Netflix porta
sul piccolo schermo la vita di Ayrton da Silva in
Senna, una miniserie di sei episodi che, per la
prima volta, racconta in forma drammatica la vita e la leggenda del
pilota brasiliano, uno dei più grandi della storia della Formula 1.
Una produzione che non si limita a esplorare i circuiti e i record,
ma si addentra nella vita privata, nelle origini e nella tragica
scomparsa di un uomo che ha vissuto e amato senza riserve il mondo
delle corse.
Senna è un simbolo di passione
Ayrton Senna non è
solo un’icona sportiva: è un simbolo di passione,
talento e determinazione. La serie riesce a catturare la
complessità di questa figura leggendaria, evitando di cadere nei
cliché. Attraverso la buona interpretazione di Gabriel
Leone, attore brasiliano classe ’93, il ritratto del
pilota emerge vivido e autentico, realizzato con grande
sensibilità. Leone non si limita a una somiglianza fisica, ma
incarna le movenze, il carisma e quella determinazione feroce che
hanno reso Senna un fuoriclasse.
La serie si colloca a metà tra
l’adrenalina della pista e l’intimità del campione, bilanciando la
dimensione dello sportivo con quella dell’uomo. Le corse, girate
con realismo e grande padronanza dei ritmi, portano sullo schermo
l’eccitazione, l’elettricità di quei secondi in cui tutto sembra
sospeso, mentre i momenti più lenti rivelano le fragilità ma
soprattutto le ambizioni di un uomo che, dietro il casco, era molto
più di un semplice pilota.
Un biopic che non ha paura di
osare
I biopic, soprattutto quelli
dedicati a figure di culto, rischiano spesso di essere apologetici.
Troppo spesso si sbilanciano verso la sola celebrazione o, al
contrario, si impantanano in una critica fredda e distaccata.
Senna evita entrambe le trappole, riuscendo a
rendere omaggio al campione senza perdere l’obiettività narrativa,
ritraendo anche le sue ombre e i suoi eccessi. Questo equilibrio fa
sì che la serie sia coinvolgente anche per coloro che non subiscono
il culto del pilota, quindi anche per spettatori più giovani, che
non sono vissuti nell’eco di quel nome: gli appassionati di Formula
1 troveranno nei dettagli tecnici e nelle ricostruzioni storiche un
tributo sincero alla loro passione, e chi non ha mai seguito una
gara potrà lasciarsi trasportare da una storia universale di
sacrificio, ambizione e amore per ciò che si fa, anche fuori dal
mito.
Una regia tra velocità e
introspezione
Uno degli aspetti più sorprendenti
della serie è senza dubbio la regia firmata da Julia
Rezende. Le sequenze di corsa, con inquadrature
ravvicinate e movimenti di macchina che seguono le traiettorie
delle auto, trasmettono l’adrenalina di una gara. Il suono dei
motori, i cambi di ritmo e la tensione palpabile immergono lo
spettatore nell’esperienza, facendogli provare la stessa scarica di
energia che Senna viveva in pista. I piedi sui pedali diventano
materia più che immagini, seguendo un ritmo incalzante impreziosito
da un lavoro eccellente del reparto sonoro.
Ma nelle pause, nei momenti in cui
la macchina da presa si concentra sul volto di Gabriel
Leone o su uno scambio di battute con i familiari, emerge
tutta l’umanità del protagonista. La narrazione rallenta, si fa
intima, mostrando il lato più fragile e sincero del campione, anche
capriccioso e ostinato.
Un’interpretazione da pole
position
Gabriel Leone
merita una menzione speciale. La sua trasformazione in
Ayrton Senna è straordinaria, tanto da far
dimenticare allo spettatore di trovarsi davanti a un attore e non
al vero campione. E l’efficacia della sua interpretazione, oltre
che sulla somiglianza fisica, si fonda sulla delicatezza con cui è
in grado di interpretare l’Ayrton privato. La sua performance è una
delle ragioni di maggior pregio di questa miniserie.
Un racconto che conquista
tutti
La grande forza di
Senna sta nella sua capacità di parlare a un
pubblico trasversale. Quando si toccano i miti si corre sempre il
rischio di lasciarli in disparte, perché troppo in alto per la
gente comune, e invece la serie trascina giù l’idolo dal
piedistallo, lo abbraccia e lo schiaffeggia, rendendo umana la
divinità, popolano il re (per usare una metafore della serie
stessa). Il cuore pulsante di Senna non sono solo le gare, ma i
valori che Ayrton rappresentava: la dedizione, il coraggio, il
sacrificio. È un racconto che inevitabilmente ispira, ma anche che
sottolinea l’eccezionalità del soggetto. Senna è
un tributo sincero e appassionato a un uomo che ha cambiato la
storia dello sport.
Gli ultimi anni sono stati
particolarmente difficili per il cinema, rallentato prima
dalla pandemia e poi (per quanto riguarda quello statunitense)
dagli scioperi verificatisi a Hollywood. Eppure, nonostante ciò, la
settima arte ha ugualmente trovato la forza di portare sul grande
(o sul piccolo) schermo, grazie ad alcuni film recenti, storie
giuste per questi tempi, capaci di risollevare gli animi, infondere
nuova speranza e ricordare a tutti la forza che il cinema stesso
possiede e quanto sia indispensabile, oggi più che mai, per
comunicare e raccontare storie, di cui l’essere umano ha tanto
bisogno.
In questi anni si è infatti
assistito al ritorno di celebri autori, molti dei quali impegnati
proprio a riflettere su sé stessi attraverso il cinema stesso, ma
ci si è imbattuti anche in nuove generazioni di registi che stanno
dimostrando di possedere voci ben distinte e originali, capaci di
comunicare nuove cose sul mondo, sull’uomo e sulla vita. Nonostante
siano stati anni difficili, dunque, c’è stata tanta bellezza al
cinema. Qui di seguito, si propongono una lista dei film
migliori degli ultimi anni, titoli da vedere
assolutamente per il proprio bene.
Film recenti da vedere in uscita nel 2025
Il 2025 si preannuncia come un anno
ricco di opere straordinarie, pronte a riaffermare ancora una volta
il potere del cinema, offrendo nuovi racconti, scenari ed emozioni.
Sono già molti i film più attesi con l’anno che è
iniziato con una pellicola
horror. Sarà un anno segnato da grandi ritorni, sequel, film
originali e opere ancora poco conosciute, ma che non tarderanno a
farsi scoprire. Di seguito, ecco alcuni dei titoli da non
perdere.
Nosferatu. Il film horror gotico scritto e
diretto da Robert Eggers e remake del
film Nosferatu: A Symphony of Horror (1922), a
sua volta un adattamento non autorizzato del romanzo Dracula (1897)
di Bram Stoker. Il film è interpretato da Bill
Skarsgård, Nicholas Hoult e Lily-Rose Depp. Il cast di
supporto comprende Aaron Taylor-Johnson, Emma Corrin, Ralph Ineson,
Simon McBurney e Willem Dafoe.
Il Signore degli Anelli: La guerra dei
Rohirrim. Film anime fantasy diretto da
Kenji Kamiyama da una sceneggiatura di Jeffrey Addiss & Will
Matthews e Phoebe Gittins & Arty Papageorgiou, basata sui
personaggi creati da J. R. R. Tolkien.
Ambientato circa 200 anni prima delle trilogie cinematografiche
de Il Signore degli Anelli (2001-2003) e Lo Hobbit
(2012-2014) di Peter Jackson, racconta la storia del
leggendario re di Rohan Helm Hammerhand. Quando i vicini
Dunlendings gli propongono di sposare sua figlia Héra, Helm uccide
involontariamente il loro capo, scatenando una guerra.
Sonic – Il film 3 – basato sulla serie di
videogiochi Sonic. Terzo film della serie Sonic, è stato diretto da
Jeff Fowler e scritto da Pat Casey, Josh Miller e John Whittington.
Jim Carrey, Ben Schwartz, Colleen O’Shaughnessey, James Marsden,
Tika Sumpter e Idris Elba riprendono i loro ruoli, mentre Keanu
Reeves si unisce al cast. Nel film, Sonic, Tails e Knuckles
affrontano Shadow the Hedgehog, che si allea con gli scienziati
pazzi Ivo e Gerald Robotnik per vendicarsi dell’umanità.
Better Man, film musicale biografico
co-scritto, prodotto e diretto da Michael Gracey sulla vita del
cantante inglese Robbie Williams. Williams è
ritratto come uno scimpanzé antropomorfo con immagini generate al
computer (CGI), interpretato da Jonno Davies con il motion capture
e doppiato sia da Williams che da Davies.
Maria, il film drammatico biografico diretto
da Pablo Larraín e scritto da Steven Knight. È una coproduzione
internazionale tra Italia, Germania e Stati Uniti. Il film ha come
protagonista Angelina
Jolie nei panni della cantante lirica Maria
Callas e segue i sette giorni precedenti la sua morte a
Parigi nel 1977, mentre riflette sulla sua vita e sulla sua
carriera.
A Complete Unknown, il film biografico diretto
da James Mangold, che ha co-scritto la sceneggiatura con Jay Cocks,
sul cantautore americano Bob Dylan. Basato sul libro del 2015 Dylan
Goes Electric! di Elijah Wald, il film ritrae Dylan attraverso i
suoi primi successi musicali folk fino alla controversia epocale
sull’uso di strumenti elettrici al Newport Folk Festival del
1965. Timothée Chalamet (che è anche
produttore) interpreta il ruolo di Dylan, con Edward Norton, Elle
Fanning, Monica Barbaro, Boyd Holbrook, Dan Fogler, Norbert Leo
Butz, Eriko Hatsune, Big Bill Morganfield, Will Harrison e Scoot
McNairy nei ruoli secondari. Il titolo del film deriva dal
ritornello del singolo di Dylan del 1965 “Like a Rolling
Stone”.
L’abbaglio, film
diretto da Roberto Andò e racconta di Giuseppe Garibaldi che ha
ormai allestito la spedizione dei Mille. A guidarla vi è anche il
ferreo tenente colonnello siciliano Vincenzo Orsini, pronto a
scontrarsi col suo passato in quanto ex ufficiale borbonico.
All’arruolamento delle camicie rosse nei pressi di Quarto si
presentano, tra i vari volontari, prima Domenico Tricò, contadino
con problemi di zoppia, poi Rosario Spitale, un baro.
The Brutalist è il film diretto e
prodotto da Brady Corbet, che ne ha curato la sceneggiatura insieme
a Mona Fastvold. Il film ha come protagonista Adrien Brody nei
panni di un ebreo ungherese sopravvissuto all’Olocausto che emigra
negli Stati Uniti, dove lotta per realizzare il Sogno Americano
fino a quando un ricco cliente non gli cambia la vita.
Film recenti da vedere in uscita
nel 2024
Anya Taylor-Joy in Furiosa di George Miller
Anche il 2024 promette di essere
ricco di opere potenzialmente straordinarie, dotate della forza di
riaffermare una volta di più il potere del cinema offrendo nuovi
racconti, scenari e ed emozioni. Sono già tanti i
film più attesi per il 2024, tra cui si annoverano molti
film horror. Sarà infatti un anno ricco di grandi ritorni, di
sequel, di film originali e di opere ancora non presenti sui nostri
radar ma che non tarderanno a farsi scoprire. Di seguito, ecco
giusto qualche titolo da non perdere.
Anora di Sean Baker. Anora, una
prostituta di Brooklyn, ha la possibilità di vivere una storia da
Cenerentola quando incontra e sposa il figlio di un oligarca.
Quando la notizia arriva in Russia, la sua favola è
minacciata.
Inside Out 2 (2024). Film d’animazione del
2024 diretto da Kelsey Mann al suo debutto alla regia. Il film è il
sequel di Inside Out prodotto dai Pixar Animation Studios, in
co-produzione con Walt Disney Pictures, e distribuito da Walt
Disney Studios Motion Pictures.
Kung Fu Panda 4, (2024). Quando una potente
mutaforma mette gli occhi sul Bastone della Saggezza di Po,
quest’ultimo si rende conto di aver bisogno di aiuto. Facendo
squadra con una volpe corsara dalla grande prontezza di spirito, Po
fa una scoperta.
A Quiet Place – Giorno 1, Michael Sarnoski
(2024). Quando New York City viene invasa dagli alieni, una donna e
altri sopravvissuti cercano di trovare la salvezza. Presto imparano
che devono rimanere assolutamente in silenzio, poiché le misteriose
creature sono attratte dal suono.
Cattivissimo me 4, Chris Renaud (2024). Dopo
sette anni dall’ultimo Cattivissimo Me, Gru, il supercattivo
preferito dal mondo intero, diventato agente della Lega
Anti-Cattivi, torna al fianco dei Minions per un’entusiasmante,
caotica e audace nuova era, con Cattivissimo Me 4 firmato da
Illumination. Gru affronta un nuovo nemico, Maxime Le Mal (l’icona
della commedia Will Ferrell, doppiato da Stefano Accorsi) e la
fidanzata, la femme fatale Valentina (candidata all’Emmy Sofia
Vergara), per cui la famiglia sarà costretta alla fuga.
I dannati, Roberto Minervini (2024). Inverno
1862. Nel bel mezzo della Guerra Civile, l’esercito americano invia
una compagnia di volontari nei territori occidentali, con il
compito di pattugliare le inesplorate terre di confine.
Kinds of
Kindness, Yorgos Lanthimos (2024). Tre storie ruotano
attorno a un uomo che cerca di prendere il controllo della propria
vita, a un poliziotto la cui moglie sembra un’altra persona e a una
donna che cerca una persona con una capacità speciale.
Dune – Parte
2, Denise Villeneuve (2024). Paul
Atreides si raduna dietro Chani e i Fremen mentre trama la sua
vendetta contro coloro che hanno distrutto la sua famiglia. Deve
fare di tutto per prevenire un terribile futuro che solo lui può
prevedere. Al cinema il 28 febbraio 2024.
Past
Lives, Celine Song (2023). All’età di dodici anni, i
due amici d’infanzia Nora e Hae Sung vengono separati dopo che la
famiglia di Nora è emigrata dalla Corea del Sud. 24 anni dopo, si
riuniscono per una settimana quando Hae Sung va a trovare Nora a
New York. Al cinema il 14 Febbraio 2024.
Povere
creature!, Yorgos Lanthimos (2023).
Il film racconta la storia di Bella Baxter, una donna riportata in
vita da uno scienziato molto interessato alle contaminazioni, che
le ha però donato il cervello di un’infante. Per Bella, dunque, pur
avendo un aspetto da adulta tutto è nuovo e tutto merita di essere
scoperto. Ha così inizio un folle viaggio ricco di passioni, amore
e scoperta della propria indipendenza.
The
Zone of Interest, Jonathan Glazer
(2023). Rudolf Höß, comandante del campo di concentramento di
Auschwitz, sua moglie Hedwig, i loro cinque figli e altri
personaggi trascorrono la propria quotidianità all’interno della
cosiddetta area di interesse (Interessengebiet) di circa 25 miglia
attorno al campo, volutamente ciechi all’orrore che si sta
consumando al di là del muro che li divide. Al cinema il 22
Febbraio 2024.
Challengers,
Luca Guadagnino (2024). Tashi deve abbandonare il
campo e rimane nel mondo del tennis come allenatrice di suo marito,
Art. Dopo alcune vittorie, Tashi iscrive il marito Art al
Challenger Tour, dove il destino vuole che si scontri con Patrick,
ex fidanzato di Tashi. Al cinema il 24 Aprile
2024.
Estranei (All of
Us Strangers), Andrew Haigh. Adam viene trasportato nella
sua casa d’infanzia quando stringe un legame con il misterioso
vicino Harry. Sembra che i suoi genitori siano ancora vivi, proprio
come il giorno in cui sono morti 30 anni fa. Al cinema dal 29
Febbraio 2024.
Civil
War, Alex Garland (2024). In un
futuro prossimo, un team di giornalisti attraversa gli Stati Uniti,
documentando la guerra civile in atto. Garland porta al cinema un
nuovo film dopo il thriller Men, dando vita a degli Stati
Uniti distopici che sembrano però non essere poi così distanti
dalla realtà dei fatti. Al cinema il 18 Aprile 2024.
Il regno del pianeta delle scimmie,
Wes Ball (2024). Quasi 300 anni dopo la morte di
Cesare, diverse società di scimmie sono emerse, come quella di cui
fa parte il giovane scimpanzé Noa. Dopo un improvviso attacco da
parte di un clan guidato da un altro scimpanzé, che ha distorto gli
insegnamenti di Cesare, i membri del clan di Noa vengono ridotti in
schiavitù. Nella sua avventura per salvarli, Noa unisce le forze
con Raka, un orango, e Mae, una ragazza umana. Al cinema il 24
maggio 2024
Furiosa,
George Miller (2024). In un mondo
post-apocalittico, Furiosa, rapita da bambina dal Luogo Verde delle
Molte Madri in cui viveva, viene accolta sotto l’ala del folle
signore della guerra Dementus, il cui esercito di motociclisti
arriverà presto a scontrarsi con la potenza rivale di quelle terre
desertiche rappresentata da Immortan Joe. Prequel di Mad Max:
Fury Road, il film segna il ritorno al cinema della saga
di Mad Max.
Hit Man, Richard Linklater
(2024). Gary Johnson diventa per caso un finto sicario, un agente
sotto copertura che fingendosi omicida spinge i suoi clienti ad
autodenunciarsi e farsi arrestare. Quando però viene assoldato da
una donna realmente bisognosa d’aiuto, si troverà davanti ad un
bivio che cambierà per sempre la sua vita.
Perfect
Days, Wim Wenders (2023). Il film
racconta la storia di Hirayama, un uomo umile ma sereno. Lavora
come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, segue
un’assidua routine giornaliera che gli permette di coltivare le sue
passioni: la musica, i libri, la fotografia e gli alberi.
Film recenti da vedere: 2023
Il 2023 è stato un anno molto
importante, che ha visto arrivare al cinema film degni di nota tra
attesi sequel, opere d’animazioni, titoli italiani e riadattamenti
in live action di classici Disney. Certo, gli scioperi
verificatisi ad Hollywood hanno portato tanti film
previsti per quest’anno ad essere rimandati, ma ci sono ugualmente
state numerose opere di grande valore, provenienti da tutto il
mondo, a calcare il grande schermo. Nell’attesa di poterli vedere
tutti, ecco quelli ad ora usciti da recuperare assolutamente.
Barbie,
Greta
Gerwig (2023). Barbie, che vive a Barbie Land, viene
cacciata dal paese perché non è una bambola dall’aspetto perfetto.
Senza un posto dove andare, parte per il mondo umano e cerca la
vera felicità. Inizierà dunque per lei un viaggio che la porterà a
confrontarsi con sé stessa e la propria eredità.
Oppenheimer,
Christopher Nolan (2023). Il fisico J Robert
Oppenheimer lavora con una squadra di scienziati durante il
Progetto Manhattan, che porta allo sviluppo della bomba atomica. La
sua scoperta cambierà per sempre la storia del mondo e
dell’umanità, non necessariamente in meglio.
Io
capitano, Matteo Garrone (2023). In un’odissea
contemporanea, Seydou e Moussa lasciano Dakar per raggiungere
l’Europa, attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri
di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Il film è stato
candidato agli Oscar 2024 nella categoria Miglior film
internazionale.
Killers of the Flower Moon, Martin Scorsese (2023). Il film racconta la
storia vera di quanto accaduto in Oklaoma, nella contea di Osage
agli inizi degli anni Venti. Una serie di omicidi, aventi come
vittime alcuni cittadini facoltosi della tribù indiana di Osage ha
portato ad un’indagine da parte dell’FBI che ha svelato una serie
di manipolazioni ed estorsioni con l’inganno dei beni degli Osage
fino a ricorrere all’omicidio.
C’è ancora domani,
Paola Cortellesi (2023). Nella Roma della seconda metà
degli anni Quaranta, Delia riveste esclusivamente i ruoli di moglie
e madre, mentre il marito Ivano è il capofamiglia. Il fidanzamento
della primogenita, con un ragazzo proveniente dal ceto borghese,
crea fermento in famiglia. Quando Delia riceve una misteriosa
lettera, la donna è determinata a rovesciare i
ruoli prestabiliti e riesce finalmente a immaginare un futuro
migliore.
The
Killer, David Fincher (2023). Un uomo
solitario e freddo, metodico e libero da scrupoli o rimpianti,
l’assassino attende nell’ombra, spiando il suo prossimo obiettivo.
Eppure più aspetta, più pensa di perdere la testa, se non la calma.
Una storia noir brutale, sanguinosa ed elegante di un assassino
professionista perso in un mondo senza una bussola morale, questo è
un caso di studio di un uomo solo, armato fino ai denti e che sta
lentamente perdendo la testa.
Anatomia di una caduta, Justin
Trier (2023). Sandra è una scrittrice tedesca che vive in
uno chalet di montagna con il marito Samuel e il figlio undicenne
Daniel non vedente. Quando Samuel viene trovato morto, gli
inquirenti sospettano che possa non essersi trattato di suicidio e
Sandra diventa la principale sospettata di omicidio. Il processo
porterà alla luce verità indicibili.
Napoleon,
Ridley Scott (2023). La rapida e spietata
scalata di Napoleone Bonaparte per diventare imperatore di Francia
si scontra con la sua disfunzionale e volatile relazione con la
moglie Giuseppina, il suo vero amore.
Godzilla Minus
One, Takashi Yamazaki (2023). Shikishima
è tornato dalla guerra ed è schiacciato dal rimorso di essere un
sopravvissuto e dal senso di colpa per quanto accaduto. Inizia a
lavorare su una barca dragamine, ma dopo una serie di test nucleari
americani dell’Operazione Crossroads condotti nell’atollo di
Bikini, una gigantesca creatura nota come Godzilla, evolutasi a
causa delle radiazioni, inizia ad attaccare Tokyo, spargendo morte
e distruzione.
Il
male non esiste, Ryûsuke
Hamaguchi (2023). Il film segue Takumi e sua figlia Hana,
che vivono nel villaggio di Mizubiki, vicino a Tokyo. Un giorno,
gli abitanti di questo vengono a conoscenza di un piano per
costruire un glamping vicino alla casa di Takumi, offrendo ai
residenti della città una comoda fuga nella natura. Quando due
rappresentanti dell’azienda di glamping arrivano nel villaggio per
tenere un incontro, diventa chiaro che il progetto avrà un impatto
negativo sull’approvvigionamento idrico locale, provocando
disordini.
Il
ragazzo e l’airone, Hayao Miyazaki
(2023). Mahito, un ragazzino di 12 anni, fatica ad ambientarsi in
una nuova città dopo la morte della madre. Tuttavia, quando un
airone parlante lo informa che sua madre è ancora viva, entra in un
mondo fantastico alla sua ricerca.
The Holdovers, Alexander Payne
(2023). Il film racconta la storia di uno scontroso professore di
una scuola privata del New England, che rimane nel campus durante
le vacanze di Natale per sorvegliare gli studenti che non possono
tornare a casa. Alla fine stringe un improbabile legame con
uno di loro, un ragazzo strambo e problematico, e con la cuoca
della scuola, il cui figlio è rimasto ucciso in Vietnam.
The
IronClaw, Sean
Durkin (2023). Il film racconta la vera storia degli
inseparabili fratelli Von Erich, che hanno fatto la storia nel
mondo molto competitivo del wrestling professionistico nei primi
anni ’80. Attraverso la tragedia e il trionfo, all’ombra del loro
prepotente padre e allenatore, i fratelli cercano un’immortalità
straordinaria sul più grande palcoscenico dello sport.
Scream VI,
Tyler Gillett e Matt
Bettinelli-Olpin (2023). Quattro sopravvissuti agli
omicidi di Ghostface si lasciano alle spalle Woodsboro per
ricominciare da capo a New York. Tuttavia, si ritrovano presto a
lottare per le loro vite quando un nuovo assassino si lascia dietro
una scia di morti.
Bussano alla
porta, M. Night Shyamalan (2023).
Mentre sono in vacanza in una baita isolata, una giovane ragazza e
i suoi genitori vengono presi in ostaggio da quattro sconosciuti
armati che chiedono alla famiglia di compiere una scelta
impensabile per evitare l’apocalisse.
Beau ha paura,
Ari Aster (2023). Beau è un uomo spaventato da
ogni cosa che lo circonda. Quando si vede costretto ad
intraprendere un viaggio per tornare dalla sua autoritaria madre,
ha per lui inizio un’Odissea imprevedibile, composta da situazioni
assurde, momenti drammatici e continue riflessioni sulla sua intera
vita.
L’ultima notte di
Amore, Andrea Di Stefano (2023).
Nella sua ultima notte prima del pensionamento, il poliziotto
Franco Amore si trova a dover risolvere una situazione critica, che
metterà a rischio la sua vita e i suoi anni di onorata carriera. Ad
interpretare il protagonista di questo cupo polar vi è
l’attore Pierfrancesco Favino.
Il sol
dell’Avvenire, Nanni Moretti (2023).
Giovanni è un regista italiano che ha smesso di credere
nell’avvenire, diviso tra una moglie in analisi e un produttore
sull’orlo del fallimento. Proprio come il protagonista del suo
nuovo film, Giovanni sembra allora pronto a farla finita col mondo
che avanza in direzione ostinata e contraria, ma qualcosa potrebbe
cambiare.
Air – La storia
del grandesalto,
Ben Affleck (2023). Il clamoroso accordo, destinato a
rivoluzionare la cultura e il mondo dello sport, fra un allora
sconosciuto Michael Jordan e il neonato reparto pallacanestro della
Nike, che diede vita al brand Air Jordan.
Spider-Man: Across the Spider-Verse,
Joaquim Dos Santos, Justin K. Thompson, Kemp
Powers (2023). Miles Morales torna per un’epica avventura
che porterà il nostro eroe di Brooklyn attraverso il multiverso per
unire le forze con Gwen Stacy e una nuova squadra di
supereroi.
Mission:
Impossible – DeadReckoning, Christopher
McQuarrie (2023). Ethan Hunt e la sua squadra dell’IMF si
trovano di fronte alla sfida più pericolosa che abbiano mai
affrontato: trovare e disinnescare una nuova terrificante arma che
minaccia l’ intera umanità. Con il destino del mondo e il controllo
del futuro appesi a un filo, la squadra inizierà una frenetica
missione in tutto il mondo, per impedire che l’arma cada nelle mani
sbagliate.
Film recenti da vedere: 2022
Il 2022 è stato un anno veramente
ricchissimo, con film di grande valore provenienti da ogni parte
del mondo. Qui raccogliamo solo alcuni dei più belli, tra grandi
kolossal fino ad opere più piccole e autoriali, senza dimenticare
le tante opere di genere, i film passati per i festival o premiati
agli Oscar. Ecco dunque il meglio dell’anno da poco passato.
Avatar – La via
dell’acqua, James Cameron (2022). In questo
atteso sequel, Jake vive felicemente la sua vita insieme a Neytiri
ma Pandora nasconde ancora numerosi misteri. Per difendere la
sua famiglia, si ritroverà a dover combattere una nuova dura guerra
contro gli umani e contro un vecchio nemico.
The Fabelmans,
Steven Spielberg
(2022). Il giovane Sammy Fabelman si innamora del cinema dopo che i
genitori lo portano a vedere il film Il più grande spettacolo del
mondo. Armato di una cinepresa, Sammy inizia a girare i suoi film a
casa, per la gioia della madre che lo sostiene.
Pinocchio,
Guillermo del Toro (2022). Il desiderio di un
padre porta magicamente in vita un bambino di legno in Italia,
dandogli la possibilità di prendersene cura. Rivisitazione in
stop-motion del classico di Collodi, arricchito qui di nuovi
significati, valori ed elementi magici.
Le buone stelle –
Broker, Kore’eda Hirokazu (2022). Due
uomini si guadagnano da vivere trovando nuovi genitori per i
bambini che vengono abbandonati in delle scatole. Incontrano una
giovane donna che ha abbandonato il suo bambino, ma che ora lo
rivuole.
Gli spiriti
dell’isola, Martin McDonagh (2022).Su
un’isola remota al largo della costa irlandese, Pádraic è sconvolto
quando il suo compagno Colm interrompe improvvisamente la loro
amicizia di una vita. Pádraic si propone di riparare il rapporto
danneggiato con ogni mezzo necessario.
Everything Everywhere All At
Once, The Daniels (2022). Evelyn
Wang, un’immigrata cinese sulla cinquantina, attualmente impegnata
in una lezione noiosa e condiscendente, si ritrova in un
ripostiglio delle scope con una versione di suo marito proveniente
da un universo alternativo.
Elvis,
Baz Luhrmann (2022). La nascita, l’ascesa e il
travolgente successo mondiale di Elvis Presley, stella
incontrastata del firmamento musicale, viste dagli occhi del suo
manager storico, il colonnello Tom Parker.
Tàr,
Todd Field (2022). La celebre musicista Lydia Tár
sta per registrare la sinfonia che rappresenterà l’apice della sua
arte e carriera. Tuttavia, quando il destino sembra essere contro
di lei, trova conforto solo in Petra, la sua figlia adottiva.
Top Gun:Maverick, Joseph
Kosinski (2022). Pete Mitchell, detto Maverick, continua a
superare i suoi limiti dopo essere stato per anni uno dei migliori
aviatori della Marina. Tuttavia, deve affrontare il suo passato
mentre addestra un nuovo gruppo per una missione estremamente
pericolosa.
Close,
Lukas Dhont (2022). I tredicenni Léo e Rémis hanno
un rapporto di profonda amicizia a scuola e nei campi dove, insieme
ai genitori, si occupano della raccolta di fiori. Quando i compagni
di scuola seminano zizzania nel loro rapporto, le conseguenze sono
fatali.
Crimes of the
Future, David Cronenberg (2022). Gli
esseri umani stanno mutando e il dolore è quasi scomparso. In
questo nuovo mondo, due artisti della performance hanno trasformato
le operazioni in una forma d’arte di successo e redditizia.
Decision toLeave, Park Chan-wook (2022).
L’ispettore Hae Joon avvia un’indagine sulla morte apparentemente
innaturale di un uomo su una montagna e incontra la vedova Seo Rae.
Hae Joon lsospetta che sia lei la responsabile dell’omicidio, ma
allo stesso tempo subisce il suo fascino.
The Whale,
Darren Aronofsky (2022). Un insegnante di inglese
obeso e solitario cerca di riallacciare i rapporti con la figlia
adolescente allontanata per avere un’ultima possibilità di
redenzione. Vincitore del premio Oscar al miglior attore
protagonista Brendan Fraser.
Babylon,
Damien Chazelle (2022). Los Angeles negli anni
’20. Una storia di ambizione smodata ed eccesso sfrenato, l’ascesa
e la caduta di vari personaggi nella creazione di Hollywood,
un’epoca di decadenza e depravazione sfrenate.
Master
Gardener, Paul Schrader (2022).
Narvel Roth è un esperto orticolturista incaricato del mantenimento
dei giardini di una tenuta sudista appartenente alla ricca vedova
Norma Haverhill. Quando quest’ultima gli affida la giovane nipote
Maya, orfana ed arrivata alla tenuta per sfuggire a una storia di
droga, rischia di far riemergere il passato violento che Narvel ha
cercato per tutti quegli anni di lasciarsi alle spalle.
L’amore secondo Dalva, Emmanuelle
Nicot (2022).
Ritorno a Seoul,
Davy Chou (2022). Freddie, una ragazza di 25 anni
che è stata adottata e vive in Francia, decide di recarsi in Corea
del Sud per cercare i suoi genitori biologici, ma il suo viaggio
prende una piega inaspettata.
Film recenti da vedere: 2021
Il 2021 è stato il primo anno in cui
gradualmente, molto gradualmente, si è tornati ad una “normalità”,
con i cinema che dopo i primi mesi dell’anno hanno ricominciato ad
aprire, proiettando nuovi film. Tra questi, naturalmente, si
annoverano grandi ritorni, opere di genere e in generale titoli
capaci di suscitare grandi emozioni.
È stata la mando di Dio di
Paolo Sorrentino (2021). Napoli, anni Ottanta. La vita del
diciassettenne Fabietto Schisa cambia radicalmente in seguito a due
avvenimenti: l’arrivo di Maradona al Napoli e un grave incidente,
che interrompe la felicità familiare. La storia è basata sulla vita
di Sorrentino stesso, che da ragazzo perse i genitori che rimasero
vittima di un’esplosione in una casa di montagna. Anche Paolo
doveva essere lì, ma Maradona lo salvò. Perché? Perché proprio quel
giorno, Paolo riuscì ad avere il permesso dai genitori di andare
allo stadio a vedere Maradona, invece che in montagna con i
genitori.
Tenet, Christopher
Nolan (2021). Un’azione epica che ruota intorno allo
spionaggio internazionale, ai viaggi nel tempo e all’evoluzione,
mentre un agente segreto deve cercare in tutti i modi di prevenire
la Terza Guerra Mondiale.
Titane, Julia Ducournau
(2021). Alexia adora le automobili, sin da quando, bambina, un
incidente le ha donato una placca di titanio nella testa. Facendola
rinascere, gonfia di rabbia e amore represso che la trasformeranno
in un essere ibrido e nuovo. Il film è stato premiato con la Palma
d’Oro, il premio più importante del Festival di Cannes.
L’ultima notte a Soho, Edgar
Wright (2021). In questo thriller psicologico, Eloise, che
sogna di diventare una fashion designer, riesce misteriosamente a
catapultarsi negli anni Sessanta dove incontra Sandie, un’aspirante
cantante di grande fascino. Ma il glamour non è esattamente quello
che sembra: i sogni del passato iniziano a infrangersi e
approderanno a qualcosa di molto più oscuro.
Malignant, James Wan
(2021). Nel film, Madison è paralizzata da visioni scioccanti di
orribili omicidi e il suo tormento peggiora quando scopre che
questi sogni ad occhi aperti sono delle terrificanti realtà. Wan,
maestro dell’horror contemporaneo, porta al cinema una nuova favola
nera, ricca di inquietudini e orrori.
Il potere del cane,Jane Campion (2021). Il film presentato in
concorso alla 78° Mostra del cinema di Venezia
racconta di George e Phil, una coppia di fratelli che possiede un
ranch nel Montana. Quando George sposa la giovane vedova Rose e la
porta a vivere nel ranch, Phil prende di mira la donna e suo figlio
Peter, tormentandoli senza sosta. La pellicola è l’adattamento
cinematografico dell’omonimo romanzo del 1967 di Thomas Savage, è
interpretato da Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst,
Jesse Plemons e Kodi
Smit-McPhee.
Candyman, Nia DaCosta
(2021). Anthony, un artista visivo, incontra un veterano che espone
la vera storia dietro Candyman. Ansioso di usare questi dettagli
macabri per i dipinti, scatena inconsapevolmente una terrificante
ondata di violenza.
A Quiet Place II,
John Krasinski (2021). La famiglia Abbott affronta i
terrori del mondo esterno. Costretti ad avventurarsi nell’ignoto, i
membri della famiglia si rendono conto che le creature che cacciano
dal suono non sono le uniche minacce che si nascondono oltre il
sentiero di sabbia.
Halloween Kills, David Gordon
Green (2021). Laurie Strode lascia il mostro mascherato
Michael Myers rinchiuso nel suo seminterrato, convinta di essersi
finalmente liberata di lui. Ma quando Michael riesce a liberarsi
dalla trappola di Laurie, la sua carneficina continua.
Old, M. Night shyamalan
(2021). Una vacanza tropicale si trasforma in un orribile incubo
quando una famiglia visita una spiaggia appartata che in qualche
modo li sta facendo invecchiare rapidamente, riducendo la loro
intera vita in un solo giorno.
Io sono nessuno, Ilya
Naishuller (2021). Un violento episodio scatena in Hutch
Mansell, un marito trascurato e un papà sottovalutato, una rabbia a
lungo repressa, facendogli scoprire abilità letali e portando alla
luce oscuri segreti.
La donna alla finestra, Joe
Wright (2021). La dottoressa Anna Fox passa le sue
giornate rinchiusa nella sua casa di New York, bevendo vino mentre
guarda vecchi film e spiando i suoi vicini. Un giorno, guardando
fuori dalla finestra, vede qualcosa che accade nell’abitazione dei
Russell.
Licorice Pizza,
Paul Thomas Anderson (2021). La storia di Alana
Kane e Gary Valentine, che crescono e si innamorano nella San
Fernando Valley del 1973, in California. Il film segue i loro primi
passi esitanti sulla via dell’amore. Nostalgico, divertente, ricco
di sentimenti, Licorice Pizza è un nuovo grande film di
uno dei più grandi registi attualmente in attività.
Belfast, Kenneth Branagh (2021). Le vite di una
famiglia operaia e del loro giovane figlio, cresciuto durante il
tumulto degli anni ’60 nella capitale dell’Irlanda del Nord.
No time to
die,Cary Joji
Fukunaga (2021). Bond si gode una vita tranquilla in
Giamaica dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto
vivere viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un
vecchio amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La
missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si
rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle
tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa
tecnologia.
Dune, Denis
Villeneuve (2021). In un distante futuro dell’umanità, il
duca Leto Atreides accetta la gestione di un pericoloso pianeta,
Dune, l’unica fonte di una droga in grado di allungare la vita e
fornire eccezionali capacità mentali.
La fiera delle illusioni –
Nightmare Alley, Guillermo Del Toro
(2021). Un giostraio ambizioso con un talento per manipolare le
persone con poche parole ben scelte inizia una relazione con una
psichiatra che si rivela essere ancora più pericolosa di lui.
West Side Story,Steven Spielberg
(2021). Due adolescenti di diverse origini etniche si innamorano
nella New York degli anni 50. Una rivisitazione del leggendario
musical West Side Story sullo scontro tra due bande di strada di
New York.
Parigi 13Arr., Jacques Audiard
(2021). Le vite di Émilie, Camille, Nora e Amber, amici e
occasionalmente amanti, si intrecciano nel quartiere parigino di
Les Olympiades. Audiard dà voce ad un trio di giovani in cerca del
proprio posto nel mondo, tra sesso, inganni e paure per il
futuro.
Drive My Car,
Ryūsuke Hamaguchi (2021). Un attore e regista
teatrale rimasto vedovo cerca un autista. L’uomo si rivolge al suo
meccanico, che finisce per consigliargli una ragazza di 20 anni.
Nonostante i timori iniziali, tra i due si sviluppa una relazione
molto speciale. Vincitore del premio Oscar al Miglior film
internazionale.
Scompartimento n. 6, Juho
Kuosmanen (2021). Una ragazza finlandese sale su un treno
diretto a Murmansk per sfuggire a una tormentata storia d’amore,
trovandosi a dividere il vagone letto con un minatore russo durante
il lungo viaggio. Da un iniziale diffidenza nascerà una profonda
amicizia. Un’inno a chi fugge, a chi si apre al mondo e a chi
ritrova la propria strada nei modi più imprevedibili.
Spencer,
Pablo Larraìn (2021). Nel 1991, durante le vacanze
di Natale con la famiglia reale a Sandringham House, nel Norfolk,
Diana Spencer decide di porre fine al suo matrimonio da tempo in
crisi con Carlo, principe del Galles.
Film recenti da vedere: 2020
Ecco di seguito alcuni dei migliori
film del 2020, che offrono storie di redenzione, con personaggi
alla ricerca di sé stessi o chiamati a scendere a patti con il
labirinto che è la propria mente. Ma si ritrovano anche opere di
genere, dal thriller all’horror, passando per l’avventura e altro
ancora.
Nomadland, Chloé Zhao (2020). Dopo aver
perso il marito e il lavoro durante la Grande recessione, la
sessantenne Fern lascia la città aziendale di Empire, Nevada, per
attraversare gli Stati Uniti occidentali sul suo furgone, facendo
la conoscenza di altre persone che, come lei, hanno deciso o sono
stati costretti a vivere una vita da nomadi moderni, al di fuori
delle convenzioni sociali.
L’uomo invisibile, Leigh
Whannell (2020). Intrappolata in una relazione violenta
con un brillante scienziato, Cecilia Kass scappa nel cuore della
notte facendo perdere le sue tracce. Nel frattempo, l’uomo sta
escogitando un diabolico piano.
Minari, Lee Isaac Chung (2020). Negli anni
ottanta, la vita del piccolo coreano-americano David cambia
drasticamente quando la sua famiglia si trasferisce dalla costa
occidentale nel cuore dell’Arkansas rurale per inseguire il sogno
lavorativo del padre Jacob, incurante delle preoccupazioni di sua
moglie. A complicare le cose in casa si aggiunge l’arrivo
dell’anziana nonna dalla Corea, i cui modi così diversi dai loro
suscitano la curiosità di David e della sua sorellina.
Mank, David Fincher
(2020). La Hollywood degli anni ’30 è rivalutata attraverso gli
occhi e la graffiante ironia dello sceneggiatore alcolista Herman
J. Mankiewicz mentre termina la scrittura del capolavoro che sarà
Quarto potere. Nel film di Fincher si ricostruisce dunque un
periodo particolare della storia del cinema, affrontando questioni
come l’autorialità e i giochi di potere alla base dell’industria
cinematografica.
I Care a Lot, J.
Blakeson (2020). Mala Grayson è una truffatrice che
prosciuga i risparmi degli anziani di cui ha la tutela. Tuttavia,
una donna che cerca di truffare si rivela essere più furba di
quanto non appaia.
Fino all’ultimo indizio, John
Lee Hancock (2020). Il Vice Sceriffo della Kern County,
Joe “Deke” Deacon viene mandato a Los Angeles per quello che doveva
essere un veloce incarico di raccolta di prove. Al contrario, si
trova coinvolto nella caccia al killer che sta terrorizzando la
città. A guidare l’indagine, il Sergente Jim Baxter che, colpito
dall’istinto di Deke, richiede il suo aiuto non ufficiale.
Ma mentre danno la caccia al killer, Baxter ignora che l’indagine
sta riportando a galla alcune situazioni vissute in passato da
Deke, svelando segreti scomodi che potrebbero mettere a repentaglio
molto più che il suo caso.
Sto pensando di finirla
qui, Charlie Kaufman (2020). In viaggio dai genitori di
lui qualcosa va storto, ma fidanzato, famiglia e realtà frammentata
non c’entrano nulla. Kaufman dà vita ad un nuovo oscuro viaggio
nella mente umana, attraverso il subconscio, la memoria, i
sentimenti e i rapporti umani. Il risultato è un film tanto folle
quanto rigoroso ed emotivamente forte.
Le strade del
male, Antonio Campos (2020).
Predicatori diabolici, poliziotti corrotti e amanti omicidi: in un
luogo totalmente sperduto, un giovane di forti valori ha sete di
giustizia. Un grande cast di attori recita in quest’opera corale
dove tutte le sfumature del male (ma anche del bene) finiscono per
convergere nella stessa direzione, offrendo un ritratto variegato e
cupo dell’essere umano.
Il processo ai Chicago
7, Aaron Sorkin (2020). Il film narra
il processo ad un gruppo di attivisti contro la guerra in Vietnam
accusati di aver causato lo scontro tra i manifestanti e la Guardia
Nazionale il 28 agosto 1968 a Chicago. Una storia vera
magnificamente scritta e diretta dallo sceneggiatore di The
Social Network. Il film ha poi ricevuto sei nomination
all’Oscar.
Il casoMinamata, Andrew
Levitas (2020). Il fotografo americano W. Eugene Smith va
in Giappone per indagare sui casi di avvelenamento di mercurio nei
villaggi costieri, causati dall’inquinamento delle industrie
chimiche. Johnny Depp
recita nel ruolo del fotografo Smith alla ricerca di verità che si
preferirebbe non conoscere ma che è indispensabile siano diffuse.
Un’opera di denuncia, che sconvolge per la sua forza.
Il finale di Oceania 2 (Moana
2) è un grande finale esplosivo che cambia radicalmente
l’eroe e pone le basi per un futuro Oceania 3 (Moana
3). Dopo il successo del film del 2016, il sequel lancia
la protagonista in un nuovo viaggio attraverso l’oceano. Incaricata
di ripristinare un’isola perduta e di sciogliere un’enorme
maledizione che mette in pericolo la sua tribù, Vaiana si imbarca
in una missione insieme a un gruppo di leali abitanti del villaggio
e al ritorno di Maui. Tuttavia, il loro cammino li porta
direttamente nelle macchinazioni del malvagio dio Nalo, che ha
lanciato la maledizione.
Oceania 2 (Moana 2) è
destinato a diventare un successo al botteghino, il che potrebbe
spiegare perché il film si conclude con una chiara allusione alle
direzioni future di altri possibili sequel. In particolare,
https://www.cinefilos.it/tutto-film/recensioni/oceania-2-657305″>
Oceania 2 (Moana 2) si conclude con un enorme cambiamento
per Vaiana e il suo mondo, ampliando la portata del suo mondo e
amplificando la sua natura in modo inaspettato. Ecco come il finale
di Oceania 2 (Moana 2) eleva il personaggio e prepara
ulteriori avventure.
Vaiana muore e diventa semidio
L’esperienza di quasi morte di
Vaiana finisce per darle più forza che mai
Tuttavia, grazie all’oceano, gli
spiriti degli antenati di Vaiana (tra cui sua nonna e Tautai Vasa)
sono in grado di riportarla in vita. Questo la trasforma in un
semidio come Maui, conferendole potenzialmente lo stesso tipo di
immortalità che ha permesso a Maui di vivere per oltre mille anni e
di sopportare ferite altrimenti fatali.
Nello stesso modo in cui i poteri
più evidenti di Maui sono incanalati attraverso il suo potente amo,
il remo di Vaiana assume un nuovo significato come arma spirituale.
Il remo è ora ornato da una scritta dorata e sembra essere
un’estensione delle nuove capacità di Vaiana. Sebbene sia probabile
che anche lei, come Maui, benefici di nuovi attributi fisici da
semidio, il remo è la fonte dei suoi poteri soprannaturali più
evidenti. Questo rende il remo un accessorio ancora più importante
per l’eroina in futuro.
I nuovi poteri di Vaiana sono
probabilmente simili alla capacità di Maui di trasformarsi grazie
all’uso del suo amo. Nel primo film, la separazione dall’amo ha
fatto sì che Maui perdesse l’accesso alle sue capacità di
trasformazione, pur mantenendo il suo corpo senza età e la sua
impressionante resistenza. Il remo di Vaiana, invece, non le
permette di trasformarsi. Ma grazie alla luce dorata che emette,
Vaiana può usare il remo per modellare le maree e creare percorsi
nell’oceano. Queste abilità saranno probabilmente fondamentali per
la futura esplorazione dell’oceano.
I tatuaggi di Vaiana
Con questa ascesa, Vaiana ottiene
anche alcuni tatuaggi. Sembrano raffigurare persone che festeggiano
sull’isola di Motufetu, facendo riferimento agli eventi del film
come a una grande azione da parte di Vaiana. Questo è simile al
modo in cui i numerosi tatuaggi di Maui sono stati rivelati nel
primo film come riferimenti ai suoi successi come semidio. È
probabile che, man mano che Vaiana andrà avanti nella vita e
raggiungerà altri traguardi, possa ottenere altri tatuaggi.
Potrebbero anche essere vivi come il Mini Maui, creando una Mini
Vaiana che apparirà in future storie sul personaggio.
Come Vaiana riconnette il popolo
dell’oceano
Il motivo per cui Vaiana si mette
alla ricerca di Motufetu è una visione di Tautai Vasa, che la
informa che l’isola affondata e superata da Nalo ha di fatto
isolato l’angolo di mare di Vaiana dal resto dell’umanità. Se
rimarranno isolati troppo a lungo, i popoli dell’oceano (compresa
la tribù di Vaiana e i Kakamora) si estingueranno. Questo rafforza
gli sforzi di Vaiana per trovare altre tribù, dando il via
all’avventura del film. Risollevando Motufetu e spezzando la
maledizione di Nalo, la protagonista ripristina le linee di
collegamento dell’oceano.
L’impegno si rivela subito proficuo:
altri esploratori provenienti da tutto il mondo approdano
rapidamente su Motufetu. Vaiana li riporta sulla sua isola natale,
dove i vari Wayfinder di diverse tribù vengono mostrati mentre
parlano con Tui e probabilmente creano alleanze. Si tratta di una
conclusione promettente per il film, in quanto apre la strada a
molti nuovi angoli del mondo da esplorare. Potrebbe anche creare un
potenziale dramma, dato che l’esistenza di altre tribù significa
anche che c’è spazio per possibili conflitti in futuro.
A prima vista, in Oceania 2
(Moana 2) Matangi si presenta come un pericoloso cattivo.
Capace di sopraffare e catturare Maui con relativa facilità,
Matangi all’inizio fa intendere di avere piani più grandi per lui e
Vaiana. Tuttavia, si scopre che Matangi è in realtà una serva
involontaria di Nalo ed è rimasta intrappolata nella vongola grande
come un’isola per anni. Sperando che rompere la maledizione che
Nalo ha lanciato sull’oceano la liberi dalla sua morsa, Matangi dà
a Vaiana alcuni consigli fondamentali e la aiuta (insieme a Maui e
al resto dell’equipaggio di Vaiana) ad avventurarsi sull’isola.
In questo modo Matangi diventa un
avversario potenzialmente riluttante per Vaiana, che segue i
comandi di Nalo anche se desidera liberarsi di lui. Tuttavia, una
Vaiana potenziata potrebbe trovare un modo per liberarla,
trasformando Matangi in un alleato.
La vendetta di Nalo e come ci
prepara a Moana 3
Nalo è il vero cattivo di Oceania
2 (Moana 2), anche se i Nalo cerca attivamente di uccidere
Vaiana e il suo equipaggio, inviando enormi serpenti marini e
saette luminose contro il gruppo quando si avvicinano all’isola.
Anche dopo essere stato sconfitto, l’apparizione della divinità
nella scena dei titoli di coda rivela un dio furioso e intenzionato
a vendicarsi. Tutto ciò pone le basi per un epico Oceania
3, soprattutto in considerazione dell’importante aumento
di potenza di Vaiana.
Come il finale di Oceania 2
(Moana 2) si basa sul finale del primo film
In Oceania, la
maledizione causata da Maui che ha preso il Cuore di Te Fiti stava
lentamente uccidendo tutta la vita biologica del mondo. Allo stesso
modo, Vaiana parte per la sua avventura con la consapevolezza che
l’incapacità di espandere l’oceano al suo vero potenziale porterà
alla scomparsa del suo popolo.
Oceania 2 (Moana 2) si
concentra in definitiva sull’importanza di abbracciare il nuovo e
di avere il coraggio di rischiare tutto per l’esplorazione. Tutti i
personaggi di Oceania 2 (Moana 2) sono costretti ad
abbracciare nuove strade pericolose, con la nonna di Vaiana che nel
primo atto comunica alla nipote di aver compreso il costo
potenziale delle sue avventure. La tribù deve letteralmente
espandersi attraverso l’oceano, altrimenti si estinguerà. I membri
dell’equipaggio di Vaiana crescono attraverso l’accettazione del
cambiamento, che si tratti dell’abbraccio di Loto alla
sperimentazione costante, di Moni che supera le sue paure o di Kele
che si adatta all’oceano.
Anche Vaiana e Maui affrontano
questa sfida: entrambi sono costretti ad accettare percorsi
difficili a cui sono naturalmente contrari. Gli sforzi di Maui per
proteggere Vaiana dal pericolo non fanno altro che prolungare la
missione a Motufetu, e i due vincono quando accettano di potersela
cavare da soli. Al contrario, Vaiana deve imparare ad abbracciare
un percorso diverso, accettando la guida di Matangi di “perdersi”,
tracciando una strada diversa da quella che le è congeniale per
poter continuare ad andare avanti. È una morale interessante da
esplorare, soprattutto in relazione alla svolta di Vaiana su Te
Fiti.
Oceania 3 non è stato confermato,
ma il remake in live action arriverà presto
Al momento in cui scriviamo, non c’è
stata alcuna conferma di Oceania 3. Dato che ci
sono voluti otto anni prima che Oceania 2 (Moana 2)
continuasse la storia dell’Indomita, potrebbe passare un po’ di
tempo prima che il pubblico abbia la conferma, in un senso o
nell’altro, se vedrà ancora la giovane donna avventurosa. Tuttavia,
l’atteso successo al botteghino di Oceania 2 (Moana 2),
insieme al palese richiamo al sequel nella scena a metà dei titoli
di coda, potrebbe dare alla Walt Disney Animation un motivo in più
per riportare il personaggio per altre avventure.
Un eventuale terzo film potrebbe
addirittura seguire la traiettoria di altri sequel animati Disney
confermati, come
Frozen, di cui è già stata confermata la presenza di due sequel
in fase di pre-produzione. I fan di Oceania avranno anche un
remake live-action nel 2026, con Catherine
Laga’aia nel ruolo di Vaiana e
Dwayne Johnson che riprenderà il ruolo di Maui. Questo
assicura che, anche dopo Oceania 2 (Moana 2), ci saranno
altre occasioni per vedere la giovane eroina nelle sale
cinematografiche.
La terza stagione di From si
conclude in modo scioccante, con la risoluzione di molti misteri di
lunga data e l’emergere di nuove domande. Nel corso della terza
stagione, i personaggi di From sono stati spinti più che mai
al limite. I mostri di From hanno trovato nuovi modi per
tormentare gli abitanti della Township, tra cui l’uccisione brutale
di Tian-Chen Liu (Elizabeth Moy) davanti a Boyd Stevens (Harold
Perrineau) e una creatura sinistra che cresce dentro Fatima (Pegah
Ghafoori).
Il mistero della gravidanza di
Fatima viene svelato ed Elgin (Nathan D. Simmons) paga un prezzo
terribile per averla tenuta prigioniera nella cantina della città.
Nel frattempo, Tabitha Matthews (Catalina Sandino Moreno) e Jade
Herrera (David Alpay) finalmente ottengono le risposte che
cercavano, che riguardano gli alberi delle bottiglie di From
e i bambini “Anghkooey”. Forse la cosa più scioccante di
tutte è che uno dei personaggi più importanti di
From, Jim Matthews (Eion Bailey), viene ucciso da un
nuovo personaggio, l’Uomo in abito giallo (Douglas E.
Hughes).
Perché l’Uomo in abito giallo
uccide Jim nel finale della terza stagione di From
“La conoscenza ha un
prezzo”
L’Uomo in abito giallo uccide Jim
come conseguenza della scoperta di Tabitha e Jade. Dice a Jim
che “la conoscenza ha un prezzo” e che aveva cercato di avvertirlo
in precedenza. Quando pronuncia la frase “Tua moglie non avrebbe
dovuto scavare quella buca, Jim”, diventa chiaro che era lui la
voce alla radio alla fine della prima stagione che aveva detto
quelle stesse parole. È intervenuto quando Tabitha e Jim si stavano
avvicinando troppo alla verità nella prima stagione e ora è
intervenuto di nuovo dopo che Jade ha suonato la canzone.
L’uomo in abito giallo non può
uccidere definitivamente Tabitha o Jade a causa del loro legame
originario con la città, poiché tornerebbero semplicemente sotto
una forma diversa. Invece, uccide Jim, una morte che sconvolgerà la
famiglia Matthews e tutti gli abitanti della città. Dal punto di
vista narrativo, la morte di Jim aumenta notevolmente la posta in
gioco. Sebbene From abbia ucciso molti personaggi, si è
trattato per lo più di personaggi secondari, ma la morte di Jim
dimostra che nemmeno i personaggi principali sono più al
sicuro.
Cosa è successo alla Julie del
futuro nella scena finale della terza stagione di From?
Continua l’uso del viaggio nel
tempo in From
L’uccisione di Jim da parte
dell’Uomo in abito giallo non è l’unica sorpresa nella scena finale
della terza stagione di From. L’altra sorpresa è che una
versione futura di Julie Matthews (Hannah Cheramy) viaggia nel
tempo fino al momento prima che suo padre venga ucciso. Il
viaggio nel tempo di Julie aveva già risolto il mistero della corda
di Boyd, ma quello era solo l’inizio. Anche se suo fratello, Ethan
Matthews (Simon Webster), le dice che non può cambiare il passato,
lei continua a provarci.
Finché non verrà uccisa o
catturata dall’Uomo in abito giallo, Julie continuerà probabilmente
i suoi viaggi nel tempo, che le forniranno conoscenze inestimabili,
ma non potranno aiutarla a cambiare nulla, dato che From segue la
regola di Lost secondo cui “ciò che è successo, è
successo”.
Purtroppo, Julie non riesce a
salvare suo padre dall’Uomo in abito giallo. L’ultima immagine che
abbiamo di lei è mentre urla terrorizzata alla vista della gola di
Jim che viene squarciata. From –
stagione 4 dovrà rivelare cosa succede dopo a questa versione
futura di Julie. Finché non verrà uccisa o catturata dall’Uomo in
abito giallo, Julie continuerà probabilmente i suoi viaggi nel
tempo, che le forniranno conoscenze inestimabili, ma non potranno
aiutarla a cambiare nulla, poiché From segue la regola di
Lost secondo cui “ciò che è successo, è successo”.
Il legame tra Tabitha e Miranda
e quello tra Jade e Christopher spiegato
Le loro somiglianze sono sempre
state intenzionali
Dalla fine dell’episodio 9
della terza stagione, si capiva che Tabitha e Miranda (Sarah Booth)
erano la stessa persona, poiché Tabitha ha rivissuto il ricordo di
Miranda che veniva uccisa prima di raggiungere l’albero lontano. Il
finale della terza stagione lo conferma, insieme alla rivelazione
che Jade e Christopher (Thom Payne) sono la stessa persona. Tabitha
e Jade sono state tra i primi abitanti della Città e sono tornate
più volte nel corso degli anni nel tentativo di salvare i bambini e
liberarli.
Tabitha e Jade rimangono entrambe
intrappolate nella Città lo stesso giorno nell’episodio 1 della
stagione 1.
Miranda e Christopher erano le
versioni precedenti di Tabitha e Jade che hanno cercato senza
successo di salvare i bambini. Questo spiega perché ci sono sempre
stati così tanti parallelismi tra Miranda e Tabitha e tra Jade e
Christopher. Spiega anche perché Tabitha e Jade sono state le
uniche residenti in grado di vedere i bambini “Anghkooey” e
perché hanno visioni che gli altri non hanno. Anche il legame
naturale e l’istinto materno di Tabitha con Victor (Scott McCord)
hanno più senso, dato che Miranda era la madre di Victor.
Cosa rivela la gravidanza di
Fatima sui mostri
I mostri sono immortali
Fatima alla fine dà alla luce il
mostro Smiley (Jamie McGuire), che ora è rinato dopo essere stato
ucciso da Boyd nella seconda stagione. Questo rivela che i mostri
non possono essere uccisi in modo definitivo, il che si ricollega
alle origini delle creature e al modo in cui i bambini sono stati
uccisi. Victor ha detto in From season 3, episodio 8 che i
bambini sono stati uccisi nell’oscurità da persone che amavano e di
cui si fidavano. Fatima aggiunge a questa spiegazione la sua nuova
comprensione che From‘s monsters hanno sacrificato i
propri figli in cambio dell’immortalità.
Tutti gli episodi di From
sono disponibili in streaming su Paramount+.
Questa immortalità è il motivo per
cui Smiley e gli altri mostri non possono essere uccisi
definitivamente. Fatima dice solo che “esso” ha promesso ai mostri
che avrebbero vissuto per sempre, ma probabilmente si riferisce
all’Uomo in abito giallo. Sembra che lui sia il male originario al
centro della città, che ha usato l’offerta dell’immortalità per
rendere immortali i mostri e farli obbedire ai suoi ordini.
Tuttavia, se Tabitha e Jade riusciranno finalmente a salvare i
bambini e a liberarli, questo potrebbe distruggere tutto ciò che
l’Uomo in abito giallo ha costruito.
Cosa significano “Anghkooey” e i
numeri sull’albero delle bottiglie in From
Grazie a Jim, i numeri nelle
bottiglie si rivelano essere note musicali. Quando Jade va
all’albero delle bottiglie e suona una melodia con il violino
basata su queste note musicali, i bambini “Anghkooey”
riappaiono. È attraverso la canzone e la ricomparsa dei bambini che
Tabitha e Jade capiscono che “Anghkooey” significa
“ricordare.” I bambini e la canzone hanno
lo scopo di aiutare Tabitha e Jade a ricordare il loro legame
originario con la città. Ricordano chi sono e tutte le vite passate
che hanno vissuto nella città, compreso il periodo in cui erano
Miranda e Christopher.
Questa consapevolezza diventa ancora
più tragica quando si rendono conto che uno dei bambini che hanno
cercato ripetutamente di liberare era loro figlia, e che la canzone
è una ninna nanna che i loro io del passato cantavano a lei e agli
altri bambini. Tutte le visioni e le scoperte di Tabitha e Jade le
hanno portate a ricordare. Ora che ricordano chi sono e perché sono
intrappolate nella Città, potrebbero finalmente essere in grado di
cambiare le cose.
Le oscure decisioni di Boyd e
Sara con Elgin spiegate
Elgin si rifiuta di rivelare dove si
trova Fatima perché è stato ingannato facendogli credere che il
completamento della sua gravidanza è la chiave per la fuga degli
abitanti dalla Città. Nonostante il fantasma di padre Khatri (Shaun
Majumder) cerchi di dissuadere Boyd, Boyd colpisce la mano di Elgin
con un martello. Cerca di ragionare con Elgin, ma quando questo non
funziona, la disperazione e la rabbia di Boyd hanno la meglio su
di lui, che si rifiuta di lasciare che sua nuora soffra e
muoia.
Per quanto riguarda Sara Myers
(Avery Konrad), torna alle sue vie violente per la prima volta
dalla prima stagione, strappando un occhio a Elgin, che lo induce a
rivelare dove si trova Fatima. Sara lo fa perché tiene a Boyd, sa
che è un brav’uomo ed è grata per come lui si è preso cura di lei e
le ha dato una seconda possibilità. Non vuole che Boyd sprofondi
ancora di più e gli risparmia questo con il suo metodo di tortura
più brutale che costringe Elgin a parlare.
Il vero significato del finale
della terza stagione
Il finale della terza stagione di
From riguarda in definitiva la natura ciclica del bene e del male.
Tabitha e Jade sono rimaste intrappolate in un tragico ciclo che
non sono riuscite a spezzare. Anche il male della città è ciclico,
con Smiley che rinasce mentre i mostri continuano il loro regno
immortale di terrore. Invece di Sara che viene manipolata per
compiere azioni orribili in nome della libertà, ora è Elgin ad
essere manipolato, e Sara deve sprofondare nuovamente nella sua
vecchia oscurità per fermarlo.
Da è stato ufficialmente
rinnovato per la quarta stagione.
Sebbene il finale sia pervaso da un
senso di disperazione, ci sono anche segni che le cose potrebbero
finalmente cambiare in meglio. L’emergere dell’Uomo in abito giallo
e l’uccisione di Jim sono i segni più evidenti di questo. La
scoperta di Tabitha e Jade deve aver terrorizzato l’Uomo in abito
giallo al punto da spingerlo a rivelarsi e ad attaccare Jim. Anche
se questo è costato la vita a Jim, indica anche che il ciclo sarà
finalmente spezzato, i bambini saranno salvati e gli abitanti
troveranno un modo per tornare a casa prima della fine di
From.
Uno dei personaggi originali
di Dune: Prophecy è Desmond Hart, un
soldato con un programma misterioso, interpretato
da Travis
Fimmel. Fimmel si unisce al cast all-star
di Dune:Prophecy,
insieme a Emily Watson, Olivia Williams e Mark Strong, con un
personaggio che contribuisce alla complessa rete di schemi politici
incentrati sull’Imperium. Desmond Hart viene
introdotto a metà del primo episodio della serie come un
personaggio che ricorda quasi Duncan Idaho dei film
di Dune. È sopravvissuto a diverse missioni su
Arrakis, avendo imparato le tecniche di guerra nel deserto.
Tuttavia, c’è qualcosa di
notevolmente diverso tra lui e Idaho, interpretato con fascino e
carisma da Jason Momoa nel
film Dune del
2021. Desmond Hart porta con sé subdoli segreti e sembra
intenzionato a manipolare coloro che lo circondano. Ambientato
all’incirca 10.000 anni prima nella linea
temporale di Dune, i personaggi del prequel della
HBO modificheranno drasticamente la portata del mondo, preparando
l’Universo Conosciuto a come sarà quando nascerà Paul Atreides.
Dato che non è presente nei libri, il ruolo di Desmond in questo
grande schema è il più difficile da prevedere.
Desmond Hart è l’unico soldato
sopravvissuto a un attacco su Arrakis
Desmond Hart arriva al palazzo
dell’Imperatore su Selusa Secundus, dichiarando di essere l’unico
sopravvissuto a un attacco su Arrakis. L’Imperatore credeva che
l’attacco fosse stato condotto dalle forze Fremen e stava
orchestrando un’alleanza con la Casa Richese per una flotta di navi
che aiutasse la produzione di spezie su Arrakis, prevenendo
ulteriori minacce. Desmond sostiene che l’attacco non
era in realtà opera dei Fremen, ma degli alleati
dell’Imperium, apparentemente come stratagemma per
costringere l’Imperatore a organizzare il matrimonio di sua figlia,
la Principessa Ynez.
Spiegato il legame di Desmond
Hart con l’Imperatore Javicco Corrino
Desmond è arrivato a casa
dell’Imperatore Javicco per conquistare la sua fiducia.
L’Imperatore sembrava sapere chi fosse Desmond Hart prima di
incontrarlo, ma non è chiaro se i due abbiano dei trascorsi
insieme. Più tardi nell’episodio, i due si incontrano in riva al
mare e discutono della situazione. Hart sostiene che
Casa Richese è tra le varie minacce per l’Imperatore, il
quale concorda sul fatto che non si sente a posto con il
matrimonio, nonostante sia stato consigliato dal suo Verificatore,
Kasha. Desmond afferma che l’attacco ad Arrakis è stato solo un
sintomo di un problema più importante.
Desmond Hart suggerisce a Javicco
che sta perdendo la presa sull’Imperium. Crede che sia perché i
leader delle Grandi Case sono sotto il controllo dei loro
Verificatori, anche se non lo dice ancora. È vero che nell’episodio
Javicco va contro il suo buon senso per ascoltare Kasha,
organizzando un matrimonio con un alleato inaffidabile per ottenere
più forza militare. Kasha impone questo matrimonio perché sostiene
Valya Harkonnen e il complotto della Sorellanza per piazzare una
Sorella sul trono, che sarebbe la Principessa Ynez, dopo la sua
formazione.
Il personaggio di Travis Fimmel
è un cattivo in Dune:Prophecy?
Il finale dell’episodio 1 di
Dune: Prophecy vede Travis Fimmel uccidere
un bambino grazie a un misterioso potere, il che sembra essere un
atto di cattiveria. Tuttavia, nel mondo
di Dune è sempre un po’ più complicato di così.
Capire cosa dice e cosa vede Javicco nell’ologramma è fondamentale
per capire cosa si sa del personaggio originale. Desmond Hart non
solo è sopravvissuto all’attacco degli alleati dell’Imperium che ha
ucciso tutti i suoi uomini, ma è anche stato
inghiottito nel sottosuolo da un sandworm ed è
sopravvissuto.
È importante notare che tutti
questi elementi si riferiscono anche alla visione della Madre
Superiora all’inizio dell’episodio: un verme sandwich, pelle
bruciata, sangue e la morte di un nobile.
Desmond Hart ha ora la misteriosa
capacità di far bruciare la pelle di qualcuno e sembra farlo sia
con Pruwet Richese che con Kasha. Prima di uccidere Pruwet,
dichiara che gli è stato “conferito un grande
potere”. È importante notare che tutti questi elementi si
riferiscono anche alla visione della Madre Superiora all’inizio
dell’episodio: un sandworm, pelle bruciata, sangue e la morte di un
nobile. Desmond Hart potrebbe essere in qualche modo
collegato al “Tiran-Arafel”, utilizzato nello show
per indicare una minaccia esistenziale per l’umanità.
“Arafel” è un termine dei libri
originali di Dune che si riferisce a una
‘nube-oscurità alla fine dell’universo’.
Quindi, sì e no. Il Desmond Hart di
Travis Fimmel è probabilmente il cattivo
di Dune:Prophecy,
poiché lo show è inquadrato dalla prospettiva di Valya Harkonnen e
della Sorellanza. Ma la Sorellanza, che si sta trasformando nella
Bene Gesserit che il pubblico conosce in Dune, non è
esattamente protagonista nemmeno in questo universo, e anche tra le
sue fila si discute sulla moralità dell’ingegneria genetica dei
leader mondiali. Valya e la Sorellanza cercano il
controllo, mentre Desmond vuole impedirlo, ma per farlo
potrebbe arrivare a estremi ancora peggiori.
Gli episodi 5 e 6 della quarta
stagione de L’Amica Geniale –
adattamento della tetralogia di Elena Ferrante
– si immergono nel cuore del tumultuoso intreccio tra maternità,
amicizia e amore, facendo emergere nuove dinamiche emotive e
conflitti irrisolti. La complessità delle relazioni tra i
personaggi raggiunge vette drammatiche, con una narrazione che
intreccia sapientemente momenti di tensione, fragilità e
consapevolezza, concentrandosi maggiormente sui fatti che vediamo
accadere più che sulla loro elaborazione.
La Frattura
Il quinto episodio, intitolato La
Frattura, si concentra proprio sulla separazione, la spaccatura che
si viene a creare, sempre più profonda, tra i personaggi
principali, riflessa sia nei legami personali sia nel tessuto
sociale che li circonda. La storia si apre con Lenuccia, che
riscopre sia la maternità con l’ultima arrivata, Immacolata, avuta
da Nino, che il rione, con tutti i suoi personaggi/manifesto: la
donna incontra di nuovo Michele Solara, nell’ufficio di Lila, e lo
trova notevolmente cambiato: è la pallida ombra di sé stesso mentre
si confronta con Lila, determinata e sovrana della situazione,
decisa nel suo disprezzo verso un uomo che un tempo rappresentava
il potere e il controllo, ma che ora è fragile e sconfitto. Il
terremoto che ha devastato Napoli fa da sfondo a un’umanità
altrettanto spezzata, traumatizzata ma anche affaticata dalla vita
stessa.
Parallelamente, il rapporto tra
Elena e Nino si sgretola progressivamente. Nino,
sempre più ingombrante nella vita di Elena, si dimostra un uomo
egocentrico e inaffidabile, incapace di essere presente nei momenti
cruciali. Quando Elena si reca in ospedale per partorire da sola,
la sua solitudine è straziante: un momento che dovrebbe essere di
gioia si trasforma in una riflessione amara sulla fragilità delle
sue scelte sentimentali. Il giorno seguente, Nino si presenta in
ospedale e proclama un’affermazione che sembra riecheggiare più un
bisogno egoistico che un’autentica dichiarazione d’amore: “Io non
ce la faccio a stare senza di te”. La domanda si insinua: Nino è
davvero l’uomo che Elena merita, o è solo una proiezione del
desiderio di appagare una idealizzazione che nasce dalla prima
giovinezza?
Dopo la nascita della piccola
Immacolata, che Elena sceglie di chiamare così come segno
riconciliatorio verso la madre malata, l’anziana donna e Lila vanno
a far visita alla neo-mamma a Via Petrarca, nella casa con le
finestre sul mare. Ma, quando la signora si sente male e viene
trasportata in ospedale, Lenù dimostra tutta la sua insicurezza nei
confronti del compagno: mentre la madre è in pericolo di vita e lei
è costretta a rimanere a casa con la neonata, Lila e Nino corrono
in ospedale con la signora, ma per Lenù il pensiero fisso è
la loro vicinanza, il loro tornare in contatto, la paura
che tra loro possa nascere di nuovo qualcosa. Questo atteggiamento
ostile e sospettoso non viene replicato da Lila, che di contro
esternando il suo disprezzo per Nino, resta accanto alla madre di
Elena come fosse la sua.
L’episodio de L’Amica
Geniale si chiude lasciando una sensazione di disagio.
Elena, sempre più esasperata, appare fastidiosa, quasi distante
dalla profondità emotiva che la caratterizzava. Un effetto forse
voluto, che sottolinea il suo stato di crisi e un momento in cui si
avvicinano decisioni importanti da prendere.
L’imbroglio
Il sesto episodio,
L’imbroglio, esplora ulteriormente la relazione
tra Lila e Elena, mettendo in luce due concezioni opposte di
maternità e di identità personale. Il parto di Lila, violento,
arrabbiato, quasi contro natura evidenzia quanto le due donne
abbiano un temperamento differente, anche rispetto a questi lati
dell’essere donna: Lenù è sempre accogliente, mentre Lila è
sfidante, costantemente in lotta. La nascita della bambina di Lila
avviene in un clima di tensione e fatica, specchio delle sue
resistenze emotive e fisiche. L’esperienza di Elena, che aveva
partorito in solitudine, è di tutt’altra natura. Due racconti
diversi di maternità, segnati dalle rispettive fragilità e dai
legami che le due donne intrecciano con chi le circonda.
La puntata si concentra su altri tre
avvenimenti molto importanti che vedono come filo conduttore Elena:
il primo è la confessione di Alfonso. L’uomo che sta cercando di
fare i conti con la sua identità di genere si confessa a Lenù
raccontandole in che modo l’aiuto di Lila è stato determinante per
accettarsi, l’amica lo ha incoraggiato a esplorare e deformare la
propria immagine.
Intanto la madre di Elena peggiora
e, nel suo ultimo atto di lucidità, chiede ai figli di fare la cosa
giusta: Peppe e Gianni devono lavorare per Lila e abbandonare le
attività criminali con i Solara, mentre Marcello deve sposare
Elisa. Per quello che riguarda Elena, lei ha sempre fatto le cose a
suo modo, lo farà anche adesso: sul letto di morte, Lenù riceve il
riconoscimento di indipendenza che ha sempre cercato da sua
madre.
Ma la morte di sua madre porta la
donna in un nuovo territorio, in cui si sente ancora una volta
intrappolata tra il peso delle responsabilità familiari e
l’incompiutezza della sua vita. Una situazione di impasse che verrà
sbloccata solo grazie all’intervento di Nino che,
involontariamente, si rivela alla fine per quello che è anche agli
occhi di Elena, che era l’unica a non vedere la sua infima caratura
umana. La scoperta di un suo tradimento – l’ennesimo, scopriremo –
consente a Elena di trovare la forza e la lucidità di allontanarlo
e solo dopo scopre da Lila che l’uomo non aveva mai smesso di
cercare la sua vecchia amante. La scelta degli showrunner di
raccontare in questi termini l’allontanamento di Elena e Nino si
allontana dal racconto originale eppure conferisce alla storia una
forza in più, una chiarezza e una inequivocabili che i libri di
Elena Ferrante non sempre tengono in considerazione.
L’Amica Geniale: un dittico di
eventi e temi
Questo nuovo dittico di
L’Amica Geniale – Storia della Bambina Perduta si
addentra nei momenti più dolorosi e complessi della serie: il senso
di smarrimento, il peso delle scelte sbagliate, la maternità come
croce e delizia, la perdita e il lutto. E sembra che il costante
balletto che l’adattamento fa tra ciò che accade nel romanzo e ciò
che invece viene reinventato e modificato per la serie riesca ad
acquisire autorità e credibilità man mano che gli eventi ci
appaiono chiari e privi delle ombre e dei non detti che Ferrante
adora disseminare.
La frattura e
l’imbroglio non sono solo eventi specifici, ma temi
ricorrenti che definiscono la traiettoria di questa stagione,
conducendo gli spettatori verso un finale che si preannuncia
doloroso e catartico. Il legame tra Lila ed Lenù,
fatto di gelosie, rancori, ma anche di un amore profondo e
indistruttibile, rimane il vero cuore pulsante della storia,
un’amicizia che resiste nonostante tutto e che è destinata ancora
una volta a evolversi.
È il 2013 quando, successivamente
all’uscita in sala Hayao Miyazaki annuncia il suo ritiro dal
mondo dell’animazione e del cinema. È il 2016 quando, nel
documentario Never Ending Man: Hayao Miyazaki viene rivelato che
Miyazaki sta tornando sui suoi passi, mettendosi al lavoro su un
nuovo lungometraggio. È il 2023 quando quel nuovo progetto,
Il ragazzo e l’airone (qui
la recensione) arriva finalmente in sala, rappresentando morte
e rinascita dell’amato maestro dell’animazione (giapponese e non).
Questo lungo e tortuoso viaggio, costellato da lutti, fatica, sogni
e speranze, viene ora svelato in Hayao Miyazaki e l’airone
da Kaku
Arakawa, documentario che ci riporta nuovamente all’interno
dello Studio Ghibli.
Arakawa – già regista di Never Ending Man: Hayao Miyazaki e della miniserie 10
Years with Hayao Miyazaki – realizza sostanzialmente
un’estensione (per non usare il termine sequel) di quel suo
documentario del 2016. Se quel progetto seguiva Miyazaki
dall’annuncio del suo ritiro passando attraverso il rendersi conto
di non saper stare senza matita in mano e fino al suo rimettersi al
lavoro, Hayao Miyazaki e l’airone riparte proprio da lì per
raccontare quel lungo percorso che dal 2016 al 2023 ha portato alla
realizzazione del film che ha incantato il mondo, ottenendo ampi
consensi e facendo guadagnare al suo autore il suo secondo Oscar
per il Miglior film d’animazione.
Ad unire spiritualmente i due
documentari vi sono le continue riflessioni di Miyazaki
sull’avanzare della sua età e sul dubitare delle proprie capacità e
forze per portare a termine questa nuova fatica. Ancor più di
Never Ending Man: Hayao Miyazaki, Hayao Miyazaki e
l’airone è però segnato dai lutti, che diventano tuttavia
spinta propulsiva per portare a termine quella nuova avventura. È
dunque un documentario dal tono malinconico, che ci mostra il lato
umano di una leggenda, dove però la speranza e la voglia di
scherzare trova infine sempre spazio, proprio come nelle opere
realizzate nel corso di oltre quarant’anni da Miyazaki.
Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki in Hayao Miyazaki e l’airone.
Cortesia di Lucky Red.
Un regista non si ritira
“Un regista non si ritira”, è
ciò che un profondamente arrabbiato Isao Takahata, maestro,
rivale e amico di Miyazaki, ha detto a quest’ultimo quando annunciò
il suo ritiro. Regista di opere come Una tomba per le lucciole, Pom Poko e La storia della principessa splendente, Takahata – da
Miyazaki affettuosamente chiamato Paku-san – ha sempre avuto
un posto speciale nella vita del collega. Si può dire che è da quel
rimprovero che Miyazaki inizia a comprendere che Takahata ha di
nuovo ragione, che non ci si può ritirare da ciò che si è. E quando
anche la sua storica confidente e color designer Michiyo
Yasuda gli chiede di fare un nuovo film, Miyazaki comprende che
è ora di rimettersi al lavoro.
Inizia così a prendere forma un
nuovo racconto, che è per il regista di La città incantata l’occasione per ripensare a tutta la
sua vita e il suo lascito artistico e umano. Il documentario di
Arakawa inizia dunque a seguire il regista in modo anche
rocambolesco, con riprese quasi rubate di nascosto per cogliere
Miyazaki nell’intimo. Non sembra quindi un caso che il film inizia
proprio con il regista nudo mentre fa una sauna, quasi come a
volerci anticipare che quello che vedremo è un Miyazaki che si
metterà a nudo raccontandoci tutto di sé e del proprio lavoro.
Arakawa lavora però anche su un ritmo sempre piuttosto serrato,
riuscendo a far confluire nelle proprie immagini anche una forte
comicità – dovuta in particolare agli scambi di Miyazaki con il suo
storico produttore Toshio Suzuki – ma anche tutto quel senso
di quiete che lo stile di vita giapponese suggerisce.
Si lavora per accostamenti, tra ciò
che accade nella realtà e diretti corrispettivi nei film animati di
Miyazaki, dimostrando dunque quanto per il regista il confine tra
fantasia e realtà sia esile. Un discorso, questo, che torna più
volte nel corso del film, stupendo lo spettatore che si ritrova
davanti a situazioni, luoghi e persone che hanno direttamente
ispirato precisi elementi delle varie opere realizzate da Miyazaki.
In particolare, però, Hayao Miyazakie l’airone
riesce realmente a trasmettere lo sforzo creativo, la fatica, la
pazienza e le difficoltà che il lavoro su questo nuovo film ha
comportato. Miyazaki, che si concentra prevalentemente sullo
storyboard, torna più volte sui suoi disegni, sui suoi tratti,
facendo perfettamente comprendere quanto minuzioso lavoro c’è
dietro.
Il disegno dell’airone di Hayao Miyazaki. Cortesia di Lucky
Red.
Hayao Miyazaki e l’airone:
creare per restare vivi
Nel mostrarci tutto ciò, Hayao
Miyazaki e l’airone non solo fornisce una vera e propria
spiegazione di determinati elementi del film (come le persone che
hanno ispirato certi personaggi o lo svelamento di certi simboli),
ma porta ovviamente a anche a ripensare a Il
ragazzo e l’airone e a farlo apprezzare ancor di più. Ed è
proprio nel raccontarci la realizzazione del film, attraverso un
lunghissimo conto alla rovescia che porta sino alla sua agognata
uscita nei cinema giapponesi, che il documentario ci comunica un
secondo importante elemento, ovvero il comprendere – di nuovo – da
parte di Miyazaki come sia vero che un regista non si può ritirare,
perché “se non realizziamo qualcosa non abbiamo niente”,
come dirà Miyazaki stesso.
Hayao Miyazaki e l’airone è
dunque anche un’ode all’atto creativo, a quella vocazione che non
si può soffocare e che chiede invece di essere liberata, come
racconta il regista parlando del “coperchio del suo cervello”. Ed è
ancora una volta la vita a guidare la mano dell’artista,
“costretto” a portare avanti il suo lavoro mentre il mondo intorno
a lui perde pezzi. Se Il
ragazzo e l’airone inizia venendo concepito in un modo, la
scomparsa di Michiyo Yasuda e soprattutto quella di Isao
Takahata influenzano profondamente Miyazaki e il suo lavoro. È
proprio nel vedere il regista andare avanti nel suo lavoro
nonostante i lutti che segnano il cammino che si ritrova uno degli
elementi più toccanti del film.
Sono episodi che danno la misura del
tempo, che costringono Miyazaki a riflettere sul senso della vita,
sul tempo che gli resta, chiedendosi sé egli stesso riuscirà a
vedere finito quel suo nuovo lavoro. Il tono del documentario è
dunque spesso funebre, malinconico, ma con la possibilità che una
battuta e una risata si intromettano e riportino un equilibrio al
tutto, proprio come l’equilibrio ricercato dal personaggio del
prozio in Il
ragazzo e l’airone (ispirato proprio a Takahata). È così
che, passo dopo passo, si giunge al completamento del film, al suo
diventare pubblico, al suo trionfo globale. E quando tutto è
finito? La risposta ce la offre sempre Miyazaki: “è proprio
allora che la vita continua ad andare avanti“. Morte e
rinascita, lasciando aperta la porta verso il futuro.
A distanza di anni dalla prima
notizia che il musical di successo sarebbe arrivato al cinema,
finalmente Wicked – Parte
1 è disponibile in sala,
con Universal Pictures Italia, per incantare
sia i fan dello spettacolo di Broadway sia il pubblico generalista,
portato in sala dalla magica (e massiccia) promozione che sta
accompagnando il film. Cynthia
Erivo e Ariana Grande guidano
un progetto ambiziosissimo, come accennato, la prima delle due
parti previste per il maestoso progetto che però è in grado di
reggere benissimo anche da sola. Wicked è un adattamento sontuoso e
sorprendentemente attuale, che offre una nuova prospettiva sulla
dicotomia tra buoni e cattivi, interrogandosi sulle ragioni del
male.
Come mai esiste il male?
La grande domanda esistenziale di Wicked
Come sappiamo
da Il Mago di Oz, la Strega Cattiva
dell’Ovest è la villain della storia, d’altronde il nome è
inequivocabile! Tuttavia, in Wicked cerchiamo di capire cosa l’ha
resa tale, tanto che la domanda che fa detonare la storia è: come
mai esiste il male? È una cosa che nasce con noi o che ci viene
instillata? L’enormità, la complessità della risposta che una tale
domanda richiede ci porta dentro la storia, in cui la cattiveria di
Elphaba (la futura Wicked Witch, appunto) e la bontà di Galinda
(quella che diventerà la Strega Buona del Nord) vengono in qualche
modo ribaltate, diventando caratteristiche sfumate e mutevoli.
Basato sul romanzo
di Gregory Maguire e sull’iconico
musical di Broadway del 2003, il film esplora i temi di
discriminazione, paura dell’altro e manipolazione politica. Questi
motivi, già potenti al debutto teatrale, risultano ancora più
incisivi in un clima politico globale sempre più polarizzato e
incerto.
Wicked è un
trionfo visivo e musicale
Diretto da Jon M.
Chu, già noto per In the
Heights, Wicked è un trionfo visivo e
musicale. Il regista abbraccia un’estetica massimalista che combina
il tecnicolor degli anni ’30 con le moderne tecniche di CGI. Dai
campi di papaveri digitali alla strada di mattoni gialli, ogni
fotogramma è un’esplosione di dettagli e colori che incanta e
sovrasta, oltre a essere una vera e propria coccola per gli
appassionati del mondo di Oz. Questa attenzione al dettaglio si
riflette anche nei costumi di Paul Tazewell e nelle scenografie art
déco della Città di Smeraldo, magnificenza pura. Il risultato è un
film che sembra un’opera d’arte in movimento, progettata per il
grande schermo e destinata a lasciare senza fiato.
Cynthia
Erivo e Ariana Grande sono
mozzafiato
Così come senza fiato
lasciano le performance di Cynthia
Erivo e Ariana Grande. La
prima, nei panni neri e nella pelle verde di Elphaba, è il cuore
del film. Con il suo carattere complesso, Elphaba viene
interpretata con una profondità emotiva straordinaria. Erivo non si
limita a impressionare vocalmente; la sua performance offre
sfumature che invitano lo spettatore a comprendere il dolore e
l’isolamento del personaggio. Laddove Idina
Menzel ha dato un’interpretazione epica e teatrale a
Broadway, Erivo opta per un approccio più intimo e cinematografico,
che si adatta perfettamente al mezzo e entra a fondo dentro la
particolarità di chi a “troppo a cuore” le ferite del mondo che la
circonda. La sua versione di “Defying Gravity“, momento
iconico del musical, è emozionante e visivamente spettacolare.
Ariana
Grande, invece, affronta il compito impegnativo di
reinterpretare Glinda, la Strega Buona. Grande, con il suo look da
bambola di porcellana e una intonazione impeccabile, incarna
l’apparente perfezione del personaggio. Si cimenta con coraggio in
una performance comica che però non regge il confronto con quella
che Kristin Chenoweth ha reso celebre a
Broadway. La sua Glinda è rigida, il che potrebbe anche essere una
scelta consapevole per enfatizzare l’ipocrisia e l’egocentrismo del
personaggio, in attesa di una trasformazione redentrice.
Il cast di supporto regge il
confronto
Anche i comprimari fanno
grande sfoggio di sé. Michelle
Yeoh è una presenza magnetica come Madame
Morrible, mentre Jeff
Goldblum, nei panni del Mago di Oz, porta il
giusto equilibrio tra fascino e inquietudine. Jonathan
Bailey si distingue come Fiyero, un personaggio
che promette molte più sfaccettature di quante questa prima parte
abbia mostrato.
Dal punto di vista
musicale, Wicked rimane fedele al
materiale originale, pur con degli aggiustamenti che il cambio di
linguaggio richiedeva: la sequenze di “Dancing Through
Life” e “Popular” in particolare, sono state
arricchite con coreografie spettacolari e una regia lucida e
ordinata, che non rinuncia a evoluzioni ardite e che riesce a
sfruttare a pieno la dinamicità del cinema, rispetto alla staticità
del teatro.
Alcuni
punti in sospeso
Considerato che la durata
di questa prima parte coincide con la durata del musical, e
soprattutto visto che il film si interrompe su un arco narrativo
principale apparentemente chiuso, sarà interessante capire in che
modo la seconda parte affronterà quel che rimane della storia e
soprattutto in che modo farà luce su alcuni dettagli che sono
rimasti volutamente in ombra, come l’origine della pelle verde di
Elphaba oppure la sua vulnerabilità all’acqua. Ci aspettiamo anche
che il discorso politico del film venga portato avanti e
approfondito: già in questa prima parte, la persecuzione degli
animali parlanti sembra un’allegoria, neanche troppo velata, della
discriminazione razziale e della xenofobia. Ma forse il discorso
potrebbe assumere dei contorni più definiti.
Wicked è un’esperienza cinematografica
gloriosa ed emozionante, che non solo rende giustizia al musical
originale, ma lo espande, rendendolo accessibile a una nuova
generazione di spettatori. Con performance memorabili, una colonna
sonora senza tempo e una produzione visivamente sbalorditiva, il
film di Jon M. Chu si conferma uno dei musical
imperdibili degli ultimi anni.
Disponibile su Netflix dal 20
novembre, Adorazione si presenta come un viaggio a
capofitto nel mondo degli adolescenti, immersi in una provincia
carica di segreti e contraddizioni, come tutte le province del
mondo. Tratta dall’omonimo romanzo di Alice Urciuolo e diretta da Stefano
Mordini, la serie, presentata in anteprima ad
Alice nella Città durante la Festa del Cinema di
Roma, è caratterizzata dal cast corale, volti per lo più
sconosciuti, con tante promesse negli occhi. La storia è un
intreccio di thriller, dramma e coming of age tra difficoltà, sogni
infranti e un mistero, che poi diventa tragedia, a far detonare la
storia.
Adorazione, un viaggio iniziatico
in un’estate di fini e inizi
L’ambientazione estiva nella
tranquilla Sabaudia, con il litorale pontino che
si risveglia per la stagione balneare, fa da sfondo
all’esplorazione della gioventù, promettendo un racconto ben
diverso da quello che ci si aspetta. Conosciamo subito Elena e
Vanessa, due amiche molto diverse ma legatissime da quell’amore
totalizzante che solo l’adolescenza conosce. Elena, ribelle e
inquieta, vive un senso di soffocamento che la spinge a sognare una
fuga verso Roma. Vanessa, invece, è l’opposto: popolare, sicura di
sé, con una vita apparentemente perfetta. La loro amicizia è il
primo tassello di una trama che si complica rapidamente con la
scomparsa improvvisa di Elena, un evento che scuote la comunità e
porta a galla segreti nascosti.
La narrazione si trasforma
rapidamente in un racconto corale che esplora le vite intrecciate
di un gruppo di adolescenti e delle loro famiglie, tutte, in un
modo o nell’altro, intaccate da Elena e dalla sua vivace diversità.
Vera e Giorgio, i cugini di Elena con una situazione familiare
difficile, ma anche Gianmarco e Enrico, fidanzati delle due
protagoniste, si trovano anch’essi coinvolti in una spirale di
bugie e verità nascoste che contribuisce a costruire un mosaico
complesso e stratificato. Ogni personaggio, infatti, nasconde un
pezzetto di un puzzle molto grande, una piccola parte di un’ampia
storia che non riguarda solo la scomparsa della ragazza, ma anche
il percorso di crescita, identità e conflitti di tutti i
protagonisti. Da questo punto di vista, con esiti ovviamente molto
diversi e molto meno alti, Adorazione ricorda Twin Peaks, nella
misura in cui racconta la reazione di una comunità alla scomparsa
di una ragazza, il dolore che quella scomparsa provoca, i segreti
che hanno portato a quella triste vicenda, le conseguenze su chi la
conosceva e anche su chi non aveva idea di chi fosse.
CAMILLA CATTABRIGA/NETFLIX
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2024 Netflix
Un racconto corale tra segreti e
fragilità
Senza riuscire a aggirare alcune
ingenuità e cliché, Adorazione trova un buon equilibrio tra il
racconto di formazione e il mistero da risolvere, un racconto ricco
di voci. Trai volti più noti che compongono il nutrito cast
annoveriamo Noemi (cantante al debutto come
attrice), Ilenia Pastorelli, Barbara
Chichiarelli (che vedremo presto in M) e Claudia
Potenzasi. Tuttavia, sono i ragazzi a reggere il cuore
emotivo della storia: Alice Lupparelli (Elena),
Beatrice Puccilli (Vera), Giulio
Brizzi (Giorgio) e gli altri giovani talenti trasmettono
con autenticità la confusione, la sofferenza e la ricerca di un
senso che caratterizzano l’adolescenza, pur rimanendo in difficoltà
nelle situazioni in cui i sentimenti da passare diventano intimi e
profondi.
Come una mappatura precisa di tutti
quelli che possono essere i problemi, le paranoie e le difficoltà
dell’adolescenza, Adorazione tocca quasi ogni
possibile sfumatura del disagio giovanile, da quello “classico”
legato all’amore e all’amicizia, all’accettazione del proprio corpo
e ai rapporti conflittuali con i genitori, a quello deviato e
pericoloso, come la violenza di genere, la droga, il bullismo.
I coetanei sono allo stesso tempo il
principale scoglio contro cui sbattere ma anche fonte inesauribile
di supporto e sostegno, nei modi maldestri che ognuno impara,
sbagliando. I genitori invece sembrano tutti inadatti, non
all’altezza della situazione, incapaci di inquadrare e capire i
propri figli, anche loro presi dalle miserie quotidiane e ignari
della vera natura delle cose.
CAMILLA CATTABRIGA/NETFLIX
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2024 Netflix
Un mistero diluito nella
quotidianità
L’aspetto più interessante di
Adorazione è quello che immerge il mistero della
scomparsa di Elena nella quotidianità, un susseguirsi lento e
banale di giorni tutti uguali, uno scenario apatico che non offre
certo il massimo ai giovani protagonisti e che fa da sfondo
indifferente alle vicende che scivolano lungo un’estate che nessuno
dei protagonisti dimenticherà mai. Proprio questa mescolanza tra
thriller e vita di ogni giorno permette alle indagini per la
scomparsa di Elena di portare alla luce non solo pezzetti di storia
nascosta, ma anche i segreti dei giovani protagonisti e delle loro
vite diversamente complicate. Ogni personaggio, ha qualcosa da
nascondere, un segreto che contribuisce a costruire un mosaico
sempre più complesso.
Una regia solida e cupa setta un
tono molto serio per Adorazione
La regia di Stefano
Mordini crea un’atmosfera cupa e pesante, nonostante gli
scenari prevalentemente soleggiati e ariosi del litorale pontino,
l’effetto restituito è quello di una provincia asfissiante, un
luogo tanto familiare quanto opprimente. Con Fabri
Fibra alla supervisione della colonna sonora,
Adorazione svela la sua costruzione attenta e
stratificata, anche se non sempre felice. Il risultato è quello di
una semplificazione eccessiva di alcune dinamiche personali e
relazionali, che si svelano quando i dialoghi si mostrano artefatti
e la recitazione dei protagonisti non ancora sufficientemente
matura. Sebbene l’ambizione di Adorazione sia
quella di andare oltre il semplice intrattenimento, la serie
Netflix
si perde nei dettagli degli archi narrativi secondari, nei cliché e
nelle ingenuità di chi per raccontare troppo, perde la
concentrazione su ciò che è importante.
Dune:Prophecy introduce
il pubblico in una complessa rete di intrighi politici e, solo dal
primo episodio, c’è già una tonnellata di materiale da
analizzare. Dune:Prophecy è
guidata da Emily Watson e Olivia Williams,
che interpretano le sorelle Valya e Tula Harkonnen. La serie
prequel della HBO è ambientata 10.000
anni prima degli eventi legati ai film di Dune di Paul
Atreides e Denis Villeneuve, e analizza l’ascesa delle Bene
Gesserit e l’influenza dell’ordine nell’Universo conosciuto.
Il primo episodio vede Valya Harkonnen ottenere il controllo della
Sorellanza per portare a termine gli obiettivi della prima Madre
Superiora, usando la Voce per costringere Dorotea a uccidersi. Nel
corso dell’episodio, il pubblico viene introdotto a un complotto
politico che riguarda la Casa Corrino e l’Imperatore
(Mark
Strong).
Per rafforzare la sua posizione militare, egli accetta un’alleanza
matrimoniale con la Casa Richese. Tuttavia,
alla fine
dell’episodio Desmond Hart (Travis
Fimmel) uccide
il giovane erede dei Richese,
impedendo il previsto matrimonio.
Perché e come Desmond Hart ha
ucciso Pruwet Richese nel finale dell’episodio 1
L’episodio 1 di Dune:
Prophecy introduce Desmond Hart, un personaggio originale
della serie. È un soldato sopravvissuto ai recenti attacchi dei
Fremen su Arrakis, anche se arriva su Selusa Secundus sostenendo
che non sono stati i Fremen ad attaccare le sue forze, ma piuttosto
gli alleati dell’Imperium. Non viene rivelato molto in questa scena
iniziale, ma Desmond scambia un’occhiata di sfida con Kasha, il
Verificatore dell’Imperatore, lasciando intendere i suoi piani. Nel
finale dell’episodio, Desmond Hart cerca di
conquistare la fiducia dell’Imperatore Corrino, suggerendo che la
Casa Richese è uno dei tanti nemici che lo stanno prendendo di
mira.
Afferma inoltre che gli è
stato “ conferito un grande potere ”, che sembra
usare per uccidere Pruwet, facendo bruciare la pelle del ragazzo
senza toccarlo.
L’Imperatore suggerisce che vorrebbe
essere liberato dal matrimonio, cosa che Desmond prende sul serio.
Trova il giovane Pruwet Richese, che dice di essere stato svegliato
da un brutto sogno. Desmond dice a Pruwet che è in
corso una guerra da parte di un nemico che si è reso
indispensabile, riferendosi alla Sorellanza. Afferma
inoltre che gli è stato “conferito un grande potere”, che
sembra usare per uccidere Pruwet, facendo bruciare la pelle del
ragazzo senza toccarlo. La natura esatta del suo potere non è
ancora chiara, ma il piano di Desmond è quello di ostacolare gli
sforzi della Sorellanza.
Cosa è successo al verme della
sabbia che l’imperatore Corrino ha visto su Arrakis
L’Imperatore Corrino, come Pruwet
Richese, viene svegliato da un brutto sogno nel cuore della notte.
Si reca quindi in una stanza dove è stato lasciato un chip con un
filmato olografico, presumibilmente da Desmond. L’Imperatore
Corrino assiste alla scena precedentemente descritta da Desmond in
cui, per qualche miracoloso motivo, Desmond Hart è
l’unico sopravvissuto a un attacco e viene schiacciato da un
gigantesco verme sandwich. In qualche modo, Desmond è
sopravvissuto a tutto questo ed è riemerso con un potere e un senso
di scopo ritrovati.
La scena mostrata è molto simile
alla visione della Madre Superiora all’inizio dell’episodio, che
vedeva un gigantesco verme sandwich schiacciare un edificio su
Arrakis prima di mostrare pelle bruciata e sangue. Desmond Hart
sembra essere direttamente legato alla sua visione come
rappresentante della minaccia esistenziale da cui la Madre
Superiora aveva messo in guardia Valya.
Il piano di Valya per la
Sorellanza spiegato
Valya Harkonnen è stata spinta dal trattamento riservato alla
Casa Harkonnen dopo la Jihad Butleriana, in cui la Casa Harkonnen è
stata definita codarda e traditrice. Pertanto, si unì alla
Sorellanza e divenne fedele alla prima Madre Superiora. La Madre
Superiora sognava in punto di morte la fine del mondo,
“Tiran-Arafel”, per mano di un tiranno corrotto. Credeva
che, per evitarla, la Sorellanza avrebbe dovuto allevare
geneticamente i leader ideali e insediare una Sorella sul trono
dell’Imperium. Valya Harkonnen è intenzionata a portare a termine
questa missione a qualsiasi costo.
Valya sembra credere che Ynez possa essere la Sorella
leader in grado di impedire Tiran-Arafel.
La Principessa Ynez si reca a Wallach IX e si allena con la
Sorellanza. Valya e Tula stanno selezionando una delle loro
studentesse per guidare Ynez al suo arrivo. Poiché l’Imperatore non
ha figli veri, il figlio di Ynez sarà l’erede al trono, quindi la
Sorellanza ha intenzione di coinvolgere Ynez nel proprio controllo
attraverso la Sorella che sceglierà per guidarla. Valya sembra
credere che Ynez possa essere la Sorella governante che può
impedire Tiran-Arafel.
Spiegazione della visione della reverenda madre
Kasha
Kasha profetizza l’insuccesso del piano di Valya
Va detto innanzitutto che Kasha era una delle ragazze che hanno
complottato con Valya Harkonnen nei flashback, quindi è una Sorella
che è a conoscenza del piano di Valya ed è stata messa al fianco
dell’Imperatore per diffondere l’influenza della Sorellanza. Dopo
l’incontro con Desmond Hart, ha una visione che ha caratteristiche
simili a quella della Madre Superiora morente all’inizio
dell’episodio: sangue e vermi. Nel suo caso, vede la
Principessa Ynez, che sta per sposarsi, apparentemente in fin di
vita e che accusa Kasha di essere coinvolta nel suo
pericolo.
Kasha si reca quindi a Wallach IX per incontrare Valya e Tula
Harkonnen, suggerendo che la principessa Ynez potrebbe
non essere il candidato ideale che stanno cercando.
Avverte Valya che l’insediamento di Ynez sul trono come Sorella
potrebbe causare la devastazione che spera di evitare. Valya,
ritenendo che la precedente Madre Superiora l’abbia scelta per uno
scopo specifico, è ferma sulle sue posizioni e intende che il
matrimonio proceda come previsto. In seguito, Valya suggerisce di
allontanare Kasha dall’Imperatore, poiché non crede più che i loro
ideali siano allineati.
Cosa significa la battuta di Valya Harkonnen “Vedo,
madre”
Valya non torna indietro dal suo piano
Uno dei momenti finali
di Dune:Prophecy vede
Kasha bruciare nello stesso modo di Pruwet Richese, causandone la
morte. Questo ricorda a Valya il messaggio della Madre
Superiora, in cui diceva che sarebbe stata lei a vedere
“la bruciante
verità” e a sapere cosa farne.
La scena probabilmente ribadisce a Valya che è sulla buona strada e
che deve continuare a guidare la Sorellanza fino agli estremi che
si è prefissata. La morte di Kasha non è chiara, ma sembra essere
collegata all’uccisione di Pruwet Richese da parte di Desmond
Hart.
Perché le macchine pensanti sono vietate nell’universo di
Dune
Le macchine pensanti sono una forma di intelligenza artificiale
presente nell’universo di Dune, che aveva un
ruolo importante prima
di Dune:Prophecy. A un certo punto,
l’umanità è diventata dipendente dalle Macchine Pensanti, che hanno
iniziato a diventare troppo potenti. Gli umani furono costretti a
entrare in guerra con loro in un evento chiamato Jihad Butleriana,
i cui effetti si protrassero per migliaia di anni. Le macchine
pensanti vennero bandite e, al punto
diDune,
“Non costruire una macchina a somiglianza di
una mente umana” è un comandamento ben
noto.
Perché Casa Corrino è costretta a un’alleanza
matrimoniale
Il pubblico viene introdotto all’Imperatore Corrino mentre media
un’alleanza con la Casa Richese, che gli promette navi da guerra in
cambio di un matrimonio tra il novenne Pruwet Richese e la
Principessa Ynez. L’imperatore Corrino ha ereditato l’Imperium dopo
una serie di imperatori in guerra e non è certo il leader più forte
e aggressivo. Governa in un periodo di fragile pace, con il
matrimonio con sua moglie, l’imperatrice Natalya, che ha unito
l’Imperium in quello che è all’inizio della serie.
Il Duca Richese offre alla Casa Corrino una flotta di navi da
guerra per aiutare la raccolta di spezie su Arrakis. Come nei film,
Arrakis è il pianeta più importante dell’universo grazie alla
sostanza ultrapotente che vi si può raccogliere. Inoltre, come nei
film, l’Imperium ha problemi con la produzione di
spezia a causa dell’interferenza dei Fremen. Questo porta
l’Imperatore Javicco Corrino a stringere un accordo poco dignitoso
con la Casa Richese
in Dune:Prophecy,
poiché ha un disperato bisogno del loro supporto militare.
La prossima serie
HBO/Max Dune:Prophecy sarà
un prequel e uno spin-off del celebre Dune:
Parte Uno e Dune:Parte
Due (2024) di Denis Villeneuve. Dopo il successo
di critica e di botteghino
di Dune:Parte Due, che è ancora il
secondo film di maggior incasso del 2024 al momento in cui
scriviamo, HBO/Max farà debuttare la sua prima serie
originale di Dune a novembre. La
serie, composta da sei episodi, approfondirà le origini della Bene
Gesserit, guidata da Valya Harkonnen di Emily Watson, Tula
Harkonnen di Olivia Williams e dall’imperatore Javicco Corrino
di Mark Strong.
La serie, originariamente intitolata
“Dune: Sisterhood”, è basata sul romanzo di Brian Herbert e Kevin
J. Anderson ‘Sisterhood of Dune’, pubblicato nel 2012. Sia Anderson
che Brian Herbert, il figlio
dell’autoreoriginaledi
DuneFrank Herbert, sono stati
nominati produttori esecutivi
di Dune:Prophecy, il che indica che la
storia seguirà da vicino la trama di “Sisterhood of Dune”, che
cronologicamente è il quarto libro dell’intera serie
di Dune. Il cast
di Dune:Prophecy sarà
caratterizzato da una serie di personaggi di
Dune completamente nuovi, guidati da Emily
Watson, Travis
Fimmel, Camilla Beeput, Sarah Lam, Mark Strong, Olivia
Williams, Jodhi May e altri ancora.
Dune:Prophecy è
ambientato 10.000 anni prima dei film su Dune
Dune:Prophecy si svolge 10.000 anni
prima della narrazione di Paul Atreides che inizia nel romanzo di
Frank Herbert e nei due film di Dune di
Villeneuve. Ciò significa che è quasi certo che l’iconico
personaggio di Chalamet non
sarà presente nella prossima serie di Max, né alcuno dei personaggi
originali visti nei celebri film di Dune di
Villeneuve. Essendo uno dei primi episodi cronologici del franchise
di Dune, Dune:Prophecy si
concentrerà in particolare sulla formazione della Bene Gesserit.
Questo includerà probabilmente una panoramica di come
il misticismo magico della Bene Gesserit sia nato.
Dune:Prophecy descriverà come la Bene
Gesserit è stata inizialmente fondata, si è affermata e ha
acquisito un’influenza di massa. Concentrarsi sulle origini dei
Bene Gesserit aprirà uno degli aspetti più oscuri e misteriosi
dell’universo di Dune e potrebbe far sì che
alcune parti della profezia in Dune:Parte
Uno e Dune:Parte
Due più facili da comprendere. Si stabilirà un chiaro
legame tra le Harkonnen e le Bene Gesserit, dal momento che due
delle protagoniste della serie, Emily Watson e Olivia
Williams, sono Harkonnen e le più potenti leader della
sorellanza. Dune:Prophecy racconterà
come le Bene Gesserit hanno iniziato a muovere i fili
intergalattici che alla fine hanno portato all’ascesa di Paul
in Dune.
Cosa si sa del mondo di
Dune: La Cronologia della Profezia
La Reverenda Madre Mohiam
(Charlotte Rampling) è vista in stretta relazione con i Corrinos al
potere in Dune:Parte
seconda, quindi la serie dovrebbe esplorare le origini della
loro alleanza.
Al momento in cui scriviamo, la
HBO/Max sta mantenendo il riserbo su molti dettagli specifici della
trama di Dune:Prophecy non sono
stati resi noti. Basata sul romanzo Sisterhood of
Dune, i protagonisti
diDune:Prophecysaranno
Valya e Tula Harkonnen e l’imperatore Javicco Corrino,
antenato dell’imperatore Shaddam Corrino IV (Christopher Walken) e
della principessa Irulan Corrino (Florence
Pugh) visti in Dune:Parte
Due La Reverenda Madre Mohiam (Charlotte Rampling) si
vede che ha un rapporto stretto e tranquillamente manipolativo con
i Corrino al potere in Dune:Parte
seconda, quindi la serie dovrebbe esplorare le origini della
loro apparente alleanza.
Gli Atreides dovrebbero essere presenti anche
in Dune:Prophecy con
l’introduzione di Keiran Atreides, un antenato di Paul
e Leto, che sarà interpretato da Chris Mason. Secondo la
trama di “Sisterhood of
Dune”, Dune:Prophecy si svolgerà
dopo la Battaglia di Corrin e la Jihad Butleriana, un antico evento
cataclismatico che porta alla distruzione di tutte le forme di
computer e di tecnologie AI avanzate. È probabile che le sorelle
Harkonnen, che iniziano la sorellanza
in Dune:Prophecy, inizieranno il
loro lungo programma di riproduzione che si svilupperà nelle
puntate successive di Dune.
Come Dune:Prophecy si collega a Dune 1 e
2
Timothée Chalamet e Rebecca Ferguson in una scena di
Dune
Se ci sono collegamenti diretti da tracciare
tra Dune:Prophecy e
i due film di Dune, non si tratta di
Paul ma della madre di Paul, Jessica. In origine,
infatti, i Bene Gesserit le avevano imposto di partorire una figlia
anziché un figlio, che divenne
Paul. Dune:Prophecy potrebbe
alludere alle origini dei sofisticati piani di riproduzione
selettiva delle Bene Gesserit e mostrare come la sorellanza sia
diventata così profondamente radicata nella mente e nelle tasche
della famiglia
Corrino. Dune:Prophecy probabilmente
racconterà l’ascesa delle Bene Gesserit stesse e non avrà nulla a
che fare con Paul, anche se tutte le principali case
di Dune avranno una presenza antica.
Dopo un ritorno e un aggiustamento a
causa del nuovo casting, siamo pronti a buttarci nuovamente, con
familiarità e passione, nella vita di Lenù e Lila, con gli episodi
3 e 4 de L’amica geniale –
Storia della bambina perduta, ultima stagione della
serie che adatta la tetralogia di Elena Ferrante, famosa in tutto
il mondo e già conclusa nella messa in onda per gli Usa su HBO.
L’amica geniale torna in un rione
completamente cambiato
Le stagioni più felici della serie
hanno visto il rione come luogo di violenza e ignoranza, ma anche
posto sicuro, dove si aveva un’identità, una certezza, la
possibilità di esistere in un microcosmo piccolo ma confortante.
Il ritorno di Elena ai luoghi natii, nel capitolo 27, I
Compromessi, la riporta in un luogo che ormai è
sconosciuto. La donna ritrova la madre, la famiglia, soprattutto
Lila e tutti vivono in un mondo notevolmente cambiato e reso
pericoloso da una modernità, che in lì ha attecchito con il suo
volto peggiore. Elena si trova catapultata, di nuovo, in un nuova
vita, a fronteggiare delle circostanze impreviste, ma si ritrova
anche nuovamente in compagnia (e all’ombra di) Lila. L’amica
d’infanzia ha dato una svolta importante alla sua vita, diventando
una donna d’affari e trovando, non capiamo ancora bene come, il
modo di sovrastare il potere dei Solara, i boss di quartiere che
hanno tormentato le ragazze sin da ragazzine.
Lila è ora una specie di padrona
buona dei rione, una vera e propria “Madrina”, potente e ricca,
spietata, ma anche buona, generosa e compassionevole, l’unica a cui
rivolgersi per cercare aiuto. Una posizione che sembra sposarsi
alla perfezione con le due anime della donna, che vive da sempre di
contrasti, di nobiltà d’animo e cattiveria. E mentre Lila sale in
considerazione agli occhi dello spettatore, Elena si confronta con
la povertà delle sue scelte di vita, continua a vivere come
l’amante ufficiale di Nino, lo accompagna anche alle visite
domenicali in famiglia, nelle quali (orrore supremo!) Incontro di
nuovo il laido Donato Sarratore, padre di Nino e, a tutti gli
effetti, suo stupratore.
Il corpo come dispositivo
narrativo
In queste circostanze ambivalenti,
le due donne dovranno affrontare un felice imprevisto: entrambe
restano incinta (di Nino e di Enzo, rispettivamente), e cominciano
a condividere questo percorso trasformativo che le avvicina di
nuovo, tanto che Lila diventa “la zia preferita” di Dede e
Elsa.
La serie si sposta quindi di nuovo
sull’importanza del corpo abitato non solo dalle donne, ma anche da
quello che loro stesse generano e, di nuovo, le due amiche/nemiche
non potrebbero essere più diverse nell’affrontare questo percorso
(che entrambe conoscono bene, essendo già madri). Elena è contenta
della sua rotondità, paziente, serena, stanca. Lila è irrequieta,
senza questo nascituro come un corpo estraneo, da espellere, che
“le tocca i nervi”, ovvero la infastidisce, arrivando a pensare che
in lei ci sia qualcosa che non va…
Un terremoto che scopre
le crepe di Lila e la solidità di Elena
La chiave di lettura di questo
disagio, e dell’intera personalità di Lila, ce la offre in un
momento di enorme generosità della sceneggiatura, l’episodio
successivo, il capitolo 28, Terremoto. Se
l’episodio precedente aveva citato la Strage di Bologna dell’estate
del 1980, confermando, anche in maniera marginale, quanto L’Amica
Geniale sia radicato nel suo tessuto sociale, questa seconda
puntata settimanale ci porta avanti nel tempo, fino a novembre,
quando ci fu il terribile Terremoto dell’Irpinia e tutta la
provincia napoletane venne scossa, letteralmente, con grande
violenza. Lenù e Lila sono da sole, è domenica, e le due amiche in
stato avanzato di gravidanza decidono di passare un pomeriggio
pigro in compagnia, a casa di Lila, al rione, fino a che la terra
non comincia a tremare (un tocco di enfasi ha fatto coincidere
l’inizio della prima scossa con la domanda di Elena a Lila: “Cosa
sai di Nino?”).
La due donne si aiutano e si fanno
forza, riescono a farsi strada fino alla strada e alla macchina,
dove rimangono in cerca di riparo. E qui, Lila ha un’altra delle
sue crisi, fa di nuovo esperienza di quella “smarginatura” a cui
avevamo assistito nella prima stagione, quando ai suoi occhi la
realtà si sfrangia, i confini delle cose si aprono e lasciano
uscire la loro parte viscerare e irrazionale, e nulla ha più senso.
Irene Maiorino abbraccia quindi la responsabilità di spiegare,
finalmente, la natura di Lila al pubblico e anche a Elena,
riportando a parole il celebre passo dei romanzi: L’unico problema
è sempre stato l’agitazione della testa. Non la posso fermare, devo
sempre fare, rifare, coprire, scoprire, rinforzare e poi
all’improvviso disfare, spaccare.
Ma la sceneggiatura non si ferma a
riportare la citazione dall’originale, va più a fondo e per molti
versi spiega meglio (cosa che il libro non farà mai fino all’ultima
pagina) quello che è il “mistero Lila”, in un impeto di purezza e
onestà, la donna confessa all’amica: “In me il male score insieme
al bene”, dimostrando così a se stessa a Elena e allo spettatore
tutta la sua specialità, ma anche la sua debolezza. È un momento
intimo e epifanico, in cui capiamo finalmente qual è il rapporto di
forze tra le due e quanto siano indispensabili l’una all’altra per
camminare dritte in un mondo continuamente spazzato dalle onde
della tragedia, della violenza e della prepotenza maschile. Una
prepotenza che nella sua violenza esteriore viene contrastata con
fierezza da Lila, ma che nella sua violenza psicologica e subdola,
rappresentata dalla stessa esistenza di Nino Sarratore
(Fabrizio
Gifuni), costringe ancora Lenù a soccombere.
L’Amica Geniale – Storia della
bambina perduta perde anche l’ispirazione
Il guizzo di generosità nello
svelamento della personalità di Lila si perde però in un mare
piatto. La serie sembra faticare a trovare quell’animo ruvido e
dolente, ma anche romantico e favolistico, che l’aveva
caratterizzata sin dall’inizio. Ormai siamo affezionati a Lila e
Lenù e vogliamo sapere come va a finire la loro storia e cosa il
futuro ha in serbo per loro. Siamo persino disposti a sopportare il
miscasting di Alba Rohrwacher perché comunque la sua voce
rappresenta un legame lungo e affettivo con lo show (lei non ne ha
nessuna colpa, si capisce), ma la regia e le idee, in questa
stagione, sembrano davvero distribuite a risparmio e ci sembra di
avviarci verso la fine di questa storia con stanchezza e
rassegnazione.
Con Dune: Prophecy,
HBO ci riporta nel vasto e affascinante universo creato da Frank Herbert, e di recente
esplorato al cinema da Denis Villeneuve con i suoi
film (in fase di scrittura dovrebbe esserci anche il terzo
capitolo). La serie,
disponibile su Sky e NOW dal 18 novembre 2024 con il primo
episodio, ci invita a un viaggio che precede di 10.000 anni la
nascita di Paul Atreides, concentrandosi sulle
origini della potente sorellanza delle Bene
Gesserit. Basata sul romanzo Sisterhood of Dune
di Brian Herbert e Kevin J.
Anderson, la serie segue le vicende legate alle sorelle
Valya e Tula Harkonnen, accomunate dal sangue e da
un innegabile affetto, ma divise da ambizioni e strategie su come
ottenere i propri risultati.
Dune: Prophecy racconta un
mondo tra potere e introspezione
Nonostante la serie si proponga
l’importante ambizione di raccontare l’origine di uno degli aspetti
più affascinanti dell’universo di Dune, la nascita delle Bene
Gesserit, la serie non ha l’aria solenne che invece Villeneuve ha
adottato per il suo sguardo al franchise. I primi quattro episodi
visti in anteprima rivelano una storia ricca di intrighi politici e
dinamiche personali, una dicotomia che rievoca più Il trono di
Spade che l’estetica filosofeggiante dei romanzi di Herbert. HBO ha
costruito su questo tipo di intrecci una delle serie di maggiore
successo degli ultimi anni, e quindi non sorprende che l’approccio
adottato sia tale. La spettacolarità visiva è messa da parte in
favore di aspetti soapoperistici, alcune trovate ingenue ma un
risultato dignitoso soprattutto per quello che riguarda il modo in
cui vengono tratteggiate le protagonisti, a cavallo tra passato e
presente.
La serie si focalizza sull’ambiziosa
Valya Harkonnen (una magistrale Emily Watson),
figura centrale nella nascita della Sorellanza, e su sua sorella
Tula (Olivia Williams), con la quale ha un
rapporto conflittuale eppure di grande lealtà e affetto. Le due
interpreti chiamate a dare vita a questi due personaggi si
distinguono per la grande capacità di mettere in scena forti
contrasti ed emozioni con una recitazione composta e misurata, che
si fonda molto sulla forza dello sguardo e dei micro gesti. Sullo
sfondo, un’umanità segnata da ambizioni imperiali, patriarcato
opprimente e l’immancabile influenza della spezia di Arrakis, il
vero motore dell’universo di Dune, l’elemento che dà poteri
sovrumani e permea di desiderio di potere tutti i cuori più
deboli.
Intrighi di palazzo e produzione di
alto livello
Quello che colpisce in negativo di
Dune: Prophecy è senza dubbio la sceneggiatura che per necessità di
impostare un nuovo livello di un universo conosciuto finisce per
essere verbosa rallentando l’azione. Seppure solida, viene
appesantita da dialoghi/spiegazioni che non rendono dinamico il
racconto. Questo aspetto ostico e contrario all’azione offre però
la possibilità di dare molta voce e struttura ai personaggi,
mostrandone le complessità e le ragioni in maniera esaustiva e
dettagliata. Da un punto di vista visivo invece la serie si impegna
a offrire una continuità con quanto visto al cinema.
L’estetica è quindi
essenziale ed elegante, e indugia sui costumi con particolare
ricercatezza e ricchezza di dettagli che però risentono di quando
realizzato da Villeneuve: il risultato è un mondo in cui l’unica
cosa stravagante è il guardaroba di alcuni personaggi, ma in cui
non c’è nessuna differenza di etnia e provenienza, nonostante le
origini letterarie richiedano diversamente. Come visto in
Dune di
Villeneuve e in Dune di Lynch prima di lui,
le Bene Gesserit sono caratterizzate da abiti monacali, lunghi e
neri, che simboleggiano il loro stile di vita austero ma anche il
loro modus operandi nella storia dell’umanità: operano nell’ombra
dei loro segreti, manovrando gli imperi.
Uno sguardo alla
contemporaneità
Il richiamo a Il Trono di
Spade si fa sentire anche negli elementi più controversi:
sesso, violenza e intrighi sono centrali nella narrazione, anche se
sembra meno cruento della serie basata sui romanzi di Martin in
ognuno di questi aspetti. Dune: Prophecy riesce a trovare una sua
identità esplorando temi che parlano in maniera molto chiara alla
contemporaneità, con riflessioni molto specifiche sull’oppressione
patriarcale e l’ambigua moralità del potere. Questa scelta
contribuisce a rendere la serie affascinante per chi cerca una
narrazione complessa e ingaggiante, ma risulterà certamente una
delusione per chi sperava in un approccio più epico e meno
dialogico.
Uno sguardo al futuro
I primi quattro episodi di
Dune: Prophecy lasciano intravedere il potenziale
di una narrazione più ampia e profonda. Il personaggio di Valya
Harkonnen emerge come il fulcro del racconto, incarnando il fascino
e le contraddizioni della Sorellanza nascente. Tuttavia, sembra che
per il momento la serie si sia concentrata sul posizionamento del
pezzi su una complessa e accidentata scacchiera. Resta da vedere se
le pedine, una volta disposta, riusciranno a dare vita a una
partita avvincente.
Il generale Acacius è un personaggio
fondamentale nel film Il gladiatore II, di Ridley Scott, e la
performance di Pedro Pascal conferisce realismo a questa
spettacolare pellicola. Data la sua importanza, molti spettatori
sono naturalmente curiosi di sapere se sia realmente esistito.
Sebbene il regista abbia spesso tratto ispirazione da eventi e
personaggi storici reali, il generale Acacius è un personaggio di
fantasia.
Oltre ad essere una
copia oscura di Maximus in Il gladiatore, Acacio è un
veicolo interessante per guidare la difficile situazione di Lucio e
mettere in discussione le strutture di potere nella storia. Essendo
un personaggio di fantasia, funge anche da sostituto del contesto
storico in cui i generali erano effettivamente considerati delle
celebrità nell’antica Roma. Gladiator II ha già battuto i
record al botteghino di Ridley Scott, e l’equilibrio tra
influenza storica e spettacolo cinematografico è parte di ciò che
rende la sua narrazione così di successo.
Il generale Acacius di Il
Gladiatore 2 non è basato su una persona reale
Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal
Il personaggio di Pascal è
romanzato ma scritto con la stessa gravitas
Il generale Acacius, il suo
matrimonio con Lucilla e la sua ribellione sono interamente frutto
di fantasia. Non esiste alcun generale Acacius nella storia
romana. Il suo scopo nel cast diIl Gladiatore
2 è quello di fornire a Lucio qualcuno su cui
vendicare la morte della moglie, il che riecheggia la vendetta di
Massimo in Il Gladiatore. Il suo ruolo di generale è anche
un modo per rappresentare il desiderio di dominio fine a se stesso
degli imperatori Geta e Caracalla. Il personaggio, interpretato da
Pedro Pascal, è ben scritto ed è un ottimo esempio del perché non
tutto in Il gladiatore deve essere storicamente
accurato.
[Ridley Scott] fonde la storia
con la grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei
personaggi per creare storie commoventi…
Un altro motivo per cui il generale
Acacius deve essere un personaggio di fantasia è che anche la
storia di Lucio è romanzata. Lucio Vero II, figlio del
co-imperatore Lucio Vero e di Lucilla, morì giovane insieme alla
sorella Aurelia Lucilla. Nel film sopravvive e diventa un
gladiatore come il padre immaginario, Massimo. I personaggi
storici influenzano Ridley Scott, ma i suoi film non sono legati
all’accuratezza storica. Piuttosto, fonde la storia con la
grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei personaggi per
creare storie commoventi. Per il primo film ha avuto dei consulenti
storici, ma a quanto pare non per Il gladiatore II (The
Guardian), dando invece la priorità allo spettacolo e alla
continuità narrativa.
Il generale Acacio potrebbe
essere ispirato ad altri generali romani
Gli antichi romani avevano una
cultura delle celebrità che idolatrava le figure militari
La priorità nel sequel è la visione
di Ridley Scott e come si è sviluppata dopo Il gladiatore.
Tuttavia, alcuni generali erano effettivamente considerati
delle celebrità nell’antica Roma. Ad esempio, Gaio Giulio Cesare
era in origine un generale. L’ascesa al potere di Cesare fu
notevolmente favorita dal suo status di celebrità, derivante
principalmente dalle sue conquiste militari. La cultura delle
celebrità nell’antica Roma era l’opposto della nostra. Coloro che
avevano un rango militare o politico erano celebrati; coloro che
oggi considereremmo celebrità, come attori, musicisti o qualsiasi
altro artista, erano afflitti dall’“infamia” per scoraggiare
l’adorazione di queste figure (secondo la Princeton University Press).
Ciò è particolarmente rilevante per
la rappresentazione dello spettacolo pubblico di Scott. I
gladiatori erano popolari tra il pubblico e l’élite reagiva di
conseguenza per preservare la propria presunta superiorità morale.
Usavano il concetto di “infamia” per scoraggiare i cittadini
romani liberi dall’entrare nell’arena per il proprio tornaconto.
L’infamia li privava dei loro diritti ed era una sorta di morte
sociale. Il modo in cui l’élite dirige la moralizzazione del
pubblico è evidente in Gladiator II, quando il
generale Acacius viene messo nell’arena a combattere per la propria
vita. In precedenza era adorato come una celebrità militare, poi
ridotto a un semplice intrattenitore.
Più instancabile che
mai, Ridley
Scott – esattamente un anno dopo aver portato al
cinema il colossal Napoleon –
torna sul grande schermo con Il Gladiatore
II, sequel di una delle opere per cui è maggiormente
ricordato. Se nel 2000 Il
Gladiatoreaveva risvegliato l’interesse per i film
epici e consacrato la carriera di Russell
Crowe con il ruolo di Massimo
Decimo eridio, questo inaspettato seguito (scritto
da David Scarpa, già autore
di Napoleon) si fa ora promotore non solo di quella
stessa epica ma anche di un forte messaggio politico che richiama
alla decadenza – politica e morale – degli attuali “imperi”.
Ed è proprio in questo sguardo
fortemente politico che si ritrova il meglio del film, che usa
sapientemente il passato per parlare dell’oggi, attraverso la
decadenza del più importante impero di tutti i tempi. L’epica
di Il Gladiatore II si ritrova allora
qui, non tanto negli scontri all’interno del Colosseo quanto negli
intrighi di palazzo, nelle vicende politiche che inquinano l’anima
di Roma e la condannano ad una fine apparentemente inevitabile.
Scott trova dunque occasione qui di unire le sue due anime: la
spettacolarità esagerata ed esagitata e l’esplorazione delle
oscurità dell’animo umano.
La trama di Il
Gladiatore II
Il Gladiatore II – Paul Mescal
Anni dopo aver assistito alla tragica morte del venerato
eroe nonché
padre Massimo Decimo Meridio per mano del suo perfido zio,
Lucio (Paul
Mescal) si trova costretto a combattere nel Colosseo
dopo che la sua patria viene conquistata da parte delle centurie di
Marco Acacio (Pedro
Pascal) per ordine dei due
tirannici imperatori, Geta (Joseph
Quinn)
e Caracalla (FredHechinger),
che ora governano Roma. Con il cuore ardente di rabbia e il destino
dell’Impero appeso a un filo, Lucio deve affrontare pericoli e
nemici, riscoprendo nel suo passato la forza e l’onore necessari
per riportare la gloria di Roma al suo popolo.
Bentornati nell’arena
Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal
Ci si è chiesti a lungo se fosse o
meno necessario un sequel di Il Gladiatore
II e con grandi probabilità c’è chi –
comprensibilmente – se lo chiede anche ora che questo seguito è
realtà. Partiamo subito con il dire che questo nuovo film non si
discosta poi molto da quanto mostrato e compiuto dal primo. Anzi,
ne segue attentamente le orme con un fare celebrativo. Non a caso,
sono innumerevoli i riferimenti al titolo del 2000, che come
un’ombra si aggira su questo sequel quasi a guidarne ogni
passo.
Ciò significa che questo sequel
propone di nuovo tutta l’epica già evocata dal primo, seppur con
tutte le prodezze tecnologiche e di effetti speciali che un quarto
di secolo in più ha portato a disposizione. Questo non
necessariamente comporta che questo sequel sia più spettacolare, ma
certamente riesce ad essere al di sopra della media degli odierni
blockbuster di questo tipo. Merito della capacità di Scott – ad 87
anni – di immaginare scenari e situazioni dotati di un senso della
grandiosità e della meraviglia da far invidia.
Poco – anzi nulla – importa quindi
se la verosimiglianza storica non è di casa neanche stavolta,
perché per quanto la rappresentazione di battaglie navali e i
combattimenti con babbuini o rinoceronti possa essere
forzata, possiede quel certo fascino che soddisfa la voglia di un
intrattenimento, certamente folle, ma capace di far parlare di sé.
Gli stessi scontri tra gladiatori o le battaglie di più ampia
portata sono sempre poste in scena con una brutalità che, tra
sangue, sudore e muscoli che si flettono, trasmette proprio
quell’eccitazione e quella tensione che gli spettatori sugli spalti
del Colosseo devono aver provato.
Il Gladiatore
II tra Shakespeare e monito sul presente
Il Gladiatore II – Denzel Washington
Di certo, come si diceva in
apertura, l’aspetto più interessante del film è la vicenda politica
che porta avanti. Leader assoluto in ciò è
il Macrino di Denzel
Washington, perfetto Riccardo III
shakespeariano che machiavellicamente trama per
ribaltare completamente il proprio status. Un personaggio magnifico
il suo, con cui Washington dimostra di essere un fuoriclasse. Per
quanto il cast sia composto di ottimi attori, è lui a fagocitare
tutte le attenzioni, rubando facilmente la scena ai suoi
colleghi.
Con lui, Scarpa e Scott propongono
un ritratto di quei subdoli uomini di potere che oggigiorno
riescono, facendo leva sulla pancia del popolo, a raggiungere i
propri loschi obiettivi, ponendo sempre più in crisi la democrazia.
In questo il film diventa dunque un monito che si unisce
all’intrattenimento offerto. Certo, il racconto di Lucio –
l’effettivo protagonista – si muove su diverse soluzioni narrative
piuttosto facili e poco convincenti ma, come valeva
per Napoleon, anche con Il Gladiatore
II si può chiudere un occhio quando nel complesso
Scott si dimostra ancora una volta un tale maestro nello spettacolo
cinematografico.
Sebbene il finale della serie
Grotesquerie abbia offerto alcune risposte agli
spettatori, la conclusione dello show ha lasciato ancora molti
misteri irrisolti. A giudicare dall’episodio 9di
Grotesquerie, il finale della prima stagione di
Grotesquerie non aveva alcuna possibilità di
concludere la trama in modo soddisfacente. I raccapriccianti
omicidi multipli alla fine dell’episodio hanno fatto sembrare che i
sogni di Lois potessero essere premonizioni distorte. Il finale
della prima stagione di Grotesquerie sembrava dare ragione a
Lois, poiché i sogni inquietanti dell’eroina hanno iniziato a
diventare realtà nel penultimo episodio. Questo sembrava rendere
irrilevante l’enorme colpo di scena dell’episodio 7 di
Grotesquerie, secondo cui l’intera serie era solo un sogno
di Lois in coma.
Tuttavia, il finale della prima
stagione di Grotesquerie non ha né confermato né smentito
questa ipotesi. Il medico di Lois non era colpevole degli omicidi
di Grotesquerie, ma gli spettatori non hanno mai potuto conoscere
la sua vera identità (al di fuori del sogno in coma), poiché è
stato vittima dell’assassino. Questo finale piatto e privo di colpi
di scena ha lasciato gli spettatori con più domande che risposte.
Il creatore della serie,Ryan Murphy di American
Horror Story, è noto per i finali che non riescono a dare
seguito alle idee interessanti sviluppate in precedenza nella
serie, e Grotesquerie ha indubbiamente ripetuto questa
tendenza con un finale che ha sollevato molte nuove domande, ma non
ha dato alcuna risposta.
Chi era l’assassino in
Grotesquerie?
Il finale della prima stagione
di Grotesquerie non ha rivelato l’assassino
Dopo aver stuzzicato la curiosità
degli spettatori per nove episodi, il finale della prima stagione
di Grotesquerie non ha mai spiegato chi fosse l’omonimo
killer biblico. Nel sogno di Lois in coma, il colpevole si è
rivelato essere padre Charlie e la sua complice era
l’apparentemente innocente e eccentrica amica di Lois, suor Megan.
Tuttavia, in realtà, padre Charlie era il medico di Lois e Megan
era l’agente di polizia che aveva sostituito Lois come capo della
polizia.
Nessuno dei due sembrava essere
colpevole degli omicidi, dato che Megan stava indagando su di loro
e il medico è diventato una delle ultime vittime di Grotesquerie
nelle scene finali dell’episodio. Molte cose sono successe prima di
questo colpo di scena sconcertante.
Perché Marshall ha cercato di
togliersi la vita nel finale di Grotesquerie
Il marito di Lois è stato
accusato di violenza sessuale da una studentessa
Marshall e Redd prepararono la cena
per Lois, tentandola con un martini e l’offerta di vivere insieme
come una strana coppia non omogenea. Lois rifiutò la proposta e
Redd rivelò di sapere che Marshall la tradiva. Disse che aveva
accettato il piano di Marshall solo per vedere Lois rifiutarlo.
Dopo che uno studente lo ha accusato
di violenza sessuale, Marshall ha tentato il suicidio con
un’overdose. Ha protestato la sua innocenza e ha affermato che la
loro relazione era consensuale, ma ha rapidamente perso ogni
speranza dopo essere stato arrestato e incriminato. L’overdose di
Marshall non ha avuto successo e Redd ha ribadito che non voleva
più avere nulla a che fare con Marshall quando si è
svegliato.
Il Mexicali Men’s Club dal
finale della serie Grotesquerie spiegato
Fast Eddie ha portato Marshall al
Mexicali Men’s Club, che si è presto rivelato essere
un’organizzazione politica clandestina. La difesa di Marshall della
mascolinità tradizionale ha suscitato applausi, rivelando i valori
reazionari del gruppo. Il gruppo era anche ampiamente contrario al
fenomeno della cultura della cancellazione, ma sorprendentemente
favorevole ad approcci progressisti nei confronti dei pronomi.
Apparentemente, il gruppo
rappresentava un bizzarro mélange di ideologie che abbracciavano i
valori tradizionali e l’individualismo gerarchico, sostenendo allo
stesso tempo alcune cause liberali. Tutti i personaggi maschili
principali della serie, dal medico di Lois allo specialista dei
sogni di Santino Fontana, si sono rivelati membri di questo club
oscuro.
Perché Lois ha tentato di
togliersi la vita nel finale di Grotesquerie
Nel frattempo, Lois si chiedeva se
si fosse mai svegliata dal coma. Questo la portò anche a tentare di
togliersi la vita, con conseguente appuntamento con lo specialista
di Fontana. Lo specialista di Lois le spiegò che soffriva della
sindrome di Cotard, una condizione in cui i pazienti credono di
essere morti.
Lois ha ammesso allo specialista di
Fontana di aver accusato il medico che le ha salvato la vita di
aver organizzato orge nella sua stanza d’ospedale mentre era in
coma. Inorridito, il medico di Grotesquerie ha detto di
essere d’accordo con Marshall sul fatto che Lois non avrebbe dovuto
sopravvivere al coma quando lei ha insinuato che lui avesse messo
incinta un’altra paziente.
La morte di Justin era
reale?
La goccia che ha fatto traboccare il
vaso e ha reso l’eroina di Grotesquerie, Lois, incapace di
distinguere la realtà, è stata la morte di Justin. Lois ha sparato
e ucciso Justin, l’amante violento di Megan, alla fine
dell’episodio 9, e il suo corpo sembrava essere scomparso. Lois ha
visto Megan incontrare Glorious McCall e ha supposto che fosse
stato il boss del crimine a sbarazzarsi del corpo. Megan non solo
ha respinto questa teoria, ma ha anche affermato di non vedere
Justin da settimane. Infuriata e confusa, Lois ha accusato lo
specialista di Fontana di aver commesso diversi omicidi
dall’episodio 9, mentre lui l’ha accusata di aver immaginato gli
omicidi.
Lo specialista ha detto che Lois ha
inventato gli omicidi per giustificare la sua visione di sé stessa
come una figura santa che avrebbe salvato l’umanità dalla sua
peggiore depravazione. Tuttavia, Megan ha fatto dimettere Lois da
un istituto psichiatrico poco dopo che lei si era ricoverata.
Megan, in lacrime, ha ammesso di aver insabbiato la morte di Justin
e di aver assunto Glorious McCall per aiutarla a disfarsi del
corpo.
Ha manipolato Lois al riguardo, ma
ha ammesso la verità alla sua ex collega quando ha avuto bisogno
del suo aiuto. Megan ha poi condotto Lois all’ultima macabra
creazione di Grotesquerie nei minuti finali del finale della prima
stagione.
Tutte le morti nel finale della
prima stagione di Grotesquerie spiegate
Grotesquerie ha ucciso
l’accusatrice di Marshall e il medico di Lois nel finale della
prima stagione di Grotesquerie, disponendoli in un tableau
che ricordava l’Ultima Cena. Una ricostruzione dell’Ultima Cena con
cadaveri umani al centro e i discepoli è apparsa nell’episodio 2
come parte dell’elaborato sogno di Lois in coma, il che significa
che questa scena sembrava dimostrare che i suoi sogni erano davvero
solo premonizioni. Tuttavia, Lois aveva chiaramente sbagliato
l’identità del cattivo. Il medico che lei era convinta fosse
Grotesquerie doveva essere innocente, a giudicare dalla sua morte
brutale.
Cosa significa davvero il finale
della prima stagione di Grotesquerie
Fino all’episodio 6 di
Grotesquerie, la serie sembrava un giallo abbastanza lineare,
anche se campy e melodrammatico. Tuttavia, il finale della stagione
1 ha dimostrato che si trattava più di una storia satirica e
sovversiva. Il vero assassino non è mai stato rivelato, il rapporto
tra i sogni di Lois e la realtà non è mai stato svelato e i
collegamenti della setta con gli omicidi (se ce ne sono) non sono
mai stati spiegati. Tutti questi filoni narrativi potrebbero essere
risolti in un secondo momento, ma la prima stagione non ha offerto
alcuna soluzione definitiva.
Come il finale della prima
stagione di Grotesquerie prepara la seconda
Il finale della prima stagione
di Grotesquerieprepara la seconda lasciando misteriosa
l’identità dell’assassino, il che significa che gli spettatori
dovranno sintonizzarsi sulla prossima stagione per scoprire la
verità sull’identità di Grotesquerie. L’assassino potrebbe essere
lo specialista di Lois, chiunque altro abbia accesso ai registri
dei suoi sogni in coma, o forse Lois stessa. Potrebbe essere Megan,
che ha scoperto entrambe le scene del crimine, ma non può più
essere il medico tanto denigrato di Lois. Il finale della prima
stagione di Grotesquerie non ha avvicinato la sua eroina
alla scoperta della verità, ma ha lasciato molti misteri aperti da
esplorare nella seconda stagione.
Come è stato accolto il finale
di Grotesquerie
Mentre molti critici hanno
elogiato i primi episodi di Grotesquerie, gli spettatori
della serie indicano il settimo episodio come il punto in cui la
serie ha iniziato a peggiorare. La decisione di rendere gli
eventi della serie un sogno da coma non è stata ben accolta da
molti spettatori.
“Era tutto un sogno” è un tropo
molto usato in televisione, e non sempre ha successo. I fan sono
diventati sempre più cinici nei confronti di questa particolare
scelta sceneggiata perché li fa sentire come se avessero investito
senza motivo nei personaggi e nella trama.
Un utente di Reddit ha sottolineato che il primo episodio era
molto promettente per una serie horror che si sarebbe mantenuta al
limite del disagio, ma gli episodi finali della stagione hanno
abbandonato questa linea:
Il primo episodio in particolare
era girato molto bene e aveva un tema “disgustoso” mentre preparava
una trama fantastica… se avessero mantenuto quel tema per tutta la
serie e non avessero rovinato tutto nell’episodio 7, rivelando che
era tutto frutto dell’immaginazione dei personaggi principali,
avrebbe potuto avere successo e bastare una sola stagione. Ma la
seconda metà era come un dramma, che non spingeva oltre i limiti
del disagio, ma comunque non riusciva a distogliere lo sguardo
dallo schermo.
I fan volevano davvero vedere la
serie fare qualcosa di nuovo nel campo dell’horror, ma alla fine
non è stato così.Molti fan hanno attribuito il fatto di
non aver apprezzato il finale della stagione semplicemente al fatto
di aver guardato una serie diretta da Ryan Murphy.Molti utenti di Reddit hanno concordatoche “Solo
Ryan Murphy può rovinare qualcosa che avrebbe potuto essere oro
colato”.
Questo sentimento lascia dubbi
sul fatto che i fan seguiranno la seconda stagione diGrotesqueriee sulla risoluzione del finale
sospeso.
Nei giorni diLucca Comics &
Games,
durante il primo panel ufficiale di Bonelli
Entertainment –
la divisione multimediale della Sergio
Bonelli Editore –
è stato annunciato l’adattamento cinematografico
di Lavennder,
graphic novel dalle tinte mistery realizzata
da Giacomo Bevilacqua nel
2017 e prima collaborazione dell’autore di A
Panda Piace con
la storica casa editrice milanese.
Abbiamo
incontrato Michele
Masiero e Vincenzo Sarno, rispettivamente
Direttore Editoriale e Responsabile Multimedia dell’azienda, per
farci raccontare qual è lo stato dei lavori di Bonelli
Entertainment, a partire dal lancio del nuovo
lungometraggio.
Dragonero: i Paladini, Legs Weaver
e I misteri di Mystère
Legs Weaver serie animata
Nel corso dei mesi
passati era già stata resa nota l’entrata in produzione della
seconda stagione di Dragonero: i Paladini, che, a giudicare dal materiale
proiettato nel corso del panel, appare già in uno stato
decisamente avanzato delle
lavorazioni. C’è poi la serie
animata di Legs Weaver, di cui è stato svelato il
tesser poster dall’ironico titolo “Legs Weaver odia i
cartoni animati”, e il podcast I
misteri di Mystère in collaborazione con OnePodcast e
per il quale è già disponibile il primo episodio.
Ma la fucina di Via
Buonarroti appare in piena attività e Michele
Masiero ci tiene specificare: “Tra i vari
progetti che stiamo realizzando, questi sono quelli che possiamo
rivelare, ma abbiamo diversi titoli in lavorazione.”
Il cinema continua però a
dimostrarsi il gioiello della corona dell’industria
dell’intrattenimento e il nuovo film Bonelli
Entertainment è il progetto che ha destato maggiore
interesse da parte del pubblico partecipante. Come mai è
stato deciso di adattare proprio Lavennder?
Vincenzo
Sarno: “Come Casa Editrice siamo specializzati in
racconti di generi ben distinti dalle storie sorprendenti ma
iscritte all’interno di cornici ben definite. E Lavennder, l’isola
che dà il titolo all’opera di Bevilacqua ci ha offerto l’arena
perfetta per i personaggi che vogliamo mettere in scena,
soprattutto per la protagonista, che non esito a definire la Final
Girl definitiva. Ma soprattutto eravamo
affascinati dalla narrazione di Giacomo che in ogni suo tratto,
ogni sua inquadratura, ha già un notevole sapore cinematografico. E
poi, lasciami dire che il grande twist che accompagna il finale
della storia, dando un senso straordinario a tutto, per noi è stato
fin dal primo momento un high concept irresistibile.”
Giacomo Bevilacqua, autore
di Lavennder, partecipa alla writers room
Qual è il
coinvolgimento attuale di Giacomo al momento?
Michele
Masiero: “Bonelli Entertainment nasce per portare
i fumetti Bonelli nella multimedialità, che sia la serialità
televisiva, l’animazione, i film, i videogiochi. Tutto nasce dalla
creatività del fumetto e poi diventa altro. Ci siamo posti come
obbiettivo fondativo di essere co-produttori di ognuna di queste
operazioni, affinché il lavoro dei nostri autori e del nostro
linguaggio venga rispettato, ovviamente con le modifiche che
l’adattamento richiede.
Partiamo da opere di
autori con cui abbiamo a che fare ogni giorno, come Giacomo e
Lavennder appunto, sarebbe assurdo esautorarli da questa
collaborazione. Partiamo da un confronto interno per capire quali
possono essere produttivamente e creativamente le cose da salvare,
da cambiare, da tagliare, da adattare e lo facciamo con un dialogo
costante con gli autori.”
“Certo, non è detto
che l’autore del fumetto venga per forza coinvolto anche in tutte
le fasi di scrittura del film –
continua Masiero – Nel caso
di Dampyr, però, Mauro Boselli, co-creatore del
personaggio di Harlan Draka insieme a Maurizio Colombo, ha
realizzato il soggetto dell’opera cinematografica e ha collaborato
con gli sceneggiatori del film, che pure sono autori Bonelli.
Per Lavennder,Giacomo Bevilacqua fin dal primo
momento ha partecipato alla writers room in cui, insieme
al regista, abbiamo posto le basi del progetto.”
L’arco di vita di Dampyr – il
film
Avete
nominato Dampyr. Nel 2018 il film è stato annunciato
al Lucca Comics, nel 2022 è stato proiettato,
pronto per la sala. Ne parliamo ora come di un film che ha compiuto
un arco vitale completo, passando dal mondo delle idee e dei
propositi, alla sala cinematografica, fino ad arrivare sulle
piattaforme di tutto il mondo e ottenendo un notevole successo
internazionale decisamente sorprendente dopo i primi tiepidi
risultati al botteghino. Qual è il vostro percepito del film alla
luce di questo percorso?
Masiero: “Non ci nascondiamo dietro a un
dito, ci aspettavamo un percorso diverso soprattutto nel lancio in
Italia. Il film è nato in era pre-COVID e ha dovuto fare i conti
con un mondo completamente diverso, con la crisi delle sale
cinematografiche, con l’avvento massiccio delle piattaforme. Era
stato pensato per il cinema e noi siamo super orgogliosi di averlo
presentato lì perché era quella la sua dimensione. Ha avuto una
falsa partenza, ma poi ci è esploso tra le mani in una maniera per
noi molto incoraggiante e inaspettata. Abbiamo una fan base in giro
per il mondo molto al di là delle nostre aspettative.
A questo punto, non
so se possiamo definire il percorso di Dampyr finito, spero di no
– continua – Nasceva come un film che avrebbe
dovuto dire anche altre cose, lo stesso finale dimostra che
dovrebbe essere così e stiamo cercando di dargli una vita
ulteriore… non tanto al film quanto al progetto Dampyr,
tenendo presente, per l’appunto, come dicevo prima, che che
rispetto a come eravamo partiti nelle intenzioni creative,
produttive e distributive del 2019, adesso il mondo è completamente
cambiato e siamo ripatiti con condizioni diverse.”
Sembra quindi che
sentiremo ancora parlare di Dampyr, se non al
cinema quindi, magari
in altre forme, forse più vicine alla serialità delle
piattaforme? Su Netflix USA,
d’altronde, il film ha spopolato, raggiungendo
il podio della Top 10 nella settimana del Ringraziamento,
negli Stati Uniti.
Le nuove regole post-COVID
Nessuno dei due si
sbottona, in merito, ma Vincenzo
Sarno precisa: “Il COVID ha segnato un prima
e un dopo nella storia recente, e per quanto ci sembri distante
adesso, ha cambiato per sempre regole che credevamoinscalfibili. Su quelle regole
avevamo costruito il ciclo di vita di Dampyr,
ma ora ne abbiamo altre e le stiamo percorrendo. Abbiamo imparato
sulla nostra pelle che ogni film vive un suo proprio personale
percorso proprio su quelle piattaforme che all’inizio venivano
tacciate di ‘bruciare’ i contenuti, ma che oggi si rivelano vere e
proprie teche che custodiscono cataloghi preziosissimi. In quel
mare di offerta, Dampyr ha imparato a nuotare da solo e ora come un
figlio che è andato via di casa e in ogni posto dove viene accolto
sta costruendo il suo essere ‘cult’”.
Insomma, una
palestra per quello che sarà il lavoro su Lavennder… Come navigate
in queste regole? Com’è lavorare nel mondo produttivo
italiano?
Sarno: “Viviamo un momento di ricerca
verso nuove strade, nella misura in cui le disposizioni di legge in
materia di sostegno ai Produttori e la pluralità del mercato dello
streaming, offrono vie ed opportunità che prima non esistevano.
Fino a poco tempo fa le serie televisive erano prodotte da Rai, poi
si è unita Mediaset, adesso i player in campo sono tantissimi. Le
leggi sul Tax Credit danno la possibilità al Produttore di
scegliere quali storie seguire. Prima era necessario andare a fare
grandi pitch a grandi studios, ora siamo noi lo studio, e per
questo dobbiamo ringraziare l’infrastruttura culturale in cui
viviamo. Così ci viene dato lo strumento per coccolare i nostri
personaggi.”
Bonelli è l’unica media
company in Italia che produce a 360 gradi per il mondo
dell’intrattenimento: film, serie, fumetti, videogiochi, podcast e
tanto altro. Com’è far parte di questa realtà così grande e
multiforme? Sentite una responsabilità verso il vostro
pubblico?
Masiero: “Non so se responsabilità sia al
parola giusta. Ci sentiamo responsabili nel dare a ogni progetto la
vita migliore, secondo noi. Potremmo anche peccare di presunzione,
ma lavoriamo di concerto con gli autori e siamo prima di tutto
innamorati della creatività che loro ci propongono. Da appassionati
cerchiamo di dare una vita ulteriore alla loro creatività. Siamo
responsabili perché siamo consapevoli di quello che vogliamo
realizzare. I fumetti possono essere fatti anche da tre persone
chiuse in una stanza, in questo mondo invece per costruire qualcosa
si devono mettere insieme realtà che sono estranee a noi, ma con le
quali vogliamo lavorare. Certo, ci piacerebbe che la velocità
editoriale, alla quale siamo abituati, si rispecchiasse anche in
queste produzioni. Ma qui le regole sono altre.”
Oltre al film
di Lavennder, a Lucca 2024 è stato annunciato
anche il podcast I misteri di Mystère, un ulteriore
mezzo di intrattenimento, un altro modo per raccontare i vostri
personaggi. C’è un linguaggio che non avete ancora affrontato e vi
piacerebbe sfruttare come autori e produttori?
“Tutti quelli ancora
da inventare!” Risponde
sorridendo Masiero. “Un reality… Oppure qualcosa di un po’ più antico, che si fa da
tanti
anni…” allude Sarno.“Beh
sì, non esistono solo gli schermi, ma anche le esperienze dal vivo
– fa eco Masiero – Magari stiamo già pensando a
qualcosa e l’annuncio ufficiale non è poi così lontano”.
L’impressione è che il
film di Lavennder sia davvero solo uno dei tanti
progetti in ballo, che ci sia già qualcosa di molto
caldo in pentola, volendo azzardare un’ipotesi, l’”esperienza
da vivo” e “qualcosa di un po’ più antico, che si fa da
tanti anni” sono due indizi che puntano dritti dritti alla
nobile arte del teatro, ma se questa supposizione sia giusta e
quale sarà la property coinvolta in questo nuovo
progetto non possiamo ancora saperlo.
Speriamo solo che
l’annuncio non si faccia troppo aspettare.
Intervista a Giacomo Bevilacqua,
autore di Lavennder
Diretta dall’acclamato duo
Raj e DK, Citadel: Honey Bunny
segna l’inizio di una nuova fase per il franchise di Citadel, estendendone la narrazione in un
contesto indiano. L’attesissimo spin-off della creazione dei
Fratelli Russo, disponibile su Prime
Video il 7 novembre, portando sullo schermo Varun
Dhawan e Samantha Ruth Prabhu nei panni dei protagonisti. I due
divi sono gli eredi di Matilda De Angelis e Lorenzo
Cervasio che in Citadel: Diana ci hanno intrattenuti e
divertiti, ma anche lasciati con il fiato sospeso. E le premesse di
Honey Bunny non lasciano dubbi: anche questa nuova
incarnazione del franchise promette scintille.
Citadel: Honey Bunny è
un’intrigante storia di spionaggio con un tocco unico
Raj e DK si sono
conquistati un ampio seguito con serie di successo come The Family
Man e Farzi, grazie alla loro capacità di fondere umorismo,
tensione e azione in storie complesse e realistiche. Con
Citadel: Honey Bunny, i registi continuano a
dimostrare la loro maestria, intrecciando la trama principale in un
universo di spionaggio che unisce mistero, tradimenti e legami
familiari. La storia segue i personaggi di Bunny, uno stuntman
dalla personalità tormentata interpretato da Varun
Dhawan, e Honey, una ex attrice dal passato complicato,
con il volto di Samantha Ruth Prabhu. I due, dopo
anni di separazione, si ritrovano per proteggere la loro figlia
Nadia, una missione che risveglia antiche rivalità e mette in
pericolo chiunque sia loro vicino.
Il segreto in una chimica
palpabile
La serie si avvale di un cast
talentuoso, con Dhawan e Ruth Prabhu che danno
vita a personaggi complessi e profondamente emotivi. Varun Dhawan,
noto per la sua versatilità e l’abilità di passare da ruoli
drammatici a quelli comici, esplora qui una dimensione più oscura
del suo repertorio, risultando credibile e intenso. Samantha Ruth
Prabhu, già apprezzata per la sua performance in The Family Man, si
conferma una delle attrici più talentuose della sua generazione,
donando al personaggio di Honey una fragilità intensa e uno spirito
indomabile, oltre alla prorompente presenza scenica. Il loro
legame, costruito sulla resilienza che alberga nelle loro vite
difficili, aggiunge profondità alla narrazione, coinvolgendo gli
spettatori che non avranno problemi a confrontarsi con un occhio e
un punto di vista distanti dal modus Occidentale.
Una regia avvincente e
scene d’azione mozzafiato
Grazie alla loro abilità nel
bilanciare scene d’azione intense con momenti di introspezione,
Raj e DK riescono a rendere Citadel: Honey
Bunny un’esperienza avvincente, senza mai rinunciare al
loro linguaggio regionale che si sposa alla perfezione con
l’ambizione internazionale del progetto Citadel, proprio come era
stato per Diana. La serie si distingue per l’uso intelligente delle
inquadrature e per una fotografia espressionista, che accentua
l’atmosfera tesa e ricca di suspense. Le sequenze d’azione
risultano tanto spettacolari quanto realistiche, nella migliore
tradizione indiana contemporanea, abbracciando gli eccessi e le
forzature e rendendoli canone irrinunciabile.
Una sfida di scrittura e una
visione globale
Dietro le quinte, la scrittura di
Sita Menon e Sumit Arora aggiunge
un tocco di freschezza e profondità alla trama, con dialoghi
incisivi e momenti che danno rilievo ai conflitti interiori dei
protagonisti. E se le specificità linguistiche sono fondamentali
per il progetto dei Fratelli Russo, la serie conferma la grande
attenzione ai temi globali intercettati anche negli altri progetti
paralleli: il controllo, il potere e la lealtà, riflettendo il tema
universale del franchise di Citadel. Tuttavia, Honey Bunny riesce a
proiettare queste tematiche nel posto, vicine al pubblico indiano,
offrendo una prospettiva unica che arricchisce il contesto della
narrazione principale.
Un’aggiunta di valore al franchise
di Citadel
Citadel: Honey
Bunny rappresenta una novità elettrizzante e potente nel
panorama delle serie d’azione, mantenendo il livello qualitativo
che i fan si aspettano dai lavori di Raj e DK. La serie non solo
esplora un lato più oscuro e drammatico dell’universo di
Citadel, intimo quasi, ma lo fa attraverso una
narrazione viscerale e coinvolgente. La chimica tra Varun
Dhawan e Samantha Ruth Prabhu, unita alla
regia innovativa e a una scrittura densa, garantiscono una storia
capace di coinvolgere anche un pubblico più occidentalizzato.
Storie di alieni strambi, fantasmi
invadenti, medium affascinanti e adolescenti pasticcioni abbondano
ormai nel catalogo di Netflix. Tuttavia, sono decisamente più rare
le narrazioni che uniscono elementi soprannaturali e
fantascientifici con tematiche sociali più cupe e complesse, come
il bullismo, l’abbandono e la vulnerabilità dei più giovani. È
proprio questo mix inusuale di giovani piantagrane e
creature ultraterrene, a volte in veste di inquietanti
predatori sessuali, a caratterizzare l’irriverente e
disturbante anime DanDaDan.
Prodotta dallo studio Science SARU,
DanDaDan è
una serie paranormale e soprannaturale basata
sul celebre manga omonimo scritto e illustrato da Yukinobu
Tatsu,
pubblicato anche in Italia dall’etichetta J-Pop. La serie, che ha
debuttato ufficialmente su Netflix e
Crunchyroll lo scorso 3 ottobre, è diventata rapidamente uno dei
battle shonen più discussi degli ultimi anni. Probabilmente
composta da una prima stagione di 12
episodi, l’anime
è attualmente in corso con la pubblicazione di un episodio a
settimana,
conquistando il pubblico grazie alla sua capacità di mescolare
azione, humor irriverente e tematiche adulte che vanno oltre i
confini del genere shonen tradizionale.
Cosa racconta
Dandadan?
DanDaDan è una tenera
e adrenalinica storia d’amore tra due adolescenti agli antipodi: la
bella, forte e intraprendente Momo
Ayase e l’insicuro nerd Ken
Takakura, che lei ribattezza
affettuosamente “Okarun”. Dopo essersi
conosciuti per caso, e spinti dalla curiosità e da un pizzico di
sfida, i due giovani decidono di mettere alla prova le proprie
opposte convinzioni sull’esistenza di alieni e spiriti maligni:
Momo, scettica verso l’idea di creature extraterrestri, crede
fermamente nei fantasmi, mentre Okarun è affascinato dagli alieni
ma dubita dell’esistenza del sovrannaturale.
Quella che inizia come una scommessa
innocente li trascina presto in un mondo oscuro e
pericoloso, in cui alieni e fantasmi non solo esistono, ma
sono minacce sinistre, spietate e viscide: da un lato, la razza
aliena di Serpo, con intenti brutali, rapiscono giovani donne per
sottoporle a crudeli esperimenti di riproduzione, tentando di
perpetuare la propria specie. Dall’altro lato, spettri spaventosi
(come l’insistente vecchia “turbo-nonna”) cacciano giovani uomini
per rubare loro ciò che più rappresenta l’essenza della virilità…
ovvero i cosiddetti “gioielli di famiglia”.
È così che questo bizzarro e
improbabile duo si ritrova coinvolto in un’avventura soprannaturale
che, tra un combattimento e l’altro, li avvicinerà sempre di più,
portandoli a scoprire cosa significhi davvero amare qualcuno e
acquisendo una nuova consapevolezza di se stessi e dei propri
sentimenti.
Oltre il soprannaturale:
tra horror e critica sociale
Fin dai primi minuti di
visione, DanDaDan si presenta al pubblico
come un anime provocatorio e iperbolico,
capace di fondere umorismo, romanticismo e critica sociale con una
buona dose di horror angosciante. L’opera sfrutta appieno la
fantasia, costruendo una trama assurda e paradossale
che non ha paura di esagerare, alternando con
abilità momenti leggeri e spiritosi ad altri più intensi e
drammatici. Questa alternanza di
toni contribuisce a mantenere alta l’attenzione dello
spettatore, rendendo l’esperienza visiva imprevedibile,
coinvolgente e mai noiosa.
Nel corso della
narrazione, DanDaDan esplora
anche temi ben più complessi e delicati,
come la violenza di genere e lo stupro,
trattato con un approccio non superficiale e decisamente
controverso. Mentre i protagonisti, Momo e Okarun, affrontano le
sfide che il destino e le misteriose forze sovrannaturali pongono
sul loro cammino, l’anime non si limita semplicemente a raccontare
le loro avventure, ma scava in profondità, trattando con grande
sensibilità e, talvolta, un tocco di crudezza, il tema
della violenza sessuale e delle dinamiche di potere che la
accompagnano. Un esempio di questo approccio si vede fin
dall’inizio della serie, quando Momo affronta la volgare
sfacciataggine del ragazzo di cui era infatuata, o poco dopo,
quando la vediamo combattere contro alieni predatori sessuali (che
non sono scelti a caso con le sembianze di grossi e inquietanti
uomini) per difendere la propria verginità.
Un altro momento particolarmente
toccante si svolge intorno alla figura della “turbo-nonna”, che si
rivela essere uno spirito maligno nato dalle anime
tormentate di ragazze violentate, uccise e
abbandonate in quello stesso tunnel in cui Okarun ha
il suo primo incontro paranormale. Questa inaspettata rivelazione
aggiunge un ulteriore strato di complessità alla serie, mostrando
come DanDaDan non solo esplori tematiche particolarmente dolorose e
attuali, ma lo faccia con un’intensità emotiva che rende la storia
ancora più profonda e significativa di quanto appare.
Un anime che merita una
possibilità
Nonostante sia attualmente
disponibile solo la prima metà della
stagione, DanDaDan è già riuscito a conquistare
sia gli appassionati di anime sia il pubblico meno avvezzo al
genere, grazie a un perfetto mix di azione, elementi
fantastici e crudo realismo. La produzione ha investito
notevoli sforzi per rendere omaggio al manga di
Yukinobu Tatsu, cercando di rimanere il più fedele
possibile all’opera originale, con animazioni dinamiche e curate
nei minimi dettagli che danno vita a un’esperienza visiva
assolutamente degna dell’attenzione del pubblico di Netflix.
Particolarmente interessanti sono
anche i dettagli grotteschi ed esagerati con cui sono
stati realizzati i mostri di DanDaDan, che
ricordano le assurde e iconiche creature horror di Junji Ito,
maestro del genere per il suo stile unico. Questi tocchi rendono la
serie inconfondibile, offrendo una visione originale e provocatoria
dell’horror.
In
definitiva, DanDaDan è un anime
bizzarro e fantasioso che, con un’estetica distintiva
e una scrittura schietta e ironica, racconta una
toccante storia di crescita, amore e forze oscure… molto più
tangibili e reali di alieni e fantasmi.
L’ossessione per un lavoro
frustrante e insoddisfacente, la pressione familiare, il desiderio
di trascorrere più tempo con la figlia senza riuscirci davvero,
l’incomprensione della moglie: sono difficoltà in cui chiunque
potrebbe riconoscersi. Ma quando la già frenetica quotidianità
dell’avvocato Diemel si scontra con le
richieste assurde di clienti mafiosi dal temperamento esplosivo,
cosa si può fare per ritrovare un po’ di pace interiore? Creata e
scritta da Doron
Wisotzky, Inspira, espira,
uccidi (titolo internazionale Murder
Mindfully, Achtsam Morden in
originale tedesco) è una serie thriller tedesca,
ironica e ricca di humor nero, tratta dall’omonimo romanzo
del 2018 di Karsten Dusse.
Composta da 8 episodi di circa 30 minuti ciascuno, la serie segue
l’inatteso percorso interiore di
Björn Diemel,
interpretato dall’ironico Tom Schilling,
che scopre nella mindfulness gli strumenti per rimettere ordine
nella sua vita… anche se questo comporta eliminare qualche ostacolo
di troppo.
Inspira, espira,
uccidi è disponibile dal 31 ottobre su Netflix.
La trama di Inspira,
espira, uccidi
Quando è sul punto di perdere la sua
famiglia, l’affermato e amorale avvocato Björn Diemel decide di
accontentare la moglie e partecipare a un seminario sulla
mindfulness. Grazie alle tecniche apprese, Diemel inizia a
ritrovare un equilibrio tra vita privata e
lavoro, creando piccole “isole temporali” da dedicare
alla figlia Emily e affrontando ogni ostacolo stressante con un
respiro profondo. Tutto sembra finalmente ritrovare il suo posto,
finché non decide di applicare la mindfulness anche con il suo
cliente più problematico: il folle e violento boss
mafioso Dragan Sergowicz (interpretato
da Sascha Geršak).
Così, l’avvocato si ritrova
invischiato in un guaio ben più grande, con la polizia e un’intera
banda criminale alle calcagna. Eppure, nonostante l’assurda e
pericolosa situazione, Björn riesce a mantenere il sangue freddo,
trasformando la sua vita in modo radicale. Se ora eliminare qualche
“ostacolo” è diventato necessario per risolvere i suoi problemi,
lui sa che è solo una naturale conseguenza della sua
nuova e sana consapevolezza.
La terapia può salvarti…
fino a prova contraria
Omicidi a sangue freddo, malviventi
maldestri e poliziotti corrotti. Inspira, espira,
uccidi è una dark
comedy che, pur vestendo i toni leggeri di una farsa,
riesce a toccare corde profonde dello stato emotivo degli adulti di
oggi. L’estrema frustrazione, l’ansia soffocante e la rabbia
latente del protagonista, l’avvocato Björn Diemel, sono sentimenti
che rispecchiano le inquietudini di un’intera
generazione, stanca e insoddisfatta. Di fronte a un mondo
caotico e terribilmente immutabile, ciò che rimane da fare è
modificare il nostro atteggiamento verso i problemi, tentando di
adattarci anziché combattere.
E così cerchiamo soluzioni: paghiamo
uno psicoterapeuta nella speranza che ci indichi la via, ci
iscriviamo a corsi di yoga, proviamo la terapia occupazionale o ci
rivolgiamo a chi può ipnotizzarci per liberarci dai pensieri
ossessivi. Oppure, come fa Diemel, ci affidiamo alla mindfulness.
Ed è proprio questo approccio, per quanto singolare, a cambiare la
sua vita: tra un’inspirazione e un’espirazione, Diemel
si ritrova a commettere un omicidio e a scatenare una
guerra tra bande. Eppure, grazie alla sua nuova filosofia, la sua
esistenza sembra davvero migliorare… o, almeno, così crede.
Trovare pace nel proprio
caos
Non sono solo le emozioni comuni a
rendere coinvolgente la surreale avventura criminale del
protagonista. Oltre ai sentimenti
condivisibili, Inspira, espira, uccidi cattura il
pubblico grazie a un’intelligente regia, che riesce a
sopperire a una sceneggiatura a tratti ripetitiva e prevedibile.
Inoltre, uno dei punti di forza della serie è il modo in
cui Björn Diemel rompe la quarta parete,
rivolgendosi direttamente in camera e creando un rapporto intimo e
quasi complice con lo spettatore.
In questi intermezzi, il tempo
sembra sospendersi: il mondo intorno a Diemel si ferma per qualche
secondo, dandogli modo di raccontare o spiegare ciò
che lo spettatore ha bisogno di sapere per
comprendere — o addirittura giustificare — i suoi
inganni, le sue manipolazioni e il sangue che si ritrova
inevitabilmente sulle mani. Questi momenti non solo svelano i
ragionamenti contorti del protagonista, ma anche il tentativo di
razionalizzare il caos e gli eccessi della sua vita, trascinando lo
spettatore in un vortice emotivo in cui persino le azioni più
spietate appaiono, per un attimo, stranamente comprensibili.
Tutto è bene quel che… non
finisce bene
Non è comune vedere produzioni
tedesche comparire nell’iconica Top 10 di Netflix.
Eppure, Inspira, espira, uccidi è
riuscita in un’impresa sorprendente: in soli due giorni ha scalato
rapidamente la classifica, avvicinandosi alla vetta e puntando a
raggiungere il podio, attualmente dominato da La legge di Lidia Poet.
La serie ideata da Doron Wisotzky si distingue per il
suo sarcasmo pungente, il tono semplice e diretto, una
leggera irriverenza e una spiazzante sincerità. Nonostante
le situazioni paradossali e la narrazione a tratti prevedibile,
l’atipico e goffo avvocato Björn Diemel riesce a intrattenere e a
coinvolgere il pubblico con la sua comicità disarmante.
La serie miscela perfettamente dark
comedy e momenti di introspezione, che spingono lo spettatore a
riflettere sulle follie quotidiane dell’era moderna, in cui ci si
sente sempre più soli e incompresi. Tom Schilling nei panni di
Diemel diverte e convince, anche quando le sue decisioni sfociano
nell’assurdo, lasciandoci sospesi tra il sorriso e la
perplessità. Ora, però, resta l’immancabile interrogativo:
Netflix saprà resistere alla tentazione di sfornare una seconda
stagione, rischiando di trasformare una storia già completa e
autoironica in un brodo troppo allungato per risultare
appetibile?
Uscito nel 2000, Il gladiatoredi Ridley Scott è un film epico sulla vendetta,
la perdita e la giustizia dal punto di vista di Maximus Decimus
Meridius, interpretato da Russell Crowe. Sia il personaggio che la
storia hanno una profondità tale da far chiedere a molti se
Massimo Decimo Meridio fosse una persona reale e
quali figure dell’antica Roma lo abbiano ispirato. Il film racconta
la storia di Massimo, un generale romano diventato gladiatore che
cerca di vendicare la morte della sua famiglia, uccisa dal malvagio
figlio dell’imperatore Commodo (interpretato da Joaquin Phoenix). Sebbene Il Gladiatore
presenti personaggi storici reali, Massimo Decimo
Meridionon era una persona reale.
Ambientato nel 180 d.C., Il
gladiatore mette in mostra una grande profondità storica. Il
film mostra il mondo dei gladiatori, i giochi politici e le
campagne militari che erano comuni a quel tempo. I personaggi
storici chiave di Il gladiatore includono
l’imperatore romano Marco Aurelio, suo figlio Commodo e sua figlia
Lucilla. Il personaggio principale, Massimo, non è reale. La
creazione di questo personaggio è invece influenzata da diversi
personaggi dell’antica Roma. Il personaggio di Massimo in
Gladiator è basato principalmente sui generali romani, sui
gladiatori stessi e sulla vita che conducevano.
Il gladiatore è disponibile
in streaming su Paramount+.
Massimo Decimo
Meridio non è reale, ma è frutto di molte
influenze
Diversi personaggi reali hanno
influenzato Maximus, così come le storie dei gladiatori dell’antica
Roma
Una delle maggiori influenze per
Maximus Decimus Meridius è stato il generale romano Marco Nonio
Macrino. Marco era un generale, statista e consigliere durante
il regno di Marco Aurelio, proprio come Massimo era generale e
consigliere di Marco Aurelio nel film. Inoltre, sia Massimo che
Marco erano ammirati e benvoluti dall’imperatore. Un’altra
influenza è Avidio Cassio, un generale romano che acquisì
importanza sotto Marco Aurelio e che a un certo punto si
autoproclamò imperatore dopo aver ricevuto notizie, sebbene false,
della morte di Aurelio.
Russell Crowe ha vinto l’Oscar come
miglior attore per la sua interpretazione di Massimo Decimo Meridio
in Il gladiatore.
Una terza influenza, anche se
minore, è il lottatore Narciso, che fu il vero assassino di
Commodo dopo che questi divenne imperatore. Per inciso, nella prima
bozza de Il gladiatore, Massimo doveva originariamente
chiamarsi Narciso. Naturalmente, Massimo è stato ispirato anche dal
grande guerriero Spartaco. Sia Massimo che Spartaco erano schiavi
che divennero famosi gladiatori ed entrambi pianificarono una
rivolta contro lo Stato romano, cercando di rovesciare la
corruzione. Il personaggio di Massimo è influenzato anche dalla
vita dei gladiatori. Come Massimo, la maggior parte dei gladiatori
erano schiavi e prigionieri di guerra o avevano un passato
criminale.
I gladiatori erano classificati in
vari gruppi a seconda del tipo di arma che usavano e dell’armatura
che indossavano. Tra i più noti vi sono i Sanniti (singolare:
Sannita), che erano i più pesantemente corazzati e impugnavano le
classiche spade corte gladius, i Murmillones (singolare: Myrmillo),
o “uomini pesce”, che avevano armature e stili simili, i traci
(singolare: traex), che brandivano pugnali ricurvi simili a
scimitarre chiamati sica, e i retiarii (singolare: retiarius), che
usavano una grande rete e un tridente come armi (tratto da The
Colosseum).
Le caratteristiche che hanno
dato vita a Maximus in Il gladiatore sono anche un simbolo di
giustizia e rettitudine…
Dal design dell’armatura di Massimo
al piccolo scudo rotondo e alla spada corta che portava, si può
dedurre che Massimo fosse un gladiatore hoplomaco. Era anche comune
vedere diversi tipi di gladiatori accoppiati o messi uno contro
l’altro, come si vede quando Massimo combatte contro gli
essedarius, gladiatori che cavalcavano carri. Come mostrato nel
primo combattimento di Massimo Decimus Meridius come gladiatore,
alcuni scontri servivano a rievocare battaglie famose in cui
l’esercito romano era uscito vittorioso. Altri combattenti
nell’arena erano i Bestiarii, che combattevano contro animali
selvatici, ad esempio leoni e tigri.
Sebbene sia un personaggio di
fantasia, è chiaro che Maximus Decimus Meridius in Il
gladiatoreè fortemente ispirato a diversi personaggi
storici romani e a fatti storici sulla vita dei gladiatori
nell’antichità. Grazie a queste influenze, gli spettatori
possono farsi un’idea di come fosse la vita di una persona
nell’antica Roma. Inoltre, le caratteristiche che hanno dato vita a
Maximus in Il gladiatore fungono anche da simbolo di
giustizia e rettitudine in un contesto di corruzione.
Il protagonista de Il Gladiatore
2 è reale?
Paul Mescal interpreta Lucius
nel tanto atteso sequel del Gladiatore
A oltre vent’anni dall’uscita nelle
sale e dal successo agli Oscar de Il Gladiatore, sta per
arrivare il sequel dell’epico film storico. Anche se può sembrare
strano vedere un film che è il sequel di una storia in cui sia
l’eroe che il cattivo muoiono, il film sta prendendo una direzione
interessante. L’eroe di questo film è il nipote di Commodo, che ha
visto suo zio ucciso da Massimo nel primo film. Tuttavia, nel film,
suo nipote Lucio (Paul
Mescal) ha preso ispirazione da Massimo Decimo Meridio
piuttosto che da suo padre. Sapeva che ciò che Massimo aveva fatto
come gladiatore era giusto.
Infatti, Lucius Verus II
in Il
Gladiator 2 è basato su un personaggio storico reale, ma la
sua storia cambierà drasticamente nel film. Lucius morì giovane
nella vita reale e morì prima ancora che Commodo diventasse
imperatore. Se Lucius fosse vissuto, avrebbe potuto diventare
imperatore, ma invece fu Septimus Severus a diventare imperatore.
Tuttavia, non è ancora chiaro se Severus sia imperatore in Il
Gladiatore 2. Proprio come Il
Gladiatore ha cambiato i fatti storici, come Massimo
Decimus Meridius e le sue ispirazioni, anche il secondo film
probabilmente farà lo stesso.
Dal ricatto ai danni di Kimmie alla
nascente storia d’amore che Mallory nega, ci sono molte rivelazioni
sconvolgenti nel finale della prima stagione di Beauty
in Black. Beauty in Black è l’ultimo progetto
che Tyler Perry ha realizzato nell’ambito del suo
accordo pluriennale con Netflix. Il cast di Beauty in Black
è guidato da Crystle Stewart e Taylor Polidore Williams, che
interpretano due donne molto diverse tra loro, le cui vite molto
diverse si scontrano in modi inaspettati. La prima stagione è stata
pubblicata su Netflix il 24 ottobre e consiste in otto episodi
della durata di un’ora (altri otto sono in arrivo nella primavera
del 2025).
La serie ruota attorno a Kimmie,
che sta lottando per sopravvivere dopo essere stata cacciata di
casa dalla madre, e Mallory, che gestisce con successo la sua
attività di cura dei capelli. Kimmie vuole disperatamente fuggire
dal mondo squallido dello strip club in cui lavora, mentre l’impero
di Mallory è minacciato da segreti di famiglia e da un fastidioso
avvocato. Queste trame parallele portano a una serie di colpi di
scena scioccanti nel finale: stagione 1, episodio 8, “Killing
Karma”.
Perché Horace lascia davvero
andare Kimmie e Angel
Quando ha saputo del giudice
corrotto, ha capito di avere problemi più grandi
Il finale della prima stagione di
Beauty in Black ha un inizio esplosivo, con una banda di
uomini armati e mascherati che prendono in ostaggio Kimmie e Angel
mentre tentano di rapinare la cassaforte di Horace. Horace estrae
una pistola e uccide tutti i ladri prima che possano scappare.
Inizialmente sospetta che Kimmie sia dietro la rapina, ma Angel si
prende la colpa. Mentre Horace li pressa per sapere la verità, i
due rivelano che avevano pianificato di rapinarlo per ottenere
abbastanza soldi per fuggire dal club e iniziare una nuova
vita.
Beauty in Black riunisce
Tyler Perry con diversi suoi ex collaboratori, tra cui Crystle
Stewart e Debbi Morgan.
Quando Kimmie spiega che Jules è il
loro protettore e che ha usato un giudice corrotto sul suo libro
paga per far cadere le accuse penali a loro carico, Horace decide
di lasciarli andare. Horace dice loro di andarsene e di non dire a
nessuno che l’hanno incontrato. Quando hanno menzionato il giudice,
ha capito che aveva problemi ben più gravi di cui preoccuparsi. Più
tardi menziona Harold Wiscollins, un giudice che lui e suo fratello
conoscevano, e chiede a Jules se Harold è ancora in carica e se è
ancora in contatto con lui. Jules risponde di no, ma Horace non si
fida di lui.
I sentimenti di Mallory per
Calvin e le sue esitazioni nella loro storia d’amore
spiegati
Durante tutta la prima stagione di
Beauty in Black, Mallory ha una relazione con il suo autista
Calvin. Ma quando lui le confessa di essere innamorato di lei,
Mallory è riluttante ad affrontare i suoi sentimenti romantici
e lo caccia di casa. L’esitazione di Mallory a impegnarsi
seriamente con Calvin si ricollega al tema generale della serie, il
classismo. Lei è un’elitista che non vuole prendere sul serio la
sua relazione con Calvin perché lui è un autista. Quando la
serie tornerà nella primavera del 2025, Mallory potrebbe finalmente
affrontare i suoi sentimenti per Calvin e iniziare una relazione
seria con lui.
Chi ha cercato di rapinare
Horace?
Dopo che Horace ha ucciso i suoi
aspiranti rapinatori, Jules scende per ripulire la scena del
crimine, come Winston Wolf in Pulp Fiction. Jules scopre che uno dei ladri ha nel
portafoglio un biglietto da visita di una società di
casseforti, la stessa che ha installato la cassaforte. Jules
conclude che i tizi che hanno consegnato la cassaforte sono tornati
per rubarla. Tuttavia, Jules non mostra mai il biglietto da
visita a Horace, quindi potrebbe essersi inventato tutto per
coprire il proprio ruolo nella rapina pianificata.
Perché Mallory e Roy offrono
entrambi un lavoro a Lena
Lena è un avvocato le cui
scoperte sull’impero dei prodotti per capelli di Mallory potrebbero
mettere nei guai la famiglia Bellarie e mandare in rovina
l’azienda. Nel finale della prima stagione, Roy incontra Lena in un
ristorante e le offre un lavoro nel reparto legale. Poi Mallory li
affronta, tira fuori una sedia, usa le sue conoscenze per
costringere Roy a lasciare l’edificio e fa a Lena la stessa
offerta. Quando Lena le dice che Roy le ha appena offerto la stessa
posizione, Mallory sembra sinceramente impressionata dal fatto che
suo cognato, solitamente ottuso, abbia escogitato lo stesso piano
diabolico di lei.
Entrambi stanno cercando di
comprarla, sperando che se le danno un lavoro in azienda, lei
smetterà di cercare di distruggerla. Ma Lena insiste che non può
essere comprata e che “non si tratta di soldi”. Mallory ride
e non crede che sia possibile. Questo è uno dei temi centrali della
serie: i ricchi pensano che tutti i loro problemi possano essere
risolti con il denaro, ma non è così quando hanno a che fare con
qualcuno integro.
Chi ha distrutto l’auto di
Charles?
Il penultimo episodio della prima
stagione di Beauty in Black si è concluso con la distruzione
dell’auto sportiva gialla di Charles. Verso la fine del finale,
Mallory è scioccata nel trovare l’auto di Charles in fiamme sulla
strada privata, con la polizia che indaga su un possibile attacco.
Nell’ultimo episodio, l’auto di Charles è stata colpita sul lato
della strada e fatta esplodere da un gruppo di uomini armati e
mascherati. Questi aggressori mascherati sembravano lo stesso
gruppo che ha cercato di rapinare Horace, apparentemente assoldato
da Jules, quindi tutto potrebbe ricondurre a Jules.
Perché Body ha rapito
Sylvia
Nella scioccante scena finale della
prima stagione di Beauty in Black, Kimmie e Angel vengono
affrontate da Body. Dopo aver frainteso completamente gli eventi
recenti, Body pensa che Kimmie stia cercando di usurpare il suo
posto nel club. Body rivela di aver fatto rapire Sylvia, la sorella
adolescente di Kimmie, che userà per ricattare Kimmie affinché si
tolga di mezzo e faccia tutto ciò che vuole. Tuttavia, il piano
fallisce perché Kimmie attacca Body e inizia a picchiarla.
Questo conclude la stagione
con un finale mozzafiato e solleva una serie di domande. Body è
morta? Jules darà la caccia a Kimmie? Sylvia starà
bene?
Quando Body le punta un coltello e
minaccia di chiamare Jules per ucciderla, Kimmie sale in macchina e
investe Body. La stagione si conclude con un finale mozzafiato che
lascia con un sacco di domande. Body è morta? Jules darà la caccia
a Kimmie? Sylvia starà bene? Una cosa è chiara: Kimmie non
accetterà questo ricatto. Farà tutto il necessario, anche
investire chiunque con la sua auto, per riavere sua sorella.
Il vero significato della
bellezza nel finale della prima stagione di Beauty in
Black
Il finale della prima stagione di
Beauty in Black è il culmine dei temi alla Saltburn sulla classe sociale trattati nella serie.
Tutto ruota attorno ai ricchi che cercano di esercitare il loro
potere sui poveri. Sia Mallory che Roy pensano che Lena possa
essere comprata, perché è una “fottuta povera”, ma Lena ha
un’integrità inaspettata. Il finale contrappone la disperazione
delle persone in difficoltà finanziaria alla disperazione dei
ricchi. I personaggi in difficoltà finanziaria, come Kimmie e
Angel, sono disposti a tutto pur di racimolare abbastanza soldi per
sopravvivere, mentre i personaggi ricchi, come Mallory, sono
disposti a tutto pur di mantenere la loro ricchezza.
La
seconda stagione di La legge di Lidia Poët è
pronta ad arrivare su Netflix dal 30 ottobre e avanzando nella
narrazione, offre la possibilità di godere di un personaggio più
adulto, così come risulta più coeso il secondo ciclo rispetto al
primo, meno maturo e a tratti forzato. Abbandonate alcune delle
esagerazioni stilistiche e narrative iniziali, la serie si
avventura in un racconto che riesce a trovare un equilibrio tra il
dramma storico, il giallo investigativo e la riflessione sociale,
sempre attuale. E lo fa con un tono naturale e credibile, che dà
più sostanza e qualità alla trama e ai personaggi.
La trama di La legge di Lidia Poët
Stagione 2
La storia si riapre con Lidia
(Matilda
De Angelis), trasferitasi con il fratello avvocato
Enrico (Pier Luigi Pasino) e la sua famiglia in
una nuova abitazione, a seguito della vendita della casa di
famiglia da parte di Jacopo (Eduardo
Scarpetta). Questo cambiamento non è solo fisico e
logistico, ma anche simbolico: rappresenta l’inizio di una nuova
fase nella vita di Lidia, una donna sempre più determinata a
sfidare le ingiustizie di genere in una società che non riconosce
né rispetta i diritti delle donne. Sebbene radiata dall’albo, Lidia
continua a collaborare con Enrico in numerosi casi, e la sua lotta
per l’uguaglianza dei diritti si intensifica, alimentata
dall’interesse per il movimento delle suffragette.
La seconda stagione di La
legge di Lidia Poët riesce a migliorare un aspetto che
nella prima aveva fatto fatica a decollare: pur replicandone la
struttura di episodi autoconclusivi legati tra loro da una trama
orizzontale, questa volta lo svolgimento dei fatti che costruiscono
il racconto che percorre tutta la stagione sono molto più ordinati
e chiari rispetto al primo ciclo, con il risultato che la serie
risulta più avvincente. Il misterioso suicidio di un amico di Lidia
e Jacopo diventa il fil rouge della stagione, diventando a tutti
gli effetti non solo il principale veicolo di tensione, ma anche un
modo per raccontare l’evoluzione dei personaggi stessi, data la
natura intima del rapporto dei protagonisti con la vittima.
Ritmo e dinamiche di
personaggi
Questa maggiore coesione del
racconto orizzontale, che si inframezza con naturalezza nei singoli
casi che di episodio in episodio vengono sottoposti alla brillante
mente di Lidia influenza in maniera evidente il ritmo della
narrazione. Si mette da parte quindi l’esigenza di stupire a tutti
i costi che sembrava avere la prima stagione, in favore di un gusto
per il racconto molto più fluido e avvincente. Dal primo episodio
gli elementi in gioco sono tanti e tutti contribuiscono a costruire
un quadro ricco e stratificato: Lidia e Jacopo costretti a lavorare
insieme, il rancore della famiglia, un omicidio che avvicina i
protagonisti. La complessità relazionali della prima stagione si
stratificano e Lidia comincia a capire davvero qual è il prezzo
della libertà di cui necessita per portare avanti la sua battaglia.
È chiaro poi che, conoscendo già gli attori in gioco, la serie non
deve perdersi in convenevoli per presentarli al pubblico e li
lancia immediatamente nell’azione.
Matilda De Angelis è
magnetica
Matilda De Angelis conferma la sua
versatilità.
Se poche settimane fa l’abbiamo vista fare la James Bond su
Prime Video, adesso la piattaforma della N rossa ce la
restituisce in corsetti e cappellini, ma quello che non cambia è il
suo magnetismo. Oltre al fattore estetico, innegabilmente dalla sua
perte, De Angelis riesce a infondere una naturale ironia al suo
personaggio, il che ne smussa gli spigoli, rendendo anche quelli
gradevoli. Lidia Poët è irresistibile. La sua voce roca e il suo
atteggiamento anticonformista la fanno camminare in equilibrio tra
passato e presente, tra la contemporaneità e la modernità, sempre
credibile e in parte.
Chiaramente non è sola! Con lei
tornano
Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino
contraltari perfetti alla sua energia. New entry della serie è
Gianmarco Saurino come il procuratore del Re
Fourneau, un uomo giusto e aperto, che nonostante il ruolo
istituzionale riconosce il valore di Lidia. A questo personaggio
viene affidato non solo il compito di aggiungere un ulteriore punto
di vista alla storia e su Lidia stessa, ma rappresenta anche una
possibile apertura verso un mondo in cui le qualità delle persone
vengono riconosciute indipendentemente dal genere. Un personaggio
forse troppo moderno per l’epoca, ma che parla benissimo a noi
oggi.
La serie continua a parlare alla
nostra società
E a proposito di “epoca”, la serie
riesce a trattare temi profondamente rilevanti, come
l’emancipazione femminile e il diritto di voto per le donne, senza
scadere in toni didascalici. Lidia non combatte solo per il
riconoscimento professionale che ormai sembra inarrivabile (l’Albo
degli Avvocati sembra allontanarsi per sempre), ma per il
cambiamento di un’intera società che guarda con sospetto
l’evoluzione della donna. Attraverso diversi personaggi, La
legge di Lidia Poët offre una riflessione sull’importanza
di avere il coraggio di sfidare le convenzioni sociali ma anche il
proprio ruolo e i propri limiti: da Enrico, a Lidia, passando per
Marianna e Teresa, ogni personaggio trova il modo di oltrepassare i
limiti del loro ruolo per costruire un pezzetto di modernità.
Un’eroina affascinante
Ogni episodi di La legge di
Lidia Poët racconta un caso particolare e per ogni
situazione le circostanze sono ricche e diverse, avvincenti, oscure
ma senza mai mettere completamente da parte quello spirito ironico
che anima la protagonista.
Certo è che la serie non può dirsi
un manuale di storia, ma per fortuna la fiction ci consente di
chiudere un occhio su queste incongruenze, un favore di un
intrattenimento genuino che prova anche a parlare alla testa dello
spettatore. Lidia Poët non
è solo un’avvocata che combatte contro le ingiustizie, ma diventa
anche figura simbolica, rappresenta la determinazione e il coraggio
di tutte le donne che hanno lottato per l’uguaglianza e che ancora
lo fanno.
Presentata in anteprima nel ricco
programma della Festa di Roma 2024 con i primi due
episodi proiettati alla presenza di cast e pubblico,
L’Amica Geniale, tetralogia di Elena Ferrante,
arriva alla sua quarta stagione che traspone per la tv il quarto e,
appunto, ultimo libro della saga,
Storia della bambina perduta.
Dove eravamo rimasti?
Avevamo lasciato le due donne
distanti, entrambe alle prese con una nuova vita: Lila con Enzo, il
piccolo Gennarino, e un obbiettivo preciso, quello di aprire
un’azienda con le sue sole forze, di diventare finalmente il capo
di se stessa; Lenù con Nino, quando si accorge che l’amore di tutta
una vita è finalmente alla sua portata e non ci pensa troppo prima
di lasciare marito e figlie e volare via con lui. La terza stagione
dell’amica geniale era finita proprio lì, sul quel volo verso la
libertà e una vita di peccato accanto a Nino (Fabrizio
Gifuni), con l’immagine di quel riflesso che aveva
finalmente svelato al mondo che l’ultima trasformazione di Elena
Greco sarebbe stata affidata a Alba Rohrwacher che, a dire la
verità, ne era sempre stata la voce, lenta e calda, che ha
accompagnato gli spettatori nel fuori campo delle tre stagioni
precedenti.
La separazione e
Dispersione sono i capitoli 25 e 26 di questo
lungo romanzo di formazione, le prime due puntate della quarta e
ultima stagione de L’Amica Geniale, che andrà in
onda dall’11 novembre su RaiUno per 5 serata, fino al 9 dicembre. E
appunto di separazione parla il primo episodio, in cui seguiamo
principalmente Elena alle prese con la sua nuova vita, mentre si è
lasciata alle spalle il matrimonio con Pietro e, temporaneamente,
persino le figlie Dede e Elsa, affidate alle cure della suocera.
Per loro è necessario un ambiente regolare e rassicurante, con
regole e rituali, cosa che lei, nella sua vita da amante di Nino
Sarratore, non può garantire alle figlie.
Elena è l’eroina tragica di un
racconto drammatico, una donna che negli anni Settanta lascia
marito e figlie perché “vuole bene a un altro”. Quella
consapevolezza la travolge quando lo dice a alta voce a sua madre,
intervenuta per cercare di farla riappacificare con Pietro, che in
questo scenario viene dipinto forse come troppo mite e
accondiscendente, se pure naturalmente contrariato. Lenù è divisa
in due, tra senso del dovere di madre e ambizione professionale che
può coltivare a pieno solo nella libertà accanto a Nino, il quale è
per lei sogno e passione, ma anche dubbio e dolore.
L’Amica Geniale: storia
di madri, di corpi, di lotta
La Elena di Alba Rohrwacher smette di subire le decisioni
degli altri, ma questa risoluzione ha un prezzo, e lo vediamo nella
fatica che fa il personaggio a tenere tutto insieme, non volendo
rinunciare né all’amore per Nino né a quello per le figlie, che
pian piano sembra ridestarsi più forte di quanto non sia mai stato.
Dopotutto L’Amica Geniale è sempre stata una storia di donne, di
amiche, certo, ma anche di madri, di corpi, di consapevolezza,
rinuncia e lotta.
La lotta è molto presente nella
serie, che sia personale o di classe, come per le altre stagioni,
anche in questo caso L’Amica Geniale si fa
megafono per la situazione storica del Paese e non risparmia nessun
dettagli di quell’epoca turbolenta: i morti, la violenza, il
rapimento Moro. Lo sfondo della vicenda di Elena e Lila è
estremamente vivido e invadente e per questo, anche se la regista
Laura Bispuri si concentra sui volti, le mani e le
persone, sul suo nuovo cast, tra cui Stefano Dionisi, Lino
Musella, Edoardo Pesce, la Storia viene sempre fuori e si
fa sentire.
Dispersione invece racconta
principalmente la diaspora di Elena che lascia le sue certezze,
ancora una volta e scappa a Milano da Maria Rosa, sorella di Pietro
e sua grande amica, che la accoglie con le ragazze e le offre un
posto sicuro. Non abbastanza da sfuggire però a Lila. L’amica che è
rimasta al rione ed è diventata una imprenditrice invischiata con
la camorra, la cerca di continuo per metterla in guardia da Nino.
Anche lei è caduta nel suo inganno, ma questa volta ci sono di
mezzo figli, matrimoni e soprattutto una moglie che l’uomo non
accenna a lasciare. Il racconto si deve spostare a Napoli, nel
rione, per poter finalmente dare corpo alla presenza ingombrante di
Lila, che nel frattempo ha acquisito il volto di Irene Maiorino,
nata per questo ruolo e per succedere a Gaia Girace. La somiglianza
tra le due è davvero impressionante e il passaggio di testimone
appare naturale, anche grazie alla capacità interpretativa di
Maiornio che raccoglie la sua eredita e la sviluppa a modo suo.
La forza e la durezza di Lila non
bastano a Elena per allontanare Nino. La donna accetterà di essere
una compagna parallela, una moglie part-time, pur di stare con lui,
e questa sua decisione, certamente non facile ma urgente, la
riporterà a Napoli, vicino al rione, a sua madre, a quella miseria
e quella ignoranza dalla quale pensava di essere scappata. Elena è
di nuovo “a casa” e la prossimità con Lila tornerà a essere
necessaria e ingombrante. Farà i conti con il suo passato e forse
troverà la forza di essere indulgente verso quei luoghi e quella
miseria che non conoscono altro che se stessi.
Arriva alla 19°
Festa di Roma con in mano già la Palma
d’oro dell’ultimo Festival di
CannesAnora, la commedia
di Sean
Baker che riscrive le regole del romance e porta
nella contemporaneità la fiaba di quella “gran culo di
Cenerentola” che nel 1990 aveva il sorriso e le gambe
lunghissime di Julia
Roberts e che nel 2024 ha invece il corpo minuto
e sensuale di Mikey Madison, stripper e
prostituta newyorkese che cerca la fortuna tra una lap dance e un
privé.
La storia di Anora, Cenerentola
moderna
La vita di Ani (come le piace farsi
chiamare) procede in maniera abbastanza regolare, tra vita notturna
nello strip-club di Manhattan, e giornate passate a dormire e a
recuperare energie. Una sera al locale dove lavora, data la sua
capacità di parlare russo per via delle sue origini (la nonna era
un’immigrata uzbeka), le viene affidato un cliente molto ricco: il
suo coetaneo Ivan, detto “Vanja”, viziatissimo rampollo di un
oligarca russo, che, attratto dalla ragazza, le offre 15 000
dollari per essere la sua fidanzata per una settimana. I due
trascorrono dei giorni folli, divertendosi come non mai, guidati
dal brio di Ani e dai soldi di Vanja, dediti solo a soddisfare le
proprie voglie, di ogni tipo.
Fino a che a Las Vegas i due
decidono di sposarsi: in questo modo lui non sarà costretto a
rientrare in Russia dai genitori preoccupati, e lei avrà finalmente
una vita agiata e serena, che le permetterà di lasciare il suo
lavoro. Sembrerebbe proprio la fiaba di Pretty
Woman citata sopra, se non fosse che siamo nel
2024 in un film di Sean Baker, e quindi
qualcosa va storto e per Ani e Vanja arriva il momento di pagare il
conto di quella settimana di baldoria e di quel matrimonio
avventato.
Dopo lo splendido Red
Rocket, Sean Baker torna a
raccontare uno degli aspetti del mondo della prostituzione
attraverso la vita e l’indole di Anora, una
giovane donna consapevole e presente a se stessa, che conosce la
vita ma che si concede un piccolo spazio per sognare, nel momento
in cui la sua storia personale sembra prendere una piega
vantaggiosa. È pratica e diretta, capace di contrattare il prezzo
del suo corpo e del suo tempo, vende se stessa con sfrontatezza e
si batte per quello che ritiene suo. Una furia, una forza della
natura, un involucro indistruttibile che nasconde un corpo morbido
di tenerezza e fragilità e che per tutto il film cercherà di tenere
nascosto.
“Quella gran culo di
Cenerentola” non va più di moda
La commedia di Baker rivede il
classico romantico con Julia
Roberts e Richard
Gere, sostituendo ai due affascinanti e intramontabili
miti di Hollywood due ragazzini dal fascino contemporaneo e
sbarazzino che non saranno certo fatti l’uno per l’altra ma che
sono altrettanto indimenticabili. E intanto il regista continua il
suo racconto fiabesco di un’umanità ai margini che cerca il suo
posto in Paradiso: una gita a Disneyland, un ritorno glorioso nel
mondo del cinema per adulti, una vita ricca e agiata che escluda
una volta per tutte la precarietà di doversi vendere per soldi.
Sia
chiaro, Anora non è mai vittima delle
sue scelte di vita. Come accennato sopra, il suo modo di affrontare
il suo lavoro è consapevole e divertito, approccio raccontato con
riuscitissime sequenze in cui la giovane donna si confronta con una
sua collega prendendosi gioco dei clienti, delle loro perversioni,
dei loro versi di piacere, del loro sentirsi forti e virili quando
sono costantemente loro stessi vittime del loro lombi,
posizionando Anora (e le sue colleghe)
in una posizione di assoluto potere. È proprio questa
consapevolezza che rende la protagonista tanto irresistibile,
nonostante la sua talvolta irritante sicurezza.
Jurji e Anora: travolti da un
insolito destino
Sean
Baker gioca con i suoi personaggi e con il genere,
realizzando sequenze mozzafiato e regalando al pubblico personaggi
indimenticabili, su tutti l’Igor di Jurij
Borisov, che resta travolto dall’energia
di Anora e crea da subito con lei
un’alchimia isterica e violenta e allo stesso tempo tenera e
accogliente. Igor rappresenta ciò
che Anora non ha mai conosciuto e per
questo non capisce mai fino in fondo, mai fino quell’ultima
straziante scena che conclude la notte folle attraverso la quale è
stato trascinato lo spettatore.
Se dal punto di vista formale e
narrativo Anora di Sean
Baker è nient’altro che una commedia convincente
(anche se forse troppo dilatata nella seconda parte), con questo
film il regista americano compie un passo in avanti verso
l’immortalità della sua filmografia, riuscendo a tratteggiare dei
personaggi indimenticabili con una precisione emotiva disarmante e
tutta la bellezza delle scoperte lente e preziose: Ani si dischiude
nella sua essenza di fronte allo spettatore, e pian piano, mentre
il film avanza, si mette a nudo completamente, nell’intimo, facendo
sentire nudo, vulnerabile e esposto anche chi la guarda e,
inevitabilmente, alla fine, si innamora.
Taylor Polidore Williams e
Crystle Stewart sono le protagoniste della nuova soap
opera di Tyler Perry Beauty
in Black su Netflix, nei panni di due
donne molto diverse le cui vite si intrecciano in modo inaspettato.
Perry ha prodotto la serie nell’ambito della sua collaborazione
creativa con Netflix. In base al loro accordo pluriennale, Perry è
incaricato di scrivere, dirigere e produrre film e serie TV, e
Beauty in Black è l’ultimo progetto nato da questa
collaborazione. La prima parte della nuova serie sarà disponibile
su Netflix il 24 ottobre e sarà composta da 16 episodi della durata
di un’ora.
Ambientata ad Atlanta, Beauty in
Black ruota attorno a due donne con percorsi di vita molto
diversi. Una di loro, Kimmie, sta lottando per sopravvivere dopo
essere stata cacciata di casa dalla madre, mentre l’altra, Mallory,
gestisce con successo un’attività in proprio. In poco tempo, le due
donne finiscono per essere coinvolte nelle vite l’una dell’altra.
Polidore Williams e Stewart sono le protagoniste dell’ultimo
progetto Netflix di Perry, nei ruoli principali di Kimmie e
Mallory, ma sono affiancate da un cast di attori di grande talento,
tra cui Ricco Ross, Debbi Morgan e Richard Lawson.
Taylor Polidore Williams nel
ruolo di Kimmie
Attrice: Taylor Polidore
Williams è nata a Houston, in Texas, e ha ottenuto il suo primo
ruolo importante interpretando la cacciatrice di taglie Dallas Ali
nella serie crime drama della FX Snowfall. Ha anche
interpretato Lisa nella serie di supereroi della CW Black
Lightning, ha doppiato Clara nel cartone animato della
Nickelodeon It’s Pony e ha interpretato il ruolo principale
di Camille nella serie drammatica soprannaturale della Allblk
Wicked City. Ha già lavorato con Perry quando ha
interpretato il ruolo secondario di Rona nel suo thriller
drammatico Divorce in the Black.
Personaggio: Polidore
Williams recita in Beauty in Black in uno dei ruoli
principali, quello di Kimmie. Kimmie sta lottando per sbarcare il
lunario dopo essere stata cacciata di casa dalla madre autoritaria.
Finisce per trovare lavoro come ballerina esotica e cade nel mondo
squallido di un famoso strip club di Magic City. Sebbene la storia
sia pura finzione, Perry è stato influenzato da storie di vita
reale ambientate in strip club di tutto il mondo.
Crystle Stewart nel ruolo di
Mallory
Attrice: Crystle Stewart è
nata a Houston, in Texas, e ha debuttato con il ruolo
dell’agente immobiliare Leslie Morris nella serie drammatica della
OWN/TBS For Better or Worse, anch’essa creata da Perry.
Ha interpretato Frankie nel cast principale della serie TLC di
Perry Too Close to Home e ha recitato al fianco di Taraji P.
Henson nel thriller psicologico Acrimony, scritto, prodotto
e diretto da Perry. Prima della carriera di attrice, Stewart ha
vinto il titolo di Miss USA 2008 e ha rappresentato gli Stati Uniti
a Miss Universo 2008, dove è entrata nella top 10.
Personaggio: Stewart
interpreta Mallory, l’altra protagonista di Beauty in Black
al fianco di Polidore Williams. Mentre Kimmie è a corto di soldi e
fatica ad arrivare a fine mese, Mallory gestisce con successo la
sua attività di cura dei capelli. Le due donne, con stili di vita
molto diversi, sono messe a confronto e costituiscono la trama
drammatica della serie. Mallory ha molto successo all’apparenza, ma
ha difficoltà a tenere unita la sua ricca famiglia. Alla fine, con
il proseguire della serie, le vite di Kimmie e Mallory si scontrano
in modi inaspettati.
Ricco Ross nel ruolo di
Horace
Attore: Ricco Ross è nato a
Chicago, Illinois, e ha raggiunto il successo con il ruolo del
soldato Frost nelfilm d’azione di fantascienza Aliens di James Cameron. Ross ha interpretato altri
ruoli minori in film come Fierce Creatures, dove interpreta un
giornalista televisivo, Mission: Impossible, dove interpreta una
guardia di sicurezza, e Death Wish 3, dove interpreta un cubano.
Tra i precedenti ruoli televisivi di Ross figurano il pastore R.J.
Gilfield nella serie drammatica P-Valley, Greg Dacosta nel cast
principale della serie televisiva britannica Westbeach e il ruolo
ricorrente di Liftman Coneybear nella terza stagione della serie
drammatica Jeeves and Wooster.
Personaggio: Ross interpreta
un ruolo secondario fondamentale nel cast di Beauty in Black
nei panni di Horace. Horace facilita il primo grande punto di
svolta nell’arco narrativo del personaggio di Kimmie. È un cliente
abituale dello strip club dove lei lavora. Quando lei incrocia la
sua strada, lui finisce per cambiarle la vita.
Debbi Morgan nel ruolo di
Olivia
Attrice: Debbi Morgan è nata
a Dunn, nel North Carolina, e ha raggiunto il successo con il
ruolo di Angie Baxter-Hubbard nella soap opera di lunga durata
della ABC All My Children. Morgan è stata la prima
afroamericana a vincere il Daytime Emmy Award come migliore attrice
non protagonista in una serie drammatica per il ruolo di Angie nel
1989. Morgan ha anche interpretato la Veggente nelle stagioni 4 e 5
di Charmed, Mozelle Batiste-Delacroix in Eve’s Bayou
(che le è valso un Independent Spirit Award) ed Estelle Green nella
serie crime drama di Starz Power e nel suo spin-off,
Power Book II: Ghost.
Personaggio: In Beauty in
Black, Morgan interpreta Olivia. Olivia è una delle
protagoniste femminili al fianco di Kimmie e Mallory. Morgan
collabora spesso con Perry, avendo già recitato in Divorce in the
Black e American Gangster Presents: Big 50 – The Delrhonda Hood
Story.
Richard Lawson nel ruolo di
Norman
Attore: Richard Lawson è
nato a Loma Linda, in California, e ha debuttato con il ruolo di
Willis Daniels nel sequel horror blaxploitation Scream Blacula
Scream. Lawson è noto soprattutto per aver interpretato Ryan nel
film horror Poltergeist e il dottor Ben Taylor nella
miniserie della NBC V. Ha anche recitato in ruoli secondari
importanti in film come Coming Home, Streets of Fire,
How Stella Got Her Groove Back e Guess Who.
Personaggio: Lawson
interpreta Norman in Beauty in Black. Norman è un
personaggio secondario importante nell’ensemble. Lawson è uno degli
attori più esperti del cast.
Beauty In Black Cast secondario
e personaggi
Amber Reign Smith nel ruolo di
Rain: Amber Reign Smith appare nel cast di Beauty in
Black nel ruolo di Rain. Smith ha precedentemente interpretato
Queenie in Outlaw Posse, Roma in Wu-Tang: An American
Saga, Bebe Thompson in Rap Sh!t e Kiara in The Other
Black Girl.
Steven G. Norfleet nel ruolo di
Charles: Charles è interpretato da Steven G. Norfleet. Norfleet
è noto soprattutto per aver interpretato Paul de Pointe du Lac in
Intervista col vampiro, O.B. Williams nella miniserie HBO
Watchmen e Cecil Franklin in Genius.
Julian Horton nel ruolo di
Roy: Roy è interpretato da Julian Horton. Horton ha
precedentemente interpretato Orlando Bishop in National
Champions e Jayce nel film TV Ruined.
Terrell Carter nel ruolo di
Varney: Terrell Carter appare in Beauty in Black
nel ruolo di Varney. Carter ha già lavorato con Perry quando ha
interpretato il reverendo Carter nel film di Madea Diary of a
Mad Black Woman. Ha anche interpretato Kevin Campbell nella
versione televisiva di Shooter.
Presentato al Festival di Cannes
2024 è arrivato nelle nostre sale il 24 ottobre,
Parthenope, il
nuovo film di Paolo Sorrentino è stato un
evento accolto con più entusiasmo all’estero che in patria, visto
che non è raro che nessuno è profeta in patria, anche ai livelli
altissimi raggiunti dal cinema di Sorrentino.
Il regista partenopeo di adozione
romana evoca un lirismo frammentato, per alcuni ridondante e
autoreferenziale, ma ha anche un’anima punk che gli impedisce di
essere incasellato in un sistema. Non si fa scrupoli a fare suo
qualsiasi argomento. E poi, è un uomo dotato di una sensibilità
superiore a quella comune, che nota e intuisce frequenze emotive e
sfumature di significato accessibili a pochi. Una visione fatta di
tante domande e pochissime risposte, perché Sorrentino è un uomo
votato al dubbio, proprio come i suoi film. Ed è forse per questo
che la frenetica ricerca di “senso” al termine della visione di
Parthenope lascia spesso interrogativi ancora
aperti e un sapore amaro in bocca.
Il film con protagonista
Celeste della Porta si distingue, a livello
formale, per la sua netta divisione in due macro sezioni, la prima
prettamente narrativa, che segue la giovinezza di questa fanciulla
inafferrabile. La seconda, decisamente più interessante e
enigmatica, che abbraccia a piene mani la metafora di una
donna/città che si fa attraversare da tutte le sue anime.
Parthenope nasce in mare e cresce sulla costa, alimentata dal
bello, la cultura, i giochi d’infanzia con suo fratello e il suo
migliore amico, in questa specie di triangolo incestuoso in cui
nessuno davvero si immerge.
Il vero significato di
Parthenope
Ma dopo il traumatico avvenimento
centrale, Parthenope diventa Napoli, che senza
essere mai catturata nella sua essenza si fa toccare da ognuno dei
suoi “luoghi comuni”. La fanciulla entra in contatto quindi con le
anime della città, in quelli che sembrano episodi slegati,
indipendenti l’uno dall’altro, ma tutti che fanno riferimento alla
ricchezza e alla molteplicità di Napoli. Nel realizzare il suo
Roma, in continuo accostamento (forse solo degli altri) a Fellini,
Sorrentino scompone la sua città: la fede, la ricchezza, la mala
vita, la cultura, l’accademia, lo sport, la vita e la morte, la
musica e l’arte. Ogni “episodio” che vede protagonista il
personaggio di Celeste della Porta vede
rappresentata una delle caratteristiche della città. Una grande
metafora della ricchezza composita e inafferrabile della splendida
ninfa nata dal mare.
Parthenope di Paolo Sorrentino – Foto Credit Hollywood Authentic/
Greg Williams
La spiegazione del finale di
Parthenope
Nel finale del film, Sorrentino
torna alla narrazione classica, attraverso il personaggio di
Stefania Sandrelli, una Parthenope non più
giovane, ma saggia e risolta, che una volta raggiunta la pensione
torna a Napoli e si pacifica con lei. La giovinezza, l’età verde in
cui tutto è possibile, è passata ma guardando la città intorno a
sé, la donna si rende conto che esiste una eredità in essa, proprio
per il fatto che l’ha attraversata così in profondità, l’ha
indossata come la preziosissima mitra che porta con regalità in una
delle sequenze più discusse del film, e con fierezza è diventata
una sola cosa con Napoli.
Come detto in apertura, Paolo
Sorrentino non è un uomo di risposte, ma di domande, e sebbene le
spiegazioni siano sempre appaganti, il dubbio e l’interpretazione
delle sue opere rimarrà sempre uno degli aspetti più interessanti
della sua produzione.
I thriller polizieschi, se ben
fatti, lasciano sempre allo spettatore qualcosa su cui riflettere.
Solitamente incentrati sulle vicende tra poliziotti buoni e
cattivi, questo genere è noto per affrontare questioni filosofiche
elevate quali l’onestà e la giustizia contrapposte alla
sopravvivenza e alla sicurezza, che continuano a ronzare nella
mente anche dopo la fine del film. L’ultimo film dello
sceneggiatore e regista Andrea Di Stefano,
L’ultima notte di Amore, dimostra che il regista
sa come realizzare un thriller poliziesco per spettatori attenti,
senza tralasciare gli elementi emozionanti tipici del genere.
L’ultima notte di
Amore racconta la storia di Franco Amore
(Pierfrancesco
Favino), un poliziotto onesto che, a pochi giorni
dalla pensione, decide con esitazione di lavorare come guardia del
corpo per un uomo d’affari cinese. Il suo ultimo giorno di lavoro,
la sua carriera immacolata viene messa a repentaglio quando un
incarico va terribilmente storto.
Cosa succede in
L’ultima notte di Amore?
Sono successe molte cose
nell’ultimo giorno di lavoro di Franco Amore come agente di
polizia. Solo dieci giorni prima aveva salvato la vita a un uomo
d’affari cinese, Zhang Zhu, che sarebbe morto per un arresto
cardiaco se Franco non fosse arrivato appena in tempo per
rianimarlo. Cosimo, cognato di Franco, era in affari con Zhu e
pensò che sarebbe stata una buona idea presentargli Franco e
chiedergli di fornire un servizio di sicurezza per Zhu.
Franco, che aveva 35 anni di
esperienza nelle forze dell’ordine, era il candidato ideale per
quel tipo di lavoro. Non aveva l’aspetto minaccioso o duro degli
altri agenti, cosa piuttosto insolita considerando che aveva
dedicato tutta la sua vita a un lavoro così faticoso. Sua moglie,
che ama profondamente, sembra essere la ragione di questo suo
atteggiamento. Viviana, allegra e di buon carattere, ha sempre
mantenuto viva la casa con la sua presenza. Non era il tipo di
donna che lo avrebbe lasciato solo mentre lui era via per risolvere
tutti i suoi problemi. Questo a volte irritava Franco, ma il più
delle volte avere Viviana come compagna era di grande aiuto. Franco
aveva anche una figlia dal precedente matrimonio che studiava
all’estero. Presto Franco sarebbe andato in pensione e avrebbe
avuto abbastanza tempo da dedicare anche a lei. Questa doveva
essere la sua intenzione, ma il destino aveva altri piani.
Aveva salvato la vita a Zhu, lo
aveva incontrato mentre era di guardia a Cosimo e aveva accettato
di fornire a Zhu lo stesso tipo di servizio che aveva fornito a
Cosimo. Aveva però detto al genero di Zhu che aveva delle
condizioni che, se non fossero state rispettate, gli avrebbero
impedito di fornire il servizio. Gli uomini di Zhu non avrebbero
trasportato armi o stupefacenti sotto la sua sorveglianza.
L’accordo era stato stipulato con chiarezza da entrambe le parti.
Franco era un po’ preoccupato nel vedere alcuni criminali cinesi in
cella, ma i soldi extra significavano che non avrebbe dovuto
preoccuparsi di sopravvivere solo con la sua misera pensione. Un
incarico arrivò proprio il giorno prima del suo pensionamento.
Voleva rimandarlo, ma la somma ingente lo spinse ad accettare il
lavoro. Franco non avrebbe mai dovuto accettare il lavoro, ma se ne
rese conto troppo tardi, causando la morte del suo partner,
Dino.
Come è morto Dino?
Pochi giorni prima del
pensionamento, Franco parlò a Dino del lavoro. Il denaro sarebbe
stato diviso e a Dino non dispiaceva accompagnare Franco. Anche
Dino aveva un figlio piccolo e il lavoro non doveva essere
pericoloso, o almeno così pensava. Considerando tutti questi
fattori, Dino accettò. Il giorno prima del pensionamento di Franco,
che era anche il suo compleanno, lui e Dino erano pronti a
trasportare una coppia cinese a Zhu. Trasportavano qualcosa di
grande valore in una valigetta, ma a Franco non importava. Il suo
obiettivo era portare a termine il lavoro e andarsene con i
soldi.
L’atmosfera si fece un po’ tesa
quando il veicolo ebbe improvvisamente una gomma a terra. La coppia
cinese si agitò e sia Franco che Dino fecero fatica a mantenerli
calmi. Una macchina della polizia iniziò a seguire Franco, che fu
costretto a fermarsi. Pensava di poter gestire la situazione, ma i
due agenti dei Carabinieri che lo seguivano non gli diedero ascolto
e non si curarono del fatto che fosse un poliziotto locale. La loro
insistenza lo ha fatto dubitare delle loro intenzioni, ma prima che
potesse decidere cosa fare, il cinese ha sparato a uno degli
agenti. Tutto è andato a rotoli e tutti tranne Franco sono morti.
Franco ha dato un’occhiata alla valigetta e ha trovato una scorta
di diamanti. L’ha gettata su un ponte abbandonato e è scappato.
Perché Franco non si
arrende?
Viviana, che aveva organizzato una
festa a sorpresa per Franco, riceve la notizia quando Franco la
chiama per chiederle di portargli dei vestiti puliti. Franco le
racconta che il lavoro è andato male e che Dino è stato ucciso.
Voleva andare alla polizia e raccontare tutto del suo legame con
Zhang Zhu, ma Viviana lo ha fermato. Secondo lei, potevano scappare
e ricominciare una nuova vita altrove. Tutta la sua carriera
sarebbe stata rovinata se qualcuno avesse saputo del suo
coinvolgimento negli omicidi. Ha cambiato idea e ha deciso di non
costituirsi non per le fantasie di Viviana, ma perché aveva ancora
la sensazione di poter risolvere il caso e scoprire chi c’era
dietro il lavoro mal fatto.
Franco arrivò sulla scena del
crimine dopo essersi presentato alla sua festa di compleanno,
assicurandosi così un alibi. Lì vide che qualcuno aveva piazzato la
pistola del cinese sul corpo di Dino, facendo sembrare che fosse
stato lui a uccidere l’agente dei Carabinieri. Prima di morire,
l’altro agente dei Carabinieri aveva composto un numero per
chiamare i rinforzi. Franco aveva fotografato i tabulati delle
chiamate prima di lasciare la scena del crimine, quindi sapeva che
l’ultimo numero chiamato doveva essere quello del poliziotto che
era arrivato sul posto e aveva piazzato la pistola su Dino. Ha
composto il numero e ha scoperto che l’uomo era un altro agente dei
Carabinieri che lo aveva visto scappare dalla scena del crimine.
Rivelare il suo nome ai superiori avrebbe potuto significare finire
in prigione. Franco rimane in silenzio sulla questione fino a
quando non gli viene in mente una domanda: chi ha detto a questi
poliziotti corrotti dei diamanti?
Spiegazione del finale di
L’ultima notte di Amore: Franco è
morto?
Dopo aver aiutato Viviana a trovare
i diamanti, le disse di prendere Ernesto, il figlio di Dino, e di
andare al villaggio di Dino fino al suo arrivo. Aveva finalmente
capito chi c’era dietro la rapina. Prima di morire, l’agente dei
Carabinieri aveva mostrato grande sorpresa e delusione perché le
era stato detto che Franco non aveva sparato, sottintendendo che
non si aspettava che lui avrebbe lasciato che il lavoro diventasse
violento. Franco aveva sentito lo stesso identico commento da
Cosimo, e solo lui sapeva che Franco avrebbe partecipato al lavoro.
Franco capì quindi che era stato Cosimo a manipolarlo per farlo
lavorare per Zhu, proprio perché pensava che avrebbe lasciato che i
diamanti venissero portati via.
Franco va direttamente da Cosimo,
lo cattura e lo porta da Zhu per rivelargli tutti i segreti. È qui
che Cosimo rivela che è stato il genero di Zhu a ideare l’intero
piano e che lui era solo un intermediario, che forniva gli agenti
corrotti della Carabinieri con l’aiuto di suo cugino Tito. Franco
non era ancora fuori dai guai. Zhu aveva perso i diamanti, che ora
erano in possesso di Viviana. Quando gli viene chiesto di
restituirli, Franco rifiuta come punizione per aver infranto
l’accordo di non permettere a uomini armati di entrare nella sua
proprietà. Se il cinese non avesse avuto la pistola, non avrebbe
potuto sparare per primo, causando la morte di cinque persone. I
diamanti servono anche a Ernesto per sopravvivere. Se l’inchiesta
avesse scoperto il suo coinvolgimento nella scena del crimine,
Franco avrebbe perso la pensione e Viviana e sua figlia sarebbero
rimaste senza mezzi di sussistenza. Spiegando questo motivo per non
restituire i diamanti, Franco lascia l’edificio e conclude i suoi
35 anni di servizio, annunciando il suo pensionamento. Si vede un
uomo uscire dall’edificio, forse per sparare a Franco.
Si può presumere che Franco sia
morto. L’uomo era probabilmente una delle guardie di Zhu inviata
per uccidere Franco per la sua audacia nel non restituire i
diamanti. Ma l’ultimo giorno gli aveva aperto gli occhi su un mondo
completamente diverso. Suo cognato lo aveva tradito ed era furioso.
L’intera personalità di Franco ha subito un grave cambiamento negli
ultimi giorni. Era considerato un poliziotto onesto ma debole, che
aveva paura di sparare, ma era cambiato molto nelle ultime ore. La
sua indecisione aveva causato la morte del suo amico Dino e forse
non sarebbe mai più stato così indeciso. Quindi, è molto probabile
che quando Franco ha visto l’uomo arrivare da lontano, questa nuova
versione di sé stesso gli abbia sparato per primo, assicurandosi di
poter rivedere la sua famiglia. Ma poi, come suggerisce il titolo
del film, quella era la sua “ultima notte”, il che fa pensare che
sia morto. Oppure potrebbe significare che era semplicemente il suo
ultimo giorno da poliziotto onesto e rispettoso della legge e che
da quel momento in poi anche lui avrebbe sparato per primo quando
si fosse trovato di fronte a un criminale.
Durante un’intervista al podcast
Happy Sad Confused, l’attore Andrew Garfield ha ricordato il periodo
trascorso con Heath Ledger sul set di Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il
diavolo del 2009. Garfield ha infatti raccontato di
aver lavorato con Ledger dopo che questi aveva terminato le riprese
de Il cavaliere oscuro e, prima che il film di Christopher Nolan venisse presentato in
anteprima. A quanto raccontato dall’amato interprete di Spider-Man,
l’attore australiano sapeva già che quel film sarebbe stato un
successo.
“Aveva appena fatto il Joker,
aveva appena finito di fare Il cavaliere oscuro, ed era così
compiaciuto”, ha detto Garfield. “Gli ho chiesto: “Com’è
andata?” e lui mi ha risposto: “Alla grande””. Garfield ha
inoltre ricordato quando Ledger ha criticato la copertina di una
rivista per cui aveva posato in vista della sua interpretazione del
cattivo della DC Comics, il Joker. “Ricordo che uscì la
copertina della rivista Empire e lui disse: ‘Oh, hanno usato una
foto di merda’”, ha raccontato Garfield.
“E io gli ho detto: ‘Mi stai
prendendo in giro, amico, è incredibile’. E lui: “No, la posa è
sbagliata, sembra una versione convenzionale di quello che un
attore… vedrai”. E, beh, poi l’ho visto”, afferma Garfield in
riferimento al valore dell’interpretazione del collega. Come noto,
Heath Ledger è poi stato trovato morto nel gennaio 2008, mesi prima
dell’uscita de Il cavaliere oscuro nel luglio dello stesso anno. Il
film della DC divenne un successo al botteghino e Ledger vinse
persino un Oscar postumo per la sua interpretazione del Joker.
Garfield ha imparato molto da Heath
Ledger mentre lavorava con lui: “Era una specie di faro, era
come un animale selvaggio. Era così libero, così selvaggio e così
pericoloso sul set, in un modo che era di ispirazione e spontaneo.
Prima di ogni ripresa, o di una ripresa per ogni scena, diceva:
‘Divertiamoci un po’ con questa’”. E ha continuato: “Ho
ancora molti suoi ricordi. Ricordo che il primo giorno che l’ho
incontrato indossava questi fantastici occhiali da sole Ray Ban
mimetici e io gli ho detto: ‘Oh, ehi, che occhiali da sole fighi’.
E il giorno dopo erano nel mio camerino, me li aveva lasciati. Era
uno spirito molto generoso, bello e creativo”.
Netflix ha rinnovato la commedia
romantica Nobody Wants This (qui
la recensione), con protagonisti Kristen Bell e Adam Brody, per una seconda stagione. Il
rinnovo, però, avviene con un cambio di showrunner, con l’ideatrice
Erin Foster che rimarrà però voce creativa della
serie. Al suo posto, gli ex allievi di Girls,
Jenni Konner e Bruce Eric Kaplan,
sono saliti a bordo come produttori esecutivi e showrunner per la
seconda stagione, guidando una writers room aperta da un paio di
settimane. A loro si aggiungono Nora Silver,
presidente della Jenni Konner Productions, che sarà produttrice
esecutiva insieme al duo.
Gli accordi con Konner, Kaplan e
Silver – come riportati da Deadline – sono stati stipulati
prima dell’uscita della commedia il 26 settembre, uno dei lanci più
forti di sempre per una serie comica originale Netflix. Debuttando
al n. 2 nel weekend di apertura, Nobody Wants This
è salita al n. 1 nella sua prima settimana completa, ottenendo ben
26,2 milioni di visualizzazioni nei suoi primi 11 giorni di uscita
e cogliendo lo zeitgeist e innescando una conversazione.
“Aver ideato Nobody Wants This
sarà per sempre un punto di forza della mia carriera”, ha
dichiarato la Foster, che per la serie ha tratto ispirazione dalla
sua esperienza personale. “L’incredibile cast, la troupe, i
produttori e i dirigenti hanno fatto sì che questo show diventasse
quello che è oggi, e sperimentare le reazioni degli spettatori a
questa serie ora che è uscita nel mondo è stato più di quanto
potessi sognare. Sono così fortunata a poter continuare questa
storia e a farlo al fianco di Jenni Konner e Bruce Eric Kaplan, di
cui sono una grande fan dai tempi di Girls… Giustizia per le
relazioni sane che sono anche le più romantiche!”
“È un sogno lavorare a Nobody
Wants This”, ha dichiarato invece Konner. “Erin è la rara
creatrice con una voce cristallina e uno spirito genuinamente
collaborativo. Sono una vera fan dello show di Erin e mi sento
anche molto fortunata a tornare in una stanza con due dei miei
preferiti, Bruce Kaplan e [la scrittrice] Sarah Heyward di
Girls”. Kaplan ha aggiunto: “Sono entusiasta oltre ogni
dire di far parte della seconda stagione di Nobody Wants This,
creata dalla divertentissima Erin Foster. È uno show così unico e
bello e mi sto già divertendo moltissimo a lavorarci”.