Sebbene non fossero stati inclusi
nel primo annuncio del cast, sia Chris Evans che Hayley Atwell dovrebbero riprendere i
rispettivi ruoli di Steve Rogers e Peggy
Carter in Avengers:
Doomsday, e lo scooper Daniel Richtman riferisce ora che
avrebbero già iniziato a girare le loro scene. Le possibilità di
intravedere gli attori nelle foto dal set sembrano scarse, dato che
non si è più girato in esterni da quando quelle prime immagini
della X-Mansion e di un Sentinel abbattuto sono finite online a
maggio.
Sebbene i dettagli della trama siano
ancora segreti, si vocifera che il Dottor Destino (Robert
Downey Jr.) prenderà di mira Rogers per il suo ruolo
nel causare le incursioni multiversali quando è tornato al passato
in Avengers: Endgame per vivere la sua vita con
Peggy. La teoria prevalente è che queste incursioni abbiano in
qualche modo portato a una perdita devastante per Victor Von Doom,
che ora è deciso a vendicarsi.
Dal canto suo, Evans ha recentemente
affermato di essere “felicemente in pensione” per quanto riguarda
il Marvel Cinematic Universe e di non
avere alcuna intenzione di riprendere il suo ruolo più famoso.
Durante un’intervista con Screen Rant, l’attore ha ribadito con
fermezza che non tornerà, pur ammettendo di essere “triste non
essere di nuovo con la banda, ma sono sicuro che stanno facendo
qualcosa di incredibile, e sono sicuro che sarà ancora più
difficile quando uscirà e ti sentirai come se non fossi stato
invitato alla festa”.
Prima dell’uscita di Avengers: Infinity War, c’erano molte speculazioni sul
fatto che Rogers avrebbe abbandonato il personaggio di Capitan
America per vestire i panni di Nomad, e anche se alla fine ha
abbracciato lo spirito del vigilante errante nel film, non ha mai
assunto ufficialmente quel ruolo. È però stato suggerito che Rogers
assumerà il ruolo di Nomad in Avengers:
Doomsday… forse dopo la morte di Peggy per mano di
Doom? Ovviamente sarebbe una svolta piuttosto cupa per la storia,
ma darebbe alla versione più giovane di Rogers una scusa per
riprendere lo scudo e creare un conflitto con il villain.
Netflix ha diffuso il primo trailer del
film La donna della cabina numero 10, tratto
dall’omonimo romanzo di Ruth Ware. Il film,
diretto da Simon Stone, che ha co-sceneggiato
il film con Joe Shrapnel e Anna
Waterhouse, ha per protagonisti Keira
Knightleye Guy
Pearce.
La sinossi recita: “Mentre si
trova a bordo di uno yacht di lusso per un incarico di lavoro, la
giornalista Laura “Lo” Blacklock (Keira
Knightley) assiste al momento in cui una passeggera è gettata
in mare a tarda notte, solo per sentirsi dire che non è successo,
poiché tutti i passeggeri e l’equipaggio sono presenti. Nonostante
nessuno le creda, continua a cercare risposte, mettendo in pericolo
la sua stessa vita”.
Riguardo all’adattamento del suo
libro, Ware ha dichiarato: “In sostanza, il film parla di una
donna che vive un’esperienza negativa, la denuncia in modo
veritiero e non viene presa sul serio a causa di chi è. Troppe
persone sanno come ci si sente e penso che desideriamo vendicarci
tanto quanto Lo”.
Sebbene sia ancora famosa per la sua
interpretazione nella serie di successo Pirati dei
Caraibi, Knightley ha recitato in diversi film storici
acclamati dalla critica e ha ottenuto nomination agli Oscar per le
sue interpretazioni in Orgoglio e pregiudizio e The
Imitation Game. Guy Pearce è invece stato nominato lo
scorso anno come miglior attore non protagonista per la sua
interpretazione in The Brutalist.
Accanto a Knightley e Pearce
recitano Gugu Mbatha-Raw, Kaya
Scodelario, David Ajala, Art
Malik, David Morrissey, Daniel
Ings e Hannah Waddingham. La
donna della cabina numero 10 sarà disponibile su Netflix
dal 10 ottobre.
Cosa aspettarsi da La donna
della cabina numero 10
Di recente, la serie thriller
Black Doves, con protagonista anche Knightley, ha
riscosso un enorme successo su Netflix. Alla luce
di ciò, la piattaforma di streaming sembra avere in serbo un altro
progetto di successo con la star. A questo si aggiungono diversi
altri attori promettenti che hanno recentemente ottenuto un grande
successo e che appaiono anche in La donna della cabina
numero 10, riuniti per un thriller avvincente e un horror
tratto dalla vita reale.
Il trailer dipinge un quadro
terrificante di Lo completamente sicura di sé – lei sa cosa ha
visto – e dell’estrema manipolazione psicologica che ha luogo per
permettere alla crociera di continuare normalmente. Come spiega
l’autore, è una storia estremamente attuale, e la precedente
collaborazione di successo di Netflix con la Knightley in questo
genere dovrebbe contribuire ad attirare maggiore attenzione.
Olivia Colman è una
delle attrici britanniche che negli ultimi anni ha avuto una
notevole popolarità. Unica e fuori dagli schemi, si è fatta
conoscere per aver partecipato a diverse serie tv, come The Night Manager e Broadchurch, ma anche
grazie a diversi film come
La favorita,A
Royal Weekend e Assassinio sull’Orient Express. Le sue doti recitative
sono pazzesche e nonostante la sua ascesa continui da diversi anni,
la Colman è sempre rimasta una persona umile, conscia del proprio
lavoro, delle proprie responsabili nell’interpretare personaggi di
rilievo, riuscendo a farsi amare dal pubblico di tutto il
mondo.
2. È nota per alcune serie
TV. L’attrice è però nota anche per il suo ruolo in
televisione. Ha iniziato recitando in serie come Peep
Show (2003), Green Wing (2004-2006)
e Doctor Who (2010) ed ha poi trovato notorietà
grazie a The Night
Manager (2016), Fleabag (2016-2019), Broadchurch (2013-2017), I
miserabili (2018-2019) e The
Crown(2019-2023). In seguito ha recitato
in Landscapers – Un crimine quasi
perfetto (2021), Heartstopper (2022-2025), Grandi
speranze (2023), Secret
Invasion(2023) e The
Bear (2023-2024).
Olivia Colman è una premio Oscar
3. Ha vinto l’ambito
premio. Olivia Colman ha vinto il premio Oscar come
miglior attrice protagonista alla sua prima nomination per il ruolo
di regina Anna in La
favorita (2018). La vittoria ha rappresentato un trionfo
straordinario, considerando la concorrenza composta da attrici del
calibro di Glenn Close (The Wife), Lady Gaga (A Star Is Born), Melissa McCarthy (Copia
originale) e Yalitza Aparicio
(Roma). Colman è poi stata
candidata anche nel 2021 per The Father – Nulla è come sembra e nel 2022 per
La figlia oscura.
4. Ha lavorato a lungo sulla
fisicità del personaggio. In
La favorita (2018), Olivia Colman interpreta la
regina Anna d’Inghilterra, un personaggio complesso e fragile,
oscillante tra potere e vulnerabilità. Per prepararsi al ruolo,
Colman ha studiato a lungo la vita della regina e le cronache del
periodo, consultando storici e osservando dipinti e ritratti
dell’epoca per cogliere posture e gestualità autentiche. Ha inoltre
lavorato con un coach di movimento per riprodurre i piccoli tic e
le difficoltà fisiche della regina, riuscendo a rendere sullo
schermo una figura storica credibile e piena di sfumature
psicologiche.
Olivia Colman in The Crown
5. Ha interpretato un’altra
regina. Dopo
La favorita, in The
Crown (stagioni 3 e 4), Colman ha interpretato la regina
Elisabetta II, portando sullo schermo una versione più matura e
complessa della monarca britannica. La sua interpretazione è stata
ampiamente acclamata dalla critica, tanto da valergli un Emmy
Awards come miglior attrice protagonista in una serie drammatica.
Colman ha studiato attentamente gesti, postura e inflessioni vocali
della sovrana, lavorando con coach di movimento e dizione per
rendere autentico il personaggio.
Olivia Colman nella serie Marvel Secret
Invasion
6. Avrebbe voluto avere dei
superpoteri. In
Secret Invasion, Colman
interpreta Sonya Falsworth, un’agente di alto rango dell’MI6, amica
di Nick Fury (Samuel
L. Jackson).
Il personaggio si distingue per il suo approccio pragmatico e
talvolta spietato nella lotta contro gli Skrull, specie quelli
guidati da Gravik.
Colman ha dichiarato di essere rimasta delusa dal fatto di non
avere poteri sovrumani, ma ha apprezzato l’opportunità di
interpretare una figura di potere nel contesto del Marvel Cinematic
Universe.
Olivia Colman in Wonka
7. Si è trasformata per il
ruolo. In Wonka (2023), Colman interpreta
Mrs. Scrubbit, una locandiera astuta e manipolatrice che mette alla
prova il giovane Willy Wonka. Per rendere il personaggio più
realistico, Colman ha subito una significativa trasformazione
fisica, indossando costumi voluminosi, denti ingialliti e una
parrucca color tabacco. Ha raccontato di essersi divertita a
interpretare una “cattiva”, esplorando tratti insoliti e sopra le
righe che normalmente non mostrerebbe. La sua performance ha così
unito umorismo e follia.
8. Ha studiato come
chef.
In I Roses (qui
la recensione), Colman interpreta Ivy Rose, una chef di
successo la cui carriera decolla mentre quella del marito Theo
(Benedict Cumberbatch) crolla, scatenando un conflitto
matrimoniale.
Colman ha dichiarato di aver trovato stimolante interpretare un
personaggio che evolve da donna di successo a figura più complessa
e vulnerabile.
Per prepararsi al ruolo, ha studiato il comportamento di chef reali
e ha partecipato a sessioni di cucina per rendere la sua
interpretazione più autentica. Aveva comunque già avuto modo di
farlo per la serie The
Bear.
Il marito e i figli di Olivia Colman
9. È sposata con uno
sceneggiatore e produttore. Olivia
Colman è sposata con Ed Sinclair, sceneggiatore e
produttore britannico, dal 2001.
La coppia si è incontrata durante gli anni universitari a
Cambridge, dove entrambi erano coinvolti nel teatro.
Hanno tre figli: due maschi, Finn e
Hal, e una figlia di cui non hanno mai rivelato il
nome.
Nonostante la fama internazionale di Olivia, la famiglia vive
lontano dai riflettori, a sud di Londra, e mantiene una vita
privata molto riservata.
Colman ha dichiarato che il segreto del loro matrimonio duraturo è
la loro amicizia e la capacità di ridere insieme
L’età e l’altezza di Olivia Colman
10. Olivia Colman è nata il
30 gennaio 1974 a Norwich, Regno Unito. L’attrice è alta
complessivamente
La terza stagione di House
of the Dragon è attualmente in produzione e la
star Olivia Cooke ha ora fornito alcuni
aggiornamenti sulla data di conclusione delle riprese dei nuovi
episodi. Durante l’intervista di Liam Crowley di
ScreenRant l’attrice, che nella serie interpreta la regina
Alicent Hightower, ha infatti fornito un aggiornamento sulla data
di conclusione delle riprese della terza stagione. “Abbiamo
iniziato ad aprile, quindi finiremo ad ottobre. Siamo oltre la metà
ed è enorme”, ha affermato. “La portata di questa stagione
è incredibile. In realtà è assurda. È davvero assurda e ci sono
molte acrobazie pratiche ed enormi. È pazzesca”, ha poi
aggiunto l’attrice.
Quando sarà disponibile la Stagione
3
Come ha spiegato Olivia Cooke, le riprese della terza stagione
di House
of the Dragon sono iniziate ad aprile, anche se la
produzione effettiva è partita a marzo, e dovrebbero concludersi ad
ottobre. Cooke dice che le riprese di House of the Dragon sono “più che a
metà”. House of the Dragon viene girato principalmente nel Regno
Unito, anche se alcune parti della prima stagione sono state girate
in Spagna. HBO non ha ancora annunciato ufficialmente quando uscirà
la terza stagione nel 2026, ma le due stagioni precedenti sono
state trasmesse in estate, quindi l’estate 2026 è un’ipotesi
plausibile.
House
of the Dragon è l’amatissima saga ambientata 200
anni prima degli eventi citati nella serie dei record “Il Trono di
Spade”. Tratta dal romanzo “Fuoco e Sangue” di
George R.R. Martin, questa racconta la storia
della leggendaria Casa Targaryen.
La terza stagione vedrà nel cast il
ritorno di:
Matt Smith, Emma D’Arcy,
Olivia Cooke, Steve Toussaint,
Rhys Ifans, Fabien Frankel, Ewan Mitchell, Tom Glynn-Carney,
Sonoya Mizuno, Harry Collett, Bethany Antonia, Phoebe Campbell,
Phia Saban, Jefferson Hall, Matthew Needham, Tom Bennett, Kieran
Bew, Kurt Egyiawan, Freddie Fox, Clinton Liberty, Gayle
Rankin e Abubakar Salim.
Si sono poi uniti al
cast Tommy Flanagan nel ruolo di Ser Roderick
Dustin, Dan Fogler nel ruolo di Ser Torrhen
Manderly, e James Norton nel ruolo di Ormund
Hightower. Le registe e i registi della terza stagione sono:
Clare Kilner, Nina Lopez-Corrado,
Andrij Parekh e Loni
Peristere.
Netflix ha vinto la battaglia delle offerte
per una nuova serie con Matthew McConaughey e Cole
Hauser, ideata da Nic Pizzolatto.
Variety ha confermato che il
progetto è attualmente in fase di sviluppo presso Netflix, anche se
gli accordi definitivi con i due protagonisti sono ancora in fase
di definizione. I dettagli della trama sono scarsi, a parte il
fatto che McConaughey e Hauser interpreteranno due fratelli. La
produzione sarà curata invece da Skydance Sports.
La serie segna un’altra reunion per
McConaughey e Pizzolatto, dopo la loro collaborazione di grande
successo nella prima stagione di True
Detective su HBO. I due avrebbero dovuto collaborare
nuovamente al progetto FX Redeemer, ma la serie alla fine
non è andata avanti. Recentemente è stato però riferito che
McConaughey reciterà in un film basato sui libri “Mike
Hammer” di Mickey Spillane e Max
Allan Collins, con una sceneggiatura di Pizzolatto.
Si tratta anche di una nuova reunion
televisiva dai tempi di True
Detective per McConaughey, che reciterà al fianco del
suo co-protagonista della prima stagione Woody Harrelson nella commedia
Brothers di Apple
TV+. La serie è ispirata alla vera amicizia tra i due attori e
le riprese sono state recentemente completate.
Per quanto riguarda Hauser, egli è
noto soprattutto per aver interpretato Rip Wheeler nella serie di
successo della Paramount Yellowstone.
Hauser e la sua co-protagonista, Kelly Reilly, reciteranno poi in uno spin-off
della serie che ha recentemente aggiunto al cast la candidata
all’Oscar Annette Bening.
Pizzolatto, invece, è famoso
soprattutto per True
Detective, ma è anche un romanziere pluripremiato. I
suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue ed è stato
candidato più volte agli Emmy e ai Golden Globe, oltre ad aver
vinto due Writer’s Guild Awards. Tra i suoi lavori recenti figura
il suo primo film come sceneggiatore e regista, “Easy’s
Waltz”, che sarà presentato in anteprima al TIFF a
settembre.
Con I Roses
(2025), Jay Roach porta di nuovo sullo
schermo la storia tratta dal romanzo di Warren Adler
The War of the Roses (1981), già adattata
con grande successo da Danny DeVito nel 1989.
Questa volta la produzione Searchlight ha deciso di rinunciare al
titolo originale, forse nel tentativo di suggerire una
“re-immaginazione” più che un semplice rifacimento. Ma la sostanza
rimane: si tratta a tutti gli effetti di un nuovo adattamento della
stessa materia narrativa. La differenza, semmai, sta nello sguardo
contemporaneo con cui sceneggiatore Tony McNamara
(The
Great e Povere Creature) rilegge la dinamica
coniugale.
Colman e Cumberbatch,
I Roses: un duello recitativo ad alta tensione
La ragione di maggiore
interesse del film è senza dubbio la coppia di protagonisti:
Olivia Colman e Benedict Cumberbatch, due dei più
grandi interpreti britannici contemporanei. La loro
alchimia non è quella della passione, ma quella dello scontro. Nei
panni di Ivy e Theo Rose, portano sullo schermo un conflitto
domestico che diventa presto una guerra a tutto campo. La loro
interazione è molto simile a una finale di tennis interminabile,
stile Borg-McEnroe, dove ogni battuta, ogni sguardo, ogni silenzio
diventa colpo su colpo.
Eppure, se Colman e
Cumberbatch sono sempre magnetici, non sempre convincono come
coppia credibile: la transizione dall’amore alla furia omicida
manca di quella profondità emotiva che avrebbe reso più devastante
la loro caduta. Forse perché l’ascesa e la caduta della coppia si
costruisce in maniera schematica su una scena chiave, che segna in
maniera fin troppo netta il punto di svolta della storia.
Ascesa e caduta di un
matrimonio perfetto
Il film dedica molto
tempo alla costruzione della vita coniugale dei Roses, prima di
esplodere nel conflitto. Ivy, brillante chef con il sogno di
trasformare la sua ricetta di crab cake in un impero gastronomico,
e Theo, architetto visionario, sembrano all’inizio una coppia
modello. Ma la loro parabola prende una piega imprevista.
Una tempesta distrugge il
progetto architettonico più ambizioso di Theo — un edificio
sormontato da una nave, simbolo della sua hybris — e insieme la sua
reputazione. Parallelamente, la carriera di Ivy decolla: il suo
ristorante We’ve Got Crabs diventa un fenomeno mediatico, la
sua immagine di chef una marca globale. Il ribaltamento dei ruoli
tradizionali è il cuore del racconto: Theo, ridotto a fare il padre
di famiglia frustrato, si trasforma in un “beta-male”
risentito; Ivy, invece, diventa una star che disprezza il marito
incapace di tenere il passo o anche solo di “accontentarsi” del suo
ruolo di stay-at-home-dad.
Dal conflitto
silenzioso alla guerra aperta
Per oltre un’ora I
Roses rimane più una cronaca della vita matrimoniale che una
dark comedy sul divorzio. Le prime scintille esplodono in terapia
di coppia, in una scena esilarante e al tempo stesso spietata, dove
un consulente ammette subito che per i due non c’è speranza. Ma è
solo negli ultimi venti minuti che la vicenda si avvicina davvero
al tono dell’originale del 1989: piatti rotti, minacce, lotte
fisiche, un crescendo che culmina in un finale senza vincitori né
vinti. E comunque non viene mai raggiunta la cattiveria
dell’originale adattamento. Questa scelta narrativa può lasciare
insoddisfatti: la tensione accumulata prometteva un’escalation più
lunga e brutale, ma il film sembra trattenersi, quasi temendo di
oltrepassare la soglia del grottesco.
Accanto ai due
protagonisti troviamo comprimari di lusso. Andy
Samberg e Kate McKinnon interpretano
Barry e Amy, amici e osservatori impotenti della disfatta
coniugale. Nonostante la loro comicità naturale, il film non dà
loro molto spazio per brillare. Più incisiva è invece
Alison Janney, nel ruolo di Eleanor, l’avvocatessa
divorzista di Ivy: un concentrato di aggressività e ironia che
regala alcune delle scene più memorabili.
Visivamente I
Roses è impeccabile. La fotografia di Florian
Hoffmeister e la scenografia di Mark
Ricker offrono interni e paesaggi di una California
costiera rigogliosa e scintillante, con case dal design
ultramoderno che riflettono perfettamente lo status e le ossessioni
dei protagonisti. Il risultato è un’estetica vicina ai film di
Nancy Meyers, fatta di cucine da sogno e ambienti
curatissimi. Ma questa patina elegante crea un contrasto talvolta
straniante con la materia cupa della storia: lo spettatore è
immerso in un mondo troppo bello per credere davvero al
disfacimento tragico che vi si consuma. E forse proprio in questo,
la versione del 2025 perde il confronto con il cult diretto da
De Vito.
Un adattamento per il
2025
E’ interessante notare
come i temi del romanzo e del precedente adattamento siano stati
aggiornati agli equilibri di genere contemporanei. I
Roses del 2025 non è più quella della moglie
sacrificata e del marito carrierista: è la storia di due individui
ambiziosi, incapaci di conciliare aspirazioni personali e vita di
coppia. È una riflessione, talvolta ironica, talvolta dolorosa, su
come oggi il matrimonio possa trasformarsi in un campo di battaglia
non tanto per beni materiali, ma per identità e riconoscimento. Lo
spostamento della donna dal ruolo di moglie e madre a ambiziosa
lavoratrice crea sempre un disequilibrio, una stranezza, un
elemento che porta scompiglio.
I Roses
non è un film perfetto. Soffre di una struttura sbilanciata, che
rallenta troppo nel primo atto e non osa abbastanza nell’ultimo.
Tuttavia, grazie alla potenza recitativa di Olivia Colman e Benedict Cumberbatch, riesce a restituire con
forza la sensazione che un matrimonio, una volta incrinato, possa
diventare un incubo claustrofobico. È un remake che, pur non
raggiungendo la ferocia indimenticabile della versione del 1989,
trova un suo spazio nel raccontare le contraddizioni del
presente.
L’episodio 3 di Alien: Pianeta Terra, intitolato
“Metamorphosis”, vede l’agente di sicurezza cyborg
Morrow fare di tutto per proteggere gli esemplari
alieni presenti sull’astronave Weyland-Yutani
precipitata. Dopo gli eventi dell’episodio 2 (qui la spiegazione del finale),
in cui Morrow ha sparato a Joe, il fratello del
primo essere ibrido al mondo, Wendy, Morrow ha
dimostrato di essere una minaccia pericolosa. Quando trova due
ibridi Prodigy, tra cui Slightly,
che scherzano accanto a diverse uova di Xenomorfo, ha più di
qualche domanda, tra cui un indovinello: “Quando una macchina
non è una macchina?”
La spiegazione dell’indovinello di
Morrow sulla “macchina”
L’idea centrale dietro l’indovinello
di Morrow “Quando una macchina non è una macchina?” sembra
essere che una macchina smette di essere tale quando smette di
funzionare. Più specificamente, una macchina smette di essere una
macchina quando cessa di svolgere il compito specifico che le è
stato assegnato e quando non ha più un operatore o un padrone che
possa premere un interruttore di accensione/spegnimento per darle
vita.
Quando una macchina dotata di
coscienza, intelligenza e autocoscienza ha la capacità di esistere
semplicemente, formare un’identità e non seguire ordini, si può
sostenere che non sia più una macchina, perché ogni macchina ha una
funzione primaria, spesso singolare. Slightly e gli altri Bimbi
Sperduti potrebbero non saperlo ancora, ma Boy
Kavalier e Prodigy hanno sicuramente uno scopo per i loro
ibridi.
Questo enigma riguarda anche la
lotta interiore di Morrow, che contrappone chiaramente la sua
umanità alla sua macchina. Ha la libertà di volontà, ma è in
accordo con la sua programmazione cyborg. Sfidare il suo codice è
come un essere umano che tradisce se stesso e va contro la propria
natura. Morrow definisce gli esemplari alieni il “lavoro della sua
vita” per Yutani solo perché è al suo servizio.
Tecnicamente Morrow vuole essere
amico di Slightly perché vuole sapere cosa sta facendo Prodigy con
i loro synth, soprattutto dopo che hanno menzionato i loro
genitori, senza sapere che sono ibridi. Sembra che Morrow abbia
intenzione di rapire uno degli ibridi, probabilmente Slightly, per
fare uno scambio tra Boy Kavalier e Yutani per gli esemplari
alieni.
Mentre Morrow parlava con Slightly
attraverso una cimice che gli aveva piantato sul collo, cercava
informazioni su Kavalier. È probabile che Morrow stia cercando di
mettere Slightly contro Prodigy e Boy Kavalier diventando suo
“amico”, il che lo aiuterà a ottenere informazioni sulle
innovazioni ibride top-secret di Prodigy, servendo in ultima
analisi il suo padrone Weyland-Yutani.
Nel classico film Peter
Pan, il personaggio di Slightly ricorda meglio degli altri
Bimbi Sperduti com’era la vita prima di arrivare all’Isola che Non
C’è. Questo sembra un buon indizio della strategia di Morrow per
conquistare Slightly, ricordandogli che anche se si sente vivo nel
suo corpo sintetico, non è più umano. Questo potrebbe spaventare il
ragazzo al punto da ribellarsi contro Prodigy nei futuri episodi di
Alien:
Pianeta Terra.
Si svolgerà con
un eccezionale doppio
programma la Preapertura
dell’82.
Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di
Venezia, che avrà luogo martedì 26
agosto alla Sala
Darsena del Palazzo del Cinema (Lido di Venezia).
Alle ore 18 sarà
presentatoOrigin (27’) il film
sulla laguna di Venezia del grande regista e
fotografo Yann Arthus-Bertrand, che al
termine dialogherà con il Direttore artistico della Biennale
Cinema Alberto Barbera e col curatore
della Biennale Architettura Carlo Ratti.
Alle ore 21 sarà
presentatoQueen Kelly (1929,
1h e 45’), il leggendario capolavoro incompiuto del
grande Erich von Stroheim con la
diva Gloria Swanson, in una nuova versione
restaurata con materiali ritrovati, con musica originale composta
da Eli Denson ed eseguita dal vivo
dal Syntax Ensemble.
Al doppio
programma della Preapertura,
con inizio delle due proiezioni alle
ore 18.00 e alle
ore 21.00, sarà invitato
il pubblico di Venezia attraverso la
collaborazione con i
quotidiani IlGazzettino, La
Nuova di Venezia e Mestre e
il Corriere del Veneto.
I film della preapertura
Origin (27’) del fotografo, regista
e ambientalista francese Yann
Arthus-Bertrand, già presente alla Mostra del Cinema di
Venezia con le sue opere Human (2015)
e Woman (2019), è la versione estesa del corto
introduttivo della sezione Natural Intelligence (Arsenale)
della Biennale Architettura 2025, curata
da Carlo Ratti – in corso ai Giardini e
all’Arsenale fino al 23 novembre e
intitolata Intelligens. Naturale.
Artificiale.
Collettiva. La Biennale
Architettura 2025 invita
alla collaborazione tra diversi tipi di
intelligenza per ripensare insieme l’ambiente
costruito. Realizzato con il sostegno della Veneto
Film Commission, Origin racconta la
laguna di Venezia con uno sguardo inedito, incoraggiandoci a
guardare con occhi nuovi la natura che la compone, per preservarla
al meglio.
Queen Kelly (1929, 1h e 45’),
capolavoro incompiuto del grande regista (Femmine folli,
Rapacità-Greed) e attore (La grande illusione, Viale del
tramonto) Erich von Stroheim, prodotto e
interpretato dalla diva più affascinante
dell’epoca Gloria Swanson (Viale del
tramonto) sarà proiettato in prima
mondiale in una nuova versione
restaurata con materiali
ritrovati da Dennis
Doros (Milestone Film & Video), che
nel 1985 aveva già realizzato una prima “ricostruzione”
di Queen Kelly, presentata con
grande successo in 35mm alla Mostra del Cinema di
Venezia di quell’anno. La proiezione sarà
accompagnata da una nuova colonna sonora
originale di Eli
Denson per Queen
Kelly, eseguita dal vivo dal Syntax
Ensemble. Clarinetti: Marco Ignoti, Riccardo Acciarino.
Arpa: Elena Gorna. Percussioni: Dario Savron. Violoncelli: Fernando
Caida Greco, Martina Rudic, Arianna Di Martino, Luca Colardo.
Direttore: Pasquale Corrado.
Per
assistere gratuitamente a entrambe
le proiezioni in Sala Darsena, il pubblico
interessato potrà collegarsi al sistema di prenotazione online dei
posti in sala della Biennale sul
sito www.labiennale.org,
visualizzando con il proprio smartphone i QR
Code pubblicati davenerdì
22 a lunedì 25 agosto su Il
Gazzettino e La Nuova di
Venezia e Mestre, nonché venerdì
22 e domenica 24 agosto
sul Corriere del Veneto.
Le prenotazioni
saranno possibili fino a esaurimento dei posti
riservati a ciascuna testata. Il 26 agosto
servizio straordinario ACTV linea 20 da San Marco (San
Zaccaria). Il servizio di Linea
20 da San
Zaccaria dall’1 settembre viene
effettuato a frequenza 15’ dalle ore 06.45 alle ore 01.40, e
prolungato con estensione a Lido Casinò di
tutte le corse. L’82. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di
Venezia si terrà al Lido dal 27
agosto al 6 settembre 2025,
diretta da Alberto Barbera.
Il team dietro l’adattamento
cinematografico del 2025 del romanzo di Stephen
King, The Long Walk, ha collaborato con
il leggendario autore alla stesura della sceneggiatura, e il
produttore ha rivelato che King ha fatto un’unica osservazione dopo
aver letto il copione, che ha portato a un cambiamento
fondamentale. Come noto, la storia parla di un gruppo di
adolescenti che partecipano alla competizione che dà il titolo al
film, in cui devono mantenere una certa velocità di marcia. Chi
rimane indietro viene ucciso, finché non ne rimarrà solo uno.
Adattare correttamente questo
racconto è stato un compito che la troupe ha preso molto sul serio,
e la sceneggiatura è stata inviata a King per la revisione. In
un’intervista con Joe Deckelmeier di
ScreenRant, il produttore di The Long
Walk, Roy Lee, ha rivelato
che “Stephen ha fatto solo un’osservazione quando gli
abbiamo dato la sceneggiatura. Ha detto: “Potete cambiarlo da 4
miglia all’ora a 3?” Perché era quello che era scritto nel libro.
Ha detto: “È impossibile camminare a 4 miglia all’ora per così
tanto tempo”. Questa è stata l’unica nota iniziale che ha lasciato
quando ha restituito il copione. Il finale era quello che era, e
lui ha detto: “Mi piace molto. Ma penso che dovreste ridurre la
velocità”.
Cosa significa la nota di
Stephen King per The Long
Walk
La modifica della velocità di
camminata non avrà un impatto significativo sulla trama di
The Long Walk, ma ne migliorerà leggermente la
credibilità. Molti dei commenti fatti sui registi che si sono
rifiutati di apportare modifiche al materiale originale hanno a che
fare con l’impatto straziante che il film doveva avere. Questa
modifica contribuisce in realtà allo stesso obiettivo, aiutando il
pubblico ad accettare meglio la premessa. Gli spettatori saranno
più propensi a credere che un giovane in media in buona forma
fisica possa mantenere questa velocità di marcia per un certo tempo
prima che inizino gli inevitabili orrori. In questo modo, potranno
comprendere meglio lo stato d’animo dei personaggi e il motivo per
cui hanno corso questo rischio.
Il cast di The Long Walk
Adattamenti di The Long
Walk sono stati tentati e bocciati per anni, ma la prima
versione completata uscirà finalmente nelle sale quest’anno ed è
diretta da Francis Lawrence. Il cast include
Cooper Hoffman, David Jonsson,
Ben Wang, Charlie Plummer,
Judy Greer, Garrett Wareing e
Roman Griffin Davis. Mark Hamill interpreta il severo sergente che
controlla i giovani partecipanti e gestisce le regole della macia.
Il film arriverà nelle sale statunitensi dal 12 settembre, mentre
al momento non è noto quando sarà possibile vedere il film in
Italia.
James Wan ha debuttato alla regia nel 2004 con
il film Saw, scritto da lui e Leigh
Whannell. Il film ha dato il via a un intero franchise e
anche se non è tornato alla regia di un altro episodio, Wan è
rimasto nel franchise come produttore esecutivo e collaboratore
alla sceneggiatura di alcuni sequel. Il decimo film della serie
Saw X è uscito nel 2023 e sebbene inizialmente fosse
prevista l’uscita dell’undicesimo capitolo in autunno, la
produzione è stata bloccata a causa di disaccordi interni tra i
produttori e lo studio. A marzo, il film è stato poi ufficialmente
rimosso dal calendario delle uscite della Lionsgate. In
un’intervista con ScreenRant, il regista ha ora parlato del ritorno
al franchise che ha dato inizio alla sua carriera.
“Se ci sono novità? È un po’
presto per parlarne, ma inutile dire che sono molto entusiasta.
Solo perché non ho avuto molto a che fare con il franchise sin dai
primi giorni. Immagino sia stimolante ed emozionante perché posso
tornare al film che ha dato inizio alla mia carriera, la mia e
quella di Leigh Whannell. Non sto prendendo la cosa alla leggera e
voglio assolutamente trovare un modo per rendere il prossimo film
rispettoso di ciò che i fan amano della serie, trovando al contempo
un nuovo pubblico”.“È una serie che ha vent’anni e penso
che sia importante trovare un nuovo inizio, pur rimanendo fedeli al
mondo che abbiamo creato”, ha concluso James Wan.
Cosa significa questo per Saw
XI
Come anticipato, lo sviluppo e la
produzione di Saw XI hanno subito una battuta
d’arresto nel gennaio 2024 a causa di problemi gestionali e
disaccordi sulla direzione del film. A marzo, gli sceneggiatori
Patrick Melton e Marcus Dunstan
hanno rivelato di aver consegnato una bozza più di un anno fa, ma
che il processo era stato interrotto. Nella storia che hanno
proposto, i due sceneggiatori hanno immaginato una trama attuale
che affrontasse gli stessi temi di Saw VI, in cui
Jigsaw prendeva di mira i dirigenti delle assicurazioni
sanitarie.
Tuttavia, il commento di
James Wan suggerisce che, sebbene la cancellazione
non abbia segnato la fine dell’undicesimo capitolo, potrebbero
esplorare il progetto ripartendo da zero. L’aggiornamento del
regista sul fatto che sia ancora “un po’ presto” per parlare del
futuro del franchise è però interessante. Suggerisce che l’ostacolo
che ha impedito la realizzazione di Saw XI
potrebbe non essere ancora stato completamente superato. D’altra
parte, sembra che ci siano ancora piani per il sequel.
Dopo lo
straordinario successo riscontrato nel 2024, tornano
le Masterclass e
le Conversazioni con grandi personalità
del cinema all’82. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di
Venezia, per la seconda volta nella location
della Match Point Arena (250 posti)
allestita al Tennis Club Venezia al Lido (di fronte all’Hotel
Excelsior, ingresso aperto
agli accreditati dell’82. Mostra).
In
particolare cinque saranno
le Masterclass che vedranno come
protagonisti: il regista tedesco Werner
Herzog (Leone d’oro alla carriera
2025) giovedì 28 agosto alle 16.00; il
regista cinese Jia Zhang-ke (Leone d’oro
per il miglior film nel 2006 per Still
Life) sabato 30 agosto alle 16.00;
la leggendaria attrice americana Kim
Novak (Leone d’oro alla carriera
2025) mercoledì 3 settembre alle 16.00; il
regista rumeno Cristian Mungiu (giurato
di Venezia 82, Palma d’oro 2007) giovedì 4
settembre alle 14.30; il regista
taiwanese Tsai Ming-liang (Leone d’oro
per il miglior film nel 1994 con Vive
l’amour) venerdì 5 settembre alle
16.00. Le Masterclass si potranno seguire anche
in livestream sul
sito www.labiennale.org.
Saranno quattro le Conversazioni organizzate
da Cartier– The Art and Craft
of Cinema, in collaborazione con
la Biennale, che vedranno dialogare la
regista americana premio Oscar Sofia
Coppola (Leone d’oro per il miglior film nel 2010
con Somewhere)
con la costumista italiana quattro volte premio
Oscar Milena Canonerovenerdì 29
agosto alle 15.30, il regista e attore
italiano Sergio
Castellitto con la
scrittrice Margaret
Mazzantinidomenica 31
agosto alle 16.00, il regista messicano premio
Oscar Alfonso Cuarón (Leone d’oro per il
miglior film nel 2018 con Roma) con il
direttore della fotografia neozelandese Michael
Seresinlunedì 1 settembre alle
16.00, e la regista neozelandese premio Oscar Jane
Campion (Leone d’argento per la migliore regia nel
2021 per The
Power of the Dog) con la produttrice
britannica Tanya
Seghatchianmartedì 2
settembre alle 16.00.
Giovedì 28 agosto ore
16.00 Masterclass di Werner
Herzog (Leone d’oro alla carriera),
conduce Federico
Pontiggia – Livestreamlabiennale.org
Venerdì 29 agosto ore
15.30 Conversazione tra Sofia
Coppola e Milena Canonero,
conduce Stéphane Lerouge
Sabato 30 agosto ore
16.00 Masterclass di Jia
Zhang-ke, conduce Elena
Pollacchi, critica cinematografica
– Livestreamlabiennale.org
Domenica 31 agosto ore
16.00 Conversazione tra Sergio
Castellitto e Margaret
Mazzantini, conduce Stéphane
Lerouge
Lunedì 1 settembre ore
16.00 Conversazione tra Alfonso
Cuarón e Michael Seresin,
conduce Stéphane Lerouge
Martedì 2 settembre ore
16.00 Conversazione tra Jane
Campion e Tanya Seghatchian,
conduce Stéphane Lerouge
Mercoledì 3 settembre ore
16.00 Masterclass di Kim
Novak (Leone d’oro alla carriera),
conduce Giulia d’Agnolo
Vallan – Livestreamlabiennale.org
Giovedì 4 settembre ore
14.30 Masterclass di Cristian
Mungiu, conduce Angela
Prudenzi – Livestreamlabiennale.org
Venerdì 5 settembreore
16.00 Masterclass di Tsai
Ming-liang, conduce Elena
Pollacchi – Livestreamlabiennale.org
Dopo aver visto un’anteprima del
look accuratamente riprodotto dal videogioco dell’attuale campione
della WWE Cody Rhodes nei panni di Guile e un
primo assaggio di Noah Centineo (Black
Adam)
vestito da Ken Masters, abbiamo ora alcune nuove foto e video
dal dietro le quinte del set del reboot di Street
Fighter. Le foto (si possono vedere qui e qui) ritraggono diversi membri
del cast, tra cui Callina Liang (Chun-Li),
Andrew Koji (Ryu) e Andrew Schulz
(Dan Hibiki), ma Orville Peck sembra essere
l’unico a indossare il costume del malvagio Vega.
Il musicista sudafricano ha i
capelli biondi e il caratteristico tatuaggio a forma di serpente di
Vega, ma è probabile che questa non sia la maschera che indosserà
per interpretare il personaggio, dato che Peck è noto per coprirsi
il viso in pubblico. Vega è stato introdotto come uno dei quattro
boss in Street Fighter II del 1991 come un “ninja
spagnolo” presuntuoso e sadico. Di solito è raffigurato come il
braccio destro del leader di Shadaloo, M. Bison (David
Dastmalchian).
Cosa sappiamo di Street Fighter
Al momento non si conosce ancora la
trama ufficiale di Street Fighter, ma si presume
che ruoterà intorno ad un grande torneo di arti marziali. Nel cast
troviamo Andrew Koji nei panni di Ryu,
Noah Centineo nei panni di Ken, Callina
Liang nei panni di Chun-Li, 50 Cent nei
panni di Balrog, Jason Momoa nei panni di Blanka e
Orville Peck nei panni di Vega, Roman
Reigns interpreterà il malvagio Akuma, David
Dastmalchian sarà M. Bison, il wrestler
Cody Rhodes sarà invece
Guile.
Il regista Kitao
Sakurai, che è subentrato ai registi originali
Danny e Michael Philippou, è
probabilmente meglio conosciuto per aver scritto, diretto e
prodotto The Eric Andre Show, e ha anche diretto il pilot
e diversi episodi della prossima serie Amazon Prime VideoButterfly, oltre ad
alcuni episodi dell’adattamento del videogioco Twisted
Metal di Peacock.
La serie Street
Fighter di Capcom rimane uno dei franchise di giochi di
combattimento più popolari di tutti i tempi, con oltre 49 milioni
di copie vendute in tutto il mondo, ma finora non ha avuto molto
successo con gli adattamenti live-action. Hollywood ha tentato di
adattare Street Fighter in passato, incluso un
film del 1994 che si è rivelato un fiasco. Il film vedeva tra i
suoi interpreti Jean-Claude Van Damme, Kylie Minogue,
Ming-Na Wen e il compianto Raul Julia,
tra gli altri, mentre un film del 2009, Street Fighter: The
Legend Of Chun-Li, con l’ex star di
SmallvilleKristin
Kreuk, è stato anch’esso un flop.
In pochi si aspettavano di rivedere
Dafne Keen nei panni di Laura, alias X-23,
dopo la sua acclamata interpretazione in Logan
– The Wolverine, ma l’attrice (nota anche per la serie
His Dark Materials) ha avuto l’opportunità di riprendere
il ruolo in Deadpool &
Wolverine come parte di una squadra composta da Blade
(Wesley
Snipes), Elektra (Jennifer
Garner), Gambit (Channing
Tatum) e il defunto Johnny Storm (Chris
Evans).
Laura appare di nuovo nei momenti
finali del film, dopo essersi riunita con Logan e Deadpool,
lasciando così aperta la porta per un suo eventuale ritorno. Ci
sono state voci secondo cui X-23 tornerà in Avengers:
Doomsday (insieme a quasi tutti gli altri personaggi
dell’MCU), ma Keen non faceva parte del
primo cast annunciato, quindi il suo ritorno rimane per ora non
confermato.
A Keen è stato dunque di recente
chiesto se tornerà nei panni della feroce giovane mutante nel
prossimo grande evento Marvel durante un’apparizione al Fan Expo
Canada, e lei ha risposto: “In realtà non ne ho idea. Lo
spero”. Il film è in fase di riprese già da un po’, quindi
Keen dovrebbe già sapere se farà parte del progetto o meno. Il
fatto che non abbia negato categoricamente la sua partecipazione
porta a pensare che X-23 sfodererà i suoi artigli al fianco di
Wolverine nel grande film dell’MCU in uscita il prossimo anno.
Netflix non procederà con una seconda
stagione della serie crime drama di Kevin
Williamson, The
Waterfront, secondo quanto appreso da Deadline. Secondo alcune fonti,
Williamson avrebbe comunicato al cast la decisione dello streamer,
e anche i membri della troupe sarebbero stati informati che non ci
sarà una seconda stagione. La notizia, che arriva circa due mesi
dopo l’uscita della serie il 19 giugno, è sorprendente perché la
contorta storia della influente famiglia Buckley della Carolina del
Nord ha ottenuto un ottimo successo.
La serie è infatti rimasta per
cinque settimane nella Top 10 globale di Netflix per le serie in
lingua inglese, inclusa una rara tripletta al primo posto, con un
picco di 11,6 milioni di visualizzazioni nella sua prima settimana
completa di uscita. Questo risultato è superiore a quello di
un’altra serie drammatica al suo esordio, recentemente rinnovata da
Netflix, Ransom Canyon, che è rimasta per quattro
settimane nella Top 10, raggiungendo il secondo posto con 9,4
milioni di visualizzazioni nella sua prima settimana completa.
The Waterfront ha
ottenuto risultati significativamente migliori rispetto alle altre
due serie drammatiche che Netflix ha cancellato finora quest’anno
dopo una sola stagione, Pulse e The Residence, entrambe rimaste nella Top 10 per
quattro settimane, raggiungendo rispettivamente il terzo posto con
8,5 milioni di visualizzazioni e il secondo posto con 8,8 milioni
di visualizzazioni. Nelle loro decisioni di rinnovo, i dirigenti di
Netflix tendono a privilegiare le prestazioni rispetto ai costi,
tenendo conto anche di altri fattori, come i riconoscimenti
ottenuti, il buzz sui social media e il tipo di pubblico che segue
la serie.
Oltre al numero di visualizzazioni,
le prestazioni includono il tasso di completamento, che non viene
reso pubblico. Fonti vicine alla produzione hanno riferito a
Deadline all’inizio di questo mese che il tasso di completamento di
The Waterfront era buono. Sembra però che Netflix
non abbia ritenuto che il numero di spettatori e il tasso di
completamento fossero sufficientemente alti da garantire il
rinnovo.
The Waterfront, con
Holt McCallany, Jake Weary,
Melissa Benoist e Maria
Bello, è un dramma familiare incentrato sui personaggi. La
storia ruota attorno alla famiglia Buckley, che per decenni ha
governato Havenport, nella Carolina del Nord, dominando ogni
aspetto della vita locale, dall’industria della pesca alla
ristorazione. Ma il loro impero ittico ha iniziato a sgretolarsi
quando il patriarca Harlan Buckley (McCallany) si è ripreso da due
infarti e sua moglie Belle (Bello) e suo figlio Cane (Weary) si
sono avventurati in acque profonde per mantenere a galla gli affari
di famiglia.
Mentre i loro tentativi sfuggono al
controllo e finiscono in acque pericolose, Harlan torna in scena
per prendere il comando. Affrontando i propri demoni, la figlia dei
Buckley, Bree (Benoist) – una tossicodipendente in fase di recupero
che ha perso la custodia di suo figlio – si ritrova coinvolta in
una relazione complicata che potrebbe minacciare per sempre il
futuro della famiglia.
Le versioni a fumetti e
cinematografica di Watchmen (qui
la recensione) hanno finali completamente diversi, ma entrambe
sono efficaci nel loro contesto. Concepito da Alan
Moore e Dave Gibbons,
Watchmen ha rivoluzionato il panorama dei fumetti
quando il suo primo numero è stato pubblicato nel 1986, offrendo
una storia matura e politicamente consapevole che mette in guardia
dai supereroi corrotti e dal vigilantismo degenerato. Dopo oltre 20
anni come classico di culto nel canone DC, Zack
Snyder, regista di 300, è stato incaricato di portare questa storia sul
grande schermo, un’impresa che molti ritenevano impossibile.
Il film Watchmen
del 2009 è stato però un pioniere in termini di film sui supereroi
non adatti alle famiglie (Christopher Nolan lo ha definito “in
anticipo sui tempi”) e ha stabilito lo stile crudo e cupo di
Snyder che avrebbe poi dato origine a L’Uomo d’Acciaio e al DCEU. Non per
l’ultima volta nella carriera di Snyder, Watchmen
si è però rivelato un adattamento molto controverso, ricevendo
elogi diffusi ma allo stesso tempo irritando i puristi dei fumetti.
Ciononostante, il film è diventato un cult a pieno titolo, fungendo
da ispirazione per film come Logan – The Wolverine e
The Boys e meritandosi un seguito in una serie TV su
HBO.
Nonostante la presenza di supereroi
stupratori e violenza a non finire, l’elemento di gran lunga più
controverso di Watchmen di Snyder è stato il
finale. In quello che era più o meno un adattamento fedele del
materiale originale, il film ha poi preso una direzione
completamente diversa per il suo atto conclusivo e questo è stato
da allora un punto di contesa tra i fan. Sebbene la forza del
finale di Snyder sia spesso oggetto di dibattito, entrambe le
versioni funzionano bene a modo loro. Approfondiamo il loro valore
qui di seguito!
Il finale del fumetto Watchmen
Ambientato in un 1985 alternativo
negli Stati Uniti, dove l’emergere di vigilanti mascherati e
dell’onnipotente Dr. Manhattan ha alterato il
corso della storia, la storia originale di Watchmen è ambientata
sullo sfondo reale della Guerra Fredda, con le tensioni tra
l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti che lasciano il mondo
sull’orlo della devastazione nucleare. Gli eventi di Watchmen sono
innescati dalla comparsa di un assassino che sembra prendere di
mira gli ex supereroi. Il caso viene ripreso dal vigilante ancora
attivo Rorschach, che riunisce la banda per
indagare sulla cospirazione.
Alla fine, Rorschach, Gufo
Notturno, Spettro di Seta e il dottor
Manhattan risalgono agli omicidi fino al loro ex collega
Adrian Veidt, precedentemente noto come
Ozymandias. Ora amministratore delegato della sua
società, Veidt ha deciso di intraprendere un’azione decisiva contro
l’incombente terza guerra mondiale e spera di unire il mondo in
pace e armonia inscenando un attacco alieno, costringendo le
superpotenze globali della Terra a risolvere le loro divergenze e a
unirsi.
Sebbene questo piano possa sembrare
promettente sulla carta, il principale punto critico è che Veidt
insiste che milioni di persone devono morire nell’attacco affinché
la falsa minaccia sia presa sul serio. Alla fine, i Watchmen non
riescono, o in alcuni casi decidono semplicemente di non farlo, a
fermare il piano di Veidt e l’atto finale del fumetto vede un
calamaro gigante creato dai laboratori segreti dell’uomo d’affari
scatenarsi su New York sotto le spoglie di un’invasione aliena.
Il finale del film Watchmen del
2009
La versione di Snyder di
Watchmen segue essenzialmente la stessa struttura
sopra descritta, ma si discosta quando si tratta dei dettagli del
piano di Ozymandias. Invece di creare biologicamente un calamaro
gigante da far passare per un invasore alieno, l’Ozymandias del
film live-action innesca una serie di esplosioni nucleari nelle
principali città del mondo e incastra il dottor Manhattan come
colpevole imitando la firma della sua radiazione naturale.
L’effetto è quasi identico a quello dei fumetti: gli Stati Uniti e
l’Unione Sovietica smettono di essere nemici e si rivoltano contro
il dottor Manhattan, anche se a costo di molte vite.
Come nei fumetti, Dr. Manhattan alla
fine capisce la logica del piano di Veidt e accetta il suo nuovo
ruolo, lasciando la Terra, presumibilmente per sempre. Per alcuni,
alterare la fonte della distruzione di Ozymandias è stato solo un
cambiamento superficiale che non ha influito sul tono e sulla
direzione generale del finale originale di
Watchmen e, considerando quanto gli studi
cinematografici amino il lieto fine, è un piccolo miracolo che la
conclusione cupa di Watchmen sia stata mantenuta.
Tuttavia, ciò non ha impedito una
valanga di critiche da parte dei fan dei fumetti che ritenevano che
la presenza del calamaro fosse un elemento integrante del finale di
Watchmen. Al contrario, però, negli ultimi anni i
critici hanno iniziato a oscillare nella direzione opposta,
sostenendo che il finale con il calamaro fosse sempre stato un po’
ridicolo e che le modifiche di Snyder migliorassero effettivamente
il progetto originale di Moore.
Perché entrambi i finali di
Watchmen sono fantastici
Piuttosto che dire che un finale di
Watchmen è migliore dell’altro, forse è più corretto affermare che
sia la versione a fumetti che quella cinematografica sono ideali
per i rispettivi mezzi di comunicazione. Il calamaro psichico di
Moore può sembrare involontariamente esilarante a chi non conosce i
fumetti di Watchmen, ma come minaccia che minaccia di conquistare
il mondo creata da un ex supereroe, è un’aggiunta quasi perfetta. I
fumetti di Watchmen contengono molto più umorismo
nero rispetto al film di Snyder e questo gioca a favore del piano
di Ozymandias.
In modo gloriosamente
autoreferenziale, il cattivo assume un team di artisti per
progettare l’alieno simile a un calamaro e poi usa la sua ricchezza
per renderlo realtà. In quanto racconto ammonitore sui supereroi (e
i fumetti erano molto meno lusinghieri del film in questo senso),
questo finale permette all’opera di commentare sia l’ego gonfiato
degli eroi, sia la natura volubile delle potenze politiche
mondiali. Inoltre, una creatura aliena è molto più efficace sulla
carta di una serie di esplosioni.
Dopo essersi sviluppato gradualmente
nel corso di 12 numeri, Watchmen meritava un
climax adeguatamente drammatico, e una serie di vignette con
esplosioni non avrebbe avuto lo stesso peso sulla carta stampata
come sul grande schermo, dove sono disponibili le dimensioni
aggiuntive del suono e del movimento. Una creatura brillante e
stranamente impressionante, tuttavia, fornisce una minaccia molto
più visiva, suscitando sia sorpresa che disgusto nel lettore.
Per quanto il finale di
Watchmen sia fantastico nei fumetti, semplicemente
non avrebbe funzionato sul grande schermo. La rappresentazione
cruda del mondo di Watchmen da parte di Snyder sarebbe stata
irrimediabilmente danneggiata dall’apparizione di un mostro
ultraterreno nell’atto finale e avrebbe causato un cambiamento
stridente nel tono, soprattutto per chi non sapeva cosa aspettarsi.
Il calamaro avrebbe anche dovuto essere una creazione in CGI e,
anche a distanza di un decennio, i film sui supereroi faticano
ancora a trovare il successo con cattivi finali nati da una massa
di effetti speciali.
Tuttavia, scaricando la colpa sul
Dr. Manhattan, il film Watchmen adotta l’approccio basato sui
personaggi che meglio si adatta ai lungometraggi e richiama le
insicurezze e l’umanità in declino di Manhattan, un tema esplorato
in entrambe le versioni della storia. Incolpare il supereroe per un
crimine che non ha commesso non solo aggiunge ulteriore tragicità
alla sua storia, ma rende anche il piano di Ozymandias più
personale, sfruttando in particolare le abilità di un ex amico e la
paura che circonda la sua stessa esistenza. Si potrebbe forse
sostenere che la versione live-action della cospirazione di
Ozymandias abbia più senso logico rispetto ai fumetti.
In un fumetto è molto più facile
testare i limiti del realismo e della logica e i lettori sono più
disposti a sospendere la loro incredulità. Le trame devono essere
strutturate in modo più rigoroso sullo schermo, tuttavia, e c’è un
senso naturale nel fatto che Veidt utilizzi il potere di Manhattan
per farlo apparire come una minaccia globale, il che richiede meno
preparativi e spiegazioni rispetto al finale del fumetto. Come
noto, però, la serie TV ha infine soddisfatto chi voleva vedere il
calamaro gigante inserendo in un flashback proprio questa
creatura.
Uscito nel 2014 e diretto da Kim Seong-hun,
A Hard Day si colloca come uno dei titoli più
incisivi della
cinematografia sudcoreana contemporanea, nota per la capacità
di mescolare generi con grande abilità narrativa. Il film si
inserisce nel solco del cinema noir coreano, caratterizzato da
tensione, colpi di scena e un’ironia nera che bilancia il lato più
crudo della violenza. In questo contesto, la pellicola dimostra
come la Corea del Sud sappia coniugare intrattenimento e critica
sociale, raccontando storie di corruzione, moralità ambigua e
sopravvivenza in ambienti urbani spietati.
Il
genere action-thriller del film è arricchito da elementi di
commedia nera e suspense psicologica, creando un ritmo serrato che
tiene lo spettatore costantemente sull’orlo dell’ansia.
Protagonista è il poliziotto Ko Gun-su, la cui carriera e vita
privata entrano in collisione quando, per coprire un incidente
mortale, decide di nascondere la verità e affronta una spirale di
situazioni sempre più compromettenti. La narrazione esplora temi
come la colpa, la responsabilità e la doppia morale, mostrando come
scelte apparentemente minime possano avere conseguenze devastanti,
sia sul piano legale che personale.
Acclamato dalla critica, A Hard Day è riuscito a
emergere come uno dei
thriller più originali della Corea del Sud degli ultimi anni,
grazie alla combinazione di sceneggiatura brillante, ritmo
incalzante e regia precisa. La capacità del film di alternare
momenti di tensione a tocchi di ironia lo rende unico nel panorama
internazionale, riuscendo a mantenere viva l’attenzione dello
spettatore fino all’ultima scena. Nel resto dell’articolo verrà
analizzato il finale, con una spiegazione dettagliata delle scelte
narrative e delle implicazioni morali che esso suggerisce.
Lee Sun-kyun in A Hard Day
La trama di A Hard Day
Protagonista del film è il detective Go
Geon-soo (Lee Sun-kyun). Nell’arco
di sole 24 ore, riceve la notizia del divorzio dalla moglie, muore
sua madre, e scopre che lui e i suoi colleghi sono sotto inchiesta
dagli Affari Interni per corruzione. Come se non bastasse, mentre
corre in auto per raggiungere il funerale della madre, investe
accidentalmente un uomo, uccidendolo sul colpo. Preso dal panico e
sotto l’effetto dell’alcol, Geon-soo decide di nascondere il
cadavere nel bagagliaio della sua auto, sfuggendo per un soffio a
una pattuglia della polizia. Una volta giunto al funerale, compie
un gesto estremo, occulta il corpo nella bara della madre
defunta.
La
situazione sembra rientrare, finché Geon-soo non riceve una
misteriosa chiamata. Qualcuno afferma di averlo visto quella notte
e comincia a ricattarlo. L’uomo che lo minaccia è il
tenente Park Chang-min (Cho
Jin-woong), che non solo ha insabbiato l’indagine interna,
ma è anche coinvolto in un gigantesco giro di droga e corruzione.
Con il passare dei giorni, Geon-soo scopre che la vittima
dell’incidente non era un senzatetto qualsiasi, ma un pericoloso
criminale ricercato che aveva rubato la chiave d’accesso a una
cassaforte contenente cocaina rubata e denaro. Park, che lo stava
inseguendo per recuperare la chiave, era il vero responsabile della
sua morte.
La
spiegazione del finale del film
Nel
terzo atto, Ko Gun-su si trova a fronteggiare la crescente
pressione del suo superiore, il tenente Park, che dopo aver chiuso
l’indagine sulla squadra di Ko inizia quindi a ricattarlo per
ottenere il possesso del corpo di Lee, l’uomo investito da Ko
all’inizio del film. Ko riesce a recuperare il corpo e, durante la
ricerca, scopre le ferite da arma da fuoco di Lee. Controllando il
cellulare della vittima, riesce a rintracciare un altro criminale,
che rivela come Park avesse rubato una grande quantità di cocaina
confiscata, con Lee che aveva sottratto la chiave della cassaforte
e tentato la fuga. Questo intreccio mette in luce la rete di
corruzione e inganni che avvolge tutti i personaggi principali.
Lee Sun-kyun nel film A Hard Day
La
tensione raggiunge il culmine quando Ko, ormai determinato a
liberarsi dalle minacce, colloca una carica esplosiva all’interno
del corpo di Lee e la consegna a Park, causando l’esplosione del
furgone del tenente in un lago. Tuttavia, Park sopravvive e
affronta Ko nell’appartamento di quest’ultimo, dove, in un
incidente fortuito, finisce per spararsi da solo mentre cerca di
recuperare la propria arma. La situazione si risolve così con la
scomparsa di Park e la decisione dei vertici della polizia di
coprire gli atti di entrambi per proteggere le proprie reputazioni.
Ko, libero dal ricatto, decide di dimettersi, accedendo infine alla
cassaforte privata di Park e scoprendo una somma di denaro molto
più grande di quanto avesse immaginato.
Il
finale di A Hard Day sottolinea quindi la continua
ambiguità morale che attraversa l’intera pellicola. Ko Gun-su, pur
coinvolto in una serie di atti criminali, emerge come protagonista
che cerca giustizia e sopravvivenza in un ambiente corrotto e
spietato. L’ingegno e la determinazione del protagonista
trasformano la situazione di svantaggio in un’occasione di riscatto
personale, mentre la violenza e l’inganno restano strumenti
inevitabili in un contesto in cui le regole morali e legali sono
costantemente violate.
Per lo spettatore, questo epilogo lascia una riflessione sulla
complessità delle scelte umane e sul confine labile tra giusto e
sbagliato in un mondo governato da corruzione e vendetta. La
capacità di Ko di affrontare ogni ostacolo, trovare soluzioni
ingegnose e infine sottrarre la ricchezza accumulata dal rivale
restituisce una forma di giustizia privata, ma non senza un prezzo,
evidenziando come l’action-thriller possa essere insieme
divertimento e meditazione sulle conseguenze delle proprie
azioni.
Scopri anche il finale di
questi film simili ad A Hard Day:
A
House of Dynamite, il nuovo film della regista premio
Oscar Kathryn Bigelow, che sarà presentato in
concorso alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
della Biennale di Venezia, sarà disponibile in cinema selezionati
dall’8 ottobre e dal 24 ottobre solo su Netflix.
Quando un singolo missile, non attribuito ad alcuna
nazione, viene lanciato contro gli Stati Uniti, ha inizio una corsa
contro il tempo per scoprire i responsabili e decidere come
reagire.
Il cast del film
Il casting è a cura di Susanne Scheel. Il ricco cast
include Idris
Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared
Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram e Jonah
Hauer-King, insieme a Greta Lee e Jason
Clarke. Completano il gruppo Malachi Beasley,
Brian Tee, Brittany O’Grady, Gbenga Akinnagbe, Willa
Fitzgerald, Renée Elise Goldsberry, Kyle Allen e Kaitlyn Dever.
A House of Dynamite è
diretto da Kathryn Bigelow, con una sceneggiatura firmata da Noah
Oppenheim. Il film è prodotto da Greg Shapiro, Bigelow e Oppenheim,
con Brian Bell e Sarah Bremner come produttori esecutivi. Alla
direzione della fotografia c’è Barry Ackroyd, mentre la scenografia
è curata da Jeremy Hindle, anche co-produttore insieme a Sumaiya
Kaveh. I costumi sono affidati a Sarah Edwards, il montaggio a Kirk
Baxter e le musiche a Volker Bertelmann, con il sound design di
Paul N. J. Ottosson.
In “In
The Mud” (titolo originale: “En El Barro”) di
Netflix, un gruppo di cinque donne si
ritrova in una situazione precaria quando un incidente le lega per
sempre. La serie, creata da Sebastián Ortega, segue Gladys Borges,
Marina Delorsi, Olga Giulani, Yael Rubial e Soledad Rodríguez, il
cui viaggio prende una piega inaspettata quando il mezzo che le sta
trasportando in prigione ha un incidente lungo la strada. Tuttavia,
tutte le donne citate escono illese e le autorità le portano in
prigione. Non appena raggiungono il penitenziario di La Quebrada,
si rendono conto che le loro vite non saranno più le stesse e che,
se vogliono sopravvivere, dovranno restare unite e navigare in un
mondo governato da forze potenti. Man mano che la storia procede,
svelano un terrificante mistero nascosto nelle profondità delle
mura del penitenziario, che coinvolge sparizioni inspiegabili.
Mentre cercano di trovare la
persona responsabile di queste sparizioni, Gladys e le altre donne
del gruppo cambiano personalità per integrarsi nella pericolosa
gerarchia della prigione e adottano comportamenti che le aiutano a
guadagnarsi la fiducia delle altre detenute. La narrazione della
serie si concentra principalmente su come queste donne cercano di
adattarsi e capire come salvarsi da situazioni pericolose. Inoltre,
esplora anche temi come il sistema carcerario, la corruzione e il
traffico di esseri umani per arricchire la storia. Mescolando
questi elementi, la serie mantiene la storia con i piedi per terra
e sfuma il confine tra finzione e realtà, dando l’impressione che
tali eventi potrebbero svolgersi al di là dello schermo.
In The Mud è una storia di
fantasia che mostra il sistema carcerario con autenticità
Sebbene la serie sia di fantasia e
sia uno spin-off della serie del 2016 El Marginal, In The Mud
prende molta ispirazione dal funzionamento del sistema carcerario
in tutto il mondo, in particolare in Sud America. La serie mostra
come le donne affrontano condizioni difficili nella prigione di La
Quebrada, dove celle sovraffollate, risorse scarse e la paura
onnipresente della corruzione rispecchiano le esperienze vissute da
migliaia di donne dietro le sbarre. Nella serie, le donne sono in
carcere per diversi reati, come omicidio, tentato rapimento e altro
ancora. Nella realtà, molte di loro stanno scontando una pena per
reati minori legati alla droga. Le statistiche mostrano che paesi
come l’Argentina, il Brasile e l’Ecuador incarcerano tra il 60% e
l’80% delle detenute per tali reati.
C’è stato un aumento significativo
del tasso di incarcerazione femminile in Sud America, soprattutto
in Argentina. Le ragioni principali di questo aumento sono la
povertà, il coinvolgimento in attività illegali e l’esclusione
sociale. Nel frattempo, le carceri femminili violano i diritti
umani, offrono un accesso pericoloso all’assistenza sanitaria e non
forniscono programmi educativi adeguati. Inoltre, la violenza di
genere all’interno delle carceri è un altro elemento fondamentale
della serie, che è stato rappresentato in modo efficace. Un
rapporto del 2024 rivela che molte strutture sottopongono
frequentemente le donne a perquisizioni corporali invasive,
isolamento prolungato e restrizioni senza alcuna valutazione
individuale. Tali pratiche spesso aumentano il rischio di abusi e
violenze. Mettendo in evidenza questi aspetti nella serie, gli
autori hanno voluto mantenere la narrazione realistica e aggiungere
realismo, esplorando al contempo come vivono le donne in condizioni
così sconvolgenti.
Per Sebastián Ortega era molto
importante mostrare come funziona il sistema carcerario in
Argentina e in altri paesi. Per farlo, l’autore ha parlato con
donne che hanno trascorso la loro vita in penitenziari. In
un’intervista,
ha dichiarato: “Ci sono tratti della personalità e motivi di
incarcerazione che sono stati ispirati dalle storie raccontate da
alcune delle donne detenute con cui abbiamo parlato”. Il creatore
ha tratto ispirazione dai racconti di prima mano per dare forma a
personaggi autentici le cui lotte e paure riflettono esperienze
reali. D’altra parte, la serie non si limita a drammatizzare la
lotta delle detenute e le loro condizioni di vita, ma la radica
nella cruda realtà. Questa storia è più di un semplice dramma
carcerario per il creatore della serie.
In The Mud affronta il tema della
tratta di esseri umani
Oltre a concentrarsi sulla vita
delle donne in carcere, “In The Mud” esplora anche il tema della
tratta di esseri umani attraverso i personaggi di Cecilia Moranzón
e del dottor Soriano. Moranzón è la direttrice del penitenziario di
La Quebrada, mentre Soriano lavora come medico della prigione.
Inizialmente, entrambi sembrano lavorare per il miglioramento della
struttura. Tuttavia, le detenute si rendono presto conto che
entrambe queste figure chiave stanno usando il loro potere per
sfruttare le donne, in particolare le giovani madri, per una rete
di traffico che trasforma il carcere in un luogo dove trovare
potenziali vittime. Nella serie, Moranzón sottrae i neonati e i
bambini piccoli alle loro madri e li dà in adozione senza nemmeno
chiedere il permesso ai genitori. Il medico si unisce al suo piano
malvagio, guadagnando un sacco di soldi. Anche se la serie
attribuisce a Moranzón un motivo diverso per gestire un giro di
adozioni illegali, “In The Mud” mostra il Sud America come una
delle regioni più colpite dal traffico di esseri umani.
Nel giugno 2024, un bambino di 5
anni di nome
Loan Danilo Peña è misteriosamente scomparso dalla contea di
Corrientes in Argentina. All’inizio, la sua famiglia credeva che il
bambino fosse solo scappato. Tuttavia, con il passare del tempo, le
autorità investigative si resero conto che il caso poteva essere
collegato al traffico di minori. Perquisirono la zona circostante,
setacciando i campi, ma non trovarono traccia di Loan. Di
conseguenza, non solo le autorità, ma anche la comunità cominciò a
pensare che il bambino potesse essere caduto vittima del mondo
crudele del traffico di minori, dove i bambini vengono strappati
alle loro famiglie e mandati in luoghi lontani prima che i loro
genitori naturali o chiunque altro possa trovarli. Secondo un
rapporto, tra il 2020 e il 2023, un totale di 5.075 persone sono
state liberate dalle reti di traffico di esseri umani.
Secondo Ana Gabiraldi, che
interpreta Gladys Borges nella serie, crimini efferati come il
traffico di esseri umani e il traffico di bambini avvengono nella
vita reale, ed è proprio questo che il titolo intende mettere in
evidenza. In un’intervista, ha
osservato: “Ci sono questi crimini contro i minori e il
traffico di esseri umani. Cosa facciamo? Sì, certo, il traffico di
bambini esiste. Loan è scomparsa e non si è più saputo nulla di
lei. E ce ne saranno molti altri di cui non sappiamo nulla“.
Intrecciando questi parallelismi con il mondo reale nella trama,
”In The Mud” confonde i confini tra realtà e finzione. La serie non
usa il traffico di esseri umani solo come espediente narrativo, ma
rispecchia le inquietanti verità che affliggono le comunità di
tutto il Sud America. Questo approccio non solo aumenta l’impatto
emotivo, ma sensibilizza anche su crimini che spesso rimangono
nascosti.
La serie Netflix esplora le gang
carcerarie con una lente realistica
Quando Gladys e il gruppo entrano
nella prigione di Le Quebrada, si rendono conto che la prigione è
stata divisa in due tribù diverse. Una è guidata da Maria, mentre
l’altra è capeggiata da La Zurda. Tuttavia, le cose cambiano quando
Amparo prende il controllo della banda di Zurda, rendendo la
situazione ancora più terrificante. Queste due tribù sono molto
diverse tra loro e c’è sempre una lotta per il potere e il
controllo, con ciascuna parte che cerca costantemente di affermare
la propria supremazia sulle regole e sulle risorse della prigione.
Quando le cose si fanno difficili, entrambe le fazioni ricorrono
alla violenza, volendo mandare un messaggio chiaro: la supremazia è
la cosa più importante all’interno di una prigione. Questa lotta
costante mostra come operano le vere bande carcerarie, che si
ritagliano territori e impongono i propri codici all’interno delle
mura del penitenziario. Di conseguenza, mette anche in luce come le
fazioni opposte ricorrano alla violenza e instillino paura nelle
menti dei propri avversari.
Le lotte tra due bande rivali sono
una triste realtà delle prigioni e ci sono stati diversi casi in
cui sono scoppiate vere e proprie rivolte all’interno del carcere.
Nel giugno 2023, almeno 46 donne sono morte in una rivolta
scoppiata in un carcere femminile in Honduras. Secondo la BBC, è
scoppiata una rissa tra due bande rivali e la situazione è
degenerata quando una banda ha dato fuoco a una cella per vendetta.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, un
rapporto suggerisce che le gang carcerarie sono prevalentemente
maschili. Tuttavia, circa il 3-10% di queste fazioni è composto da
donne. “In The Mud” traspone questa brutale realtà nella sua
narrazione, utilizzando la rivalità tra due fazioni per riflettere
le divisioni profonde che spesso caratterizzano la vita dietro le
sbarre. La tensione continua e le improvvise esplosioni di violenza
mostrano come le gang carcerarie reali mantengano il potere e il
controllo. La serie non glorifica la violenza, ma la ritrae in modo
tale da convincere tutti che questo è l’unico modo in cui queste
donne possono sopravvivere a La Quebrada. In questo modo, la serie
traccia un parallelo inquietante con eventi reali, ricordando agli
spettatori che tali lotte di potere sono una realtà nelle carceri
di tutto il mondo.
La serie Netflix In The Mud (titolo originale:
“En El Barro”) è la storia avvincente di cinque donne che cercano
di dare un senso alla propria vita in un penitenziario femminile in
Argentina. La serie in lingua spagnola segue le vite di Gladys
Borges (Ana Garibaldi), Marina Delorsi (Valentina Zanere), Yael
Rubial (Carolina Ramírez), Olga Giuliani (Erika de Sautu Riestra) e
Selodad Rodriguez (Camila Peralta), che si ritrovano in una
situazione terrificante durante il loro trasferimento al carcere di
La Quebrada. Tuttavia, una volta entrate tra le mura del carcere,
il loro legame si rafforza mentre si proteggono a vicenda in un
ambiente pronto a distruggerle. Man mano che la loro storia
procede, si trovano faccia a faccia con diverse fazioni che
controllano la struttura e affermano la propria supremazia sulle
altre. Di conseguenza, scoprono che il direttore del carcere sta
portando avanti un piano orribile che sfrutta le detenute. Ora
spetta a Gladys e al gruppo svelare i bizzarri piani del direttore
mentre affrontano le minacce che sorgono all’interno delle mura
dell’istituto di correzione. SPOILER IN ARRIVO.
Cosa succede in In The Mud
La serie inizia con la polizia che
cattura sette donne per diversi crimini. La polizia sta portando
queste sette donne alla prigione di La Quebrada, dove sconteranno
le rispettive pene. Le donne – Gladys Borges, Olga Giulani, Marina
Delorsi, Amparo Vilches (Ana Rujas), Yael Rubial, Romina Duarte e
Soledad Rodriguez – salgono sul furgone e iniziano a riflettere sul
perché si trovano in una situazione del genere. Tuttavia, le cose
prendono una piega drammatica quando un gruppo di aggressori tende
un’imboscata al furgone, facendolo cadere in uno specchio d’acqua.
Gli assalitori tornano su un gommone e aprono la porta posteriore
del furgone. Ben presto, tutti si rendono conto che il gruppo è
guidato dal fidanzato di Amparo, che vuole tirarla fuori dal
veicolo della prigione. Ci riesce, mentre le altre donne cercano di
salvarsi mentre il furgone affonda lentamente nell’acqua torbida.
Fortunatamente, Gladys riesce a prendere le chiavi delle manette e
inizia a liberare le donne in modo che possano nuotare fuori
dall’acqua. Gladys riesce a salvare quattro donne e cerca di
salvare anche Romina, ma non riesce ad aprire le sue manette in
tempo. Di conseguenza, Romina muore. Tutte le donne rimaste
riescono in qualche modo a raggiungere la riva e la polizia le
porta in prigione.
Quando arrivano nel penitenziario,
capiscono che dovranno restare unite e aiutarsi a vicenda per
sopravvivere. Nessuna di queste donne è mai stata in prigione e
proviene da contesti sociali diversi. Tuttavia, Gladys conosce il
mondo criminale perché è la moglie di Marito Borges, un famoso
criminale argentino, e ha un’idea di come affrontare questa fase
della sua vita. Tuttavia, il gruppo scopre che la prigione è
controllata da due fazioni, entrambe desiderose di affermare il
proprio dominio sulle risorse della prigione. Maria è a capo di una
fazione e Zurda dell’altra. Maria e Zurda sono vicine alla
direttrice della prigione, Cecilia Moranzón (Rita Cortese), ed è
per questo che i loro gruppi ottengono la maggior parte delle
risorse. Tuttavia, quando Maria scopre che sua nipote, Romina, è
morta nell’incidente del furgone della prigione, decide di dare una
lezione a Gladys e al gruppo.
Nel frattempo, Zurda e il suo
gruppo producono contenuti per adulti all’interno della prigione,
il che dà loro la possibilità di usare telefoni e wi-fi. Mentre il
gruppo continua il suo viaggio, incontra situazioni pericolose
mentre cerca di inserirsi nella gerarchia della prigione. Nel
frattempo, la direttrice della prigione sta orchestrando un piano
mortale all’interno delle mura della prigione, sfruttando giovani
madri incinte come parte della sua operazione contorta. Altrove, la
polizia finalmente cattura Amparo e la porta a La Quebrada dopo
aver ucciso il suo fidanzato. Il suo arrivo in prigione sconvolge
tutto e Maria sente che Amparo deve morire, incolpandola della
catena di eventi che ha portato alla morte di sua nipote. Nel
frattempo, Zurda promette di tenere in vita Amparo perché il suo
compagno conosceva Cuervo. Alla fine della stagione, Maria chiede
l’aiuto di Gladys per eliminare Amparo. D’altra parte, Gladys viene
a conoscenza del complotto della direttrice e vuole smascherarla.
Man mano che la situazione diventa sempre più pericolosa, il gruppo
deve trovare un modo per proteggersi e stare un passo avanti ai
propri nemici. Devono decidere di chi possono fidarsi prima che
accada qualcosa di terribile.
Il finale di In The Mud: Moranzón
e Soriano sono stati arrestati per traffico di esseri umani?
Anche se la storia si concentra
principalmente su Gladys e sul gruppo che arriva in prigione dopo
l’incidente, esplora anche un terrificante piano orchestrato dalla
direttrice della prigione, Cecilia Moranzón. La prigione è divisa
in tre parti, una delle quali è l’ala familiare. In quell’ala, le
madri giovani e anziane possono vivere con i propri figli. Inoltre,
le future mamme condividono lo spazio in attesa di partorire.
Moranzón porta le future mamme a una bella cena, dicendo loro come
dovrebbero prendersi cura di sé stesse e mostrando loro affetto.
Tuttavia, si scopre che lei approfitta di queste giovani madri e dà
i loro bambini a coppie benestanti desiderose di avere un figlio.
Ma lei non è sola in questo piano; anche il medico della prigione,
Soriano, fa parte di questo complotto. Incredibilmente, le autorità
non dicono mai alle madri cosa è successo ai loro bambini;
sostengono invece che la salute del bambino è delicata e che un
team di medici si sta prendendo cura del piccolo.
In realtà, i bambini non tornano
mai dalle loro madri. I suoi piani vengono alla luce quando due
nuove madri, Noelia e Patricia, muoiono durante il parto. Prima di
partorire, Noelia diventa paranoica e non vuole avere il bambino.
Sente che “loro” (Moranzón e Soriano) le porteranno via il bambino.
Tuttavia, le sue condizioni peggiorano e deve partorire. Dopo il
parto, Moranzón prende il bambino con sé, lasciando la madre in
grande angoscia. Pochi istanti dopo, quando Noelia apre gli occhi,
litiga con Soriano e rivela che lui l’ha violentata. Inoltre, lo
accusa di aver fatto esattamente ciò che aveva pianificato. Per
calmarla, le fa un’iniezione. Tuttavia, Noelia muore, creando
ulteriori problemi al direttore della prigione. Nel frattempo, il
governatore Faccia convoca la direttrice della prigione nel suo
ufficio e la affronta riguardo al traffico illegale di adozioni.
Tuttavia, le promette che non verrà fuori nulla se lei aiuterà lui
e sua moglie ad adottare un bambino di una delle detenute.
Nel frattempo, Sergio Antin, che
conosce Gladys e odia Moranzón, vuole l’aiuto di Gladys per
smascherare il direttore della prigione. Antin lavora per il
governo e vuole diventare il prossimo commissario di pubblica
sicurezza di Buenos Aires. Tuttavia, Moranzón sta cercando di
diventare lo stesso, e se lei aiuta Faccia con l’adozione,
diventerà il nuovo ufficiale di pubblica sicurezza. Mentre cerca di
raccogliere prove contro Moranzón, Gladys entra nel suo ufficio e
prende i fascicoli delle madri a cui Moranzón ha portato via i
figli. Tuttavia, vengono scoperti da Alan, l’agente penitenziario.
Lei gli racconta del complotto e gli mostra un fascicolo che prova
che sua madre naturale è stata costretta a darlo in adozione. Alan
sostiene Gladys e chiede alla sua madre adottiva la stessa cosa.
Lei non esita a dirgli la verità, così tutti i documenti finiscono
nelle mani di Antin. Lui affronta Faccia riguardo alla cospirazione
e lo minaccia, avvertendolo che rivelerà come anche Faccia abbia
ricevuto aiuto da Moranzón.
Dopo aver sentito questo, Faccia
ordina di arrestare Moranzón e il suo complice, Soriano, con
l’accusa di traffico di esseri umani e gestione di un giro di
adozioni illegali. La direttrice della prigione ritiene di non aver
fatto nulla di male perché non ha mai voluto che i neonati
trascorressero la loro vita in prigione. Quando era più giovane, ha
aiutato una madre a ottenere la custodia di suo figlio. Ha detto
alle autorità che la madre del bambino era sobria da due anni e
che, secondo questa logica, il bambino avrebbe dovuto stare con
lei. Tuttavia, la madre continua a essere tossicodipendente e il
bambino muore. Questo particolare incidente l’ha sconvolta e le ha
fatto capire che i bambini non devono stare con genitori
problematici o criminali. Sebbene creda che le sue intenzioni
fossero per la sicurezza dei bambini, le sue azioni hanno superato
il limite morale, trasformando le sue buone intenzioni in
sfruttamento. Allontanando questi bambini dalle loro madri senza il
loro consenso, li priva dei loro diritti e crea un sistema basato
sulla paura e sul controllo. In definitiva, la sua prospettiva
rivela un pericoloso mix di protezione malintesa e abuso di
potere.
Chi ha ucciso Amparo?
La storia di “In The Mud” inizia
con Amparo che esce dal furgone della prigione con l’aiuto del suo
ragazzo. Tuttavia, non aiuta le altre donne presenti nel veicolo e
le lascia morire nel furgone che sta affondando. Fortunatamente,
cinque delle sei donne rimaste riescono a fuggire illese dalla
situazione pericolosa. Mentre tutte e cinque le donne vengono
portate in prigione, Amparo sembra godersi la vita con il suo
fidanzato, Cuervo. Sono entrambi criminali e fanno parte di una
banda. Ben presto, Amparo scopre di essere incinta e non vede l’ora
di dare la buona notizia al suo compagno. Tuttavia, la polizia fa
irruzione nel luogo in cui vivono e uccide Cuervo prima di portarla
a La Quebrada. Entra in prigione, ma non rivela di essere incinta.
Maria scopre che Romina è annegata a causa di Amparo e vuole farla
fuori. Di conseguenza, chiede aiuto a Gladys. La moglie di Marito
Borges ne parla con Antin e gli dice che lo aiuterà solo se lui
aiuterà lei. Escogitano un piano per assumere una ragazza
dall’esterno per uccidere Amparo.
La ragazza riesce a entrare nella
prigione, ma Gladys sa che non sarà facile uccidere Amparo perché
Zurda la protegge. Quindi, creano un diversivo per isolarla. La
ragazza mandata per uccidere la detenuta finalmente la trova e la
attacca. Ma prima che possa fare qualcosa di concreto, Amparo la
uccide. Questo incidente le fa capire che Zurda potrebbe stare
giocando con lei e vuole la sua morte. Mentre Amparo, conosciuta
anche come La Galiziana, continua a scalare la gerarchia
carceraria, subisce un aborto spontaneo. Ora, non avendo più nulla
da perdere, decide di diventare invincibile e inizia il suo
percorso dando una lezione a Maria. La mette alle strette e compra
uno dei soci di Maria, con l’intenzione di ucciderla e di farne un
esempio. Alla fine, Amparo uccide Maria. Di conseguenza, prende il
controllo del blocco di Zurda, afferma la sua autorità e si afferma
rapidamente come una forza inamovibile. Dopo la morte di Maria,
Gladys prende il suo posto e fa un piano per avvelenare la pelle di
Amparo con l’aiuto di Olga, che lavorava come chirurgo estetico nel
mondo esterno.
Le guardie carcerarie portano
Amparo in infermeria e le dicono che Soriano ha dato loro l’ordine
di portarla lì. Le somministreranno una flebo sottocutanea. Olga
aiuta il personale medico e insieme somministrano il liquido ad
Amparo. Tuttavia, la sua pelle inizia a diventare strana e lei
capisce chi le ha fatto questo. Così, Amparo e il suo gruppo
catturano Olga per punirla. Come punizione, Amparo ferisce l’occhio
della chirurgo plastico, inviando un messaggio agghiacciante alle
sue avversarie. Ora crede che sia giunto il momento di eliminare
Gladys e porre fine a tutto questo una volta per tutte. Mentre
mangia nella sala da pranzo dei detenuti, la galiziana dice a uno
dei suoi sostenitori di spegnere l’elettricità in modo da poter
uccidere Gladys. Non appena la luce si spegne, la sala da pranzo si
trasforma in un’arena di combattimento e Amparo attacca la sua
avversaria. Riesce a ferire Gladys alla gamba sinistra e alla
schiena prima di sferrarle dei pugni brutali.
Tuttavia, Gladys non si arrende e
la combatte con la stessa determinazione. Riesce a metterla al
tappeto e la prende a pugni prima di trascinare il suo corpo fuori
dalla sala da pranzo. Antin vede la scena, ma non dice nulla.
Sconfiggendo la galiziana, Gladys capisce di aver finalmente preso
il sopravvento. Sente il peso di ogni combattimento e di ogni
alleato che l’ha aiutata. Nonostante il caos che la circonda, non
ha perso la concentrazione, rifiutandosi di lasciarsi controllare
dalla paura. In quel momento, Gladys capisce il vero costo della
sopravvivenza in prigione ed è pronta a fare tutto il necessario
per proteggere se stessa e gli altri.
Yael Rubial ha dato sua figlia in
adozione?
Delle cinque donne sopravvissute
all’incidente del furgone, solo Yael si è trasferita nell’ala
riservata alle famiglie perché ha una figlia. Ha chiesto
ufficialmente alla direttrice della prigione, Cecilia Moranzón, di
portarle sua figlia in prigione. Dopo una lunga attesa, la figlia
di Yael, Brisa, arriva finalmente in prigione e lei inizia a
trascorrere del tempo con lei. Nel frattempo, il governatore Faccia
e sua moglie Eugenia sono seduti nello studio del medico. Ricevono
la notizia che se provassero di nuovo la fecondazione in vitro,
potrebbe essere pericoloso per la moglie del governatore. Dopo la
visita in clinica, il governatore e sua moglie visitano La Quebrada
per vedere l’ala familiare. Eugenia incontra Brisa e inizia a
legare con lei. La moglie del governatore ha apprezzato Brisa e
vuole passare più tempo con lei. Di conseguenza, le manda dei
regali. Inoltre, Eugenia chiede di vedere Brisa e di portarla fuori
per qualche ora.
Yael accetta e sua figlia trascorre
la giornata con la moglie del governatore. Qualche giorno dopo,
Eugenia chiede di trascorrere il fine settimana con Brisa. Anche se
Yael non voleva, alla fine accetta la richiesta e la bambina
trascorre il fine settimana con lei. Quando Faccia viene a sapere
del giro di adozioni illegali di Moranzón, la ricatta, chiedendole
di aiutare lui e sua moglie ad adottare ufficialmente Brisa. Il
medico della prigione dice che non sarà facile, ma il governatore
sa che lei può portare a termine il compito. Dopo aver trascorso il
fine settimana con Eugenia, Yael nota un cambiamento nel
comportamento di sua figlia, che sembra apprezzare il tempo
trascorso con Eugenia. Da un’altra parte, Moranzón parla con Yael
dell’adozione e le dice che Faccia e sua moglie possono dare una
vita migliore a sua figlia. Lei si rifiuta di firmare i documenti
per l’adozione. La salute di Brisa ha iniziato a peggiorare a causa
della permanenza in prigione e Faccia è arrivato per portarla in
ospedale. Tuttavia, Yael non sapeva che il direttore della prigione
aveva pianificato tutto e voleva che Yael firmasse i documenti per
l’adozione.
Yael sviene e Soriano la porta in
isolamento. Lui e Moranzón progettano di far sparire la madre di
Brisa prima di falsificare la sua firma sui documenti. Quando Antin
viene a sapere del giro di adozioni illegali e del coinvolgimento
di Faccia, minaccia il governatore di rivelare l’intero piano. Dopo
che le autorità arrestano Moranzón e Soriano, la figlia di Yael
torna da lei. Tuttavia, si rende conto che la prigione non è il
posto dove vuole crescerla. Incontra Eugenia, che le dice che sta
divorziando da Faccia dopo aver saputo cosa ha fatto a Yael.
Tuttavia, firmando i documenti per l’adozione, Yael chiede
formalmente a Eugenia di adottare Brisa. Alla fine, Yael mette da
parte i propri bisogni per proteggere il futuro di sua figlia,
sapendo che la prigione non è un posto per una bambina. Sopporta la
paura e il dolore per garantire la sicurezza di Brisa. Chiedendo a
Eugenia di adottarla, dà a Brisa la possibilità di avere una vita
normale e amorevole. Il sacrificio di Yael dimostra che il suo
amore è più forte delle sue difficoltà.
Marina esce di prigione?
Oltre a concentrarsi su Gladys e
Yael, “In The Mud” racconta anche la storia di Marina con grande
profondità. Marina entra in prigione dopo aver presumibilmente
ucciso il suo fidanzato, Martin. Un difensore d’ufficio sta
combattendo il suo caso e ha presentato ricorso per il suo
rilascio. Tuttavia, il tribunale respinge il ricorso perché la
famiglia del fidanzato è ricca e ha agganci. In prigione, incontra
Coca, che le dice che le presenterà un avvocato amico che può
aiutarla. Durante l’udienza, incontra la sua avvocatessa, Luna
Lunati, che le chiede se sta bene. All’udienza, il fratello del
fidanzato, Dario, testimonia e dice alla corte che Marina e lui
erano innamorati. Quando Luna incontra Marina dopo l’udienza, le
chiede di dirle la verità. Lei rivela che Martin era violento e
aveva una relazione strana con suo fratello. Condividevano tutto,
compresa Marina. Luna le dà una pen drive con le registrazioni
fatte a casa di Martin.
Dopo averle viste, Marina capisce
che entrambi i fratelli la registravano ogni volta che facevano
sesso. Ciò significa che Martin registrava Dario e Marina mentre
facevano sesso, mentre Martin registrava la sua ragazza e Dario
mentre facevano sesso, dimostrando che entrambi lavoravano insieme.
Tuttavia, Dario provava dei sentimenti per lei e ogni volta che
Martin le faceva del male, diceva a suo fratello che era
preoccupato per la sua salute. Nel frattempo, Luna raccoglie le
registrazioni delle telecamere a circuito chiuso della casa di
Martin e scopre che mancano alcune prove cruciali. Controlla e
scopre che la prova fondamentale è in possesso dell’ex avvocato di
Marina, Zarate. L’avvocatessa chiede aiuto a un amico, Miguel, per
recuperare la pen drive. Alla fine lui riesce a impossessarsi della
pen drive e raggiunge il tribunale. Luna dice ai giudici che ha una
prova cruciale che dimostrerebbe l’innocenza del suo cliente. I
giudici le permettono di mostrare un video della notte in cui
Martin è stato ucciso, sperando che riveli la verità.
Il video mostra che Dario era
presente in casa quando è avvenuto l’omicidio e che, quando ha
visto suo fratello maltrattare Marina, è arrivato da dietro e lo ha
ucciso. Di conseguenza, i giudici stabiliscono che le prove video
dimostrano che Dario potrebbe essere l’assassino e decidono di
riesaminare il caso. Così, Marina viene nuovamente incriminata e
finalmente esce di prigione. Grazie alle prove video decisive che
rivelano la verità, Marina ottiene finalmente la libertà dopo una
lunga e straziante prova. La libertà non significa solo lasciarsi
la prigione alle spalle, ma anche la possibilità di vivere senza
paura e a testa alta. Ogni passo fuori le ricorda la resilienza e
la forza che le sono servite per sopravvivere.
La serie NetflixHostage si è conclusa
con un breve salto temporale, che ha suggerito cosa sarebbe
successo in seguito alla prima ministra Abigail Dalton, a suo
marito, il dottor Alex Anderson, e alla loro figlia Sylvie. Il
thriller politico inizia con il rapimento del dottor Alex Anderson
nella Guyana francese. I rapitori hanno chiesto ad Abigail di
dimettersi dalla carica di prima ministra, altrimenti Alex e i suoi
colleghi prigionieri sarebbero stati uccisi.
Abigail ha chiesto aiuto alla
presidente francese Vivienne Toussaint, che si trovava nel Regno
Unito per negoziare con il primo ministro riguardo alla crisi
sanitaria britannica. Vivienne ha inizialmente accettato di
lanciare una missione di salvataggio in Guyana francese. Tuttavia,
ha annullato tutto quando i rapitori di Alex le hanno inviato un
messaggio minacciando di rivelare lo scandalo sessuale della
presidente con il suo figliastro, Matteo.
Diventa subito chiaro che i
rapitori di Alex intendono mettere la presidente francese e il
primo ministro inglese l’uno contro l’altra, e per un certo periodo
funziona. Solo quando le due donne scelgono la strada dell’onestà
riescono a mettere Alex in salvo. Il suo rapitore viene
identificato come il capitano John Michael Shagan, che, senza i
suoi ostaggi, ricorre ad altri mezzi per ferire Abigail Dalton.
Shagan è riuscito a fomentare un
colpo di stato politico a Downing Street in Hostage di Netflix, e
Abigail è stata destituita dalla sua carica di primo ministro. Ma
questo non basta a Shagan. Anche se costringere Abigail a lasciare
la sua carica era solo il primo passo, lui la voleva morta. Così ha
fatto esplodere una bomba a Downing Street. Il presidente Toussaint
è rimasto ucciso, ma Abigail è sopravvissuta. Così, Shagan ha
nuovamente preso in ostaggio la famiglia dell’ex primo
ministro.
Sylvie ha ucciso Shagan in
Hostage
Cosa significa la vendetta
finale di Shagan per Sylvie e Abigail
Mentre Abigail affrontava il vero
mandante del rapimento di suo marito in Hostage (ne
parleremo più avanti), Shagan si è diretto al rifugio dove si
nascondevano Alex, Sylvie e Matteo. Quando si rese conto che
Abigail non era con loro, Shagan prese nuovamente in ostaggio la
sua famiglia, chiedendo che lei si presentasse da sola o Alex e
Sylvie sarebbero morti.
Sylvie è riuscita a procurarsi una
pistola ed è entrata nella stanza dove Abigail e Alex stavano
lottando con Shagan. Ha puntato la pistola contro il loro rapitore,
ma Abigail ha implorato sua figlia di non sparare. Curiosamente, la
missione di Shagan è passata dall’uccidere Abigail a spingere
Sylvie a sparargli. Ha detto alla ragazza che era lui il
responsabile della morte di suo nonno, e questo è bastato. Sylvie
sparò e uccise Shagan.
Questo è il momento culminante del
finale di Hostage. Abigail e la sua famiglia erano al
sicuro, ma Shagan aveva comunque ottenuto la sua vendetta sul Primo
Ministro in modo significativo. Lo sappiamo grazie alla sua
conversazione con Alex all’inizio dell’episodio 5 di
Hostage, quando menzionò il prezzo che l’omicidio fa pagare
a una persona. Sylvie non sarebbe mai più stata la stessa, e tutti
lo sapevano.
Le decisioni di Abigail in Hostage
ruotavano attorno alla scelta se dare la priorità al lavoro o alla
famiglia. Anche se per un po’ sembrava che potesse avere entrambe
le cose, alla fine non è stato così. Sylvie ha pagato il prezzo e,
anche se alla fine di Hostage vediamo che sta bene, sappiamo che
c’è una ferita che non guarirà mai completamente.
Spiegazione del salto temporale
in Hostage: Abigail Dalton è ancora primo ministro?
Sebbene Abigail avrebbe potuto
dimettersi dalla carica di primo ministro per salvare suo marito
all’inizio di Hostage, lei rifiutò. Non si trattava
semplicemente di mantenere il potere. Abigail aveva capito che
Shagan stava manipolando la democrazia. Il popolo britannico aveva
votato Abigail come primo ministro. Se lei si fosse dimessa,
avrebbe dimostrato che chiunque può ignorare la volontà del
popolo.
Sebbene Shagan sia riuscito a
mettere il popolo, compreso il gabinetto di Abigail, contro di lei,
una volta svelato il complotto, la situazione non è durata a lungo.
Dan Ogilvy si è gentilmente fatto da parte, consentendo alla sua
legittima predecessora di tornare al suo posto. Quindi, alla fine
di Hostage, Abigail è ancora il primo ministro britannico.
Tuttavia, seguendo l’esempio di Vivienne Toussaint, Abigail ha
rimesso il suo destino nelle mani del popolo.
Il salto temporale di tre mesi alla
fine di Hostage ha visto Abigail condividere un momento
d’amore con la sua famiglia prima di uscire da Downing Street e
annunciare che avrebbe indetto le elezioni generali. Dopo tutto
quello che era successo, il popolo avrebbe avuto la possibilità di
votare nuovamente il proprio primo ministro. È un segno che,
nonostante il costo per la sua famiglia, Abigail ha difeso il
potere della democrazia.
Chi c’era davvero dietro il
rapimento del dottor Alex Anderson in Hostage
Una volta identificato Shagan,
Abigail non ha impiegato molto a capire per chi lavorasse
quell’uomo. Doveva esserci qualcuno con più influenza all’interno
del governo a tirare le fila, e il generale Livingston, che era
stato il comandante di Shagan, era il candidato più plausibile.
Quando Abigail ha affrontato l’uomo, lui ha involontariamente
ammesso i suoi crimini menzionando il laptop esploso, cosa che non
avrebbe potuto sapere altrimenti.
Abigail e la sua squadra hanno
capito che la vendetta di Livingson e Shagan contro di lei doveva
avere qualcosa a che fare con l’incidente del 2018 in Belize. Gli
uomini erano di stanza lì quando l’esercito guatemalteco invase il
paese e Abigail, all’epoca viceministro degli Esteri, ordinò alle
truppe britanniche di evacuare. Ciò significava abbandonare i
civili che li avevano aiutati.
Prima di morire, Shagan rivelò che
la sua fidanzata era un’interprete locale che aveva aiutato la sua
squadra. Era incinta di sei mesi della figlia di Shagan quando i
guatemaltechi la giustiziarono sulla pista dell’aeroporto.
Ci sarà una seconda stagione di
Hostage?
Hostage è una serie
limitata, quindi è pensata per essere una storia a sé stante. Il
finale è soddisfacente e dimostra le perdite che Abigail ha
inevitabilmente dovuto subire sia nella sua carriera che nella sua
vita familiare nel suo impegno come funzionaria pubblica. Tuttavia,
c’è senza dubbio altro da esplorare se Netflix decidesse di
cambiare il formato di Hostage.
Sarebbe interessante vedere l’esito
delle elezioni generali indette da Abigail nel finale di
Hostage. Inoltre, sarebbe interessante vedere l’impatto
delle azioni di Sylvie. Non è insolito che Netflix prolunghi una
storia inizialmente concepita come una serie limitata. Se
Hostage continuerà ad avere successo sulla
piattaforma di streaming, potremmo sicuramente aspettarci altri
episodi.
Una nuova immagine della terza
stagione di Trackerrivela il ritorno di Jensen Ackles nei panni di Russell Shaw.
Ackles sta portando avanti diversi progetti. L’attore, molto amato
dai fan, che ha raggiunto la fama interpretando Dean Winchester in
Supernatural, tornerà per la quinta e ultima stagione di
The
Boys. Reciterà anche nello spin-off di The Boys,
Vought Rising, nel ruolo di Soldier Boy, oltre a essere il
protagonista dell’action drama Countdown.
Ma oltre al suo lavoro nelle tre
diverse serie Prime Video, è stato confermato che Ackles
tornerà alla CBS per riprendere il ruolo di Russell Shaw nella
terza stagione di Tracker. Nel ruolo del fratello
maggiore di Colter Shaw, interpretato da Justin Hartley, Russell
dovrà affrontare alcune rivelazioni importanti.
TVLine ha rivelato la prima immagine di Ackles
nei panni di Russell nella terza stagione di Tracker.
Insieme alla foto, inclusa qui sotto, che mostra i fratelli Shaw in
piedi insieme, è stato confermato che Ackles apparirà in entrambe
le parti della premiere della terza stagione:
Cosa significa questo per la terza stagione di
Tracker
Russell, che finora è apparso in
due episodi di Tracker, uno per ogni stagione. La sua
prossima apparizione, secondo la trama della premiere, sarà
incentrata su Russell e Colter che uniscono le forze per aiutare
Reenie (Fiona Rene) a ritrovare la moglie e la figlia scomparse di
un cliente. Tuttavia, la riunione fraterna li coinvolge in una
sinistra operazione clandestina nota come The Process.
La terza stagione di Tracker
debutterà domenica 19 ottobre alle 20:00 ET sulla CBS, con il
secondo episodio in onda una settimana dopo nella stessa fascia
oraria.
Il ritorno di Ackles nella serie
crime di successo arriva dopo il
finale della seconda stagione di Tracker, che rivela che
è stata la madre di Colter, Mary Dove Shaw (Wendy Crewson), a
organizzare l’omicidio di suo padre, l’apparentemente paranoico
Ashton Shaw (Lee Tergesen). Se questa è tutta la verità,
considerando che Colter lo apprende da un killer glorificato, ciò
potrebbe cambiare tutto.
Suscita anche ulteriori domande perché, all’inizio della serie,
Mary ha cercato di mettere zizzania tra i fratelli Shaw. C’è poi la
questione più ampia del perché lei volesse rovinare il rapporto tra
i fratelli, che sono riusciti a ricucire i rapporti, e perché
volesse la morte del marito.
Divisa tra cinema e televisione,
l’attrice Kelly Reilly ha negli anni costruito la
propria carriera recitando in alcuni celebri titoli, dando prova di
versatilità e carisma. Attualmente impegnata sul piccolo schermo,
la Reilly è oggi apprezzata per il suo ruolo di Beth Dutton nella
serie Yellowstone,
grazie alla quale ha ottenuto nuova popolarità.
Ecco 10 cose che non sai su
Kelly Reilly.
Kelly Reilly: i suoi film e le
serie TV
10. Ha recitato in celebri
lungometraggi. L’attrice esordisce sul grande schermo con
il film Maybe Baby (2000),
con Hugh Laurie, per poi recitare in titoli come The Libertine (2004), con Johnny
Depp, Orgoglio e pregiudizio (2005), con
Keira
Knightley e Matthew
Macfadyen,Bambole russe (2005), Lady Henderson presenta (2005), Me and Orson Welles (2008), Sherlock
Holmes (2009), con Robert Downey Jr., Ti presento un amico (2010), con Raoul
Bova, Sherlock Holmes –
Gioco di ombre (2011), Flight (2012),
Rompicapo a New York
(2013), Calvario (2014), e
Bastille Day – Il colpo del
secolo (2016), con Idris
Elba. Negli anni successivi prende parte a
Eli (2019) e soprattutto a
Eden (2024) di Ron Howard, presentato
al Toronto International Film Festival e al Torino Film Festival.
Nel 2025 sarà tra i protagonisti di Promised Land, un thriller politico ambientato a
Washington, confermando la sua presenza anche in produzioni di
respiro internazionale.
9. Ha preso parte a
produzioni televisive. Nel corso della sua carriera
sono molti i titoli televisivi a cui l’attrice ha preso parte, ma
tra i più significativi si annoverano le serie Above Suspicion (2009-2012),
Black
Box (2014) e True Detective
(2015), dove ha recitato nella seconda stagione nel ruolo di Jordan
Semyon accanto a Colin Farrell e Vince Vaughn. Successivamente
recita in Britannia (2017-2018),
mentre dal 2018 interpreta Beth Dutton in Yellowstone, accanto a Kevin
Costner, ruolo che le ha regalato popolarità
internazionale e numerose candidature ai premi televisivi. Nel 2023
è stata annunciata la sua partecipazione allo
spin-off Yellowstone:
2024, che proseguirà la saga dei Dutton, consolidando
ulteriormente il suo legame con l’universo creato da Taylor
Sheridan.
8. Ha prodotto una serie
TV. In un’occasione la Reilly ha ricoperto anche il ruolo
di produttrice per una serie di cui è stata protagonista. Si tratta
di Black Box, dove
l’attrice interpreta la neuroscienziata Catherine Black, una donna
affetta da disturbi neurologici e costretta a nascondere numerosi
segreti. Composta di soli 13 episodi, la serie è andata in onda nel
2014. Da allora la Reilly si è concentrata soprattutto sulla
carriera d’attrice, ma il suo impegno dietro le quinte in
Black Box resta un
segnale della sua versatilità e capacità di spaziare anche nel
campo produttivo.
Kelly Reilly è su Instagram
7. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 78,3 mila persone. All’interno
di questo la Reilly è solita condividere fotografie scattate
durante i set a cui prende parte, come anche immagini promozionali
dei suoi progetti recenti o imminenti. Non mancano ovviamente anche
foto ritraenti momenti di svago o curiosità a lei legate.
Kelly Reilly in Flight
6. Ha ottenuto il ruolo
grazie ad un provino molto convincente. Protagonista
femminile del film Flight, dove ha una relazione con il
personaggio interpretato da Denzel
Washington, la Reilly fu scelta dopo che ebbe inviato
un video provino alla direttrice del casting. Questa rimase
particolarmente sorpresa dalla capacità della Reilly di rendere
umano un personaggio tossicodipendente, e dopo averla mostrata al
regista, questi la confermò per il ruolo.
Kelly Reilly in True
Detective
5. Aveva sostenuto il
provino per un altro ruolo. Per la seconda stagione della
serie antologica True Detective, l’attrice aveva
inizialmente sostenuto il provino per il personaggio della
detective Antigone Bezzerides, andato poi all’attrice Rachel
McAdams. Colpiti dalla performance della Reilly, però,
i produttori decisero di assegnarle il ruolo di Jordan Semyon,
rientrate sempre tra i personaggi principali della stagione.
Kelly Reilly in Britannia
4. Ha interpretato una
guerriera. Nella prima stagione della serie
Britannia, ambientata nel 43 d.C., durante la guerra tra
l’esercito romano e i guerrieri della Britannia, l’attrice ha dato
vita al personaggio di Kerra, figlia del re e disposta a guidare il
proprio popolo in battaglia pur di salvare la propria terra.
3. Le ha permesso di
sperimentare cose nuove. Assumere i panni della guerriera
Kerra, ha permesso all’attrice, come da lei dichiarato, di
cimentarsi in cose nuove, che mai prima nella sua carriera aveva
avuto modo di fare. Tra questi vi sono i sanguinosi combattimenti,
come anche la possibilità di recitare in lingue diverse da quella
che le è propria.
Kelly Reilly in Yellowstone
2. Era attratta dalla forza
del suo personaggio. Nell’assumere il ruolo di Beth
Dutton, figlia del protagonista, la Reilly si è dichiarata
particolarmente entusiasta nel poter dar vita ad un personaggio
femminile caratterialmente così forte, come se ne vedono pochi. Tra
i principali elementi che rendono Beth particolarmente predominante
nel confronto con gli altri protagonisti vi è la sua acuta
intelligenza.
Kelly Reilly: età e altezza
1. Kelly Reilly è nata a
Surrey, in Inghilterra, il 18 luglio 1977. L’attrice è
alta complessivamente 168 centimetri.
Lo spin-off di Yellowstone
dedicato a Beth e Rip ha ingaggiato un attore
candidato cinque volte all’Oscar per interpretare il ruolo
principale dell’attesissimo spin-off. Anche se la serie principale
Yellowstone è terminata senza troppo
clamore, l’universo dello show continuerà.
Il Dutton Ranch, casa di Beth
Dutton (Kelly Reilly) e Rip Wheeler (Cole
Hauser), sarà al centro di tempi difficili e di una dura
competizione, Beth e Rip faranno tutto il necessario per
sopravvivere, assicurandosi che Carter (Finn
Little) diventi l’uomo che è destinato a essere.
Deadline conferma che Annette Bening è stata scritturata per il
prossimo spin-off su Beth e Rip. La cinque volte candidata
all’Oscar interpreterà Beulah Jackson, la potente, astuta e
affascinante proprietaria di un importante ranch in Texas.
Dopo l’enorme successo della serie
su Netflix, Jake Weary, protagonista di
Animal Kingdom, ha parlato della possibilità di
tornare per uno spin-off del crime drama. Tutte le stagioni di
Animal Kingdom sono attualmente disponibili su
Netflix e raccontano la storia della famiglia Cody
e delle attività criminali che intraprende per fare soldi. La serie
ha un finale definitivo, ma c’è spazio per altro.
In un’intervista a TV Insider, Weary, che ha interpretato Deran Cody in
tutte e sei le stagioni, ha parlato della possibilità di tornare
per uno spin-off di Animal Kingdom. L’attore ha detto che
se il produttore esecutivo John Wells gli proponesse una
sceneggiatura per un sequel, lui sarebbe pronto a partecipare.
Ha anche lanciato un’idea per la trama dello spin-off:
Sono un grande fan del
[produttore esecutivo] John Wells. E se mi contattasse e mi
dicesse: “Ehi, guarda, abbiamo una sceneggiatura”, coglierei al
volo l’opportunità di lavorare di nuovo con lui. Ha così tanto
talento. Credo davvero nella sua visione. Sono così felice per lui
per il successo di The
Pitt e Shawn [Hatosy]. Quindi, sì, che si tratti di Animal
Kingdom o di qualcos’altro, penso che lo farei. Mi piacerebbe molto
avere l’opportunità di lavorare di nuovo con lui.
Finn Cole è il padrino di mia
figlia, quindi siamo molto amici e scherziamo sempre parlando di
uno spin-off con Deran e J e di quanto sarebbe bello, a patto che
fosse girato da qualche parte in Messico, così potremmo stare a
Città del Messico e vedere quei due confrontarsi.
Cosa significa la dichiarazione
di Jake Weary per il futuro di Animal Kingdom
Animal Kingdom si è concluso
con Deran, interpretato da Weary, come uno degli ultimi membri
della famiglia Cody rimasti in vita. Dopo la morte del fratello
Craig, ha deciso di prendere con sé il nipote Nick e andarsene,
crescendo il bambino come se fosse suo figlio. Nel frattempo, un
altro personaggio, J Cody, ha tradito i fratelli principali e alla
fine della serie è rimasto solo.
Tuttavia, sembra che il
coinvolgimento di John Wells sarebbe necessario, e non è chiaro se
il produttore esecutivo voglia continuare la storia della
serie.
Mentre Weary e l’attore Finn Cole,
che interpreta J, hanno scherzato sull’idea di uno spin-off con
entrambi i personaggi, la serie
TV poliziesca ha lasciato abbastanza questioni in sospeso tra
loro da rendere possibile una reunion. Dato che il tradimento di J
ha quasi portato all’arresto dei fratelli, è in parte responsabile
delle morti importanti alla fine della serie, creando le premesse
per un intenso confronto futuro.
Tuttavia, sembra che sarebbe
necessario il coinvolgimento di John Wells, e non è chiaro se il
produttore esecutivo vorrebbe continuare la storia della serie. Al
momento della stesura di questo articolo, Wells è produttore
esecutivo di The Pitt – stagione 2 e Untamed di
Netflix. Questi progetti in corso rendono improbabile che realizzi
un seguito di Animal Kingdom nel prossimo futuro.
Sarà il regista Francis Ford
Coppola a tenere il discorso di encomio in onore di
Werner Herzog al Festival del Cinema di Venezia
mercoledì sera, quando Herzog riceverà il Leone
d’Oro alla carriera. Il regista de Il padrino e Apocalypse Now renderà omaggio all’iconico cineasta
tedesco, autore di Fitzcarraldo, Grizzly Man e
Aguirre, furoredi Dio, il 27 agosto
alle 19:00 nella Sala Grande di Venezia durante la
cerimonia di apertura dell’82° Festival di Venezia. Herzog sarà
premiato per con il Leone d’Oro alla carriera e presenterà il suo
ultimo documentario, Ghost Elephants, fuori concorso a
Venezia, il 28 agosto alle ore
14.00.
Herzog terrà poi una
Masterclasslo stesso
giorno alle ore
16.00 presso la Match Point
Arena, al Tennis Club Venezia al Lido.
Annunciando il premio per Herzog, il
direttore del Festival del Cinema di Venezia Alberto
Barbera ha detto che il pioniere del Nuovo Cinema Tedesco
“non ha mai smesso di sperimentare i limiti del linguaggio
cinematografico, smentendo la tradizionale distinzione tra
documentario e finzione. Brillante narratore di storie insolite,
Herzog è anche l’ultimo erede della grande tradizione del
romanticismo tedesco, un umanista visionario e un instancabile
esploratore“.
Anche Coppola sarà però al centro
dell’attenzione a Venezia quest’anno, con la proiezione di
Megadoc di Mike Figgis, in programma
giovedì nella sezione Venice Classics – Documentari sul cinema. Il
film è uno sguardo dietro le quinte della realizzazione di Megalopolis, l’epopea che Coppola ha impiegato decenni
a realizzare e arrivata solo l’anno scorso al cinema dopo la
presentazione al Festival di Cannes. A Venezia,
invece, Coppola ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla
49ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel
1992.
In programma su
AppleTV+ nel 2026, la serie Cape
Fear è ispirata al romanzo di John D.
MacDonaldThe Executioners. La storia è già stata
adattata due volte in precedenza, con il film Cape
Fear – Il promontorio della paura di Martin Scorsese del 1991 e una versione del
1962. Il romanzo racconta la storia di un avvocato perseguitato da
un uomo che ha contribuito a mandare in prigione. Ora, con la nuova
serie in arrivo, sembra proprio che il racconto si farà ancora più
intenso. A rivelarlo è proprio una delle star dello show,
Patrick Wilson.
Durante un’intervista con Perri
Nemiroff di Collider, Wilson ha paragonato
la serie agli altri adattamenti della storia. Quando gli è stato
chiesto cosa distingue lo show dai due adattamenti cinematografici,
Wilson ha affermato che la serie porterà le cose “oltre”
rispetto a entrambi i film. “La risposta rapida è che, beh, non
c’è una risposta rapida. Voglio dire, penso che, guardate, quello
che il libro ha fatto a Robert Mitchum, ogni volta che hanno fatto
una sorta di ricostruzione, è stato più che altro costruire un
mondo ed espandere le relazioni, espandere i personaggi”.
“E quindi noi lo portiamo
oltre”, ha raccontato l’attore. “Questo non è solo un
adattamento del film di Scorsese, questo è certo. Prendiamo il
nucleo di quello, lo rispettiamo, o un nucleo di quello, lo
rispettiamo, e poi lo allunghiamo e lo rendiamo ancora più
distorto. Quindi manteniamo molto di quello spirito, ma lo
spingiamo decisamente oltre grazie a quello e a tutti quei grandi
registi”, conclude l’attore.
Cosa significa questo per la serie
Cape Fear di AppleTV+
Dato che il film Cape Fear
di Scorsese del 1991 è stato sottovalutato al momento della sua
uscita, molti appassionati di cinema potrebbero non ricordarlo
molto bene. In realtà, alcuni potrebbero ricordare il film di
Scorsese più che altro per aver ispirato un episodio parodia dei
Simpsons (stagione 5, episodio 2), che è uno dei migliori della
serie. Questo potrebbe indurre alcuni a sottovalutare l’importanza
del commento di Wilson sulla serie in uscita. Nel film di Scorsese,
la versione di Max Cady interpretata da Robert De Niro era un personaggio
terrificante.
Uno dei motivi per cui il Cady del
film era così spaventoso era che il film permetteva agli spettatori
di comprendere meglio il personaggio. Sebbene Cady fosse maniacale
e incline alla rabbia, poteva anche essere tranquillo, manipolatore
e persino vulnerabile. Sulla base dei commenti di Wilson, la serie
Cape Fear di AppleTV+ approfondirà il personaggio
di Cady ancora più di quanto abbia fatto il film di Scorsese.
Entrare davvero nella mente di un personaggio come Cady potrebbe
facilmente renderlo ancora più spaventoso.
Dato che De Niro era così autorevole
nel ruolo, sarà però difficile essere all’altezza di una nuova
versione di Cady. Tuttavia, essendoci Javier Bardem ad interpretarlo, ci si può
aspettare una grande interpretazione. D’altronde, l’attore è
diventato celebre per la sua performance come spietato sociopatico
nel film Non è un paese per vecchi, ancora oggi uno
dei killer più spaventosi della storia del cinema. Dato anche
l’aspetto del personaggio, svelato da alcune foto dal set, ci si
può aspettare un nuovo minaccioso antagonista.
Blue Beetle
potrebbe fare un’apparizione nella seconda stagione di Peacemaker?
James Gunn sembra aver confermato in modo
criptico che l’eroe con lo scarabeo apparirà in qualche momento
della serie, ma non specifica in quale stagione. Parlando con IMDB
(tramite l’account Instagram del sito),
l’intervistatore ha detto di essere un grande fan di Blue Beetle e
di sperare di vedere il personaggio apparire nei futuri episodi
della serie. Gunn ha risposto in modo interessante: “Beh, sai,
non direi che non sei fortunato”.
Il margine di manovra di Gunn sta
nel fatto che non ha specificato in quale stagione apparirà il
personaggio e non ha specificato quale Blue Beetle. Come
noto, il film Blue
Beetle confermava che Ted Kord un tempo ricopriva il
ruolo di Blue Beetle ed era a capo della Kord Industries prima di
scomparire in circostanze misteriose. Il suo destino viene
accennato nella scena a metà dei titoli di coda, dove un messaggio
preregistrato emerge dal suo vecchio sistema informatico.
In esso, Kord rivela di essere
ancora vivo e chiede che qualcuno contatti sua figlia. Questa
rivelazione ha alimentato una delle principali teorie dei fan,
secondo cui Kord sarebbe rimasto bloccato in una dimensione
alternativa a seguito di un esperimento fallito. Il momento in cui
è stata avanzata questa ipotesi è particolarmente intrigante, dato
che la seconda stagione di Peacemaker è destinata ad approfondire il
concetto di realtà alternative attraverso la Quantum Unfolding
Chamber, creando potenzialmente un punto di incontro con il film e
un’occasione per Kord di tornare a casa.
Più recentemente, in un’altra
intervista, Gunn ha anche collegato i personaggi, affermando che
entrambi avevano dei progetti in un momento in cui il DCEU era in
uno stato di cambiamento, rendendo molto facile portarli nel
DCU. Il regista ha inoltre in precedenza
confermato che il personaggio sarà uno di quelli che dal DCEU varrà
“salvato” e portato anche nel DCU, quindi il suo ingresso in scena
è da ritenere molto probabile da qui in avanti. Che ciò possa
avvenire proprio nel corso di Peacemaker?
Tutto quello che sappiamo della
stagione 2 di Peacemaker
“La gente sta capendo che la
seconda stagione di Peacemaker riguarda due dimensioni, e questo è
davvero il cuore della serie”, ha spiegato Gunn durante una
recente intervista con Rolling Stone. “Ma non è che una di
queste sia la vecchia DCEU e l’altra la DCU. La questione viene
affrontata in modo diverso, in modo molto diretto in una stagione
in cui quasi tutto nella prima stagione è canonico e alcune cose
non lo sono. E infatti ho registrato un podcast con gli attori
Steve Agee e Jen Holland“.
“Abbiamo parlato di ogni
episodio di Peacemaker e in quegli episodi ho spiegato cosa è
canonico e cosa non lo è. In pratica ho eliminato alcune piccole
cose della prima stagione di Peacemaker che non sono canoniche,
come Aquaman. Ma la maggior parte delle cose è canonica“.
Stando a queste parole di Gunn, sarà dunque interessante scoprire
cosa la seconda stagione aggiungerà alla storia di Peacemaker e
come lo renderà a tutti gli effetti un personaggio del DC
Universe.
“Peacemaker esplora la storia
del personaggio che John
Cena riprende all’indomani del film del 2021 del produttore
esecutivo James
Gunn, Suicide Squad – un uomo irresistibilmente
vanaglorioso che crede nella pace ad ogni costo, non importa quante
persone debba uccidere per ottenerla!”, è stato poi riferito.
I dettagli precisi sulla trama della seconda stagione sono ancora
per lo più nascosti, ma sappiamo che Frank Grillo riprenderà il ruolo di Rick Flag
Sr. e cercherà di vendicarsi per l’uccisione da parte di Peacemaker
di suo figlio Rick Jr. (Joel
Kinnaman) avvenuta in The Suicide Squad.
In The Batman, la
trasformazione di Colin Farrell nel Pinguino ha ottenuto un
grande successo, ma il suo tempo effettivo sullo schermo è stato
sorprendentemente breve. Farrell ha sottolineato di essere apparso
solo in cinque o sei scene, per un totale di circa nove minuti
delle tre ore di durata del film. Piuttosto che essere un cattivo
centrale, il suo Pinguino ha funzionato come figura di supporto, un
mafioso di medio livello con legami con il dipartimento di polizia
di Gotham City.
Ha fornito a Batman indizi
essenziali durante le indagini e ha svolto un ruolo memorabile in
una delle sequenze di inseguimento più avvincenti del film. Questo
tempo limitato sullo schermo era ovviamente voluto. I realizzatori
del film hanno utilizzato la sua presenza per introdurre il
personaggio senza oscurare la trama principale, gettando le basi
per sviluppi futuri.
Queste fondamenta hanno infatti
aperto la strada a The
Penguin, una serie spin-off che continua direttamente
dopo gli eventi di The Batman, tracciando la sua
spietata ascesa nella malavita di Gotham e consolidando la sua
posizione di potente protagonista. La serie ha ricevuto ampi
consensi dalla critica, con molti recensori che ne hanno
sottolineato la narrazione cruda e avvincente. I critici spesso
tracciano parallelismi con iconici drammi polizieschi come
I Soprano, sottolineando la simile combinazione di
intensità, profondità dei personaggi e ambiguità morale.
Ora, con l’attesa che cresce per
The Batman – Parte II, Farrell ha condiviso
durante un’intervista quel poco
che sa sul ritorno del Pinguino, e sembra che la sua presenza
potrebbe essere altrettanto limitata, se non minore, rispetto al
primo film. “Non credo di avere molte scene, ma sarò lì per
qualsiasi cosa. Matt Reeves è davvero brillante. Non so ancora
quale sarà la trama”, ha detto Farrell. Considerando il potere
raggiunto dal personaggio, se anche dovesse comparire per poco nel
film, c’è da aspettarsi scene importanti e che il suo potere si
estenda ben oltre la sua presenza in scena.
Tutto quello che sappiamo su
The Batman – Parte II
The
Batman – Parte II è uno dei film più attesi del nuovo
panorama DC, ma il suo percorso produttivo non è stato privo di
ostacoli. Inizialmente previsto per ottobre 2025, il sequel diretto
da Matt Reeves è stato rinviato al 1°
ottobre 2027. I ritardi sono stati giustificati da
esigenze legate alla scrittura della sceneggiatura e al calendario
riorganizzato della DC sotto la nuova guida di James Gunn e Peter Safran,
che stanno ristrutturando l’intero universo narrativo. Nonostante
ciò, Reeves ha confermato che
le riprese inizieranno nella primavera
2026 e Gunn ha recentemente letto la
sceneggiatura, definendola “grandiosa”, un segnale incoraggiante
per i fan.
Sul fronte del cast, è confermato il
ritorno di Robert Pattinson nei panni di Bruce
Wayne/Batman, all’interno dell’universo narrativo alternativo noto
come “Elseworlds”, separato dal DCU principale. Dovrebbero tornare anche Jeffrey Wright come il commissario Gordon e
Andy Serkis nel ruolo di Alfred. I rumor più
insistenti ruotano attorno alla possibile introduzione di
Harvey Dent/Due Facce e Clayface (che avrà inoltre un film tutto suo)
come villain principali, anche se nulla è stato ancora
ufficializzato. C’è chi ipotizza un ampliamento del focus sulla
corruzione sistemica di Gotham, riprendendo i toni noir e
investigativi del primo capitolo, con Batman sempre più immerso in
un mondo in cui la linea tra giustizia e vendetta si fa
sottile.
Per quanto riguarda la
trama, le indiscrezioni suggeriscono un’evoluzione
psicologica per Bruce Wayne, alle prese con le conseguenze delle
sue azioni e un Gotham sempre più caotica, anche dopo gli eventi
della serie spin-off The Penguin con Colin Farrell (anche lui probabile membro del
cast). Alcune fonti parlano di un possibile scontro morale con
Harvey Dent, figura ambigua per eccellenza, o di un Batman
costretto a confrontarsi con i limiti del suo metodo. Al momento,
tutto è però ancora avvolto nel riserbo, ma la conferma della
sceneggiatura completa e approvata lascia ben sperare per l’inizio
delle riprese entro l’autunno e per un sequel che promette di
essere ancora più cupo, ambizioso e introspettivo.
Reeves spera naturalmente che il suo
prossimo film su Batman abbia lo stesso successo del primo.
The Batman del 2022 ha avuto un’ottima performance
al botteghino, incassando oltre 772 milioni di dollari in tutto il
mondo e ottenendo un ampio consenso da parte della critica. Queste
recensioni entusiastiche sono state portate avanti nella stagione
dei premi, visto che il film ha ottenuto quattro nomination agli
Oscar. Nel frattempo, Reeves ha espanso la serie DC
Elseworld con la già citata serie spin-off di Batman,
The Penguin, disponibile su Sky e NOW, per
l’Italia.
Il film del 2025 The
Conjuring – Il rito finale è il quarto capitolo della
serie di punta Conjuring (che ha anche dato vita alle serie
spin-off Annabelle e The Nun), in cui
Patrick Wilson e Vera Farmiga interpretano i demonologi
Ed e Lorraine Warren. Al cinema dal 4 settembre, questo nuovo
capitolo è stato promosso come l’ultimo della serie, al punto che i
trailer promettono che gli spettatori scopriranno perché il caso
alla base del film è stato l’ultimo dei Warren. Tuttavia, quel
presunto gran finale potrebbe non essere poi così definitivo.
Durante una recente intervista con
The Hollywood Reporter, il presidente e CCO della New Line
Richard Brener ha dichiarato che “questo è
l’ultimo di quelli che chiamiamo fase uno” e che “speriamo
di poterne realizzare altri”, anche se “la fase due è
ancora da definire”. In
un’intervista con Tatiana Hullender di ScreenRant durante la
promozione del film, Wilson e Farmiga hanno ora condiviso le loro
reazioni all’annuncio, di cui Wilson dice di non aver sentito
parlare fino a quel giorno.
“Lo adoro. Tipo, Fase Uno? Non
ne avevo mai sentito parlare prima che venisse menzionato oggi. Non
ne ho idea. È così difficile. Non riesco realisticamente a separare
me e Vera da The Conjuring, quindi non ho idea di cosa significhi.
Se decidessero di fare il film The Conjuring senza di noi, non
saprei nemmeno cosa dire!“, ha affermato Wilson. L’attore ha
però poi aggiunto: “Tutto quello che so è che questo film è la
fine del nostro viaggio, ed è così che l’abbiamo affrontato. È
sicuramente il modo giusto per concludere questa serie che abbiamo
realizzato”.
“Cioè, certo, potremmo
continuare. Abbiamo più di 50 anni, e Lorraine ha vissuto fino a 90
anni mentre Ed ne aveva 70, quindi la possibilità c’è. Ma ci sono
così tante altre domande che vanno oltre le nostre competenze e la
nostra responsabilità. Non siamo ideatori e non siamo produttori di
questo progetto. Quindi non conosciamo alcun grande piano di cui
stiamo nascondendo le informazioni“, conclude l’attore. Gli fa
eco Farmiga, che aggiunge: “Assolutamente. Per quanto ne
sappiamo, abbiamo appeso i rosari. Il crocifisso è tornato sulla
parete, e questo è tutto”.
La trama e il cast di The Conjuring – Il rito
finale
La sinossi ad oggi diffusa di
The
Conjuring – Il rito finale recita: “Cinque anni
dopo il processo ad Arne Johnson, i coniugi Warren hanno lasciato
l’attività investigativa per dedicarsi al lavoro universitario.
Tuttavia, quando il lavoro scarseggia, i due decidono di seguire un
ultimo caso, quello di Janet e Jack Smurl, la cui casa sembra
ospitare un’entità sovrannaturale”.
Accanto
a Vera Farmiga e
Patrick Wilson, nel cast troviamo Mia
Tomlinson e Ben Hardy nei ruoli di
Judy Warren, figlia di Ed e Lorraine, e del suo
fidanzato Tony Spera, oltre a Steve
Coulter, che torna nei panni di Padre
Gordon, e Rebecca Calder, Elliot
Cowan, Kíla Lord Cassidy, Beau
Gadsdon, John Brotherton e
Shannon Kook. Chaves dirige una sceneggiatura di
Ian Goldberg & Richard Naing e
David Leslie Johnson-McGoldrick, su un soggetto di
David Leslie Johnson-McGoldrick & James Wan basato sui personaggi
creati da Chad Hayes & Carey W. Hayes.
The Conjuring – Il rito finale sarà
distribuito da Warner Bros. Pictures nelle sale italiane il 4
settembre.
Il film su Elvis
(qui la nostra recensione) del
regista Baz Luhrmann
racconta la vita della leggenda del rock and roll, concludendosi
con un finale sottile che riassume il percorso del cantante come
icona musicale, piuttosto che una decostruzione senza veli dei suoi
ultimi giorni. Il film segue dunque Elvis (Austin
Butler) dalla sua infanzia ai primi successi, ai
conflitti con la sua identità, ai fallimenti, alle rimonte e,
infine, a dove si è ritrovato alla fine della sua vita, il che è
sia tragico che rivelatore dell’uomo che sarebbe diventato noto
come “Il Re del Rock and Roll”.
Sebbene il film di Luhrmann non
eviti di affrontare la sua tossicodipendenza, gli altri aspetti
della sua complessa vita, tra cui l’infedeltà, il deterioramento
della salute e le sue strane manie, fissazioni e stranezze, sono
stati per lo più accennati o attenuati. Il film
Elvis si concentra su un uomo che cercava di
sfuggire a se stesso, mentre cercava di essere l’eroe della propria
storia e affrontava la possibilità di non esserlo. Tuttavia, questo
film biografico non mostra la
vera fine della vita di Elvis Presley. Ecco allora la
spiegazione del finale e del significato del film.
Elvis licenzia il colonnello
Parker sul palco: è davvero andata così?
Alla fine del film, Elvis si
esibisce all’International di Las Vegas dopo aver appena scoperto
che il colonnello Tom Parker (Tom
Hanks) gli aveva mentito per decenni sulla sua
identità. Parker era in realtà un immigrato clandestino olandese di
nome Andreas Cornelis Dries van Kuijk che aveva
così tanta paura di essere scoperto (e deportato) da tenerlo
segreto, il che ha influenzato la carriera cinematografica e
musicale di Elvis Presley. Poiché Parker non poteva ottenere un
passaporto, ha combattuto con veemenza contro Elvis che voleva
lasciare il Paese per andare in tour, cosa che l’artista desiderava
ardentemente fare (e che non ha mai fatto).
Il finale del film spiega che Elvis
chiama Parker alla fine del suo spettacolo davanti a tutto il
pubblico, rivelando che era un clandestino e annunciando che lo
licenzia proprio prima che cali il sipario. I due si scontrano nel
backstage ed Elvis ribadisce che la loro partnership commerciale è
finita, spingendo Parker a redigere un elenco dei debiti che Elvis
ha nei suoi confronti per i suoi servizi, al fine di porre fine
alla loro collaborazione. La realtà di questa scena era leggermente
diversa, ma serviva a rendere gli eventi ancora più drammatici.
La vera storia dietro questo
incidente di Elvis è avvenuta nel 1973, quando Elvis si è scagliato
sul palco contro l’hotel (che all’epoca era stato acquistato dalla
Hilton) perché aveva licenziato un membro del personale di cucina a
cui era affezionato. Sia nel film che nella vita reale, Elvis e il
Colonnello hanno deciso di continuare la loro collaborazione. Il
Parker di Hanks dice all’Elvis di Butler che sono “uguali”, essendo
“due bambini strani e solitari, alla ricerca dell’eternità”,
mostrando il modo in cui il Colonnello poteva manipolare Elvis
alimentando la paura del cantante di essere dimenticato. Il
Colonnello si posizionò come l’unico in grado di comprendere la
situazione di Elvis.
Elvis e Priscilla: la fine del
loro matrimonio e cosa significò
Nel film, il cantante Elvis e sua
moglie Priscilla decidono di divorziare, il che
viene condensato in un’unica scena a Graceland in cui Priscilla lo
lascia, portando con sé la loro figlia Lisa Marie.
Sconvolta dalla sua freddezza, dalla mancanza di affetto e dalla
sua dipendenza dalle droghe, Priscilla lo lascia solo nella villa,
il che viene descritto come un colpo devastante per Presley. Nella
vita reale, ci furono tradimenti da entrambe le parti, un aborto
spontaneo e un carattere prepotente da parte di Elvis che non
prometteva nulla di buono per la moglie.
Più avanti nel film, mentre Elvis
continua a fare tournée e la sua salute peggiora, il rapporto tra
lui e Priscilla veniva mostrato come più amichevole e affettuoso
rispetto a quando erano sposati. Questo è qualcosa che Priscilla ha
menzionato negli anni successivi alla sua morte, poiché il loro
legame ha assunto una nuova forma dopo il divorzio e lei è
diventata una sorta di confidente per il cantante interpretato.
Nell’ultima scena tra Priscilla ed Elvis, i due sono sulla pista
dell’aeroporto, dove entrambi prendono posto sul sedile posteriore
della sua limousine per parlare, tenendosi persino per mano.
Elvis Presley sembra stanco e cupo
mentre parla, affermando che sta per compiere 40 anni e confessando
la sua paura di raggiungere quel traguardo, dicendo: “Nessuno
si ricorderà di me”. Priscilla riconosce il suo dolore e lo
supplica di farsi aiutare, ma lui respinge il suggerimento con
disprezzo. Mentre Priscilla e Lisa Marie se ne vanno per salire
sull’aereo, Elvis guarda Priscilla e le sussurra: “Ti amerò per
sempre”. In realtà, Elvis confessò le sue paure di essere
dimenticato a una corista, cosa che Priscilla scoprì in seguito.
Tuttavia, il finale del film di Baz Luhrmann spiega che Elvis
avrebbe, in realtà, amato Priscilla per sempre.
Elvis interpreta Unchained Melody:
perché il film termina con questa esibizione
L’ultima scena di
Elvis riproduce una vera esibizione del Re,
avvenuta appena sei settimane prima della sua morte durante un
concerto a Rapid City, nel South Dakota, il 21 giugno 1977.
L’esibizione mostrata nel film è quella di Elvis che canta la
canzone “Unchained Melody” scritta da Hy
Zaret, considerata da molti l’ultimo grande momento della
carriera del cantante. Elvis salì sul palco e cantò a squarciagola
la melodia come se stesse cantando con tutto il cuore per salvarsi
la vita. Il finale del film mostra che anche in punto di morte,
Elvis era in grado di cantare in modo straordinario.
Piuttosto che concludere il film
con una nota triste, mostrando il cantante in eccessivo declino o
morente nel bagno di Graceland, il film si concentra invece sul
motivo per cui Elvis è ricordato, che non è per come è morto, ma
per come ha vissuto. Per un cantante che temeva di essere
dimenticato e di non raggiungere mai l’eternità, l’esibizione di
“Unchained Melody” è servita a ricordare il suo potere
duraturo e la sua sostenibilità, che ha portato Butler a ricreare
il momento in modo quasi identico a come è andato (è l’unica scena
del film in cui l’attore indossa delle protesi per mostrare
l’aspetto più pesante di Elvis in quel momento).
La canzone, il momento e la
performance stessa di Austin Butler sono la
perfetta incarnazione del motivo per cui Elvis è così venerato,
come spiegato nel finale del film di Baz Lurhmann, che racchiude il
suo percorso da hit-maker sano e vivace ad artista debilitato e in
difficoltà che ha ricordato al pubblico perché non sarebbe mai
stato dimenticato, anche se la fine si avvicinava. La canzone
accompagna il film, proprio mentre il colonnello Parker soccombe
alla morte e la sua voce viene messa a tacere in ospedale, mentre
quella di Elvis continua a risuonare con forza, riverberando oltre
la morte.
L’intero film su Elvis ha
sorvolato sui suoi problemi di salute
Alla fine della sua vita, Elvis
aveva più problemi di quanti il film abbia voluto ammettere. Molti
altri film biografici su musicisti, come Bohemian
Rhapsody, non trattano la seconda metà della vita di
queste figure prolifiche, concentrandosi principalmente sulla loro
ascesa alla fama e alla notorietà. Detto questo, Elvis ha lottato
con un discreto numero di problemi di salute che il film non ha
affrontato, portando alla sua tragica scomparsa. La sua storia non
è dissimile da quella di altri artisti che sono stati costretti a
esibirsi nonostante i continui problemi di abuso di droghe e salute
mentale, come Amy Winehouse.
Sebbene Elvis soffrisse di
dipendenza da pillole, come spiegato nel finale del film, aveva
dolori cronici e problemi di salute che potrebbero averla
alimentata. Forrest Tennant, autore di The
Strange Medical Saga of Elvis Presley, riteneva che il
cantante soffrisse in realtà della sindrome di Ehlers-Danlos, una
malattia del tessuto connettivo responsabile di dolori cronici e
altri problemi di salute. Molti credono erroneamente che la morte
di Elvis sia stata causata da un’overdose di droga.
Tuttavia, il Re del Rock and Roll
ha effettivamente avuto un infarto, favorito dai farmaci
prescritti, da un ingrossamento del cuore, dal diabete di tipo II e
da una dieta gravemente malsana. Se a questo si aggiunge il fatto
che probabilmente soffriva di EDS, il risultato è una ricetta per
il disastro. Il suo medico personale, George
Nichopoulos, è stato processato per aver prescritto
farmaci in eccesso al cantante, ma è stato assolto. Tuttavia, nel
1995 gli è stata revocata la licenza medica. La gravità delle
difficoltà di Elvis è stata dunque notevolmente minimizzata nel
film, tanto che la loro omissione sembra una svista controintuitiva
in questo omaggio altrimenti lodevole all’eredità del Re.