagione Nate vive infatti dei momenti in cui lascia intravedere la propria umanità.

Jacob Elordi è Elvis Presley in Priscilla

5. Ha cercato il fanciullo dentro l’icona. Nel film diretto da Sofia Coppola, Priscilla, dedicato alla vita e alla relazione di Priscilla Presley con l’iconico Elvis, ad interpretare quest’ultimo è proprio Elordi. L’attore, chiamato dunque a confrontarsi con uno dei ruoli più importanti e impegnativi della sua carriera fino ad oggi, ha raccontato di essersi concentrato sul ricercare il fanciullo e dunque l’aspetto umano racchiuso all’interno della personalità “larger than life” di Elvis come celebrità, cercando dunque di umanizzarlo il più possibile.

Jacob Elordi in Pirati dei Caraibi

6. Ha lavorato come comparsa sul film Disney. La prima esperienza di Elordi sul set di un film di Hollywood è stata per Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, a cui ha preso parte come comparsa. Si tratta dunque di un ruolo non accreditato, svolto quando l’attore aveva da poco deciso di intraprendere questa carriera. Ancora oggi i fan, riguardando il film, cercando di individuare il volto di Elordi nelle scene di massa presenti nella pellicola.

Jacob Elordi Elvis Presley Priscilla
Jacob Elordi in una scena di Priscilla

Jacob Elordi e le sue fidanzate, da Joey King a Zendaya

7. Ha avuto una relazione con una nota attrice. La vita sentimentale di Jacob Elordi è spesso finita sotto i riflettori tanto quanto i suoi film. Negli anni l’attore è stato legato a diverse colleghe, da Joey King, conosciuta sul set di The Kissing Booth, a Kaia Gerber, modella e figlia di Cindy Crawford. Nel 2023 ha fatto molto parlare la sua relazione con Olivia Jade Giannulli, influencer e figlia dell’attrice Lori Loughlin. Al 2025, Elordi continua a mantenere un profilo piuttosto riservato riguardo alla sua vita privata: nonostante la curiosità del pubblico e dei media, l’attore preferisce non condividere pubblicamente dettagli sulle sue relazioni, concentrandosi soprattutto sulla carriera.

8. Non ha mai confermato una sua relazione con Zendaya. Sul set della serie Euphoria Elordi ha conosciuto l’attrice Zendaya, protagonista dello show. Tra i due è nata subito una fortissima amicizia, che secondo molti potrebbe essersi trasformata in qualcosa di più. I due attori non hanno infatti mai confermato, ma da alcune foto che li ritraggono insieme i fan ipotizzano possa esserci stata una relazione sentimentale tra di loro. Se ciò fosse vero, la cosa si sarebbe comunque conclusa nel 2020.

Jacob Elordi è su Instagram

9. Ha un profilo sul social network. L’attore è naturalmente presente sul social network Instagram, con un profilo seguito attualmente da 12,5 milioni di persone. Su tale piattaforma egli ha ad oggi pubblicato appena una cinquantina di post, tutti relativi alle sue attività come attore o modello. Si possono infatti ritrovare diverse immagini relative a momenti trascorsi sul set ma anche foto promozionali dei suoi progetti. Seguendolo si può dunque rimanere aggiornati sulle sue attività.

Jacob Elordi: età, altezza e fisico dell’attore

10. Jacob Elordi è nato a Brisbane, Australia, il 26 giugno del 1997. L’attore è alto 1,96 metri. Data la sua altezza, Elordi possiede un fisico particolarmente possente, che non manca di curare attraverso continui allenamenti.

Fonti: IMDb, Instagram

Sotto le nuvole: recensione del documentario di Gianfranco Rosi – Venezia 82

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Dopo il Leone d’Oro vinto a Venezia nel 2013 con Sacro GRA, Gianfranco Rosi torna al Lido per la sua nuova sfida cinematografica: Sotto le nuvole. Un documentario che si colloca pienamente nel solco del suo cinema d’osservazione e che, ancora una volta, parte da un luogo specifico per allargare lo sguardo fino a diventare affresco sociale e umano. Questa volta il regista si muove attorno al Vesuvio e all’area dei Campi Flegrei, una zona tanto fertile quanto pericolosa, da secoli croce e delizia di chi la abita.

Il titolo stesso, tratto da una celebre frase di Jean Cocteau“Il Vesuvio fa tutte le nuvole del mondo” — è già una dichiarazione di poetica: tutto nasce da quella montagna nera e minacciosa, dalle sue fumarole, dai suoi silenzi che incombono. Ma Rosi non filma mai il vulcano frontalmente come monumento o cartolina: preferisce lasciarlo sullo sfondo, presenza costante e quasi mitica, che filtra nei racconti e nelle vite degli uomini e delle donne che vivono all’ombra della sua minaccia.

Un mosaico di storie quotidiane

Come già in Sacro GRA, anche Sotto le nuvole è costruito per episodi, per tasselli che si incastrano uno con l’altro senza mai perdere la centralità dello sguardo registico. La circolarità del viaggio è garantita dalla Circumvesuviana, la linea ferroviaria regionale che attraversa e collega i paesi intorno al Vesuvio: treno malandato e pittoresco, diventato famoso anche sui social, che qui assume il ruolo di vero e proprio filo rosso. È un percorso che unisce luoghi e persone, passato e presente, memoria e quotidianità.

Tra le storie più toccanti c’è quella dei vigili del fuoco, osservati nella loro centrale operativa: un luogo in cui arrivano telefonate buffe, come quella di un anziano che chiede ripetutamente l’ora, ma anche chiamate drammatiche legate a violenze domestiche o a piccoli disastri quotidiani. La macchina da presa di Rosi resta impassibile e rispettosa, ma cattura le sfumature di un mestiere che tiene insieme la comunità, pronto ad affrontare incendi, scosse di terremoto o persino il recupero di animali in difficoltà.

Altrettanto intensa è la sezione dedicata ai depositi e agli archivi del Museo Archeologico: qui, tra statue e reperti rimasti per decenni lontani dalla luce, la voce di una curatrice si trasforma in guida poetica e intima. Quelle opere antiche non sono solo pezzi da catalogare, ma presenze amiche, compagne di vita, frammenti di una storia che il territorio continua a custodire. È un modo di abitare il passato che dialoga con il presente.

Il maestro Titti e le radici della comunità

Tra i personaggi che emergono nel documentario, impossibile non citare Titti, anziano insegnante che tiene doposcuola ai bambini del quartiere. Con disarmante semplicità e generosità, passa dal francese alla matematica, dalla letteratura alla storia, intrecciando nozioni scolastiche a pillole di saggezza personale. È uno di quei volti che incarnano la resistenza silenziosa di un territorio spesso raccontato solo per il male.

Rosi non costruisce mai enfasi attorno a queste figure. Non c’è voce narrante, non ci sono spiegazioni esterne. Sono le immagini, i silenzi, le pause e i dettagli a parlare. In questo senso, Sotto le nuvole resta coerente con lo stile del regista: il documentario si contamina con la finzione, i dialoghi sembrano talvolta ricostruiti, ma la verità che emerge è più profonda di qualsiasi registrazione “pura”. Rosi ribadisce così che il cinema documentario non è mai semplice cronaca, ma interpretazione, poesia visiva, costruzione narrativa.

Tra politica, memoria e poesia visiva

Sullo sfondo delle vicende locali, Rosi lascia emergere echi di geopolitica: i silos del porto di Torre Annunziata che raccolgono il grano ucraino, i volti dei lavoratori migranti come quello di un rifugiato siriano in cerca di un nuovo inizio. Sono tracce che legano Napoli e il suo golfo alle grandi questioni globali, senza mai rendere il discorso didascalico. Come già in Notturno o Fuocoammare, il regista mostra che anche le vite più apparentemente marginali sono attraversate da forze storiche ed economiche più grandi.

La fotografia in bianco e nero, elegante e mai compiaciuta, restituisce tutta la ruvidità e la bellezza del territorio. Il mare, le strade, le periferie e i volti dei protagonisti emergono in contrasti netti, a tratti di un lirismo struggente. Particolarmente potente la sequenza dei carretti trainati da cavalli lungo una spiaggia umida di pioggia, che sembra appartenere a un tempo sospeso.

Sotto le nuvole è un’opera profondamente coerente con il percorso di Gianfranco Rosi. Ancora una volta, il regista non si limita a registrare: osserva, rielabora, mette in scena, e attraverso queste scelte ci restituisce un pezzo di mondo con una chiarezza e una sensibilità rare. Non è un documentario da cartolina, non è un film turistico: è un’immersione nelle pieghe della vita quotidiana, in un territorio segnato da secoli di storia e di ferite, ma anche da una resilienza sorprendente.

Con questo nuovo lavoro, Rosi conferma la sua capacità di trasformare il cinema del reale in un’arte che sa essere politica e poetica allo stesso tempo. Sotto le nuvole è una riflessione sul modo in cui viviamo insieme alle nostre paure, ai nostri fantasmi e ai nostri ricordi. Un film che, come le nuvole evocate nel titolo, muta forma di continuo e si imprime nella memoria dello spettatore.

L’Era Glaciale: Boiling Point al cinema dal 2027!

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L’Era Glaciale: Boiling Point al cinema dal 2027!

Il prossimo film de L’Era Glaciale  ha ora un titolo ufficiale e una nuova data di uscita. Il film d’animazione sarà il settimo lungometraggio del franchise, che segue le avventure del bradipo Sid (John Leguizamo), del mammut Manny (Ray Romano) e della tigre dai denti a sciabola Diego (Denis Leary) durante l’era glaciale del Pleistocene.

Il prossimo film è stato annunciato ufficialmente nel 2024, quasi un decennio dopo l’uscita dell’ultimo capitolo del ramo principale del franchise, L’era glaciale: In Rotta di collisione del 2016. Il nuovo film vedrà il ritorno di Leguizamo, Romano e Leary insieme a Simon Pegg nel ruolo di Buckminster “Buck” Wild e Queen Latifah in quello di Ellie.

Al D23, la Disney ha annunciato che il prossimo sequel dell’Era Glaciale si intitolerà L’Era Glaciale: Boiling Point e il debutto è previsto per il febbraio 2027. Si tratta di un ritardo di almeno un mese e mezzo rispetto alla data di uscita originariamente prevista per il 18 dicembre 2026.

Il post di annuncio conferma anche che “la nuova avventura porta il branco a visitare angoli mai visti prima dell’infido Mondo Perduto!“.

Sebbene molti dettagli sul prossimo film dell’Era Glaciale siano ancora tenuti nascosti, questo aggiornamento accenna ad alcuni elementi chiave del progetto.

Il primo è che i personaggi dell’Era Glaciale torneranno nel Mondo Perduto, la terra sotterranea dei dinosauri che è stata protagonista di molti episodi precedenti. La regione è stata l’ambientazione principale del terzo film, L’era glaciale: L’alba dei dinosauri e del successivo spinoff L’era glaciale: Le avventure di Buck Wild.

In generale, il franchise dell’Era Glaciale non ha avuto un approccio particolarmente fedele agli eventi reali della storia della Terra. Tuttavia, poiché il precedente capitolo del franchise riguardava un asteroide che si dirigeva verso il pianeta, Boiling Point potrebbe implicare che i personaggi dovranno fare i conti con la temperatura del pianeta che continua ad aumentare.

Tuttavia, questo potrebbe non essere il caso. Il primo sequel del franchise si intitolava The Meltdown e già copriva un territorio simile, quindi è possibile che il titolo del nuovo capitolo del franchise dell’Era Glaciale sia solo un modo intelligente per riferirsi al fatto che le tensioni tra i personaggi sono al massimo storico.

Venezia 82, Guillermo Del Toro: “Non ho paura dell’intelligenza artificiale, ma della stupidità naturale”

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Alla conferenza stampa ufficiale di Frankenstein, presentato in concorso alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia, Guillermo Del Toro ha chiarito uno dei punti più discussi legati al suo nuovo film. Nonostante l’opera affronti temi come l’hybris del potere, la corruzione e i rischi della tecnologia, il regista premio Oscar ha voluto sgomberare il campo da ogni fraintendimento: il suo Frankenstein non è una metafora sull’intelligenza artificiale.

Non è pensato come una metafora per questo”, ha dichiarato Del Toro, aggiungendo: “Non ho paura dell’intelligenza artificiale. Ho paura della stupidità naturale.” Una frase accolta con applausi e che ha immediatamente acceso il dibattito tra i presenti.

Il film, interpretato da Jacob Elordi e Oscar Isaac, segue la storia di un brillante ma egocentrico scienziato che riesce a dare vita a una creatura mostruosa, con conseguenze devastanti tanto per lui quanto per la sua stessa creazione. Una trama che, pur evocando riflessioni contemporanee sul rapporto tra uomo e tecnologia, secondo Del Toro non vuole essere ridotta a un monito sull’AI.

Viviamo in un tempo di terrore e intimidazione. Il compito più urgente è restare umani in un’epoca che ci spinge verso una comprensione bipolare della nostra natura”, ha spiegato il regista. “Il film prova a mostrare personaggi imperfetti e il diritto che abbiamo di rimanere tali, così come il diritto di comprenderci anche nelle circostanze più oppressive.

Con Frankenstein, Del Toro conferma ancora una volta la sua capacità di coniugare visione gotica e riflessione filosofica, riportando sul grande schermo un classico della letteratura in una veste attuale e profondamente personale.

Venezia 82, il red carpet di No Other Choice di Park Chan-wook

Venezia 82, il red carpet di No Other Choice di Park Chan-wook

La 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha accolto ieri sera il red carpet dedicato a No Other Choice – Non c’è altra scelta, il nuovo atteso film di Park Chan-wook presentato in concorso. Il regista sudcoreano, autore di opere ormai di culto come Oldboy e The Handmaiden, ha calcato il tappeto rosso insieme al cast e alla troupe, regalando al pubblico del Lido uno dei momenti più eleganti e partecipati del Festival.

Al centro dell’attenzione i protagonisti del film, guidati dall’amatissimo Lee Byung-hun, interprete di Man-su, un uomo comune che dopo 25 anni di lavoro nell’industria della carta vede improvvisamente crollare tutte le sue certezze quando viene licenziato senza preavviso. Con lui sul red carpet anche gli altri membri del cast, tra cui Park Hae-soo, Kim So-jin e Moon So-ri, accolti dagli applausi e dai flash dei fotografi.

Le immagini raccontano un’atmosfera scintillante e densa di emozione: abiti eleganti, sorrisi complici e la consapevolezza di rappresentare un film che affronta un tema universale come quello del lavoro, della precarietà e della dignità umana. Park Chan-wook, che ha impiegato quasi vent’anni a portare sullo schermo questa storia, ha sottolineato come No Other Choice sia una riflessione personale sul ruolo dell’uomo all’interno della famiglia e della società contemporanea.

Il red carpet ha confermato l’attesa che circonda il film, già considerato tra i titoli più forti del concorso veneziano. Le foto, tra glamour e suggestione, offrono uno sguardo privilegiato non solo sulla serata ma anche sulla vitalità di un cinema capace di unire riflessione e spettacolo.

Piperplay: nasce una nuova label di vendite internazionali dedicata al cinema italiano

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PiperFilm e Playtime annunciano con orgoglio la nascita di Piperplay, una nuova label di vendite internazionali interamente dedicata alla promozione del cinema italiano sui mercati internazionali. Il lancio di Piperplay coincide con una straordinaria stagione per entrambe le società a Venezia, a conferma del loro profondo impegno verso il cinema italiano, con quattro anteprime mondiali al Lido:

  • PiperFilm
    • DUSE di Pietro Marcello – Concorso Ufficiale
    • LA GRAZIA di Paolo Sorrentino – Concorso Ufficiale
    • IL RAPIMENTO DI ARABELLA di Carolina Cavalli – Concorso Orizzonti
  • Playtime

Questi quattro titoli italiani racchiudono l’identità audace, diversificata e di risonanza internazionale chePiperplay si propone di sostenere, portando nel mondo le voci dei grandi maestri del cinema come dei giovani talenti emergenti.

Una piattaforma dedicata per portare i talenti italiani nel mondo

Piperplay nasce come una label di vendite internazionali guidata dalla creatività, pensata per sostenere i registi italiani in ogni fase del loro percorso: dallo sviluppo e packaging al finanziamento, dalla produzione alla strategia festivaliera, fino all’uscita in sala e alle vendite internazionali.

La nuova iniziativa unisce

  • La forza nelle vendite internazionali, packaging e co-finanziamento di Playtime, con le società sorelle Films Boutique, Be For Films e Global Constellation, e il loro impegno nella vendita e co-finanziamento di opere di alto profilo di alcuni dei registi più visionari del cinema mondiale.
  • La competenza distributiva audace, dinamica e orientata al mercato di PiperFilm, la giovane società indipendente italiana fondata da Massimiliano Orfei (CEO) e guidata insieme a Luisa Borella, Davide Novelli e Antonio Bernardini.

La nuova label Piperplay sarà guidata da Catia Rossi e François Yon, unendo la forte esperienza nel lancio di titoli italiani nel mondo con l’intelligenza commerciale e la capillare struttura internazionale di Playtime.

Come prima mossa strategica, Piperplay annuncia l’ingresso di Giulia Casavecchia come Head of International Sales. Casavecchia ha in precedenza ricoperto lo stesso ruolo presso True Colours, portando con sé un’importante esperienza nella distribuzione del cinema italiano di qualità nel mondo.

Con un forte accesso ai mercati internazionali, Piperplay completa ora la missione di PiperFilm di portare il cinema italiano a un pubblico più ampio, dopo gli accordi locali con Warner Bros. Entertainment Italia per la distribuzione cinematografica e con Netflix per garantire finestre esclusive post-sala.

Per perseguire questa missione, Piperplay offrirà:

  • Un approccio creativo su misura, fondato sulla stretta collaborazione con registi e produttori
  • Un’esperienza di lungo periodo grazie al network globale di Playtime e alla visione distributiva di PiperFilm
  • Packaging e posizionamento strategico per i film italiani con ambizioni internazionali
  • Vendite e strategia festivaliera in tutto il mondo, con approccio curato e un ampio network di contatti

Catia Rossi, Director of International Operations di Piperplay, ha commentato: “È per me un grande onore guidare Piperplay con François. Non parliamo solo di una nuova società di vendite, ma di una nuova idea di vendita. Riunire persone, esperienze e competenze professionali, fondendo la passione italiana e francese per il cinema, può rappresentare una grande innovazione per il mercato. Sono entusiasta di farne parte”.

Massimiliano Orfei, Ceo PiperFilm, ha aggiunto: “Sono molto felice di questa mossa ambiziosa di PiperFilm e Playtime, che porta l’idea di collaborazione tra società sorelle a un livello superiore. Auguro il meglio a Catia e François per questa nuova avventura. Vorrei anche ringraziare Jérôme Levy per il consueto grande supporto da Vuelta”.

François Yon, Managing Director production, sales and acquisition di Playtime, ha dichiarato: “Playtime è sempre stata molto vicina al cinema e ai registi italiani. Questa nuova alleanza con PiperFilm ci permette di perseguire la nostra ambizione di portare i talenti creativi italiani al pubblico internazionale. Ci siamo subito trovati in sintonia: è un connubio perfetto e una grande opportunità”.

Jérôme Levy, Ceo di Vuelta group, ha commentato: “Questa partnership tra due entità di Vuelta rappresenta un passo importante nella sua missione di essere la casa dove i talenti più brillanti d’Europa possano crescere sulla scena internazionale.”

Guido Brera, founder di BeWater, ha infine dichiarato: “Sono molto lieto di questa nuova collaborazione: Piperplay rappresenta un ulteriore passo naturale verso un cinema italiano che sappia fondere la forza creativa con una dimensione internazionale e globale. In quanto soci di Piper, crediamo fortemente in questa visione: un progetto che incarna la fiducia nel talento nazionale e la volontà di costruire ponti solidi verso il mondo, affermando una visione moderna, responsabile e ambiziosa del nostro storytelling”.

PiperFilm e Playtime sono partner orgogliosi di Vuelta, uno studio europeo premium che riunisce sotto lo stesso tetto creativo le principali società di produzione, distribuzione e vendite internazionali locali, con la volontà di promuovere una strategia di distribuzione fondata sulla sala.

Vuelta sostiene i talenti europei con ambizioni globali – preservando la libertà artistica e garantendo al contempo una forte diffusione commerciale.

Piperplay beneficerà quindi anche della portata internazionale di Vuelta, con operazioni di distribuzione locale in Francia, Germania, Benelux, Scandinavia e Italia. Il modello Studio di Vuelta offre un accesso al mercato senza pari e soluzioni di finanziamento su misura per i talenti e i produttori europei.

Gli Aristogatti: la Disney rinuncia al remake in live-action

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Gli Aristogatti: la Disney rinuncia al remake in live-action

Ahmir Thompson, noto come Questlove, ha condiviso un aggiornamento sull’adattamento ibrido live-action de Gli Aristogatti che avrebbe dovuto dirigere alla Disney, e non si tratta di buone notizie. Il musicista ha recentemente rivelato in un podcast che il remake del classico Disney è stato cancellato e non sarebbe più stato realizzato, ma sperava che potesse esserlo in futuro.

Una volta che la Disney ha avuto il suo terzo presidente, di solito quando entra in carica una nuova amministrazione, indipendentemente da tutto, ci sarà un rimpasto”, ha detto recentemente su Score: The Podcast. Questlove ha osservato che era “la terza volta che entrava in carica una nuova amministrazione” e ha spiegato la sua visione per l’adattamento de Gli Aristogatti. Ha detto di aver presentato “alcuni esempi musicali” e alcuni dei colleghi che avrebbero lavorato con lui.

Poi c’è stato un altro rimpasto dell’amministrazione”, ha aggiunto. “E allora ho pensato: ‘Ok, va bene’”. Questlove ha detto che “alla terza volta, mi sono detto: ‘Forse questo progetto non fa per me’”. Dato che Gli Aristogatti non stava andando avanti, Questlove ha deciso di esplorare altre opzioni e di stare alla larga dal remake Disney. “Mi sarebbe piaciuto molto lavorare a quel progetto, ma ce ne sono altri 20 a cui posso dedicarmi”, ha detto. “Quello che non faccio è annunciare nulla finché non è pronto, ma ci sono letteralmente altri quattro film. Lavorerò fino al 2029-2030. Quindi, semplicemente non era destino. Forse succederà in futuro”.

Deadline ha riportato nel 2023 che Questlove avrebbe debuttato come regista di lungometraggi con un remake live-action/ibrido di The Aristocats, dove avrebbe anche ricoperto il ruolo di produttore esecutivo e supervisionato la colonna sonora del film. Alla sceneggiatura erano legati Will Gluck e Keith Bunin. Tarik Trotter, Shawn Gee e Zarah Zohlman avrebbero prodotto per conto della Two One Five Entertainment, mentre Gluck e la sua società di produzione, Olive Bridge, avrebbero prodotto insieme alla Two One Five di Thompson.

La storia di Gli Aristogatti

Gli Aristogatti è un film d’animazione Disney del 1970 che racconta la storia di una famiglia di gatti parigini che scoprono di essere destinati a ereditare una fortuna dal loro padrone. Quando il maggiordomo della loro padrona li rapisce e li abbandona in campagna per poter puntare ad avere lui l’eredità, Duchessa e i suoi tre cuccioli devono allearsi con un gatto dal linguaggio mellifluo di nome Romeo per cercare di tornare a casa prima che sia troppo tardi.

Mortal Kombat 2: rinviata l’uscita nelle sale a maggio 2026

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Mortal Kombat 2: rinviata l’uscita nelle sale a maggio 2026

Mortal Kombat 2 della Warner Bros. e New Line uscirà ora all’inizio della prossima estate, il 15 maggio 2026, invece che il 24 ottobre di quest’anno. La notizia genera un certo stupore, spingendo a chiedersi come mai un sequel tanto atteso venga spostato al prossimo anno dopo aver registrato un numero record di visualizzazioni per il trailer vietato ai minori (107 milioni di visualizzazioni globali). Il motivo sembra essere proprio questo: il sequel diretto da Simon McQuoid è destinato a ottenere risultati molto migliori a metà maggio piuttosto che rimanere nell’affollato periodo di fine ottobre.

Un periodo dove sono già presenti il film della 20th Century Studios Springsteen: Liberami dal Nulla con Jeremy Allen White, e il prossimo film di Colleen Hoover, Regretting You della Paramount. Inoltre, il fine settimana successivo è quello di Halloween, che storicamente non è un periodo particolarmente vivace per il botteghino.

La metà di maggio si è invece rivelata un periodo molto redditizio per Warner Bros/New Line la scorsa estate, con Final Destination: Bloodlines che ha debuttato con un incasso record per la serie di 51,6 milioni di dollari (il film è stato anche il migliore della serie con un incasso record di 138,1 milioni di dollari negli Stati Uniti e 301 milioni di dollari in tutto il mondo).

È stato inoltre riportato che le proiezioni di ricerca hanno dato ottimi risultati per il sequel, il che avrebbe spinto gli studios di produzione a voler investire maggiormente nel titolo. Anche a costo di doverlo rimandare di diversi mesi, l’obiettivo è dunque quello di fornire a Mortal Kombat 2 una finestra di uscita più favorevole. Uscendo il 15 maggio, sarà al momento in competizione solo con Is God Is della Amazon MGM Studios e con un film senza titolo della Neon. Va però sottolineato che, una settimana dopo (il 22 maggi) uscirà un altro titolo forte quale The Mandalorian & Grogu.

Il cast di Mortal Kombat 2

Mortal Kombat 2 è diretto da Simon McQuoid da una sceneggiatura scritta dallo sceneggiatore di Moon Knight Jeremy Slater. Il sequel vedrà il ritorno di Lewis Tan come Cole Young, Jessica McNamee come Sonya Blade, Josh Lawson come Kano, Tadanobu Asano come Lord Raiden, Mehcad Brooks come Jax, Ludi Lin come Liu Kang, Chin Han come Shang Tsung, Joe Taslim come Bi-Han e Sub-Zero, Hiroyuki Sanada nei panni di Hanzo Hasashi e Scorpion e Max Huang nei panni di Kung Lao.

Il sequel d’azione introdurrà anche una serie di nuovi personaggi oltre al Johnny Cage di Karl Urban, ovvero Adeline Rudolph (Resident Evil) nei panni di Kitana, Tati Gabrielle (You) nei panni di Jade, Martyn Ford (F9) nei panni dell’imperatore Shao Kahn, Damon Herriman di Mindhunter nei panni del demone di Netherrealm Quan Chi, Desmond Chiam (The Falcon and the Winter Soldier) nei panni del Re Edeniano Jerrod e Ana Thu Nguyen (Get Free) nei panni della Regina Sindel. Ulteriori dettagli sulla trama sono ancora tenuti nascosti. Il film è prodotto da James Wan, Michael Clear, Todd Garner e E. Bennet Walsh.

Il film sarà al cinema dal 15 maggio 2026.

Spider-Man: Brand New Day, Punisher potrebbe avere un alleato inaspettato

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Jon Bernthal ha fatto il suo debutto ufficiale nell’MCU in Daredevil: Rinascita all’inizio di quest’anno e, dopo essere stato protagonista di una presentazione speciale in arrivo su Disney+, lo vedremo poi in Spider-Man: Brand New Day. Le foto e i video dal set suggeriscono che Frank Castle si troverà inizialmente in contrasto con l’Uomo Ragno. È stato anche riferito che si armerà di armi potenziate per affrontare individui dotati di superpoteri come Scorpion.

Oggi, lo scooper @MyTimeToShineH rivela però che The Punisher avrà anche un partner nel film e che questo personaggio misterioso sarà una donna. Si è parlato molto di un film con una cattiva donna, quindi potrebbe trattarsi di lei. La possibilità più probabile per la nuova alleata di Frank è Rachel Cole-Alvez. Nei fumetti, poche ore dopo il matrimonio di Rachel Cole con il chirurgo Daniel Alves, è scoppiata una guerra tra bande che ha causato la morte di ventinove persone al ricevimento di nozze, compreso il suo nuovo marito.

Dopo la sua guarigione, la donna ha collaborato con The Punisher per vendicarsi dei criminali che le hanno distrutto la vita. Rachel è una rossa, quindi questo potrebbe essere un altro personaggio da aggiungere alla lista delle possibilità per il ruolo interpretato da Sadie Sink. Si è parlato della possibilità che venga rivelata come cattiva e, se sta lavorando con Frank, è facile immaginare come questo metterebbe Rachel in contrasto con Peter Parker.

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Quello che sappiamo su Spider-Man: Brand New Day

Ad oggi, una sinossi generica di Spider-Man: Brand New Day è emersa all’inizio di quest’anno, anche se non è chiaro quanto sia accurata.

Dopo gli eventi di Doomsday, Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile alleato per proteggere coloro che ama.

L’improbabile alleato potrebbe dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal recentemente annunciato come parte del film – in una situazione già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi contro la vera minaccia di turno.

Di certo c’è che il film condivide il titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry Osborn.

Il film è stato recentemente posticipato di una settimana dal 24 luglio 2026 al 31 luglio 2026. Destin Daniel Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, dirigerà il film da una sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. Tom Holland guida un cast che include anche Zendaya, Mark Ruffalo, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal. Michael Mando è stato confermato mentre per ora è solo un rumors il coinvolgimento di Charlie Cox.

Spider-Man: Brand New Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.

Il rapimento di Arabella: recensione del film di Carolina Cavalli – Venezia 82

Carolina Cavalli aveva presentato il suo primo lungometraggio, Amanda, tra le fila di Orizzonti Extra alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 e ora torna, sempre nella cornice della sezione parallela, con Il Rapimento di Arabella. Classe ’91, la giovane regista italiana che ha fatto furore all’estero con la sua opera prima ci immerge nuovamente nello stralunato cosmo di graffiante ironia e rapporti scomodi capace di spiazzare e anche emozionare.

Un Florida Project on the road

Arabella è sfrontata, maleducata, figlia di un attore dalla carriera in crisi (Chris Pine) e di una madre ex modella. Non fosse per il breve (primo) prologo, in cui vediamo il padre interagire con la figlia – o almeno cercare di farlo – Arabella non avrà più contatti con i genitori nel corso del film. Ne troverà un altro, ugualmente fatiscente ma brutalmente più onesto. Una sera, dopo aver costretto per sfinimento il padre a portarla in un fast food, viene rapita da Holly (Benedetta Porcaroli), che pensa di rivedere in lei sè stessa da bambina. Parte così un road trip in cui si porta affianco una mini versione di sè, che tratta come se fosse una sua pari, perchè in fondo non è mai cresciuta ancora davvero. Di lei sappiamo che studia fisica all’università, che lavorava in una pista di pattinaggio sul ghiaccio, e che ha una mamma morta che “finge” di chiamare ogni tanto rassicurandola.

Per Holly, il “rapimento” di Arabella sembra avere un unico scopo: riuscire a piacere alla sè bambina, proiettando sostanzialmente su di lei tutto quello che avrebbe voluto essere e fare ma non c’è riuscita, esattamente come potrebbe fare un genitore scontento. Vuole portarla a La Cruz, isola felice dove è cresciuta e “c’è sempre la luce” e dove è stato interrotto bruscamente il suo sogno di diventare una ballerina.

Il marchio Cavalli è “made in the USA”

Cavalli costruisce sempre questi microcosmi surreali in cui l’ironia secca fa da padrone e i personaggi, pur dialogando in italiano, sembrano abitare gli spazi degli Stati Uniti che abbiamo da sempre conosciuto al cinema. Qui, in particolare, ci sono i motel, il road trip, il fast food e perfino una versione della celebre White Chapel di Las Vegas. Se ancora non fosse abbastanza, vi basti sapere che l’unico americano nel cast ha nome italiano.

Holly è sferzante come un pugno a causa di un’emotività inesplosa e Porcaroli, incredibilmente diretta nella sua quasi totale impassibilità, la incarna in maniera credibile. Certo, serve stabilire un patto di accettazione per entrare nei mondi assurdi creati da Cavalli: è sicuramente un cinema che noi italiani non siamo abituati a fare, un quirky dall’appeal decisamente più statunitense (il grande successo di Amanda negli States lo testimonia). Ma la vera rivelazione di Il rapimento di Arabella è Lorenza Guglielmino, una piccola peste da cui è impossibile staccare gli occhi e la cui ardente spontaneità perfettamente si sposa con le narrazioni orchestrate da Cavalli, in cui i personaggi possono mentire a loro stessi ma mai al pubblico.

Nel nuovo film di Cavalli, il rapimento diventa quinti viaggio conoscitivo di un femminile che non si è mai davvero scoperto, o meglio, che ha accettato di piegarsi alla scelte di una vita che non ha mai effettuato. Forse è proprio rivivendo il proprio passato e accettando che coprire le ferite non equivale a vivere, che Holly potrebbe davvero scrivere la sua storia di un’infanzia (non) perduta.

Peacemaker – Stagione 2: il titolo dell’episodio 3 potrebbe suggerire un importante ritorno

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La seconda stagione di Peacemaker sta attualmente andando in onda su HBO Max, e sebbene l’episodio 2 – “A Man is only as Good as his Bird” – sia stato piuttosto avaro di grandi rivelazioni, si ipotizza che l’episodio della prossima settimana vedrà la reintroduzione di un personaggio importante. L’episodio 3 è infatti intitolato “Another Rick up my Sleeve” (Un altro Rick nella mia manica).

Anche se questo potrebbe riferirsi a Rick Flag Sr. (Frank Grillo), c’è la possibilità che il “Rick” del titolo sia in realtà suo figlio defunto, interpretato da Joel Kinnaman in Suicide Squad e nel sequel di James Gunn, The Suicide Squad. Si vocifera infatti che Kinnaman riprenderà il ruolo in un flashback, interpretando una versione alternativa di Flag Jr. proveniente dall’universo dimensionale in cui Peacemaker ha trascorso del tempo. Nell’episodio 1, Keith Smith menziona un “jarhead” che ora sta frequentando l’ex di suo fratello (Emilia Harcourt), e la teoria prevalente è che questo individuo si rivelerà essere proprio Rick Flag.

Supponendo che ciò sia vero, come potrebbe reagire Peacemaker quando si troverà faccia a faccia con l’uomo che ha ucciso… e che ora sta vivendo la vita che lui aveva sempre immaginato per sé stesso? Sarà anche interessante vedere come Rick Flag Sr. reagirà quando scoprirà che il suo amato figlio (o almeno una versione di lui) è ancora vivo in un’altra dimensione. Al momento, il teaser dell’episodio non ha fornito particolari indizi riguardo a questa presenza:

Tutto quello che sappiamo della stagione 2 di Peacemaker

La gente sta capendo che la seconda stagione di Peacemaker riguarda due dimensioni, e questo è davvero il cuore della serie”, ha spiegato Gunn durante una recente intervista con Rolling Stone. “Ma non è che una di queste sia la vecchia DCEU e l’altra la DCU. La questione viene affrontata in modo diverso, in modo molto diretto in una stagione in cui quasi tutto nella prima stagione è canonico e alcune cose non lo sono. E infatti ho registrato un podcast con gli attori Steve Agee e Jen Holland“.

Abbiamo parlato di ogni episodio di Peacemaker e in quegli episodi ho spiegato cosa è canonico e cosa non lo è. In pratica ho eliminato alcune piccole cose della prima stagione di Peacemaker che non sono canoniche, come Aquaman. Ma la maggior parte delle cose è canonica“. Stando a queste parole di Gunn, sarà dunque interessante scoprire cosa la seconda stagione aggiungerà alla storia di Peacemaker e come lo renderà a tutti gli effetti un personaggio del DC Universe.

Peacemaker esplora la storia del personaggio che John Cena riprende all’indomani del film del 2021 del produttore esecutivo James Gunn, Suicide Squad – un uomo irresistibilmente vanaglorioso che crede nella pace ad ogni costo, non importa quante persone debba uccidere per ottenerla!”, è stato poi riferito. I dettagli precisi sulla trama della seconda stagione sono ancora per lo più nascosti, ma sappiamo che Frank Grillo riprenderà il ruolo di Rick Flag Sr. e cercherà di vendicarsi per l’uccisione da parte di Peacemaker di suo figlio Rick Jr. (Joel Kinnaman) avvenuta in The Suicide Squad.

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Star Wars: Starfighter, Eva Mendes potrebbe essersi unita al cast in un ruolo sorprendente

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Le riprese di Star Wars: Starfighter sono iniziate all’inizio di questa settimana e sembra che un altro nome sia stato aggiunto al cast del film. È già stato reso noto che Amy Adams interpreterà la sorella del personaggio di Ryan Gosling e la madre del giovane protagonista Flynn Gray. Ora, lo scooper Daniel Richtman riferisce che Eva Mendes, attrice nota per Ghost Rider e Hitch – Lui sì che le capisce le donne, è stata scelta per interpretare la moglie del personaggio interpretato da Gosling. Come noto, Gosling e Mendes sono sposati nella vita reale e quest’ultima ha raramente accettato ruoli da attrice da quando ha avuto figli.

I suoi ultimi film sono stati Come un tuono nel 2012 (dove ha conosciuto Gosling) e Lost River nel 2014 (film diretto dal marito). Mendes ha poi avuto solo pochi ruoli sul piccolo schermo, ma ha prestato la sua voce a una “istruttrice di yoga” in Bluey nel 2021. Se davvero dovesse prendere parte a Star Wars: Starfighter, è molto probabile che il suo possa essere un semplice cameo. Al momento, però, la sua partecipazione al prossimo film di Star Wars non è stata annunciata ufficialmente.

Cosa sappiamo di Star Wars: Starfighter

Il prossimo film di Star Wars è descritto come un capitolo autonomo dell’iconica saga fantascientifica che si svolgerà cinque anni dopo gli eventi di L’ascesa di Skywalker del 2019.  Oltre a Ryan Gosling nel cast ritroviamo Amy Adams, Aaron Pierre, Flynn Gray, Simon Bird, Jamael Westman e Daniel Ings. Gli attori Matt Smith e Mia Goth interpreteranno invece due antagonisti nel film.

Finora, la trama del prossimo film di Star Wars è rimasta segreta. Tuttavia, l’immagine condivisa nel post dell’annuncio sembra suggerire che il personaggio di Ryan Gosling sarà in qualche modo una figura protettrice o mentore del personaggio interpretato da Flynn Gray. Questo evocherebbe una relazione adulto-bambino che è comune in tutta la saga di Star Wars ed è stata al centro di episodi come The Mandalorian, Obi-Wan Kenobi, Skeleton Crew e La minaccia fantasma.

Il film è ora atteso al cinema 28 maggio 2027.

Motorheads: Prime Video cancella la serie dopo una stagione

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Motorheads: Prime Video cancella la serie dopo una stagione

Prime Video ha deciso di non rinnovare la serie drammatica per giovani adulti Motorheads per una seconda stagione, secondo quanto appreso da Deadline. La decisione arriva più di tre mesi dopo la messa in onda della prima stagione di 10 episodi, avvenuta il 20 maggio. Ma c’è speranza per gli appassionati fan della serie che hanno condotto una campagna per il rinnovo su X e TikTok. I produttori, con il permesso di Amazon, hanno ritirato la serie, creata da John A. Norris, e hanno già avviato trattative con potenziali nuove emittenti, secondo quanto riferito da fonti interne.

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Abbiamo deciso di realizzare una serie senza secondi fini e con grande passione, per offrire alle famiglie qualcosa da guardare insieme”, ha dichiarato Jason Seagraves, produttore esecutivo della serie, in una dichiarazione rilasciata a Deadline. “Sebbene Johnny ed io siamo delusi dal fatto che Motorheads non continuerà su Prime Video, non potremmo essere più orgogliosi di ciò che il team ha creato. Nonostante il lancio con un pubblico incredibilmente poco consapevole, i nostri appassionati e rumorosi fan hanno guidato la carica e hanno reso la serie impossibile da ignorare. Il loro entusiasmo ci ha dato energia e siamo ottimisti sul fatto che troveremo una casa che creda e sostenga lo show”.

Motorheads, con Michael Cimino, Melissa Collazo, Ryan Phillippe e Nathalie Kelley, ha dimostrato di avere una grande resistenza, rimanendo fino ad oggi nella Top 10 dei programmi quotidiani di Prime Video negli Stati Uniti, rientrando ieri nella Top 5 e attualmente al settimo posto. Ha ricevuto recensioni positive (78% su Rotten Tomatoes) e chi l’ha provato ha continuato a seguirlo, il che è molto importante per gli streamer.

Ciò che mi ha entusiasmato di più di questo show è che abbiamo ottenuto ottimi tassi di completamento”, ha dichiarato il mese scorso Vernon Sanders, responsabile della divisione TV di Amazon MGM Studios, a Deadline. “Quindi chi inizia a guardarlo tende a seguirlo fino alla fine, e questo è un ottimo segno”. A ulteriore conferma del fatto che gli spettatori che hanno guardato Motorheads lo hanno davvero apprezzato, il punteggio di Rotten Tomatoes assegnato dal pubblico allo show è un alto 95%.

Il numero complessivo di spettatori potrebbe non essere stato sufficientemente alto per Prime Video, portando alla cancellazione. Motorheads non è mai entrato nella Top 10 settimanale di Nielsen per lo streaming. Nella classifica settimanale delle 50 serie in streaming più viste di Luminate, è rimasto per cinque settimane, rimanendo per lo più intorno alla quarantesima posizione e raggiungendo il picco al numero 19 con 3,29 milioni di ore visualizzate nella settimana del 23 maggio. La serie ha mantenuto il primo posto su Prime Video a livello globale all’inizio, secondo FlixPatrol, che monitora quotidianamente le serie più viste della piattaforma.

Di cosa parla Motorheads?

Come recita la trama ufficiale della serie, Motorheads parla del primo amore, della prima delusione amorosa e della prima volta che si gira la chiave di accensione della propria auto. È incentrato sui gemelli adolescenti Zac (Cimino) e Caitlyn (Collazo) che, insieme alla madre Samantha (Kelley), si trasferiscono in Pennsylvania per vivere con lo zio Logan (Phillippe), un ex pilota NASCAR diventato proprietario di un’officina.

Motorheads fa parte dell’espansione di Amazon nel settore YA, sfruttando il successo di L’estate nei tuoi occhi, Maxton Hall e dei film Culpa. Altre due nuove serie YA lanciate negli ultimi due mesi, Overcompensating e L’estate dei segreti perduti (We Were Liars), sembrano promettenti per un rinnovo. A differenza di questi titoli, Motorheads è un’idea originale e non è basato su libri bestseller, il che ha probabilmente contribuito alla scarsa notorietà. Inoltre, non ha ricevuto lo stesso livello di promozione di altri titoli di alto profilo.

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La serie ha dunque alcune questioni in sospeso, dato che il finale della prima stagione si è concluso con due importanti colpi di scena. Una gara notturna su strada tra Zac (Cimino) e Harris (Macqueen) si è conclusa con un terribile incidente in cui l’auto di Harris si è ribaltata più volte e ha preso fuoco, lasciando il suo destino incerto. E Caitlyn (Collazo) ha ricevuto una misteriosa telefonata da Spider Lake, nel Michigan, forse dal padre suo e di Zac, che non avevano mai conosciuto. Era parte del mistero sotteso alla serie che ora potrebbe rimanere irrisolto. Non resta ora che scoprire se sarà possibile vederla altrove.

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I Goonies 2: lo sceneggiatore aggiorna sullo stato del sequel

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I Goonies 2: lo sceneggiatore aggiorna sullo stato del sequel

I Goonies 2, il sequel del classico degli anni ’80 di Richard Donner, sta “andando nella giusta direzione”, secondo il suo sceneggiatore Potsy Ponciroli. Durante un evento moderato da Deadline al Festival del Cinema di Venezia, Ponciroli è stato interrogato sullo stato del film e ha dichiarato: “Ho consegnato una prima bozza, che è stata accolta molto bene, e ora sto lavorando alla seconda bozza, che è completa al 95%, quindi stiamo andando nella giusta direzione”.

Ponciroli ha affermato di non essere immune alle inevitabili perplessità online riguardo al sequel di un classico così amato, ma ha aggiunto che pochi sono più grandi fan dell’originale di lui e che lo tratterà con la massima cura. “So che molti si chiedono se abbiamo bisogno di un nuovo Goonies”, ha detto, “ma io sono il più grande fan dell’originale, è il mio film preferito di tutti i tempi. Non ‘rifarei’ mai The Goonies. Per me è stata una storia che non è mai finita, quindi questo è il film che voglio vedere come uno dei suoi più grandi fan”.

Ha aggiunto di non sapere però quando il film entrerà in produzione e al momento il regista non è ancora stato rivelato. La Warner Bros, la casa di produzione dietro l’originale I Goonies, è anche dietro il sequel. Steven Spielberg, Kristie Macosko Krieger e Holly Bario saranno i produttori per Amblin Entertainment insieme a Chris Columbus, con Lauren Shuler Donner come produttore esecutivo. Spielberg e Columbus hanno scritto l’originale.

Uscito 40 anni fa, l’originale ha presentato al mondo un gruppo di ragazzini disadattati – Mikey, Mouth, Data, Chunk e altri – che si imbarcano in una caccia al tesoro per salvare le loro case dal pignoramento. Il viaggio li porta attraverso tunnel sotterranei, trappole esplosive e incontri con la malvagia famiglia criminale dei Fratelli, il tutto per arrivare alla scoperta del tesoro perduto del pirata Willy l’Orbo.

Pietra miliare della cultura pop degli anni ’80, il film ha lanciato la carriera di giovani attori come Josh Brolin, Sean Astin, Corey Feldman, Martha Plimpton e Ke Huy Quan. L’idea di un I Goonies 2 è nell’aria da decenni, ma nonostante le voci insistenti e l’interesse dei fan e di alcuni membri del cast originale, non si è ancora concretizzata. Ponciroli è stato rivelato come sceneggiatore da noi all’inizio dell’anno e questa è stata l’ultima notizia che abbiamo avuto. La situazione sembra però iniziare a farsi seria.

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Venezia 82: La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli fuori concorso

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia arriva fuori concorso La valle dei sorrisi, il nuovo film di Paolo Strippoli, già apprezzato per Piove e A Classic Horror Story. Un’opera che affronta l’horror come dispositivo simbolico, capace di raccontare fragilità, identità e bisogno di appartenenza.

La trama di La valle dei sorrisi

La storia è ambientata a Remis, un paesino isolato tra le montagne i cui abitanti vivono in una serenità sospetta. Sergio Rossetti, nuovo insegnante di educazione fisica tormentato da un passato oscuro, sembra aver trovato lì un rifugio ideale. Ma l’incontro con Michela, giovane proprietaria della locanda del paese, lo conduce a scoprire un inquietante rituale: una volta a settimana gli abitanti si riuniscono per abbracciare Matteo Corbin, adolescente capace di assorbire il dolore degli altri. Il tentativo di Sergio di liberare il ragazzo scatenerà il lato più oscuro di colui che tutti chiamano “l’angelo di Remis”.

Nel suo commento, Strippoli sottolinea come il film nasca dal desiderio di usare l’horror non solo per generare tensione, ma come spazio per esplorare crescita, paternità e perdita dell’innocenza. Matteo, adolescente queer e corpo sacrificale, diventa simbolo di una comunità che bandisce il dolore come se fosse una religione.

Prodotto da Fandango (Domenico Procacci, Laura Paolucci), Nightswim (Ines Vasiljević, Stefano Sardo) e Spok Films (Jožko Rutar), La valle dei sorrisi è una coproduzione tra Italia e Slovenia, della durata di 122 minuti e in lingua italiana.

Il cast comprende Michele Riondino, Romana Maggiora Vergano, Paolo Pierobon, Roberto Citran e Giulio Feltri. La sceneggiatura è firmata da Jacopo Del Giudice, Paolo Strippoli e Milo Tissone, con la fotografia di Cristiano Di Nicola, il montaggio di Federico Palmerini, la scenografia di Marcello Di Carlo e i costumi di Susanna Mastroianni. Le musiche sono di Federico Bisozzi e Davide Toma, mentre il suono è curato da Francesco Morosini.

Con La valle dei sorrisi, Strippoli porta a Venezia un horror inquietante e politico, che riflette sulla necessità del dolore nelle nostre vite e sul coraggio di non sorridere.

Venezia 82: Broken English, il ritratto di Marianne Faithfull

Venezia 82: Broken English, il ritratto di Marianne Faithfull

Il 30 settembre alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia sarà presentato Broken English, documentario diretto da Jane Pollard e Iain Forsyth che ripercorre la vita e l’eredità artistica di Marianne Faithfull, icona della musica e della cultura contemporanea.

Indomita, provocatrice e autentica, Faithfull ha attraversato più di sessant’anni di carriera pubblicando oltre trentacinque album e reinventandosi costantemente. Broken English – realizzato con il suo pieno coinvolgimento – si presenta come un atto di resilienza e ribellione, un’esplorazione intima e implacabile di una vita segnata dalla fama, dalla creatività e dall’incessante giudizio del pubblico.

Il film si svolge all’interno del Ministero della Nondimenticanza, istituzione cinematografica immaginaria che unisce memoria e mitologia, trasformando l’archivio in una sorta di “seduta spiritica elettronica” in cui convivono molte versioni di Marianne.

I registi hanno sottolineato come Broken English non sia semplicemente un film su Faithfull, ma “un film di Marianne”, plasmato dal suo spirito creativo e dalla sua teatralità. Tra i protagonisti compaiono Tilda Swinton, George MacKay, Calvin Demba, Zawe Ashton e Sophia Di Martino, insieme a Faithfull stessa e ad artisti come Suki Waterhouse, Beth Orton, Courtney Love, Jehnny Beth, Nick Cave e Warren Ellis.

Prodotto da Rustic Canyon Pictures e Phantoscopic, Broken English dura 96 minuti e unisce linguaggi visivi, materiali d’archivio e invenzione scenica, dando vita a un ritratto unico e visionario di una delle figure più straordinarie della musica internazionale.

Venezia 82: il grande giorno di Frankenstein di Guillermo Del Toro in concorso

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia arriva in concorso Frankenstein, il nuovo e attesissimo film di Guillermo Del Toro. Dopo anni di preparazione, il regista premio Oscar porta finalmente sul grande schermo la sua visione del capolavoro di Mary Shelley, considerato uno dei testi fondativi della letteratura gotica.

La trama di Frankenstein

Il film racconta la storia di Victor Frankenstein, uno scienziato brillante ma ossessionato dal proprio ego che riesce a dare vita a una creatura in un esperimento mostruoso. La sua scelta, tuttavia, porterà alla rovina tanto il creatore quanto la sua tragica creazione, in un viaggio che affronta temi universali come la vita, la morte e il rapporto tra padri e figli.

Nel suo commento, Del Toro definisce Frankensteinun’impresa benedetta, mossa dalla reverenza e dall’amore per il mistero e per i mostri”. Il regista racconta come la sua fascinazione per il personaggio sia nata da bambino, quando vide per la prima volta i film di James Whale con Boris Karloff, un’esperienza che trasformò l’horror gotico nella sua “religione”.

Prodotto da Double Dare You (Guillermo Del Toro), Demilo Films (J. Miles Dale) e Bluegrass 7 (Scott Stuber), Frankenstein ha una durata di 149 minuti ed è girato in lingua inglese.

Il cast è di altissimo livello: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Christoph Waltz, Mia Goth, Felix Kammerer, Charles Dance, David Bradley, Lars Mikkelsen e Christian Convery. La sceneggiatura è scritta dallo stesso Del Toro, la fotografia è firmata da Dan Laustsen, il montaggio da Evan Schiff, la scenografia da Tamara Deverell e i costumi da Kate Hawley. La colonna sonora è composta da Alexandre Desplat, mentre il suono è curato da Nathan Robitaille, Nelson Ferreira, Christian Cooke, Brad Zoern e Greg Chapman. Gli effetti visivi sono diretti da Dennis Berardi.

Con questo film, Del Toro non solo rende omaggio al romanzo di Mary Shelley, ma conclude anche un percorso personale e artistico iniziato oltre quarant’anni fa, confermando la sua devozione per i mostri e il loro mistero.

Venezia 82: Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi in concorso

Venezia 82: Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi in concorso

Il regista Gianfranco Rosi, Leone d’Oro con Sacro GRA e Orso d’Oro con Fuocoammare, torna in concorso alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia con Sotto le nuvole. Un film che esplora il Golfo di Napoli e il Vesuvio come crocevia di memorie, rovine e vite quotidiane, trasformando il paesaggio in una grande macchina del tempo.

Girato in bianco e nero, Sotto le nuvole attraversa i Campi Flegrei e i luoghi simbolo di Pompei ed Ercolano, rivelando una Napoli meno conosciuta, popolata da devoti, turisti, archeologi e abitanti comuni. La circumvesuviana che corre tra le città, i cavalli al trotto sulla battigia, un maestro di strada impegnato nel doposcuola, i vigili del fuoco che affrontano le paure della comunità: ogni frammento diventa parte di un mosaico che racconta l’anima del territorio.

La narrazione si arricchisce di storie antiche e contemporanee: gli archeologi giapponesi che da vent’anni scavano Villa Augustea, i turisti che affollano le rovine, i devoti che strisciano nel santuario della Madonna dell’Arco, gli ex voto che testimoniano un credo sopravvissuto ai secoli.

Nel suo commento, Rosi spiega di aver vissuto per tre anni all’ombra del Vesuvio, cercando di catturare “lo scavo del tempo” attraverso incontri, sguardi e situazioni colte nella loro autenticità. “Ho girato in bianco e nero, ho guardato in bianco e nero”, racconta il regista, sottolineando come il film sia nato dalla fiducia negli incontri e nell’imprevedibilità della vita filmata.

Prodotto da 21Uno Film (Gianfranco Rosi) e Stemal Entertainment (Donatella Palermo), Sotto le nuvole dura 115 minuti ed è una produzione italiana. Il film è scritto, fotografato e sonorizzato dallo stesso Rosi, con il montaggio di Fabrizio Federico e le musiche di Daniel Blumberg.

Con Sotto le nuvole, Gianfranco Rosi porta a Venezia un’opera che intreccia memoria storica e presente, restituendo un ritratto poetico e inquieto della terra vesuviana.