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LEGO Marvel Avengers: Code Red, il trailer ufficiale!

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LEGO Marvel Avengers: Code Red, il trailer ufficiale!

La Terra è ancora una volta in pericolo nel nuovo trailer di Lego Marvel Avengers: Code Red, uno speciale animato che sarà presentato in anteprima su Disney+ in settimana. Anche se la squadra di supereroi vuole sempre divertirsi e rilassarsi dopo le missioni, ma il crimine non si ferma mai e una nuova minaccia sta tentando di imprigionare gli eroi una volta per tutte. Nel trailer, il Collezionista si è stancato di raccogliere tesori rari da tutta la galassia e ha deciso che la prossima acquisizione per la sua collezione saranno gli stessi Vendicatori. Gli eroi più potenti della Terra devono escogitare un piano per fermarlo prima che diventino oggetti da collezione.

Lo speciale animato porterà avanti l’eredità della partnership stabilita tra LEGO e Marvel, che hanno lavorato insieme su racconti animati con personaggi come i Guardiani della Galassia e Black Panther. Data la libertà creativa che la timeline animata LEGO offre all’azienda, la Marvel include iterazioni più vecchie di personaggi che combattono insieme a personaggi che sono stati introdotti nei progetti più recenti del Marvel Cinematic Universe.

Il Collezionista, noto anche come Taneleer Tivan, è un cattivo appartenente al lato cosmico dell’Universo Marvel interpretato da Benicio Del Toro nei film live-action. Il personaggio è ossessionato dall’idea di prendere interessanti artefatti da tutta la galassia per creare una collezione unica, ma illegale, di beni rubati. La sua fissazione con l’espansione della sua collezione lo portò al punto di rapire persone e animali dai luoghi che visitava se li considerava interessanti aggiunte alla sua esposizione.

Puoi dare un’occhiata al trailer ufficiale di Lego Marvel Avengers: Code Red qui sotto, prima dell’anteprima speciale su Disney+ il 27 ottobre:

Aquaman e il regno perduto: confermato il ritorno di un personaggio amatissimo dai fan

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Una delle star di Aquaman del 2018 tornerà per il sequel. In un’intervista con Empire, il regista James Wan ha confermato che la piovra che suona il tamburo tornerà in Aquaman e il Regno Perduto. Wan ha anche anticipato che il polpo avrà un ruolo più importante nel film.

Nel primo film di Aquaman, il polpo, chiamato Topo, ha fatto un cameo mentre suonava la batteria. Il polpo è apparso quando Aquman (Jason Momoa) sta per combattere per la prima volta il suo fratellastro Orm (Patrick Wilson) davanti a un pubblico di Atlantidei. Secondo Wan, Topo avrà un ruolo più importante nella storia di Aquman nel sequel. “Topo è un vero personaggio in questo film!” disse Wan. “Nel fumetto, è una parte importante della vita di Arthur: un aiutante, un animale domestico, un amico. Quindi ci stiamo concentrando su quello.” Nei fumetti, Topo è stato introdotto per la prima volta in Adventure Comics n. 229 nel 1956.

Wan ha anche parlato del processo per riportare Topo sul grande schermo che includeva l’uso di un burattino in modo che il protagonista avesse qualcosa di fisico con cui interagire durante la performance. “Adoro il rapporto che Jason ha costruito con questo polpo. È stato davvero divertente vederlo ‘recitare’ con Topo”, ha detto Wan. “A volte avevamo un attore che faceva il ‘muppeting’ con uno stupido burattino a bastoncino: guardare Jason recitare era davvero divertente. Penso che la gente apprezzerà la relazione tra Arthur e Topo.”

Tutto quello che c’è da sapere su Aquaman e il Regno Perduto

Non essendo riuscito a sconfiggere Aquaman la prima volta, Black Manta, ancora spinto dal bisogno di vendicare la morte di suo padre, non si fermerà davanti a nulla pur di sconfiggere Aquaman una volta per tutte. Questa volta Black Manta è più formidabile che mai, poiché brandisce il potere del mitico Tridente Nero, che scatena una forza antica e malvagia. Per sconfiggerlo, Aquaman si rivolgerà al fratello Orm, l’ex re di Atlantide e imprigionato alla fine del primo film, per stringere un’improbabile alleanza. Insieme, dovranno mettere da parte le loro differenze per proteggere il loro regno e salvare la famiglia di Aquaman e il mondo dalla distruzione irreversibile.

Jason Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe in Aquaman e il Regno Perduto, sequel del film che ha rilanciato in positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo seguito, diretto ancora una volta da James Wan (Insidious, The Conjuring), torneranno anche Patrick Wilson nei panni di Ocean Master, Amber Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta, che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo film. David Leslie Johnson-McGoldrick, collaboratore ricorrente di Wanscriverà la sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter Safran saranno co-produttori. Il film arriverà al cinema il 20 dicembre.

Shawn Levy sul suo approccio al suo film di Star Wars: “Sono sempre stato fan di Kylo Ren”

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Shawn Levy è un uomo decisamente impegnato. Tra le tante cose a cui è al lavoro in questo momento, c’è la quinta stagione di Stranger Things e il terzo film di Deadpool, mentre il 2 novembre arriverà su Netflix Tutta la luce che non vediamo, adattamento in forma di mini serie del romanzo premio Pulitzer di Anthony Doerr.

Tra le tante cose a cui però lavorerà in futuro, c’è anche un misterioso progetto nel franchise di Star Wars. Nel corso di un’intervista con Variety, è stato chiesto a Shawn Levy se l’esperienza con Deadpool 3, in cui sta lavorando già con la superpotenza Disney, può essere una “buona pratica” per il suo prossimo lavoro su Star Wars.

“L’esperienza che sto attualmente vivendo con la Marvel su Deadpool mi sta mostrando in prima persona che è davvero possibile sentirsi responsabilizzati e personali nel realizzare un film all’interno di un universo che è più grande di qualsiasi altro film – spiega Levy – Il mio film di Deadpool si sta rivelando esattamente ciò che io e Ryan [Reynolds] speravamo quando abbiamo iniziato. Quindi mi avvicino allo sviluppo del mio film di Star Wars con un ottimismo simile e con la fiducia che al mio istinto sarà permesso di segnare il cammino.”

E il giornalista di Variety incalza, con un’ipotesi azzardata: dal momento che il regista è amico di Adam Driver, sarebbe plausibile un ritorno di Kylo Ren nel suo film di Star Wars? “Parole tue, non mie! – risponde Shawn Levy – Come sai, Adam è un mio amico e sono sempre stato un grande fan di Kylo Ren. Ma nessun commento.”

Mike Flanagan: annunciato il cast all stars del suo La vita di Chuck da Stephen King

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Chiwetel Ejiofor (Rob Peace), Karen Gillan (Guardiani della Galassia Vol. 3) e Jacob Tremblay (The Toxic Avenger) si sono uniti al cast di La vita di Chuck, l’ultimo di molti adattamenti di Stephen King del regista Mike Flanagan (Doctor Sleep), che ha dato il via alla produzione del film all’inizio di questo mese in Alabama grazie a un accordo ad interim. Tom Hiddleston e Mark Hamill guidano l’ensemble del film, scritto e diretto da Flanagan.

Basato su tre storie interconnesse dell’antologia di King Se scorre il sangue del 2020, La vita di Chuck esamina l’esistenza del soggetto Charles Krantz al contrario, iniziando con la sua morte all’età di 39 anni per un tumore al cervello e terminando con la sua infanzia in una casa ritenuta infestata dai fantasmi. Flanagan produrrà l’adattamento cinematografico insieme al suo partner di lunga data della Intrepid Pictures, Trevor Macy.

Mike Flanagan è reduce dal grande successo di La caduta della casa degli Usher per Netflix, mentre con La vita di Chuck segue l’adattamento di Mr. Harrigan’s Phonefilm di John Lee Hancock e adattamento del primo capitolo della trilogia di King Se Scorre il sangue.

Mission: Impossible, posticipata di un anno l’uscita dell’ottavo capitolo

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La Paramount Pictures ha ritardato l’uscita del prossimo Mission: Impossible di quasi un anno intero, spostandola dalla data originale del 28 giugno 2024 al 23 maggio 2025. Come per altri film di queste dimensioni, anche la produzione dell’ottavo film del franchise è stata costretta a fermarsi a causa dello sciopero in corso del SAG-AFTRA e il risultato è che il film non sarà completato in tempo per un’uscita della prossima estate. È un destino che si prospetta per molto film con budget elevati, se il sindacato degli attori e gli studios non troveranno un accordo nelle prossime settimane.

Come conseguenza di questo spostamento, lo studio ha deciso di spostare l’uscita di A Quiet Place: Day One al 28 giugno 2024 invece della data precedentemente prevista dell’8 marzo 2024. E sempre come conseguenza di questo slittamento, un nuovo progetto animato sul francise di SpongeBob è stato posticipato dal 23 maggio 2025 al 19 dicembre 2025.

Ma, tra tanti posticipi, alcuni film sono invece stati anticipati: IF, del regista John Krasinski, una commedia fantasy con Ryan Reynolds, Krasinski, Alan Kim e Phoebe Waller-Bridge, è stato spostato dal 24 maggio 2024 al 17 maggio 2024. Con la sua collocazione attuale, il film si trova nel mezzo di una serie di offerte per il Memorial Day, tra cui Furiosa, Garfield e Il regno del pianeta delle scimmie. Naturalmente, il calendario sarà fluido finché le principali produzioni rimarranno chiuse e ci aspetteremo altri cambi.

Sempre per quello che riguarda l’ottavo Mission: Impossible, Paramount e Skydance stanno abbandonando l’idea di intitolarlo Dead Reckoning Parte Due, nonostante l’uscita quest’anno di Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One.

Posso entrare? An Ode to Naples: recensione del film di Trudie Styler – #RoFF18

Arriva alla Festa del Cinema di Roma Posso entrare? An Ode to Naples di Trudie Styler, regista che, insieme a suo marito Sting, si dice da sempre innamorata dell’Italia. Il film è allora un viaggio bulimico che vuole tenere insieme le mille anime di Napoli in un unico racconto, con il mare sullo sfondo e la fotografia di Dante Spinotti a creare magie. Arriva in punta di piedi Styler, bussa alla porta e chiede: posso entrare? Dall’altra parte trova la calorosa accoglienza napoletana e una voglia di raccontarsi, nel bene e nel male, che non si esaurisce mai, tra orgoglio, resilienza e pragmatismo, per usare le parole della regista inglese, nata poco lontano dalla Stratford – upon – Avon di Shakespeare.

Una densa passeggiata a Napoli con Trudie Styler

Raccontare in poche righe quanto è contenuto nel documentario Posso entrare? An Ode to Naples è impresa ardua. Si può però senz’altro dire che c’è musica, e come avrebbe potuto essere altrimenti? Si parte da Clementino, che apre il film con un rap sulla storia di Napoli, fino ad arrivare all’orchestra dei ragazzi di Sanitansamble. Ci sono l’impegno civile alla Sanità, cuore pulsante di Napoli, e non solo lì, di Don Antonio Loffredo e i progetti cui dà vita nelle sue parrocchie: box, teatro e quant’altro, per sottrarre i giovani alla criminalità. Intervengono Roberto Saviano e Alessandra Clemente. Il primo, da quindici anni sotto scorta, parla del suo rapporto conflittuale con Napoli. La seconda racconta come sia riuscita a trasformare la rabbia per la morte della madre – uccisa da una pallottola vagante durante una sparatoria, quando lei era una bambina – in carburante per cercare di cambiare in meglio la sua città.

Ci sono casalinghe, artigiani, bottegai e ambulanti, che conservano saperi su mestieri antichi e li portano avanti – Michelle, alias Michelina la guantaia, l’acquafrescaio Poppò, Immacolatina e Gennaro, il tipografo Carmine Cervone. Ma vi è anche lo scultore Lello Esposito che con le sue opere porta Napoli nel mondo. Tradizione e devozione: San Gennaro, Pulcinella, il presepe e il Vesuvio, immancabile in un racconto di Napoli. Maradona e la street art di Jorit, la Napoli sotterranea e il racconto storico: il ricordo del fascismo, della guerra e dell’insurrezione popolare delle 4 giornate, attraverso il materiale dell’Istituto Luce. Un caleidoscopio condensato in 107 densissimi minuti.

Troppo materiale senza una direzione precisa

Il problema di Posso entrare? An Ode to Naples è che c’è troppo. È una miscellanea di tutto ciò che è Napoli. Styler non vuole lasciar fuori niente, ma la scelta di non dare un taglio preciso è disorientante e dispersiva. Manca un focus. Così, lo spettatore a volte si perde. Si fa fatica a seguire il discorso per immagini e parole. Il racconto diventa quasi, per usare una metafora letteraria, un flusso di coscienza, in cui si salta da un elemento a un altro senza apparente coerenza logica, ma seguendo un istinto. In questo suo essere caotico, il lavoro intende forse rispecchiare l’essenza di Napoli, fatta di molteplici anime, piena di contrasti, che sembra contenere tutto e il suo contrario.

Tuttavia, il film soffre la mancanza di una direzione. Anche nello stile Posso entrare? An Ode to Naples è una miscellanea: video musicale, documentario con materiale di repertorio, tratto dall’archivio dell’Istituto Luce, interviste a personaggi contemporanei, noti e non. Apprezzabile però, che cerchi di stare lontano dai luoghi comuni. Spesso vi riesce, guardando a ciò che è simbolico, iconico, in modo diverso e obliquo.

Posso entrare An Ode to Naples Trudie Styler

Uno sguardo romantico in Posso entrare? An Ode to Naples

È evidente in Posso entrare? An ode to Naples la passione e il trasporto dello straniero, affascinato dal caleidoscopio frastornante che è Napoli. Questo elemento ci introduce al lato romantico del lavoro. Styler, da inglese, sembra guardare a Napoli con gli stessi occhi dei poeti e degli intellettuali romantici che qui facevano il Grand Tour. Sono citati espressamente – ad esempio, Shelley, con la sua Ode to Naples – e richiamati nel titolo stesso del film. Dal punto di vista visivo, poi, la fotografia di Dante Spinotti contribuisce a creare atmosfere calde e sognanti, con tramonti che sembrano quadri di Turner, senza peraltro dimenticare la chiassosa Napoli dei vicoli e quella grigia delle periferie. Vi è qualche momento particolarmente intenso. Ognuno potrà trovare ciò che farà vibrare maggiormente le sue corde. Uno di questi, però, è sicuramente quello che vede protagonista Sting. Senza spoiler, possiamo dire che qui Styler vince facile, e lo sa.

Le contraddizioni e la resilienza di Napoli

Fortunatamente, la regista vede anche le contraddizioni della città alle pendici del Vesuvio e non le mette da parte. Il disincanto coesiste con la fascinazione. Styler sceglie di mostrare soprattutto chi resiste, chi non soccombe ai problemi e alle sfide che una città complessa come Napoli pone ogni giorno. Racconta il sublime e la criminalità, ma punta su chi si dà da fare per renderla un posto migliore. Sono ad esempio i ragazzi del NEST, progetto teatrale nato in uno stabile abbandonato, da un idea di Francesco Di Leva; o i detenuti che in un laboratorio recuperano il legno delle navi dei migranti per farne strumenti musicali. Simboli di una resilienza e di una voglia di riscatto che hanno sempre fatto di Napoli una città brulicante di vita e, nonostante tutto, di speranza.

Matthew Vaughn sui film di supereroi: “Forse abbiamo tutti bisogno di una pausa”

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Il regista Matthew Vaughn pensa che il genere dei supereroi potrebbe aver bisogno di una pausa e di un po’ di tempo libero per ora. Parlando con Screen Rant , al regista – meglio conosciuto per aver diretto film come Kick-Ass, X-Men: L’inizio e l’imminente Argylle – è stato chiesto se potenzialmente sarebbe tornato nel genere dei supereroi. Per Vaughn, però, pensa che le persone abbiano bisogno di “tempo libero” più di ogni altra cosa.

Sinceramente non so cosa stia succedendo al [genere] dei supereroi, nel senso che, penso, forse abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo libero“, ha detto Vaughn. “Forse qualcuno farà qualcosa di così grande che ci entusiasmerà di nuovo… I film di supereroi sono film. È un film che contiene supereroi. Penso che quello che è successo è che sono diventati dei supereroi, e la parte del film non era così importante.

Per Matthew Vaughn i film sui supereroi richiedono più lavoro

Vaughn ha anche parlato del suo lavoro su X-Men: L’inizio, riflettendo su come mantenerlo con i piedi per terra fosse la chiave per assicurarsi che funzionasse come un film di supereroi, su cui secondo lui di solito devi lavorare di più.

Quando realizzi un film di supereroi, devi lavorare di più perché devi far sì che la gente ci creda“, ha continuato. “Ecco perché ‘X-Men: L’inizio‘ era piuttosto fondato. Lo ambientiamo nella crisi missilistica cubana; avevano problemi umani riconoscibili. E non si basava sulla CG. Penso che anche la CG rovini tutto, perché ti sembra di guardare un videogioco. Non sei con i personaggi. A parte ‘Guardians‘… penso ancora che Groot e il procione siano dei fottuti pezzi di genio e provo così tanto affetto per loro. Quindi sarò incuriosito. Penso che almeno la DC sia sotto… penso che James Gunn e Safran abbiano buone possibilità di emergere, e spero che [Kevin] Feige torni a fare meno film e si concentri nel renderli grandi.

Infine, Vaughn ha anche riconosciuto che c’erano stati un sacco di “brutti film di supereroi” prima del boom del MCU, quindi è curioso di vedere come andranno le cose da qui in avanti. Penso che ci siano stati così tanti brutti film sui supereroi che è come se fossero western. Ne fai così tanti che poi ti annoi del genere, non perché il genere sia brutto ma perché i film sono brutti”, ha aggiunto.“Ero abbastanza grande, purtroppo, quando uscirono Batman e Robin, ed è stato terribile. Ero un grande fan di Batman e dicevamo “Ah!” E poi i supereroi si sono fermati, e poi sono tornati. Ora, sarò curioso di vedere come se la caverà The Marvels.”

A silence: recensione del film di Joachim Lafosse – #RoFF18

A silence: recensione del film di Joachim Lafosse – #RoFF18

Alla sua undicesima fatica, A silence, Joachim Lafosse decide di dipingere un inquietante e infausto affresco sul silenzio familiare, il quale nasce da un profondo senso di vergogna scaturito da qualcuno facente parte dello stesso nucleo. Perché se il silenzio è cifra dominante, l’albero visibile dell’ultimo film del regista belga, il disagio provocato da esso, che altri non è che un segreto oscuro inaccettabile, ne è la radice nascosta. La quale giorno dopo giorno, anno dopo anno, diventa sempre più fitta, più grossa e più difficile da estirpare. Lafosse per delineare il suo A silence parte da una figura esistente, legata a un fatto di cronaca che sconvolse il Belgio: Marc Dutroux, soprannominato il Mostro di Marcinelle, che abusava e seviziava adolescenti per poi lasciarle morire.

Fra queste c’erano Julie e Melissa, 8 anni, il cui avvocato dei genitori che seguiva il caso si scoprì in seguito essere lui stesso stato condannato per detenzione di immagini pedopornografiche, e che nel film di Lafosse diventa uno dei protagonista principali. Un racconto, dunque, non solo disturbante, ma anche allucinante, che suscita non poche riflessioni su un sistema nel quale, alla fine dei conti, nessuno è davvero al sicuro. O tutelato, da quegli stessi paladini della giustizia che poi si scoprono essere a loro volta carnefici. A silence è in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, e ha nel cast Daniel Auteuil, Emmanuelle Devos e Matthieu Galoux.

A silence, la trama

Astrid è la moglie di un importante avvocato, François, il quale sta cercando di ottenere giustizia su un caso che vede coinvolte due bambine vittime di pedofilia e abusi sessuali, oramai morte. Attacca perfino il sistema giudiziario, si espone ai giornalisti inveendo contro il folle criminale che ha commesso oscenità inaudite. Ma una volta tornato a casa da Astrid e il figlio adottivo Raphaël, e chiuse le porte, quello stesso uomo non è chi dice di essere. Non è quello che sembra. Fra le mura di quella villa c’è un segreto, che la moglie nasconde da tantissimo tempo, ed è legato alle notti di François.

Egli infatti invece di dormire sta davanti a un computer e guarda qualcosa che si percepisce essere indecente. Eppure lei non vuole parlare. Nel frattempo, però, la figlia maggiore si reca dalla madre per darle una notizia: Pierre, lo zio, a distanza di venticinque anni vuole denunciare François per averlo violentato quando era giovane. Da quel momento in poi, l’equilibrio apparentemente stabile della famiglia si sgretola. Ma mentre Astrid cerca di tenere insieme i pezzi, quasi negando la verità a se stessa, Raphaël deciderà di agire in un altro, duro, modo.

A silence Emmanuelle Devos

Dentro i silenzi di una donna sola

Lafosse inizia dalla fine. Comincia con un breve piano sequenza sugli occhi di Astrid mentre si reca dalla polizia, gli unici che non possono mentire come la sua bocca ha fatto per lungo tempo. È uno sguardo affranto ma al tempo stesso consapevole, il suo. Smarrito, colpevole, pieno di vergogna. Il silenzio è stato un cancro che l’ha mangiata viva per ben venticinque anni, ma nel suo cuore conosce la verità, ed è di questa che ha proprio paura. In fondo, non è la paura di perdere qualcosa che genera proprio l’atto del tacere? Deve arrivare una scossa, quella decisiva e assestante, per rimettere in prospettiva una vita che è andata perdendosi per proteggere qualcuno che, poi, neanche si conosce o vuole più.

A silence parte con lei e finisce con lei, perché Astrid è il filo conduttore del racconto, le sono legati tutti i personaggi i quali, nell’operazione lenta di disvelamento che avviene fra luci e ombre, dipendono da lei. Se parla, crolla tutto. Le false certezze su cui ha costruito castelli di sabbia fragili, un amore tenuto in piedi solo per timore di rimanere sola (ma lo è già), e la lussuosa casa, in cui si rifugia per ricordarsi che almeno vive nell’agio, anche se poi comunque piange. Il regista, con questa scelta, decide di focalizzarsi, più che sul crimine commesso da François – che fa comunque da sfondo e da escamotage narrativo – sulle reazioni dei familiari, sulla rottura degli equilibri interni, e sulla poca lucidità che si ha verso stessi e gli altri quando questa è figlia della vergogna.

Forse alcuni passaggi sono un po’ troppo frettolosi considerato il carico drammatico ed emotivo del film, ma nel suo complesso il dramma funziona e nel suo rivelarsi diventa sempre più tetro. E poi c’è Emmanuelle Devos, pilastro principale di A silence, che con la sua provata e imponente presenza scenica riempie ogni sequenza e ci permette di accedere allo stato d’animo di una donna in crisi, combattuta e fragile, che proprio per questo non vuole accettare la realtà dei fatti. Per allieviare il suo senso di colpa mente a se stessa, dicendo sia a lei che ai suoi figli che ciò che è accaduto è oramai nel passato, e la cosa giusta è rimanere in silenzio per il bene della famiglia.

Ma quando poi è la stessa famiglia a ribellarsi, a cercare giustizia e in qualche modo farsela, quali sono le cose che contano davvero? Qual è la scelta giusta da prendere? Forse nessuna, forse quando la vergogna è troppo grande, ci dice Lafosse, quello che rimane da fare è lasciarsi andare agli eventi e far decidere il destino. Ma quando poi si è liberi, come lo sarà Astrid, ma anche Raphaël, tutto ha un sapore diverso. E finalmente si può vedere la luce.

Fallout: svelata la data d’uscita della nuova serie Prime Video

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Fallout: svelata la data d’uscita della nuova serie Prime Video

Oggi Prime Video ha annunciato che la nuova attesissima serie Fallout sarà disponibile dal 12 aprile 2024.

Lo speciale annuncio ha sorpreso i fan in occasione del 26° anniversario del Fallout Day, una ricorrenza annuale dedicata a tutto ciò che riguarda il pluripremiato franchise best-seller di videogiochi. Inoltre, Amazon Studios ha lanciato i canali social ufficiali della serie per coinvolgere i fan appassionati di tutto il mondo. I social sono stati lanciati con un’interfaccia grafica interattiva Pip-Boy che embedda la data di uscita all’interno del testo scorrevole per divertire e sorprendere ulteriormente i fan e il pubblico di tutto il mondo.

 

 

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Ambientata nella Los Angeles e nel mondo futuro e post-apocalittico di Fallout, la serie è una storia originale basata su Fallout, che farà parte del canone dei videogiochi. La serie nasce da Kilter Films e dagli executive producer Jonathan Nolan e Lisa Joy, i creatori di Westworld. Sarà disponibile in streaming in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo.

Il cast della serie include Ella Purnell (Yellowjackets), Walton Goggins (The Hateful Eight), Aaron Moten (Emancipation – Oltre la libertà), Moisés Arias (Il re di Staten Island), Kyle MacLachlan (Twin Peaks), Sarita Choudhury (Homeland),  Michael Emerson (Person of Interest), Leslie Uggams (Deadpool), Frances Turner (The Boys), Dave Register (Heightened), Zach Cherry (Scissione),  Johnny Pemberton (Ant-Man), Rodrigo Luzzi (Dead Ringers – Inseparabili), Annabel O’Hagan (Law & Order: Unità Vittime Speciali) e Xelia Mendes-Jones (La Ruota del Tempo).

Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner sono executive producer, autori e co-showrunner. Jonathan Nolan e Lisa Joy sono executive producer per Kilter Films sotto il loro overall deal con Amazon. Athena Wickham di Kilter Films è anche executive producer insieme a Todd Howard per Bethesda Game Studios e James Altman per Bethesda Softworks. Amazon e Kilter Films producono in associazione con Bethesda Game Studios e Bethesda Softworks. Nolan ha diretto i primi tre episodi di questa serie epica.

Il cliente: libro, trama e cast del film con Susan Sarandon

Il cliente: libro, trama e cast del film con Susan Sarandon

Ancora oggi il regista Joel Schumacher è ricordato principalmente per i disastrosi film Batman Forever e Batman & Robin. Eppure, nella sua filmografia si possono ritrovare film che dimostrano la sua grandezza come uomo di cinema. In particolare, si possono citare titoli come St. Elmo’s Fire, Linea mortale e Un giorno di ordinaria follia. Tra i suoi più apprezzati film degli anni Novanta si annovera anche Il cliente, un solido legal thriller ricordato per la sua complessa vicenda, i risvolti da puro giallo e interpretazioni ancora oggi tra le migliori degli attori coinvolti.

Scritto da Robert Getchell e Akiva Goldsman, il film è tratto dall’omonimo romanzo del 1993 scritto da John Grisham. Lo scrittore, dalle cui opere sono stati tratti anche film come Il rapporto Pelican e La giuria, è un esperto di gialli giudiziari, avendo lui conseguito la laurea in legge e aver lavorato per anni come avvocato. Proprio grazie a questa sua esperienza, i suoi racconti sono particolarmente solidi e tesi da questo punto di vista, configurandosi alla perfezione anche per il cinema. Proprio per questo Il cliente, a fronte di un budget di 45 milioni di dollari, è arrivato a guadagnarne oltre 117 nel mondo.

Apprezzato dalla critica e dal pubblico, il film permise di realizzare anche una serie TV omonima, anch’essa basata sul libro di Grisham e andata in ondata in onda dal 1995 al 1996. Per tutti gli amanti del thriller, ancora oggi Il cliente è un titolo da non perdere assolutamente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il cliente: la trama del film

Protagonista del film è l’undicenne Mark Sway, la cui vita è da sempre molto difficile e priva di controllo. Abbandonato dal padre quando era appena un bambino, egli vive in una misera roulotte insieme alla madre e al fratellino. Insieme a questo, Mark è solito avventurarsi nei boschi in cerca di qualcosa da fare. È proprio qui che un giorno Mark diventa testimone del suicidio di un avvocato legato alla mafia, il quale prima di togliersi la vita rivela al ragazzo dov’è sepolto il corpo di un senatore ucciso dal criminale Barry Muldano. Sotto shock per l’accaduto, Mark non tarda a comunicare quanto accaduto, venendo subito raggiunto dall’FBI.

Gli agenti che lo incontrano vorrebbero fargli rivelare quanti più dettagli possibile circa quanto da lui visto, ma Mark comprende che, nel caso parlasse, diventerebbe subito un obiettivo primario da parte della mafia. Insieme a sua madre, il ragazzino ricerca dunque un avvocato di cui potersi fidare e lo trova in Reggie Love. La donna, di indole testarda, si offre da subito di proteggere Mark dalla polizia federale, dalle grinfie del Reverendo Roy Foltrigg, procuratore distrettuale, e dallo stesso Muldano, che cercherà di mettere a tacere il piccolo testimone.

Il cliente cast

Il cliente: il cast del film

Trovare un interprete per il ruolo dell’undicenne Mark Sway non fu affatto semplice. Grisham, infatti, aveva potere decisionale sulle scelte di casting e per tale ruolo aveva richiesto un bambino che non avesse esperienze pregresse nel cinema. Egli sosteneva che il film non avrebbe funzionato con un noto attore bambino dall’accento fasullo nel ruolo e che scegliendo uno sconosciuto nella parte (preferibilmente dall’area di Memphis, dove è ambientata la storia) la credibilità del film non sarebbe stata compromessa. Alla fine fu scelto il compianto Brad Renfro, che arrivò a battere nella selezione anche Macaulay Culkin, noto per il film Mamma ho perso l’aereo.

Per convincere l’attrice Susan Sarandon ad accettare la parte dell’avvocato Reggie Love, il regista Joel Schumacher le ha proposto un “matrimonio cinematografico”, inginocchiandosi in mezzo a un affollato ristorante di New York. Davanti a quel gesto, l’attrice accettò e per la sua interpretazione è poi stata candidata al premio Oscar. Ad interpretare il duro Reverendo Roy Foltrigg vi è invece l’attore Tommy Lee Jones, acclamato in quegli anni grazie anche al thriller Il fuggitivo. Mary-Louise Parker interpreta Dianne Sway, madre di Mark, mentre Anthony LaPaglia è il mafioso Barry Muldano. William H. Macy è il dottor Greenway, mentre J. T. Walsh è l’avvocato Jason McThune.

Il cliente: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il cliente è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV e Disney+. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 23 ottobre alle ore 21:15 sul canale La7.

Fonte: IMDb

I leoni di Sicilia: recensione della serie di Paolo Genovese – #RoFF18

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I leoni di Sicilia, caso letterario del 2020, divenuto presto un best seller e che ancora oggi è oggetto di continue ristampe diventa una serie tv in otto episodi diretta da Paolo Genovese. La famiglia Florio, una famiglia poco convenzionale che con i suoi pregi e difetti è riuscita a creare un impero di cui ancora trasudano i palazzi e le tonnare siciliane. La serie, che sarà disponibile su Disney+ a partire dal 25 ottobre con i primi quattro episodi e dall’1 novembre con i restanti quattro parte proprio dalla genesi degli affari dei Florio che da Bagnara, in Calabria, si sono trasferiti a Palermo in cerca di fortuna. Una fortuna che Paolo Florio ha sempre auspicato per la sua famiglia, una fortuna che ha costruito lui stesso con le sue mani. La serie è stata presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle.

I leoni di Sicilia, la trama

A livello di fedeltà storica e di fedeltà al romanzo, I leoni di Sicilia diretto da Paolo Genovese ha tutti gli elementi al posto giusto. Tutto ci porta in quella Palermo barocca, dove per le strade si respira aria di spezie di tutti i tipi. Lo sanno bene i Florio che hanno cominciato il loro impero proprio come commercianti di curry, zafferano, finocchietto e sesamo. Tutti sapori antichi di una terra sempre conquistata che ha assorbito le tradizioni dei popoli di passaggio. In cerca di riscatto sociale, i Florio giunti a Palermo creeranno un vero e proprio business complici le idee rivoluzionare di Paolo Florio (interpretato da Vinicio Marchioni) che tramanderà al figlio, Vincenzo (interpretato da Michele Riondino).

Paolo Florio è burbero ma si rende ben presto conto del potere della sua famiglia, per questo a suo figlio Vincerò insegnerà fin da subito il mestiere del “putiaro”, del commerciante. Ma Vincenzo cresce, e con lui il mondo cambia. In Sicilia arriva l’acqua corrente e il commercio non si fa più solo con le spezie ma anche con i terreni. Su Vincenzo Florio e sulla sua dinastia, composta dal figlio Ignazio, si concentra I leoni di Sicilia. Venditore stratega che ha messo in ginocchio tutti i nobili di Palermo e uomo che viene travolto dall’amore per Giulia (interpretata da Miriam Leone), donna in contrasto con le rigide regole della Sicilia del 1800. Proprio con Vincenzo la Casa Florio acquisterà prestigio di un vero e proprio impero commerciale e sarà la sua ambizione a portare il buon nome della sua famiglia in alto, tra gli alti ranghi sociali.

I leoni di Sicilia serie tv

Artefici del proprio destino

Paolo, prima, e Vincenzo, poi, entrambi artefici del proprio destino. Una fortuna che hanno costruito con le loro mani solo per non sentirsi mai un passo indietro a nessuno. Qui la storia familiare si intreccia con la storia d’amore. La storia della famiglia fin dagli inizi dell’800 è la parte più interessante perché la serie compie un viaggio a ritroso e ci accompagna verso la fortuna della famiglia Florio che passerà inevitabilmente anche da momenti molto toccanti ed emozionanti come la morte del padre Paolo. Il personaggio interpretato da Vinicio Marchioni è il capostipite della dinastia così come la conosciamo oggi ma non è perfetto. Calpesterebbe chiunque per arrivare al successo e per far vivere la sua famiglia negli agi. Dall’acquisto della tonnara ad altri terreni e possedimenti della famiglia Florio, I leoni di Sicilia parla anche d’amore e in particolare quello tra un Vincenzo ormai consolidato negli affari e nel nome e Giulia, figlia di nessuno, ma di cui lui si innamora in modo travolgente. La loro storia d’amore si intreccerà con la storia di crescita della famiglia e anche con il periodo storico che stava vivendo l’Italia verso l’Unità.

La serie si ferma al 1861 quando a succedere a Vincenzo, e tenere alto il buon nome dei Florio ci sarà l’unico erede maschio della famiglia, Ignazio. Con Ignazio si apre un nuovo mondo per i Florio che continueranno ad espandersi sempre di più fino alla decadenza. In questi episodi visti in anteprima alla Festa del Cinema di Roma I leoni di Sicilia non ruggiscono ancora, anzi, sono ancora molto timidi e impacciati ma sono comunque pronti a raccontare la loro storia. C’è ancora molto da vedere e da rivedere – come per esempio alcuni brani della colonna sonora.

Il ragazzo e l’airone: recensione del film di Hayao Miyazaki – #RoFF18

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Hayao Miyazaki, uno dei maestri dell’animazione giapponese e uno dei registi più visionari mai vissuti, torna sul grande schermo con Il ragazzo e l’airone. Era il 2013 quando, dopo la presentazione alla Mostra di Venezia di Si alza il vento, il sensei annunciò che si sarebbe ritirato dall’attività di produzione di lungometraggi d’animazione. Per fortuna, l’impulso creativo, la necessità di disegnare e di raccontare storie erano troppo forti, e così, a partire dall’ispirazione arrivata dal romanzo E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino (che dà il titolo originale al film) realizza il suo nuovo lungometraggio che, dopo una serie di proiezioni ai festival e l’uscita in Giappone e negli USA, arriva nelle sale italiane dal 1° gennaio 2024 distribuito da Lucky Red.

Il ragazzo e l’airone, la trama

Il ragazzo e l’airone è un raro caso, nel cinema di Miyazaki, in cui il protagonista della storia è un uomo, un ragazzo di nome Mahito Maki che, a distanza di un anno dalla morte della madre in un tragico incendio, combatte ancora con il dolore della perdita, mentre con il padre lascia il centro abitato di una Tokyo in guerra, per rifugiarsi in una villa in campagna, dove va a vivere insieme a sua zia Natsuko, che nel frattempo è diventata la nuova moglie del padre. In questo luogo affascinante ma sinistro, dalla storia antica, Mahito incrocia il suo cammino con un airone cenerino, che si rivelerà essere una specie di Virgilio, una guida per il ragazzo che sarà costretto ad attraversare una sorta di inferno, un mondo parallelo a quello in cui vive, per poter affrontare le sue paure, i suoi dolori, e ricominciare a vivere.

Sebbene sia volontà comune affermare che Il ragazzo e l’airone è il capolavoro della sua filmografia, appare molto più realistico parlare di una nuova gemma preziosa che il sensei aggiunge al tesoro inestimabile che è la sua filmografia.

Un nuovo inizio

Dopo il sapore “finale” (nel senso più vitale del termine) di Si alza il vento, film che per tanti anni è stato considerato il suo ultimo, era interessante scoprire cos’altro Miyazaki avesse da dire. La risposta, forse, è nascosta nella visione della vita, tipica della cultura giapponese, in cui niente finisce davvero, e ogni esistenza che trova il suo compimento poi riparte di nuovo da zero, come nel percorso artistico del grande maestro. Con Il ragazzo e l’airone, il regista sembra infatti tornare indietro, o meglio, ripartire dal via, imbastendo una storia ricchissima che si nutre di simbolismi e metafore, raccogliendo tutti i temi a lui più cari e raccontando di un personaggio che, mai come in questo caso, sembra un suo alter ego.

Il canone miyazakiano

L’elaborazione del lutto per la madre, l’orrore della guerra, la difficoltà di adattarsi a un nuovo status, sono tutti elementi che appartengono alla biografia di Hayao ragazzo e che sono stati sempre presenti nel suo cinema. Così come l’idea di un mondo fantastico che coesiste in una realtà parallela o sovrapposta a quella reale, in cui piccole creature popolano gli anfratti dell’esistenza, insieme a minacce spaventose, a figure eroiche e creature in continua trasformazione, come giovanissime donne che controllano il fuoco e bruciano dalla voglia di vivere, pur conoscendo la loro sorte.

Ne Il ragazzo e l’airone il piano della realtà è funestato dalla guerra (la scena d’apertura ricorda molto da vicino Una tomba per le lucciole di Isao Takahata), è un mondo in cui Mahito fatica ad adattarsi. L’arrivo dell’airone cenerino e la porta che questo gli apre sul piano della fantasia, su un mondo altro, si presenta come un’opportunità di rivedere la propria madre scomparsa, ma in fondo è anche un tentativo di fuga. Il giovane protagonista lascia il suo mondo proprio perché quello in cui vive non gli piace, ma nonostante l’esistenza certa di spiriti, mostri e parrottini giganti pronti a mangiare chiunque, nessun sogno, per quanto vivido e confortante è preferibile alla realtà in cui viviamo e Mahito dovrà capirlo a sue spese, occupando il suo posto nel nuovo ordine delle cose e accettando il compito che gli viene affidato di portare equilibrio e nuovo ordine, nuova vita e speranza nel (suo) mondo dilaniato dalla sofferenza.

Uno spirito creativo in continuo divenire

Lo stile di Hayao Miyazaki si conferma, dunque, ricco e composito che sorprende continuamente sia per le soluzioni narrative che il regista adotta, sia per l’immaginario che mette in scena, un mondo in continuo divenire, ricchissimo e pullulante di vita e creatività, proprio come il suo spirito creativo, la sua voglia di disegnare che gli ha fatto revocare la “pensione” auto-imposta e lo terrà al lavoro ancora per molto, ci auguriamo.

Box office: I Me contro te primi in classifica

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Box office: I Me contro te primi in classifica

Al box office del fine settimana appena concluso il nuovo film dei Me contro te, Vacanze in Transilvania, conquista inaspettatamente il pubblico di grandi e piccini, ottenendo il primo posto nella classifica incassi. La pellicola ha incassato ben €784.299 a fronte di un totale di quasi 2 milioni di euro dall’uscita nelle sale il 19 ottobre.

La presenza dei Me contro te come campione d’incassi nel week end appena concluso può un po’ sconvolgere molti cinefili per via dell’arrivo nei cinema in contemporanea di una nuova opera di uno dei registi contemporanei più noti ed apprezzati dal pubblico.  Stiamo parlando di Killer of the flower moon, diretto da Martin Scorsese con Leonardo di Caprio e Robert de Niro. La pellicola, seconda al box office, ha incassato €532.575 a fronte di un totale che supera il milione e mezzo di euro dall’uscita il 19 ottobre.

Al terzo posto ritroviamo L’ultima volta che siamo stati bambini, pellicola italiana ed esordio alla regia dell’attore Claudio Bisio. Il film incassa €163.072 nel fine settimana e supera il milione dal suo approdo nelle sale il 12 ottobre.

Box office: il resto della classifica

Al quarto e quinto posto si trovano rispettivamente Dogman, nuova pellicola di Luc Besson presentata al festival del cinema di Venezia, e L’esorcista-il credente, sesta pellicola della saga cinematografica. Dogman incassa €91.659 su un totale che sfiora il milione di euro mentre L’esorcista arriva ad un incasso di €89.933 nel week end e di più di 2 milioni e mezzo dall’approdo nelle sale. Sesto classificato è Assassinio a Venezia, terzo capitolo della serie cinematografica di adattamenti dei romanzi di Agatha Christie; il film incassa €79.594 a fronte di un totale di 8 milioni di euro dall’uscita nei cinema il 14 settembre.

Al settimo ed ottavo posto si classificano Paw Patrol: il super film, pellicola animata per bambini sequel di Paw Patrol: il film, e Taylor Swift-the eras tour, film concerto della tappa a Los Angeles fatta dalla cantante. Paw Patrol incassa 71.291 a fronte di un totale di più di 1 milione e mezzo di euro, mentre Taylor Swift-the eras tour raggiunge un guadagno di €57.467 nel week  end e di quasi 1 milione dalla sua uscita il 13 ottobre.

Ultimi due classificati sono rispettivamente Volevo un figlio maschio, commedia italiana con Enrico Brignano, e Io Capitano, pellicola su tematiche di attualità diretta da Matteo Garrone. Volevo un figlio maschio incassa €52.294 mentre Io Capitano raggiunge un guadagno di €41.294 a fronte di un totale di 3 milioni e mezzo di euro dalla sua uscita nei cinema il 7 settembre.

Cocainorso in streaming su NOW e in tv su SKY

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Cocainorso in streaming su NOW e in tv su SKY

Arriva su Sky COCAINORSO, survival movie inspirato a un’incredibile storia vera avvenuta nel 1985 a Knoxville in Tennessee, quando un orso morì dopo aver ingerito una grande quantità di cocaina abbandonata in un bosco da dei trafficanti. Il film sarà in prima tv mercoledì 25 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand anche in 4K.

Diretto da Elizabeth Banks e scritto da Jimmy Warden, il film è interpretato da Keri Russell, O’Shea Jackson Jr.,Christian Convery, Alden Ehrenreich, Jesse Tyler Ferguson, Brooklynn Prince, Isiah Whitlock Jr., Kristofer Hivju, Hannah Hoekstra e Aaron Holliday, oltre alla vincitrice dell’Emmy Margo Martindale e il compianto vincitore dell’EmmyRay Liotta.

La trama del film

Ispirata alla storia vera del 1985 dell’incidente aereo di un trafficante di droga, della scomparsa della cocaina e dell’orso nero che se la mangiò, questa commedia dark e selvaggia vede uno strano gruppo di poliziotti, criminali, turisti e adolescenti che convergono in una foresta della Georgia dove un predatore di 500 libbre ha ingerito una quantità sbalorditiva di cocaina e, su tutte le furie per colpa della droga, è scatenato, alla ricerca di colpi e sangue.

COCAINORSO– Mercoledì 25 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand anche in 4K, per i clienti Sky Q o Sky Glass con pacchetto Sky Cinema e con servizio opzione Sky HD/Sky Ultra HD attivo.

Messi Meets America: Every Kid Dreams About – clip

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Messi Meets America: Every Kid Dreams About – clip

Ecco una clip da “Messi Meets America“, il nuovo documentario in sei parti che racconta il dietro le quinte di questo nuovo capitolo della carriera da record di Messi, disponibile su Apple TV+ dall’11 ottobre.

Dopo oltre vent’anni indimenticabili di eccellenza calcistica, primati inarrivabili raggiunti tra Barcellona e Paris Saint-Germain, e dopo aver vinto la Coppa del Mondo FIFA Qatar 2022 con la nazionale di calcio argentina, Leo Messi ha preso una decisione epocale che ha cambiato per sempre il volto del calcio in Nord America, unendosi alla Major League Soccer e all’Inter Miami CF. Grazie a un accesso senza precedenti a Messi e alla sua nuova famiglia dell’Inter Miami CF, “Messi Meets America” porta gli spettatori dietro le quinte della vita e della carriera del più grande giocatore mai sceso in campo, osservandolo condurre la sua nuova squadra alla conquista del titolo in Coppa di Lega e oltre.

Dal record di sold out registrato in tutta l’America a una velocità impressionante, all’incredibile gol vincente segnato all’ultimo minuto della sua prima partita, ai momenti trascorsi con i suoi compagni di squadra dell’Inter Miami CF, la serie racconta l’immersione di Leo in America, la trasformazione dell’Inter Miami CF e, soprattutto, l’impatto che sta attualmente avendo sul calcio in Nord America, mentre la “Messi Mania” attraversa l’intero continente.

I Leoni di Sicilia: presentata la serie tv alla Festa del Cinema di Roma

I Leoni di Sicilia, la nuova serie originale italiana Disney+ diretta da Paolo Genovese e tratta dall’omonimo bestseller di Stefania Auci, è stata presentata in anteprima alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma e debutterà mercoledì 25 ottobre in esclusiva su Disney+ in Italia con i primi quattro episodi, mentre i restanti quattro saranno disponibili a partire dal 1° novembre. La serie sarà disponibile su Hulu negli Stati Uniti, su Star+ in America Latina e su Disney+ in tutti gli altri territori.

Dal regista Paolo Genovese, che ne è anche produttore creativo, la serie in otto episodi è prodotta da Francesco e Federico Scardamaglia per Compagnia Leone Cinematografica e da Raffaella Leone e Marco Belardi per Lotus Production, una società Leone Film Group. I Leoni di Sicilia è una serie scritta da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo.

I Leoni di Sicilia è l’avvincente storia della famiglia Florio. I fratelli Paolo e Ignazio sono due piccoli commercianti di spezie fuggiti da una Calabria ancorata al passato e in cerca di riscatto sociale. In Sicilia s’inventano un futuro, dove a partire da una bottega malmessa danno vita a un’attività florida che il giovane figlio di Paolo, Vincenzo, con le sue idee rivoluzionarie, trasformerà poi in un impero. Tuttavia, a travolgere la vita di Vincenzo, e quella di tutta la famiglia, è l’arrivo dirompente di Giulia, una donna forte e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del tempo. I Leoni di Sicilia è un’epopea fatta di amore, famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, che si svolge nella Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861.

La serie è interpretata da Michele Riondino nel ruolo di Vincenzo Florio, Miriam Leone in quello di Giulia Portalupi, Donatella Finocchiaro in quello di Giuseppina, Vinicio Marchioni nei panni di Paolo Florio, Eduardo Scarpetta nel ruolo di Ignazio Florio (figlio di Vincenzo), Paolo Briguglia in quello di Ignazio Florio, Ester Pantano nel ruolo di Giuseppina giovane e Adele Cammarata in quello di Giovanna D’Ondes.

Durare”, il nuovo singolo di Laura Pausini è la end credit song di tutti gli otto episodi della serie. Il brano sarà inoltre disponibile anche nella sua versione spagnola, intitolata “Durar”, selezionando l’audio degli episodi in spagnolo.

Anatomia di una caduta: recensione del film di Justine Triet – #RoFF18

Ama raccontare storie di donne Justine Triet. Lo fa anche alla Festa del Cinema di Roma con Anatomia di una caduta, dramma a carattere processuale e di approfondimento psicologico che esplora nel dettaglio, quasi dissezionandolo chirurgicamente, il rapporto di coppia tra i due protagonisti, e con il loro figlio undicenne. Il film, prima di essere presentato nel festival romano, si era già fatto notare al Festival di Cannes, dove ha ottenuto il premio più prestigioso: la Palma d’Oro.

La trama di Anatomia di una caduta

Sandra (Sandra Hüller) e suo marito Samuel (Samuel Theis) entrambi scrittori, vivono con il loro figlio Daniel (Milo Machado Graner) che ha perso la vista dopo un incidente, in una baita di montagna vicino a Grenoble. Una mattina Samuel viene però trovato cadavere sulla neve. È caduto giù dalla finestra. Se sia stato un incidente, un tentativo di suicidio, o se l’uomo sia stato ucciso, lo stabilirà il processo che seguirà, in cui la moglie, Sandra, è la principale sospettata.

La donna assume per la sua difesa l’avvocato e vecchio amico, Vincent (Swann Arlaud). Il processo porterà a ripercorrere le fasi di un rapporto travagliato, svelerà vecchi rancori, fragilità e verità nascoste, facendo luce anche su come ciascuno dei coniugi abbia elaborato l’incidente occorso al figlio anni prima. Daniel, dal canto suo, dovrà venire a patti con una nuova idea del rapporto tra i suoi genitori. Al suo fianco, sempre Snoop, il fedele cane guida.

Anatomia di un rapporto di coppia

Anatomia di una caduta potrebbe dirsi un film chirurgico. Se si parte dall’esame autoptico di un corpo, infatti, si passa presto a una disamina millimetrica, il più possibile oggettiva nelle intenzioni, del rapporto fra Sandra e Samuel. Ecco quindi che il titolo è anche metafora calzante. L’incedere minuzioso e “scientifico” è proprio del processo, che intende analizzare freddamente la relazione tra i due, per capire se lì si possano annidare i germi di una volontà omicida. Daniel, undicenne, assiste a questa dissezione e ispezione del rapporto tra i suoi e impara a conoscerli di nuovo. L’idea è buona, ed effettivamente riesce a far emergere le ombre che ci possono essere anche in una coppia che apparentemente funziona.

Anatomia di una caduta Sandra Hüller

L’incedere lento di Anatomia di una caduta

Del processo chirurgico di dissezione Anatomia di una caduta ha anche la lentezza. In chirurgia, si sa, se si sbaglia, le conseguenze possono essere gravi, e anche in giurisprudenza. L’andamento lento, però, è anche il punto debole del film, amplificato poi dal fatto, pur lodevole, che la regista proceda con particolare delicatezza nel raccontare questa storia, senza il ricorso a facili soluzioni come scene madri o spettacolarizzazioni. Le varie sfumature della vicenda vengono snocciolate a poco a poco, nell’arco di 150 minuti. Occorre ammettere che, pur con le buone interpretazioni dei protagonisti e di tutto il cast, Anatomia di una caduta risulta in certi tratti monotono e poco avvincente.

Interpretazioni sentite e convincenti

Sicuramente convincenti sono invece le interpretazioni, in special modo quella della protagonista, di cui si percepisce lo spaesamento di fronte al processo, come quello che la aveva colta nel trasferirsi in Francia da Londra, assecondando un desiderio del marito. Una donna con luci e ombre, fragilità e punti di forza. Contrasti che la rendono umana, una donna in cui ci si può riconoscere. Merito va anche al giovane Milo Machado Graner, nei panni di Daniel e al border collie che interpreta il cane guida, Snoop. Si tratta di un film non facile, molto parlato e con pochi momenti di azione, che effettivamente patisce un’eccessiva lunghezza, ma una buona analisi psicologica è la forza di Anatomia di una caduta, assieme all’intensità dei suoi protagonisti, che danno vita a momenti di coinvolgimento emotivo, seppure discontinui.

Fantastici Quattro: Matt Shakman parla della sostituzione di Jon Watts e fornisce nuovi dettagli sul film

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Sfortunatamente, anche dopo mesi di voci apparentemente infinite, ci vorrà ancora un po’ per avere notizie concrete sul casting del film MCU Fantastici Quattro. Tuttavia, mentre era impegnato nella promozione dela serie Monarch: Legacy of Monsters di Apple TV+, il regista Matt Shakman è stato in grado di condividere alcuni aggiornamenti minori sul film durante un’intervista con The Playlist. Alla domanda su quali siano le ultime novità sul processo di casting, il regista ha promesso che “ci sarà un annuncio ad un certo punto“, aggiungendo poi di sentirsi “entusiasta che le persone siano appassionate di questi personaggi quanto lo sono io“.

Il fatto che ci sia così tanto dibattito, lo adoro. Ho pensato a chi avrebbe dovuto interpretare questi personaggi prima di avere l’incarico di dirigere il film, e capisco perché tutti la penserebbero allo stesso modo. La chimica è estremamente importante… è la prima famiglia della Marvel e devo costruirla bene. Devo ottenere quella giusta chimica“. Shakman ha poi continuato affermando che “l’annuncio non sarà immediato quando lo sciopero del SAG si sarà risolto, ma prima o poi saremo in grado di condividere alcune notizie. E spero che le persone saranno entusiaste di questo cast quanto lo sono io.

Successivamente, rivelando che Fantastici Quattro è l’unico progetto per cui ha incontrato i Marvel Studios, dopo aver lavorato su WandaVision, Shakman ha condiviso i suoi pensieri sulla sostituzione del regista di Spider-Man: No Way Home, Jon Watts, inizialmente scelto come guida del film. “Jon Watts ha lavorato per un po’ al progetto e avrebbe fatto un lavoro fantastico, ma poi la sua strada ha preso un’altra direzione ed io sono stato entusiasta di salire sulla sedia del regista e prendere il suo posto. Voglio dire, abbiamo portato avanti il nostro processo in modo coerente”.

Sono stato nel progetto per poco più di un anno e ci ho lavorato duro come lavoreremmo su qualsiasi film della Marvel… a cominciare da qual è la storia che vogliamo raccontare. Qual è il tema della storia? Perché stiamo raccontando questa storia? E poi stiamo sviluppando la migliore versione possibile di quella storia, e come vogliamo dare vita a questi personaggi?“. Rifiutandosi comprensibilmente di rivelare se si sia rivolto a qualche fumetto specifico per trarne ispirazione, Shakman ha però confermato di aver lavorato alla scrittura sia con il co-sceneggiatore di Avatar: La via dell’acqua Josh Friedman che con Cam Squires di WandaVision.

Thanksgiving: trailer del film diretto da Eli Roth

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Thanksgiving: trailer del film diretto da Eli Roth

Eagle Pictures diffonde il primo trailer di Thanksgiving, il nuovo film ideato e diretto da Eli Roth, con protagonisti Patrick Dempsey, Addison Rae, Milo Manheim, Jalen Thomas Brooks, Nell Verlaque, Rick Hoffman e Gina Gershon, su una sceneggiatura di Jeff Rendell. Il film arriverà il 16 novembre nelle sale italiane. Il film è nato da un finto trailer visto in Grindhouse.

Thanksgiving, la trama

La cittadina di Plymouth, in Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un anno dopo, durante i festeggiamenti del Thanksgiving, un misterioso e feroce serial killer comincia ad torturare e uccidere la popolazione locale, seguendo un grottesco piano di vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi, che evidentemente nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli che iniziano come omicidi casuali per vendetta si rivelano presto parte di un più ampio e oscuro piano legato alle festività. Ispirato al fake trailer realizzato da Eli Roth per Grindhouse, e diretto dallo stesso Roth Thanksgiving è pronto a diventare un nuovo cult del cinema horror contemporaneo.

Thanksgiving non sarà il primo film a essere trasformato in un lungometraggio dopo essere apparso come trailer di Grindhouse. Il primo è stato Machete del 2010, un film d’azione con Danny Trejo, seguito da Hobo with a Shotgun del 2011, un altro film d’azione di commedia nera.

Deadpool 3: ecco secondo il regista chi vincerebbe nello scontro tra Deadpool e Wolverine

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Anche se sembra che nel film faranno squadra, le prime foto dal set di Deadpool 3 ci hanno confermato che il mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds e  il Wolverine di Hugh Jackman verranno alle mani, affrontandosi in uno scontro senza esclusione di colpi. Ora, il regista Shawn Levy potrebbe aver dato un’idea di come andrà a finire questa battaglia. Interrogato sul questo attesissimo scontro durante un’intervista con Sirius XM il regista, pur evitando di rivelare troppo, ha indicato che il vecchio Wade Wilson potrebbe non uscire vincitore dallo scontro.

Il regista ha sottolineato che sia Reynolds che Jackman sono completamente altruisti quando si tratta di come vengono rappresentati i loro personaggi, aggiungendo che “entrambi i ragazzi cercano sempre di far sì che sia l’altro a vincere. Ryan è straordinario nel volere che Deadpool perda e la verità è che Deadpool è fantastico ma è profondamente… imperfetto. Mentre Wolverine, beh, è Wolverine”. Naturalmente le parole del regista non forniscono un vero e proprio chiarimento sull’esito della battaglia, che molto probabilmente ad ogni modo non farà che portare i due ad unire le proprie forze.

Deadpool 3: quello che sappiamo sul film

Sebbene i dettagli ufficiali della storia di Deadpool 3, con protagonista Ryan Reynolds, non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la serie di film di Deadpool – l’unica parte del franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò preserva i film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato da Hugh Jackman, viaggiare nell’universo principale dell’MCU.

Nel film saranno poi presenti anche personaggi presenti nei primi due film di Deadpool, come Colossus e Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera che anche altri X-Men possano fare la loro comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della Marvel comparsi sul grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben Affleck. L’attrice Jennifer Garner sarà presente nel film con il ruolo di Elektra, che riprende dunque a quasi vent’anni di distanza dal film a lei dedicato.

In attesa di ulteriori conferme, sappiamo che Shawn Levy dirigerà Deadpool 3, mentre Rhett Reese e Paul Wernick, che hanno già firmato i primi due film sul Mercenario Chiacchierone, scriveranno la sceneggiatura basandosi sui fumetti creati da Rob Liefeld, confermandosi nella squadra creativa del progetto. Il presidente dei Marvel StudiosKevin Feige, aveva precedentemente assicurato ai fan che rimarrà un film con rating R, proprio come i primi due film, il che lo renderebbe il primo film dello studio con tale classificazione matura.

Killers of the Flower Moon: Scorsese spiega perché ha cambiato il più grande mistero del libro

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Il regista Martin Scorsese spiega perché nell’affrontare il mistero alla basa di Killers of the Flower Moon si è allontanato dal libro, il quale consente invece ai lettori di indagare sull’orribile mistero giungendo infine allo svelamento dell’identità dei responsabili. Con il film di Scorsese, invece, gli spettatori scoprono sin dall’inizio chi è il colpevole, quindi sostanzialmente non c’è alcun aspetto giallo su cui lavorare. La scelta è ovviamente intenzionale ed è motivata dal fatto che Scorsese crede che il mistero più grande non sia chi ha compiuto i crimini, ma perché.

Nel corso di un’intervista con IndieWire, il regista ha infatti dichiarato che: “cosa c’è in noi che ci spinge a farlo? Qual è il difetto nella nostra natura umana che ci fa approfittare degli altri, che ci fa credere superiori? Essendo anch’io uno di loro, europeo americano, vengo da un clima meridionale, la Sicilia, un po’ diverso dai climi settentrionali dell’Europa e della Scandinavia. Così tante persone sono arrivate come immigrati, come coloni. E c’era un’etica secondo cui semini e raccogli. Lavori e poi Dio ti benedice con le ricompense. Semplicemente, però, non sembrava giusto, dal punto di vista di quel gruppo di persone provenienti dall’Europa“.

Perché queste persone [gli Osage] che non lavorano, dovrebbero essere improvvisamente benedette da tutta questa ricchezza, perché viene dalla terra? Prima di tutto, non sono cristiani. Non sanno nulla su come maneggiare il denaro, cosa sia il denaro”, spiega Scorsese cercando di mettersi nei panni di quei coloni. Il regista ha dunque ritenuto più interessante porsi dal punto di vista di questi personaggi, cercando di indagarne la natura. Allo stesso tempo, Scorsese non ha né potuto né voluto ignorare l’amore esistente tra i due protagonisti, considerandolo il vero cuore del racconto.

Killers of the Flower Moon, tutto quello che c’è da sapere sul film

Martin Scorsese ha diretto e scritto la sceneggiatura con Eric Roth, co-sceneggiatore di Dune e A Star is BornLeonardo DiCaprio interpreta Ernest Burkhart, il nipote di un potente allevatore locale interpretato da Robert De Niro, mentre Lily Gladstone interpreta la moglie Osage Mollie e Jesse Plemons è Tom White, l’agente dell’FBI incaricato di indagare sugli omicidi. Il cast include anche Brendan Fraser e John Lithgow.

Killers of the Flower Moon riunisce ancora una volta Martin Scorsese con i collaboratori di lunga data Leonardo DiCaprio e Robert De Niro. Insieme a loro ci sono l’attore premio Oscar Brendan Fraser, Jesse Plemons, Lily Gladstone, Tantoo Cardinal, Jason Isbell, Sturgill Simpson, Louis Cancelmi, William Belleau, Tatanka Means, Michael Abbott Jr., Pat Healy, Scott Shepherd e molti altri. Il film è una produzione di Apple Studios, Imperative Entertainment e Appian Way Productions, con Dan Friedkin e Bradley Thomas come produttori.

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James Bond, il futuro della saga non è ancora stato pianificato: “c’è ancora molta strada da fare”

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La ricerca di un nuovo interprete per il ruolo di James Bond è sempre uno dei processi di casting più attentamente esaminati a Hollywood. Ma mentre il team del casting ha rilasciato alcune informazioni sull’età e sui prerequisiti di nazionalità del prossimo attore, sembra che il sostituto di Daniel Craig per tale personaggio non verrà annunciato in tempi brevi. In una nuova intervista con The Guardian, Barbara Broccoli, produttrice di lunga data del franchise di Bond, ha spiegato che non ha ancora iniziato a pianificare la prossima iterazione della serie.

“Daniel [Craig] ci ha dato la possibilità di scavare nella vita emotiva del personaggio e anche il mondo era pronto per questo“, ha detto Broccoli. “Penso che questi film riflettano il momento in cui si trovano, e c’è una grande, grande strada da percorrere per reinventare la saga con il prossimo capitolo e non abbiamo nemmeno ancora iniziato”. Pur comprendendo che la prossima era del franchise dovrà riflettere un mondo che è cambiato molto da quando Craig è stato introdotto nel 2006, Broccoli ha poi citato la storia della serie come prova della capacità di adattamento di James Bond.

Torno a ‘GoldenEye’ quando tutti dicevano. “La guerra fredda è finita, il muro è finito, Bond è morto, non c’è bisogno di Bond, il mondo intero è in pace e ora non ci sono più cattivi“, ha detto Broccoli. “E ragazzi, quella convinzione era così sbagliata!”. La produttrice ha poi però chiarito che il futuro di Bond rimane legato al grande schermo: “realizziamo i film di James Bond per il grande schermo cinematografico. Tutto ciò che riguarda i film di Bond deve essere visto dal pubblico di tutto il mondo in quel formato, quindi non vogliamo spostarci in televisione.

Tuttavia, Broccoli ha anticipato che potrebbero esserci ulteriori espansioni del franchise all’orizzonte. Ha infatti spiegato di essere aperta a riavviare il franchise per i mercati internazionali e a realizzare spin-off che cambino l’etnia dell’iconica spia. “Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma mi piacerebbe vedere le varie versioni del personaggio in tutto il mondo, dall’Africa, all’India e all’Asia“, ha detto. Che un prossimo James Bond ci sarà, è certo. Non resta però che attendere maggiori informazioni, che però non sembrano essere attualmente in vista.

Holiday: recensione del film di Edoardo Gabbriellini – #RoFF18

Holiday: recensione del film di Edoardo Gabbriellini – #RoFF18

Il genere del legal drama circoscrive la sua narrazione agli eventi che si svolgono dentro e fuori il tribunale giudiziario. Può cambiare il punto di vista, ce ne possono essere molteplici, ma nel complesso la storia segue una traiettoria molto specifica, che si conclude alla fine con lo svelamento della verità e l’assolvenza – o meno – dell’imputato in questione. In Holiday Edoardo Gabbriellini decide di fare un lavoro al contrario e di concederci uno sguardo – molto lungo – a quel che accade dopo. Protagonista di un racconto tanto ambiguo quanto pieno di zone d’ombra è Veronica, interpretata da un’esordine ed efficace Margherita Corradi. Il film è in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Progressive Cinema, sceneggiato da Gabbriellini insieme a Carlo Salsa e Michele Pallagrini, e prodotto da Olivia Musini con Lorenzo Mieli e Luca Guadagnino.

Holiday, la trama

Dopo due anni di carcere, Veronica (Margherita Corradi), dichiarata non colpevole di aver ucciso la madre nella Spa del loro hotel, torna a casa dal padre. Ad accoglierla c’è subito l’amica Giada (Giorgia Frank), pronta a farle recuperare tutto il tempo perduto. Ma tornare alla realtà – e soprattutto alla libertà – non è per niente facile. In primis perché la gente di lei non parla bene, molti la credono ancora colpevole, altri la denigrando su Instagram facendo persino commenti a sfondo pornografico. Mentre cerca di barcamenarsi in questa serie di situazioni spiacevoli e sciacchiare play a una vita che aveva dovuto mettere in pausa, lo spettatore cercherà di capire attraverso sguardi sul passato cosa è davvero successo prima dell’omicidio, e soprattutto cosa è stato detto durante il processo. Tutti, però, dal padre alla migliore amica potrebbero avere un movente. Quindi perché hanno accusato solo Veronica di aver ucciso la madre? Quando si inizierà a formulare un pensiero sulla protagonista, ecco che il film cambierà di nuovo strada, fino all’ambiguo finale.

Holiday Margherita Corradi Giorgia Frank

Uno stile destabilizzante

Holiday è una storia indecifrabile. Come lo è la sua protagonista, Veronica, di cui non riusciamo a trarre alcun tipo di giudizio che sia valido o fondato su prove concrete. Gabbriellini modella un film difficile da analizzare, complesso da leggere e decifrare. Intanto perché lo arricchisce di flashback (non proprio esaustivi), i quali non diventano altro che uno stile narrativo per raccontarci da più prospettive una vicenda che, fino alla fine, non riuscirà mai ad essere limpida e chiara. Sono tre i piani temporali da seguire: il primo è quello del presente, nel quale il regista butta in pasto ai leoni (utenti social, giornalisti, occhi giudicanti dei passanti) una ragazza appena stata scarcerata, che deve affrontare una realtà nella quale nessuno, sostanzialmente, le crede.

Ci sono poi i ricordi suoi e dell’amica Giada, la quale sia prima che dopo l’omicidio della madre di Veronica le è sempre stata accanto, ma che non si riesce a comprendere in che posizione si trovi rispetto la questione dell’assassinio. E infine c’è la ricostruzione del processo, in cui i testimoni vengono torturati psicologicamente dall’accusa. Sono tutti elementi che si mischiano, a volte si accavallano, tanto che bisogna compiere uno sforzo in più per capire meglio in quale spazio-tempo ci si trovi. Ad accorrere in aiuto potrebbe essere, fra le cose più evidenti, l’uso dei colori, che diventa più caldo o più freddo (ma di poco) a seconda del periodo trattato. Il passaggio da uno spezzone all’altro è un po’ confusionario, e la destabilizzazione che se ne ricava impedisce di entrare a pieno nel tono misterioso dell’opera, che rimane nel suo insieme, volontariamente, fredda e distaccata. Quasi come se l’intento del suo regista fosse quello di farcela guardare in un modo che ci impedisca di giudicare la protagonista.

Chi è Veronica?

Una protagonista della quale alla fine non si scoprirà poi molto. Né di lei né dell’azione commessa – se l’ha davvero commessa. Gabbriellini, poi, attraverso lei, ci introduce sin da subito a delle tematiche molto sentite non solo dai giovani ma da tutte le generazioni. Una fra queste è l’influenza che hanno i social sulla nostra vita, strumenti che permettono a chiunque di aprire bocca anche su cose di cui non conoscono neppure gli antefatti. C’è anche la difficoltà, ad oggi, di essere giovani, ma anche di essere adulti, causata in primis da una società e un sistema a loro volta ambigui e iniqui. C’è poi la denuncia all’adesione di alcuni canoni di bellezza assurdi, rappresentata in questo particolare caso dalla madre di Veronica, Elisabetta, sempre pronta a rammentarle di dimagrire, disprezzandone persino a gran voce il suo corpo.

Temi molto delicati e dolenti, che per quanto siano importanti in una storia che tratta di giovani – e che forse è per i giovani – non riescono a rimanere punti fermi del film, il quale nonostante voglia sollevare alcune riflessioni in merito a essi, si impegna di più a costruire un percorso che, man mano che va avanti, diventa sempre più strano, contorto, incomprensibile. È che quindi, paradossalmente, diventa la parte che più coinvolge. Perché Holiday è un noir atipico, che lascia al pubblico il piacere dell’interpretazione muovendo i personaggi solo come delle pedine, senza dargli un vero approfondimento psicologico, con lo scopo di confondere e depistarli. Chi è il colpevole, in conclusione? Quello in cui crediamo cambia continuamente. Una volta che gli dà tutti gli strumenti per pensarci, seminandoli nella storia, Holiday finisce. Ora siamo noi, con le nostre nuove idee (sbagliate o giusto che siano) a deciderlo.

Nuovo Olimpo: recensione del film di Ferzan Ozpetek – #RoFF18

Nuovo Olimpo: recensione del film di Ferzan Ozpetek – #RoFF18

“Così il tempo e lo spazio non ci separano.”Nuovo Olimpo.

È un cinema che sa di casa, di famiglia, quello di Ferzan Ozpetek. È un cinema di sguardi, di intese, sentimenti catartici, conflitti relazionali, passioni. Di carezze e di lacrime. Soprattutto è un cinema in cui la collettività, l’appartenenza a una comunità, la bellezza della convivalità e la condivisione hanno sempre avuto il posto in prima fila nella platea delle tematiche principali del suo autore. Ne costituiscono la cifra stilistica e contenutistica, un’impronta netta che in ogni suo lavoro mai si sbiadisce, e che pone al centro l’amore. L’amore declinato in tutte le sue forme, sfaccettature e contraddizioni.

Una forza potente, a volte devastratrice, altre salvifica, di cui Ozpetek ne maneggia il senso più puro e profondo decantandola sullo schermo quasi come una poesia. Non è da meno la sua ultima opera, Nuovo Olimpo, che pur rinunciando ad alcune cifre dominanti presenti in gran parte della sua filmografia, torna – dopo La Dea Fortuna – per parlarci di un amore che resiste al tempo e allo spazio, alla vita che scorre e alle sue incrinature. Il regista tesse le fila di un racconto un po’ diverso dai suoi predecessori, e lo fa ispirandosi a una storia vera che proprio a lui accadde nella Roma del 1979. Nuovo Olimpo, presentato alla 18 esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, debutterà suNetflix il 1 novembre.

Nuovo Olimpo, la trama

È un colpo di fulmine quello che hanno Pietro (Andrea Di Luigi) ed Enea (Damiano Gavino) quando nel 1979 si incontrano sul set di un film a Roma. Si scambiano un intenso sguardo, poi il secondo, preso dal suo lavoro, lo distoglie, rompendo la magia. Ma il destino ha in serbo per loro qualcosa di speciale, e li fa presto rivedere al cinema Nuovo Olimpo, dove Pietro entra per la prima volta per guardare vecchi film in bianco e nero, ritrovandosi dopo poco in un bagno con Enea a scambiarsi appassionanti effusioni. Pietro però all’inizio è incerto sul da farsi, e a condurlo nel gioco della seduzione è proprio Enea, che avvia una storia d’amore destinata a infiammarsi. Giri in vespa, balli in terrazza, baci e risate: i due giovani ragazzi si innamorano nell’arco di pochi giorni, fino a quando Pietro non chiede a Enea un appuntamento ufficiale.

Loro due in una trattoria romana, a bere e mangiare, per poter fare una cosa semplice, che però vale più di mille parole: guardarsi. L’appuntamento è preso, ma Pietro non si presenterà mai poiché coinvolto in una manifestazione nella quale si romperà un braccio. Passano gli anni, loro crescono e vanno avanti, pur comunque continuando a pensarsi. Enea diventa un regista, Pietro un medico. Uno convive, l’altro è sposato. Sono distanti anni luce l’uno dall’altro, ma non con il cuore. Eppure sembra che la vita non voglia proprio farli rivedere. Ma come canta Antonello Venditti… “certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano.”

Nuovo Olimpo Damiano Gavino Andrea di Luigi

Enea e Pietro: cosa ci resta di loro?

Vuole saggiare nuove modalità di narrare e dare forma al racconto, Ozpetek, con Nuovo Olimpo. E decide di farlo addentrandosi nei territori del tempo, che qui è inesorabile. Lo divide, lo frammenta, tenta di analizzarne le conseguenze derivanti dagli anni che passano. A scandirlo è un ritmo lento, che fa quasi da contraltare all’amore fulmineo di Enea e Pietro, innamoratisi già dal primo sguardo scambiatosi su un set dove il primo fa il volontario. Ozpetek sa di essere uscito dalla sua comfort zone scegliendo questa specifica operazione strutturale. Non c’è più, infatti, la compattezza temporale dei suoi precedenti film, e questo si percepisce da una poca solidità narrativa degli archi temporali che racconta, ben quattro anni diversi che si distanziano di parecchio l’uno dall’altro, piccole parentesi di una storia che nel doversi fare più intensa nel suo progredire, come ci si aspettava, risulta rimanere sempre in superficie, sia nei sentimenti che nelle azioni, un po’ tremolante nell’andare fino in fondo.

Il regista turco sembra aver annaspato e faticato non poco mentre cercava di gestire le linee narrative, evolutive ed emozionali dei suoi protagonisti nelle varie fasi della loro vita, in particolare nel passaggio da giovani ad adulti. E questo, a prodotto ultimato, è andato a scaricare la tensione emotiva e amorosa della coppia dopo una prima parte molto convincente, la quale fa parte dell’anno più costruito e sviluppato rispetto agli altri (ossia il ’79). Un peccato, visto l’interessante impiattamento della narrazione, che però essendo così poco approfondita fa essere Enea e Pietro meno coinvolgenti e convincenti rispetto ad altri personaggi portati sullo schermo da Ozpetek, pur essendo nel loro complesso piacevoli.

Nuovo Olimpo Ferzan Ozpetek

Un’ode al cinema

I difetti, dunque, non mancano in Nuovo Olimpo. Ma qualcosa da apprezzare ce l’abbiamo comunque. Sì, perché Ozpetek ci regala una bella lettera d’amore al cinema, che si lega a doppio giro con il concetto di memoria. Pietro ed Enea si incontrano su un set, poi al cinema – il Nuovo Olimpo del titolo – e quando si separano, quest’ultimo, diventato regista, fa della loro storia d’amore un film. Imprime i suoi ricordi sulla pellicola, li traspone e imprigiona sulle immagini per non lasciarli morire. Trasforma i suoi sentimenti in sequenze concrete, affinché né questi né la sua relazione possano essere dimenticati. Ma anzi, fa in modo che vivano in eterno, nel bagliore di una sala che scalderà e al tempo stesso lenirà il suo cuore sofferente. E in fondo, vuole dirci Ozpetek nel sottotesto, non è questa la funzione del cinema? Essere un forziere di memorie e passioni, farle diventare immortali, pronte a riaffiorare e ardere ogni qual volta se ne sente il bisogno. Perché il cinema ha la capacità di continuare a farti sentire una presenza anche là dove c’è assenza; di darti calma e bellezza anche quando attorno c’è scompiglio; di riavvolgere i momenti e farli ripartire come se stessero accadendo di nuovo, anche se poi ai titoli di coda ci si volta e quello che si ha visto sullo schermo non lo si trova più accanto.

Il cinema è un amico che ci tiene compagnia e ci rassicura, ci spinge a credere nell’impossibile e ci aiuta a superare le difficoltà. Ed è anche un luogo, inteso come dimensione concreta, dove tutto è concesso e nessuno ti giudica. Nel trasmetterci queste emozioni rivolte alla Settima Arte Nuovo Olimpo funziona e arriva dritto al cuore del pubblico, assumendo le vesti di una storia a tratti metacinematografica, nella quale intercettiamo in Enea l’alter ego del regista. Una nota, possiamo dire, molto positiva rispetto ai problemi di sceneggiatura riscontrati nella pellicola. Ozpetek alla fine saluta il suo pubblico con una sequenza che tocca le corde dell’animo e solleva un po’ le sorti del film: la voce melodica di Mina – presenza costante – abbraccia e accarezza i protagonisti in un tempo indefinito prima che le luci si spengano. Il regalo che ci fa il regista è lasciarci immaginare, con un “what if”, quale potrebbe essere secondo noi il futuro dei protagonisti. Facendoci capire quanto siamo, anche noi, parte di questo meraviglioso e ipnotico mondo chiamato cinema.

Blaga’s Lessons: recensione del film di Stephan Komandarev – #RoFF18

Stephan Komandarev con il suo Blaga’s Lessons porta nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma uno sguardo sul mondo degli anziani, tenuti spesso ai margini delle odierne società, come tutti coloro che non producono ricchezza, o si ammalano e vengono visti esclusivamente come un problema.

La trama di Blaga’s Lessons

Blaga, Eli Skorcheva, è una settantenne bulgara, ex insegnante, che ha appena perso il marito. Ha messo da parte tutti i suoi risparmi per acquistare la tomba del coniuge, che poi diventerà anche la sua. Proprio quando sta per acquistarla, viene truffata e derubata di tutto il denaro, che teneva nascosto in casa. Determinata a non rinunciare al suo progetto, deve inventarsi qualcosa. Non bastano infatti, ad acquistare la tomba, i soldi che l’anziana guadagna con le lezioni private di bulgaro che impartisce, né quelli della magra pensione. Blaga escogiterà uno stratagemma che le farà fare ciò che mai aveva pensato, fino a cambiare radicalmente il primo modo di rapportarsi al mondo.

Blaga’s Lessons spinge a interrogarsi

Blaga’s Lessons mette sul piatto molte questioni di carattere sociologico, ma anche legate al modello economico capitalistico, alla base della società occidentale. Un modello che mette al centro il profitto, a qualsiasi costo, e che tende a monetizzare tutto, anche gli affetti. Fino a dove ci si può spingere per ottenere ciò che si è convinti di meritare? Fino a quale livello di spregiudicatezza e assenza di scrupoli arriva ciascuno per avere il proprio tornaconto? Che società è quella in cui gli anziani sono marginalizzati e considerati come un peso dai propri figli? O alla stregua di polli da spennare, da parte di persone più o meno disoneste nei rispettivi contesti? Quanta frustrazione e rancore possono covare per questo?

Blaga's Lessons Eli Skorcheva
Eli Skorcheva in Blaga’s Lessons

La protagonista di Blaga’s Lessons

A queste domande il regista Stephan Komandarev, candidato all’ Oscar nel 2008, risponde con la lunga ed estenuante peregrinazione, a piedi e in macchina, di giorno e di notte, della sua protagonista, interpretata da Eli Skorcheva, che percorre la strada disturbante e financo deprimente, che la porta sempre più giù, nell’ abisso dell’ abiezione umana. Il film è tutto incentrato su di lei, che compare quasi sempre da sola, nella propria casa o in strada, in sequenze ricorsive, sempre simili a sé stesse. Il regista punta tutto sulla figura di questa donna minuta e dall’ aspetto dimesso, in contrasto con quello che sarà nel corso del film il suo agire, e su un’atmosfera inquietante, di suspense, che percorre il lavoro.

Nonostante la bravura della protagonista, che tiene letteralmente da sola sulle spalle il film, è però davvero difficile mantenere viva l’attenzione dello spettatore per quasi due ore, solo attraverso il suo pedinamento. Gli sguardi, il volto provato della donna comunicano molto a chi osserva, un ambiente sempre grigio è consono alla vicenda, ma ci si aspetta qualcosa di più. Qualcosa che non arriva, per tutta la durata del film.

Un racconto duro e minimalista

Blaga’s Lessons rimane un racconto duro e minimalista – forse troppo, e come tale, di non facile fruizione – sui mali del nostro tempo e le distorsioni cui la società ci ha purtroppo abituato. Quello di Blaga potrebbe essere uno dei tanti casi di cronaca, ormai sempre più assurdi, che riempiono le pagine dei quotidiani.

Zucchero Sugar Fornaciari: recensione del film documentario sul cantante – #RoFF18

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La carriera di Zucchero Sugar Fornaciari – pseudonimo di Adelmo Fornaciari – ha fatto da spartiacque tra la musica italiana: c’è solo un dopo Zucchero ed è impossibile stabilirne un prima. Una carriera caratterizzata dall’umiltà e dell’incertezza di non essere mai abbastanza e che viene celebrata nel film documentario – diretto da Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano – attraverso le sue parole e quelle di colleghi e amici come Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Salmo, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici.

Un viaggio dell’anima che, grazie a immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e dal “World Wild Tour”, il suo ultimo e trionfale tour mondiale, va oltre il ritratto di un musicista di successo arrivando fin dentro i dubbi e le fragilità dell’uomo. Zucchero Sugar Fornaciari sarà al cinema il 23, 24 e 25 distribuito da Adler Entertainment.

Zucchero Sugar Fornaciari, la trama

La vita di Zucchero raccontata nel documentario prende vita in modo non lineare, come se fosse un concertino jazz, di quelli che ascolti per strada. Ti lasci trasportare dal ritmo, anche se ogni strumento suona una melodia diversa dall’altra. Il cantante di Roncocesi ha fatto della musica la sua vita e la stessa musica lo ha salvato, come dice lui “prendendomi per i capelli”. La lotta per uscire dalla depressione, il divorzio e tour mondiali sold-out in tutto il mondo tra capitali europee, Nord America, Stati Uniti e anche l’Oceania.

È proprio un viaggio a 360° nella sua musica, nei suoi ricordi, nelle sue influenze musicali visto non solo con gli occhi di Zucchero stesso ma di tutte le persone che ha toccato. Da Bono, con il quale ha scritto diversi pezzi, ad Andrea Bocelli che afferma come la sua carriera sia iniziata grazie a lui. Una vita dedicata alla musica e con la musica, ed è quello che ha voluto dare del suo World Wild Tour 2022-2023 riuscendo a girare per il mondo espandendo così il suo successo.

Zucchero Sugar Fornaciari film recensione
Ph: Matteo Girola

La “voce della tribolazione” come la chiama De Gregori, amico che ha collaborato a Diamante – pezzo dedicato alla nonna che portava questo nome. Sì perché Zucchero è cresciuto in mezzo alla fattoria dei nonni e soprattutto con la nonna passava molto tempo. La vanga, le radici e un cappello e ci troviamo nella Roncocesi degli anni ’50, una città che non è una metropoli e vive solo di quello che ha. Ma Roncocesi per un bambino nato in quegli anni ha tutto ciò che si desidera e se quel bambino è il futuro Zucchero Fornaciari l’essenziale è un organo nella chiesa di fronte casa.

Tra l’Emilia e il West

Tra l’Emilia e il West cantava Guccini che usa queste parole per descrivere i viaggi musicali, spirituali e fisici di Zucchero all’interno del film documentario. L’aria di Roncocesi così triste e malinconica lo porteranno in seguito a ricercare questo stesso blues altrove, in America dove si radicata la sua anima capace di mettere insieme l’energia afroamericana e la liricità italiana. Un artista a tutto tondo che cade, e fa fatica ad alzarsi perché come dice Salmo: “Questo è il peso del successo”.

La depressione durata dall’89 al ’95 e che coincide banalmente anche con il periodo di massimo splendore dell’artista che in quegli anni accompagnava Eric Clapton ai concerti. Zucchero racconta dei suoi attacchi di panico e della sua vita nella sua Lunisiana Soul, il luogo che lo ha salvato. Un’oasi in mezzo al nulla, nella cornice naturalistica della Toscana incontaminata. Lì si trova Zucchero Sugar Fornaciari e se tendete l’orecchio al vostro passaggio potrete sentire una chitarra strimpellata.

Rocky V: trama, cast e il finale alternativo del film

Rocky V: trama, cast e il finale alternativo del film

Il film del 1976 Rocky è una delle più celebri pellicole della storia del cinema, un classico intramontabile del genere sportivo capace di vincere l’Oscar come miglior film e lanciare la carriera del suo attore e sceneggiatore Sylvester Stallone. Il successo fu tale che i produttori decisero poi di dar vita ad un sequel nel 1979, Rocky II, il quale fu poi seguito nel 1982 da Rocky III. La saga sembrava concludersi così, ma solo tre anni dopo è arrivato Rocky IV, ancora scritto, diretto ed interpretato da Stallone, seguito poi nel 1990 da Rocky V, diretto però da John G. Avildsen, regista del primo film.

Alla sceneggiatura vi è invece ancora una volta Stallone, che come per i precedenti anche in questo quinto ha inserito alcuni elementi autobiografici. In Rocky III e Rocky IV, il protagonista era imbattibile, incredibilmente famoso e popolare, il che coincideva con l’apice della popolarità di Stallone. Questa era però scemata dopo il quarto film e nello scrivere la sceneggiatura di questo quinto capitolo, l’attore ha deciso di tenere in considerazione l’idea di come un uomo possa avere tutto, solo per poi perderlo all’improvviso. Paradossalmente, il quinto capitolo è stato anche l’unico flop economico della saga.

Negli anni, tuttavia, Rocky V è stato parzialmente rivalutato dai fan, che vi riconoscono il portare ad un nuova fase l’arco narrativo del protagonista. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Si riporta inoltre quello che doveva essere il finale originale, prima che Stallone decidesse di cambiarlo. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Rock V finale
Sylvester Stallone e Tommy Morrison Rocky V

La trama di Rocky V

Dopo il match contro Ivan Drago, Rocky Balboa rientra da vincitore negli Stati Uniti. Per via dei gravi traumi cerebrali rimediati durante l’incontro, però, annuncia il suo addio definitivo al pugilato. Nonostante questo annuncio, viene sfidato da un ricco manager, George Washington Duke, a combattere contro il suo campione Union Cane, ma Rocky, fedele a quanto dichiarato, non accetta. Purtroppo il pugile scopre di essere finito sul lastrico a causa una serie di investimenti sbagliati, effettuati da suo cognato Paulie. Rocky vorrebbe quindi accettare la sfida per guadagnare qualche soldo, ma i medici gli comunicano che il ritorno sul ring potrebbe costargli la vita.

Per cercare di non far mancare niente alla moglie Adriana e al figlio Robert inizia allora ad allenare il giovane Tommy Gun, che subito si rivela essere molto in gamba. Il successo di Tommy non passa inosservato e attira l’attenzione di Duke, che lo convince a combattere contro Cane: il ragazzo accetta, malgrado Rocky sia contrario. La sera dell’incontro, un vittorioso Tommy non cita però Rocky nei ringraziamenti, ma anzi lo sfida sul ring. Rocky rifiuta ancora una volta ma quando il ragazzo colpisce Paulie in viso, fa cambiare idea all’ex pugile, deciso a rivendicare il suo onore.

Rocky V Sylvester Stallone Sage Stallone
Sylvester Stallone e Sage Stallone in Rocky V

Il cast di Rocky V: da Sylvester Stallone a Sage Stallone

Ad interpretare Rocky Balboa, naturalmente, c’è ancora una volta Sylvester Stallone, mentre l’attrice Talia Shire riprende il ruolo di Adriana. All’epoca l’attrice era impegnata anche nelle riprese di Il Padrino – Parte III, dove interpretava Connie Corleone, e si trovò a doversi dividere tra i due set. Nel ruolo di Robert, il figlio di Rocky, vi è invece Sage Stallone, il primogenito di Sylvester poi tristemente scomparso nel 2012 all’età di 36 anni. L’attore Burt Young, invece, riprende il ruolo di Paulie Pennino, mentre Tony Burton ritorna nel ruolo di Tony “Duke” Evers, amico di Rocky ed ex allenatore e manager di Apollo Creed.

L’attore Richard Gant interpreta George Washington Duke, un personaggio esplicitamente ispirato al dirigente sportivo Don King, noto per aver organizzato innumerevoli incontri storici di pugilato, ma anche per essere stato il manager di leggende come Muhammad Ali, George Foreman e Mike Tyson. Michael Anthony Williams e Tommy Morrison sono invece gli interpreti di Union Cane e Tommy Gun, erano pugili nella vita reale. Circa un mese dopo l’uscita del film, i due avrebbero dovuto combattere in un vero match pubblicizzato come “The Real Cane vs. Gunn Match“. L’evento venne però annullato per via di un infortunio di Williams.

Rocky V: il finale del film

Originariamente, Sylvester Stallone considerò l’idea di uccidere Rocky alla fine del film. Il piano era che Rocky, dopo il match, morisse in ambulanza mentre si recava all’ospedale con Adriana al suo fianco. La moglie avrebbe allora annunciato al mondo la sua scomparsa e il film si sarebbe concluso con un flashback finale della famosa scena del primo film di Rocky che corre su per i gradini. Alla fine, tuttavia, Stallone abbandonò quest’idea e riscrisse il finale così come è oggi presente nel film. Qualora avesse proceduto con l’uccidere Rocky, ciò avrebbe reso impossibile ulteriori racconti a lui dedicati, come invece avvenuto poi con Rocky Balboa e Creed.

Il trailer di Rocky V e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Rocky V grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 21 ottobre alle ore 21:25 sul canale Rete 4.

Fonte: IMDb

Assassinio sull’Orient Express: tutte le curiosità sul film

Assassinio sull’Orient Express: tutte le curiosità sul film

Con i suoi racconti gialli la scrittrice Agatha Christie ha fornito un illimitato patrimonio narrativo anche al cinema, che negli anni ha adattato e trasformato le sue storie per dar vita a film sempre diversi. Il regista Kenneth Branagh si è di recente tuffato proprio nel mondo della Christie, riportando sullo schermo un personaggio iconico e amato come Hercule Poirot. Nel 2017 questo è infatti stato protagonista di Assassinio sull’Orient Express (qui la recensione), adattamento di uno dei più celebri romanzi della Christie, da lei scritto nel 1934. Si tratta di un puro giallo, con un omicidio, dei sospettati e degli indizi con cui arrivare al colpevole.

Assassinio sull’Orient Express era già stato portato sul grande schermo nel 1974, per la regia dell’acclamato Sydney Lumet. Un film ancora oggi ritenuto di estremo valore, dal quale Branagh ha naturalmente cercato di prendere le distanze per costruire la sua versione del racconto. Il regista, anche interprete del film, ha infatti preferito dar vita ad un film molto più cupo rispetto a quello di Lumet, concentrandosi su sentimenti come il dolore e la perdita, facendo di questi il filo conduttore e l’elemento portante dell’intera narrazione. Apprezzato dalla critica, il film si è poi affermato come un grandissimo successo con un incasso di oltre 350 milioni di dollari in tutto il mondo.

Sull’onda di questo rinnovato interesse per i casi di Poirot, Branagh ha poi portato al cinema nel 2022 il sequel Assassinio sul Nilo. In attesa di vedere questo, una prima o nuova visione di Assassinio sull’Orient Express sarà certamente utile per conoscere meglio il protagonista. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alle differenze con il libro. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama di Assassinio sull’Orient Express e il cast del film

Ambientato nel 1934, il film ha per protagonista Hercule Poirot, detective tanto infallibile quanto ossessionato dall’equilibrio e dall’ordine. Per lui, che ha appena risolto un’esimo caso, si prospetta ora un periodo di pausa dal lavoro. Per tornare a Londra, egli si concede dunque il lusso di viaggiare sul celebre Orient Express. Durante il viaggio, però, si consuma un atroce omicidio nei confronti del misterioso Ratchett. Per Poirot, l’assassino non ha però ancora avuto modo di lasciare il treno e si nasconde tra i dodici passeggeri a bordo. Scoprire chi ha compiuto l’atto e perché diventa dunque quantomai essenziale per la sicurezza di tutti.

Come anticipato, ad interpretare il detective Hercule Poirot vi è lo stesso Branagh, il quale per dar vita al personaggio si è concentrato molto sui celebri baffi descritti dalla Christie. Poiché nel libro questi vengono menzionati numerose volte, Branagh ha ideato dei baffi particolarmente vistosi e volutamente esagerati. Accanto a lui, nel ruolo del misterioso Ratchett vi è l’attore Johnny Depp, mentre il suo maggiordomo è interpretato da Derek Giacobi. Nei panni della vedova di alta classe Caroline Hubbard vi è l’attrice Michelle Pfeiffer, la quale ha raccontato che pur non conoscendo bene il romanzo ha adorato tanto la storia quanto il suo personaggio.

Penelope Cruz interpreta la missionaria spagnola Pilar Estravados, mentre Willem Dafoe è il riservato professore austriaco Gerhard Hardman. La premio Oscar Judi Dench interpreta l’anziana principessa russa Natalia Dragomiroff, mentre Olivia Colman è la sua fedele cameriera. Josh Gad interpreta invece Hector McQueen, l’assistente personale di Ratchett. Gli attori Lucy Boynton e Sergei Polunin sono i coniugi Andrenyi, mentre Tom Bateman è l’ufficiale di bordo del treno. Completano poi il cast gli attori Leslie Odom Jr., nei panni del gentilumo di colore Arbuthnot, e Daisy Ridley in quelli di mary Debenham, giovane istruttrice.

Assassinio sull'Orient Express libro

Assassinio sull’Orient Express: le differenze con il libro

Nel portare al cinema il romanzo della Christie, Branagh non si è allontanato dalla trama di questo e anzi ha cercato di rimanere fedele in quanti più dettagli possibile. Vi sono però state alcune modifiche resesi necessarie, che non hanno però alterato la natura del racconto. Innanzitutto, Branagh ha come già detto deciso di accentuare la forma dei baffi di Poirot, facendogli assumere nel film una forma a manubrio, differente di quella descritta dalla Christie. Piccole variazioni si ritrovano poi anche nelle backstory dei protagonisti. La missionaria Pilar, ad esempio, passa dall’essere una svedese nel libro ad una donna spagnola nel film, mentre il maggiordomo di Ratchett è molto più anziano di quanto descritto nel romanzo.

Differenti inoltre sono le modalità con cui Ratchett cerca di convincere Poirot a vegliare su di lui. Se nel film egli tenta di guadagnare la fiducia del detective con dolci e chiacchiere, nel libro utilizza invece dei metodi molto più bruschi, che rivelano la sua vera natura. Particolarmente diversa è anche la rappresentazione dei motivi per cui il treno rimane bloccato in mezzo alla neve. Nel romanzo il tutto avviene maggiormente sullo sfondo, mentre nel film l’impatto con una valanga è un evento particolarmente significativo. Ciò che certamente differisce di più tra film e libro è però il finale. Branagh ha infatti scelto di ambientare la risoluzione del caso esternamente al treno, dando luogo ad uno svelamento del colpevole che porta Poirot a compiere un significativo cambiamento etico e personale.

Assassinio sull’Orient Express: i sequel, il trailer e dove vederlo in streaming e in TV

Dato il successo del film, nel 2022 viene rilasciato Assassinio sul Nilo, adattamento del romanzo del 1937 Poirot sul Nilo, con il protagonista che si trova a dover risolvere un delitto passionale particolarmente complesso mentre attraversa il Nilo su un battello. Nel 2023 viene invece distribuito un terzo film, sempre diretto da Branagh, dedicato al personaggio. Si tratta di Assassinio a Venezia, adattamento del romanzo del 1969 Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe’en party). Un racconto, questo, che presenta elementi fantastici e toni vicini a quelli di un film horror. Anche questo terzo capitolo ottiene un discreto successo, con Branagh che si è poi detto interessato a realizzare ulteriori film su Poirot.

È possibile fruire di Assassinio sull’Orient Express grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Disney+, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 21 ottobre alle ore 21:45 sul canale Rai 3.

Fonte: IMDb

Un amor: recensione del film di Isabel Coixet – #RoFF18

Un amor: recensione del film di Isabel Coixet – #RoFF18

Un amor, titolo dato al nuovo film della spagnola Isabel Coixet, potrebbe a primo impatto portarci fuori binario. La storia, in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, prima di essere un racconto d’amore non ordinario, come si potrebbe pensare dalle immagini ufficiali o dalla sua breve sinossi, è un inno al raggiungimento della libertà interiore (e sociale), quella ottenuta in seguito a una forte resistenza ma anche resilienza. La regista, le cui donne che si devono confrontare con i problemi della vita sono colonna portante della sua filmografia, per il suo nuovo lavoro affida a Natalie, protagonista di Un amor, il compito di parlarci di quanto questo possa essere complicato e distruttivo se non decidiamo di agire – e reagire – agli eventi che ci sovrastano.

A fare da sfondo a un racconto in cui è ancora una volta l’empowerment femminile a dominare, una campagna rurale spagnola dominata da misoginia, pregiudizi e a volte chiusura mentale. Sono proprio questi, però, che a forza di dare a Natalie tutti i giorni uno schiaffo in faccia non proprio piacevole, le daranno la giusta carica per ribellarsi e poter, alla fine, farsi valere. Un amor è tratto dall’omonimo romanzo best seller di Sara Mesa, e ha come interpreti principali Laia Costa nel ruolo di Natalie e Hovik Keuchkerian in quello di Andreas.

La trama di Un amor

Natalie (Laia Costa) faceva la traduttrice simultanea per i rifugiati, prima di decidere di trasferirsi a La Escapa, un paese rurale della Spagna. Il dolore provocato dal suo precedente lavoro era diventato insostenibile per lei, tanto da provocarle incubi. Ma la scelta di andare ad abitare in una remota campagna si rivela non essere quella adatta. Sin dal suo arrivo, la donna si trova a dover affrontare una serie di situazioni spiacevoli, prima fra queste una casa che sta crollando a pezzi, fatiscente, ma il cui burbero proprietario non vuole riparare. Anzi, la tratta con disprezzo, le inveisce contro senza il minimo scrupolo. Anche il vicinato non è molto trasparente: c’è chi è sospettoso, c’è chi invece mostra bontà ma non riesce a nascondere una fin troppo palese malizia.

Per Natalie le cose peggiorano quando l’abitazione in cui vive inizia ad avere problemi di infiltrazioni, fino a quando a causa delle piogge non si allaga tutta, costringendola a mettere dei secchi per arginare il problema. Una sera arriva alla sua porta Andreas (Hovik Keuchkerian), un uomo la cui età potrebbe essere superiore alla quarantina, e il cui aspetto fisico non è proprio dei migliori e affascinanti. Egli si offre di darle una mano in cambio di qualcosa di molto specifico: entrare in lei. Dopo un primo rifiuto, la donna capirà di non avere alternative e alla fine accetterà. Da quel momento instaurerà con lui una relazione quasi ossessiva, oltre che malsana. Questo, però, la porterà paradossalmente a una rinascita.

Un amor Laia Costa e Hovik Keuchkerian

Una protagonista inaspettata

Isabel Coixet per il suo Un amor decide di utilizzare il 4:3; una scelta che se all’inizio è quasi incomprensibile, soprattutto per i panorami rurali e montuosi filmati il cui skyline perde di maestosità a causa del formato, comprendiamo solo in seguito essere lo strumento adatto per poterci restituire i sentimenti – e la condizione – di Natalie. Grazie infatti a queste inquadrature ristrette, il campo si concentra tutto sulla protagonista. La macchina da presa aderisce a lei, e in quello spazio chiuso – dove non riusciamo a vedere molto altro – possiamo percepire la sofferenza di una donna che si sente stretta in una morsa dalla quale non riesce a liberarsi. Ha cambiato vita per allontanarsi da un lavoro che le provocava incubi per quanto emotivamente stancante, ma il suo trasferimento si è trasformato in un altro brutto sogno in cui il proprietario di casa è un maschilista arrogante, gli uomini quasi tutti maliziosi e i vicini di casa sospettosi e analizzatori. In un ambiente per certi versi così ostile e ambiguo, Natalie trova riparo in una relazione amorosa (o dovremmo dire sessuale) con Andreas, ma nella quale niente è sano se non il suo bisogno di stare bene.

Crede di aver trovato qualcuno con cui vivere la sua vita solitaria, che però a stento conversa con lei. L’amore, dunque, diventa solo pretesto per farle risolvere i suoi dubbi esistenziali. È l’escamotage narrativo perfetto, non il viaggio. È l’inizio, non la fine. Tanto che questo singolare legame – in cui c’è comunque una necessità da parte della regista di sovvertire gli stereotipi di età – nasce verso il secondo atto e si consuma anche molto brevemente. Quello che resta, che impregna e bagna ogni sequenza, la ravviva e la colora, è solo Natalie, che da tutte queste esperienze e vicissitudini rinasce, nelle ultime battute, come una fenice dalle proprie ceneri. Il finale di Un amor è fra gli inserti più belli e puri; è catartico, potremmo dire quasi sublime: è equilibrato ma impattante, semplice ma significativo. Di cui difficilmente potremo dimenticarci. E applausi a Laia Costa.

Killers of the Flower Moon: recensione del film di Martin Scorsese – Cannes 76

Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, l’attesissimo Killers of the Flower Moon è il nuovo film di Martin Scorsese che arriverà nei cinema italiani il prossimo autunno, prima di approdare su Apple TV+. Il regista ne ha anche curato la sceneggiatura insieme a Eric Roth, basata sull’omonimo libro del 2017 di David Grann. La trama è incentrata su una serie di omicidi avvenuti in Oklahoma ai danni Nazione Osage durante gli anni Venti, commessi dopo che è stato scoperto il petrolio nella loro tribù. Il film è interpretato da Leonardo DiCaprio, qui anche nelle vesti di produttore esecutivo, insieme a Robert De Niro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser e John Lithgow. Si tratta della settima collaborazione tra Scorsese e DiCaprio e dell’undicesima tra Scorsese e De Niro.

Killers of the flower moon, dal libro al film

Basato sul best-seller di David Grann del 2017 Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI, il film targato Apple Studios racconta la storia di come una serie di omicidi di nativi americani della nazione Osage – per le riserve di petrolio sulla terra degli Osage – sia coincisa con la nascita dell’FBI. In questo caso, è Jesse Plemmons a interpretare Tom White, un Texas Ranger trasformato in agente dell’FBI inviato in Oklahoma da J. Edgar Hoover per indagare sui crescenti omicidi dei membri della Nazione Osage, allora molto ricchi. Inizialmente, DiCaprio avrebbe dovuto interpretare il personaggio di White, punto di vista centrale del libro ma, assieme a Scorsese e De Niro, si decise di riorganizzare la trama del film attorno al sospettato Ernest Burkhart, nel tentativo di evitare una narrazione incentrata sul “salvatore bianco”.

Killers of the Flower Moon è ambientato negli anni ’20 a Fairfax, un’area dell’Oklahoma nord-orientale che, come sottolinea Scorsese nell’ottimo prologo del film (una sorta di mockumentary in bianco e nero), deteneva all’epoca il più alto reddito pro capite, con gli indiani della Osage Nation come principali beneficiari. In mezzo alla profusione di pozzi petroliferi, ricevevano generose royalties ed è per questo che li vediamo indossare gioielli ostentati e girare in auto lussuose con autisti bianchi.

Nel bel mezzo di questa corsa all’oro (nero), Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), un veterano della Prima Guerra mondiale (in realtà era un cuoco della Fanteria) arriva sulla scena insieme a migliaia di altri lavoratori per unirsi all’azienda gestita da suo zio William “The King” Hale (epiteto che spiega da se la sua influenza nella gestione del potere nella contea). Proprio su suggerimento di Hale, Ernest sposa Mollie, membro di una delle tante famiglie autoctone benestanti; in questo senso, una delle domande su cui Scorsese si soffermerà nel corso della narrazione è se ci sia un vero amore alla base della relazione tra Ernest e Mollie o se Ernest abbia optato per un matrimonio di interesse che gli potesse far acquisire progressivamente un reddito importante. Quel che è certo è che si scatena un costante e crescente massacro genocida: la terra e le rendite sono troppo allettanti per gli uomini bianchi e gli Osange vengono spogliati dei loro averi con ogni tipo di trucco, inganno o vero e proprio omicidio a sangue freddo.

Killers of the Flower Moon film recensione
Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in una scena di Killers Of The Flower Moon

Lupi in Oklahoma

Riesci a vedere i lupi in questa foto?“: ad Osage County, i lupi sono nascosti ovunque. Al contrario dei gufi, presagio di morte per gli indiani e che appaiono nelle visioni di qualche personaggio, in Killers of the Flower Moon i lupi non vengono mai rappresentati nella loro forma animalesca. Devono essere scovati e forse qualcuno, all’interno della contea, lo ha già fatto. Sono gli assassini di una terra promessa e perduta, che hanno manipolato un intero popolo e le sue risorse. Tuttavia, più che come carnefici e fautori di un vero e proprio genocidio – secondo il Ministero della Giustizia, quello di Osage fu “il capitolo più sanguinoso della storia del crimine americano” – Scorsese inquadra questi lupi con il suo solito taglio. Sono criminali, truffatori, gangster e ai loro loschi movimenti è rivolta gran parte dell’attenzione del regista, molto più di quella dedicata alle vere vittime, gli Osage.

La principale linea narrativa di Killers of the Flower Moon permette, tramite uno sguardo incessante sulle figure maschili, un’attenta analisi su questi nuovi “bravi ragazzi”. Lo scontro tra Ernest e William è, letteralmente, all’ultimo sangue e non c’è modo per distogliere il focus registico da questo duello. Una mimica facciale piuttosto accentuata distingue questi personaggi animaleschi, che ricalcano effettivamente le sembianze dei lupi con le smorfie che mantengono per tutta la durata del film. I fan di Martin Scorsese gioiranno nel partecipare a questo testa a testa di bravura recitativa tra due attori feticcio del regista e, soprattutto per quanto riguarda DiCaprio, rimarranno sicuramente colpiti dal personaggio poco autorevole e debole di spirito che gli è stato costruito addosso, un qualcosa di sicuramente inedito rispetto ad altri suoi precedenti ruoli.

Killers of the Flower Moon Leonardo DiCaprio

Punti di vista secondari

Dall’altro lato, il modo in cui Scorsese decide di adattare il saggio di partenza, non permette alla grandissima Lily Gladstone di brillare nel secondo e terzo atto del film quanto accade nella prima parte. In questa, la sua Mollie è infatti spesso sulla scena mentre sta imparando a conoscere Ernest per poi, come dicevamo, essere tirata fuori dai giochi assieme agli altri Osage, un po’ perchè la partita sulla loro vita si gioca altrove, negli spazi in cui ha accesso l’uomo bianco, un po’ perchè ciò che interessa a Scorsese è sradicare la falsità che domina i rapporti tra questi criminali, passando dall’epopea western a quasi il gangster movie.

Anche l’FBI, il punto di vista fondamentale del libro, che conduce l’indagine e smaschera i lupi, è poco presente nel film di Scorsese. Tutto è funzionale alla messa in scena del rapporto tra zio e nipote – o sarebbe meglio dire servo e padrone – e che dovrebbe incapsulare il senso metaforico della prevaricazioni sociale da parte dei bianchi in Oklahoma. Circoscrivere la vicenda al microcosmo tematico prediletto da Scorsese funziona a tratti: con un montaggio non sempre puntuale, soprattutto per quanto riguarda le sequenze degli omicidi degli Osage, la riflessione sull’act of killing, il vero e proprio genocidio che è stato commesso, sembra venire meno rispetto alla ferocia con cui si ritraggono i rapporti tra bianchi. Nonostante ciò, nel ritrarre questo scontro tra Lupi, Scorsese fa Scorsese, una scelta che convincerà sicuramente i fan di lunga data del regista, pur aprendo la porta a quella scelta creativa sicuramente inedita, soprattutto per quanto riguarda un inaspettato inserto finale.