Quentin Tarantino spiega perché ha smesso di scrivere
e dirigere film. Per molto tempo Tarantino ha affermato che il suo
decimo film sarebbe stato l’ultimo, ed è una dichiarazione
d’intenti a cui sembra attenersi. Contando Kill Bill vol.
Uno e due come un film unico – i due insieme sono meglio
conosciuti come Kill Bill: The Whole Bloody Affair
– Tarantino conta di aver scritto e diretto nove film finora,
vincendo due Oscar per la sceneggiatura.
In una conversazione con YMH Studios,
Quentin Tarantino chiarisce perché il suo prossimo
film, il decimo, sarà l’ultimo. La motivazione si riferisce in gran
parte a come vuole chiudere la sua carriera dopo i successi di cui
ha goduto.
“Ho fatto tutto quello che
volevo fare. Ho avuto una carriera straordinaria. Ho avuto
un’incredibile quantità di fortuna, un’incredibile fortuna. Non
avevo idea che il pubblico… anzi, se avessi dovuto indovinare avrei
immaginato che il pubblico non avrebbe accettato i miei film. E
alla fine non è stato così. E sono stato in grado di lavorare in
questo business al più alto livello che un regista possa lavorare.
Voglio andarmene a quel livello elevato. Voglio andarmene quando
l’uscita di un nuovo film di Quentin Tarantino è
un evento. Non voglio essere quello di cui i fan dicono… “Ricordo
quando ero così preso da lui. Ricordo quando ero così appassionato,
ricordo quando avevo quella merda sul muro (riferito a un suo
poster). È divertente e tutto il resto, ma è un uomo anziano, non è
la stessa cosa ed è fuori dal mondo.”
Chissà se i colleghi più anziani e
navigati di lui, allo stesso livello di “fortuna” saranno d’accordo
con questo commento. Sembra però giusto dare a Tarantino il
beneficio del dubbio: se il decimo suo film sarà davvero l’ultimo
allora sarà sicuramente un evento aspettarlo.
La star di Black
Panther: Wakanda ForeverTenoch
Huerta affronta la possibilità di una connessione
romantica tra il personaggio di Namor, che interpreta nel film di
Ryan Coogler, e Shuri di Letitia
Wright. Il regista Ryan Coogler torna a dirigere il sequel
del grande successo Black Panther del 2018, che
vede la nazione di Wakanda piangere la perdita del re T’Challa
mentre si occupa anche di Namor e del suo regno sottomarino di
Talokan. Black
Panther: Wakanda Forever presenta Shuri che
assume il ruolo di Pantera Nera e il suo personaggio si trova
rapidamente in contrasto con Namor e il suo approccio aggressivo
per garantire la sicurezza della sua gente. Il film è stato un
successo sia per il pubblico che per la critica, con un elogio
particolare riscosso per la performance stratificata di Huerta come
nuovo antagonista dell’MCU.
In una recente intervista con
Rolling Stone, Huerta discute se
ci siano elementi romantici nel legame tra Shuri e Namor in
Black Panther: Wakanda Forever. I due personaggi sono
in disaccordo per la maggior parte della durata del film, ma
sembrano capirsi a un livello più profondo, in particolare durante
una sequenza in cui Namor porta Shuri a Talokan. Sebbene alcuni fan
credano che i due personaggi abbiano sentimenti romantici l’uno per
l’altro, Huerta non è necessariamente convinto.
“Non credo che ci sia stato un
legame romantico [tra di loro]. Penso che sia stato più un tocco
umano, intimo. Voglio dire, nella storia dei loro regni, la storia
della loro gente, condividono la stessa radice, e la minaccia viene
dallo stesso posto per entrambi, per lo stesso motivo. Entrambi
affrontano minacce da paesi occidentali come gli Stati Uniti e la
Francia nella storia, a causa del vibranio, e delle risorse
naturali. Penso che si colleghino in questo aspetto.
Voglio dire, quando incontri
qualcuno e hai una buona relazione, che questa persona sia del
genere che preferisci o meno, hai sempre questo approccio ambiguo.
È normale. È umano. Quindi, penso che questo sia successo con
entrambi. Se questo può evolversi in una relazione romantica o no?
Non lo so. Non era nostra intenzione. Potrebbe succedere o
no.
La parte bella di questa
relazione è che non ha bisogno di essere romantica per essere
profonda. Non ha bisogno di essere romantico per essere bello,
luminoso e intimo. E questa connessione tra un uomo e una donna a
diversi livelli non deve necessariamente concludersi in una
relazione romantica. Ed è bellissimo, sai? Perché odio l’amore
romantico. Penso che sia veleno. [Ride] Questi personaggi creano
qualcosa… non lo so. Era magico, ma non necessariamente
romantico”.
Il sequel del MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever è arrivato nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel StudiosBlack Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
Avatar: la via dell’acqua uscirà ufficialmente nelle
sale cinesi. Di recente, la Cina ha aumentato la censura rispetto
ai film americani, soprattutto dall’inizio della pandemia di
COVID-19. Ciò ha portato a molti enormi blockbuster, inclusi tutti
i film del Marvel Cinematic Universe dal 2019,
a non uscire su territario cinese, il che ha sottratto una grossa
fetta ai loro potenziali profitti al botteghino.
Secondo Variety, è stato recentemente
annunciato che
Avatar: la via dell’acqua di James
Cameron, il seguito a lungo rimandato del grande successo
del 2009 Avatar, sarà una delle poche uscite
americane dell’era della pandemia ad arrivare nelle sale in Cina.
Il film uscirà in quel territorio il 16 dicembre, lo stesso giorno
in cui sarà presentato negli Stati Uniti e nella maggior parte
degli altri territori internazionali (in Italia arriva il 14).
Arriverà sia nei cinema standard che in IMAX, l’ultimo dei quali ha
costituito una parte enorme del motivo per cui l’originale è stato
un tale successo al botteghino.
Avatar: la via dell’acqua si svolge dentro e intorno
all’oceano. Sully (Sam
Worthington) e Neytiri (Zoe
Saldana) hanno dei figli. “Ovunque andiamo”, dice
Sully, “so una cosa, questa famiglia è la nostra fortezza”. Il
sequel sembra ancora più sbalorditivo nella sua grafica blu intenso
rispetto al film del 2009. Creature tutte nuove: vediamo i Na’vi su
pesci volanti, uccelli, creature che comunicano con una balena,
eppure in qualche modo divisi nonostante la loro affinità con la
natura: le persone aliene sono divise, combattono l’una contro
l’altra in una lotta tra pistole e frecce. È davvero un mondo
completamente nuovo che alza la posta in gioco del precedente film
3 volte vincitore di Oscar.
Avatar: la via dell’acqua debutterà il 14
dicembre 2022, seguito dal terzo capitolo il 20
dicembre 2024. Per il quarto e quinto capitolo, invece, si
dovrà attendere ancora qualche anno: 18 dicembre
2026 e 22 dicembre 2028.
Il cast della serie di film è
formato da
Kate Winslet, Edie Falco,
Michelle Yeoh,
Vin Diesel, insieme ad un gruppo di attori che
interpretano le nuove generazioni di Na’vi. Nei film torneranno
anche i protagonisti del primo film, ossia
Sam Worthington,
Zoe Saldana,
Stephen Lang,
Sigourney Weaver, Joel David Moore,
Dileep Rao e Matt Gerald.
Nuove immagini del prossimo
film di Luther rivelano il ritorno di Idris Elba nei panni del personaggio iconico.
Luther iniziò originariamente la sua vita come una
serie TV, trasmessa su BBC One per cinque stagioni tra il 2010 e il
2019. Elba interpretava il detective John Luther,
che deve lavorare con l’assassino Alice Morgan (Ruth
Wilson) per aiutare a risolvere una varietà di casi.
Oggi, Empire ha condiviso due prime
immagini del film seguito a Luther, la cui
produzione è terminata questa primavera. La prima mostra il
detective che si aggira in un arido paesaggio innevato che
probabilmente indica il dramma e la posta in gioco della trama del
film. La seconda è uno sguardo più da vicino a Idris Elba nel suo iconico abito di
Luther.
Dopo l’uscita digitale di
Black
Adam questa settimana, Dwayne
Johnson è andato su Twitter per condividere uno
speciale videomessaggio sul futuro del suo franchise. Pur non
rivelando spoiler o accenni a ciò che accadrà nei prossimi anni,
Johnson ha parlato molto bene del Superman di
Henry Cavill. L’attore di Black
Adam ha chiarito che la versione del personaggio
di Cavill è essenziale per rimpolpare il più grande DCU, poiché il suo coinvolgimento nel film è
stato frutto di una grande battaglia.
“Dobbiamo riportare la forza più
potente e inarrestabile di tutti i tempi in qualsiasi universo.
Ragazzi, sapete di chi sto parlando, è Superman. Quello è
Henry Cavill. Alla fine, lo studio non stava
portando Henry indietro, inspiegabilmente e ingiustificatamente, ma
non avremmo accettato un no come risposta, ci sono voluti anni per
riportare Henry Cavill con conversazioni
strategiche e non avremmo accettato un no come risposta. Unico modo
logico per costruire l’universo DC senza la forza più potente e il
più grande supereroe di tutti i tempi seduto in disparte, è
impossibile da fare. Puoi fare un diagramma di Venn su questa cosa
90 volte ma tutto torna a “Dov’è Superman?” ‘ Devi avere Superman
nel mix, ecco perché abbiamo lottato duramente per riportare in
vita Superman”.
Il cast completo
di Black
Adam, oltre a Dwayne
Johnson nei panni dell’anti-eroe del titolo,
annovera anche Noah
Centineo (Atom Smasher), Quintessa
Swindell (Cyclone), Aldis
Hodge (Hawkman) e Pierce
Brosnan (Doctor Fate). Insieme a loro ci saranno
anche Sarah Shahi, che interpreterà Isis,
e Marwan Kenzari, che sarà invece
l’antagonista principale (anche se il personaggio non è stato
ancora svelato).
Black
Adam, che sarà diretto da Jaume
Collet-Serra (già dietro Jungle
Cruise, sempre con Johnson), ha dovuto far fronte a non
pochi problemi durante il suo travagliatissimo sviluppo. Inoltre,
la pandemia di Coronavirus ha ulteriormente complicate le cose e
costretto la produzione del film all’ennesimo rinvio. L’uscita del
film nelle sale americane è fissata per il 29 luglio 2022. Black
Adam è uscito al cinema in Italia giovedì 21 ottobre 2022.
Il progetto originale della Warner
Bros. su Shazam!aveva
previsto l’epico scontro tra il supereroe e la sua
nemesi, Black
Adam appunto, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura
per dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla
sua origin story. A quanto pare, il film
su Black
Adam dovrebbe ispirarsi ai lavori di Geoff Johns dei
primi anni duemila.
Margot Robbie afferma che le scene della festa di
Babylon assomigliano
a quelle di
The Wolf of Wall Street di Martin
Scorsese. Babylon è
un racconto sopra le righe di prossima uscita del premio Oscar
Damien Chazelle. La trama si concentra sui temi
dell’ambizione e dell’eccesso mentre segue l’ascesa e la caduta di
più personaggi nella Hollywood degli anni ’20. Robbie recita in
Babylon nei
panni di Nellie LaRoy, un personaggio immaginario che è stato
costruito tenendo presenti più riferimenti di più attrici realmente
esistite.
Come racconta
Margot Robbie a Empire, il film ha scene che
ricordano la follia di
The Wolf of Wall Street. Quando l’attrice ha girato il
film con Scorsese, a quanto pare ha pensato che “non sarebbe
mai più stata in un film così folle come questo”.Babylon ha sfidato le aspettative di
carriera di Robbie, che descrive il film come “folle” con
“una quantità vertiginosa di dissolutezza”. “Una delle scene
più inquietanti e caotiche a cui abbia mai assistito è in questo
film e prevede una lotta con un serpente – spiega Robbie –
Non ti dirò chi vince o perde quella battaglia, ma fidati di me, è
folle.”
Babylon è
un’epica storia originale ambientata nella Los Angeles degli anni
’20. La storia si svolge durante il grande passaggio dell’industria
cinematografica dai film muti ai talkie. “Una storia di
ambizioni smisurate ed eccessi oltraggiosi, ripercorre l’ascesa e
la caduta di più personaggi durante un’era di sfrenata decadenza e
depravazione nella prima Hollywood”, si legge nella sinossi.
Protagonisti sono
Brad Pitt,
Margot Robbie, Diego Calva, Jean Smart, Jovan Adepo, Li Jun Li,
P.J. Byrne, Lukas Haas, Olivia Hamilton,
Tobey Maguire, Max Minghella, Rory Scovel,
Katherine Waterston, Flea, Jeff Garlin, Eric Roberts, Ethan
Suplee, Samara Weaving e
Olivia Wilde. Al cinema da Gennaio 2023.
Prodotto da Marc Platt, p.g.a.,
Matthew Plouffe, p.g.a., Olivia Hamilton, p.g.a. , con produttori
esecutivi Michael Beugg, Tobey Maguire, Wyck Godfrey, Helen
Estabrook, Adam Siegel.
Dal Premio Oscar Damien
Chazelle, regista di
LA LA LAND e WHIPLASH, un
racconto memorabile ambientato nella Los Angeles degli anni ’20.
Babylon,
una storia di ambizioni smisurate e di eccessi oltraggiosi, che
ripercorre l’ascesa e la caduta di molteplici personaggi in
un’epoca di sfrenata decadenza e depravazione nella sfavillante
Hollywood.
Indiana
Jones 5 si aprirà con una scena in cui Indy
affronta ancora una volta i nazisti, e Harrison
Ford ha condiviso la sua reazione nel vedersi
ringiovanito con il de-aging. Il film però si svolge principalmente
negli anni ’60 e vedrà protagonisti Phoebe
Waller-Bridge, John Rhys-Davies,
Mads
Mikkelsen e altri insieme al ritorno della
Ford.
Indiana Jones 5 sarà
l’ultima volta di Ford con la frusta e il fedora, e l’attore
ottantenne si è seduto con Empire per discutere del film in
uscita, che presenta una Harrison
Fordringiovanito nella scena iniziale che si svolge
negli anni ’40. Ford ha condiviso i suoi pensieri sul trovarsi
faccia a faccia con il suo io digitalmente più giovane.
“Questa è la prima volta che lo
vedo e ci credo. È un po’ inquietante. Non credo di voler nemmeno
sapere come funziona, ma funziona. Non mi fa venire voglia di
tornare giovane, però, sono contento di essermi guadagnato la mia
età.”
Indiana Jones
5 è in gestazione da diversi anni, con il progetto
inizialmente sviluppato da Steven Spielberg, prima che egli si
ritirasse dal progetto. Il regista di Le Mans ‘66 e LoganJames
Mangold è poi stato chiamato a dirigere il film, con
Harrison Ford
confermatissimo nei panni dell’iconico avventuriero. Accanto a lui,
in ruoli ancora non meglio chiariti, vi saranno gli attori Phoebe
Waller-Bridge e Mads Mikkelsen.
Quanto oggi mostrato sembra relativo, oltre allo stesso Jones,
proprio ai personaggi interpretati da questi ultimi due attori.
Indiana
Jones 5 ha una data d’uscita attualmente fissata
al 30 giugno 2023.
Il co-sceneggiatore e regista di
Black
Panther: Wakanda ForeverRyan
Coogler condivide un’emozionante lettera aperta,
ringraziando i fan che hanno visto il film nelle sale. Il film è
stato designato Certified Fresh sul sito aggregatore di
recensioni Rotten Tomatoes. Al momento in cui
scriviamo, Black
Panther: Wakanda Forever ha una valutazione dell’84%
da parte della critica e finora ha guadagnato oltre $ 300 milioni
al botteghino USA e circa $ 561,7 milioni in tutto il mondo.
I Marvel Studios hanno condiviso un messaggio
del regista di Black
Panther: Wakanda Forever, Coogler,
che ringrazia apertamente coloro che hanno visto il film nelle sale
e lo hanno sostenuto attraverso il passaparola e la discussione in
generale. Continua e ringrazia il pubblico per aver esercitato la
pazienza riguardo a diversi aspetti che potrebbero aver distaccato
alcuni spettatori, come la durata, o il fatto che il film racconta
anche di argomenti non proprio leggeri, come l’elaborazione del
lutto, o ancora il fatto che il film comprenda sei lingue in tutto
e che molte parti sono sostenute dai sottotitoli.
Il sequel del MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever è arrivato nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel Studios Black Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
Arriva in prima tv su
Sky The
Northman, film epico sui Vichinghi di Focus Features,
firmato dal visionario sceneggiatore e regista Robert
Eggers (The
Witch,
The Lighthouse), mercoledì 23 novembre alle 21.15
su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K, in streaming su NOW e
disponibile on demand, anche in qualità
4K.
Con
Alexander Skarsgårde un cast
corale che includeNicole
Kidman, Anya
Taylor-Joy, Ethan
Hawke, Willem
DafoeTHE
NORTHMAN racconta la storia di vendetta che ha
ispirato l’Amleto di Shakespeare e rivisita i miti norreni, le
saghe islandesi e le leggende vichinghe attraverso l’attenzione di
Eggers sull’arte e i dettagli autentici. La sceneggiatura è di
Eggers e del poeta, romanziere, paroliere e sceneggiatore islandese
Sjón.
La trama del film
Dal visionario regista Robert
Eggers arriva The
Northman, un film epico ricco di azione, che racconta
la storia di un giovane principe Vichingo che vuole vendicare
l’omicidio del padre. Il film ha un cast corale di grandi star, che
include Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Claes Bang, Anya
Taylor-Joy, Ethan Hawke, Björk e Willem Dafoe.
THE NORTHMAN– Mercoledì 23
novembre in prima tv alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K,
in streaming su NOW e disponibile on demand anche in qualità
4K.
L’artista di Weta Digital
Aaron Black, che ha lavorato a Doctor Strange nel Multiverso della Follia, ha
condiviso nuovi concept art del film inutilizzati. Le opere d’arte
presentano vari design del mondo da incubo che Doctor Strange di Benedict
Cumberbatch avrebbe potuto esplorare nel sequel mentre si
avventurava nel multiverso.
Uno dei mondi presenti nella concept
art raffigura una grande guerra, con zeppelin e aerei nazisti che
volano sopra un complesso campo di battaglia che include truppe
militari, carri armati, combattenti a cavallo e quello che sembra
essere un esercito medievale in cima a una montagna. Un paio di
pezzi non raffigurano mondi ma mostrano entità cosmiche in grande
dettaglio, inclusa quella che sembra una potente entità tigre.
Tutti i concept art condivisi possono essere trovati sul profilo
ArtStation dell’artista. Di seguito sono
riportati alcuni dei pezzi, incluso il suddetto mondo di
guerra.
La sceneggiatura del film porterà la
firma di Jade
Bartlett e Michael Waldron.
Oltre a Cumberbatch e Olsen, nel sequel ci saranno
anche Benedict
Wong (Wong), Rachel
McAdams(Christine
Palmer), Chiwetel
Ejiofor (Karl Mordo) e Xochitl
Gomez (che interpreterà la new entry America Chavez).
Nel cast è stato confermato anche Patrick Stewart nel ruolo di Charles Xavier.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia è
uscito al cinema il 4 maggio 2022. Le riprese sono
partite a Londra a novembre 2020 e avranno luogo anche a New York,
Los Angeles e Vancouver. Nel sequel dovrebbe apparire in un cameo
anche Bruce Campbell, attore feticcio
di Sam Raimi. Al momento, però, non esiste
alcuna conferma in merito.
Creed 3
sarà incentrato su una tesa riunione tra Adonis Creed e un amico
d’infanzia, interpretato da Jonathan Majors, che è stato incarcerato per
diciotto anni. Questa dinamica segnerà un allontanamento dai
precedenti film di Creed, i cui antagonisti non
avevano un legame affettivo con Adonis. Michael B.
Jordan ha parlato di questo cambiamento con Empire.
“Penso che abbia un’intensità e
una realtà di personaggio che non abbiamo mai visto prima. È un
personaggio con i piedi per terra che è antagonista per natura, ma
viene da un posto onesto, prova emozioni vere. Non è il cattivo che
fa roteare i baffi; volevo che le persone potessero capirlo, per
rendere le cose complicate. Penso che quei personaggi siano i più
complicati e interessanti da guardare”.
CREED
3 ci mostrerà Adonis Creed in azione contro
Jonathan Majors nei panni del misterioso nuovo
antagonista del film, Damian Anderson. Il primo
trailer del film vede Adonis (Michael
B. Jordan) alle prese con il suo successo, ma il suo
passato lo raggiunge in grande stile quando un vecchio amico
(supponiamo che Adonis avesse qualcosa a che fare con il suo
arresto) esce di prigione dopo un periodo di 18 anni dietro le
sbarre e si posiziona come il prossimo sfidante di Creed.
I film di Creed non
hanno mai deciso di reinventare la storia di Rocky Balboa, ma i
primi due sono stati molto efficaci nella posta in gioco di
azione/dramma, e quest’ultima puntata sembra essere altrettanto
incisiva. CREED
3 è diretto da
Michael B. Jordan con
Michael B. Jordan,
Tessa Thompson, Jonathan Majors e Phylicia
Rashad.
Creed 3 – la trama ufficiale
Dopo aver dominato il mondo della
boxe, Adonis Creed (Michael
B. Jordan) ha prosperato sia nella sua carriera che
nella vita familiare. Quando un amico d’infanzia ed ex prodigio
della boxe, Damian (Jonathan Majors), riemerge dopo aver scontato
una lunga pena in prigione, è ansioso di dimostrare di meritare il
suo posto sul ring. Il confronto tra ex amici è più di una semplice
rissa. Per regolare i conti, Adonis deve mettere in gioco il
suo futuro per combattere Damian, un combattente che non ha nulla
da perdere.
Michael B. Jordan si siede per la prima volta dietro
la macchina da presa per dirigere questo terzo capitolo del
franchise drammatico di boxe. Tessa Thompson e
Phylicia Rashad riprenderanno i rispettivi ruoli,
ma Sylvester Stallone non tornerà come Rocky Balboa. Zach Baylin e
Keenan Coogler hanno scritto la sceneggiatura. Prodotto da Irwin
Winkler, pga, Charles Winkler, William Chartoff, David
Winkler, Ryan Coogler, Michael B. Jordan, Elizabeth Raposo,
Jonathan Glickman e Sylvester
Stallone, Creed 3
uscirà nei cinema 2 marzo 2023. Distribuito da Warner Bros.
Pictures.
Non fraintendiamoci: Black
Panther: Wakanda Forever non sancisce il debutto
definitivo di Doctor Doom nell’MCU. Tuttavia, il film
inserisce un sacco di indizi che alludono all’arrivo del sovrano
della Latveria in Black Panther 3. Originariamente,
Victor von Doom era un nemico dei Fantastici Quattro e un rivale personale di Reed
Richards, ma successivamente nella Marvel Comics ha svolto un ruolo
significativo come cattivo per molti altri eroi.
Il sequel di Black
Panther: Wakanda Forever non è ancora stato
confermato ufficialmente, ma le possibilità narrative sono state
comunque lasciate aperte per il futuro. Stando a Wakanda
Forever, Doom potrebbe avere a che fare con le
Pantere Nere.
Black Panther: Wakanda
Forever introduce l’armatura degli Angeli di Mezzanotte
Una delle più grandi
allusioni all’arrivo di Doctor Doom nell’MCU è la creazione da parte
della principessa Shuri dell’armatura degli Angeli di
Mezzanotte. Il nome in codice “Angeli di Mezzanotte” è
stato creato nel 2010 da Jonathan Maberry e Scot
Eaton. Si tratta di una setta d’élite che nasce per portare a
termine l’assassinio del Dottor Doom durante la sua
invasione del Wakanda in cerca di vibranio.
Dal momento che sono state usate
nella battaglia finale contro Namor e il suo regno
sottomarino, è ovvio che le tute indossate dagli Angeli di
Mezzanotte torneranno nel sequel di Black Panther: Wakanda
Forever. In tal caso, gli Angeli di Mezzanotte dovranno
per forza essere schierati con Wakanda per difenderlo da
Doom e dalle sue legioni.
Namor predice scontri futuri tra il
Wakanda e le altre nazioni
Dopo la sconfitta di Namor da
parte di Shuri, Wakanda e Talokan accettano la
tregua. In uno dei momenti finali di Black Panther: Wakanda
Forever, Namor si arrabbia perché Kulkulkan
accetta di cessare il fuoco. Tuttavia, Namor si mette il
cuore in pace solo perché ha la convinzione che altre nazioni
verranno ad attaccare il Wakanda nel prossimo futuro. E,
quando ciò accadrà, Talokan sarà visto come un alleato e una
fonte di forza per il Wakanda, cosa che darà a Namor
e al suo regno una grande dignità.
Secondo le parole di Namor,
anche Latveria, la nazione del Doctor Doom, potrebbe
attaccare il Wakanda. Probabilmente Doom sta semplicemente
aspettando il momento giusto per colpire il paese e reclamare una
delle risorse più preziose dell’intero pianeta. In tal caso, il
sequel di Black
Panther: Wakanda Forever potrebbe essere una
grande battaglia tra i grandi governanti di Wakanda,
Talokan e Latveria.
Il vibranio potrebbe potenziare
enormemente i poteri di Doctor Doom
Nella Marvel Comics, il vibranio si rivela un
materiale preziosissimo. È una fonte incredibilmente unica, non
solo per la sua resistenza e per la varietà di applicazioni nel
mondo fisico, ma anche per la sua capacità di amplificare e
incanalare i poteri soprannaturali. È proprio il potere magico del
vibranio che spinge Doctor Doom a invadere il
Wakanda in Doomwar.
Uno dei motivi per cui Doom è
così formidabile nell’Universo Marvel è il fatto che è un uomo
di scienza e di magia. Victor è un genio del male con un
intelletto che lo avvicina a Mr. Fantastic, ma è anche uno
stregone esperto che ha conosciuto faccia a faccia Doctor Strange. Tenendo tutto questo a
mente, il Doctor Doom potrebbe fare un sacco di danni con le
riserve di vibranio del Wakanda. Questo è uno dei motivi
principali per credere che Doom sarebbe il cattivo perfetto per il sequel di
Black Panther: Wakanda Forever.
Ironheart crea un collegamento con
Infame Iron Man di Doctor Doom
Anche il debutto di
Ironheart (Riri
Williams) in Black Panther: Wakanda Forever
è un buon segno per l’arrivo di Doctor Doom nell’MCU. Nei fumetti, in una delle
prime apparizioni come successore di Iron Man, Riri
incontra Victor von Doom. Nell’episodio, nel tentativo di
riscattarsi Doom si impossessa del mantello di Tony Stark e
diventa Infame Iron Man. Doom prova ad essere un eroe
ma viene ostacolato da Mephisto e da Hood e torna al
suo tipico status di super criminale dell’universo Marvel. Ugualmente, Doom
potrebbe arrivare nell’MCU come InfameIron
Man per poi diventare un cattivo nel sequel di Black
Panther: Wakanda Forever.
Difficile considerarlo un
esordiente, dopo tanti anni di attività e un curriculum nel quale
si affaccia anche il grande cinema, ma che spazia dalla letteratura
al teatro. Dove, come regista, Vincenzo Pirrotta
ha raccolto diversi riconoscimenti, prima di scegliere di mettersi
alla prova dietro la macchina da presa. Verrebbe da aggiungere
‘finalmente’ a vedere lo Spaccaossa che Luce
Cinecittà distribuisce nelle sale dal 24 novembre, e nel quale
l’artista partinicese è interprete e sceneggiatore. Insieme –
eccezionalmente, in un film che non li vede apparire in scena – a
Ficarra e Picone, sempre più in stato di grazia
dopo la splendida prova offerta ne La stranezza di Roberto
Andò e qui in veste anche di produttori.
Una storia vera, un male profondo
Tutto nasce “da quando
una notizia di cronaca ha conquistato i miei pensieri assumendo le
fattezze di un cancro da espellere” spiega lui stesso, rendendo
l’intensità e la forza di una vicenda che sarebbe riduttivo
descrivere come una delle tante storie di criminalità e
sfruttamento ambientate nel nostro Sud e in Sicilia. Un racconto
che piano si insinua e diffonde, via via che il quotidiano
arrangiarsi del protagonista ci mostra il suo privato, le sue
personali disperazioni e quelle dei tanti che attraverso lui
arriviamo a conoscere.
Delinquenti e vittime,
volontarie ma non per questo meno tormentate, ugualmente costretti
nello stesso inferno. Quello di un magazzino di Palermo dove si
svolge l’attività di una organizzazione usa a frantumare braccia e
gambe di consenzienti malcapitati, disposti a farsi spaccare le
ossa per intascare una minima parte dei lauti indennizzi
assicurativi risultanti dalla truffa. Il lavoro di Vincenzo è
quello di reclutare i candidati tra i miserabili della città,
spesso persone conosciute, amici di amici, o alle quali è legato in
maniera particolare, come la Luisa di Selene
Caramazza, tossica e vagabonda. Almeno fino a quando anche
lui non finisce per avere problemi economici.
L’inferno degli spaccaossa
Sono molti gli sguardi
con i quali si può osservare il dramma messo in scena, e su più
livelli. Per la verità della storia raccontata senza giudizi o
complessi di superiorità, e per l’equilibrio trovato nel farlo. Che
evita ci si affidi a un ‘banale’ crescendo o a un’abituale
sommatoria di crisi e conflitti, ma riesce a trarre il meglio dai
tanti attori coinvolti, tutti ben diretti e inseriti nella
composizione. Da Simona Malato, Maziar
Firouzi, Gabriele Cicirello,
Paride Cicirello, Maurizio
Bologna, Claudio Collovà e la
Rossella Leone moglie di Ficarra, ai vari
Giovanni Calcagno, Filippo Luna e
Luigi Lo Cascio tutti svolgono il proprio
compito, con Ninni Bruschetta in particolare
evidenza, al pari della Aurora ‘Rory’ Quattrocchi,
capace persino di aggiungere un brivido horror alla sua
caratterizzazione della ‘povera’ madre del nostro eroe.
Appare meritato, dunque,
il consenso ottenuto dalla critica e dagli addetti ai lavori dopo
la presentazione in anteprima nell’ambito delle Giornate
degli Autori dell’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia. Al quale ci si augura segua un adeguato successo di
pubblico, e di botteghino, nonostante i preoccupanti livelli medi
del box office italiano. Perché non sono molti i film capaci di
toccare lo spettatore senza approfittare di ricatti morali o
pornografia di vario genere, e di sorprendere con lo spettacolo di
una realtà che ci circonda e che non sempre sembriamo – potere, o
volere? – vedere per come si mostra.
Il ritmo, la fotografia
(di Daniele Ciprì), le musiche, tutto concorre
alla creazione di un’inerzia travolgente pur nella sua apparente
fissità, di un intorno all’interno del quale diventa meno difficile
comprendere una sottocultura fatta di droga, violenza e ludopatia.
E con un piccolo sforzo di fantasia, o umanità, riuscire a trovare
le similitudini con un approccio culturale ed esistenziale, ormai
comune, che subordina tutto al risultato, all’appartenenza a una
ristretta cerchia e alla fruizione di supposti benefici. Come se
principi, dignità o senso di giustizia non servissero nel futuro
che, coerentemente, il film e i suoi personaggi disegnano, nero,
malato, privo di speranza, senza scampo.
Il regista messicano è pronto a
tornare in grande stile con il suo Pinocchio di Guillermo del
Toro, in maniera più semplice
Pinocchio, rivisitazione della storia di Carlo
CollodiLe avventure di Pinocchio. Storia di un
burattino. La scelta di inserire il suo nome nel titolo della
pellicola è chiara: il racconto qui proposto non è lo stesso di
quello conosciuto, c’è la sua rilettura.
L’idea di costruire un nuovo
universo del burattino di legno nasce al regista messicano nel
2008, un progetto molto ambizioso che però vede nel 2017 una
rinuncia anche a causa dei costi troppo elevati del film. Per
fortuna Netflix nel 2018 decide di acquistarne i diritti,
mettendo di nuovo in moto la sua lavorazione. Il prodotto è un film
d’animazione realizzato con la tecnica dello stop-motion,
e arriverà nelle sale cinematografiche dal
4 dicembre e su Netflix dal
9 dicembre.
Pinocchio di Guillermo del Toro, la
trama
Prima Guerra Mondiale. Geppetto
(David Bradley) è un falegname che vive in un
paesello nel Nord Italia insieme a suo figlio Carlo, al quale
insegna l’arte dell’artigianato. Una sera, ultimato un lavoro che
l’uomo aveva fatto in chiesa, i due vengono colpiti da un
bombardamento aereo, che causa la morte di Carlo. Il lutto per la
perdita del figlio porta Geppetto a consolarsi nelle bottiglie di
alcol, consumate sulla lapide del bambino.
È ora il ventennio fascista. Dopo
essere rientrato da una delle sue solite visite alla tomba, preso
da un momento di collera, il falegname inizia a intagliare su un
pezzo di legno grezzo una sorta di burattino incompleto. Nella
notte, però, uno Spirito (Tilda
Swinton) dall’aspetto etereo giunge in casa per
regalargli la vita, dando la possibilità a Geppetto di essere
nuovamente felice. Non appena questo prende vita, diventando
Pinocchio (Gregory Mann), le avventure che deve
subito affrontare insieme al grillo Sebastian (Ewan
McGregor), per rendere orgoglioso il padre, lo portano
faccia a faccia con la vera dittatura.
Dentro il racconto di del Toro
Se Guillermo del
Toro avesse dovuto presentare il suo
Pinocchio esattamente come introduce i racconti
estraendo oggetti dal suo wunderkammer in Cabinet of
Curiosities, avrebbe esordito così: “Questa è la storia di
un burattino di legno, pregna però di sfumature oscure, contorni
crudi e verità forse inaccettabili. Questo, signori, non è il
Pinocchio che conosciamo”. E non c’è niente di più vero.
Le opere di Del Toro si distinguono
principalmente per tre fattori: lo sfondo politico, l’atmosfera
pseudo religiosa, lo spazio gotiche. E qui, nel suo
Pinocchio, tali caratteristiche si presentano
tutte in maniera equilibrata, evidenziando la sua impronta
registica – e stilistica – che si estende a
macchia d’olio lungo l’impianto narrativo del film.
D’altronde, se non avesse potuto marchiare la storia di Collodi
seguendo i dettami della sua arte, probabilmente il film non
sarebbe mai esistito.
Il regista apre la finestra
della realtà credibile sull’universo di Pinocchio,
proponendo un racconto in cui condizione umana e politica si
intrecciano e si fondono. Del Toro opera allo stesso modo di
Il labirinto del fauno, rinunciando però qui
alle eccessive sfumature fiabesche, il cui guizzo si può
riscontrare piuttosto negli insegnamenti di vita che il burattino
assorbe nel suo percorso di crescita. Questi, infatti,
arricchiscono la trama di continui moniti, veicolati allo
spettatore attraverso tematiche sulle quali spesso si ha timore di
soffermarsi: la storia e l’evoluzione, a volte terribile, del
genere umano.
Quello che porta al cambiamento e
alla crescita, a maggior ragione se inserito in un avvenimento
storico di rilievo quale – in questo caso – il periodo ostico della
dittatura, non può essere mostrato attraverso colori sgargianti e
morbidi climax, ma piuttosto esposto con una crisi
profonda e un ostacolo, quello sociale e politico, che va al di là
degli happy ending. È questa l’opera di Del Toro.
In una sceneggiatura che ha
prediletto il taglia e cuci, il regista spoglia la storia
della sua bellezza favolistica, riducendo Pinocchio agli
elementi essenziali in grado di far virare ad una narrazione molto
più impattante a livello contenutistico. Del Toro fa camminare il
suo burattino nelle difficoltà di una Italia intrappolata
nel ventennio fascista, in un contesto di
assoggettamento del popolo al suo Duce, dalle cui labbra pendono
tutti i personaggi che Pinocchio incontra lungo il cammino, e di
cui si serve per prendere consapevolezza.
L’ambiente politico è il primo vero
tema caldo dello script, in cui emerge l’inclinazione del
burattino a non soccombere come gli altri al Podestà, uno dei
principali villain che vede in lui un’arma indistruttibile ai fini
della guerra – essendo immortale – e di cui le truppe militari
fasciste possono farne uso. Ciò che corrode l’intero villaggio in
cui Pinocchio è “nato”, ma che si annida come muffa in tutto lo
stivale, è la famosa propaganda “Il Duce ha sempre
ragione”, seguita da un discorso dittatoriale che seppur non
si senta, si riesce a percepire: “La libertà senza ordine e
senza disciplina significa dissoluzione e catastrofe.”
Il tessuto del film si districa
proprio attraverso questo concetto “Mussoliniano” a cui Pinocchio
si ribella, imponendosi come individuo capace di fare la
differenza a dispetto di chi, con credenze bigotte di
fronte al suo essere “semplicemente di legno” – seppur venerino
Gesù, fatto di legno, sulla croce – lo reputi una maledizione e
un’opera del Diavolo. Eppure lui, nonostante sia di pino, si rivela
essere più umano di quelli fatti di carne e ossa poiché, al
contrario di come succedeva all’epoca di Benito Mussolini, riesce
ad esercitare il libero arbitrio. Ecco dunque la morale principale
del regista: essere diversi, e in questo caso sovversivi, può
divenire un atto salvifico.
Una storia di fragilità umana
Sin dalle prime inquadrature, il cui
ricco setting evidenzia una minuziosa lavorazione
del profilmico, è chiaro ciò che Del Toro porterà
all’occhio attento dello spettatore: questa è una fiaba che non sa
di meraviglia, sa di verità. Da Steve Barron, passando a Robert
Zemeckis e finendo a Roberto Benigni, l’avventura coming of
age di Pinocchio è sempre stata smorzata da
toni prevalentemente caramellosi e semplici, il cui obiettivo era
viaggiare sulle ali della fantasia, più che impegnarsi in un reale
racconto di formazione. E alla domanda “cosa si cela dietro la
storia di Pinocchio?” fino ad oggi è riuscito a rispondere
esaustivamente solo il regista messicano.
Nelle pellicole antecedenti la
rivisitazione deltoriana, Geppetto è stato designato come un uomo
il cui desiderio era avere un figlio a cui donare tutto l’amore di
cui avesse bisogno. Ma nessuno, fino ad oggi, aveva tentanto di
esplorare davvero il passato del falegname per
capire da cosa potesse derivare tale necessità, fornendo solo
qualche informazione poco dettagliata a riguardo. Del Toro invece
osa. E osa più che bene. Entra nella condizione di fragilità umana
di Geppetto e ne restituisce una versione cruda e senza filtri di
un uomo lacerato dal lutto, il cui avvenimento lo ha condotto sulla
strada dell’alcolismo mentre piange disperato sulla lapide del suo
bambino, Carlo.
Carlo, un figlio strappato troppo
presto dalle braccia del padre per colpa dei bombardamenti della
Prima Guerra Mondiale; un bambino vittima della guerra come tanti
altri; un figlio, che diventa il figlio di tutti, il cui padre non
è riuscito ad accettare la sua morte improvvisa, e che nel
tentativo di addormentare un dolore che brucia costantemente nel
petto, si abbandona tristemente a se stesso. Entrare in contatto
profondo con il background di Geppetto prepara emotivamente
alla storia. Accende il processo dell’identificazione e
permette alla fruizione di essere molto più densa e, per certi
versi, molto più difficile ma necessaria per una mise en scene il
cui elemento realistico è garantito.
Comprendere a pieno chi fosse
Geppetto prima di Pinocchio, imprime di valore il rapporto
dell’uomo con il burattino di legno. Se all’inizio il falegname era
restio ad accettare la sua presenza a causa della ferita ancora
aperta di Carlo, il loro tendersi progressivamente la mano per
costruire un legame di fiducia reciproco, conferisce alla nascente
relazione padre-figlio il taglio del vero
amore.
Bellezza stilistica
Se Del Toro ha impiegato diverso
tempo per la produzione del suo Pinocchio, la
visione del prodotto ne fa capire il motivo. La tecnica dello
stop-motion non è di sicuro un “metodo” semplice per costruire
delle pellicole, specie se in termini di minutaggio queste
risultino essere lunghe. Basti pensare che per un movimento del
personaggio ripreso, bisogna scattare precisamente 24 fotogrammi e
le espressioni facciali, seppur impercettibili, devono essere
diverse. Eppure, ogni personaggio che entra a far parte di
questo lungometraggio è pieno di sfaccettature, di
dettagli, di cura. L’attenzione e la minuzia nel disegnarli e
portarli in vita è evidente: passando dai tratti del grillo, che
seppur non abbia un volto umano sa trasmettere tutte le emozioni
che prova, e finendo a quelli di un Geppetto le cui lacrime che
solcano il viso sembrano reali.
L’ambiente, poi, è ben studiato. Di
solito, lo spazio-tempo attorno ad un personaggio deve essere molto
pieno nei fumetti per restituire al lettore un orientamento della
scena. Al cinema, l’ambiente ha senz’altro una sua importanza e
rilevanza, ma molto fa la bravura degli attori e non è sempre
scontato che quando invece si tratti di dare vita ad un film
d’animazione, che potrebbe essere paragonato ad un fumetto, si
ponga accortezza sul luogo. Nel Pinocchio di Del Toro, invece, il
setting principale, rappresentato dal villaggio, sembra condurre
realmente nel paesello arroccato nel Nord Italia. Non c’è senso di
vuoto, ma pienezza completa e misurata, senza la
presenza di elementi superflui. La scelta cromatica, seppur ampia,
predilige come sempre nel cinema deltoriano la prevalenza
dell’ambra, che garantisce un”atmosfera sia magica che realistica.
Il tutto, poi, amalgamato con le spettacolari musiche di
Alexandre Desplat.
Pinocchio di
Guillermo del Toro risulta perciò un film la cui bellezza
favolistica cede il passo a quella reale, i cui tratti
spesso sono crudi ma mai eccessivi. Il suo essere un film
antifascista lo trasforma in un inno alla libertà in cui il suo
protagonista dimostra che a volte, anche se c’è meno fiaba, si può
sempre indirizzare un messaggio d’amore, di patria e di crescita. E
così Del Toro ci ricorda che tutte le favole, alla
fine, nascono da frammenti di realtà rielaborati.
Ed è per questo che dall’altra parte noi riusciamo a imparare.
Proiettato per la prima volta il 2
settembre in occasione del Telluride Film Festival, il
prodigio è la nuova pellicola diretta dall’argentino
Sebastian
Lelio (Disobedience).
La sceneggiatura, tratta dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue, è
nata dalla collaborazione di quest’ultima insieme a Lelio e ad
Alice Birch. Nel cast ritroviamo spiccare la stella nascente del
cinema contemporaneo
Florence Pugh (Piccole
donne,
Don’t worry, darling) nel ruolo dell’infermiera inglese
Elisabeth Wright. Il film è già stato candidato per ben 12
categorie per i British Independent Film Awards, tra cui anche per
la miglior regia, miglior performance protagonista e miglior
performance esordiente per Kìla Lord Cassidy nei panni della
piccola Anna.
Un miracolo irlandese
Irlanda 1862: Elisabeth Wright è
un’infermiera chiamata in un piccolo villaggio irlandese per
assistere una bambina, Anna. Giunta a destinazione, scopre dal
comitato di medici e chierici che si occupano della questione che
Anna è perfettamente sana: l’unica anomalia è che non mangia da
quattro mesi. Mentre i preti del villaggio e la famiglia della
piccola tendono a credere che si tratti di una sorta di miracolo
divino, un medico vuole scoprire come razionalmente questo possa
essere possibile. Per questo motivo viene dato a Elisabeth e ad una
suora il compito di sorvegliare Anna giorno e notte per scoprire
come possa sopravvivere senza nutrirsi. La bambina afferma di
nutrirsi di manna dal cielo. Pur avendo vietato il comitato ogni
contatto con la paziente, tra l’infermiera e la piccola si instaura
un rapporto sempre più stretto. Ciononostante, Elisabeth, decisa a
scoprire il segreto di Anna, evita che lei abbia alcun contatto con
altre persone, compresi i suoi familiari: a questo punto, le
condizioni fisiche della bambina iniziano a peggiorare
terribilmente.
L’infermiera Wright visita Anna
Il prodigio: In. Out.
Già dai primi attimi de Il
prodigio è possibile carpire l’originalità del film: la
prima scena si apre su un set cinematografico. Una voce narrante
introduce le vicende e la sua protagonista, mentre l’occhio dello
spettatore è lasciato libero di vagare per il set, fino a
soffermarsi su una scena specifica, da cui prende il via la storia.
Con il volgersi alla fine della pellicola, si ha un ritorno nella
realtà del set cinematografico. Questo è un tentativo da parte del
regista di rompere la quarta parete, instaurando un contatto più
diretto con il pubblico: diventa chiaro anche nel momento in cui
alcuni personaggi durante le vicende guardano fisso nella macchina
da presa, guardano gli spettatori. La rottura della quarta parete
qui però è parziale, neanche paragonabile allo stile di Woody Allen
(Io
& Annie), in cui il pubblico diventa un vero interlocutore.
Un elemento che spicca ne Il
prodigio è la performance di Florence Pugh. L’attrice con
ogni suo ruolo sta andando ad affermare sempre di più la sua
bravura, aggiudicandosi un posto tra le stelle della nuova
generazione del cinema Hollywoodiano. Elisabeth Wright è una donna
forte, indipendente, ha perso la fede in Dio ed ha una visione
razionale del mondo. Con la sua intelligenza prima fa di tutto per
smascherare l’inganno di Anna, e poi cercherà di proteggerla e
guarirla quando ella diviene più debole e deperita. Nel buio della
sua camera, Elisabeth, Lib, nasconde i segreti del suo passato in
un piccolo fagotto: due calzettine di lana da neonato ed una
boccettina con una sorta di sciroppo, magari una qualche forma di
oppiaceo, ed un ago. Si tratta del fantasma della sua vita passata,
suo marito e sua figlia, morta poche settimane dopo la sua nascita.
Un personaggio certamente molto complesso, che però, tramite
l’interpretazione della Pugh, trasmette tutta la sua tenacia al
pubblico.
“We are nothing without
stories”
Una tematica focale ne Il
prodigio è proprio quella delle storie, o meglio del
potere che una credenza può avere su un individuo. Anna e la sua
famiglia hanno una fede ceca in Dio, giustificano il dolore della
vita terrena come necessario per la pace eterna in paradiso dopo la
morte. Il ruolo della religione si va a delineare maggiormente
nella seconda metà del film, ma fin da subito si può notare la
persistente presenza della fede nella vita della famiglia: le
continue preghiere bisbigliate dalla bambina, trenta tre volte, la
quasi totale assenza di preoccupazione da parte dei genitori verso
Anna. Per quanto la fede possa dare all’uomo una speranza
perenne, il fanatismo può portare effetti terribili, può rendere
l’uomo un essere ceco e irrazionale.
Un monumento vivente del cinema come
Clint Eastwood
non sembra sbagliare mai un colpo, nemmeno raccontando una storia
semplice, e molto americana, come quella di Mystic
River. Considerato uno dei suoi maggiori capolavori,
il film del 2003 è un cupo thriller incentrato su un difficile caso
di omicidio che coinvolge tre personaggi un tempo amici stretti. In
un America dove la violenza è all’ordine del giorno, scegliere di
chi fidarsi diventa una responsabilità non da poco, e Eastwood
porta in scena tutto ciò con il grande gusto che da sempre
contraddistingue la sua messa in scena. Il film non è però una
storia originale, bensì la trasposizione del romanzo La morte
non dimentica.
Scritto da Dennis
Lehane, uno dei maggiori romanzieri statunitensi, che con
questo libro del 2001 trovò fama mondiale. In questo si ritrova non
solo una grande storia noir, ma anche uno studio approfondito di
personaggi psicologicamente complessi, ognuno con i suoi lati di
luci e tenebre. Arrivato all’attenzione di Eastwood, che vi ritrovò
molti dei temi a lui cari, il romanzo venne presto opzionato e
trasformato in film. Questo avrebbe dovuto essere girato in Canada,
ma il regista insistette affinché le riprese avvenissero a Boston,
vera ambientazione della storia. Presentato poi in concorso al
Festival
di Cannes, Mystic River non ottenne qui alcun
riconoscimento se non il plauso della critica.
Arrivato in sala, però, si affermò
come un grande successo economico. A fronte di un budget di 30
milioni di dollari, il film arrivò ad incassarne circa 156 in tutto
il mondo. Divenne poi uno dei protagonisti della stagione dei
premi, ottenendo sei nomination agli Oscar e vincendone due. Prima
di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e alle differenze con il
romanzo. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Mystic River: la trama del
film
La storia si apre nel 1975, quando
Sean, Jimmy e Dave non sono che
tre ragazzini, amici inseparabili proiettati a loro insaputa verso
un cupo destino. La loro infanzia termina infatti il giorno in cui
Dave viene rapito e abusato sessualmente. Pur riuscendo infine a
tornare a casa, nulla sarà più come prima. Venticinque anni dopo,
la quiete di Boston viene nuovamente sconvolta dal brutale omicidio
di Katie, la figlia di Jimmy. Disperato, questi
inizia a cercare una propria personale vendetta, mentre sul caso
investiga Sean, ora poliziotto. I loro sospetti finiranno per
ricadere proprio su Dave, il quale sembrerebbe poter aver avuto più
di un motivo per commettere quel delitto. In un susseguirsi di
accuse e sospetti, il sangue chiamerà necessariamente altro sangue
e la vendetta troverà infine il modo di compiersi, giusta o meno
che sia.
Mystic River: il cast del
film
Ad interpretare il principale
protagonista del film, Jimmy Markum, è l’attore Sean Penn.
Questi fu da subito la prima scelta di Eastwood per il ruolo, e con
la sua performance l’attore arrivò a vincere il suo primo Oscar
come miglior attore. Per dar vita a Jimmy, Penn cercò di calarsi
quanto più possibile nella mentalità del personaggio e della città
di Boston. Il risultato è un’interpretazione struggente e
particolarmente complessa per quantità di emozioni manifestate. Il
ruolo del poliziotto Sean Devine era originariamente stato affidato
a Michael Keaton,
il quale aveva anche iniziato a fare diverse ricerche per questo.
Un mese prima dell’inizio del set, però, egli lasciò il film a
causa di un litigio con Eastwood. Venne allora sostituito da
Kevin Bacon, il
quale si recò a lavorare in un ufficio di polizia in preparazione
al ruolo.
Tim Robbins,
celebre per il film Le ali della libertà, interpreta
invece il problematico Dave. Un ruolo particolarmente complesso,
grazie al quale egli vinse l’Oscar come miglior attore non
protagonista. Nel film sono poi presenti altri noti attori come
Laurence
Fishburne, nei panni del sergente Whitey, collega di
Sean. Marcia Gay Harden è
invece Celeste Boyle, la moglie di Dave. Anche lei ha ottenuto la
candidatura all’Oscar per la sua interpretazione, senza però
vincere. Laura Linney,
invece, interpreta Annabeth Markum, moglie di Jimmy. È inoltre
presente l’attore Eli Wallach, il quale ha un
breve cameo nei panni del signor Loonie. Questi, grande amico di
Eastwood sin dai tempi di Il buono, il brutto, il cattivo,
raccontò di aver girato la propria scena in un’unica ripresa, tanto
l’intesa tra lui e l’amico regista era forte e chiara.
Mystic River: le
differenze tra il libro e il film
Nell’adattare il celebre romanzo si
è cercato di rimanere quanto più fedeli possibile alla storia
scritta da Lehane. Vi sono però inevitabilmente alcune differenze,
che hanno permesso al racconto di acquisire una forma più consona
al mezzo cinematografico. Il primo di questi si ritrova nella
scoperta di quanto accaduto a Katie, la figlia di Jimmy. Il film lo
spettatore viene a conoscenza della sua morte dopo i primi 30
minuti, mentre nel libro la ricerca della ragazza dura molto di
più, e permette all’autore di descrivere minuziosamente il contesto
della città. Allo stesso modo, anche il personaggio di Dave è
particolarmente semplificato. Nel romanzo, questi è estremamente
complesso psicologicamente e attanagliato dai traumi della sua
infanzia, legati alla pedofilia. Nel film tutto ciò è presente,
seppur in maniera meno evidente.
Anche la storia personale del
poliziotto Sean è qui in parte tralasciata per favorire la trama
principale. Nel romanzo, infatti, il rapporto con la moglie da cui
è separato è maggiormente approfondito, mentre nel film questo è
lasciato sullo sfondo. Particolarmente diversa è anche la
rappresentazione della scena d’apertura del film, legata al
rapimento di Dave. I tre amici, infatti, nel film stanno giocando
lungo la strada e vengono avvicinati da due estranei, entrambi
anziani. Nel romanzo, invece, si trovano vicino la stazione dei
treni, e i due sequestratori sono uno giovane e biondo e l’altro
anziano. Molti degli aspetti di questo rapimento sono sintetizzati
nel film, così da permettere di far rientrare un romanzo di oltre
400 pagine in due ore di racconto.
Mystic River: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Mystic
River è infatti disponibile nel catalogo di
Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Infinity, Apple
iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
semplicemente iscriversi, in modo del tutto gratuito alla
piattaforma. Si avrà così modo di guardare il titolo in totale
comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso
di noleggio si avrà a disposizione un determinato limite temporale
entro cui effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in
televisione il giorno mercoledì 23 novembre alle
ore 21:00 sul canale Iris.
Icona del cinema hollywoodiano degli
anni Quaranta, Judy Garland ha
avuto una vita tanto ricca di successi quanto anche di profondi
drammi personali. Dietro la sua fortunata carriera cinematografica,
si nascondeva infatti una donna fragile, segnata dai numerosi
matrimoni falliti e dalla dipendenza di farmaci. Eppure ridurla a
ciò non le farebbe giustizia e anche per questo il film del 2019
Judy (qui la recensione) si è
impegnato a far riscoprire la Garland, proponendola senza filtri in
tutta la sua complessità emotiva, tra successi e insuccessi.
Diretto da Rupert Goold, attivo principalmente in
campo teatrale, il film è dunque una struggente biografia della
donna oltre la diva.
Scritto da Tom
Edge, il film è basato sul dramma teatrale di
Peter QuilterEnd of the Rainbow, un
chiaro riferimento all’arcobaleno del film Il mago di Oz e del
brano intitolato appunto Somewhere Over the Rainbow, che
rese celebre la Garland. A lungo atteso, Judy ha dunque
raccontato risvolti meno noti della vita della diva, ottenendo ampi
consensi di critica e pubblico. Nel corso della stagione dei premi
di quell’anno è poi stato un grande protagonista, vincendo
importanti riconoscimenti, in particolare quelli come miglior
attrice a Renée Zellweger, interprete malinconica
della Garland.
Per molti Judy è uno dei
biopic più affascinanti degli ultimi anni, che non ha la pretesa di
raccontare tutto ma si concentra su alcuni particolari per giungere
ad un ritratto complessivo della vita dell’artista. Per gli
appassionati del genere e per riscoprire la Garland, è un titolo da
non perdere. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà utile approfondire alcune curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà possibile ritrovare ulteriori
dettagli relativi alla trama e al cast di
attori e alla vera storia Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Judy: la trama e il cast
del film
Il film si apre sul 1968, quando
Judy Garland è una donna ormai esausta dalla vita
e con innumerevoli problemi privati a gravare sulle sue spalle.
Piena di debiti, con diversi matrimoni alle spalle e con una voce
ormai non più iconica come un tempo, Judy trova conforto soltanto
nei figli Lorna e Joey, per i
quali deve comunque combattere per ottenerne la custodia. In cerca
di soldi e nuovi lavori, la Garland si sposta in lungo e in largo,
non potendo però fare a meno di ripensare agli inizi della sua
carriera, quando aveva il controllo della sua vita e tutto sembrava
dover andare per il meglio.
Come anticipato, ad interpretare la
Garland vi è l’attrice Renée
Zellweger. Per lei, interpretare la protagonista è
però stata una sfida non da poco. Si è infatti dovuta allenare a
livello vocale per oltre un anno, oltre a sottoporsi ad alcuni
interventi di trucco per rendere maggiore la somiglianza con la
Garland. Grazie alla sua struggente performance, la Zellweger si è
poi aggiudicata il suo secondo premio Oscar. Accanto a lei, nei
panni dei figli Lorna e Joey vi sono gli attori Bella
Ramsey e Lewin Lloyd, mentre
Jessie Buckley è l’assistente Rosalynd Wilder e
Rufus Sewell è
Sidney Luft, terzo marito della Garland.
Judy: le differenze tra il
film e la vera storia
Nell’adattare il dramma teatrale e
fare riferimento alla vera vita della Garland, lo sceneggiatore, il
regista e i produttori di Judy hanno cercato di rimanere
fedeli ad alcuni aspetti, modificando solo ciò che era necessario
modificare. Innanzitutto, come mostrato nel film, risulta essere
vero che i produttori della MGM incoraggiarono la Garland ad
assumere anfetamine per il controllo dell’appetito, così che
potesse preservare la propria immagine. Ciò la portò naturalmente a
sviluppare una dipendenza da farmaci. A procurare tali pillole
all’attrice fu proprio la madre, la quale proiettava nella figlia i
suoi sogni infranti di divenire una celebrità.
Altra figura particolarmente
tirannica nella vita della Garland, come mostrato nel film, è
quella del produttore Louis B. Meyer, il quale ebbe un profondo
controllo sulla vita artistica e privata della giovane. Quando nel
1949 la Garland venne licenziata dalla MGM, l’attrice tentò
realmente il suicidio e riuscì a riprendersi dalla sua crisi
personale solo dopo un lungo soggiorno in ospedale. In quegli anni
la vita privata della Garland era infatti non solo segnata dalle
sue dipendenze, ma anche dai matrimoni falliti. In particolare, a
segnarla, fu l’aver perso la custodia dei figli Lorna e Joey nei
confronti del terzo marito, Sidney Luft.
Concentrandosi poi sull’ultimo
periodo di vita della Garland, il film ce la racconta in bancarotta
e pronta a recarsi a Londra nella speranza di esibirsi in alcuni
locali. Entrambi questi aspetti sono veri, in quanto negli ultimi
anni di vita la Garland era piena di debiti e cercò riparo a Londra
per poter ottenere qualche nuovo impiego. L’attrice fu infine
ritrovata morta il 22 giugno del 1969, a quarantasette anni. Si
pensò inizialmente ad un suicidio, ma l’autopsia riportò che si
trattò di una morte accidentale dovuta ad un’eccessiva assunzione
di barbiturici in un lungo arco di tempo.
Judy: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Judy grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV,
Chili Cinema, Google Play e Apple iTunes. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
mercoledì 23 novembre alle ore
21:10 sul canale Rai Movie.
Il regista tedesco
Daniel Stamm torna sul tema delle possessioni
diaboliche dopo L’ultimo esorcismo del 2010, con il suo
nuovo film Gli occhi del diavolo che sarà
in sala dal 24 novembre.
All’epoca al botteghino
aveva riscosso un gran successo, portando a casa un incasso
nettamente superiore alle spese. Così come era stato (un po’ meno,
forse) anche per 13 peccati del 2014, un horror dal ritmo
frenetico di cui aveva anche scritto la sceneggiatura, pur essendo
il remake di una pellicola thailandese del 2006.
La trama di Gli occhi
del diavolo
Questa volta la storia
sorge da un’idea dello sceneggiatore Robert Zappia, che proveniva
già dal genere horror per Halloween – 20 anni
dopo del 2008 e che ha scritto Gli occhi
del diavolo insieme a Todd e Richey Jones. Qualche
anno fa, infatti, era incappato in un articolo di giornale che
raccontava come negli ultimi decenni ci fosse stata un’incredibile
crescita di casi di possessione e, quindi, di richieste di aiuto
nei confronti di sacerdoti esorcisti, soprattutto a fronte di un
aumento del rapporto delle une rispetto agli altri. Così il film
inizia con il colpo di genio per ovviare alla minaccia di
un’invasione di satana e i suoi seguaci: l’apertura di nuove scuole
per aspiranti esorcisti.
Suor Ann
(Jacqueline Byers) è una giovane e promettente
consacrata che lavora come infermiera nell’istituto che negli Stati
Uniti è preposto allo scopo dell’addestramento di preti. La ragazza
si affeziona in particolar modo ad una bimba (Posy
Taylor) ricoverata tra i pazienti che lei assiste, che
però pare manifestare nei suoi confronti un interesse non
propriamente innocente, cosa che la introdurrà nel percorso per
diventare la seconda donna esorcista nella storia.
Gli occhi del
diavolo apre dunque le sue danze, seguendo per bene le
tracce dei suoi innumerevoli predecessori, tra cui il primo fra
tutti: L’esorcista di William
Friedkin del ’73. Ma, a parte la variante della
protagonista femminile, non aggiunge praticamente nulla di nuovo né
dal punto di vista dell’intreccio né, men che meno, da quello delle
immagini.
Probabilmente, di fatto,
vedere sullo schermo Suor Ann lottare con i propri demoni fisici e
psichici, del passato e del presente, conficca il perno
dell’attenzione sui principali dolori di cui questo tempo storico
così tanto soffre. È naturale che non ci sia innovazione neanche da
quel punto di vista, ma se c’è una piccola attualizzazione del
genere rispetto ai suoi antenati, si può giusto trovare in queste
minime varianti.
Le ferite generate dalla
propria storia personale, che chiaramente affondano nella psiche
delle vittime di possessione diabolica (tutte donne), vengono
affrontate esclusivamente attraverso le forze individuali. Laddove
nella tradizione della Chiesa Cattolica la figura dell’esorcista si
mette totalmente nelle mani di Dio, facendosi ed essendo suo
ministro nell’aiutare i posseduti come il tramite di una potenza
ben più grande di lui che gli viene data, proprio come se ne fosse
catalizzatore, qui diviene una lotta completamente impari tra la
donna e il demonio. Ed è curioso, oltre che consolidato, che i
riferimenti maschili ne escano impotenti, deboli e smarriti, tanto
per cambiare.
L’unione femminile fa la forza
C’è la figura di una
psichiatra (Virginia Madsen) ad incoraggiare Suor
Ann e che all’inizio del film la aiuta a scavare nella memoria
della sua infanzia segnata da una mamma malata (Koyna
Ruseva) e a tratti aggressiva. E c’è la sorella di un
giovane sacerdote che è perseguitata dagli effetti di uno stupro
subito tanti anni prima. I demoni del passato sono ciò a cui il
diavolo si attacca per torturare queste donne, proprio come
l’anello di Sauron de Il Signore degli Anelli. E a tentare
una liberazione da tali e tanti fardelli sono le parole sussurrate
da Suor Ann, dalla sua mamma, che come un mantra si ripetono
rassicuranti per scacciare le forze infernali.
Ancora una volta,
insomma, l’unione (femminile) fa la forza. Ma la verità, alla fine,
è che l’assenza di Dio si sente in maniera prepotente. E l’epilogo
dell’allenamento per la «difesa contro le arti oscure», lascia Suor
Ann e lo spettatore soli e con tanti dubbi.
A seguito dei
recenti commenti di Quentin Tarantino sul genere e sul franchise,
Simu Liu si è rivolto a Twitter per condividere
una risposta schietta alle sue critiche ai film Marvel. L’attore di Shang-Chi e la leggenda
dei Dieci Anelli ha riconosciuto l’impatto
di Tarantino e Martin Scorsese sul cinema nel suo
complesso, ma ha anche aggiunto altre osservazioni che sembrano
giuste.
“Se l’ingresso al mondo delle
star di Hollywood fosse gestito da Tarantino o Scorsese, io non
avrei mai avuto l’opportunità di recitare un in film di 400
milioni. Sono in ammirazione del loro genio cinematografico. Sono
autori trascendentali. Ma non possono puntare il naso contro di me
o con chiunque altro.”
“Nessuno studio cinematografico
è o sarà mai perfetto. Ma sono orgoglioso di lavorare con uno che
ha compiuto sforzi importanti per migliorare la diversità sullo
schermo creando eroi che danno potere e ispirano le persone di
tutte le comunità ovunque. Anch’io ho adorato la “Golden Age”… ma
era tremendamente bianca.”
ATTENZIONE – l’articolo contiene
spoiler su Black Panther: Wakanda Forever
Screen Rant ha
intervistato Nate Moore, produttore di Black Panther: Wakanda
Forever, il quale ha commentato l’apparizione a
sorpresa di Julia Louis-Dreyfus nei panni della
contessa Valentina Allegra de Fontaine. Moore ha condiviso che
la connessione di Valentina con Everett Ross era in realtà
un’idea di Ryan Coogler. Ha anche paragonato
Valentina al Nick Fury della Fase 1, suggerendo che questo potrebbe
essere pericoloso per l’MCU.
“Certamente, questa non è
l’ultima volta che vedremo Valentina. Penso che ora, chiaramente,
lei e Ross potrebbero trovarsi a tavoli diversi nello stesso
ristorante. Il dettaglio della loro relazione passata era qualcosa
che Ryan pensava sarebbe stato davvero divertente e interessante da
esplorare. Si spera che riusciremo a costruire su questo
presupposto. Ma con Valentina, proprio come Nick Fury nella Fase 1,
stiamo lentamente costruendo la storia di una donna che forse ha le
mani in pasta in più questioni. E vedremo se è una cosa positiva o
negativa per l’MCU.”
Il sequel del MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever è arrivato nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel StudiosBlack Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
Stravolgendo la percezione della
realtà dei suoi personaggi, il finale della serie tv Netflix
1899 ci mette davanti a misteri fantascientifici
sconcertanti che richiedono indubbiamente spiegazioni. In ogni
episodio,
1899 naviga in una moltitudine di concetti e
dispositivi narrativi fantascientifici senza offrire una
spiegazione chiara per nessuno di essi. Per aggiungere un ulteriore
livello di intrigo e dramma,
1899 termina ogni episodio con un enigmatico
cliffhanger, mentre si svelano gradualmente le traumatiche storie
dei suoi personaggi principali. Sebbene il dramma fantascientifico
di Netflix si prenda il suo tempo per svelare questi
misteri di fondo e tenga intenzionalmente gli spettatori col fiato
sospeso grazie a un ritmo disteso, è comunque gratificante riuscire
ad unire tutti i puntini.
Il Kerberos e il Prometheus
Una nave di nome
Kerberos è lo scenario principale che riunisce i
diversi personaggi di
1899, mentre la Prometheus è un’altra nave che sarebbe
scomparsa prima che la Kerberos salpasse. All’inizio di
1899, diventa evidente che la Kerberos non è una nave
normale e ospita molte tecnologie misteriose che sono quasi
incomprensibili per i passeggeri. La trama di
1899 prende una piega oscura quando l’equipaggio della
Kerberos riceve uno strano messaggio da una nave vicina che si
rivela essere la Prometheus. Dopo aver trovato solo un ragazzo,
Elliot, sulla nave fantasma, l’equipaggio della
Prometheus lo prende a bordo e salpa per tornare a casa. Non si
rendono conto che un altro passeggero della Prometheus, di nome
Daniel, è salito a bordo della nave.
Il caos si scatena a Kerberos quando
i passeggeri iniziano a morire, mentre Daniel cerca di costringere
Maura (interpretata da Emily
Beecham) a mettere in discussione la sua percezione.
1899 spiega questi eventi misteriosi negli ultimi
episodi rivelando che la nave è una simulazione che ha manipolato
la realtà dei passeggeri: tutto, dai loro ricordi al loro aspetto
fisico, è un costrutto della simulazione. Dal punto di vista
mitologico, Cerbero/Kerberos è il cane da guardia a tre teste che
impedisce ai morti di fuggire dagli inferi. Dato che il Kerberos
del
1899 funge da prigione della percezione e della realtà
per i passeggeri, il nome acquista un senso. Allo stesso modo, il
nome dell’altra nave deriva dal mito greco di Prometeo, che venne
tormentato in eterno per aver rubato il fuoco dal monte Olimpo, un
parallelismo con i passeggeri che vivono in loop infiniti dei loro
traumi simulati.
Chi ha creato la simulazione?
I depistaggi nei primi
episodi di
1899 suggeriscono che il padre di
Maura, Henry Singleton
(interpretato da Anton Lesser del cast di Andor), sia il genio del male dietro la simulazione. Ad
esempio, Maura continua a sostenere che il padre le ha rimosso i
ricordi dopo che lei e il fratello sono venuti a conoscenza dei
suoi esperimenti segreti sulla nave. In un’altra scena, Henry spia
i passeggeri della Kerberos dalla comodità della
sua stanza. Se questi momenti sono abbastanza convincenti da
suggerire che Henry sia l’architetto della simulazione, gli episodi
finali rivelano che Maura ne è la creatrice.
Al di fuori della simulazione,
Maura viveva nel mondo reale con il marito
Daniel e il figlio Elliot. Quando
la salute del figlio iniziò a declinare a causa di una misteriosa
malattia, la donna non riuscì a sopportare il dolore e il lutto che
questo questo tragico evento portò alla sua famiglia. Nel tentativo
di “preservare” il figlio, ne trasferisce la coscienza in una
realtà simulata dove lei e Daniel (interpretato da Aneurin
Barnard del cast della sesta stagione di Peaky
Blinders) possono passare del tempo con lui in una piccola
stanza dei giochi, nonostante lui sia morto nel mondo reale.
Sebbene
1899 non riveli come la simulazione sia cresciuta
dalla stanza dei giochi di un bambino a un sistema a più livelli e
come Henry sia stato coinvolto, sembra probabile che molte altre
forze siano state coinvolte nella tecnologia nel corso del tempo e
abbiano scatenato il caos.
Sfruttando questo aspetto a suo
vantaggio, Henry ha abusato della tecnologia della
figlia creando altre simulazioni all’interno della sua simulazione
principale per studiare le oscure profondità del cervello umano.
Maura spiega la sua spirale negativa in una breve conversazione con
Eyk (interpretato da Andreas
Pietschmann del cast della terza stagione di
Dark) ricordando che sua madre era affetta da
Alzheimer, che ha gradualmente distrutto la sua capacità di
riconoscere i membri della famiglia. Dopo la sua morte, Henry ha
iniziato ad affrontare la sua perdita studiando meticolosamente la
mente umana, sperando di trovare risposte alla malattia della
moglie.
Con il tempo, ha chiaramente
esagerato, rendendo la figlia e la sua famiglia vittime dei suoi
esperimenti. Il fatto che Maura abbia scelto di
proposito di cancellare i suoi ricordi per affrontare la morte
traumatica del figlio si rivela un vantaggio e un ostacolo per
Henry. Se da un lato gli permette di manipolare la
sua tecnologia e di usarla a suo vantaggio, dall’altro si trova nei
guai quando si rende conto che solo Maura possiede il codice per
sfuggire alle simulazioni.
Il significato della piramide,
dello scarabeo e della chiave nella simulazione di 1899
La piramide del ragazzo e
la chiave di Maura sono i codici necessari per
porre fine alle simulazioni nella serie televisiva fantascientifica
di Netflix. Poiché Maura non aveva ricordi della sua vita passata,
non riusciva a ricordare nulla della chiave anche se l’aveva sempre
con sé. Henry la sottopone a queste simulazioni
ricorrenti per aiutarla a ricordare dove teneva la chiave. È anche
possibile che Henry abbia collocato quei simboli piramidali in
tutta la nave come messaggi subliminali per stimolare la sua
memoria o forse Maura stessa li ha collocati nella realtà simulata
per ricordare la chiave dopo aver perso la memoria. Quest’ultima
ipotesi sembra più plausibile, dato che il simbolo della piramide e
della chiave è tatuato anche dietro l’orecchio del figlio.
Come la piramide e la chiave, anche
lo scarabeo è un codice che apre le porte chiuse. Il significato
dello scarabeo rimanda a uno dei ricordi di Maura nel mondo reale,
in cui Maura (interpretata da Emily
Beecham della serie cult d’azione Into the
Badlands) chiede a Elliot di liberare uno
scarabeo che ha intrappolato in un barattolo per insegnargli il
famoso detto “lasciali liberi se li ami”. Per questo motivo, lo
scarabeo viene probabilmente manifestato o progettato come codice
per accedere alla libertà dalle porte chiuse nella simulazione.
Le simulazioni delle botole sono
reali riflessi del passato?
Sotto il letto di ogni
passeggero c’è una botola, da cui si arriva a una camera
sotterranea che conduce a una simulazione dell’inquietante passato
del rispettivo passeggero. Considerando che il passato di ogni
personaggio era probabilmente una mera costruzione, le simulazioni
delle botole probabilmente non hanno nulla a che fare con la realtà
dei passeggeri. Ciò è ulteriormente confermato quando i passeggeri
iniziano a scorrere le rispettive simulazioni di memoria dopo che
Daniel ha alterato il codice.
Il virus di 1899 spiegato
Verso la fine, dalle pareti
dell’astronave iniziano a spuntare enormi strutture nere e quando
Virginia Wilson (interpretata da Rosalie
Craig del cast di The Queen’s Gambit) ne
tocca una, la massa nera inizia a diffondersi su tutto il suo
corpo. Come ogni altra cosa nella simulazione, anche la sostanza
nera è un codice che rappresenta un virus. Daniel
ha intenzionalmente violato il sistema e introdotto il virus nella
simulazione per impedire a Henry di riavviare il
ciclo. Questo spiega perché chiede agli altri passeggeri di non
toccarlo.
Il significato dell’allegoria della
caverna di Platone
Nella sua allegoria,
intitolata “La caverna”, Platone descrive uno
scenario ipotetico in cui un gruppo di persone è incatenato
all’interno di una caverna e tutto ciò che possono vedere è un muro
vuoto di fronte a loro. Il muro riflette le ombre del mondo reale
alle loro spalle, ma non dà mai una rappresentazione accurata della
realtà. Nonostante i limiti della loro percezione, gli abitanti
della caverna accettano la realtà che viene loro presentata perché
è l’unica che conoscono. Film come Interstellar, capolavoro
fantascientifico di Christopher Nolan,
Shutter Island di Scorsese e
persino Matrix delle sorelle
Wachowski fanno riferimento alla stessa
allegoria.
Henry ricorda che
Maura da giovane era ossessionata dall’Allegoria
di Platone. Probabilmente è lì che ha trovato
l’ispirazione per creare realtà alternative, o meglio, ombre della
realtà, attraverso le simulazioni. Tuttavia, dopo aver perso i suoi
ricordi e aver preso il controllo delle sue simulazioni, Henry è
diventato il portatore della realtà, mentre la sua simulazione è
diventata una semplice ombra sul muro. Poiché anche Henry fa parte
di una simulazione, l’Allegoria di Platone è un ciclo infinito in
1899 in cui il leader della catena di simulazioni
rimane sconosciuto.
Come funzionano le siringhe bianche
e nere di Henry
Come tutti gli oggetti
delle simulazioni, entrambe le iniezioni sono codici che servono a
uno scopo specifico. La loro funzione è simile a quella delle
pillole blu e rosse di Matrix.
Henry usa l’iniezione nera per resettare i ricordi
di Maura e mandarla in una nuova simulazione; al contrario, usa
quella bianca per ripristinare i suoi ricordi e la conseguente
comprensione della realtà.
Perché Cirian ha preso il controllo
della simulazione di Maura
Verso la fine della
stagione 1 di
1899, Henry mette le mani sulla piramide e sulla
chiave, ma Daniel riesce comunque a stare un passo
avanti. Daniel manipola il codice della siringa in modo tale che,
quando Henry inietta il siero nero a Maura, lei
raggiunge la prima sala giochi di simulazione che aveva creato per
suo figlio. Qui Daniel le dice che ha anche cambiato il codice
della chiave con l’anello di Laura e il codice
della piramide con un giocattolo nella stanza dei giochi di
Elliot. Utilizzando la nuova chiave e la piramide,
Maura riesce finalmente a uscire dal loop della simulazione
nell’arco conclusivo della serie tv fantascientifica di
Netflix.
Tuttavia, considerando che
Daniel la avverte che suo fratello
Cirian ha preso il controllo delle simulazioni, il
suo viaggio sembra essere tutt’altro che finito. L’identità e le
motivazioni di Cirian rimangono sconosciute anche dopo i titoli di
coda di
1899. È chiaro, però, che alla fine della stagione 1
di
1899, egli si trova in cima alla catena delle
simulazioni ed è forse l’unico a sperimentare la realtà così com’è.
Gli altri percepiscono solo l’ombra di un’ombr: sole ombre della
realtà che lui vuole che vedano.
Maura è sfuggita alla simulazione
nel finale di 1899?
Dopo essere sfuggita alla
simulazione nella serie horror sci-fi di Netflix,
Maura si risveglia in una stazione spaziale dove
trova gli altri passeggeri collegati a una macchina. Questo
conferma che nessuno è morto su quella nave. Trova uno schermo che
rivela il nome della stazione spaziale come “Progetto Prometheus” e
l’anno attuale come “2099”. Segue un messaggio di “Benvenuto nella
realtà” da parte di Cirian, che conferma di essere
a conoscenza della fuga della sorella dalla simulazione.
Poiché la stagione 1 di
1899 termina dopo questo episodio, si può solo
ipotizzare se Maura sia sfuggita a tutte le
simulazioni o sia rimasta intrappolata in un’altra. Tuttavia, dal
momento che la stazione spaziale ha lo stesso nome della nave, è
possibile che si tratti di un’altra realtà simulata creata da
Cirian. Un altro dettaglio che lo conferma è la frase “che il tuo
caffè faccia effetto prima della realtà” che Cirian lascia a Maura
nella stazione spaziale. In una scena precedente,
Anker (interpretato da Alexandre
Willaume del cast di Wheel of Time) e
Ramiro trovano la stessa frase scritta su un libro
nella sala di controllo della nave.
Sebbene
1899 non spieghi mai il significato della frase,
sembra essere il modo in cui Cirian prende in giro
i suoi prigionieri. Alludendo al falso senso di veglia che si prova
quando il cervello viene inondato di dopamina dopo aver consumato
del caffè, Cirian sembra insultare Maura e gli altri che hanno
scelto volontariamente di vivere in simulazioni fasulle solo per
affrontare i fardelli della loro realtà. Poiché la saluta con lo
stesso messaggio nella stazione spaziale, è possibile che stia per
sottoporre lei e i passeggeri a un’altra sconcertante simulazione
nella stagione 2di
1899.
Il duo formato da Abatantuono e
Catania torna sul piccolo schermo con
Improvvisamente Natale, pellicola diretta da Francesco Patierno in uscita su Amazon Prime
Video il 1 dicembre. A comporre il soggetto è colui il quale
può essere definito il maestro dei cinepanettoni, Neri Parenti, con
la seconda firma di Gianluca Bomprezzi. I lungometraggi di genere
comedy che celebrano il Natale sono oramai un
must nel periodo antecedente la festività, e rappresentano
l’opportunità cinematografica per immergersi in questa magica
atmosfera accompagnati da buone e sane risate.
In principio erano Christian De Sica
e Massimo Boldi con il loro Natale trascorso in giro per il mondo,
adesso invece a trainare il carro dei cinepanettoni sono Diego
Abatantuono e Antonio Catania, in un sodalizio ancora molto “fresco
e saporito” sancito ai tempi di Mediterraneo (1991). Se in
Il peggior Natale della mia vita erano due amici di
vecchia data, in Improvvisamente Natale diventano
consuoceri il cui obiettivo è tenere in piedi la famiglia. Ma di
qualsiasi personaggio loro si vestano, una cosa è certa: ciò che li
unisce è una comicità che spesso non ha bisogno di parole, ma
piuttosto si rifugia nelle espressioni.
Improvvisamente Natale, la
trama
Alberta (Violante
Placido) e Giacomo (Lodo Guenzi) sono
una coppia il cui matrimonio naufragato ha messo in evidenza le
loro differenze caratteriali e attitudinali. Sulla decisione della
loro imminente separazione non hanno però il coraggio di informare
la figlia Chiara (Sara Ciocca), molto legata al
concetto di famiglia. Decidono così di partire alla volta delle
Dolomiti, regno e casa di Lorenzo (Diego
Abatantuono), il “nonnone” a cui Chiara è molto legata,
con l’intento di affidare a lui l’arduo compito.
Arrivati all’hotel di cui Lorenzo è
proprietario, Alberta e Giacomo cercano di convincere il padre di
lei a dare a Chiara questa spiacevole notizia, seppur lui sia in
disaccordo e cerchi un modo per farli riappacificare. Nel frattempo
nell’albergo è anche in corso una trattativa di vendita con dei
cinesi, a causa di alcune difficoltà economiche di Lorenzo.
Quest’ultimo sa che per la nipote le due novità saranno un duro
colpo, e perciò decide di organizzarle in piena estate un Natale di
cui difficilmente si dimenticherà.
Un racconto ingolfato di
cliché
Sullo sfondo delle Dolomiti prende
forma la trama di Improvvisamente Natale, una
storia la cui cornice brilla di luci, cenoni, palle decorative e
alberi di pino giganteschi. Quel che spicca nel calderone degli
intrecci è chiaramente l’atmosfera festosa del 25
dicembre, seppur il panorama estivo ne faccia da contrasto, e che
regge sulle spalle la linea di un racconto costellato di
cliché. Niente di nuovo a livello narrativo quanto
contenutistico, anche se l’ultimo acquista un punteggio in più solo
per il messaggio di cui vuole essere portatore.
Lo affermano tutti gli sceneggiatori
che sanno masticare le storie, ma anche i registi che poi devono
farle vivere nelle quattro pareti dell’inquadratura: ciò che si
inserisce all’interno di una trama deve attribuire ad essa valore,
logica e credibilità oppure rischia di finire nel buco nero delle
pellicole fallite, senza neppure la consolazione di un successo
all’incasso. Purtroppo la storia qui risulta priva di mordente, su
un impianto narrativo debole e scarno, impregnato
dei soliti leitmotiv quali matrimoni alla deriva,
tradimenti e scappatelle, che cercano di dare un taglio di spessore
alla storia ma in realtà si arenano in una forzata crisi interna
che non suscita alcuna emozione.
Sembra quella che in gergo è
definita “minestra riscaldata”, piena di sub-plot che
invece di aggiungere privano di significato, restituendo allo
spettatore solo che confusione e, ad un certo punto, anche noia. Se
non fosse per qualche gag comica di cui ne fanno siparietto Diego
Abatantuono, Antonio Catania e Nino Frassica nei panni di Don
Michele, il film sarebbe privo di qualsiasi sfumatura
attrattiva.
Improvvisamente
Natale si salva perciò solo per il messaggio che cerca di
veicolare attraverso Chiara e il suo gruppo di amici. Nel tentativo
di salvare l’hotel dalla vendita, rendendo anche omaggio ad alcuni
cult movie di genere horror quali Shining di Kubrick, la
comitiva di bambini porta in scena il valore affettivo di
alcuni luoghi a cui, nonostante le difficoltà riscontrate
lungo la strada, non bisogna rinunciare. A volte gli adulti,
“troppo impegnati a credere ai complotti e alle fake news” non si
accorgono della preziosità di ciò che possiedono, ed è l’innocenza
di una mentalità ancora non inghiottita e influenzata dalla società
capitalista che può salvare dal commettere atti di cui, altrimenti,
ci si potrebbe pentire.
ATTENZIONE – l’articolo contiene
spoiler sul finale di Bones and All
In un’intervista esclusiva con
Screen Rant, Taylor Russell, co-protagonista di
Bones and All di Luca
Guadagnino, ha parlato del film, una storia d’amore tra
due cannibali. L’attrice, premio Mastroianni a Venezia 79 per la
sua interpretazione nel film, ha condiviso in particolare i suoi
pensieri sul finale violento e scioccante del film, spiegando
perché in realtà è “incredibilmente romantico” e “molto bello”.
“Il finale è incredibilmente
romantico per me perché è un regalo che lui fa a lei, conoscendo la
struttura di queste due persone, questa afflizione che hanno. È
l’atto più amorevole possibile in un certo senso. E mi è sempre
sembrato così quando ne abbiamo parlato, quindi penso che sia molto
bello. Molto sentito. Nel loro mondo è la versione più
romantica.”
Bones and All è il nuovo film di Luca
Guadagnino, vincitore del Leone d’argento alla regia e del
Premio Marcello Mastroianni per la migliore attrice emergente a
Taylor Russell alla
79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il
film è diretto da Luca Guadagnino e scritto da
David Kajganich, che ha collaborato con il regista
in Suspiria e A Bigger
Splash, è un adattamento del romanzo di Camille
DeAngelis “Bones & All” (“Fino all’osso”), edito in Italia da
Panini Books. Nel cast Taylor Russell, Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg,
André Holland, Chloë Sevigny, David Gordon-Green, Jessica Harper,
Jake Horowitz e Mark Rylance.
Un film prodotto dalla Frenesy Film
Company e Per Capita Productions con The Apartment Pictures –
società del gruppo Fremantle, Memo Films, 3 Marys Entertainment,
Elafilm e Tenderstories. In co-produzione con Vision Distribution
in collaborazione con SKY.
Prodotto da Luca Guadagnino,
Theresa Park, Marco Morabito, Dave Kajganich, Francesco Melzi
d’Eril, Lorenzo Mieli, Gabriele Moratti, Peter Spears e
Timothée Chalamet.
I produttori esecutivi del film sono
Giovanni Corrado, Raffaella Viscardi, Marco Colombo e Moreno Zani.
I finanziatori del film sono le società italiane The Apartment
Pictures (società del gruppo Fremantle), 3 Marys Entertainment,
Memo Films, Tenderstories, Elafilm, Wise Pictures, Excelsa, Serfis
e Piace. Vision Distribution distribuirà il film in Italia mentre
MGM ha acquisito i diritti per la distribuzione internazionale.
In una recente intervista con
Empire, lo sceneggiatore,
regista e produttore Christopher McQuarrie
anticipa alcune delle sfide che Ethan Hunt (Tom
Cruise) dovrà affrontare in Mission:
Impossible – Dead Reckoning Part One e come questo si
collega al sottotitolo del film. Pur non rivelando troppi dettagli,
McQuarrie rivela che “la resa dei conti” ha in realtà un
significato unico al di fuori del franchise di Mission:
Impossible che funge da metafora per alcune trame
imminenti.
“Ci sono molte cose che
emergono dal passato di Ethan. ‘Dead reckoning’ è un termine di
navigazione. Significa che stai scegliendo un corso basato
esclusivamente sulla tua ultima posizione nota e questa diventa una
metafora non solo per Ethan, ma per diversi personaggi.”
Nei prossimi due capitoli della
saga di Mission Impossible, Tom
Cruise e Rebecca
Ferguson torneranno nei panni di Ethan Hunt e
Ilsa Faust. I due film vedranno coinvolti anche Shea
Whigham(Kong: Skull Island),Hayley
Atwell(Captain America: Il primo
vendicatore),Pom
Klementieff(Guardiani della
Galassia) e Esai Morales(Ozark).Christopher McQuarrie scriverà e
dirigerà i film, che faranno il loro debutto nelle sale americane
rispettivamente il 30 settembre 2022 e il 7 luglio 2023.
Lo sceneggiatore di Solo: A Star Wars
StoryJonathan Kasdan spiega perché
vuole ancora un sequel. Come secondo film antologico di Star
Wars dopo Rogue One,
Solo è stato co-scritto da Lawrence
Kasdan (che ha collaborato con George
Lucas in L’impero colpisce ancora e
Il ritorno dello Jedi) e suo figlio Jonathan.
Nonostante abbia ricevuto recensioni generalmente favorevoli dalla
critica, in particolare per la performance principale di Alden Ehrenreich, il film spin-off incentrato
su un giovane Han Solo ha incassato solo 393,2
milioni di dollari in tutto il mondo, diventando il primo
insuccesso al botteghino del franchise di Star
Wars, infrangendo sostanzialmente tutte le speranze di un
sequel.
Tuttavia, lo sceneggiatore di
Solo: A Star Wars
StoryJonathan Kasdan continua a
sperare in un sequel. Durante una recente intervista con
Josh Wilding di ComicBookMovie.com,
Kasdan ha dichiarato di essere ancora disponibile a tornare al
personaggio di Solo per un film successivo, che in realtà crede
potrebbe essere migliore dell’originale.
“La ragione per un Solo 2 è, se
c’è, una grande ragione, e certamente parteciperei se ci fosse…
c’erano così tanti grandi personaggi che siamo stati in grado di
impostare, e per me, l’argomento più forte per un Solo 2 è che il
primo film è stato il viaggio di Alden per raccogliere l’eredità
del personaggio, e alla fine ho pensato che l’avesse davvero fatto,
e si è divertito ad interpretarlo solo per un film, quindi mi
piacerebbe rivederlo.”
Tuttavia, nonostante la sua volontà
di un secondo film, sembra improbabile per Solo: A Star Wars
Story, di tornare con un secondo capitolo.
In questa occasione, James
Gunn torna a raccontare le storie dei Guardiani e tramite i
suoi canali social ha diffuso anche la track list della colonna
sonora del mediometraggio con protagonisti Dave Bautista e Pom
Klementieff.
The Guardians of the Galaxy Holiday Special
SOUNDTRACK should be up tomorrow, including the original song “I
Don’t Know What Christmas Is (But Christmastime Is Here)” & the
original recording “Here It Is Christmastime” by the @Old97s &
@kevinbacon.
#GotGHolidaySpecialpic.twitter.com/DZJQYkPxJV
Guardiani della Galassia Holiday Special si
concentra su Drax (Dave Bautista) e Mantis
(Pom Klementieff) mentre tentano di rapire
Kevin Bacon per rallegrare Star-Lord
(Chris Pratt). È confermato che lo speciale
include più eroi Marvel che sono già apparsi nel
Marvel Cinematic Universe.
ATTENZIONE – l’articolo contiene
spoiler su Black Panther: Wakanda Forever
In un’intervista con Rolling Stone, il
co-sceneggiatore di Black
Panther: Wakanda Forever, Joe Robert
Cole, spiega perché Killmonger di Michael B.
Jordan è stato riportato nel MCU. Cole ha detto che ha sempre
voluto che Jordan tornasse e che il suo ritorno sarebbe avvenuto
sul Piano Ancestrale, legando insieme la
vulnerabilità di Shuri alla vendetta e la fame di Killmonger di
vendicare i suoi antenati.
“Abbiamo sempre voluto che
Michael tornasse, e sento che sarebbe sempre stato nel piano
ancestrale con Shuri che aveva preso la pozione. La domanda era
sempre come, come si ottiene la cosa di cui penso tu stia parlando.
Come fai a renderlo qualcosa di più del semplice entusiasmo per il
ritorno di Michael che è fantastico e il personaggio è fantastico?
In che modo è rilevante per il viaggio di Shuri e diventa un punto
di svolta per il suo personaggio? Quindi, se ci pensi, [nel primo
film] il suo viaggio riguardava anche la vendetta, la rabbia e la
frustrazione. Questa è una parte di ciò che abbiamo cercato di
mettere in contatto con lei all’inizio, la rabbia di aver perso
qualcuno, il senso di perdita. E poi come perdere sua madre avrebbe
intensificato i suoi sentimenti di desiderio di vendetta. Abbiamo
solo cercato di basarci su questo, in modo che lui le presenti una
scelta tra: si muoverà nella direzione in cui si muoverebbe
Killmonger? O farà qualcosa di diverso? L’idea era quello di
costruire con successo la posta in gioco per lei così che potesse
essere comprensibile per il pubblico. Ma una cosa che ho apprezzato
molto anche della scena di Killmonger che abbiamo scoperto è stato
il suo punto di vista su come ha cambiato il Wakanda. Killmonger è
entrato e ha posto la domanda: sono io il custode di mio
fratello?”.
Suggerendo che l’arrivo di
Killmonger nel primo film abbia in qualche modo cambiato anche
l’approccio dei Wakandinani al mondo, da cui poi è scaturita la
decisione di Ramonda di salvare Riri Williams. La rabbia di
Killmonger, in qualche modo, si è trasformata in una forza positiva
per la nazione.
Il sequel del MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever è arrivato nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel StudiosBlack Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
In occasione del tour promozionale
del suo nuovo libro, Cinema Speculation, Quentin
Tarantino sta rilasciando numerose dichiarazioni sul
cinema e sulla contemporaneità di Hollywood. Dopo aver detto che
non dirigerà mai un film Marvel, ora il regista ha
commentato gli attori che hanno partecipato al franchise MCU fino a questo momento.
Durante un’intervista, Tarantino ha
detto: “Parte di questa Marvel-izzazione di
Hollywood deriva anche dal fatto che ci sono tutti questi
attori diventati famosi per aver interpretato questi personaggi, ma
non sono loro le star del cinema”. Continuando:
“Captain America è una
star. Thor è una star. Non sono la prima
persona a notarlo. Penso sia stato detto uno zilione di volte, ma è
così: sono questi personaggi dei franchise che diventano
star“.
“Non voglio neppure svilirli, a
dire la verità.” ha proseguito il regista, dicendo anche che
se questi film fossero usciti anni fa, sarebbero stati i suoi
preferiti: “Se questi film fossero usciti quando avevo
vent’anni. Sarei stato felicissimo e presissimo. Ma non
sarebbero stati gli unici film realizzati. Sarebbero stati film in
mezzo ad altri film. Adesso ho quasi 60 anni, quindi no, non sono
così contento di questi film”.
In occasione del Lucca Comics and
Games 2022, abbiamo intervistato Denise Gough, che
nella serie Lucasfilm ANDOR interpreta
Dedra Meero, una minacciosa esponente del Lato Oscuro, al servizio
dell’Impero. In occasione del
finale di stagione dello show, disponibile su Disney+ dal 23 novembre, ecco cosa ci
ha raccontato Denise Gough sul suo
personaggio.
ANDOR, la serie del
franchise che arriverà in estate e che vede protagonista Cassian
Andor,
interpretato da
Diego Luna, nelle vicende che lo hanno coinvolto prima
dei fatti di Rogue One. Il personaggio, lo
ricordiamo, ha esordito nello stand alone del 2016, che racconta i
fatti che avvengono tra
La Vendetta dei Sith e
Una Nuova Speranza.
ANDOR
arriverà il 31 agosto su Disney+ e
sarà composta da 12 episodi, che verranno seguiti da una seconda
stagione sempre da 12 episodi che ci condurrà agli eventi di Rogue
One. Nel cast di ANDOR compaiono
Diego Luna, Adria Arjona, Denise Gough, Genevieve O’Reilly,
Stellan Skarsgard, Fiona Shaw e Kyle
Soller.Andor è incentrato su Cassian
Andor (Luna), personaggio che è stato introdotto in Rogue One e come membro della ribellione
contro l’Impero. La serie sarà un prequel del film, con Toby Haynes
che sarà il regista principale della prima stagione che sarà
composta da12 episodi. Gli altri registi coinvolti sono Ben Caron e
Susanna White, mentre Stephen Schiff e Tony Gilroy sono gli
sceneggiatori.
ANDOR è
prodotto dallo showrunner Tony Gilroy, che ha
scritto e prodotto Rogue One. Inizialmente Gilroy
avrebbe dovuto dirigere i tre episodi, ma è stato costretto a
rinunciare a causa di problemi di viaggio legati alla pandemia.
In Rogue One un gruppo di improbabili eroi si unisce
in una missione per rubare i piani alla Morte Nera, l’ultima arma
di distruzione dell’Impero. Questo evento chiave nella cronologia
di Star
Wars riunisce persone comuni che scelgono di fare cose
straordinarie e, così facendo, diventano parte di qualcosa di più
grande di loro stessi.
Uno dei film italiani più
celebri di sempre è La ciociara, il
capolavoro diretto dal maestro del neorelismo Vittorio De
Sica (Ladri di biciclette, Umberto
D.) e sceneggiato dal fidato Cesare
Zavattini, altro illustre nome del neorealismo. Il film
non rientra più in quel movimento artistico, spentosi nel suo senso
più puro intorno ai primi anni Cinquanta, ma offre ugualmente uno
spaccato sincero e brutale di vicende verificatesi negli anni in
cui l’Italia era uno dei principali luoghi dove si decidevano le
sorti della Seconda guerra mondiale. Tra dramma e documento
storico, La ciociara si è dunque affermato come un titolo
imprescindibile.
Distribuito al cinema sul finire del
1960 e presentato poi in concorso al Festival
di Cannes nel 1961, il film si è affermato come un grande
successo cinematografico, da cui sono scaturiti numerosi dibattiti
di natura artistica. In particolare, però, il film è ricordato per
l’interpretazione di Sophia Loren, protagonista
assoluta che si è con La ciociara consacrata a livello
internazionale come una delle interpreti più apprezzate in
assoluto. Negli anni la fama del film non è poi mai venuta meno e
ancora oggi è tra i più citati, omaggiati e studiati titoli della
storia del cinema italiano.
La ciociara è dunque uno di
quei film che ogni appassionato di cinema deve aver visto almeno
una volta nella vita e che ad ogni visione svela nuovi affascinanti
aspetti di sé, dalla ricostruzione storica ai sentimenti messi in
gioco, dal dolore alle speranze di un popolo ferito ma non
sconfitto. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al libro e al cast
di attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La ciociara: la trama e il cast del film
Ambientato nell’estate del 1943, il
film ha per protagonista Cesira, una giovane
vedova che vive a Roma insieme alla figlia dodicenne
Rosetta. Per sfuggire ai bombardamenti della
Seconda guerra mondiale, le due intraprendono una fuga che le porta
a Sant’Eufemia, paese di origine di Cesira. Quando l’arrivo degli
Alleati fa emergere la speranza di veder terminare la guerra, madre
e figlia decideranno di tornare a Roma per riprendere la loro vita
di sempre. Lungo il tragitto, però, vengono assalite e violentate
da un gruppo di soldati nordafricani dell’esercito francese. Per
loro è l’inizio di un trauma che ben si rispecchia con quello che
il paese sta attraversando.
Originariamente, ad interpretare
Cesira doveva esserci la celebre Anna Magnani,
mentre la Loren avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di Rosetta. La
Magnani, tuttavia, rifiutò la parte per via della marcata
differenza fisica tra lei e la Loren, alla quale dunque fu affidato
il ruolo della protagonista, che venne trasformata pertanto
dall’essere una cinquantenne all’essere una donna più giovane. Per
la sua interpretazione, come noto, la Loren, che all’epoca aveva 25
anni, vincerà poi il premio Oscar come miglior attrice. Fu la prima
volta che tale premio veniva assegnato per un’interpretazione non
in lingua inglese.
Ad interpretare Rosetta si ritrova
invece EleonoraBrown. Poiché al
momento delle riprese quest’ultima aveva solo 11 anni, non le fu
detto apertamente che il film prevedeva uno stupro e la scena venne
descritta solamente come un momento di violenza a suon di percosse.
Inoltre, per far sì che l’attrice piangesse nei momenti più
drammatici del film, De Sica arrivò a raccontarle che i suoi
genitori erano morti in un incidente d’auto. Nel ruolo di Michele,
l’intellettuale antifascista di cui Cesira si innamora si ritrova
invece l’attore Jean-Paul
Belmondo, interprete iconico della Nouvelle Vague
francese. Recita poi nel film anche l’attore Carlo
Ninchi nei panni di Filippo, padre di Michele.
La ciociara: il libro di Alberto Moravia
Il film La ciociara è
l’adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Alberto
Moravia e pubblicato nel 1957. Il romanzo (e, quindi,
anche il film) è basato su fatti realmente accaduti di stupri di
massa da parte dei Gourmiers marocchini nella regione della
Ciociaria dopo la battaglia di Montecassino nella seconda guerra
mondiale. Montecassino fu conquistata dagli Alleati il 18 maggio
1944 e la notte successiva migliaia di Goumier e altre truppe
coloniali perlustrarono le colline che circondavano i paesi della
Ciociaria. Oltre 60.000 donne, di età compresa tra gli 11 e gli 86
anni, hanno subito violenze quando i vari paesi sono passati sotto
il controllo dei Goumier. Uomini civili, che hanno cercato di
proteggere le loro mogli e figlie, sono stati assassinati.
La ciociara: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di La
ciociara grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google
Play, Apple iTunes, Rai Play e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
martedì 22 novembre alle ore
21:10 sul canale Rai Movie.