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Sunset: recensione del film di László Nemes

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Presentato in concorso a Venezia 75, Napszállta (Sunset) di László Nemes, traducibile come “tramonto”, è il secondo lungometraggio del regista ungherese premio Oscar al miglior film straniero per Il figlio di Saul. Con la nuova opera Nemes segue i passi di una giovane donna, attraverso il cui sguardo osserviamo il tramonto di un epoca nell’appena sopraggiunto ventesimo secolo, in un’Europa alle soglie della prima guerra mondiale.

Nel 1913 la giovane Írisz Leiter (Juli Jakab) arriva a Budapest con il sogno di lavorare come modista nella cappelleria che apparteneva alla sua famiglia, ma viene cacciata dal nuovo proprietario. Írisz si mette allora alla ricerca del misterioso Kálmán Leiter, che sembra essere rimasto il suo ultimo legame con il passato.

Tra i film più attesi del Festival, quello di Nemes era un vero e proprio banco di prova per il giovane regista, chiamato a confermare la sua voce autoriale con l’opera seconda. Sunset si rivela invece essere un’opera al di sotto delle aspettative da un punto di vista prettamente narrativo, rivelando una sceneggiatura carente, labirintica, non in grado di portare a compimento l’intento del regista.

L’ambizione riposta in questo progetto si rivela essere una meta non pienamente raggiunta, e nella sua lunghezza (di 142 minuti), nonostante un ritmo ben sostenuto, la narrazione fatica a sciogliersi e risolversi, lasciando sospesi intrecci e risvolti criptici. Diviene così difficile anche immedesimarsi nella protagonista, nonostante la buona prova attoriale di Juli Jakab, e si costretti a rimanere al di fuori degli eventi narrati, senza riuscire a sentirsi davvero coinvolti da questi.

SunsetÈ guardando invece alla metafora che Nemes vuole mettere in scena, che si trovano gli spunti più interessanti. Írisz diviene così l’incarnazione dell’Europa, un’Europa smarrita tra strade e personaggi a lei ostili, che perde l’innocenza dinanzi ad una società sempre più corrotta e depravata. Una metafora che dovrebbe portare lo spettatore a riflettere sull’attuale situazione dell’Europa, costantemente minacciata e dilaniata internamente.

Punto di forza del film è invece certamente l’aspetto visivo del film, girato con grande classe e gusto per la messa in scena, con una ricercata attenzione per la composizione visiva, le scenografie e i costumi. Nemes concepisce e realizza splendidi long takes e piani sequenza, che pedinano ossessivamente la protagonista all’interno di una città specchio di un continente e una società al tramonto. Il prosperare di eventi drammatici viene altresì sottolineato da una fotografia che predilige via via toni più scuri, conferendo così al tutto un senso di claustrofobia adatto al tono del film.

Un mezzo passo falso, dunque, questa sua opera seconda, che rivela la sua debolezza principale in una narrazione che tenta di ricercare le cause di degrado morale e sociale che portarono ai grandi conflitti del ventesimo secolo. Il punto di vista che il regista sceglie di adottare per far ciò, si rivela tuttavia mal strutturato e non in grado di reggere l’ambizione del film. Sunset ridimensiona così le aspettative nei confronti del suo autore, che tuttavia mette a segno alcuni nuovi colpi da maestro che fanno ben sperare per il suo futuro.

 
 

Acusada: recensione del film di Gonzalo Tobal

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Tra il sontuoso horror di Guadagnino, il film artistico di Schnabel, il western di Audiard e dei Coen, con Acusada Gonzalo Tobal porta in Concorso a Venezia 75 un dramma processuale che sembra liberamente ispirato al caso di Amanda Knox e all’omicidio di Perugia. Protagonista è Dolores (Lali Esposito), una ragazza benestante, molto bella, ma con uno sguardo assorto, una severità nelle espressioni, ambigua. Proprio l’ambiguità è la cifra scelta da Tobal per proporre la sua versione del Caso Meredith: a poco a poco lo spettatore viene introdotto ai vari elementi della storia, non c’è nessun ricorso a spiegazioni o dialoghi che possano aiutare a orientarsi negli eventi. Un racconto minuzioso e uno svelarsi graduale degli aventi solletica l’attenzione dello spettatore che viene catapultato nel film alla vigilia del processo per un omicidio avvenuto due anni prima.

L’ambiguità del racconto, insieme a quella del volto della protagonista, permettono a Tobal di imbastire un giallo classico, fotografato in maniera patinata ma fredda, che conferisce al film un look molto definito che sembra indirizzato a non far simpatizzare lo spettatore con Dolores. Dopotutto fino alla fine non si riesce a capire se la ragazza sia effettivamente colpevole o innocente, e la giustizia del tribunale non soddisfa la curiosità e il desiderio di verità.

acusadaIl punto di forza di Acusada è però proprio la continua sensazione si svelamento, la tensione che permette al regista di accompagnare lo spettatore nella scoperta del crimine, dei suoi attori, delle dinamiche, tutto in bilico tra verità e menzogna, tra ciò che viene raccontato e ciò che invece è accaduto davvero.

Tobal riveste questa tensione narrativa con scelte formali ridondanti, a volte in netto contrasto con ciò che mostra, dalle aule del tribunale ai primi piani della misteriosa Dolores. Ma nonostante lo stridore che si genera tra forma e contenuto, Acusada riesce agganciare l’attenzione dello spettatore fino alla fine, che è poi tutto ciò che si chiede a un buon crime drama.

 
 

Slender Man, recensione dell’horror di Sylvain White

Slender Man

In uscita il 6 settembre, Slender Man non è certo il primo tentativo di portare il mitologico personaggio su grande (e piccolo) schermo.

Dopo una serie di corti, film indipendenti, documentari e due videogiochi di grande successo, anche Hollywood ha ceduto al fascino della creepypasta più famosa del web.

Per i non addetti ai lavori, una “creepypasta” è una leggenda metropolitana nata e sviluppatasi nel web, attraverso le menti degli utenti e la trasmissione orale. Nello specifico il personaggio di Slender Man (letteralmente “Uomo Esile”) fu ideato da Victor Surge (alias Erik Knudsen) durante un concorso fotografico online per il sito Something Awful, dove si incoraggiavano gli utenti a modificare talune fotografie immettendovi, con photoshop, dei particolari macabri.

La figura di questo inquietante personaggio altissimo, magro e senza volto che si accinge a rapire dei bambini innocenti, vinse il primo premio del contest e si diffuse in un baleno in tutto internet, incontrando un grande successo di pubblico.

Nella speranza di cavalcarne l’onda favorevole, Sony e Screen Gems ne hanno tratto un lungometraggio horror di stampo molto classico, e se vogliamo piuttosto démodé. Sì perché Slender Man– diretto dal regista televisivo Sylvain White – si caratterizza anzitutto per avere un’impostazione ormai vetusta. La struttura della trama guarda più agli horror anni ’90 che a quelli contemporanei. Il cinema dell’orrore attuale è stato decisamente rivoluzionato, a favore di nuove soluzioni stilistiche e visive. Basti pensare ai recentissimi capolavori come A Quiet Place, Hereditary e Get Out. Per non parlare dell’intero microcosmo del terrore creato da James Wan.

Invertendo questa positiva rotta, Slender Man sceglie la soluzione più banale, e mette in atto un film con quattro adolescenti (tutte neo promesse di Hollywood) che, presa visione di un filmato maledetto online, ne divengono ossessionate e quindi perseguitate (in quanto ignare, si vede, della stranota saga di The Ring). Se si escludono un paio di soluzioni stilistiche niente affatto banali (si veda il finale, nello specifico), la storia manca di cuore e originalità.

Il pubblico non gradisce (in America il film è già uscito da circa un mese) e la noia, dovuta al vuoto pneumatico di idee, è palpabile più della nebbia che avvolge le apparizioni dello Slenderman.

Peccato. Perché l’idea di partenza consentiva lo sviluppo di sottotrame molto interessanti, a partire dal fatto – nel film appena accennato – che il personaggio dell’incantatore e rapitore di bambini esiste fin da tempi lontani. Dal Großmann della mitologia tedesca fino al Pifferaio di Hamelin, il materiale da cui attingere non era poco.

Invece Slender Man di Sylvain White sceglie di concentrarsi sulle vicende delle quattro liceali e i relativi sconvolgimenti psicologici, ricordando troppo da vicino le pericolose ossessioni collettive come la ormai famosa Blue Whale Challenge, che hanno portato alla morte diversi ragazzi di tutto il mondo.

Forse per questo motivo, la produzione Sony e la Screen Gems si sono sentite in dovere di moderare la promozione e le pubblicità inerenti al film, memori delle azioni giudiziarie ancora in corso contro la creepypasta in questione. Nel solo 2014, negli Stati Uniti, sono avvenuti diversi casi di aggressioni e tentato omicidio nei quali gli adolescenti coinvolti erano ossessionati dal personaggio mitologico di Slenderman.

 
 

La profezia dell’Armadillo: recensione del film

La profezia dell'Armadillo

Atteso dai tantissimi fan di Michele Rech, ovvero Zerocalcare, arriva a Venezia 75 La Profezia dell’Armadillo, il film basato sull’omonima grafic novel e presentato nella sezione Orizzonti. La lunga produzione travagliata non ha giovato alla buona salute del film, ma, tra detrattori e scettici, il film non è il naufragio che tutti annunciavano (e qualcuno si aspettava).

La profezia dell’Armadillo segue Zero, che insieme al suo amico Secco, cerca di rintracciare un’amica d’infanzia per riferirle che un’altra ragazza con cui un tempo passavano le giornate è prematuramente morta. Parallelamente, Zero fa i conti con la sua vita senza direzione, tra ambizioni artistiche, lavoro precario e ripetizioni a ragazzini ricchi.

Venezia 75: presentato La profezia dell’Armadillo, dal fumetto di Zerocalcare

A dirigere il film c’è Emanuele Scaringi, esordiente che film con una regia incolore una storia frammentata, che rispecchia molto poco l’originale del fumettista italiano e che narrativamente è inconcludente. Tuttavia, nonostante gli evidenti problemi, il film è genuinamente divertente, soprattutto nella prima parte, soprattutto per i dialoghi brillanti e i tempi comici ineccepibili messi in scena da Simone Liberati e Pietro Castellitto, soprattutto grazie al secondo, vera e propria stella del film.

A dare voce e corpo (sotto ad un ingombrante costume di cartapesta) all’armadillo del titolo è il sempre divertente Valerio Aprea, tuttavia la scelta di allontanarsi troppo dall’originale di cellulosa rende la presenza stessa dell’animale e della sua profezia una pure formalità che dà nome alla storia, senza avere poi un vero e proprio senso nella narrazione. Nel suo insieme, La profezia dell’Armadillo è un’onesta commedia che avrebbe giovato di un processo di ideazione e lavorazione più solido ma che riesce a farsi voler bene.

la profezia dell'armadillo

 
 

Opera senza autore: recensione di Florian Henckel von Donnersmarck

Opera Senza Autore

Dopo Eternity’s Gate di Schnabel, a Venezia si riflette ancora sul concetto di arte ne film di Florian Henckel von Donnersmarck Werk ohne Autor (Opere senza autore), presentato in concorso.

È la storia di Kurt, dalla sua infanzia, durante la Seconda Guerra mondiale, fino alla metà degli anni Sessanta. Trent’anni di vita, di traversie e di ricerca interiore ed espressiva, passando per i vari cambiamenti epocali che hanno caratterizzato quell’intenso e burrascoso periodo della storia del ventesimo secolo. Vengono attraversate tre epoche distinte della storia tedesca: il nazismo, l’occupazione sovietica post-guerra e la divisione tra le due Germanie.

Kurt,fin da bambino appassionato al disegno e alla pittura, diviene uno studente all’Accademia di Belle arti, dove si innamora di Ellie, studentessa del corso di moda. Il severo padre della ragazza, il professor Seeband, rinomato medico, specializzato in ginecologia e ostetricia, disapprova però l’amore sbocciato tra i due ragazzi e ordisce un orribile sistema per mettere fine alla loro relazione. Ma Kurt ed Ellie non possono minimamente immaginare quale terribile passato giace sepolto e minaccia nell’ombra la loro ricerca di serenità, ovvero un orrendo crimine di guerra compiuto dal professor Seeband, durante la messa in atto delle deliranti politiche di Hitler.

Parallelamente alla storia di Kurt e attraverso i suoi occhi si assiste al faticoso cammino dell’arte del ventesimo secolo, imbrigliata dalla politica, dall’ideologia e dalla follia della guerra; dalle avanguardie storiche del novecento, in particolare l’espressionismo tedesco, passando poi per le arti al servizio dei regimi, fino ad arrivare alla catartica liberazione delle idee e dell’espressività esplosa negli anni Sessanta.

Florian Henckel von Donnersmarck realizza un affresco potente, intrigante, velato di mistero e portatore di un messaggio crudele, raccontando tre decenni della storia tedesca attraverso personaggi chiave, costretti continuamente a adattarsi e a trasformarsi per sopravvivere agli ineluttabili cambiamenti imposti dalla guerra e dalla successiva occupazione da parte dei vincitori. Il regista aveva già sapientemente affrontato un periodo della sua Germania, con lo struggente e indimenticabile Le vite degli altri (2006), ambientato durante gli anni del Muro di Berlino, ma qui va ancora più indietro, addentrandosi nella oscura ascesa del nazismo, pur mantenendo un’ampia parte della vicenda il quel contesto storico a lui caro e congeniale narrativamente.

Von Donnersmarck affronta il tema del controllo genetico della razza ariana, mostrando in maniera spietata come anche sui cittadini tedeschi fosse operata una spietata selezione, in base allo stato di salute, mentale o alle tare genetiche. Ed è agghiacciante vedere come una giovane ragazza ritenuta schizofrenica viene prima sterilizzata e poi soppressa, per impedire alla razza perfetta di acquisire eventuali eredità sgradite. Il film si muove attorno a questo doloroso abominio, caricando le spalle del giovane protagonista, il bravissimo Tom Schilling, di un pesante fardello e di un intricato enigma che dovrà sbrogliare dolorosamente, al fianco della sua compagna, interpretata dalla convincente Paula Beer, parallelamente alla sua spasmodica e dolorosa ricerca come artista. Per spiegare il tormentato percorso di Karl, Florian Henckel von Donnersmarck si appropria di una frase di Elia Kazan: “Il talento dei geni è la crosta sulle ferite ricevute nella loro infanzia. Ciò significa che gli esseri umani hanno una capacità quasi alchemica di trasformare un trauma in qualcosa di glorioso.”

Il discorso operato attorno all’arte e alle sue trasformazioni è forse l’elemento più originale dell’opera di Florian Henckel von Donnersmarck. Si inizia con un’esposizione a Dresda sulla pittura degenerata, dove sono esposti e derisi i capolavori di Grotz, Dix, Kandisky, Picasso e tanti altri, passando poi per la pittura utilizzata a mero consumo dell’ideologia, prima nazista e poi comunista, che diviene così freddo mestiere, per arrivare alla necessaria rottura liberatoria e alla ricerca libera, istintiva, lontana dalla tecnica e da qualsiasi finalizzazione. Si giunge fino a quell’opera senza autore che darà una risposta e un punto di arrivo al cammino faticoso e irto di insidie percorso dal protagonista.

Opera senza autore è una storia potente, struggente, crudele, a tratti scabrosa, che costringe a ricordare un passato apparentemente lontano, ma purtroppo ancora così attuale. Costringe a riflettere profondamente sul concetto di arte, di come questa dovrebbe essere totalmente libera, ma invece continuamente soggiogata dall’ottusità di chi ha l’ardire di imporsi sugli altri.

 
 

American Horror Story: Apocalypse, ecco il teaser trailer

E’ stato pubblicato nella serata di ieri il suggestivo teaser trailer di American Horror Story: Apocalypse, nuovo capitolo della saga di Ryan Murphy. Già da queste prime immagini si intuisce il crossover, già precedentemente annunciato, tra Murder House e Coven. Si ritroveranno gli Harmon di Murder House e Michael Langdon, nipote di Constance Langdon e figlio di Vivian e delle spettro Tate. Michael è l’Anticristo e, visto il sottotitolo di questa stagione, si può ipotizzare che l’intera Apocalisse ruoti attorno a lui.

C’è grande attesa per dei grandi ritorni nel cast come quello di Jessica Lange nei panni di Constance Langdon e Emma Roberts in quelli di Madison Montgomery. Nel cast anche Connie Britton, Cody Fern, Evan Peters, Dylan McDermott, Joan Collins, Kathy Bates, Sarah Paulson, Billy Eichner, Leslie Grossman, Cheyenne Jackson, Adina Porter, Billie Lourd, Taissa Farmiga, Gabourey Sidibe, Lily Rabe, Frances Conroy e Stevie Nicks.

Questo il trailer:

 
 

Aquaman: Evangeline Lilly è una grande fan di Jason Momoa

Evangeline Lilly

Evangeline Lilly, che è stata vista di recente nell’adattamento Marvel Ant-Man and The Wasp, si è detta però una grande fan di uno dei personaggi della scuderia avversaria: Aquaman. L’eroe che arriverà nei nostri cinema il 1 Gennaio 2019 con le fattezze di Jason Momoa l’ha da subito conquista, come si legge in una recente intervista dove elogia soprattutto l’attore: “Sono una grande fan di Jason Momoa. Amo il suo modi di vivere, il fatto che vive vicino alla terra e cresce i suoi figli come piccoli animali selvatici, lo adoro.”.

L’attrice ha espresso i più sinceri complimenti alla sensibilità che imprime Momoa nel suo modo di essere e come questo influenzi i film di cui fa parte. Non è sicuramente la prima ad avere questa impressione dell’attore: anche i suoi compagni di set in Aquaman hanno sempre manifestato il loro entusiasmo nel lavorare con una persona del genere. Uno di loro è proprio il regista James Wan che qualche mese fa in un’intervista ha parlato così del suo protagonista: “Jason Momoa ha portato all’interno del personaggio l’idea che un uomo possa essere intrappolato tra due mondi: non sente di appartenere alla superficie, ma neanche ad Atlantide, il mondo sottomarino.”.

Ci si aspetta dunque una grande interpretazione dell’attore che ha già fatto la sua entrata nell’universo DC lo scorso anno con Justice League di Zack Snyder.

FONTE: Comicbook

 
 

Knives Out: Rian Johnson dirige un thriller con Daniel Craig

Accantonato per un istante il set di Star Wars e l’intera trilogia che gli è stata affidata, Rian Johnson ha preso in mano un altro interessante progetto. Si tratta di Cena con delitto – Knives Out, un thriller con protagonista Daniel Craig basato sulla sceneggiatura dello stesso Johnson. Dalle prime informazioni sulla trama è trapelato che il protagonista sarà un detective che dovrà risolvere un crimine, in un’atmosfera da giallo contemporaneo.

Le riprese inizieranno già da novembre, cercando di incastrare l’agenda di Craig che dovrebbe presto essere sul set anche di Bond 25 (attualmente in stato di stallo e senza regista dopo l’abbandono di Danny Boyle). Sulla bravura dell’attore così si è sbilanciato il regista: “Sono sempre stato un suo grande fan e ho sempre voluto lavorare con lui. Mentre scrivevo la sceneggiatura con Ram Bergman (anche produttore del film), abbiamo cominciato a pensare chi potesse interpretare il detective. Per caso poi c’è arrivata la voce che Daniel avesse un po’ di spazio in agenda e alla fine la cosa è andata in porto. E’ un attore che sa fare molte cose e non vediamo l’ora di lavorare su questo detective moderno e collaborare con Daniel per dare vita ad un nuovo Poirot.

FONTE: Collider

 
 

Captain Marvel: quali saranno i riferimenti del film?

Arriverà finalmente a marzo il tanto atteso Captain Marvel, nuovo film dell’universo espanso Marvel diretto da Anna Boden e Ryan Fleck ed interpretato da Brie Larson, Samuel L. Jackson, Ben Mendelsohn e Jude Law. Tranne qualche foto dei costumi circolata in questi mesi nel web, poco ancora si sa sulle scelte stilistiche del film, ma oggi alcune dichiarazioni del capo Marvel Kevin Feige fanno un po’ di chiarezza sui riferimenti visivi che bisognerà aspettarsi dal film.

Intervista da Total Film, il magnate ha dichiarato che Captain Marvel si ispirerà a molti film anni ’90 e l’atmosfera che bisognerà aspettarsi sarà quella di un moderno Terminator: “Ci saranno senza dubbio omaggi ai film d’azione degli anni ’90, come scene di inseguimenti d’auto e lotte in strada, questo è quello che si vedrà, prendendo spunto da pellicole come Terminator 2: Judgment Day. Sono molto fiero di quello che stiamo facendo e varrà tutta l’attesa di questi mesi.

Ricordiamo che Captain Marvel, seguirà le vicende di Carol Danvers, una pilota dell’esercito americano il cui DNA viene fuso con quello dell’alieno Kree dopo un incidente. La donna acquisterà cosi dei superpoteri grazie ai quali avrà la capacità di volare e proiettare energia. Il suo personaggio è considerato come l’eroina più potente dell’universo Marvel.

 
 

Guardiani della Galassia: Dave Bautista chiede un film su Drax

Guardiani della Galassia Vol. 3

In questi giorni stanno facendo il giro del mondo le dichiarazioni di Dave Bautista sul suo futuro nella saga Guardiani della Galassia in seguito al licenziamento di James Gunn. Dopo aver espresso il suo totale appoggio al regista, non si è detto preoccupato di rischiare di perdere il ruolo di Drax. In una recente intervista, però, ha dichiarato il desiderio di vedere prodotto uno spin-off sul suo personaggio, anche nel caso in cui non fosse lui ad interpretarlo.

Vorrei davvero che raccontassero qualcosa di più della storia della famiglia di Drax” ha detto l’attore “Credo che sia una bella storia che si è un po’ persa nei film passati. E’ un racconto bellissimo e commovente, con la moglie e la figlia che vengono uccise lasciandogli il cuore spezzato. Mi piacerebbe se approfondissero la cosa, credo piacerebbe anche ai fan. Naturalmente è molto tempo che cerco di spingere per un film su Drax, ma non credo succederà mai. Ma resto convinto del fatto che i fan vorrebbero vederlo e, anche se non sarò io ad interpretarlo, credo sarebbe una storia interessante da raccontare. Mi piacerebbe anche vedere qualcun altro dal passato di Drax, dare loro un aspetto, cioè, alla moglie, alla figlia, per esempio, mi piacerebbe che i fan riuscissero a vedere i personaggi nelle loro menti, insomma unire il nome al volto.”.

Questa è l’ennesima dimostrazione d’affetto dell’attore verso il personaggio che gli ha letteralmente cambiato la carriera, facendolo passare dai ring del wrestling ai tappeti rossi hollywoodiani.

FONTE: Comicbook

 
 

The Witcher: Henry Cavill nella serie Netflix

Henry Cavill Superman
Il Superman di Henry Cavill nel film L'uomo d'acciaio di Zack Snyder

Qualche mese fa è stato annunciato come Netflix avesse intenzione di produrre una serie basata sui romanzi scritti da Andrzej Sapkowski e sul relativo videogioco The Witcher. L’attore Henry Cavill si era detto da subito un grande fan di questo titolo ed aveva apertamente dichiarato che sarebbe stato “pronto per interpretare Geralt nella serie tv di Netflix”. Il magnate dello streaming deve averlo ascoltato e l’attore è stato accontentato, accaparrandosi il ruolo da protagonista.

La serie, che attualmente non ha né una data d’uscita né una data di inizio lavorazione, avrà come scrittrice, produttrice e showrunner Lauren Schmidt Hissrich, già artefice di progetti come (Daredevil, The Defenders e Umbrella Academy. Tra i registi si leggono invece i nomi di Alik Sakharov (quattro episodi tra cui il pilot), Alex Garcia e Charlotte Brandstorm, a cui sono stati affidati due episodi a testa.

The Witcher è conosciuta in tutto il mondo per essere una saga di otto romanzi incentrati sulle vicende cacciatori che sviluppano abilità soprannaturali in giovane età per combattere mostri mortali. I libri sono stati tradotti in tutto il mondo ed in più di 20 lingue. Questo grandissimo successo letterario ha dato vita a una lunga serie di videogiochi.

FONTE: Deadline

 
 

Vox Lux: recensione del film con Natalie Portman #Venezia75

Vox Lux

A inaugurare questo settimo giorno di festival oggi è Brady Corbet, alla sua seconda prova come regista, con Vox Lux, film che vanta una protagonista d’eccellenza, la bella Natalie Portman.

E’ il 1999 quando la piccola Celeste (Raffey Cassidy), di appena quattordici anni, sopravvive a una violenta tragedia. Dopo una lunga e lenta riabilitazione è chiamata a parlare alla commemorazione delle vittime di questa strage e il suo discorso si trasforma in una canzone, scritta a quattro mani con la sorella Eleanor (Stacy Martin). Il momento, ripreso dalle reti televisive, stuzzica la curiosità di un talent manager (Jude Law), che si impegna a trasformare Celeste in una famosa popstar. I due quindi cominciano a lavorare insieme e, mentre gli anni passano, la fama di Celeste cresce a tal punto da trasformare una semplice ragazzina in un’icona della musica pop. Arriviamo al 2017 con una Celeste adulta (Natalie Portman) ormai senza freni che, tra famiglia, lavoro e il suo nuovo tour Vox Lux, non riesce più a gestire lo stress…

leggi anche: Venezia 75: Dragged Across Concrete, recensione del film con Mel Gibson e Vince Vaughn

Dopo aver trionfato nel 2015 a Venezia nella sezione Orizzonti con la sua opera prima, Childhood of a Leader, Brady Corbet porta sul grande schermo della Mostra un nuovo film del tutto diverso dal precedente, complesso, inquietante e psichedelico. Vox Lux, a metà strada tra un biopic e dramma in musica – le canzoni sono tutte originali e scritte da Sia -, racconta l’ascesa al successo della piccola Celeste che, per puro caso, si ritrova a dover gestire una popolarità fin troppo ingombrante. Non a caso, infatti, il regista decide di ambientare la sua storia tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, periodo prospero della cultura pop.

L’elemento che più attira e sconvolge del film è il paralellismo che Corbet sembra voler tracciare tra l’ossessiva ricerca della fama e la perdita di valori che spesso sfocia in violenza. La storia di Celeste viene spesso interrotta da inserti di cronaca nera degli ultimi venti anni; una sparatoria in una scuola, la tragedia dell’11 settembre a New York, un’altra sparatoria in una spiaggia della Croazia. Questi tragici avvenimenti colpiscono sempre in qualche modo la protagonista che, si trova a dover rivivere il trauma subito e a dover fare i conti con il disturbo da stress post traumatico.

Vox Lux

Vox Lux, in un certo senso punta il dito contro l’industria della musica che, pur di continuare a far soldi, tratta adolescenti come Celeste come carne da macello. Nonostante appaia sin dall’inizio molto calma e sicura di sé, la giovane protagonista, infatti, non ci mette molto a crollare sotto il peso dello stress e delle responsabilità. Passa in breve tempo da ragazzina tutta casa e chiesa a festaiola impazzita amante delle droghe e dell’alcol. Si parla quindi di perdita dei valori e della moralità in favore di una vita più eccitante e di una popolarità travolgente.

La prima parte del film, quella che segue la crescita e la formazione della protagonista, è senza dubbio la più completa e interessante sia dal punto di vista estetico che narrativo. E’ infatti solo nel quarto capitolo, dal titolo Rigenesi, che Vox Lux perde un po’ della sua originalità. Nell’ultima parte del film arriviamo finalmente ai giorni nostri nel 2017 e incontriamo una Celeste ormai cresciuta e formata che risplende della bellezza di una Natalie Portman purtroppo un po’ fuori ruolo. La sua celeste così eccessiva e quasi grottesca risulta in alcuni momenti fin troppo sopra le righe per essere davvero credibile. Ma a deludere più di ogni altra cosa è il finale così approssimativo da lasciare lo spettatore quasi disorientato; all’abbondanza di contenuti e virtuosismi registici della prima parte segue purtroppo un epilogo troppo sbrigativo e inconcludente.

 
 

Ready Player One dal 12 settembre in home video

Ready Player One

L’ultima epica avventura firmata dal regista Premio Oscar Steven Spielberg, Ready Player One, arriverà in home video il 12 Settembre nelle edizioni DVD, Blu-ray, Blu-ray 3D e 4k UHD, distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia.

Rivivete l’immersione nell’universo virtuale di READY PLAYER ONE, in arrivo dal 12 settembre in DVD, Blu-ray,  Blu-ray 3D e 4K Ultra HD, distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia. Il film sarà disponibile anche in un’esclusiva edizione Blu-ray™ con cover lenticolare. Con l’edizione Blu-ray, i fan di Steven Spielberg potranno unirsi al regista Premio Oscar e al cast per oltre 90 minuti di contenuti extra con esclusivi Easter Egg, tanti momenti iconici degli anni ’80 e molto altro, per scoprire tutti i segreti del film.

L’ultimo capolavoro del regista tre volte premio Oscar Steven Spielberg (Schindler’s list, Salvate il soldato Ryan, E.T. l’extra-terrestre) vede nel cast la presenza sia di attori affermati nel panorama cinematografico e televisivo sia giovani emergenti: Tye Sheridan (X-Men: Apocalypse, Mud), Olivia Cooke (Quel fantastico peggior anno della mia vita, Bates Motel), Ben Mendelsohn (Rogue One: A Star Wars Story, Bloodline), Lena Waithe (Master’s of None), T.J. Miller (Deadpool, Silicon Valley), Philip Zhao, Win Morisaki, Hannah John-Kamen (Star Wars: Il risveglio della Forza), Simon Pegg (Stark Trek, Mission Impossible) e il premio Oscar® Mark Rylance (Il ponte delle spie, Dunkirk).

READY PLAYER ONE, libro

Ready Player One blu-rayReady Player One è basato sull’omonimo romanzo di Ernest Cline (il quale ha partecipato alla sceneggiatura) diventato fenomeno mondiale restando per più di 100 settimane nella lista dei bestseller del New York Times ed è stato al primo posto nella classifica dei più letti su Amazon.com.

READY PLAYER ONE, la trama

Nel 2045, anno in cui il mondo sta per collassare sull’orlo del caos, le persone hanno trovato la salvezza nell’OASIS, un enorme universo di realtà virtuale creato dal brillante ed eccentrico James Halliday (Mark Rylance). A seguito della morte di Halliday, la sua immensa fortuna andrà in dote a colui che per primo troverà un Easter egg nascosto da qualche parte all’interno dell’OASIS, dando il via ad una gara che coinvolgerà il mondo intero. Quando un improbabile giovane eroe di nome Wade Watts (Tye Sheridan) deciderà di prendere parte alla gara, verrà coinvolto in una vertiginosa caccia al tesoro in questo fantastico universo fatto di misteri, scoperte sensazionali e pericoli.

READY PLAYER ONE, il DVD

  • Prezzo: 16,99 euro
  • Lingue: Dolby Digital: Italiano 5.1, Inglese 5.1, Francese 5.1, Tedesco 5.1.
  • Sottotitoli: Francese, Olandese. Non udenti: Italiano, Inglese, Tedesco.
  • Contenuti speciali: The ’80’s: You’re The Inspiration

READY PLAYER ONE, il blu-ray

  • Prezzo: 19,99 euro
  • Video: 1080p High Definition 16×9 2.4:1
  • Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1, Inglese 5.1. Dolby Atmos-TrueHD: Inglese.
  • Dolby Digital: Inglese 5.1, Spagnolo 5.1.
  • Sottotitoli: Spagnolo, Greco, Finlandese, Danese, Norvegese, Svedese. Non Udenti:
  • Italiano, Inglese.

Contenuti speciali:

  • The ’80’s: You’re The Inspiration
  • Game Changer: Cracking the Code
  • Effects for a Brave New World
  • Level Up: Sound for the Future
  • High Score: Endgame
  • Enrie & Tye’s Excellent Adventure

READY PLAYER ONE, il blu-ray 3D

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  • Video: 1080p High Definition 16×9 2.4:1
  • Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1, Inglese 5.1., Francese 5.1; Dolby Digital: Inglese 5.1, Tailandese 5.1, Spagnolo 5.1.
  • Sottotitoli: Svedese, Tailandese, Spagnolo, Norvegese, Coreano, Francese, Finlandese, Olandese, Danese, Cinese. Non Udenti: Italiano, Inglese. 

READY PLAYER ONE 4K ULTRA HD + BLU-RA

  • Prezzo: 29,99 euro
  • Video: 2160p Ultra High Definition 16×9 2.4:1
  • Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1, Inglese 5. Dolby Atmos TrueHD:
  • Inglese. Dolby Digital: Inglese 5.1, Spagnolo 5.1, Portoghese 5.1, Polacco
  • 5.1, Francese 5.1, Ceco 5.1, Turco 5.1, Tailandese 5.1, Russo 5.1,
  • Ungherese 5.1.
  • Sottotitoli: Polacco, Portoghese, Spagnolo, Svedese, Ungherese, Rumeno,
  • Russo, Tailandese, Turco, Norvegese, Arabo, Cinese, Ceco, Danese,
  • Finlandese, Francese, Coreano. Non Udenti: Italiano, Inglese.
  • Contenuti speciali del disco Blu-ray:
  • The ’80’s: You’re The Inspiration
  • Game Changer: Cracking the Code
  • Effects for a Brave New World
  • Level Up: Sound for the Future
  • High Score: Endgame
 
 

Dragged Across Concrete: recensione del film – Venezia 75

Dragged Across Concrete

A distanza di un anno dal suo Cell Block 99 – Nessun Può Fermarmi, presentato a Venezia 74, il regista Craig Zahler fa il suo ritorno in laguna con una nuova e controversa opera, il film Dragged Across Concrete, fuori concorso alla 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Dopo una retata in casa di un malvivente, i poliziotti Brett Ridgeman (Mel Gibson) e Anthony ‘Tony’ Lusaretti (Vince Vaughn) vengono accusati di aver usato troppa violenza e sospesi senza paga dal servizio attivo. In attesa di tornare operativo, Ridgeman decide di trovare una maniera alternativa per fare in fretta un po’ di soldi da mettere da parte; con una moglie affetta da sclerosi multipla e una figlia adolescente da crescere, la sospensione dello stipendio potrebbe avere gravi conseguenze su tutta la sua famiglia. Decide così di darsi alla criminalità coinvolgendo il suo partner Tony in un colpo a dir poco rischioso…

La scorsa edizione il film Cell Block 99 di Craig Zahler era stato accolto con entusiasmo dai cultori del genere a Venezia nonostante in molti si fossero lamentati dell’eccessiva violenza che accompagnava l’intera pellicola. Ebbene, il regista prova a fare il bis di consensi presentando quest’anno Dragged Across Concrete, un film poliziesco assai complesso e che porta la sua inconfondibile firma. Zahler ingaggia la stessa squadra di sempre, aggiungendo stavolta a Vince Vaughn, Don Johnson e Jennifer Carpenter anche il mitico Mel Gibson, per raccontare una storia di violenza e corruzione, di disperazione e redenzione.

Dragged Across Concrete

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Grazie all’incredibile coppia Gibson/Vaughn, il regista imbastisce quello che potremmo definire un classico film poliziesco anni ottanta. Ai tempi eccessivamente dilatati del film, Zahler associa lunghe e claustrofobiche sequenze girate in scuri e angusti appartamenti o sui sedili anteriori delle auto. La monumentale sceneggiatura, inoltre, è la fiera del politicamente scorretto; ci sono commenti razzisti, omofobi e filo fascisti resi sopportabili unicamente da quell’ironia così sottile ma diretta in grado di trasformare quei brevi scambi di battute tra i protagonisti in vere e proprie citazioni cinematografiche. “Scrivo i miei testi seguendo i miei gusti personali e non per ingraziarmi il pubblico”; Zahler non cerca consensi edulcorando le sue storie, i suoi personaggi sono diretti e offensivi, a volte completamente senza filtro, cattivi e un tantino sadici e alla fine riescono a sfondare il muro della critica.

Dragged Across Concrete non è solo un semplice film poliziesco dove il bene che combatte il male alla fine cede al lato oscuro. Si parla di vari tipi di umanità e di come il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato spesso si confonda. Abbiamo un detective indurito dagli anni di servizio in strada (Mel Gibson) che cede sotto il peso delle responsabilità; il suo collega (Vince Vaughn), un uomo con una forte fibra morale che rinuncia a tutto pur di aiutare il suo amico; un ex galeotto (Tory Kittles) con una famiglia disastrata a carico in cerca di una seconda possibilità; una mamma (Laurie Holden), una volta liberale, che si abbandona a pensieri razzisti esasperata dalla criminalità di quartiere.

Dragged Across Concrete

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L’ultima fatica cinematografica di Craig Zahler è quindi un’opera decisamente complessa, piena di spunti di riflessione e di verità scomode, un film che andrebbe somministrato a piccole dosi. Ovviamente, in una pellicola così complessa non mancano di certo gli aspetti negativi. A causa delle scelte estetiche del regista – come quella ad esempio di inserire nella narrazione personaggi transitori e non funzionali alla trama -, i tempi della storia si dilatano a tal punto da appesantire il film che potrebbe esasperare lo spettatore meno paziente. Pur essendo un poliziesco, infatti, l’azione vera inizia solo a metà film e anche in quel caso la risoluzione dei conflitti finali non è per nulla sbrigativa. Anche le scene d’azione vera e propria, come rapine e sparatorie, sono violente e rumorose quanto brevi e fulminee.

Dragged Across Concrete è un film eccessivo in ogni sua parte, complicato, di non facile lettura e che darà del filo da torcere agli spettatori; tuttavia, se il pubblico avrà la pazienza necessaria per arrivare a leggere i titoli di coda, scoprirà un interessante spaccato di umanità che difficilmente riuscirà a dimenticare.

 
 

L’Amica Geniale: recensione della serie tratta dal romanzo di Elena Ferrante

l'amica geniale

Sembra una storia figlia di questi mesi di fermento “femminista”, quella de L’Amica Geniale, eppure, Elena Ferrante aveva già da tempo acceso un bellissimo faro su una storia di donne, di amiche, di menti brillanti che trovano la loro strada verso la libertà e l’emancipazione, prima di tutto da loro stesse e dal loro bagaglio di nascita. Come ogni grande storia, anche questa di Lila e Lenu ha un inizio, trai banchi di scuola, dove le due bambine vengono aperte al mondo dalla maestra Oliviero.

La trama de L’Amica Geniale

Comincia così la prima puntata de L’Amica Geniale, la serie co-prodotta da Rai, HBO e Wildside e diretta da Saverio Costanzo, presentata, con la proiezione dei primi due episodi, alla Mostra del Cinema di Venezia, edizione 75. La serie è l’adattamento della tetralogia firmata da Elena Ferrante e racconta, appunto di un un’amicizia femminile, nata in un rione di Napoli negli anni ’50 e che si concluderà ai nostri giorni, nel 2016 per la precisione. Le protagonista sono Elena Greco e Raffaella Cerullo, Lenu e Lila, ma intorno a loro Costanzo ha riportato sullo schermo il brulicante mondo del rione: fratelli, genitori, vicini, compagni di classe. Un ritratto commovente di un mondo che non c’è più, una replica perfetta, nei più piccoli dettagli, di ciò che la Ferrante ha creato su carta.

Elisa Del Genio e Ludovica Nasti sono le piccole protagoniste assolute delle prime due puntate proiettate alla Mostra. Le interpretazioni genuine delle bambine restituiscono tutta l’energia dei personaggi del romanzo, in cui da una parte c’è la dolcezza di Elena e dall’altra la cattiveria di Lila, due estremi che si incontrano per caso e che non si lasceranno mai più. Intorno a loro una serie di interpreti relativamente poco noti, che si rivelano scelte perfette per le intenzioni del regista. Costanzo infatti non solo rende onore e fede all’originale, ma lo trasforma in una storia sua, conservando intatto lo spirito delle pagine, riportandone gli avvenimenti in maniera più o meno fedele, ma soprattutto avendo un profondo rispetto per il lavoro della Ferrante, con la quale ha avuto una fitta corrispondenza di email durante la lavorazione, e che ha sorvegliato la produzione e custodito i suoi personaggi.

Saverio Costanzo presenta L’Amica Geniale, la serie tratta da Elena Ferrante

Quello che Costanzo sceglie come fuoco del suo racconto, laddove nel romanzo i fili narrativi erano più ingarbugliati e numerosi, è l’educazione: la diligenza di Elena e l’intelligenza di Lila offrono a entrambe la possibilità di ambire a continuare gli studi, avvenimento insolito nella Napoli povera degli anni ’50. Così, comincia un’avventura quotidiana che nessuno aveva mai letto (né visto) prima.

Dopo The Young Pope, un altro autore italiano si cimenta con la grande serialità, in un progetto impegnativo e rischioso, che mette sul tavolo ambizioni e competenze e che, produttivamente parlando, testimonia l’apertura della RAI alle co-produzioni internazionali, presentando un biglietto da visita ragguardevole.

L’Amica Geniale è una storia epica, che attraversa la Storia e le storie e sembra che il lavoro di Costanzo e della sua squadra sia riuscito a creare qualcosa di davvero prezioso, in attesa di poter vedere, da ottobre, gli altri episodi della serie.

 
 

Venezia 75: Incontro con Francesco Zippel, regista di Friedkin Uncut

friedkin uncut

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Friedkin Uncut, documentario del giovane regista/documentarista Francesco Zippel, è stato presentato nella sezione Venezia Classici alla 75esima edizione della Mostra del Cinema.

William Friedkin come non lo avete mai visto, simpatico, allegro e goliardico, il papà de L’Esorcista si mette a nudo in un documentario colmo di interviste dei grandi nomi dei protagonisti del cinema, tutti vogliosi di lasciare una testimonianza di cosa rappresenti il lavoro del regista per loro. Testimonianze di Francis Ford Coppola, Quentin Tarantino, Wes Anderson, Matthew McConaughey e molti altri, impreziosiscono questo viaggio all’interno della carriera di Friedkin facendoci scoprire l’uomo dietro l’artista.

Abbiamo incontrato Francesco Zippel che firma la regia di questo lungometraggio e che ha passato con Friedkin circa un anno tra Stati Uniti e Italia.

Come è nata la vostra collaborazione?

“Ho conosciuto il regista due anni fa quando mi ha chiesto di collaborare con lui come producer per il suo ultimo film su Padre Amorth. Mentre eravamo insieme a Los Angeles, per finire il montaggio, ogni giorno, a pranzo o durante una pausa, raccontava episodi e aneddoti incredibili. Tutti hanno iniziato a dirgli che avrebbe dovuto fare un documentario, così mi sono subito proposto. Con mio grande stupore, ha accettato subito. I tempi sono stati lunghi, soprattutto per via di tutte le interviste che ho voluto realizzare e gran parte dei miei intervistati era su un set, ma nessuno mi ha dato un no come risposta. Matthew McConaughey mi ha addirittura chiesto di aspettarlo perché doveva molto della sua carriera al regista.”  

friedkin uncutC’è un altro aneddoto simpatico che ci puoi raccontare?

“Per esempio Quentin Tarantino vive nella casa di Los Angeles che fu di Friedkin negli anni ’70, l’intervista che vedete nel documentario, è stata girata nella sua sala cinema privata ricavata dal vecchio garage di casa. Oltretutto Tarantino è un grande fan e ha una collezione esclusivamente in pellicola, perché odia il digitale, di tutti i suoi film che custodisce gelosamente.”

Che cos’è il male per questo regista?

“Il male per lui è una curiosità. Qualsiasi scelta artistica possa aver fatto nella sua carriera è sempre stata generata da una curiosità specifica nei confronti di qualcosa. Il male per lui è il modo in cui ognuno di noi può decidere di comportarsi o di indirizzare la propria esistenza, è uno degli elementi ontologici che a lui interessano, al quale lega anche l’aspetto religioso. Spesso nelle sue opere lega il bene al male e a come ognuno di noi interpreti questi sentimenti, è un’analisi del male che nasce dalla sua sete di conoscenza e curiosità sugli innumerevoli aspetti della vita”.

L’Esorcista è ancora un evergreen?

Ellen Burstyn mi ha detto che di film dell’orrore che vogliono a tutti i costi spaventare ne vediamo tanti negli ultimi tempi, ma quello che differenzia le opere di Friedkin, come detto anche da Wes Anderson, è che nei suoi film non accade nulla di particolare, c’è un racconto veristico molto semplice, poi ad un certo punto la narrazione ha un twist degenerativo e tutto si evolve in maniera inaspettata. Questa caratteristica, unita all’idea che ognuno di noi ha del male e di quello che può innestarsi nell’animo e nella testa delle persone, credo sia un elemento stimolante. Per questo ancora oggi L’Esorcista è un evergreen.”

 
 

Il primo uomo: polemiche sulla mancanza della bandiera americana

First Man

Il primo uomo, ultima opera del premio Oscar Damien Chazelle, ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia ancora in corso. Il film ha avuto un buon successo di critica ma ha scatenato qualche polemica oltreoceano dove non si sono fatti sfuggire qualche inesattezza storica sull’impresa di Neil Armstrong al centro della trama. Ad aver scatenato un vero e proprio putiferio sul web è stata la mancanza della bandiera americana portata dall’astronauta sulla Luna. Il regista ha giustificato questa scelta dicendo che ha girato il film facendo prevalere il lato umano di Armstrong e meno il suo status di eroe americano. Questo non vuol dire però che il film avesse delle venature anti-americane, come in molti hanno pensato.

La famiglia di Armstrong e l’autore della biografia James R. Hansen da cui è tratto il film hanno approvato tale approccio, appoggiando Chazelle in una recente intervista: “È un film molto personale sul viaggio di nostro padre, filtrato attraverso il suo sguardo. In poche parole, non riteniamo che questo film sia minimamente anti-americano. Magari il contrario. Diciamo a tutti di andare a vedere questo film straordinario”.

Della stessa opinione evidentemente non è stato Buzz Aldrin, il secondo uomo ad aver messo piede sulla Luna, che da giorni è molto attivo su Twitter per difendere il suo essere americano e qualche ora fa ha postato un foto evidentemente riferita alle polemiche sul film: Armstrong che punta la bandiera sulla Luna con l’hashtag “orgoglioso di essere americano”.

FONTE: Deadline

 
 

Dhaka: Chris Hemsworth si riunisce ai fratelli Russo per Netflix

Chris Hemsworth

Dopo il recente successo di Avengers: Infinity War, l’attore Chris Hemsworth si riunisce ai fratelli Russo, anche se i ruoli saranno leggermente diversi. Infatti il celebre duo che ha diretto i più grandi successi Marvel, da Avengers a Captain America, questa volta resterà fuori dal set nelle vesti di produttori insieme a Netflix di un nuovo action dal titolo Dhaka che vede proprio Hemsworth come protagonista. Joe Russo apparirà anche tra gli sceneggiatori, una novità per il regista che è sempre stato investito del ruolo di produttore. A dirigere invece il film sarà Sam Hargave, una vecchia conoscenza dei Russo che lo avevano già scelto come regista della seconda unità di Infinity War. Nel suo curriculum anche una lunga carriera come controfigura: fu Chris Evans nelle scene d’azione di Avengers e Captain America e diventò coordinatore degli stunt in Captain America: Civil War.

Sulla trama di Dhaka al momento non ci sono molte informazioni. Dalle prime indiscrezioni Chris Hemsworth dovrebbe interpretare un mercenario assunto da un ricco uomo d’affari per salvare suo figlio, fatto prigioniero proprio a Dhaka nel Bangladesh. Le riprese dovrebbero iniziare già a Novembre per concludersi a Marzo, quindi sarà altamente probabile che il film sarà disponibile sulla piattaforma già alla fine del 2019.

FONTE: Comicbook

 
 

Il Trono di Spade: ecco quando inizieranno le riprese del prequel

Presumibilmente la prossima primavera dovremo dire addio a Il trono di Spade, che si appresta a concludersi con l’ottava stagione. Ma HBO sta già preparando il terreno per il futuro e, come già stato da tempo annunciato, è tempo di pensare al prequel. Da quello che è trapelato in queste ore, la nuova serie si svolgerà nel tempo di Westeros, durante l’era della Lunga Notte. La produzione dovrebbe iniziare già da Febbraio 2019, con i set collocati perlopiù a Belfast ed in altri territori dell’Irlanda del Nord. La showrunner designata a questa nuova saga è Jane Goldman che nel suo curriculum da produttrice vanta titoli come Kick-Ass, X-Men e Kingsman.

Nulla è stato invece rivelato sul cast e le poche informazioni sulla trama derivano ancora dal lancio pubblicitario della serie pubblicato mesi fa che recitava: “Ambientata migliaia di anni prima degli eventi di Il trono di Spade, la serie racconta la discesa del mondo dall’età dell’oro degli eroi all’ora più buia. E una sola cosa è certa: gli orribili segreti della storia di Westeros e la vera origine degli Estranei e i misteri dei leggendari Stark non è la storia che pensiamo di conoscere”. Su questo ampio periodo temporale gli spunti dati dai romanzi di George R. R. Martin di sicuro non mancano.

FONTE: Comicbook

 
 

Guardiani della Galassia: Glenn Close parla del suo rapporto con James Gunn

L’esperienza nel mondo degli Avengers per Glenn Close sembra essersi conclusa già con Infinity War, ma non è ancora detta l’ultima parola per quel che riguarda il suo personaggio nel franchise di Guardiani della Galassia. Come tutti sanno però, la saga non sta godendo di un buon momento ed è molto probabile che il terzo capitolo verrà rimandato o del tutto cancellato. L’attrice non ha perso quindi l’occasione per parlare della sua esperienza sul set dei film di James Gunn, rivolgendo al regista recentemente licenziato dalla Disney parole di stima.

Stare sul set era come tornare all’infanzia. Prima di tutto, io ho sempre voluto far parte di un film come quello ed ero felicissima quando mi hanno scelto. Ero entusiasta di dover stare in una grande sala di controllo con la guerra che scoppiava fuori. Ma mentre giravamo non c’era niente, solo un ragazzo con una pallina da tennis che mi diceva ‘Guarda la palla e immagina’. E io ho pensato: ‘Posso farlo! Posso farlo! E’ facile.’ E’ stato molto divertente e devo dire che James Gunn è stato fantastico ed adorabile”.

L’attrice ha poi aggiunto “È difficile pensare al film senza di lui, è triste e fa emergere, credo, alcuni problemi molto spinosi intorno a questo movimento. Ne parlo con tutte le donne che conosco perché vogliono sapere cosa provano. E cosa dovremo fare? Specialmente in questo caso in cui qualcuno ha potuto rovinare la vita di una persona per qualcosa che ha scritto in un contesto completamente diverso dieci o dodici anni fa? Dovremo tornare tutti dietro nel tempo ed assicurarci che tutto quello che abbiamo detto sia politicamente corretto? Chi vorrebbe vivere così? C’è qualcosa di sbagliato in questo”.

Non esponendosi direttamente contro la Disney, Glenn Close ha fatto ugualmente intuire quale sia il suo pensiero in tutta questa situazione e dove propenda il suo appoggio. Si tratta dell’ennesimo membro del cast di Guardiani della Galassia a schierarsi con James Gunn, questo però non risolverà i problemi della serie che sicuramente per il terzo capitolo non riuscirà a mantenere la data d’uscita iniziale fissata per il 2020.

 
 

Star Trek: Tarantino punta a un film vietato ai minori

Poco si sa dello Star Trek affidato a Quentin Tarantino. Anzi, alcune voci maligne vorrebbero che il progetto non sia più in lavorazione. C’è chi invece pensa positivo per il futuro. Si tratta dell’attore Karl Urban che ha dichiarato che non solo l’iconico regista è già al lavoro sul film, ma ha chiesto anche di avere piena libertà di rating. Non si può escludere infatti la violenza dai film di Tarantino e pare proprio che sia stato lo stesso regista a porre queste condizioni alla produzione del film. Urban ha infatti affermato: “Quentin Tarantino è andato nell’ufficio di JJ.Abrams e gli ha mostrato l’idea per un film di Star Trek. So solo qualche dettaglio al riguardo, ma non dovete preoccuparvi, sarà pieno di oscenità e cose del genere. Vuole un rating R per avere più libertà. Se non è PG e qualcuno viene risucchiato nello spazio potremmo vedere qualche sbudellamento prima, questo gli da più manovra d’azione per farlo.”.

Quelle di Karl Urban sembrano parole di un vero fan, ma non rispondono al quesito se il film sia o no veramente in produzione. L’impressione è che il franchise non stia passando un bel momento: Star Trek 4 è attualmente in fase di stop in quanto gli attori principali Chris Pine e Chris Hemsworth potrebbero non tornare a causa di un problema legato al loro compenso. Su i personaggi interpretati dai due (James T. Kirk e George Kirk) era stata costruita l’intera sceneggiatura, quindi sarà difficili allestire un set senza la loro partecipazione. Per quanto riguarda Tarantino, l’autore è al momento impegnato nelle riprese di Once Upon Time in Hollywood, ma c’è ancora la speranza che il prossimo anno riprendi in mano anche il progetto Star Trek.

FONTE: ScreenRant

 
 

Dave Bautista non ha paura di essere licenziato dalla Disney

Sembra essere infinita la storia d’odio tra Dave Bautista e la Disney. Dopo l’intervista in cui l’attore ha continuato a difendere a spada tratta James Gunn anche dopo il licenziamento da Guardiani della Galassia 3 e le dichiarazioni in cui non si diceva sicuro di voler continuare il suo rapporto con la Disney, arriva ora un’ulteriore dichiarazione di intenti che pare lanciare una vera e propria sfida. “Ovviamente sono preoccupato che questo possa costarmi un lavoro al quale tengo ma allo stesso tempo è una questione di integrità, di lealtà. Non ho alcuna intenzione di stare qui a zittirmi, questo è come sono io come persona. Ho provato a selezionare il più possibile quello che dicevo e come lo dicevo. Non devo apparire irrispettoso a tutti i costi, ma devo comunque avere la possibilità di poter dire ciò che penso sia nella testa che nel cuore. Sono stato una persona onesta”.

E come se non bastasse poi ha aggiunto: “Sarà quel che sarà, se ci rimetterò il lavoro andrà bene comunque. Non si può minacciare con la povertà un uomo che è già povero. Sono cresciuto povero e so cosa significa. Non mi preoccupa perdere dei soldi, non valgono niente per me. Sono disposto a tornare a fare wrestler nei cortili davanti a 10 persone se costretto a fare qualcosa per vivere. Non ho intenzione di piagare la mia integrità“.

La Disney continua a rimanere in silenzio stampa su queste dichiarazioni anche se l’intero web sta empatizzando sempre di più con Bautista e si sta schierando dalla parte degli attori che già dai primi minuti della vicenda hanno offerto il loro appoggio pubblicamente a James Gunn. Le tempistiche per far uscire Guardiani della Galassia 3 nel 2020, come previsto, sono ormai scadute, ma con queste premesse è in pericolo l’intero futuro del franchise.

FONTE: Comicbookmovie

 
 

La Quietud: recensione del film di Pablo Trapero

La Quietud Pablo Trapero

La selezione fuori concorso di Venezia 75 si arricchisce di un nuova opera diretta da Pablo Tapero che, con il suo La Quietud, si interroga sull’amore, sui legami affettivi e soprattutto sulla famiglia.

La vita tranquilla di una famiglia nella tenuta de La Quietud, in Argentina, vicino Buenos Aires, viene scossa da un evento tragico. A seguito del doppio ictus subito dal capofamiglia, Eugenia (Berenice Bejo), la figlia maggiore, decide di tornare a casa da Parigi per stare vicino a sua madre e a sua sorella minore Mia (Martina Gusman). La malattia del padre, ormai in uno stato comatoso irreversibile, e la convivenza forzata delle tre donne ripoteranno alla luce vecchi dissapori e la facciata di famiglia perfetta si sgretolerà piano piano rivelando alcune scomode verità.

La Quietud

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Vincitore tre anni fa del Leone d’Argento per la regia del suo El Clan, il regista Pablo Trapero torna a Venezia presentando stavolta un interessante melodramma familiare pieno di mistero e sensualità. Utilizzando l’improvvisa malattia del padre come espediente narrativo, Trapero si sbarazza di fatto dell’unica importante figura maschile di tutta la storia, lasciando che siano solo le donne a condurre il gioco.

Si parla di famiglia e di segreti nascosti per decenni che inevitabilmente hanno influenzato il rapporto delle figlie con i propri genitori. Mentre il padre sembra avere un legame speciale con la figlia minore Mia, la maggiore Eugenia, è di fatto la cocca di mamma. Ma a sorprendere e un tantino inquietare lo spettatore è il rapporto d’affetto morboso e quasi incestuoso delle due sorelle; la vicinanze delle due ragazze, incredibilmente somiglianti, sembra quasi voler sopperire alla mancanza di stabilità emotiva. Sin dalle prime scene, infatti, si avverte che l’immagine della famiglia felice, benestante e perfetta è in realtà solo un castello di carte pronto a volar via alla prima folata di vento. E il vento non tarda a arrivare!

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La quietud Berenice Bejo

Il regista Pablo Trapero è incredibilmente bravo a costruire, insieme a Alberto Rojas Apel, una sceneggiatura semplice ma dal ritmo sostenuto che svela i segreti della famiglia de La Quietud a piccole dosi. Lo spettatore, intrigato dall’alone di mistero che sembra avvolgere i personaggi, non può fare altro che continuare a seguire la storia. Nonostante si tratti di un ‘melodrammone’ familiare molto più adatto al piccolo che al grande schermo, il film di Trapero affascina e si lascia seguire dall’inizio alla fine.

 
 

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: recensione del film di Julian Schnabel

At eternity's Gate

È stato presentato in Concorso a Venezia un film che può rispecchiarsi pienamente nella dicitura “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica”. È Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate)di Julian Schnabel, un film sull’arte e su un artista, Van Gogh, realizzato da un artista contemporaneo e condotto con una freschezza e una necessità d’indagine espressiva rara da trovare oggi in un prodotto cinematografico.

Il film non è assolutamente una biografia, o una versione romanzata della vita di Vincent Van Gogh, è piuttosto una sorta di esposizione interattiva, che permette al protagonista di raccontare se stesso, le sue opere e quello che si cela dentro le sue corpose pennellate. L’opera di Julian Schnabel è un insieme di scene scaturite direttamente dai dipinti di Van Gogh, dagli eventi salienti della sua vita, storicamente accertati, ma messi a confronto con riflessioni intime, fluite dalla sua fitta corrispondenza con il fratello Theo e con Paul Gauguin. Non mancano situazioni completamente inventate, necessarie per un’analisi introspettiva, assieme a dicerie e pettegolezzi sugli aspetti più comuni della sua tormentata esistenza.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il film

Julian Schnabel sostiene che l’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte. Può apparire forse un affermazione sfrontata, ma dopo la visione struggente di At Eternity’s Gate si rimane storditi, colpiti nel profondo, intrigati, stimolati e perfino offesi; ci si rende immediatamente conto di trovarsi di fronte a un’opera che esce dai confini della sala cinematografica. Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Schnabel, ed è riduttivo chiamarlo film, è qualcosa di imperfetto, acerbo, plasmabile come la pittura a olio strizzata dal tubetto, ma proprio per questo risulta perfetto, giusto e necessario. Lo stesso Vincent Van Gogh disse: “Riuscire a creare qualcosa di imperfetto, di anomalo, qualcosa che alteri e ricrei la realtà in modo tale che ciò che ne risulta siano anche delle bugie, se si vuole, ma delle bugie più vere della verità letterale”. E Julian Schnabel sembra riflettere alla perfezione questa intuizione.

Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità

Impersonato magnificamente dal volto spigoloso e dal corpo ossuto, martoriato, sudicio di Willem Dafoe, il Van Gogh di Schnabel, dipinge e disegna durante tutta la durata della storia, con dovizia di particolari e in maniera credibile, regalando allo spettatore una sensazione di intimità, di vicinanza estrema, che arriva a sfiorare il voyerismo. La macchina a mano, con ottiche sempre cortissime, è costantemente addosso al personaggio, rivelandone in maniera patologica la sporcizia e le ferite, la sensazione di freddo, la sofferenza, l’estrema povertà. In alcuni momenti sembra che lo sguardo del regista voglia andare oltre la pelle, entrare fin dentro le viscere, nel profondo delle pliche del suo cervello.

È una regia rude quella di Julian Schnabel, violenta, difficile da accettare senza capire, ma che permette di analizzare a fondo e di dare un’interpretazione personale di Vincent Van Gogh. L’utilizzo, in molte inquadrature in soggettiva, di una particolare lente con una sfocatura nella parte bassa, restituisce perfettamente la sensazione di visione-interpretazione. Il film contiene tanti altri inusuali espedienti, frutto di una complessa ricerca espressiva, che proviene altresì dall’attività di Schnabel come pittore e artista.

Anche l’idea di una macchina da presa sempre mossa, barcollante, quasi tenuta da una mano inesperta, attualizza l’osservazione, come se Van Gogh fosse li a dipingere nei nostri tempi, per finire ripreso con un cellulare per finire poi su un social network. È questa una negazione convinta della ricostruzione storica, a favore della visione sensoriale, da parte di un autore consapevole del vivere nel presente e che racconta il passato attraverso i suoi occhi.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità è un ritratto affettuoso e violento di Vincent Van Gogh, che restituisce in maniera sincera tutta la sua genialità, circondata dall’incomprensione ottusa del tempo in cui viveva. Permette di sedersi al suo fianco, nelle campagne francesi e di intuire quel flusso espressivo che il mondo attorno a lui gli restituiva, rimanendo congelato per sempre nella corposità delle sue pennellate. Fa però provare anche tutto il dolore del sentirsi soli, incompresi, rifiutati, arrivando al punto di pensare di essere in errore, o peggio, pazzi.

Venezia 75: Julian Schnabel e Willem Dafoe presentano Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità

 
 

Venezia 75: Julian Schnabel e Willem Dafoe presentano At Eternity’s Gate

At Eternity's Gate

Julian Schnabel inizia dicendo che At Eternity’s Gate non è una biografia, ma un approccio sensoriale. per prepararsi ha letto le lettere, che sono state il punto di partenza del film. Ha visitato il museo d’Orsay a Parigi, per restituire la stessa sensazione di quando si osservano le opere. Voleva restituire la sensazione di accumulazione che si prova dopo essere stati in un museo.

Dice che non si può spiegare il film. Mentre si lavorava allo sviluppo della sceneggiatura si aggiungeva sempre qualcosa. Quando lui ha chiesto all’ attore che fa il pazzo di scegliere e ripetere una parola lui ha scelto “sergente”, ma di non essere sicuro di riuscire a ripeterla.  Schnabel pensa che gli attori sono come foglie al vento.

Il regista è convinto che Van Gogh sia lucido e lo dice dopo aver letto le lettere, osservando i suoi dipinti. Nel film, quando dipinge dice che smette di pensare e il dottore con cui parla gli chiede se è una forma di meditazione. È un misto tra la consapevolezza di non potere avere un rapporto con gli altri e la rassegnazione al fatto di vivere poco.

Willem Dafoe racconta di aver preso appunti per prepararsi al personaggio e di aver  letto le lettere. Anche per lui è lucido, non è in grado di conciliare le sue visioni con la realtà. La malattia è un insegnamento attraverso la quale si può guarire.

Dice di aver letto e poi ha dipinto. Il regista gli ha insegnato a dipingere e la pittura lo ha aiutato a spostare il punto di vista, capendo che è un rapporto con la natura.

Schnabel dice che ha pensato subito a Willem Dafoe, lo conosce da trent’anni, è un attore fisico che aiuta gli altri attori. Tutti gli attori presenti nel cast sono stati la prima scelta, senza ripensamenti.

Schnabel dice che in tutti i dialoghi Van Gogh è una persona diversa, si rapporta diversamente a seconda di chi è l’ interlocutore e questo succede a tutti, voleva fermamente rappresentare questa cosa. Dafoe conferma che è vero, è diverso in ogni situazione. E anche gli altri personaggi sono adattabili. Quando dipinge esce fuori l’interiorità.

Alla domanda sull’ipotesi dell’uccisione di Van Gogh o di suicidio, il regista e lo sceneggiatore rispondono che non ci sono testimonianze sulla sua morte. La pistola non è stata mai ritrovata, e risulta strano suicidarsi e poi nascondere l’arma. Ha dipinto fino all’ultimo ogni giorno, non era depresso, cupo. Nel film inoltre si dice che gli appunti potrebbero essere veri ma non è una certezza. La persona che ha aiutato nelle ricerche, di enorme esperienza e credibilità, non aveva certo bisogno di notizie sensazionalistiche. Schnabel sostiene che il punto non è se si è trattato di suicidio. Ma le sue ultime parole sono state: non dare la colpa a nessun altro.

È stato chiesto se la conversazione con il prete su Gesù sia reale e se Van Gogh si considerava Gesu.

Schnabel dice che era molto religioso e conosceva benissimo la bibbia, per lui Gesù era un grande lavoratore e in questo sicuramente si identificava con lui. Ma nessuno era presente durante quella conversazione. È bello che dica che anche di Gesù si è cominciato a parlare trent’anni dopo la morte.

 
 

Domingo: recensione del film di Clara Linhart

Domingo recensione film

Presentato in Concorso alle Giornate degli Autori Domingo è il nuovo film di Clara Linhart che si incarica di raccontare la borghesia brasiliana, fotografandola in un momento storico-politico particolarmente importante e di grande cambiamento.

La trama di Domingo

Nel 2003, mentre il Brasile celebra l’elezione del nuovo presidente Lula, due famiglie della classe media si riuniscono nel giardino di una vecchia casa cadente per un churrasco (barbecue). Sembra una domenica come tante, ma i cambiamenti politici in corso preoccupano la matriarca Laura, che teme di veder scomparire i suoi averi.

I tanti personaggi, le dinamiche familiari, i piccoli intrighi, le gelosie, ma anche le diverse età della vita, gli amori, le paure, i rapporti di forza tra vecchio e nuovo. La regista mette tutto al centro di questo tavolo da barbecue, in questa casa di campagna, mentre si celebra l’anno nuovo, il nuovo presidente (non tutti ne sono felici, certo) e i 15 anni della pupilla di casa.

Domingo racconta momenti molto esilaranti, al limite della credibilità, tuttavia il tema politico che voleva essere centrale nelle intenzioni si riduce a un paio di momenti raffazzonati, come i confronti tra la padrona di casa, scettica per l’elezione del nuovo presidente, e la domestica che, appartenente a una classe meno abbiente, è contenta per l’aria di cambiamento che il paese sta per accogliere. Un tentativo in cui nemmeno la regista sembra credere più di tanto.

 
 

Box Office ITA: Hotel Transylvania 3 sempre in testa

Hotel Transylvania 3

Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa regge in testa al box office, seguito dalle new entry Mission: Impossible – Fallout e Resta con me.

box officeIl primo fine settimana di settembre vede il film d’animazione battere il nuovo Mission: Impossible.

Infatti Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa conferma la prima posizione della scorsa settimana incassando 2,3 milioni di euro e arrivando a ben 8,6 milioni.

Così Mission: Impossible – Fallout si accontenta di un debutto in seconda posizione con 1,9 milioni di euro (2,2 milioni nei cinque giorni) incassati in 615 sale disponibili, registrando un’ottima media per sala pari a 3100 euro.

Resta con me apre al terzo posto con 1 milione di euro in 318 sale a disposizione, totalizzando 1,3 milioni grazie alle anteprime estive.

La new entry Ritorno al bosco dei 100 acri esordisce incassando 649.000 euro, mentre Come ti divento bella perde due posizioni raccogliendo altri 522.000 euro con cui giunge a 1,6 milioni globali.

Seguono pellicole in calo, ossia Ant-Man and the Wasp (396.000 euro) e Shark – Il primo squalo (258.000 euro), giunti rispettivamente a 4,4 milioni totali e 4,7 milioni complessivi.

Mary Shelley esordisce in ottava posizione con 173.000 euro incassati in ben 183 sale, seguito dalla new entry Don’t Worry, che apre con 130.000 euro.

Chiude la top10 La Settima Musa, che con altri 83.000 euro totalizza 457.000 euro.

 
 

Guardiani della Galassia Vol. 3: Dave Bautista potrebbe non esserci

Guardiani della Galassia

Qualche giorno fa avevamo parlato dell’intervista in cui Dave Bautista dichiarava il suo profondo affetto per James Gunn e del suo sconcerto per quello che stava succedendo alla lavorazione di Guardiani della Galassia 3 dopo il licenziamento del regista da parte della Disney. Oggi fanno discutere le parole con cui ha risposto ad una domanda al The Jonathan Ross Show dove si sente dire chiaramente: “Ad essere onesto con te io non so se voglio ancora lavorare per la Disney.”. Kevin Hart, ospite della stessa puntata, ha provato a smorzare i toni della conversazione ma Bautista chiude il dibattito con un esemplare: “Io non sono il classico ragazzo di Hollywood.”.

Quello che è certo è che Dave Bautista per l’universo Marvel ha già girato Avengers 4 ma ancora si è detto incerto sul futuro di Guardiani della Galassia 3. Questo tentennamento nella gestione della lavorazione di quest’ultimo episodio sta diventando così grave che rischia di ostacolare l’intero futuro dell’universo e, stando sempre alle dichiarazioni dell’ex wrestler, in qualche modo lo avrebbe già fatto. Sul set delle riprese aggiuntive di Avengers, infatti, ci sarebbero stati dei cambiamenti di storyline proprio dovuti all’incertezza della prosecuzione o meno delle avventure dei guardiani.

Ricordiamo che oltre a Dave Bautista anche il resto del cast si è schierato con James Gunn, dichiarandosi disturbato del comportamento tenuto dalla Disney. Al momento nessuno di loro, però, ha minacciato di non prendere parte ad un eventuale terzo capitolo. Rimane tutto da capire come la casa di produzione deciderà di gestire la produzione, difficilmente comunque riuscirà a mantenere le tempiste programmate che vedevano l’uscita del film nel 2020.

FONTE: Deadline

 
 

Pretty Little Liars: 10 cose che non sai sulla serie e il cast

Pretty Little Liars

Pretty Little Liars ha intrattenuto e appassionato per ben sette stagioni il pubblico di tutto il mondo. Una serie di mistero rivolta ad un pubblico di ragazze, la storia delle quattro amiche Emily, Hanna, Aria e Spencer è piena di mistero, segreti, intrighi e stile.

E intanto, cosa non sapete sulla serie tv? Ecco dieci curiosità sulla serie, e dove vederla in streaming in Italia, per un bel ripasso prima dell’arrivo dello spin-off Pretty Little Liars: The Perfectionists.

Pretty Little Liars: curiosità

pretty little liars

1. Nella serie ci sono A nascoste ovunque sul set. “L’intero set, a volte, aveva la forma di una A” ha raccontato Jakub Durkoth, uno dei production designer che ha lavorato alla serie dalla stagione tre alla stagione sette, “A volte, le planimetrie avevano la forma di una A, le travi avevano la forma di una A, a volte creavamo delle ombre con le travi a forma di A, per creare la forma di una A sul pavimento.

2. Alcuni set della serie sono quelli usati per Gilmore Girls. Come? Sia Gilmore Girls che Pretty Little Liars sono stati girati nel Warner Bros. Midwast Street Lot. Ovviamente, i set sono stati rifatti: il ristorante di Luke è diventato l’Apple Rose Grille, e il portico delle Gilmore è diventato quello di Emily.

3. Ashley Benson ha suggerito la canzone della sigla di Pretty Little Liars. È diventata una canzone oramai iconica, Secret delle The Pierce. Calza a pennello la serie, ma non fu scritta appositamente. Fu infatti Ashley a sentire la canzone per prima, e pensò immediatamente che fosse perfetta per la serie.

Da quale romanzo è tratta la serie tv?

4. L’autrice di Pretty Little Liars, Sara Shepard, si ispirò alla storia di una vicina che fu rapita. “Da piccola avevo una vicina, una donna dell’età di mia madre, che era stata rapida da ragazzina” ha raccontato a Cosmopolitan, “Credo che mia madre fosse affascinata [dalla cosa]. Veniva sempre da me e mi sussurrava ‘Lo sai che la vicina è stata rapita da giovane?’ In seguito, mi trasferii a Philadelphia e qui avevo un’altra amica che fu rapita, e non ne parlava mai. E quindi, ho sempre avuto paura di essere rapita. Mi ricordo che pensavo: ‘Cosa succede quando qualcuno ti prende? Cosa succede dopo?’”

5. Il fato di Toby è rimasto in sospeso per un bel po’. Come ha raccontato Troian Bellisario, che interpreta spencer, Toby si suicida nel secondo libro di Pretty Little Liars. “Abbiamo fatto entrare questo personaggio nel cast, e di parlava di cose come ‘Le cose andranno come previsto?’ Ma il pubblico lo amava così tanto, voleva che restasse.

Pretty Little Liars: cast

6. Sasha Pieterse, AKA Alison, aveva dodici anni quando divenne parte del cast di Pretty Little Liars. Nelle interviste, si allude al fatto che lei abbia un po’ mentito sulla propria identità per ottenere la parte. Quando, però, i pezzi grossi di PLL realizzarono quanto fosse giovane, era oramai troppo tardi: avevano già girato il pilot.

7. Originariamente, Ashley Tisdale doveva fare parte del cast del cast. Ebbene sì. Decise però di rinunciare allo show, per recitare in un’altra serie, Hellcats. Questa serie parlava di cheerleader e, purtroppo per Ashley, fu cancellata dopo una stagione.

8. Il cast avrebbe potuto essere molto diverso. Shay Mitchell, infatti, fece il provino per il ruolo di Spencer hasting, e Sasha Pieterse fu presa in considerazione per il ruolo di Hanna Marin. Lucy Hale, poi, era inizialmente interessata inizialmente alla parte di Hanna.

9. Per Pretty Little Liars, al cast fu richiesto di mantenere un certo aspetto. Nel suo libro autobiografico Odd Birds, Ian Harding, ovvero Ezra, ha rivelato di essere stato obbligato per contratto ad avere lo stesso taglio di capelli e a rasarsi il petto sin dalla stagione uno.

10. Ashley Benson ha avuto l’idea dei tatuaggi coordinati per il cast della serie. Nessuna (delle Liars) erano entusiaste dell’idea, all’inizio” ha raccontato Ashley, “Poi, quando stavamo per finire, io dissi tipo ‘Io mi faccio un tatuaggio, chiunque voglia unirsi…’. A quel punto, tutte decisero che erano d’accordo. Ma c’era tutta la questione del cosa farsi… Io ho pensato, facciamo semplicemente le prime lettere dei nostri nomi. (…) Loro volevano farselo sulla caviglia o in altri posti, e io amo i tatuaggi sulle dita, e ho pensato che sarebbe stato bello se avessimo fatto il dito che fa ‘shhh’”.

Pretty Little Liars: streaming Italia

Dove vedere Pretty Little Liars in Italia in streaming? La serie è stata trasmessa sui canali Mediaset, e ora è disponibile in streaming su Netflix Italia.

Fonti: Seventeen, Cosmopolitan

 
 

Venezia 75: presentato La profezia dell’Armadillo, dal fumetto di Zerocalcare

La profezia dell'Armadillo

La profezia dell’Armadillo, film diretto da Emanuele Scaringi e basato sull’omonimo fumetto di Zerocalcare, è stato presentato alla Mostra di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti. A parlarne è intervenuto Domenico Procacci per Fandango, produttore, il regista Emanuele Scaringi, e il cast al completo guidato dall’armadillo Valerio Aprea, con Simone Liberati (Zero) e l’ottimo Pietro Castellitto (Secco).

“Un’elaborazione del lutto con il tono della commedia” così Emanuele Scaringi esordisce, parlando del fumetto e dell’adattamento a cui ha lavorato. Il progetto ha avuto una fase di organizzazione molto complessa: doveva essere l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea, che compare tra gli sceneggiatori del film, insieme a Johnny Palomba, Oscar Glioti e allo stesso Zerocalcare, ma l’attore romano è poi stato risucchiato a un progetto che uscirà in autunno e che rispecchiava di più le sue intenzioni.

Per Simone Liberati, il protagonista, la responsabilità era quella di interpretare Zerocalcare: “Era questa la sfida, l’insidia maggiore, poi però mi sono sentito di svincolarmi da tutte le aspettative derivanti dal fumetto popolare e apprezzatissimo dal pubblico. Non volevamo banalizzare il racconto e alla sua complessità. Quando poi ho comicniato a sentirsi sempre più ansioso, come il personaggio, ho capito che sarebbe stata questa la direzione giusta.”

La profezia dell'ArmadilloValerio Aprea ha indossato l’armatura dell’armadillo, confessando di essersi sentito addosso una responsabilità enorme, facendo un esempio dalla sua esperienza personale: “Io sono grande amante di Asterix e Obelix, e quando vidi per la prima volta un cartone animato di quel fumetto, rimasi turbato anche solo dalla voce dei personaggi. Per cui capisco perfettamente la responsabilità di portare in vita un fumetto così famoso e amato. Spero di non fare la fine dell’attore che ha interpretato Jar-Jar Binks in Star Wars.”

Sulla struttura apparentemente frammentata del film, Emanuele Scaringi ha dichiarato che lo sforzo è andato nella direzione di provare a ottenere una storia più fluida in contrapposizione alle strisce a fumetti, la verità è che la storia è esile e che il film funziona “per associazione emotiva con quello che provano i personaggi, più che per lo svolgersi di azioni”.

La profezia dell’Armadillo uscirà distribuito da Fandango il 13 settembre in circa 150 copie.