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DCEU: 10 scene tagliate ma che avrebbero avuto senso nei film

DCEU: 10 scene tagliate ma che avrebbero avuto senso nei film

Diversi progetti del DC Extended Universe avrebbero beneficiato del recupero di alcune importanti scene eliminate che purtroppo sono state tagliate dalle versioni cinematografiche. Anche se i co-CEO dei DC Studios, James Gunn e Peter Safran, stanno rebootando il DCEU nel nuovo Universo DC, il precedente franchise della Warner Bros. ha comunque prodotto quindici film, con Aquaman e il Regno Perduto in uscita nel dicembre 2023, e una popolare serie televisiva, tutti nell’arco dell’ultimo decennio. L’Uomo d’Acciaio del 2013 ha dato il via al DCEU di Zack Snyder, ma negli ultimi anni il franchise è stato messo sotto esame. Molti dei progetti del DCEU avrebbero ad esempio potuto essere migliorati se alcune scene eliminate fossero state mantenute nelle versioni finali.

Alcune scene tagliate del DCEU spiegano infatti pezzi chiave della storia dei personaggi, collegano meglio i diversi progetti del franchise, impostano trame importanti per i progetti successivi o introducono nuovi personaggi interessanti nel franchise, ma sono state ritenute abbastanza insignificanti da essere eliminate. La popolarità del DCEU è andata dunque scemando negli ultimi anni, anche se molti nutrono ancora speranze per il nuovo Universo DC di Gunn e Safran, che si spera deciderà di mantenere questi momenti importanti nei progetti attuali.

La spiegazione del tatuaggio del Joker in Suicide Squad

Suicide Squad è uscito nel 2016 e ha segnato la prima volta che la squadra della DC Comics è stata vista sul grande schermo. Il film di David Ayer ha anche introdotto il Joker del DCEU, l’iconico cattivo di Batman interpretato da Jared Leto, anche se la sua storia non è stata molto sviluppata. Molte scene sono state tagliate da Suicide Squad, tra cui una che avrebbe mostrato il Batman di Ben Affleck picchiare il Joker per vendicarsi dell’omicidio di Robin da parte sua e di Harley Quinn. Questa scena avrebbe spiegato i denti rotti e il controverso tatuaggio “damaged” sulla fronte di Joker, che sfoggiava come monito permanente per Batman di quando aveva perso il controllo.

La famiglia Shazam scopre un settimo trono in Shazam!

Shazam!Shazam del 2019! ha introdotto nel DCEU Billy Batson, un adolescente che si è impossessato dei poteri degli dei, ritrovandosi in grado di passare alla forma adulta del supereroe Shazam, interpretato da Zachary Levi. La battaglia finale del film vede Shazam donare abilità simili agli altri ragazzi della sua casa famiglia, trasformandoli tutti nella famiglia Shazam. Dopo aver sconfitto il Thaddeus Sivana di Mark Strong, una scena eliminata mostra la famiglia Shazam reclamare la Roccia dell’Eternità come loro nuova tana e mettersi a proprio agio sui troni. Tuttavia, notano subito un settimo trono vuoto, che avrebbe anticipato il debutto del Teth-Adam di Dwayne Johnson in Black Adam del 2022.

Il ritorno del Dottor Destino in Black Adam

Black AdamMentre Black Adam è ampiamente considerato uno dei progetti più deboli del DCEU, e il dramma dietro le quinte causato dal film e i commenti dello stesso Dwayne Johnson hanno fatto scalpore, il Dottor Destino di Pierce Brosnan è stato celebrato come una delle componenti più forti del progetto. Purtroppo, il Dottor Fate ha perso la vita durante Black Adam, sacrificandosi affinché la Justice Society e Black Adam potessero sconfiggere Sabbac. Una seconda scena post-credits eliminata di Black Adam avrebbe potuto far intuire la sopravvivenza del Dottor Fate, consentendo potenzialmente a Black Adam di far intravedere un futuro più speranzoso nel DCEU piuttosto che impostare una futura storyline con il Superman di Henry Cavill che il pubblico non vedrà mai.

Superman cerca sua madre in Batman V Superman: Dawn of Justice

Batman v Superman: Dawn of JusticeBatman v Superman: Dawn of Justice, il secondo progetto del DCEU, era originariamente previsto come sequel di Man of Steel ma è diventato più un prequel di Justice League. Nel film del 2016, Clark Kent si imbarcava in una missione per salvare sua madre, Martha, dopo che era stata rapita da Lex Luthor. Una scena eliminata avrebbe esplorato ulteriormente questa ricerca: Superman ha usato il suo superudito per ascoltare tutta Metropolis. Così facendo, ha sentito anche tutte le grida delle vittime dei crimini, ma ha comunque continuato la sua missione.

Arthur Curry scopre i suoi poteri in Aquaman

Aquaman e il Regno PerdutoAquaman del 2018 è il progetto del DCEU di maggior successo, con un incasso di oltre 1 miliardo di dollari al box office globale, ma una scena eliminata dal debutto del DCEU di James Wan avrebbe approfondito la storia di Arthur Curry. Nella scena, un giovane Arthur, anni prima di diventare Aquaman, viene sfidato dai suoi amici a nuotare nell’oceano per esplorare un relitto. Dopo essere rimasto incastrato, Arthur pensò di annegare, ma presto si rese conto di poter respirare sott’acqua. Questa è la prima volta che Arthur scopre le sue capacità, tramandate da sua madre, Atlanna, ma non è presente nel film. Questa sarebbe stata anche la prima interazione di Arthur con il suo futuro mentore, il Vulko di Willem Dafoe.

Polka-Dot Man e il Pensatore parlano in Suicide Squad

James Gunn the suicide squad pensatore peter capaldiNonostante sia stato considerato un flop al botteghino a causa della sua uscita durante la pandemia di COVID-19, The Suicide Squad del 2021 è considerato di gran lunga superiore al suo predecessore standalone. Per gran parte del debutto del DCEU di James Gunn, il Pensatore di Peter Capaldi indossa una benda sull’orecchio, ma questo accessorio non viene mai spiegato. In una scena eliminata di Suicide Squad, il Pensatore cerca di convincere Polka-Dot Man di David Dastmalchian a voltare le spalle alla sua squadra e unirsi a lui, ma Polka-Dot Man gli spara all’orecchio. Questo avrebbe spiegato la benda del Pensatore, anche se alla fine non ha avuto un grande impatto sulla trama generale del film.

Le Lanterne Verdi incontrano Batman nella Justice League di Zack Snyder

justice league snyder cutJustice League di Zack Snyder ha fornito agli spettatori il director’s cut di Justice League del 2017, il progetto che Snyder ha abbandonato durante la post-produzione. La versione di Zack Snyder presenta molte delle scene eliminate di Justice League, ma anche le proprie: Martian Manhunter non era il personaggio originale destinato ad apparire davanti al Bruce Wayne di Ben Affleck alla fine del film. Una scena eliminata ha invece rivelato che sarebbero dovuti comparire le Lanterne Verdi John Stewart e Kilowog. Questo avrebbe dato maggiore impatto alla morte della Lanterna Verde nei momenti iniziali del film, ma la Warner Bros. ha cambiato questa scena a causa di piani futuri con Stewart, che purtroppo non si sono mai realizzati.

La missione di Etta in Wonder Woman

In un epilogo previsto per il popolare Wonder Woman del 2017, l’Etta Candy di Beatrice Colan si è avvicinata ai Wonder Men con la proposta di una nuova missione per la ricerca di un antico manufatto nel Belgio occidentale. Questo artefatto si rivelò essere una Scatola Madre, che fu poi consegnata agli americani. Questa scena è stata inserita nei dischi Blu-Ray di Wonder Woman, ma sarebbe stata perfetta se contenuta nel film vero e proprio. La “Missione di Etta” in Wonder Woman avrebbe creato le premesse per gli eventi di Justice League e avrebbe fornito il primo assaggio della creazione di Cyborg nel DCEU, poiché la Scatola Madre degli americani è stata usata per potenziarlo con la cibernetica.

Clark e Jonathan Kent a caccia nell’Uomo d’Acciaio

L’Uomo d’Acciaio del 2013 è stato un’ottima introduzione per il Superman di Henry Cavill nel DCEU e ha esplorato la sua storia con alcune scene tenere tra lui e i suoi genitori umani adottivi, Jonathan e Martha Kent. Una scena eliminata avrebbe ampliato questo aspetto, mostrando un giovane Clark Kent che va a caccia con suo padre. Dopo che i due uccidono un cervo, Jonathan coglie l’occasione per insegnare al figlio la realtà del togliere la vita, instillando in Clark un forte codice morale che sarebbe perdurato per tutta la sua carriera di Superman. Questa scena avrebbe anche informato Superman della controversa uccisione del Generale Zod alla fine de L’uomo d’acciaio.

L’intera Justice League appare in Peacemaker

Dopo Suicide Squad, James Gunn è tornato nel DCEU per ampliare l’interpretazione di John Cena nei panni di Christopher Smith, alias l’antieroe Peacemaker. Nel finale della stagione 1 di Peacemaker del 2022, Smith porta via Harcourt dal relitto del fienile che ospitava la Mucca delle Farfalle, solo per incontrare la maggior parte della Justice League del DCEU. Anche se non tutti i membri sono apparsi nella serie, è stata girata una scena con tutti e sei gli eroi della Justice League, compresi Batman e Cyborg. Gunn ha spiegato che questi personaggi sono stati tagliati perché la Warner Bros. poteva avere piani più grandi per loro nel futuro del DC Extended Universe, ma ormai sappiamo che non è più così.

A letto con Gondry: recensione del documentario sulla vita del regista – #RoFF18

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La parabola di un’insonnia, quella che Michel Gondry – come protagonista ma non dietro la macchina da presa – cerca di fare con il documentario A letto con Gondry diretto da Francois Nemeta. Un documentario dal taglio diverso, insolito e anche a tratti disturbante, mentre Gondry si gira e rigira nel letto in preda ad un’insonnia che ha il retrogusto di una crisi di mezza età. Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle, il film racconta una notte, senza sonno, in preda ai sogni più folli, dove il regista parla dell’origine di alcuni dei suoi film più famosi. Da Eternal Sunshine of the Spotless Mind con Jim Carrey e Kate Winslet, Be Kind Rewind con Jack Black e L’arte del sonno con Gael García Bernal e Charlotte Gainsbourg. Pellicole che hanno a monte un processo creativo fuori dal comune e che Gondry ci rivela in questo documentario.

Il regista è poi invece tornato dietro la macchina da presa per presentare il suo nuovo film, Il libro delle soluzioni, che arriverà nella sale italiane dal 1° novembre distribuito da IWonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.

A letto con Gondry, la trama

Dove andiamo quando sogniamo? Questa è la domanda di un piccolo Michel Gondry che fin dalla giovane età racconta, utilizzando l’espediente dell’insonnia, uno spaccato della sua vita. Un racconto intimo e personale di un uomo senza sonno, vittima della sua effervescente creatività che lo consuma. In preda ai turbamenti esistenziali, Gondry diretto ancora una volta da Nemeta entra nel vivo del racconto della sua vita in un documentario che rompe il classico racconto del genere. Frammentato e diviso per tematiche A letto con Gondry non segue un ordine classico ma traccia una linea attraverso i sogni raccontati dal regista.

Le digressioni sui sogni sono la parte più introspettiva del regista che si ritrova come bambino, adolescente e adulto. A ogni sogno trova un significato ma anche una ispirazione per farne animazioni in stop motion che mette a punto nelle sue notti senza dormire. Mentre prende vita tutto questo non manca però la parte di racconto sulla sua famiglia e sui suoi affetti in modo anche comodo, con toni leggeri. Un pregio che rende il documentario godibile nel suo insieme. Che mette al centro il suo lavoro e la sua libertà creativa e non si limita a una narrazione dei fatti in linea temporale.

I riferimenti al suo cinema

Diviso non in ordine cronologico, A letto con Gondry ci propone tra sogno e realtà dei riferimenti allo stesso cinema del regista. Dalle mani giganti di L’arte del sonno al concetto stesso di memoria e ricordi di cui parla nella sua opera più celebre, Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Il documentario arriva come dunque una sorta di epilogo che descrive il personaggio di Gondry. La prima parte che descrive il lavoro e la creatività del regista è stata presentata a Venezia durante la Mostra d’arte cinematografica. Un racconto però diverso perché il Gondry che lavora la mattina è diverso e più dinamico.

Nella sua versione notturna, come se in lui ci fossero due personalità, il regista è invece vittima della sua stessa creatività non riesce a spegnere il cervello, ritrovandosi vittima di sé stesso. Il riferimento al doppio è anche contenuto nei titoli di testa, che lui stesso crea in stop-motion, dove osserviamo un personaggio con due teste. Ma non sono però due teste contrapposte ma due facce della stessa medaglia. Raccontando anche questa parte di sé, Gondry pone dunque l’accento maggiore sul suo modo di lavorare e chiude infatti con una frase che descrive perfettamente il senso del documentario: “La creatività viene incentivata quando non c’è equilibrio”.

La morte è un problema dei vivi: intervista al regista Teemu Nikki e ai protagonisti del film – #RoFF18

Il regista finlandese Teemu Nikki si è fatto conoscere a livello internazionale grazie al film Il cieco che non voleva vedere Titanic, distinguendosi per la sua capacità di saper ridere e far ridere anche di situazioni tutt’altro che comiche, spingendo però allo stesso tempo a profonde riflessioni sulle tematiche di cui esse si fanno portatrici. Nikki torna ora a fare tutto ciò anche con il suo nuovo film, intitolato La morte è un problema dei vivi (qui la recensione), presentato nella sezione Progressive Cinema della 18esima edizione della Festa del Cinema.

Protagonisti del film sono Risto (Pekka Strang) e Arto (Jari Virman), i più economici impresari di pompe funebri sul mercato, a cui nella vita tutto è andato storto. Risto è un incallito giocatore d’azzardo che a causa del suo vizio rischia di perdere famiglia e lavoro, mentre Arto scopre, durante un controllo medico, di essere nato con l’85% di cervello in meno rispetto alla media e questa rivelazione gli crea il vuoto intorno. Nonostante ciò, i due decideranno di fare squadra nella speranza di trovare una soluzione alle loro esistenze, finendo però per accettare anche lavori a dir poco particolari e non sempre pienamente legali.

Teemu Nikki: “per i miei film parto sempre da qualcosa che mi dà fastidio”

Giunto alla Festa del Cinema di Roma per presentare il film insieme ai due attori Strang e Virman, Nikki inizia a raccontare di questo suo nuovo progetto affermando che “nel concepire i miei film parto sempre da qualcosa che mi dà fastidio. Perché se qualcosa mi provoca questa sensazione, devo capire perché me la provoca, devo capire se c’è qualcosa che non va in me o se posso cambiarla. Ecco allora che diventa il motore da cui si sviluppa il film, attraverso cui cerco di capirne di più, come un processo di cura. In questo caso, mi interessava raccontare una storia incentrata sulle dipendenze come la ludopatia, ma anche sull’amicizia”.

Per questo film, – continua poi Nikki – mi sono ispirato alla commedia nera dei fratelli Coen. Loro hanno sperimentato diversi generi nel corso della loro carriera ed è quello che vorrei fare anche io. Per questo film, poi, da un punto di vista stilistico, sapevo di volermi tenere quanto più vicino possibile agli attori. Il direttore della fotografia praticamente respirava al loro stesso ritmo. Abbiamo quindi cercato di ricreare un mondo e delle situazioni nel modo più realistico possibile, senza nasconderci dietro a nessun tipo di vezzo artistico. Sostanzialmente non volevo volgere altrove lo sguardo. Anche quando si trovano in situazioni terribili e ci sono scene molto crude, l’obiettivo era di essere lì, di guardarla”.

La morte è un problema dei vivi Pekka Strang Jari Virman
Pekka Strang e Jari Virman in una scena di La morte è un problema dei vivi. Foto di ©JyrkiArnikari

L’approccio ai personaggi

Parlando dei personaggi, Strang racconta che “non ho mai pensato realmente al mio personaggio come ad un uomo senza cuore, perché quando ti trovi in una situazione come quella in cui si trova lui semplicemente non hai controllo, non capisci quale è effettivamente il problema, sai solo che soffri e non riesci a fare nulla di giusto. Quindi ti attacchi a qualsiasi cosa che possa sembrare d’aiuto. Con Virman siamo partiti da questa consapevolezza per ricercare i nostri personaggi e l’amicizia che si è sviluppata tra di noi si è riversata anche in loro, rendendoli realistici nella loro umanità anche per via di tutti i loro problemi”.

Il suo co-protagonista, Virman, concorda con lui e aggiunge che “neanché io pensavo al mio personaggio come all’uomo senza cervello. Quella è più una cosa che vedono le persone all’esterno, additandolo come fosse un malato. Più che pensarlo così, mi sono concentrato sul pensarlo nel suo rapporto con il personaggio di Strang. Insieme abbiamo deciso di rimanere nei panni e nella mentalità dei nostri personaggi anche al di fuori delle riprese, per cercare di mantenere una certa atmosfera. Così facendo abbiamo trovato Risto e Arto”.

La morte secondo i vivi

I due attori e il regista riflettono infine sul concetto che loro stessi hanno della morte e il primo a parlarne è Strang, che afferma “devo ammettere di non aver mai pensato troppo alla morte, anche se è una cosa che ci riguarda tutti, è dietro l’angolo. Per venire qui, in aereo, abbiamo incontrato una turbolenza e in quel momento un po’ ti assale la paura, ti chiedi “dunque, ci siamo? Ho avuto una buona vita?”. Ecco, se devo pensare alla morte e pormi questa domanda, ad ora posso dirmi che sì, ho avuto una bella vita”. “Io ho naturalmente pensato molto alla morte, durante la realizzazione del film.”, afferma invece Nikki.

Prima perché era il tema del film e in seguito perché il nostro direttore della fotografia – Jyrki Arnikariè venuto a mancare poco dopo il completamento delle riprese e quindi La morte è un problema dei vivi è come diventato un suo lasciato, l’opera ultima di un artista che non c’è più. Lui non c’è più ma noi siamo ancora qui a riflettere e interrogarci sulla sua assenza e in questo senso la morte è un nostro problema. Il concetto è poi racchiuso in una frase che Arnikari era solito ripetere e che abbiamo inserito alla fine del film per omaggiarlo: “Ognuno ha il proprio tempo da scontare sulla terra”.

Saw X: recensione del film di Kevin Greutert

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Saw X: recensione del film di Kevin Greutert

Prodotto da Lionsgate Productions e Twisted Pictures, arriva al cinema Saw X, il nuovo capitolo della celebre saga horror con Tobin Bell, diretto dall’affezionato Kevin Greutert (Saw VI, Saw 3D). Il film, immerso nel traffico narrativo del suo stesso franchise, viene chiamato a tentare nuove strade; con la speranza che sovrascrivere nuovi codici possa bastare a rilanciare uno sguardo annebbiato.

Saw X: la trama

Al termine degli eventi del primo film John Kramer rimane, com’è noto, un malato terminale disperato, in attesa della morte. E le sue giornate trascorrono logoranti, tra terapie inefficaci e fredde luci al neon. Così, quando un ex compagno del gruppo di supporto gli parla di una procedura medica sperimentale che potrebbe aiutarlo a sconfiggere il cancro, John si reca in Messico per sottoporsi alla cura. Salvo poi scoprire che l’operazione non è che una frode molto ben organizzata, volta a colpire impietosa le persone più vulnerabili. Ferito e infuriato, John decide dunque di vendicarsi dei suoi truffatori, mettendo a punto una serie di famigerate trappole mortali con cui sfidare i nuovi “giocatori”.

Riavvolgere il nastro

Potrebbe risultare affascinante ragionare di John Kramer nei termini di effettiva manifestazione “in pellicola” del regista James Wan – e insieme delle sue perverse e diaboliche macchinazioni. Quel che è certo però è che, all’interno della ormai più che longeva saga di Saw – l’Enigmista, il concetto di eredità ha sempre rivestito un ruolo centrale, necessario al prolungato perpetuarsi del gioco (meta)cinematografico.

Generato quasi vent’anni or sono dalla mente di uno dei cineasti di genere più influenti del nuovo millennio – nonché dalla penna del fedele e fidato Leigh Whannell – il franchise ha dato il via ad un vero e proprio fenomeno di culto, inizialmente confluito in una trilogia e poi allargatosi a macchia d’olio. E così come al “Messia” John Kramer sono via via andatisi sostituendosi i discepoli Amanda, Mark e Logan, allo stesso modo anche la coppia Wan-Whannell ha ben presto abbandonato la direzione della saga, occupandosi in un primo momento della stesura dei soggetti (Saw II e Saw III) e infine auto-relegandosi al ruolo di produttori esecutivi.

Privata della componente autoriale che ne aveva decretato il successo, l’epopea horror di Jigsaw è tuttavia andata sfilacciandosi; e, nel corso degli anni, i meccanismi che l’avevano resa celebre l’hanno invece trasformata in una sequela di ripetitivi giochi al massacro, atti solo ad alzare l’asticella del raccapriccio o seminare indizi nell’ottica di un puzzle più complesso, di una lore/software in costante aggiornamento. Un decadimento lento e inesorabile che ha coinvolto mediocri sceneggiature e discreti mestieranti, e che – dopo il disastroso Saw Legacy e il tentativo di spin-off Spiral – ha di fatto persuaso la produzione della necessità di un efficace restyling.

Restyling

Non a caso utilizziamo questo termine: restyling. Perché Saw X, collocato temporalmente tra il primo e il secondo capitolo della saga, è un convinto – e convincente –  tentativo di riprogettazione strutturale del franchise; una boccata d’aria fresca essenziale a invertire il demoralizzante trend da “copia e incolla” sviluppatosi negli ultimi sedici anni.

John Kramer, promosso a protagonista dell’opera dopo due decenni di aleatoria voce fuoricampo, è allora una delle principali chiavi di volta del processo di “inversione” proposto. Espressione più che adeguata, e ultra-simbolo, di un corpo/cinema malato, richiedente sperimentazione medica. Al suo fianco, necessaria al conferimento di una maggiore tridimensionalità psicologica e alla velleità di umanizzazione della violenza perpetrata, vi è un’evidente dilatazione del ritmo narrativo; in coraggiosa risposta a una frenesia divenuta dictat e a un dilagante sentimento di preconfezionata pigrizia creativa.

Accantonato il poliziesco e, almeno in parte, l’iconico montaggio sincopato, Saw X prende dunque tempo, lo sfrutta per arricchire –  e non appesantire – la già stracolma mitologia del brand; e, senza cadere in facili nostalgie, elabora un intelligente fan service al “servizio” della narrazione. L’opera che ne consegue, incastonata nel bel mezzo di una forzata serialità, trova finalmente adeguate risposte a quesiti finora mai posti e, seppur chiamata a “tornare sui binari” della tortura artigianale (dell’escape room), mette in gioco intriganti stratagemmi di ribaltamento che, una volta tanto, tornano quantomeno a interrogare l’orizzonte d’attesa dello spettatore.

LEGO Marvel Avengers: Code Red, il trailer ufficiale!

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LEGO Marvel Avengers: Code Red, il trailer ufficiale!

La Terra è ancora una volta in pericolo nel nuovo trailer di Lego Marvel Avengers: Code Red, uno speciale animato che sarà presentato in anteprima su Disney+ in settimana. Anche se la squadra di supereroi vuole sempre divertirsi e rilassarsi dopo le missioni, ma il crimine non si ferma mai e una nuova minaccia sta tentando di imprigionare gli eroi una volta per tutte. Nel trailer, il Collezionista si è stancato di raccogliere tesori rari da tutta la galassia e ha deciso che la prossima acquisizione per la sua collezione saranno gli stessi Vendicatori. Gli eroi più potenti della Terra devono escogitare un piano per fermarlo prima che diventino oggetti da collezione.

Lo speciale animato porterà avanti l’eredità della partnership stabilita tra LEGO e Marvel, che hanno lavorato insieme su racconti animati con personaggi come i Guardiani della Galassia e Black Panther. Data la libertà creativa che la timeline animata LEGO offre all’azienda, la Marvel include iterazioni più vecchie di personaggi che combattono insieme a personaggi che sono stati introdotti nei progetti più recenti del Marvel Cinematic Universe.

Il Collezionista, noto anche come Taneleer Tivan, è un cattivo appartenente al lato cosmico dell’Universo Marvel interpretato da Benicio Del Toro nei film live-action. Il personaggio è ossessionato dall’idea di prendere interessanti artefatti da tutta la galassia per creare una collezione unica, ma illegale, di beni rubati. La sua fissazione con l’espansione della sua collezione lo portò al punto di rapire persone e animali dai luoghi che visitava se li considerava interessanti aggiunte alla sua esposizione.

Puoi dare un’occhiata al trailer ufficiale di Lego Marvel Avengers: Code Red qui sotto, prima dell’anteprima speciale su Disney+ il 27 ottobre:

Aquaman e il regno perduto: confermato il ritorno di un personaggio amatissimo dai fan

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Una delle star di Aquaman del 2018 tornerà per il sequel. In un’intervista con Empire, il regista James Wan ha confermato che la piovra che suona il tamburo tornerà in Aquaman e il Regno Perduto. Wan ha anche anticipato che il polpo avrà un ruolo più importante nel film.

Nel primo film di Aquaman, il polpo, chiamato Topo, ha fatto un cameo mentre suonava la batteria. Il polpo è apparso quando Aquman (Jason Momoa) sta per combattere per la prima volta il suo fratellastro Orm (Patrick Wilson) davanti a un pubblico di Atlantidei. Secondo Wan, Topo avrà un ruolo più importante nella storia di Aquman nel sequel. “Topo è un vero personaggio in questo film!” disse Wan. “Nel fumetto, è una parte importante della vita di Arthur: un aiutante, un animale domestico, un amico. Quindi ci stiamo concentrando su quello.” Nei fumetti, Topo è stato introdotto per la prima volta in Adventure Comics n. 229 nel 1956.

Wan ha anche parlato del processo per riportare Topo sul grande schermo che includeva l’uso di un burattino in modo che il protagonista avesse qualcosa di fisico con cui interagire durante la performance. “Adoro il rapporto che Jason ha costruito con questo polpo. È stato davvero divertente vederlo ‘recitare’ con Topo”, ha detto Wan. “A volte avevamo un attore che faceva il ‘muppeting’ con uno stupido burattino a bastoncino: guardare Jason recitare era davvero divertente. Penso che la gente apprezzerà la relazione tra Arthur e Topo.”

Tutto quello che c’è da sapere su Aquaman e il Regno Perduto

Non essendo riuscito a sconfiggere Aquaman la prima volta, Black Manta, ancora spinto dal bisogno di vendicare la morte di suo padre, non si fermerà davanti a nulla pur di sconfiggere Aquaman una volta per tutte. Questa volta Black Manta è più formidabile che mai, poiché brandisce il potere del mitico Tridente Nero, che scatena una forza antica e malvagia. Per sconfiggerlo, Aquaman si rivolgerà al fratello Orm, l’ex re di Atlantide e imprigionato alla fine del primo film, per stringere un’improbabile alleanza. Insieme, dovranno mettere da parte le loro differenze per proteggere il loro regno e salvare la famiglia di Aquaman e il mondo dalla distruzione irreversibile.

Jason Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe in Aquaman e il Regno Perduto, sequel del film che ha rilanciato in positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo seguito, diretto ancora una volta da James Wan (Insidious, The Conjuring), torneranno anche Patrick Wilson nei panni di Ocean Master, Amber Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta, che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo film. David Leslie Johnson-McGoldrick, collaboratore ricorrente di Wanscriverà la sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter Safran saranno co-produttori. Il film arriverà al cinema il 20 dicembre.

Shawn Levy sul suo approccio al suo film di Star Wars: “Sono sempre stato fan di Kylo Ren”

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Shawn Levy è un uomo decisamente impegnato. Tra le tante cose a cui è al lavoro in questo momento, c’è la quinta stagione di Stranger Things e il terzo film di Deadpool, mentre il 2 novembre arriverà su Netflix Tutta la luce che non vediamo, adattamento in forma di mini serie del romanzo premio Pulitzer di Anthony Doerr.

Tra le tante cose a cui però lavorerà in futuro, c’è anche un misterioso progetto nel franchise di Star Wars. Nel corso di un’intervista con Variety, è stato chiesto a Shawn Levy se l’esperienza con Deadpool 3, in cui sta lavorando già con la superpotenza Disney, può essere una “buona pratica” per il suo prossimo lavoro su Star Wars.

“L’esperienza che sto attualmente vivendo con la Marvel su Deadpool mi sta mostrando in prima persona che è davvero possibile sentirsi responsabilizzati e personali nel realizzare un film all’interno di un universo che è più grande di qualsiasi altro film – spiega Levy – Il mio film di Deadpool si sta rivelando esattamente ciò che io e Ryan [Reynolds] speravamo quando abbiamo iniziato. Quindi mi avvicino allo sviluppo del mio film di Star Wars con un ottimismo simile e con la fiducia che al mio istinto sarà permesso di segnare il cammino.”

E il giornalista di Variety incalza, con un’ipotesi azzardata: dal momento che il regista è amico di Adam Driver, sarebbe plausibile un ritorno di Kylo Ren nel suo film di Star Wars? “Parole tue, non mie! – risponde Shawn Levy – Come sai, Adam è un mio amico e sono sempre stato un grande fan di Kylo Ren. Ma nessun commento.”

Mike Flanagan: annunciato il cast all stars del suo La vita di Chuck da Stephen King

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Chiwetel Ejiofor (Rob Peace), Karen Gillan (Guardiani della Galassia Vol. 3) e Jacob Tremblay (The Toxic Avenger) si sono uniti al cast di La vita di Chuck, l’ultimo di molti adattamenti di Stephen King del regista Mike Flanagan (Doctor Sleep), che ha dato il via alla produzione del film all’inizio di questo mese in Alabama grazie a un accordo ad interim. Tom Hiddleston e Mark Hamill guidano l’ensemble del film, scritto e diretto da Flanagan.

Basato su tre storie interconnesse dell’antologia di King Se scorre il sangue del 2020, La vita di Chuck esamina l’esistenza del soggetto Charles Krantz al contrario, iniziando con la sua morte all’età di 39 anni per un tumore al cervello e terminando con la sua infanzia in una casa ritenuta infestata dai fantasmi. Flanagan produrrà l’adattamento cinematografico insieme al suo partner di lunga data della Intrepid Pictures, Trevor Macy.

Mike Flanagan è reduce dal grande successo di La caduta della casa degli Usher per Netflix, mentre con La vita di Chuck segue l’adattamento di Mr. Harrigan’s Phonefilm di John Lee Hancock e adattamento del primo capitolo della trilogia di King Se Scorre il sangue.

Mission: Impossible, posticipata di un anno l’uscita dell’ottavo capitolo

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La Paramount Pictures ha ritardato l’uscita del prossimo Mission: Impossible di quasi un anno intero, spostandola dalla data originale del 28 giugno 2024 al 23 maggio 2025. Come per altri film di queste dimensioni, anche la produzione dell’ottavo film del franchise è stata costretta a fermarsi a causa dello sciopero in corso del SAG-AFTRA e il risultato è che il film non sarà completato in tempo per un’uscita della prossima estate. È un destino che si prospetta per molto film con budget elevati, se il sindacato degli attori e gli studios non troveranno un accordo nelle prossime settimane.

Come conseguenza di questo spostamento, lo studio ha deciso di spostare l’uscita di A Quiet Place: Day One al 28 giugno 2024 invece della data precedentemente prevista dell’8 marzo 2024. E sempre come conseguenza di questo slittamento, un nuovo progetto animato sul francise di SpongeBob è stato posticipato dal 23 maggio 2025 al 19 dicembre 2025.

Ma, tra tanti posticipi, alcuni film sono invece stati anticipati: IF, del regista John Krasinski, una commedia fantasy con Ryan Reynolds, Krasinski, Alan Kim e Phoebe Waller-Bridge, è stato spostato dal 24 maggio 2024 al 17 maggio 2024. Con la sua collocazione attuale, il film si trova nel mezzo di una serie di offerte per il Memorial Day, tra cui Furiosa, Garfield e Il regno del pianeta delle scimmie. Naturalmente, il calendario sarà fluido finché le principali produzioni rimarranno chiuse e ci aspetteremo altri cambi.

Sempre per quello che riguarda l’ottavo Mission: Impossible, Paramount e Skydance stanno abbandonando l’idea di intitolarlo Dead Reckoning Parte Due, nonostante l’uscita quest’anno di Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One.

Posso entrare? An Ode to Naples: recensione del film di Trudie Styler – #RoFF18

Arriva alla Festa del Cinema di Roma Posso entrare? An Ode to Naples di Trudie Styler, regista che, insieme a suo marito Sting, si dice da sempre innamorata dell’Italia. Il film è allora un viaggio bulimico che vuole tenere insieme le mille anime di Napoli in un unico racconto, con il mare sullo sfondo e la fotografia di Dante Spinotti a creare magie. Arriva in punta di piedi Styler, bussa alla porta e chiede: posso entrare? Dall’altra parte trova la calorosa accoglienza napoletana e una voglia di raccontarsi, nel bene e nel male, che non si esaurisce mai, tra orgoglio, resilienza e pragmatismo, per usare le parole della regista inglese, nata poco lontano dalla Stratford – upon – Avon di Shakespeare.

Una densa passeggiata a Napoli con Trudie Styler

Raccontare in poche righe quanto è contenuto nel documentario Posso entrare? An Ode to Naples è impresa ardua. Si può però senz’altro dire che c’è musica, e come avrebbe potuto essere altrimenti? Si parte da Clementino, che apre il film con un rap sulla storia di Napoli, fino ad arrivare all’orchestra dei ragazzi di Sanitansamble. Ci sono l’impegno civile alla Sanità, cuore pulsante di Napoli, e non solo lì, di Don Antonio Loffredo e i progetti cui dà vita nelle sue parrocchie: box, teatro e quant’altro, per sottrarre i giovani alla criminalità. Intervengono Roberto Saviano e Alessandra Clemente. Il primo, da quindici anni sotto scorta, parla del suo rapporto conflittuale con Napoli. La seconda racconta come sia riuscita a trasformare la rabbia per la morte della madre – uccisa da una pallottola vagante durante una sparatoria, quando lei era una bambina – in carburante per cercare di cambiare in meglio la sua città.

Ci sono casalinghe, artigiani, bottegai e ambulanti, che conservano saperi su mestieri antichi e li portano avanti – Michelle, alias Michelina la guantaia, l’acquafrescaio Poppò, Immacolatina e Gennaro, il tipografo Carmine Cervone. Ma vi è anche lo scultore Lello Esposito che con le sue opere porta Napoli nel mondo. Tradizione e devozione: San Gennaro, Pulcinella, il presepe e il Vesuvio, immancabile in un racconto di Napoli. Maradona e la street art di Jorit, la Napoli sotterranea e il racconto storico: il ricordo del fascismo, della guerra e dell’insurrezione popolare delle 4 giornate, attraverso il materiale dell’Istituto Luce. Un caleidoscopio condensato in 107 densissimi minuti.

Troppo materiale senza una direzione precisa

Il problema di Posso entrare? An Ode to Naples è che c’è troppo. È una miscellanea di tutto ciò che è Napoli. Styler non vuole lasciar fuori niente, ma la scelta di non dare un taglio preciso è disorientante e dispersiva. Manca un focus. Così, lo spettatore a volte si perde. Si fa fatica a seguire il discorso per immagini e parole. Il racconto diventa quasi, per usare una metafora letteraria, un flusso di coscienza, in cui si salta da un elemento a un altro senza apparente coerenza logica, ma seguendo un istinto. In questo suo essere caotico, il lavoro intende forse rispecchiare l’essenza di Napoli, fatta di molteplici anime, piena di contrasti, che sembra contenere tutto e il suo contrario.

Tuttavia, il film soffre la mancanza di una direzione. Anche nello stile Posso entrare? An Ode to Naples è una miscellanea: video musicale, documentario con materiale di repertorio, tratto dall’archivio dell’Istituto Luce, interviste a personaggi contemporanei, noti e non. Apprezzabile però, che cerchi di stare lontano dai luoghi comuni. Spesso vi riesce, guardando a ciò che è simbolico, iconico, in modo diverso e obliquo.

Posso entrare An Ode to Naples Trudie Styler

Uno sguardo romantico in Posso entrare? An Ode to Naples

È evidente in Posso entrare? An ode to Naples la passione e il trasporto dello straniero, affascinato dal caleidoscopio frastornante che è Napoli. Questo elemento ci introduce al lato romantico del lavoro. Styler, da inglese, sembra guardare a Napoli con gli stessi occhi dei poeti e degli intellettuali romantici che qui facevano il Grand Tour. Sono citati espressamente – ad esempio, Shelley, con la sua Ode to Naples – e richiamati nel titolo stesso del film. Dal punto di vista visivo, poi, la fotografia di Dante Spinotti contribuisce a creare atmosfere calde e sognanti, con tramonti che sembrano quadri di Turner, senza peraltro dimenticare la chiassosa Napoli dei vicoli e quella grigia delle periferie. Vi è qualche momento particolarmente intenso. Ognuno potrà trovare ciò che farà vibrare maggiormente le sue corde. Uno di questi, però, è sicuramente quello che vede protagonista Sting. Senza spoiler, possiamo dire che qui Styler vince facile, e lo sa.

Le contraddizioni e la resilienza di Napoli

Fortunatamente, la regista vede anche le contraddizioni della città alle pendici del Vesuvio e non le mette da parte. Il disincanto coesiste con la fascinazione. Styler sceglie di mostrare soprattutto chi resiste, chi non soccombe ai problemi e alle sfide che una città complessa come Napoli pone ogni giorno. Racconta il sublime e la criminalità, ma punta su chi si dà da fare per renderla un posto migliore. Sono ad esempio i ragazzi del NEST, progetto teatrale nato in uno stabile abbandonato, da un idea di Francesco Di Leva; o i detenuti che in un laboratorio recuperano il legno delle navi dei migranti per farne strumenti musicali. Simboli di una resilienza e di una voglia di riscatto che hanno sempre fatto di Napoli una città brulicante di vita e, nonostante tutto, di speranza.

Matthew Vaughn sui film di supereroi: “Forse abbiamo tutti bisogno di una pausa”

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Il regista Matthew Vaughn pensa che il genere dei supereroi potrebbe aver bisogno di una pausa e di un po’ di tempo libero per ora. Parlando con Screen Rant , al regista – meglio conosciuto per aver diretto film come Kick-Ass, X-Men: L’inizio e l’imminente Argylle – è stato chiesto se potenzialmente sarebbe tornato nel genere dei supereroi. Per Vaughn, però, pensa che le persone abbiano bisogno di “tempo libero” più di ogni altra cosa.

Sinceramente non so cosa stia succedendo al [genere] dei supereroi, nel senso che, penso, forse abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo libero“, ha detto Vaughn. “Forse qualcuno farà qualcosa di così grande che ci entusiasmerà di nuovo… I film di supereroi sono film. È un film che contiene supereroi. Penso che quello che è successo è che sono diventati dei supereroi, e la parte del film non era così importante.

Per Matthew Vaughn i film sui supereroi richiedono più lavoro

Vaughn ha anche parlato del suo lavoro su X-Men: L’inizio, riflettendo su come mantenerlo con i piedi per terra fosse la chiave per assicurarsi che funzionasse come un film di supereroi, su cui secondo lui di solito devi lavorare di più.

Quando realizzi un film di supereroi, devi lavorare di più perché devi far sì che la gente ci creda“, ha continuato. “Ecco perché ‘X-Men: L’inizio‘ era piuttosto fondato. Lo ambientiamo nella crisi missilistica cubana; avevano problemi umani riconoscibili. E non si basava sulla CG. Penso che anche la CG rovini tutto, perché ti sembra di guardare un videogioco. Non sei con i personaggi. A parte ‘Guardians‘… penso ancora che Groot e il procione siano dei fottuti pezzi di genio e provo così tanto affetto per loro. Quindi sarò incuriosito. Penso che almeno la DC sia sotto… penso che James Gunn e Safran abbiano buone possibilità di emergere, e spero che [Kevin] Feige torni a fare meno film e si concentri nel renderli grandi.

Infine, Vaughn ha anche riconosciuto che c’erano stati un sacco di “brutti film di supereroi” prima del boom del MCU, quindi è curioso di vedere come andranno le cose da qui in avanti. Penso che ci siano stati così tanti brutti film sui supereroi che è come se fossero western. Ne fai così tanti che poi ti annoi del genere, non perché il genere sia brutto ma perché i film sono brutti”, ha aggiunto.“Ero abbastanza grande, purtroppo, quando uscirono Batman e Robin, ed è stato terribile. Ero un grande fan di Batman e dicevamo “Ah!” E poi i supereroi si sono fermati, e poi sono tornati. Ora, sarò curioso di vedere come se la caverà The Marvels.”

A silence: recensione del film di Joachim Lafosse – #RoFF18

A silence: recensione del film di Joachim Lafosse – #RoFF18

Alla sua undicesima fatica, A silence, Joachim Lafosse decide di dipingere un inquietante e infausto affresco sul silenzio familiare, il quale nasce da un profondo senso di vergogna scaturito da qualcuno facente parte dello stesso nucleo. Perché se il silenzio è cifra dominante, l’albero visibile dell’ultimo film del regista belga, il disagio provocato da esso, che altri non è che un segreto oscuro inaccettabile, ne è la radice nascosta. La quale giorno dopo giorno, anno dopo anno, diventa sempre più fitta, più grossa e più difficile da estirpare. Lafosse per delineare il suo A silence parte da una figura esistente, legata a un fatto di cronaca che sconvolse il Belgio: Marc Dutroux, soprannominato il Mostro di Marcinelle, che abusava e seviziava adolescenti per poi lasciarle morire.

Fra queste c’erano Julie e Melissa, 8 anni, il cui avvocato dei genitori che seguiva il caso si scoprì in seguito essere lui stesso stato condannato per detenzione di immagini pedopornografiche, e che nel film di Lafosse diventa uno dei protagonista principali. Un racconto, dunque, non solo disturbante, ma anche allucinante, che suscita non poche riflessioni su un sistema nel quale, alla fine dei conti, nessuno è davvero al sicuro. O tutelato, da quegli stessi paladini della giustizia che poi si scoprono essere a loro volta carnefici. A silence è in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, e ha nel cast Daniel Auteuil, Emmanuelle Devos e Matthieu Galoux.

A silence, la trama

Astrid è la moglie di un importante avvocato, François, il quale sta cercando di ottenere giustizia su un caso che vede coinvolte due bambine vittime di pedofilia e abusi sessuali, oramai morte. Attacca perfino il sistema giudiziario, si espone ai giornalisti inveendo contro il folle criminale che ha commesso oscenità inaudite. Ma una volta tornato a casa da Astrid e il figlio adottivo Raphaël, e chiuse le porte, quello stesso uomo non è chi dice di essere. Non è quello che sembra. Fra le mura di quella villa c’è un segreto, che la moglie nasconde da tantissimo tempo, ed è legato alle notti di François.

Egli infatti invece di dormire sta davanti a un computer e guarda qualcosa che si percepisce essere indecente. Eppure lei non vuole parlare. Nel frattempo, però, la figlia maggiore si reca dalla madre per darle una notizia: Pierre, lo zio, a distanza di venticinque anni vuole denunciare François per averlo violentato quando era giovane. Da quel momento in poi, l’equilibrio apparentemente stabile della famiglia si sgretola. Ma mentre Astrid cerca di tenere insieme i pezzi, quasi negando la verità a se stessa, Raphaël deciderà di agire in un altro, duro, modo.

A silence Emmanuelle Devos

Dentro i silenzi di una donna sola

Lafosse inizia dalla fine. Comincia con un breve piano sequenza sugli occhi di Astrid mentre si reca dalla polizia, gli unici che non possono mentire come la sua bocca ha fatto per lungo tempo. È uno sguardo affranto ma al tempo stesso consapevole, il suo. Smarrito, colpevole, pieno di vergogna. Il silenzio è stato un cancro che l’ha mangiata viva per ben venticinque anni, ma nel suo cuore conosce la verità, ed è di questa che ha proprio paura. In fondo, non è la paura di perdere qualcosa che genera proprio l’atto del tacere? Deve arrivare una scossa, quella decisiva e assestante, per rimettere in prospettiva una vita che è andata perdendosi per proteggere qualcuno che, poi, neanche si conosce o vuole più.

A silence parte con lei e finisce con lei, perché Astrid è il filo conduttore del racconto, le sono legati tutti i personaggi i quali, nell’operazione lenta di disvelamento che avviene fra luci e ombre, dipendono da lei. Se parla, crolla tutto. Le false certezze su cui ha costruito castelli di sabbia fragili, un amore tenuto in piedi solo per timore di rimanere sola (ma lo è già), e la lussuosa casa, in cui si rifugia per ricordarsi che almeno vive nell’agio, anche se poi comunque piange. Il regista, con questa scelta, decide di focalizzarsi, più che sul crimine commesso da François – che fa comunque da sfondo e da escamotage narrativo – sulle reazioni dei familiari, sulla rottura degli equilibri interni, e sulla poca lucidità che si ha verso stessi e gli altri quando questa è figlia della vergogna.

Forse alcuni passaggi sono un po’ troppo frettolosi considerato il carico drammatico ed emotivo del film, ma nel suo complesso il dramma funziona e nel suo rivelarsi diventa sempre più tetro. E poi c’è Emmanuelle Devos, pilastro principale di A silence, che con la sua provata e imponente presenza scenica riempie ogni sequenza e ci permette di accedere allo stato d’animo di una donna in crisi, combattuta e fragile, che proprio per questo non vuole accettare la realtà dei fatti. Per allieviare il suo senso di colpa mente a se stessa, dicendo sia a lei che ai suoi figli che ciò che è accaduto è oramai nel passato, e la cosa giusta è rimanere in silenzio per il bene della famiglia.

Ma quando poi è la stessa famiglia a ribellarsi, a cercare giustizia e in qualche modo farsela, quali sono le cose che contano davvero? Qual è la scelta giusta da prendere? Forse nessuna, forse quando la vergogna è troppo grande, ci dice Lafosse, quello che rimane da fare è lasciarsi andare agli eventi e far decidere il destino. Ma quando poi si è liberi, come lo sarà Astrid, ma anche Raphaël, tutto ha un sapore diverso. E finalmente si può vedere la luce.

Fallout: svelata la data d’uscita della nuova serie Prime Video

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Fallout: svelata la data d’uscita della nuova serie Prime Video

Oggi Prime Video ha annunciato che la nuova attesissima serie Fallout sarà disponibile dal 12 aprile 2024.

Lo speciale annuncio ha sorpreso i fan in occasione del 26° anniversario del Fallout Day, una ricorrenza annuale dedicata a tutto ciò che riguarda il pluripremiato franchise best-seller di videogiochi. Inoltre, Amazon Studios ha lanciato i canali social ufficiali della serie per coinvolgere i fan appassionati di tutto il mondo. I social sono stati lanciati con un’interfaccia grafica interattiva Pip-Boy che embedda la data di uscita all’interno del testo scorrevole per divertire e sorprendere ulteriormente i fan e il pubblico di tutto il mondo.

 

 

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Ambientata nella Los Angeles e nel mondo futuro e post-apocalittico di Fallout, la serie è una storia originale basata su Fallout, che farà parte del canone dei videogiochi. La serie nasce da Kilter Films e dagli executive producer Jonathan Nolan e Lisa Joy, i creatori di Westworld. Sarà disponibile in streaming in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo.

Il cast della serie include Ella Purnell (Yellowjackets), Walton Goggins (The Hateful Eight), Aaron Moten (Emancipation – Oltre la libertà), Moisés Arias (Il re di Staten Island), Kyle MacLachlan (Twin Peaks), Sarita Choudhury (Homeland),  Michael Emerson (Person of Interest), Leslie Uggams (Deadpool), Frances Turner (The Boys), Dave Register (Heightened), Zach Cherry (Scissione),  Johnny Pemberton (Ant-Man), Rodrigo Luzzi (Dead Ringers – Inseparabili), Annabel O’Hagan (Law & Order: Unità Vittime Speciali) e Xelia Mendes-Jones (La Ruota del Tempo).

Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner sono executive producer, autori e co-showrunner. Jonathan Nolan e Lisa Joy sono executive producer per Kilter Films sotto il loro overall deal con Amazon. Athena Wickham di Kilter Films è anche executive producer insieme a Todd Howard per Bethesda Game Studios e James Altman per Bethesda Softworks. Amazon e Kilter Films producono in associazione con Bethesda Game Studios e Bethesda Softworks. Nolan ha diretto i primi tre episodi di questa serie epica.

Il cliente: libro, trama e cast del film con Susan Sarandon

Il cliente: libro, trama e cast del film con Susan Sarandon

Ancora oggi il regista Joel Schumacher è ricordato principalmente per i disastrosi film Batman Forever e Batman & Robin. Eppure, nella sua filmografia si possono ritrovare film che dimostrano la sua grandezza come uomo di cinema. In particolare, si possono citare titoli come St. Elmo’s Fire, Linea mortale e Un giorno di ordinaria follia. Tra i suoi più apprezzati film degli anni Novanta si annovera anche Il cliente, un solido legal thriller ricordato per la sua complessa vicenda, i risvolti da puro giallo e interpretazioni ancora oggi tra le migliori degli attori coinvolti.

Scritto da Robert Getchell e Akiva Goldsman, il film è tratto dall’omonimo romanzo del 1993 scritto da John Grisham. Lo scrittore, dalle cui opere sono stati tratti anche film come Il rapporto Pelican e La giuria, è un esperto di gialli giudiziari, avendo lui conseguito la laurea in legge e aver lavorato per anni come avvocato. Proprio grazie a questa sua esperienza, i suoi racconti sono particolarmente solidi e tesi da questo punto di vista, configurandosi alla perfezione anche per il cinema. Proprio per questo Il cliente, a fronte di un budget di 45 milioni di dollari, è arrivato a guadagnarne oltre 117 nel mondo.

Apprezzato dalla critica e dal pubblico, il film permise di realizzare anche una serie TV omonima, anch’essa basata sul libro di Grisham e andata in ondata in onda dal 1995 al 1996. Per tutti gli amanti del thriller, ancora oggi Il cliente è un titolo da non perdere assolutamente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il cliente: la trama del film

Protagonista del film è l’undicenne Mark Sway, la cui vita è da sempre molto difficile e priva di controllo. Abbandonato dal padre quando era appena un bambino, egli vive in una misera roulotte insieme alla madre e al fratellino. Insieme a questo, Mark è solito avventurarsi nei boschi in cerca di qualcosa da fare. È proprio qui che un giorno Mark diventa testimone del suicidio di un avvocato legato alla mafia, il quale prima di togliersi la vita rivela al ragazzo dov’è sepolto il corpo di un senatore ucciso dal criminale Barry Muldano. Sotto shock per l’accaduto, Mark non tarda a comunicare quanto accaduto, venendo subito raggiunto dall’FBI.

Gli agenti che lo incontrano vorrebbero fargli rivelare quanti più dettagli possibile circa quanto da lui visto, ma Mark comprende che, nel caso parlasse, diventerebbe subito un obiettivo primario da parte della mafia. Insieme a sua madre, il ragazzino ricerca dunque un avvocato di cui potersi fidare e lo trova in Reggie Love. La donna, di indole testarda, si offre da subito di proteggere Mark dalla polizia federale, dalle grinfie del Reverendo Roy Foltrigg, procuratore distrettuale, e dallo stesso Muldano, che cercherà di mettere a tacere il piccolo testimone.

Il cliente cast

Il cliente: il cast del film

Trovare un interprete per il ruolo dell’undicenne Mark Sway non fu affatto semplice. Grisham, infatti, aveva potere decisionale sulle scelte di casting e per tale ruolo aveva richiesto un bambino che non avesse esperienze pregresse nel cinema. Egli sosteneva che il film non avrebbe funzionato con un noto attore bambino dall’accento fasullo nel ruolo e che scegliendo uno sconosciuto nella parte (preferibilmente dall’area di Memphis, dove è ambientata la storia) la credibilità del film non sarebbe stata compromessa. Alla fine fu scelto il compianto Brad Renfro, che arrivò a battere nella selezione anche Macaulay Culkin, noto per il film Mamma ho perso l’aereo.

Per convincere l’attrice Susan Sarandon ad accettare la parte dell’avvocato Reggie Love, il regista Joel Schumacher le ha proposto un “matrimonio cinematografico”, inginocchiandosi in mezzo a un affollato ristorante di New York. Davanti a quel gesto, l’attrice accettò e per la sua interpretazione è poi stata candidata al premio Oscar. Ad interpretare il duro Reverendo Roy Foltrigg vi è invece l’attore Tommy Lee Jones, acclamato in quegli anni grazie anche al thriller Il fuggitivo. Mary-Louise Parker interpreta Dianne Sway, madre di Mark, mentre Anthony LaPaglia è il mafioso Barry Muldano. William H. Macy è il dottor Greenway, mentre J. T. Walsh è l’avvocato Jason McThune.

Il cliente: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il cliente è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV e Disney+. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 23 ottobre alle ore 21:15 sul canale La7.

Fonte: IMDb

I leoni di Sicilia: recensione della serie di Paolo Genovese – #RoFF18

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I leoni di Sicilia, caso letterario del 2020, divenuto presto un best seller e che ancora oggi è oggetto di continue ristampe diventa una serie tv in otto episodi diretta da Paolo Genovese. La famiglia Florio, una famiglia poco convenzionale che con i suoi pregi e difetti è riuscita a creare un impero di cui ancora trasudano i palazzi e le tonnare siciliane. La serie, che sarà disponibile su Disney+ a partire dal 25 ottobre con i primi quattro episodi e dall’1 novembre con i restanti quattro parte proprio dalla genesi degli affari dei Florio che da Bagnara, in Calabria, si sono trasferiti a Palermo in cerca di fortuna. Una fortuna che Paolo Florio ha sempre auspicato per la sua famiglia, una fortuna che ha costruito lui stesso con le sue mani. La serie è stata presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle.

I leoni di Sicilia, la trama

A livello di fedeltà storica e di fedeltà al romanzo, I leoni di Sicilia diretto da Paolo Genovese ha tutti gli elementi al posto giusto. Tutto ci porta in quella Palermo barocca, dove per le strade si respira aria di spezie di tutti i tipi. Lo sanno bene i Florio che hanno cominciato il loro impero proprio come commercianti di curry, zafferano, finocchietto e sesamo. Tutti sapori antichi di una terra sempre conquistata che ha assorbito le tradizioni dei popoli di passaggio. In cerca di riscatto sociale, i Florio giunti a Palermo creeranno un vero e proprio business complici le idee rivoluzionare di Paolo Florio (interpretato da Vinicio Marchioni) che tramanderà al figlio, Vincenzo (interpretato da Michele Riondino).

Paolo Florio è burbero ma si rende ben presto conto del potere della sua famiglia, per questo a suo figlio Vincerò insegnerà fin da subito il mestiere del “putiaro”, del commerciante. Ma Vincenzo cresce, e con lui il mondo cambia. In Sicilia arriva l’acqua corrente e il commercio non si fa più solo con le spezie ma anche con i terreni. Su Vincenzo Florio e sulla sua dinastia, composta dal figlio Ignazio, si concentra I leoni di Sicilia. Venditore stratega che ha messo in ginocchio tutti i nobili di Palermo e uomo che viene travolto dall’amore per Giulia (interpretata da Miriam Leone), donna in contrasto con le rigide regole della Sicilia del 1800. Proprio con Vincenzo la Casa Florio acquisterà prestigio di un vero e proprio impero commerciale e sarà la sua ambizione a portare il buon nome della sua famiglia in alto, tra gli alti ranghi sociali.

I leoni di Sicilia serie tv

Artefici del proprio destino

Paolo, prima, e Vincenzo, poi, entrambi artefici del proprio destino. Una fortuna che hanno costruito con le loro mani solo per non sentirsi mai un passo indietro a nessuno. Qui la storia familiare si intreccia con la storia d’amore. La storia della famiglia fin dagli inizi dell’800 è la parte più interessante perché la serie compie un viaggio a ritroso e ci accompagna verso la fortuna della famiglia Florio che passerà inevitabilmente anche da momenti molto toccanti ed emozionanti come la morte del padre Paolo. Il personaggio interpretato da Vinicio Marchioni è il capostipite della dinastia così come la conosciamo oggi ma non è perfetto. Calpesterebbe chiunque per arrivare al successo e per far vivere la sua famiglia negli agi. Dall’acquisto della tonnara ad altri terreni e possedimenti della famiglia Florio, I leoni di Sicilia parla anche d’amore e in particolare quello tra un Vincenzo ormai consolidato negli affari e nel nome e Giulia, figlia di nessuno, ma di cui lui si innamora in modo travolgente. La loro storia d’amore si intreccerà con la storia di crescita della famiglia e anche con il periodo storico che stava vivendo l’Italia verso l’Unità.

La serie si ferma al 1861 quando a succedere a Vincenzo, e tenere alto il buon nome dei Florio ci sarà l’unico erede maschio della famiglia, Ignazio. Con Ignazio si apre un nuovo mondo per i Florio che continueranno ad espandersi sempre di più fino alla decadenza. In questi episodi visti in anteprima alla Festa del Cinema di Roma I leoni di Sicilia non ruggiscono ancora, anzi, sono ancora molto timidi e impacciati ma sono comunque pronti a raccontare la loro storia. C’è ancora molto da vedere e da rivedere – come per esempio alcuni brani della colonna sonora.

Il ragazzo e l’airone: recensione del film di Hayao Miyazaki – #RoFF18

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Hayao Miyazaki, uno dei maestri dell’animazione giapponese e uno dei registi più visionari mai vissuti, torna sul grande schermo con Il ragazzo e l’airone. Era il 2013 quando, dopo la presentazione alla Mostra di Venezia di Si alza il vento, il sensei annunciò che si sarebbe ritirato dall’attività di produzione di lungometraggi d’animazione. Per fortuna, l’impulso creativo, la necessità di disegnare e di raccontare storie erano troppo forti, e così, a partire dall’ispirazione arrivata dal romanzo E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino (che dà il titolo originale al film) realizza il suo nuovo lungometraggio che, dopo una serie di proiezioni ai festival e l’uscita in Giappone e negli USA, arriva nelle sale italiane dal 1° gennaio 2024 distribuito da Lucky Red.

Il ragazzo e l’airone, la trama

Il ragazzo e l’airone è un raro caso, nel cinema di Miyazaki, in cui il protagonista della storia è un uomo, un ragazzo di nome Mahito Maki che, a distanza di un anno dalla morte della madre in un tragico incendio, combatte ancora con il dolore della perdita, mentre con il padre lascia il centro abitato di una Tokyo in guerra, per rifugiarsi in una villa in campagna, dove va a vivere insieme a sua zia Natsuko, che nel frattempo è diventata la nuova moglie del padre. In questo luogo affascinante ma sinistro, dalla storia antica, Mahito incrocia il suo cammino con un airone cenerino, che si rivelerà essere una specie di Virgilio, una guida per il ragazzo che sarà costretto ad attraversare una sorta di inferno, un mondo parallelo a quello in cui vive, per poter affrontare le sue paure, i suoi dolori, e ricominciare a vivere.

Sebbene sia volontà comune affermare che Il ragazzo e l’airone è il capolavoro della sua filmografia, appare molto più realistico parlare di una nuova gemma preziosa che il sensei aggiunge al tesoro inestimabile che è la sua filmografia.

Un nuovo inizio

Dopo il sapore “finale” (nel senso più vitale del termine) di Si alza il vento, film che per tanti anni è stato considerato il suo ultimo, era interessante scoprire cos’altro Miyazaki avesse da dire. La risposta, forse, è nascosta nella visione della vita, tipica della cultura giapponese, in cui niente finisce davvero, e ogni esistenza che trova il suo compimento poi riparte di nuovo da zero, come nel percorso artistico del grande maestro. Con Il ragazzo e l’airone, il regista sembra infatti tornare indietro, o meglio, ripartire dal via, imbastendo una storia ricchissima che si nutre di simbolismi e metafore, raccogliendo tutti i temi a lui più cari e raccontando di un personaggio che, mai come in questo caso, sembra un suo alter ego.

Il canone miyazakiano

L’elaborazione del lutto per la madre, l’orrore della guerra, la difficoltà di adattarsi a un nuovo status, sono tutti elementi che appartengono alla biografia di Hayao ragazzo e che sono stati sempre presenti nel suo cinema. Così come l’idea di un mondo fantastico che coesiste in una realtà parallela o sovrapposta a quella reale, in cui piccole creature popolano gli anfratti dell’esistenza, insieme a minacce spaventose, a figure eroiche e creature in continua trasformazione, come giovanissime donne che controllano il fuoco e bruciano dalla voglia di vivere, pur conoscendo la loro sorte.

Ne Il ragazzo e l’airone il piano della realtà è funestato dalla guerra (la scena d’apertura ricorda molto da vicino Una tomba per le lucciole di Isao Takahata), è un mondo in cui Mahito fatica ad adattarsi. L’arrivo dell’airone cenerino e la porta che questo gli apre sul piano della fantasia, su un mondo altro, si presenta come un’opportunità di rivedere la propria madre scomparsa, ma in fondo è anche un tentativo di fuga. Il giovane protagonista lascia il suo mondo proprio perché quello in cui vive non gli piace, ma nonostante l’esistenza certa di spiriti, mostri e parrottini giganti pronti a mangiare chiunque, nessun sogno, per quanto vivido e confortante è preferibile alla realtà in cui viviamo e Mahito dovrà capirlo a sue spese, occupando il suo posto nel nuovo ordine delle cose e accettando il compito che gli viene affidato di portare equilibrio e nuovo ordine, nuova vita e speranza nel (suo) mondo dilaniato dalla sofferenza.

Uno spirito creativo in continuo divenire

Lo stile di Hayao Miyazaki si conferma, dunque, ricco e composito che sorprende continuamente sia per le soluzioni narrative che il regista adotta, sia per l’immaginario che mette in scena, un mondo in continuo divenire, ricchissimo e pullulante di vita e creatività, proprio come il suo spirito creativo, la sua voglia di disegnare che gli ha fatto revocare la “pensione” auto-imposta e lo terrà al lavoro ancora per molto, ci auguriamo.

Box office: I Me contro te primi in classifica

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Box office: I Me contro te primi in classifica

Al box office del fine settimana appena concluso il nuovo film dei Me contro te, Vacanze in Transilvania, conquista inaspettatamente il pubblico di grandi e piccini, ottenendo il primo posto nella classifica incassi. La pellicola ha incassato ben €784.299 a fronte di un totale di quasi 2 milioni di euro dall’uscita nelle sale il 19 ottobre.

La presenza dei Me contro te come campione d’incassi nel week end appena concluso può un po’ sconvolgere molti cinefili per via dell’arrivo nei cinema in contemporanea di una nuova opera di uno dei registi contemporanei più noti ed apprezzati dal pubblico.  Stiamo parlando di Killer of the flower moon, diretto da Martin Scorsese con Leonardo di Caprio e Robert de Niro. La pellicola, seconda al box office, ha incassato €532.575 a fronte di un totale che supera il milione e mezzo di euro dall’uscita il 19 ottobre.

Al terzo posto ritroviamo L’ultima volta che siamo stati bambini, pellicola italiana ed esordio alla regia dell’attore Claudio Bisio. Il film incassa €163.072 nel fine settimana e supera il milione dal suo approdo nelle sale il 12 ottobre.

Box office: il resto della classifica

Al quarto e quinto posto si trovano rispettivamente Dogman, nuova pellicola di Luc Besson presentata al festival del cinema di Venezia, e L’esorcista-il credente, sesta pellicola della saga cinematografica. Dogman incassa €91.659 su un totale che sfiora il milione di euro mentre L’esorcista arriva ad un incasso di €89.933 nel week end e di più di 2 milioni e mezzo dall’approdo nelle sale. Sesto classificato è Assassinio a Venezia, terzo capitolo della serie cinematografica di adattamenti dei romanzi di Agatha Christie; il film incassa €79.594 a fronte di un totale di 8 milioni di euro dall’uscita nei cinema il 14 settembre.

Al settimo ed ottavo posto si classificano Paw Patrol: il super film, pellicola animata per bambini sequel di Paw Patrol: il film, e Taylor Swift-the eras tour, film concerto della tappa a Los Angeles fatta dalla cantante. Paw Patrol incassa 71.291 a fronte di un totale di più di 1 milione e mezzo di euro, mentre Taylor Swift-the eras tour raggiunge un guadagno di €57.467 nel week  end e di quasi 1 milione dalla sua uscita il 13 ottobre.

Ultimi due classificati sono rispettivamente Volevo un figlio maschio, commedia italiana con Enrico Brignano, e Io Capitano, pellicola su tematiche di attualità diretta da Matteo Garrone. Volevo un figlio maschio incassa €52.294 mentre Io Capitano raggiunge un guadagno di €41.294 a fronte di un totale di 3 milioni e mezzo di euro dalla sua uscita nei cinema il 7 settembre.

Cocainorso in streaming su NOW e in tv su SKY

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Cocainorso in streaming su NOW e in tv su SKY

Arriva su Sky COCAINORSO, survival movie inspirato a un’incredibile storia vera avvenuta nel 1985 a Knoxville in Tennessee, quando un orso morì dopo aver ingerito una grande quantità di cocaina abbandonata in un bosco da dei trafficanti. Il film sarà in prima tv mercoledì 25 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand anche in 4K.

Diretto da Elizabeth Banks e scritto da Jimmy Warden, il film è interpretato da Keri Russell, O’Shea Jackson Jr.,Christian Convery, Alden Ehrenreich, Jesse Tyler Ferguson, Brooklynn Prince, Isiah Whitlock Jr., Kristofer Hivju, Hannah Hoekstra e Aaron Holliday, oltre alla vincitrice dell’Emmy Margo Martindale e il compianto vincitore dell’EmmyRay Liotta.

La trama del film

Ispirata alla storia vera del 1985 dell’incidente aereo di un trafficante di droga, della scomparsa della cocaina e dell’orso nero che se la mangiò, questa commedia dark e selvaggia vede uno strano gruppo di poliziotti, criminali, turisti e adolescenti che convergono in una foresta della Georgia dove un predatore di 500 libbre ha ingerito una quantità sbalorditiva di cocaina e, su tutte le furie per colpa della droga, è scatenato, alla ricerca di colpi e sangue.

COCAINORSO– Mercoledì 25 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand anche in 4K, per i clienti Sky Q o Sky Glass con pacchetto Sky Cinema e con servizio opzione Sky HD/Sky Ultra HD attivo.

Messi Meets America: Every Kid Dreams About – clip

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Messi Meets America: Every Kid Dreams About – clip

Ecco una clip da “Messi Meets America“, il nuovo documentario in sei parti che racconta il dietro le quinte di questo nuovo capitolo della carriera da record di Messi, disponibile su Apple TV+ dall’11 ottobre.

https://www.youtube.com/watch?v=c1ns1C_MUrI

Dopo oltre vent’anni indimenticabili di eccellenza calcistica, primati inarrivabili raggiunti tra Barcellona e Paris Saint-Germain, e dopo aver vinto la Coppa del Mondo FIFA Qatar 2022 con la nazionale di calcio argentina, Leo Messi ha preso una decisione epocale che ha cambiato per sempre il volto del calcio in Nord America, unendosi alla Major League Soccer e all’Inter Miami CF. Grazie a un accesso senza precedenti a Messi e alla sua nuova famiglia dell’Inter Miami CF, “Messi Meets America” porta gli spettatori dietro le quinte della vita e della carriera del più grande giocatore mai sceso in campo, osservandolo condurre la sua nuova squadra alla conquista del titolo in Coppa di Lega e oltre.

Dal record di sold out registrato in tutta l’America a una velocità impressionante, all’incredibile gol vincente segnato all’ultimo minuto della sua prima partita, ai momenti trascorsi con i suoi compagni di squadra dell’Inter Miami CF, la serie racconta l’immersione di Leo in America, la trasformazione dell’Inter Miami CF e, soprattutto, l’impatto che sta attualmente avendo sul calcio in Nord America, mentre la “Messi Mania” attraversa l’intero continente.

I Leoni di Sicilia: presentata la serie tv alla Festa del Cinema di Roma

I Leoni di Sicilia, la nuova serie originale italiana Disney+ diretta da Paolo Genovese e tratta dall’omonimo bestseller di Stefania Auci, è stata presentata in anteprima alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma e debutterà mercoledì 25 ottobre in esclusiva su Disney+ in Italia con i primi quattro episodi, mentre i restanti quattro saranno disponibili a partire dal 1° novembre. La serie sarà disponibile su Hulu negli Stati Uniti, su Star+ in America Latina e su Disney+ in tutti gli altri territori.

Dal regista Paolo Genovese, che ne è anche produttore creativo, la serie in otto episodi è prodotta da Francesco e Federico Scardamaglia per Compagnia Leone Cinematografica e da Raffaella Leone e Marco Belardi per Lotus Production, una società Leone Film Group. I Leoni di Sicilia è una serie scritta da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo.

I Leoni di Sicilia è l’avvincente storia della famiglia Florio. I fratelli Paolo e Ignazio sono due piccoli commercianti di spezie fuggiti da una Calabria ancorata al passato e in cerca di riscatto sociale. In Sicilia s’inventano un futuro, dove a partire da una bottega malmessa danno vita a un’attività florida che il giovane figlio di Paolo, Vincenzo, con le sue idee rivoluzionarie, trasformerà poi in un impero. Tuttavia, a travolgere la vita di Vincenzo, e quella di tutta la famiglia, è l’arrivo dirompente di Giulia, una donna forte e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del tempo. I Leoni di Sicilia è un’epopea fatta di amore, famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, che si svolge nella Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861.

La serie è interpretata da Michele Riondino nel ruolo di Vincenzo Florio, Miriam Leone in quello di Giulia Portalupi, Donatella Finocchiaro in quello di Giuseppina, Vinicio Marchioni nei panni di Paolo Florio, Eduardo Scarpetta nel ruolo di Ignazio Florio (figlio di Vincenzo), Paolo Briguglia in quello di Ignazio Florio, Ester Pantano nel ruolo di Giuseppina giovane e Adele Cammarata in quello di Giovanna D’Ondes.

Durare”, il nuovo singolo di Laura Pausini è la end credit song di tutti gli otto episodi della serie. Il brano sarà inoltre disponibile anche nella sua versione spagnola, intitolata “Durar”, selezionando l’audio degli episodi in spagnolo.

Anatomia di una caduta: recensione del film di Justine Triet – #RoFF18

Ama raccontare storie di donne Justine Triet. Lo fa anche alla Festa del Cinema di Roma con Anatomia di una caduta, dramma a carattere processuale e di approfondimento psicologico che esplora nel dettaglio, quasi dissezionandolo chirurgicamente, il rapporto di coppia tra i due protagonisti, e con il loro figlio undicenne. Il film, prima di essere presentato nel festival romano, si era già fatto notare al Festival di Cannes, dove ha ottenuto il premio più prestigioso: la Palma d’Oro.

La trama di Anatomia di una caduta

Sandra (Sandra Hüller) e suo marito Samuel (Samuel Theis) entrambi scrittori, vivono con il loro figlio Daniel (Milo Machado Graner) che ha perso la vista dopo un incidente, in una baita di montagna vicino a Grenoble. Una mattina Samuel viene però trovato cadavere sulla neve. È caduto giù dalla finestra. Se sia stato un incidente, un tentativo di suicidio, o se l’uomo sia stato ucciso, lo stabilirà il processo che seguirà, in cui la moglie, Sandra, è la principale sospettata.

La donna assume per la sua difesa l’avvocato e vecchio amico, Vincent (Swann Arlaud). Il processo porterà a ripercorrere le fasi di un rapporto travagliato, svelerà vecchi rancori, fragilità e verità nascoste, facendo luce anche su come ciascuno dei coniugi abbia elaborato l’incidente occorso al figlio anni prima. Daniel, dal canto suo, dovrà venire a patti con una nuova idea del rapporto tra i suoi genitori. Al suo fianco, sempre Snoop, il fedele cane guida.

Anatomia di un rapporto di coppia

Anatomia di una caduta potrebbe dirsi un film chirurgico. Se si parte dall’esame autoptico di un corpo, infatti, si passa presto a una disamina millimetrica, il più possibile oggettiva nelle intenzioni, del rapporto fra Sandra e Samuel. Ecco quindi che il titolo è anche metafora calzante. L’incedere minuzioso e “scientifico” è proprio del processo, che intende analizzare freddamente la relazione tra i due, per capire se lì si possano annidare i germi di una volontà omicida. Daniel, undicenne, assiste a questa dissezione e ispezione del rapporto tra i suoi e impara a conoscerli di nuovo. L’idea è buona, ed effettivamente riesce a far emergere le ombre che ci possono essere anche in una coppia che apparentemente funziona.

Anatomia di una caduta Sandra Hüller

L’incedere lento di Anatomia di una caduta

Del processo chirurgico di dissezione Anatomia di una caduta ha anche la lentezza. In chirurgia, si sa, se si sbaglia, le conseguenze possono essere gravi, e anche in giurisprudenza. L’andamento lento, però, è anche il punto debole del film, amplificato poi dal fatto, pur lodevole, che la regista proceda con particolare delicatezza nel raccontare questa storia, senza il ricorso a facili soluzioni come scene madri o spettacolarizzazioni. Le varie sfumature della vicenda vengono snocciolate a poco a poco, nell’arco di 150 minuti. Occorre ammettere che, pur con le buone interpretazioni dei protagonisti e di tutto il cast, Anatomia di una caduta risulta in certi tratti monotono e poco avvincente.

Interpretazioni sentite e convincenti

Sicuramente convincenti sono invece le interpretazioni, in special modo quella della protagonista, di cui si percepisce lo spaesamento di fronte al processo, come quello che la aveva colta nel trasferirsi in Francia da Londra, assecondando un desiderio del marito. Una donna con luci e ombre, fragilità e punti di forza. Contrasti che la rendono umana, una donna in cui ci si può riconoscere. Merito va anche al giovane Milo Machado Graner, nei panni di Daniel e al border collie che interpreta il cane guida, Snoop. Si tratta di un film non facile, molto parlato e con pochi momenti di azione, che effettivamente patisce un’eccessiva lunghezza, ma una buona analisi psicologica è la forza di Anatomia di una caduta, assieme all’intensità dei suoi protagonisti, che danno vita a momenti di coinvolgimento emotivo, seppure discontinui.

Fantastici Quattro: Matt Shakman parla della sostituzione di Jon Watts e fornisce nuovi dettagli sul film

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Sfortunatamente, anche dopo mesi di voci apparentemente infinite, ci vorrà ancora un po’ per avere notizie concrete sul casting del film MCU Fantastici Quattro. Tuttavia, mentre era impegnato nella promozione dela serie Monarch: Legacy of Monsters di Apple TV+, il regista Matt Shakman è stato in grado di condividere alcuni aggiornamenti minori sul film durante un’intervista con The Playlist. Alla domanda su quali siano le ultime novità sul processo di casting, il regista ha promesso che “ci sarà un annuncio ad un certo punto“, aggiungendo poi di sentirsi “entusiasta che le persone siano appassionate di questi personaggi quanto lo sono io“.

Il fatto che ci sia così tanto dibattito, lo adoro. Ho pensato a chi avrebbe dovuto interpretare questi personaggi prima di avere l’incarico di dirigere il film, e capisco perché tutti la penserebbero allo stesso modo. La chimica è estremamente importante… è la prima famiglia della Marvel e devo costruirla bene. Devo ottenere quella giusta chimica“. Shakman ha poi continuato affermando che “l’annuncio non sarà immediato quando lo sciopero del SAG si sarà risolto, ma prima o poi saremo in grado di condividere alcune notizie. E spero che le persone saranno entusiaste di questo cast quanto lo sono io.

Successivamente, rivelando che Fantastici Quattro è l’unico progetto per cui ha incontrato i Marvel Studios, dopo aver lavorato su WandaVision, Shakman ha condiviso i suoi pensieri sulla sostituzione del regista di Spider-Man: No Way Home, Jon Watts, inizialmente scelto come guida del film. “Jon Watts ha lavorato per un po’ al progetto e avrebbe fatto un lavoro fantastico, ma poi la sua strada ha preso un’altra direzione ed io sono stato entusiasta di salire sulla sedia del regista e prendere il suo posto. Voglio dire, abbiamo portato avanti il nostro processo in modo coerente”.

Sono stato nel progetto per poco più di un anno e ci ho lavorato duro come lavoreremmo su qualsiasi film della Marvel… a cominciare da qual è la storia che vogliamo raccontare. Qual è il tema della storia? Perché stiamo raccontando questa storia? E poi stiamo sviluppando la migliore versione possibile di quella storia, e come vogliamo dare vita a questi personaggi?“. Rifiutandosi comprensibilmente di rivelare se si sia rivolto a qualche fumetto specifico per trarne ispirazione, Shakman ha però confermato di aver lavorato alla scrittura sia con il co-sceneggiatore di Avatar: La via dell’acqua Josh Friedman che con Cam Squires di WandaVision.

Thanksgiving: trailer del film diretto da Eli Roth

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Thanksgiving: trailer del film diretto da Eli Roth

Eagle Pictures diffonde il primo trailer di Thanksgiving, il nuovo film ideato e diretto da Eli Roth, con protagonisti Patrick Dempsey, Addison Rae, Milo Manheim, Jalen Thomas Brooks, Nell Verlaque, Rick Hoffman e Gina Gershon, su una sceneggiatura di Jeff Rendell. Il film arriverà il 16 novembre nelle sale italiane. Il film è nato da un finto trailer visto in Grindhouse.

Thanksgiving, la trama

La cittadina di Plymouth, in Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un anno dopo, durante i festeggiamenti del Thanksgiving, un misterioso e feroce serial killer comincia ad torturare e uccidere la popolazione locale, seguendo un grottesco piano di vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi, che evidentemente nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli che iniziano come omicidi casuali per vendetta si rivelano presto parte di un più ampio e oscuro piano legato alle festività. Ispirato al fake trailer realizzato da Eli Roth per Grindhouse, e diretto dallo stesso Roth Thanksgiving è pronto a diventare un nuovo cult del cinema horror contemporaneo.

Thanksgiving non sarà il primo film a essere trasformato in un lungometraggio dopo essere apparso come trailer di Grindhouse. Il primo è stato Machete del 2010, un film d’azione con Danny Trejo, seguito da Hobo with a Shotgun del 2011, un altro film d’azione di commedia nera.

Deadpool 3: ecco secondo il regista chi vincerebbe nello scontro tra Deadpool e Wolverine

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Anche se sembra che nel film faranno squadra, le prime foto dal set di Deadpool 3 ci hanno confermato che il mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds e  il Wolverine di Hugh Jackman verranno alle mani, affrontandosi in uno scontro senza esclusione di colpi. Ora, il regista Shawn Levy potrebbe aver dato un’idea di come andrà a finire questa battaglia. Interrogato sul questo attesissimo scontro durante un’intervista con Sirius XM il regista, pur evitando di rivelare troppo, ha indicato che il vecchio Wade Wilson potrebbe non uscire vincitore dallo scontro.

Il regista ha sottolineato che sia Reynolds che Jackman sono completamente altruisti quando si tratta di come vengono rappresentati i loro personaggi, aggiungendo che “entrambi i ragazzi cercano sempre di far sì che sia l’altro a vincere. Ryan è straordinario nel volere che Deadpool perda e la verità è che Deadpool è fantastico ma è profondamente… imperfetto. Mentre Wolverine, beh, è Wolverine”. Naturalmente le parole del regista non forniscono un vero e proprio chiarimento sull’esito della battaglia, che molto probabilmente ad ogni modo non farà che portare i due ad unire le proprie forze.

Deadpool 3: quello che sappiamo sul film

Sebbene i dettagli ufficiali della storia di Deadpool 3, con protagonista Ryan Reynolds, non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la serie di film di Deadpool – l’unica parte del franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò preserva i film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato da Hugh Jackman, viaggiare nell’universo principale dell’MCU.

Nel film saranno poi presenti anche personaggi presenti nei primi due film di Deadpool, come Colossus e Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera che anche altri X-Men possano fare la loro comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della Marvel comparsi sul grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben Affleck. L’attrice Jennifer Garner sarà presente nel film con il ruolo di Elektra, che riprende dunque a quasi vent’anni di distanza dal film a lei dedicato.

In attesa di ulteriori conferme, sappiamo che Shawn Levy dirigerà Deadpool 3, mentre Rhett Reese e Paul Wernick, che hanno già firmato i primi due film sul Mercenario Chiacchierone, scriveranno la sceneggiatura basandosi sui fumetti creati da Rob Liefeld, confermandosi nella squadra creativa del progetto. Il presidente dei Marvel StudiosKevin Feige, aveva precedentemente assicurato ai fan che rimarrà un film con rating R, proprio come i primi due film, il che lo renderebbe il primo film dello studio con tale classificazione matura.

Killers of the Flower Moon: Scorsese spiega perché ha cambiato il più grande mistero del libro

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Il regista Martin Scorsese spiega perché nell’affrontare il mistero alla basa di Killers of the Flower Moon si è allontanato dal libro, il quale consente invece ai lettori di indagare sull’orribile mistero giungendo infine allo svelamento dell’identità dei responsabili. Con il film di Scorsese, invece, gli spettatori scoprono sin dall’inizio chi è il colpevole, quindi sostanzialmente non c’è alcun aspetto giallo su cui lavorare. La scelta è ovviamente intenzionale ed è motivata dal fatto che Scorsese crede che il mistero più grande non sia chi ha compiuto i crimini, ma perché.

Nel corso di un’intervista con IndieWire, il regista ha infatti dichiarato che: “cosa c’è in noi che ci spinge a farlo? Qual è il difetto nella nostra natura umana che ci fa approfittare degli altri, che ci fa credere superiori? Essendo anch’io uno di loro, europeo americano, vengo da un clima meridionale, la Sicilia, un po’ diverso dai climi settentrionali dell’Europa e della Scandinavia. Così tante persone sono arrivate come immigrati, come coloni. E c’era un’etica secondo cui semini e raccogli. Lavori e poi Dio ti benedice con le ricompense. Semplicemente, però, non sembrava giusto, dal punto di vista di quel gruppo di persone provenienti dall’Europa“.

Perché queste persone [gli Osage] che non lavorano, dovrebbero essere improvvisamente benedette da tutta questa ricchezza, perché viene dalla terra? Prima di tutto, non sono cristiani. Non sanno nulla su come maneggiare il denaro, cosa sia il denaro”, spiega Scorsese cercando di mettersi nei panni di quei coloni. Il regista ha dunque ritenuto più interessante porsi dal punto di vista di questi personaggi, cercando di indagarne la natura. Allo stesso tempo, Scorsese non ha né potuto né voluto ignorare l’amore esistente tra i due protagonisti, considerandolo il vero cuore del racconto.

Killers of the Flower Moon, tutto quello che c’è da sapere sul film

Martin Scorsese ha diretto e scritto la sceneggiatura con Eric Roth, co-sceneggiatore di Dune e A Star is BornLeonardo DiCaprio interpreta Ernest Burkhart, il nipote di un potente allevatore locale interpretato da Robert De Niro, mentre Lily Gladstone interpreta la moglie Osage Mollie e Jesse Plemons è Tom White, l’agente dell’FBI incaricato di indagare sugli omicidi. Il cast include anche Brendan Fraser e John Lithgow.

Killers of the Flower Moon riunisce ancora una volta Martin Scorsese con i collaboratori di lunga data Leonardo DiCaprio e Robert De Niro. Insieme a loro ci sono l’attore premio Oscar Brendan Fraser, Jesse Plemons, Lily Gladstone, Tantoo Cardinal, Jason Isbell, Sturgill Simpson, Louis Cancelmi, William Belleau, Tatanka Means, Michael Abbott Jr., Pat Healy, Scott Shepherd e molti altri. Il film è una produzione di Apple Studios, Imperative Entertainment e Appian Way Productions, con Dan Friedkin e Bradley Thomas come produttori.

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James Bond, il futuro della saga non è ancora stato pianificato: “c’è ancora molta strada da fare”

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La ricerca di un nuovo interprete per il ruolo di James Bond è sempre uno dei processi di casting più attentamente esaminati a Hollywood. Ma mentre il team del casting ha rilasciato alcune informazioni sull’età e sui prerequisiti di nazionalità del prossimo attore, sembra che il sostituto di Daniel Craig per tale personaggio non verrà annunciato in tempi brevi. In una nuova intervista con The Guardian, Barbara Broccoli, produttrice di lunga data del franchise di Bond, ha spiegato che non ha ancora iniziato a pianificare la prossima iterazione della serie.

“Daniel [Craig] ci ha dato la possibilità di scavare nella vita emotiva del personaggio e anche il mondo era pronto per questo“, ha detto Broccoli. “Penso che questi film riflettano il momento in cui si trovano, e c’è una grande, grande strada da percorrere per reinventare la saga con il prossimo capitolo e non abbiamo nemmeno ancora iniziato”. Pur comprendendo che la prossima era del franchise dovrà riflettere un mondo che è cambiato molto da quando Craig è stato introdotto nel 2006, Broccoli ha poi citato la storia della serie come prova della capacità di adattamento di James Bond.

Torno a ‘GoldenEye’ quando tutti dicevano. “La guerra fredda è finita, il muro è finito, Bond è morto, non c’è bisogno di Bond, il mondo intero è in pace e ora non ci sono più cattivi“, ha detto Broccoli. “E ragazzi, quella convinzione era così sbagliata!”. La produttrice ha poi però chiarito che il futuro di Bond rimane legato al grande schermo: “realizziamo i film di James Bond per il grande schermo cinematografico. Tutto ciò che riguarda i film di Bond deve essere visto dal pubblico di tutto il mondo in quel formato, quindi non vogliamo spostarci in televisione.

Tuttavia, Broccoli ha anticipato che potrebbero esserci ulteriori espansioni del franchise all’orizzonte. Ha infatti spiegato di essere aperta a riavviare il franchise per i mercati internazionali e a realizzare spin-off che cambino l’etnia dell’iconica spia. “Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma mi piacerebbe vedere le varie versioni del personaggio in tutto il mondo, dall’Africa, all’India e all’Asia“, ha detto. Che un prossimo James Bond ci sarà, è certo. Non resta però che attendere maggiori informazioni, che però non sembrano essere attualmente in vista.

Holiday: recensione del film di Edoardo Gabbriellini – #RoFF18

Holiday: recensione del film di Edoardo Gabbriellini – #RoFF18

Il genere del legal drama circoscrive la sua narrazione agli eventi che si svolgono dentro e fuori il tribunale giudiziario. Può cambiare il punto di vista, ce ne possono essere molteplici, ma nel complesso la storia segue una traiettoria molto specifica, che si conclude alla fine con lo svelamento della verità e l’assolvenza – o meno – dell’imputato in questione. In Holiday Edoardo Gabbriellini decide di fare un lavoro al contrario e di concederci uno sguardo – molto lungo – a quel che accade dopo. Protagonista di un racconto tanto ambiguo quanto pieno di zone d’ombra è Veronica, interpretata da un’esordine ed efficace Margherita Corradi. Il film è in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Progressive Cinema, sceneggiato da Gabbriellini insieme a Carlo Salsa e Michele Pallagrini, e prodotto da Olivia Musini con Lorenzo Mieli e Luca Guadagnino.

Holiday, la trama

Dopo due anni di carcere, Veronica (Margherita Corradi), dichiarata non colpevole di aver ucciso la madre nella Spa del loro hotel, torna a casa dal padre. Ad accoglierla c’è subito l’amica Giada (Giorgia Frank), pronta a farle recuperare tutto il tempo perduto. Ma tornare alla realtà – e soprattutto alla libertà – non è per niente facile. In primis perché la gente di lei non parla bene, molti la credono ancora colpevole, altri la denigrando su Instagram facendo persino commenti a sfondo pornografico. Mentre cerca di barcamenarsi in questa serie di situazioni spiacevoli e sciacchiare play a una vita che aveva dovuto mettere in pausa, lo spettatore cercherà di capire attraverso sguardi sul passato cosa è davvero successo prima dell’omicidio, e soprattutto cosa è stato detto durante il processo. Tutti, però, dal padre alla migliore amica potrebbero avere un movente. Quindi perché hanno accusato solo Veronica di aver ucciso la madre? Quando si inizierà a formulare un pensiero sulla protagonista, ecco che il film cambierà di nuovo strada, fino all’ambiguo finale.

Holiday Margherita Corradi Giorgia Frank

Uno stile destabilizzante

Holiday è una storia indecifrabile. Come lo è la sua protagonista, Veronica, di cui non riusciamo a trarre alcun tipo di giudizio che sia valido o fondato su prove concrete. Gabbriellini modella un film difficile da analizzare, complesso da leggere e decifrare. Intanto perché lo arricchisce di flashback (non proprio esaustivi), i quali non diventano altro che uno stile narrativo per raccontarci da più prospettive una vicenda che, fino alla fine, non riuscirà mai ad essere limpida e chiara. Sono tre i piani temporali da seguire: il primo è quello del presente, nel quale il regista butta in pasto ai leoni (utenti social, giornalisti, occhi giudicanti dei passanti) una ragazza appena stata scarcerata, che deve affrontare una realtà nella quale nessuno, sostanzialmente, le crede.

Ci sono poi i ricordi suoi e dell’amica Giada, la quale sia prima che dopo l’omicidio della madre di Veronica le è sempre stata accanto, ma che non si riesce a comprendere in che posizione si trovi rispetto la questione dell’assassinio. E infine c’è la ricostruzione del processo, in cui i testimoni vengono torturati psicologicamente dall’accusa. Sono tutti elementi che si mischiano, a volte si accavallano, tanto che bisogna compiere uno sforzo in più per capire meglio in quale spazio-tempo ci si trovi. Ad accorrere in aiuto potrebbe essere, fra le cose più evidenti, l’uso dei colori, che diventa più caldo o più freddo (ma di poco) a seconda del periodo trattato. Il passaggio da uno spezzone all’altro è un po’ confusionario, e la destabilizzazione che se ne ricava impedisce di entrare a pieno nel tono misterioso dell’opera, che rimane nel suo insieme, volontariamente, fredda e distaccata. Quasi come se l’intento del suo regista fosse quello di farcela guardare in un modo che ci impedisca di giudicare la protagonista.

Chi è Veronica?

Una protagonista della quale alla fine non si scoprirà poi molto. Né di lei né dell’azione commessa – se l’ha davvero commessa. Gabbriellini, poi, attraverso lei, ci introduce sin da subito a delle tematiche molto sentite non solo dai giovani ma da tutte le generazioni. Una fra queste è l’influenza che hanno i social sulla nostra vita, strumenti che permettono a chiunque di aprire bocca anche su cose di cui non conoscono neppure gli antefatti. C’è anche la difficoltà, ad oggi, di essere giovani, ma anche di essere adulti, causata in primis da una società e un sistema a loro volta ambigui e iniqui. C’è poi la denuncia all’adesione di alcuni canoni di bellezza assurdi, rappresentata in questo particolare caso dalla madre di Veronica, Elisabetta, sempre pronta a rammentarle di dimagrire, disprezzandone persino a gran voce il suo corpo.

Temi molto delicati e dolenti, che per quanto siano importanti in una storia che tratta di giovani – e che forse è per i giovani – non riescono a rimanere punti fermi del film, il quale nonostante voglia sollevare alcune riflessioni in merito a essi, si impegna di più a costruire un percorso che, man mano che va avanti, diventa sempre più strano, contorto, incomprensibile. È che quindi, paradossalmente, diventa la parte che più coinvolge. Perché Holiday è un noir atipico, che lascia al pubblico il piacere dell’interpretazione muovendo i personaggi solo come delle pedine, senza dargli un vero approfondimento psicologico, con lo scopo di confondere e depistarli. Chi è il colpevole, in conclusione? Quello in cui crediamo cambia continuamente. Una volta che gli dà tutti gli strumenti per pensarci, seminandoli nella storia, Holiday finisce. Ora siamo noi, con le nostre nuove idee (sbagliate o giusto che siano) a deciderlo.

Nuovo Olimpo: recensione del film di Ferzan Ozpetek – #RoFF18

Nuovo Olimpo: recensione del film di Ferzan Ozpetek – #RoFF18

“Così il tempo e lo spazio non ci separano.”Nuovo Olimpo.

È un cinema che sa di casa, di famiglia, quello di Ferzan Ozpetek. È un cinema di sguardi, di intese, sentimenti catartici, conflitti relazionali, passioni. Di carezze e di lacrime. Soprattutto è un cinema in cui la collettività, l’appartenenza a una comunità, la bellezza della convivalità e la condivisione hanno sempre avuto il posto in prima fila nella platea delle tematiche principali del suo autore. Ne costituiscono la cifra stilistica e contenutistica, un’impronta netta che in ogni suo lavoro mai si sbiadisce, e che pone al centro l’amore. L’amore declinato in tutte le sue forme, sfaccettature e contraddizioni.

Una forza potente, a volte devastratrice, altre salvifica, di cui Ozpetek ne maneggia il senso più puro e profondo decantandola sullo schermo quasi come una poesia. Non è da meno la sua ultima opera, Nuovo Olimpo, che pur rinunciando ad alcune cifre dominanti presenti in gran parte della sua filmografia, torna – dopo La Dea Fortuna – per parlarci di un amore che resiste al tempo e allo spazio, alla vita che scorre e alle sue incrinature. Il regista tesse le fila di un racconto un po’ diverso dai suoi predecessori, e lo fa ispirandosi a una storia vera che proprio a lui accadde nella Roma del 1979. Nuovo Olimpo, presentato alla 18 esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, debutterà suNetflix il 1 novembre.

Nuovo Olimpo, la trama

È un colpo di fulmine quello che hanno Pietro (Andrea Di Luigi) ed Enea (Damiano Gavino) quando nel 1979 si incontrano sul set di un film a Roma. Si scambiano un intenso sguardo, poi il secondo, preso dal suo lavoro, lo distoglie, rompendo la magia. Ma il destino ha in serbo per loro qualcosa di speciale, e li fa presto rivedere al cinema Nuovo Olimpo, dove Pietro entra per la prima volta per guardare vecchi film in bianco e nero, ritrovandosi dopo poco in un bagno con Enea a scambiarsi appassionanti effusioni. Pietro però all’inizio è incerto sul da farsi, e a condurlo nel gioco della seduzione è proprio Enea, che avvia una storia d’amore destinata a infiammarsi. Giri in vespa, balli in terrazza, baci e risate: i due giovani ragazzi si innamorano nell’arco di pochi giorni, fino a quando Pietro non chiede a Enea un appuntamento ufficiale.

Loro due in una trattoria romana, a bere e mangiare, per poter fare una cosa semplice, che però vale più di mille parole: guardarsi. L’appuntamento è preso, ma Pietro non si presenterà mai poiché coinvolto in una manifestazione nella quale si romperà un braccio. Passano gli anni, loro crescono e vanno avanti, pur comunque continuando a pensarsi. Enea diventa un regista, Pietro un medico. Uno convive, l’altro è sposato. Sono distanti anni luce l’uno dall’altro, ma non con il cuore. Eppure sembra che la vita non voglia proprio farli rivedere. Ma come canta Antonello Venditti… “certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano.”

Nuovo Olimpo Damiano Gavino Andrea di Luigi

Enea e Pietro: cosa ci resta di loro?

Vuole saggiare nuove modalità di narrare e dare forma al racconto, Ozpetek, con Nuovo Olimpo. E decide di farlo addentrandosi nei territori del tempo, che qui è inesorabile. Lo divide, lo frammenta, tenta di analizzarne le conseguenze derivanti dagli anni che passano. A scandirlo è un ritmo lento, che fa quasi da contraltare all’amore fulmineo di Enea e Pietro, innamoratisi già dal primo sguardo scambiatosi su un set dove il primo fa il volontario. Ozpetek sa di essere uscito dalla sua comfort zone scegliendo questa specifica operazione strutturale. Non c’è più, infatti, la compattezza temporale dei suoi precedenti film, e questo si percepisce da una poca solidità narrativa degli archi temporali che racconta, ben quattro anni diversi che si distanziano di parecchio l’uno dall’altro, piccole parentesi di una storia che nel doversi fare più intensa nel suo progredire, come ci si aspettava, risulta rimanere sempre in superficie, sia nei sentimenti che nelle azioni, un po’ tremolante nell’andare fino in fondo.

Il regista turco sembra aver annaspato e faticato non poco mentre cercava di gestire le linee narrative, evolutive ed emozionali dei suoi protagonisti nelle varie fasi della loro vita, in particolare nel passaggio da giovani ad adulti. E questo, a prodotto ultimato, è andato a scaricare la tensione emotiva e amorosa della coppia dopo una prima parte molto convincente, la quale fa parte dell’anno più costruito e sviluppato rispetto agli altri (ossia il ’79). Un peccato, visto l’interessante impiattamento della narrazione, che però essendo così poco approfondita fa essere Enea e Pietro meno coinvolgenti e convincenti rispetto ad altri personaggi portati sullo schermo da Ozpetek, pur essendo nel loro complesso piacevoli.

Nuovo Olimpo Ferzan Ozpetek

Un’ode al cinema

I difetti, dunque, non mancano in Nuovo Olimpo. Ma qualcosa da apprezzare ce l’abbiamo comunque. Sì, perché Ozpetek ci regala una bella lettera d’amore al cinema, che si lega a doppio giro con il concetto di memoria. Pietro ed Enea si incontrano su un set, poi al cinema – il Nuovo Olimpo del titolo – e quando si separano, quest’ultimo, diventato regista, fa della loro storia d’amore un film. Imprime i suoi ricordi sulla pellicola, li traspone e imprigiona sulle immagini per non lasciarli morire. Trasforma i suoi sentimenti in sequenze concrete, affinché né questi né la sua relazione possano essere dimenticati. Ma anzi, fa in modo che vivano in eterno, nel bagliore di una sala che scalderà e al tempo stesso lenirà il suo cuore sofferente. E in fondo, vuole dirci Ozpetek nel sottotesto, non è questa la funzione del cinema? Essere un forziere di memorie e passioni, farle diventare immortali, pronte a riaffiorare e ardere ogni qual volta se ne sente il bisogno. Perché il cinema ha la capacità di continuare a farti sentire una presenza anche là dove c’è assenza; di darti calma e bellezza anche quando attorno c’è scompiglio; di riavvolgere i momenti e farli ripartire come se stessero accadendo di nuovo, anche se poi ai titoli di coda ci si volta e quello che si ha visto sullo schermo non lo si trova più accanto.

Il cinema è un amico che ci tiene compagnia e ci rassicura, ci spinge a credere nell’impossibile e ci aiuta a superare le difficoltà. Ed è anche un luogo, inteso come dimensione concreta, dove tutto è concesso e nessuno ti giudica. Nel trasmetterci queste emozioni rivolte alla Settima Arte Nuovo Olimpo funziona e arriva dritto al cuore del pubblico, assumendo le vesti di una storia a tratti metacinematografica, nella quale intercettiamo in Enea l’alter ego del regista. Una nota, possiamo dire, molto positiva rispetto ai problemi di sceneggiatura riscontrati nella pellicola. Ozpetek alla fine saluta il suo pubblico con una sequenza che tocca le corde dell’animo e solleva un po’ le sorti del film: la voce melodica di Mina – presenza costante – abbraccia e accarezza i protagonisti in un tempo indefinito prima che le luci si spengano. Il regalo che ci fa il regista è lasciarci immaginare, con un “what if”, quale potrebbe essere secondo noi il futuro dei protagonisti. Facendoci capire quanto siamo, anche noi, parte di questo meraviglioso e ipnotico mondo chiamato cinema.

Blaga’s Lessons: recensione del film di Stephan Komandarev – #RoFF18

Stephan Komandarev con il suo Blaga’s Lessons porta nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma uno sguardo sul mondo degli anziani, tenuti spesso ai margini delle odierne società, come tutti coloro che non producono ricchezza, o si ammalano e vengono visti esclusivamente come un problema.

La trama di Blaga’s Lessons

Blaga, Eli Skorcheva, è una settantenne bulgara, ex insegnante, che ha appena perso il marito. Ha messo da parte tutti i suoi risparmi per acquistare la tomba del coniuge, che poi diventerà anche la sua. Proprio quando sta per acquistarla, viene truffata e derubata di tutto il denaro, che teneva nascosto in casa. Determinata a non rinunciare al suo progetto, deve inventarsi qualcosa. Non bastano infatti, ad acquistare la tomba, i soldi che l’anziana guadagna con le lezioni private di bulgaro che impartisce, né quelli della magra pensione. Blaga escogiterà uno stratagemma che le farà fare ciò che mai aveva pensato, fino a cambiare radicalmente il primo modo di rapportarsi al mondo.

Blaga’s Lessons spinge a interrogarsi

Blaga’s Lessons mette sul piatto molte questioni di carattere sociologico, ma anche legate al modello economico capitalistico, alla base della società occidentale. Un modello che mette al centro il profitto, a qualsiasi costo, e che tende a monetizzare tutto, anche gli affetti. Fino a dove ci si può spingere per ottenere ciò che si è convinti di meritare? Fino a quale livello di spregiudicatezza e assenza di scrupoli arriva ciascuno per avere il proprio tornaconto? Che società è quella in cui gli anziani sono marginalizzati e considerati come un peso dai propri figli? O alla stregua di polli da spennare, da parte di persone più o meno disoneste nei rispettivi contesti? Quanta frustrazione e rancore possono covare per questo?

Blaga's Lessons Eli Skorcheva
Eli Skorcheva in Blaga’s Lessons

La protagonista di Blaga’s Lessons

A queste domande il regista Stephan Komandarev, candidato all’ Oscar nel 2008, risponde con la lunga ed estenuante peregrinazione, a piedi e in macchina, di giorno e di notte, della sua protagonista, interpretata da Eli Skorcheva, che percorre la strada disturbante e financo deprimente, che la porta sempre più giù, nell’ abisso dell’ abiezione umana. Il film è tutto incentrato su di lei, che compare quasi sempre da sola, nella propria casa o in strada, in sequenze ricorsive, sempre simili a sé stesse. Il regista punta tutto sulla figura di questa donna minuta e dall’ aspetto dimesso, in contrasto con quello che sarà nel corso del film il suo agire, e su un’atmosfera inquietante, di suspense, che percorre il lavoro.

Nonostante la bravura della protagonista, che tiene letteralmente da sola sulle spalle il film, è però davvero difficile mantenere viva l’attenzione dello spettatore per quasi due ore, solo attraverso il suo pedinamento. Gli sguardi, il volto provato della donna comunicano molto a chi osserva, un ambiente sempre grigio è consono alla vicenda, ma ci si aspetta qualcosa di più. Qualcosa che non arriva, per tutta la durata del film.

Un racconto duro e minimalista

Blaga’s Lessons rimane un racconto duro e minimalista – forse troppo, e come tale, di non facile fruizione – sui mali del nostro tempo e le distorsioni cui la società ci ha purtroppo abituato. Quello di Blaga potrebbe essere uno dei tanti casi di cronaca, ormai sempre più assurdi, che riempiono le pagine dei quotidiani.

Zucchero Sugar Fornaciari: recensione del film documentario sul cantante – #RoFF18

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La carriera di Zucchero Sugar Fornaciari – pseudonimo di Adelmo Fornaciari – ha fatto da spartiacque tra la musica italiana: c’è solo un dopo Zucchero ed è impossibile stabilirne un prima. Una carriera caratterizzata dall’umiltà e dell’incertezza di non essere mai abbastanza e che viene celebrata nel film documentario – diretto da Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano – attraverso le sue parole e quelle di colleghi e amici come Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Salmo, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici.

Un viaggio dell’anima che, grazie a immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e dal “World Wild Tour”, il suo ultimo e trionfale tour mondiale, va oltre il ritratto di un musicista di successo arrivando fin dentro i dubbi e le fragilità dell’uomo. Zucchero Sugar Fornaciari sarà al cinema il 23, 24 e 25 distribuito da Adler Entertainment.

Zucchero Sugar Fornaciari, la trama

La vita di Zucchero raccontata nel documentario prende vita in modo non lineare, come se fosse un concertino jazz, di quelli che ascolti per strada. Ti lasci trasportare dal ritmo, anche se ogni strumento suona una melodia diversa dall’altra. Il cantante di Roncocesi ha fatto della musica la sua vita e la stessa musica lo ha salvato, come dice lui “prendendomi per i capelli”. La lotta per uscire dalla depressione, il divorzio e tour mondiali sold-out in tutto il mondo tra capitali europee, Nord America, Stati Uniti e anche l’Oceania.

È proprio un viaggio a 360° nella sua musica, nei suoi ricordi, nelle sue influenze musicali visto non solo con gli occhi di Zucchero stesso ma di tutte le persone che ha toccato. Da Bono, con il quale ha scritto diversi pezzi, ad Andrea Bocelli che afferma come la sua carriera sia iniziata grazie a lui. Una vita dedicata alla musica e con la musica, ed è quello che ha voluto dare del suo World Wild Tour 2022-2023 riuscendo a girare per il mondo espandendo così il suo successo.

Zucchero Sugar Fornaciari film recensione
Ph: Matteo Girola

La “voce della tribolazione” come la chiama De Gregori, amico che ha collaborato a Diamante – pezzo dedicato alla nonna che portava questo nome. Sì perché Zucchero è cresciuto in mezzo alla fattoria dei nonni e soprattutto con la nonna passava molto tempo. La vanga, le radici e un cappello e ci troviamo nella Roncocesi degli anni ’50, una città che non è una metropoli e vive solo di quello che ha. Ma Roncocesi per un bambino nato in quegli anni ha tutto ciò che si desidera e se quel bambino è il futuro Zucchero Fornaciari l’essenziale è un organo nella chiesa di fronte casa.

Tra l’Emilia e il West

Tra l’Emilia e il West cantava Guccini che usa queste parole per descrivere i viaggi musicali, spirituali e fisici di Zucchero all’interno del film documentario. L’aria di Roncocesi così triste e malinconica lo porteranno in seguito a ricercare questo stesso blues altrove, in America dove si radicata la sua anima capace di mettere insieme l’energia afroamericana e la liricità italiana. Un artista a tutto tondo che cade, e fa fatica ad alzarsi perché come dice Salmo: “Questo è il peso del successo”.

La depressione durata dall’89 al ’95 e che coincide banalmente anche con il periodo di massimo splendore dell’artista che in quegli anni accompagnava Eric Clapton ai concerti. Zucchero racconta dei suoi attacchi di panico e della sua vita nella sua Lunisiana Soul, il luogo che lo ha salvato. Un’oasi in mezzo al nulla, nella cornice naturalistica della Toscana incontaminata. Lì si trova Zucchero Sugar Fornaciari e se tendete l’orecchio al vostro passaggio potrete sentire una chitarra strimpellata.

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