L’uscita di Superman
nei cinema è ormai alle porte e il film sta decisamente
intensificando gli sforzi promozionali, tanto che oggi arriva anche
la prima occhiata alla Hall of Justice. Quando le riprese
si sono spostate da Cleveland e Cincinnati nel febbraio 2024, erano
già iniziate le speculazioni sulla possibile inclusione del
quartier generale della Justice League.
Diamo un primo sguardo a come
apparirà la Hall of Justice in Superman, grazie a
uno spot/promozione Toyota.
“Vedi la Hall of Justice e ti accorgi che non è ancora
finita”, ha detto James
Gunn in una precedente intervista. “È di proprietà
di Maxwell Lord, e lui è il proprietario della Justice
Gang.”
Il quartier generale della DCU è ancora in costruzione, il che spiega il suo
aspetto semplice per ora, come afferma Gunn. Ha anche
precedentemente confermato che la Justice League
non si è ancora formata, nonostante Superman sia attivo da tre
anni.
Nel cast anche
Rachel Brosnahan,
Nicholas Hoult, Edi Gathegi, Anthony Carrigan,
Nathan Fillion,
Isabela Merced, Skyler Gisondo, Sara Sampaio, María Gabriela de
Faría, Wendell Pierce,
Alan Tudyk, Pruitt Taylor Vince e Neva
Howell. Il film sarà al cinema dal 9
luglio distribuito da Warner Bros.
Pictures.
“Superman”, il
primo film dei DC Studios in arrivo sul grande schermo, è pronto a
volare nei cinema di tutto il mondo quest’estate, distribuito da
Warner Bros. Pictures. Con il suo stile inconfondibile, James Gunn
trasporta il supereroe originale nel nuovo universo DC reinventato,
con una miscela unica di racconto epico, azione, ironia e
sentimenti, consegnandoci un Superman guidato dalla compassione e
da una profonda fiducia nella bontà del genere umano.
Produttori esecutivi di
“Superman” sono Nikolas Korda, Chantal Nong Vo e
Lars Winther. Dietro la macchina da presa, Gunn si è avvalso del
lavoro di suoi collaboratori fidati, tra cui il direttore della
fotografia Henry Braham, la scenografa Beth Mickle, la costumista
Judianna Makovsky e il compositore John Murphy, oltre al
compositore David Fleming (“The Last of Us”), ai montatori William Hoy
(“The Batman”) e Craig Alpert (“Deadpool 2”, “Blue Beetle”).
Il regista di F1 – Il
film(qui
la recensione) Joseph Kosinski ha rivelato che
a un certo punto era stato girato un finale alternativo per la gara
finale del film, che vedeva un vincitore completamente diverso. Nel
finale che possiamo oggi vedere al cinema, il veterano Sonny apre
la strada al suo compagno di squadra per portarlo al primo posto e
vincere la gara, ma un incidente permette poi proprio a Sonny di
correre verso la vittoria. In un’intervista con GQ, il regista Joseph Kosinski ha ora
però rivelato che nel finale alternativo è invece Joshua a vincere
la gara.
“In realtà abbiamo girato anche
un finale in cui Damson vince… Dove sale sul podio e solleva il
trofeo”, dice il regista Kosinski, prima di interrogarsi.
“L’abbiamo girato con le telecamere? Mi sembra che l’abbiamo
girato solo per confondere le idee. Probabilmente i fan
avrebbero comunque indovinato che Sonny avrebbe vinto la gara
finale: è praticamente la regola di qualsiasi film sportivo
soddisfacente e adatto al grande schermo che l’eroe superi le
difficoltà e ne esca vittorioso… Ma chi se ne importa?
“I film riguardano più il
viaggio che la destinazione. È lì che sta il divertimento. Voglio
dire, chiunque può indovinare il finale di un film”, ha
concluso Kosinski. Anche se non è mai stato effettivamente girato,
è importante notare che Kosinski e il suo team sono arrivati al
punto di inscenare il finale, il che significa che c’è stata almeno
una certa valutazione di quello che doveva essere il risultato
finale, invece di cercare semplicemente di ingannare gli
spettatori. Tuttavia, sulla base dei commenti di Kosinski, sembra
che la vittoria di Sonny Hayes fosse già stata decisa sin da
subito.
F1 – Il film è la storia della redenzione di
Sonny Hayes
La storia di Sonny Hayes in
F1 – Il film è una storia di redenzione. La sua
carriera, un tempo promettente, è stata interrotta da un incidente
devastante, basato su un incidente realmente accaduto, e negli
ultimi trent’anni ha inseguito il brivido delle corse ad alta
velocità, anche se lontano dai riflettori che un tempo lo
illuminavano. La vittoria di Sonny nella gara finale, sebbene
prevedibile come esito scontato di qualsiasi dramma sportivo,
rappresenta per Sonny una conquista catartica. Grazie alla fortuna
e alle circostanze, è riuscito a tornare in Formula Uno,
considerata la competizione automobilistica di più alto
livello.
La sua vittoria offre un finale
necessario all’arco narrativo del suo personaggio. Il finale
alternativo lo avrebbe probabilmente visto sacrificarsi
(metaforicamente) nella gara finale affinché il suo giovane
compagno di squadra, la cui carriera è appena agli inizi, potesse
ottenere la vittoria e intraprendere il percorso che Sonny non è
mai riuscito a completare. Sarebbe stata una svolta ammirevole per
il suo personaggio e avrebbe avuto perfettamente senso dal punto di
vista narrativo, dato che il tempo di Sonny era finito e il momento
apparteneva a Joshua.
Tuttavia, il colpo di scena finale
nella gara che permette a Sonny di vincere fornisce una misura di
definitività che il suo personaggio sembra aver inseguito sin da
quando era giovane. Anche se Sonny ha vinto molte altre gare nella
sua carriera di pilota, la vittoria in un Gran Premio di Formula
Uno è stata il punto esclamativo che ha riscattato il suo
infortunio di tanto tempo fa che aveva posto fine alla sua
carriera.
James Gunn ha risposto alle voci secondo cui
starebbe valutando la possibilità di affidare ad Adria
Arjona il ruolo di Wonder Woman
nell’Universo DC. In una nuova intervista, al co-capo dei DC
Studios è stato infatti chiesto del suo seguire Arjona sui social
media, cosa che ha spinto i fan a chiedersi se le avrebbe offerto
il ruolo della supereroina. “Seguo Adria su Instagram, ma tutti
sono usciti fuori dicendo: ‘L’ha appena seguita, significa che è
Wonder Woman’”, ha detto Gunn in un’intervista a Extra.
“Sarebbe una grande Wonder
Woman, comunque”. Gunn ha poi continuato: “Era in un film
che ho fatto sette anni fa. Siamo amici e ci conosciamo da allora.
L’ho seguita allora, non ho iniziato a seguirla solo ora”. Per
il momento, dunque, Gunn non si sbilancia. Sappiamo che un nuovo
film su Wonder Woman è attualmente in fase di sviluppo, dunque
quando la sceneggiatura sarà completa potrà iniziare il processo di
casting e scopriremo se Adria Arjona otterrà davvero il ruolo.
Adria Arjona è la preferita dei fan
per interpretare Wonder Woman
Il film in cui Arjona ha recitato è
stato The Belko Experiment del 2016, diretto da Greg
McLean e scritto da James
Gunn, che lo ha anche prodotto insieme al partner dei
DC Studios Peter Safran. Per quanto riguarda l’attrice, in
un’intervista rilasciata all’inizio di quest’anno, alla Arjona è
stato chiesto del fatto che è la favorita dai fan per il ruolo
diWonder Woman. “Amo James Gunn”, ha detto l’attrice in
quell’occasione. “Mi ha dato il mio primo film in assoluto, che
era tipo il mio primo film in studio, quindi gli devo
molto”.
Hot Summer Nights è
un film del 2017 diretto da Elijah Bynum, che si
inserisce all’interno del filone coming of age con una forte impronta neo-noir e crime
drama. Ambientato durante un’afosa estate del 1991 a Cape Cod,
Massachusetts, il film mescola romanticismo adolescenziale, droga,
criminalità e una costante tensione emotiva che cresce fino a un
epilogo drammatico. Attraverso un’estetica visiva marcata, una
colonna sonora rétro e una regia stilizzata, il film propone dunque
un racconto di formazione distorto, sensuale e pericoloso, in cui
l’innocenza svanisce sotto il sole cocente e tra i fumi della
marijuana.
Hot Summer Nights
si inserisce così nel solco di film di formazione ambientati in
contesti estivi densi di tensione, desiderio e pericolo, come
Come un tuono, Chiamami
col tuo nome (con lo stesso Chalamet) o A Bigger Splash. Tutti questi titoli condividono una
narrazione che intreccia crescita personale, eros e violenza
latente, spesso sullo sfondo di paesaggi assolati e isolati. Come
già detto, il film di Elijah Bynum si distingue poi per il suo mix
tra crime e romanticismo malinconico, avvicinandosi anche al tono
cupo e nostalgico di American Honey o Thirteen,
raccontando una giovinezza bruciata troppo in fretta, in un’estate
destinata a non finire mai davvero.
Il film ha ricevuto reazioni
contrastanti per il suo stile volutamente eccessivo e per la trama
che alterna momenti di pura adrenalina a pause più introspettive.
Tuttavia, è proprio il suo finale ambiguo e malinconico ad aver
colpito e spiazzato molti spettatori. Nel prosieguo dell’articolo
ci soffermeremo proprio su questo: analizzeremo cosa accade nel
terzo atto e cosa suggerisce il destino dei personaggi principali,
cercando di fornire una spiegazione chiara e approfondita del
significato ultimo del film.
Il film è ambientato nel 1991 e
racconta la storia di Daniel (Timothée
Chalamet), un adolescente impacciato, riservato e
solitario, la cui vita cambierà radicalmente nel corso di una calda
estate. La madre di Daniel, in seguito alla morte del padre, decide
di mandare il figlio a trascorrere l’estate a casa di una zia
sull’isola di Cape Cod, sperando che possa trovare un po’ di
serenità. Il giovane fa però fatica ad integrarsi, vivendo giornate
anonime e senza direzione, fino a che non si imbatte nel ribelle
della zona, Hunter Strawberry (Alex Roe). Daniel
accetta di coprirlo nascondendo per lui delle bustine di marijuana
mentre il delinquente è braccato da un poliziotto locale.
Entra così nelle grazie di Hunter e
diventa suo socio nello spaccio di droga. Complice l’adrenalina del
rischio e la sete di affermazione, Daniel comincia così a ottenere
una nuova consapevolezza di se stesso, cambiando progressivamente
atteggiamento e modo di vivere, arrivando anche a innamorarsi
dell’enigmatica sorella del suo collega, McKayla
(Maika
Monroe). Ma il brio di infrangere le regole e
l’ambizione crescente di Daniel porteranno presto a conseguenze
drammatiche, irreversibili e fuori dal suo controllo.
La spiegazione del finale
Così, nel terzo e drammatico atto di Hot Summer
Nights, l’arresto del sogno malavitoso dei protagonisti
avviene con ritmo incalzante. Daniel e
Hunter incontrano Dex
(Emory Cohen) per un affare di cocaina, un passo
che supera i limiti del loro traffico di marijuana. L’attività
clandestina precipita quando però Dex scopre che i due vendono la
droga senza passare per lui. Ordina così a Hunter l’omicidio di
Daniel. Con un ultimo atto di lealtà, Huner avverte però l’amico di
scappare e non tornare mai più. Ma l’inevitabile accade: Dex,
indignato da questo ennesimo tradimento, intercetta Hunter e lo
uccide brutalmente.
Alex Roe, Emory Cohen e Timothée Chalamet in Hot Summer
Nights
Il tutto avviene durante l’arrivo dell’uragano Bob, che diventa
metafora distruttiva del caos imminente.
In piena tempesta, Daniel si precipita da McKayla, ma trova la sua
casa vuota e distrutta. Scopre così il corpo di Hunter,
orribilmente ucciso, e la giovane, sconvolta, salta su un autobus,
congedandosi per sempre da Cape Cod insieme a Daniel. Il narratore,
un ragazzino testimone, chiude la storia sussurrando che nessuno
dei due è mai più stato visto, forse diretti verso una nuova vita
altrove.
Questo drammatico finale ribalta l’illusione di libertà che aveva
animato Daniel e Hunter: la tempesta, simbolo potente della
stagione e delle loro vite, devasta non solo la costa, ma anche i
loro sogni. Hunter, l’esemplare selvaggio e ribelle, muore per
aiutare Daniel, il timido outsider. Questo atto di sacrificio
rappresenta il culmine della lealtà maschile e della loro profonda
amicizia, ma soprattutto scuote Daniel, segnando un passaggio
catartico verso l’età adulta .
McKayla, specchio emotivo del racconto, esce invece dalla tragedia
con forza rinnovata. La morte del fratello la spinge verso un
cambiamento radicale, ribadendo un’interpretazione femminista del
film: le donne non sono semplici figure sullo sfondo; diventano
artefici del proprio destino. Il finale aperto – con Daniel e
McKayla in fuga, mai visti di nuovo – rimanda invece al desiderio
di liberazione, ma anche all’incertezza radicale che caratterizza
le scelte estreme. La storia diventa così un’indagine sulla
responsabilità personale e sulla violenza implicita del crescere
sotto pressione, in una stagione breve ma devastante.
Asher, film del
2018 diretto da Michael Caton-Jones,
segna un interessante ritorno del regista britannico a un cinema
più essenziale, quasi da camera, dopo un percorso variegato che lo
ha visto affrontare generi e registri differenti, da Rob
Roy a The Jackal. Lontano dai fasti hollywoodiani dei suoi
lavori più noti, Caton-Jones costruisce con questo film un noir
crepuscolare, asciutto, intimo, che si muove tra i codici del
thriller e del dramma psicologico. Il film racconta la storia di un
sicario ormai in là con gli anni che si trova, inaspettatamente, a
desiderare un riscatto esistenziale proprio mentre il suo mondo
inizia a sgretolarsi.
A dare volto e corpo al protagonista
troviamo un intenso Ron Perlman, che interpreta
Asher con un equilibrio calibrato di durezza e vulnerabilità.
Accanto a lui, Famke Janssen regala una prova delicata nel
ruolo di Sophie, una donna che entra inaspettatamente nella vita
del killer, offrendo una possibilità di redenzione. Il cast si
completa con attori solidi come Richard Dreyfuss,
Peter Facinelli e Jacqueline
Bisset. La sceneggiatura, firmata da Jay
Zaretsky, privilegia i silenzi e i gesti rispetto ai
dialoghi esplicativi, costruendo così una narrazione che punta
all’atmosfera più che alla tensione tradizionale.
Il film si inserisce nel solco di un
cinema neo-noir esistenziale, vicino per temi e stile a titoli come
A
Beautiful Day (You Were Never Really Here) di
Lynne Ramsay o
The American con George Clooney. Come in quei film, anche in
Asher la figura del killer diventa una metafora
per riflettere sull’identità, il tempo che passa e la possibilità
di cambiare. Ma mentre questi elementi si intrecciano alla trama
con sobrietà, il film si avvia verso un finale che pone
interrogativi profondi e inaspettati. Proprio il finale sarà
oggetto di analisi e spiegazione nei paragrafi successivi
dell’articolo.
Ron Perlman in Asher
La trama di Asher
Protagonista del film è un ex agente
del Mossad, Asher (Ron Perlman),
che ha passato tutta la sua vita a svolgere incarichi da sicario
per il boss Avi (Richard
Dreyfuss). Stanco di dover uccidere per mantenersi, privo
ormai di illusioni su un possibile futuro migliore e con il corpo
che inizia a cedere, Asher accetta gli ultimi tre lavori da Avi
prima di ritirarsi del tutto da quella vita. Ma a causa di un
improvviso svenimento un colpo va storto ed è però così che il
killer incontra la bellissima insegnante di danza
Sophie (Famke
Janssen).
I due si conoscono per caso e Asher,
sebbene non possa condividere nulla del suo passato violento e
solitario, è deciso per la prima volta nella sua vita a non voltare
le spalle a qualcosa di buono e puro come l’amore. Quando però le
cose vanno male durante un colpo insieme al suo apprendista
Uziel (Peter Facinelli), Asher si
ritrova con un bersaglio sulla testa, che minaccerà di portargli
via tutto ciò che ha appena scoperto di voler proteggere.
Costretto a fare i conti con le sue scelte, dovrà affrontare una
resa dei conti definitiva.
La spiegazione del finale
Nel terzo atto di
Asher, la tensione accumulata nel corso del film
giunge a un punto di rottura. Dopo una lunga carriera come sicario
per conto di un’organizzazione criminale, Asher capisce che il suo
tempo è finito. La scelta di disobbedire agli ordini, legata al
crescente desiderio di una vita diversa accanto a Sophie, lo rende
però un bersaglio. Quando l’organizzazione decide di eliminarlo,
Asher si ritrova in una spirale di violenza che culmina in un
confronto diretto con il suo ex mentore e amico Avi. In un
combattimento finale, carico di silenzi e colpi lenti ma
definitivi, Asher riesce ad avere la meglio, ma il prezzo è
altissimo.
Ron Perlman e Famke Janssen in Asher
La sua sopravvivenza resta incerta,
il suo corpo ferito e la sua mente logorata. Nel finale vero e
proprio, Asher torna da Sophie. Il loro ultimo incontro è segnato
da un silenzio intenso e da uno sguardo che dice più di qualsiasi
parola. Non c’è lieto fine esplicito, né una chiusura rassicurante:
il film si conclude con una cena in casa di Sophie, dove Asher si
presenta vestito con abiti civili, come se volesse affermare
un’identità nuova. Ma la scena è ambigua: non è chiaro se ciò che
vediamo sia reale o solo una proiezione del desiderio del
protagonista. La macchina da presa indugia su dettagli quotidiani,
quasi a voler suggerire che, per un attimo, anche un uomo come
Asher può immaginare un’esistenza normale.
Tematicamente, il finale di
Asher rappresenta la tensione irrisolta tra
redenzione e condanna. Il protagonista è consapevole che il suo
passato non può essere cancellato, ma tenta comunque un atto finale
di trasformazione. Il suo ritorno da Sophie non è solo il desiderio
di un amore possibile, ma anche la ricerca di un’identità che vada
oltre quella del killer. Il fatto che il film scelga di non
mostrare apertamente la sua sorte definitiva riflette l’idea che il
cambiamento non è mai garantito: può essere tentato, forse sognato,
ma raramente raggiunto.
In questo senso,
Asher si avvicina a un certo cinema noir
esistenziale in cui il protagonista non trova una vera via
d’uscita, ma solo un’illusione di salvezza. Il finale è volutamente
sospeso, malinconico, segnato da una quiete che non sa se essere
pace o resa. Non è tanto la morte o la sopravvivenza di Asher a
contare, quanto l’intensità dell’ultimo gesto: un uomo che ha
vissuto nell’ombra prova, per un breve momento, a camminare nella
luce.
Interceptor – Il guerriero
della strada rappresenta un capitolo fondamentale nella
saga post-apocalittica diretta da George Miller,
posizionandosi come sequel diretto del primo Mad Max – Interceptor (1979). A differenza
dell’esordio, che presentava un mondo ancora in bilico tra ordine e
caos, il secondo film ci immerge in un’Australia ormai
completamente collassata, dominata dalla legge del più forte e da
bande di predoni motorizzati. Questo salto temporale e narrativo
contribuisce a ridefinire il tono della saga, rendendola un punto
di riferimento per l’estetica e l’immaginario del cinema
post-apocalittico.
Il film introduce diversi elementi
destinati a diventare iconici all’interno del franchise:
l’immaginario visivo fatto di deserti sterminati, costumi punk,
veicoli corazzati e inseguimenti mozzafiato. Ma Interceptor
– Il guerriero della strada segna anche un’evoluzione nel
personaggio di Max, interpretato da Mel Gibson, che da ex
poliziotto devastato dalla perdita della famiglia diventa un
solitario disilluso, apparentemente senza più alcuna motivazione se
non la sopravvivenza. Il film bilancia perfettamente l’azione
adrenalinica con momenti di introspezione, offrendo un racconto
secco ed essenziale che ha ispirato numerose produzioni successive,
da Waterworld a The Book of Eli.
Accolto con entusiasmo da critica e
pubblico, Interceptor – Il guerriero della strada
consolidò la fama internazionale di Miller e trasformò Mad Max in
un’icona globale. Il film fu lodato per il suo ritmo serrato, la
regia inventiva e la capacità di costruire un mondo credibile e
originale con risorse limitate. Parte del suo successo risiede
anche in un finale potente e sorprendente, che rilegge il ruolo
dell’eroe solitario e della comunità in un contesto di distruzione
e rinascita. Nel resto dell’articolo analizzeremo proprio questo
finale, fornendo una spiegazione approfondita del suo significato
simbolico e narrativo.
La trama
di Interceptor – Il guerriero della
strada
A seguito di una terza guerra
mondiale, il mondo vive ora una serie di regressioni. Numerose sono
le risorse ormai prossime all’estinzione, con la conseguenza che
interi popoli si ritrovano a vivere in uno stato brado. A
complicare la situazione, vi la totale scomparsa della legge e
dell’ordine, con il naturale proliferare della criminalità e della
violenza. In questo contesto, l’ex agente di polizia Max
Rockatansky vaga a bordo della sua V8 Interceptor alla
ricerca di cibo e carburante. Nel corso dei suoi viaggi, egli
finisce con l’imbattersi nella Tribù del Nord, capeggiata da
Pappagallo.
Da loro, Max viene a conoscenza dei
continui soprusi che sono costretti a subire da una banda
criminale. Questa è guidata dal sanguinario Lord
Humungus, un uomo muscolo dal viso sfigurato, che copre
dunque con una maschera da hockey. Proprio mentre Max si trova lì,
la Tribù riceve un ultimatum dal gruppo di banditi. Se lasceranno
loro l’impianto di carburante, potranno lasciare indenni quella che
è ora rinominata la Valle della Morte. A quel punto, Max si offrirà
di proteggerli ma il compito si rivelerà molto più pericoloso del
previsto.
La spiegazione del finale del
film
Nel terzo atto di
Interceptor – Il guerriero della strada, Max
accetta di aiutare la comunità di sopravvissuti che custodisce una
preziosa riserva di carburante, insidiata dalla violenta gang di
Humungus. Dopo un primo tentativo fallito di fuga, Max propone un
piano rischioso: distrarre i predoni lanciandosi in una corsa
disperata alla guida di un’autocisterna, mentre gli altri membri
della comunità fuggono attraverso un percorso secondario. Ne nasce
un lungo e spettacolare inseguimento nel deserto, dove Max affronta
un assalto brutale e adrenalinico, contrastando gli aggressori con
ogni mezzo. Durante l’attacco finale, Wez, il feroce braccio destro
di Humungus, riesce ad aggrapparsi alla cisterna, ma viene ucciso
nello scontro. Anche Humungus trova la morte schiantandosi
frontalmente contro il veicolo guidato da Max.
Dopo la carneficina, Max esce
gravemente ferito dal relitto dell’autocisterna. È in quel momento
che il film svela il suo colpo di scena: il camion che Max ha
rischiato la vita per proteggere non trasportava carburante, ma
sabbia. Il vero carburante era stato caricato sui veicoli con cui
gli altri membri della comunità si erano messi in salvo,
all’insaputa dei predoni e degli spettatori. Il narratore, che si
rivela essere il giovane “Ragazzo Selvaggio” ormai adulto, racconta
che Max non si unì mai alla loro nuova colonia, ma divenne una
leggenda, il guerriero solitario che li aveva aiutati a iniziare
una nuova vita.
Il finale di Interceptor –
Il guerriero della strada rafforza uno dei temi
centrali della saga: l’eroismo involontario e la redenzione di un
uomo che non cerca gloria né riconoscenza. Max rimane un outsider,
segnato dal trauma, ma la sua scelta di rischiare tutto per aiutare
gli altri rappresenta una rinascita morale. In un mondo dove
l’umanità sembra perduta, la solidarietà e il sacrificio assumono
un valore rivoluzionario. Il colpo di scena finale non è solo
narrativo, ma etico: Max diventa l’esempio di un eroe che agisce
nonostante la sfiducia, spinto da un istinto di giustizia che
nemmeno l’apocalisse ha cancellato.
Inoltre, il film chiude con una nota
ambigua e malinconica, ma al tempo stesso aperta. Max sopravvive,
ma non si unisce alla nuova civiltà: la sua missione è finita, e la
sua solitudine continua. Questo epilogo anticipa perfettamente
Mad Max oltre la sfera del tuono, il terzo capitolo
della saga, dove Max sarà nuovamente coinvolto – suo malgrado – nei
destini di una nuova comunità, confermando il suo ruolo di figura
messianica e tragica, condannata a vagare nel deserto ma incapace
di voltare le spalle a chi ha bisogno di aiuto.
Al via la 14ª edizione di Ciné –
Giornate di Cinema, manifestazione promossa
da ANICA (Associazione Nazionale
Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali) in
collaborazione con ANEC (Associazione
Nazionale Esercenti Cinematografici), con la partecipazione
di ACEC (Associazione Cattolica
Esercenti Cinema), sostenuta dal MiC,
dalla Regione Emilia-Romagna,
dalla Emilia-Romagna Film Commission e
dal Comune di Riccione, prodotta e
organizzata da Cineventi.
Dopo aver inaugurato gli
appuntamenti riccionesi per il pubblico con il palinsesto di Ciné
in Città, martedì 1 luglio entra nel vivo la convention business
che proseguirà fino al 4 luglio all’interno del Palazzo dei
Congressi.
Ad aprire i lavori di Ciné (ore
14.45, Sala Polissena) sarà il consueto appuntamento con il
convegno a cura di Box Office, incentrato quest’anno su
Produzione italiana e nuovi linguaggi
narrativi. Il convegno, moderato da Paolo Sinopoli
(Responsabile Box Office), sarà l’occasione per riflettere
sull’evoluzione del cinema nazionale, tra modelli produttivi
emergenti e forme espressive in trasformazione, con interventi di:
Isabel Aguilar (Sceneggiatrice), Paolo Del Brocco (Amministratore
Delegato di Rai Cinema), Marta Donzelli (Produttrice di Vivo Film),
Giampaolo Letta (Vicepresidente e Amministratore Delegato di Medusa
Film), Annamaria Morelli (Ceo di The Apartment), Massimo Proietti
(Ceo di Vision Distribution e Deputy Managing Director di Universal
Pictures International Italy).
La Sala Concordia aprirà le porte
alle ore 16.45 con la Cerimonia di inaugurazione della 14 edizione
alla presenza di Alessandro Usai (Presidente ANICA), Luigi
Lonigro (Presidente Unione Editori e Distributori Cinematografici
ANICA), Benedetto Habib (Presidente Unione Produttori ANICA), Mario
Lorini (Presidente ANEC), Fabio Abagnato (Direttore Emilia-Romagna
Film Commission), Daniela Angelini (Sindaca Comune di
Riccione).
Le convention, momento centrale della manifestazione,
prenderanno il via alle ore 17.30 con Universal
Pictures, seguita da I Wonder
Pictures (ore 18.45), che presenteranno i loro
listini per la prossima stagione.
Tantissimi saranno i registi e i
protagonisti che durante la manifestazione si daranno appuntamento
a Riccione per mostrare e raccontare ciò che arriverà in sala nei
prossimi mesi. Accanto ai nomi già annunciati, tra cui Diego
Abatantuono, Geppi Cucciari, Andrea Di Stefano, Pierfrancesco Favino, Paolo Virzì,
Valerio Mastandrea, Michele Riondino, Massimiliano Bruno e
Edoardo Leo, nuovi ospiti si aggiungono alla
manifestazione. Saranno infatti presenti all’interno della
convention di Notorious
PicturesMonica
Guerritore per Anna, Diego
Abatantuono, Max Angioni e il
regista Volfango De
Biasi per Esprimi un desiderio, mentre
per PiperFilm arriveranno Lillo
Petrolo, Naska e Maurizio
Lastrico per Tutta colpa del
rock di Andrea Jublin, Claudio
Amendola per Fuori la verità di
Davide Minnella e Edoardo
Leo per Per te di Alessandro
Aronadio.
Spazio anche alle anteprime con La famiglia
Leroy di Florent Bernard (ore 20.00, Cinepalace,
proiezione aperta anche al pubblico), commedia francese con
protagonista Charlotte Gainsbourg, al cinema a settembre con Wanted
Cinema, e Warfare
– Tempo di guerra (ore 22.00, Cinepalace,
proiezione riservata a esercenti e stampa, con prenotazione), film
A24 di Alex Garland e Ray Mendoza, esperienza immersiva nella
sconvolgente realtà dei conflitti moderni, in uscita ad agosto con
I Wonder Pictures.
La serata proseguirà con Ciné in città, il
programma di appuntamenti gratuiti per il pubblico che trasformerà
Riccione in una sala cinematografica a cielo
aperto. Protagonista della serata sarà Anna
Foglietta, attrice e Presidente della Onlus Every Child Is
My Child, che presenterà il suo nuovo progetto
video È come sembra, realizzato
nell’ambito del laboratorio artistico promosso
dalla Fondazione Una Nessuna Centomila e
prodotto da AssoConcerti, sul tema della
violenza di genere. Il talk sarà moderato da Piera Detassis
(giornalista e Presidente e
Direttrice Artistica dell’Accademia del Cinema Italiano –
Premi David di Donatello), cui seguirà la proiezione
di Questi fantasmi!, adattamento
dell’omonima commedia di Eduardo De Filippo interpretato da Anna
Foglietta e Massimiliano Gallo per la regia di Alessandro
Gassmann.
Martedì 1 luglio prende il via anche Ciné Camp – Il camp di
cinema per gli under 18, la sezione di cinema di Ciné dedicata a
ragazzi e ragazze dai 10 ai 17 anni, in collaborazione
con Giffoni Film Festival, con film, laboratori e incontri con
le star. I giovani appassionati avranno la possibilità di
partecipare ai laboratori di Set cinematografico (a cura di Almost
Famous Produzione), di Improvvisazione scenica (a cura di Giffoni
Film Festival) e di Animazione (a cura di Movimenti Productions),
oltre che di rivedere sul grande schermo un classico
dell’animazione come Lilli e il Vagabondo di
Hamilton Luske, Clyde Geronimi e Wilfred Jackson (ore 19.30,
Arena).
La produzione dell’attesissimo
Il diavolo veste Prada 2 della 20th Century Studios è
in pieno svolgimento, e i quattro attori principali Meryl
Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt e Stanley
Tucci sono stati ufficialmente annunciati dalla Disney, ma
c’è un’aggiunta: il premio Oscar Kenneth Branagh
che interpreterà il marito di Miranda Priestly, la regina di
ghiaccio della Streep e direttrice della rivista di moda.
Un tempismo perfetto per la 20th
Century Studios per quanto riguarda l’uscita definitiva di questo
film, dato che l’industria della moda si trova ora in un’epoca in
cui la caporedattrice di Vogue Anna Wintour si è
appena dimessa dopo 37 anni (si vocifera che l’autrice originale
del bestseller del New York Times, Lauren
Weisberger, si sia ispirata a Wintour, di cui era
l’assistente personale).
Focus Features ha
pubblicato un nuovo trailer ufficiale ed esteso di Downton
Abbey: Il Grand Finale, il terzo e ultimo film della
serie cinematografica basata sulla serie televisiva in costume
della PBS creata da Julian Fellowes. Il film uscirà nelle sale il
12 settembre.
La trama e il cast
di Downton Abbey: Il Gran Finale
Questo nuovo capitolo segue la
famiglia Crawley e il suo personale all’inizio degli anni ’30.
Quando Mary si ritrova al centro di uno scandalo pubblico e la
famiglia deve affrontare difficoltà finanziarie, l’intera famiglia
deve fare i conti con la minaccia del disonore sociale. I Crawley
devono accettare il cambiamento mentre il personale si prepara a un
nuovo capitolo con la prossima generazione che guiderà Downton
Abbey verso il futuro.
Simon Curtis torna
alla regia dell’ultimo capitolo dopo aver diretto Una Nuova Era.
Fellowes ha scritto tutti e tre i film.
Il cast familiare torna anche per
Downton Abbey: Il Grand Finale, che include
Michelle Dockery,Hugh Bonneville, Laura
Carmichael, Jim Carter, Raquel Cassidy, Brendan Coyle,
Michelle Dockery, Kevin Doyle, Michael Fox, Joanne Froggatt,
Paul Giamatti, Harry Hadden-Paton, Robert James-Collier, Allen
Leech, Phyllis Logan, Elizabeth McGovern, Sophie McShera, Lesley
Nicol,
Dominic West, Penelope Wilton, Joely Richardson, Paul
Copley e Douglas Reith.
Nel cast del franchise compaiono
anche Joely Richardson, Alessandro Nivola, Simon Russell Beale e
Arty Froushan. I produttori sono Gareth Neame, Fellowes e Liz
Trubridge. Nigel Marchant è il produttore esecutivo.
Le prime immagini di L’ultima missione: Project Hail Mary,
il nuovo film Sony Pictures diretto dai premi Oscar® Phil
Lord e Christopher Miller (Spider-Man – Un nuovo
universo) con i candidati al premio Oscar® Ryan Gosling (Barbie, La La
Land) e Sandra Hüller (Anatomia di una
caduta, La zona d’interesse).
Il film è basato sul romanzo
“Project Hail Mary” di Andy Weir, autore di “The Martian”. Nel cast
anche Lionel Boyce (The
Bear), Ken Leung (A.I. – Intelligenza
artificiale), Milana Vayntrub (A cena con
il lupo – Werewolves Within). L’ultima missione:
Project Hail Mary sarà nelle sale italiane da marzo
2026 distribuito da Eagle Pictures.
La trama di L’ultima missione: Project Hail Mary
L’insegnante di scienze Ryland Grace
(Ryan
Gosling) si sveglia su un’astronave lontano da casa
anni luce e senza alcun ricordo di chi sia o di come sia arrivato
lì. Con il riaffiorare della sua memoria, torna alla luce lo scopo
della sua missione: risolvere l’enigma della misteriosa sostanza
che sta causando il collasso del Sole. Dovrà fare affidamento sia
sulle sue conoscenze scientifiche che sulle sue capacità di pensare
fuori dagli schemi per salvare dall’estinzione la vita sulla Terra…
ma un’inaspettata amicizia gli farà capire che non è solo in questa
impresa.
Si sono appena concluse, dopo sette
settimane a Roma, le riprese di “Il Dio
dell’amore” la nuova commedia sull’amore contemporaneo
raccontato attraverso gli occhi “storici”, curiosi e indagatori di
un padrino d’eccezione, il grande letterato, maestro di seduzione,
poeta esperto d’amore: Ovidio, interpretato da Francesco
Colella. Nel cast Benedetta Cimatti, Francesco
Colella, Corrado Fortuna,
Vinicio Marchioni, Isabella Ragonese, Vanessa
Scalera.
Il Dio dell’Amore è
un viaggio, o un’esplorazione, nelle relazioni amorose. Una storia
sui destini sentimentali di alcune persone, sui loro modi di
amarsi, di sfiorarsi, di entrare in contatto uno con l’altro. È un
racconto corale dal tono ironico, sorridente ma anche amaro, che
disegna una umanità impelagata nel caos dei sentimenti che da
sempre ci agitano e ci meravigliano. I personaggi sono tutti
collegati da relazioni amorose e, se visti tutti insieme, tutti
parte di un fitto disegno, una tessitura dove ognuno è un nodo, un
inizio e una fine. Il loro destino è in mano al Dio dell’Amore, una
creatura capricciosa e imprevedibile, a volte benevolo e mite e a
volte invece agguerrito e battagliero. A condurci in questo viaggio
è il poeta Ovidio, l’eterno cantore dell’amore che, al di là di
ogni sentimentalismo e di ogni morale, torna dalla Roma Imperiale
direttamente nella nostra contemporaneità per raccontarci questa
storia.
Il dio dell’amore – foto di Emanuela Scarpa
Il film, scritto da Enrico
Audenino e Francesco Lagi, è diretto da Francesco
Lagi ed è una produzione Cattleya – parte di ITV Studios –
BartlebyFilm e Vision Distribution in collaborazione con SKY.
Girato interamente a Roma vede tra gli altri interpreti
Anna Bellato, Enrico Borello, Chiara Ferrara e
Elia Nuzzolo.
Il film uscirà al cinema prossimamente distribuito da Vision
Distribution.
Dopo aver alimentato il mistero nel
corso della serie, la terza stagione di Squid
Game (leggi
qui la recensione della Stagione 3) rivela finalmente il vero
motivo per cui In-ho è diventato il Front
Man, e la verità mette in luce la dolorosa realtà del
trauma. Uno dei nuovi personaggi più interessanti della seconda
stagione (qui
la recensione), In-ho, l’uomo dietro la maschera del Front Man,
si unisce ai giochi insieme a Gi-hun per la
seconda volta. Prima di questo, il pubblico aveva saputo di lui
attraverso Jun-ho, suo fratello, che lo aveva
cercato per anni dopo che In-ho era partito per partecipare ai
giochi.
Nonostante In-ho appaia in tutta la
seconda stagione (qui
la spiegazione del finale di stagione) di Squid
Game, la serie non fa nulla per rispondere alla domanda
più urgente sul personaggio: come è diventato il Front Man.
Fortunatamente, il pubblico scopre la verità su ciò che ha portato
l’ex campione a diventarlo grazie ai flashback della terza
stagione.
I flashback di In-ho nella terza
stagione di Squid Game rivelano come ha vinto i giochi
Dopo la seconda e la terza stagione
di Squid Game, In-ho è forse il personaggio più
interessante e moralmente complesso della serie. Sebbene si
comporti in modo calcolato e freddo, nella seconda stagione sembra
anche avere un codice morale e un briciolo di umanità. Ciò è
particolarmente evidente quando si tratta di proteggere Jun-hee.
Ciò solleva la domanda su come abbia vinto il 28° Squid Game.
L’empatia renderebbe senza dubbio la vittoria in Squid Game
incredibilmente difficile. Fortunatamente, la vittoria di In-ho ha
molto più senso dopo aver visto il flashback nella terza
stagione.
Il suo forte codice morale e la sua
umanità sembrano essere stati solo una recita. Invece di vincere il
premio in denaro in modo onesto, In-ho ha vinto senza giocare la
partita finale. Invece, In-ho ha scelto la via codarda e ha barato.
Nel flashback dell’episodio 5 della terza stagione di Squid
Game, Oh Il-nam gli parla mentre indossa la maschera VIP.
Offre a In-ho un coltello per tagliare la gola a tutti i suoi
concorrenti, in modo che possa vincere i miliardi di won senza
dover giocare l’ultima partita. In-ho accetta questa proposta, il
primo passo verso la sua trasformazione in Front Man.
In-ho ha dovuto rinunciare alla sua
umanità per vincere i giochi prima del round finale
L’accordo di In-ho di uccidere gli
altri giocatori con il coltello erode la sua ultima goccia di
compassione. Si potrebbe sostenere, tuttavia, che fosse disperato
di prendersi cura di sua moglie, una scelta radicata nell’amore.
Tuttavia, il colpo di grazia alla sua umanità è il coltello che lui
stesso conficca nel petto dei suoi concorrenti. Il suggerimento era
semplicemente quello di tagliare la gola ai concorrenti, ma In-ho
fa un passo in più. Quando uccide un giocatore, la telecamera fa
una panoramica per mostrare che i corpi dei concorrenti sono
brutalmente pugnalati e squarciati.
Sembra essere in uno stato di
frenesia, vista la velocità con cui pugnalata l’altro giocatore e
il suo linguaggio del corpo. Sebbene non sia spiegato
esplicitamente perché abbia fatto di tutto invece di limitarsi a
tagliare loro la gola, possiamo dedurre dal contesto che il trauma
dei giochi lo ha fatto scattare. Questo rende ancora più
interessanti i parallelismi e le differenze tra In-ho e Gi-hun,
perché entrambi avevano motivazioni relativamente simili e hanno
vissuto esperienze relativamente analoghe durante i giochi, ma con
esiti diversi.
Gi-hun e In-ho avevano entrambi una
persona cara con spese mediche che non potevano coprire. Entrambi
sono arrivati fino alla fine, vedendo morire le persone intorno a
loro. Tuttavia, In-ho ha ceduto al sistema che lo ha traumatizzato,
perdendo la sua umanità e diventando l’incarnazione della frase “le
persone ferite feriscono gli altri”. Nel frattempo, Gi-hun ha
mantenuto la sua umanità, anche se ha avuto momenti più bui nella
terza stagione di Squid Game. Ha messo a rischio
la sua vita per combattere contro i giochi, dimostrando che non
tutti coloro che subiscono traumi orribili fanno subire agli altri
la stessa cosa.
In-ho uccide spietatamente gli
altri concorrenti e dimostra a Il-nam di essere speciale
Sebbene il pubblico veda come In-ho
vince il suo round di Squid Game, non viene
mostrato mentre assume il comando del Front Man. Viene spontaneo
chiedersi perché Il-nam abbia scelto In-ho come nuovo Front Man
invece di scegliere un vincitore di un altro anno. La risposta
potrebbe trovarsi nella spietatezza con cui In-ho uccide gli altri
giocatori. Il fatto che la stessa proposta venga offerta sia nella
28ª che nella 27ª edizione di Squid Game suggerisce che ai
concorrenti più promettenti venga fatta esattamente la stessa
offerta prima della partita finale.
In-ho probabilmente non è il primo a
dire di sì all’idea di uccidere gli altri giocatori con un coltello
per poter avere tutti i soldi. Tuttavia, quando si tratta di
uccidere, va ben oltre, dimostrando involontariamente a Il-nam che
sarebbe un membro prezioso del team. Considerando il modo estremo
in cui ha ucciso i suoi concorrenti, non avrebbe alcuna remora a
dare l’ordine alle guardie rosa di sparare ai concorrenti con
mitragliatrici.
Il-nam ha fatto a In-ho ciò che
In-ho ha cercato di fare a Gi-hun nella terza stagione di
Squid Game
Come spiegato, Gi-hun è riuscito a
mantenere la sua umanità durante le stagioni 2 e 3 di Squid
Game, ma non è stato facile. La sua scelta di uccidere
Dae-ho potrebbe essere stata pratica, dato che doveva passare al
gioco successivo, ma è stato anche un atto di vendetta molto
personale. Ciò ha prefigurato la possibilità che Gi-hun superasse
il punto di non ritorno per quanto riguarda la sua umanità.
Poi, alla fine della terza stagione
di Squid Game, In-ho fa a Gi-hun la stessa offerta
che lui stesso ha ricevuto. Vedendo come si è comportato con
Dae-ho, In-ho potrebbe aver sperato che i giochi avessero
annientato la sua umanità. Come spettatori, viene da chiedersi se
sarebbe passato all’oscurità. In-ho sperava che Gi-hun prendesse la
stessa decisione, rendendolo insensibile alla vita umana.
Fortunatamente, quando ne ha più
bisogno, Gi-hun vede Sae-byeok. Lei gli disse di non uccidere
Sang-woo a sangue freddo nella stagione 1 di Squid
Game perché non è quello che lui è come persona. Questo
ricordo o allucinazione (non è chiaro quale dei due) gli ricorda
chi era prima che i giochi lo indurissero. È la sveglia di cui ha
bisogno. Se avesse ucciso i suoi avversari, avrebbe potuto
trasformarsi in qualcuno in grado di assumere il ruolo di Front Man
negli anni futuri. L’ultimo gesto di Sae-byeok nella storia, molto
tempo dopo la sua morte, è dunque quello di salvare Gi-hun.
Daredevil:
Rinascita (qui
la recensione) era stata originariamente concepita come un
nuovo inizio per l’Uomo senza paura. Come nel caso della DCU, la serie avrebbe dovuto mantenere alcuni
degli attori della serie NetflixDaredevil, ma ignorare in
gran parte ciò che era accaduto in precedenza. Poi, però, è
avvenuta una revisione creativa. La serie Disney+ è diventata essenzialmente la
quarta stagione, riportando in scena personaggi che in precedenza
sarebbero stati accantonati, tra cui Karen Page e
Foggy Nelson.
Nella nuova stagione, inoltre,
Wilson Fisk diventa sindaco e prende il controllo
della città. Nel finale, schiaccia poi la testa del commissario
della polizia di New York a mani nude, probabilmente la scena più
cruenta mai vista nell’MCU. Nonostante ciò, un fan ha recentemente scritto su
X all’interprete di Fisk, Vincent D’Onofrio, affermando che la Disney ha
“indebolito” la sua versione del Kingpin del crimine. Come ci si
poteva aspettare, l’attore non è d’accordo.
“Devo dire che non sono
d’accordo con tutto ciò che dici. Ad essere sincero, le mie
interpretazioni sono state definite in molti modi, ma mai
indebolite”, ha affermato D’Onofrio. “Tuttavia, non recito
la parte solo per te, e tu non guardi la TV solo per me. Quindi
siamo pari, e accetto la tua critica. Non importa la mancanza di
sportività, correttezza e legittimità”.
Il fan in questione ha continuato a
insistere sulla questione, spingendo la star di Daredevil:
Rinascita a rispondere: “Sono io a controllare la
performance del mio personaggio. Lei è un po’ inesperto quando si
tratta di realizzare uno show. I dettagli, la sceneggiatura, le
tecnologie e la struttura e l’architettura complessiva nella
definizione della trama e nell’esecuzione delle
performance”.
“Continua a dire che il problema
è la sceneggiatura. Forse non le piace. A molti invece piace. Non
possiamo accontentare tutti, ma possiamo accontentare milioni di
persone, e loro lo hanno detto. I nostri fan sono molto
rumorosi“. “Mettiamo che io fossi al tuo posto e odiassi
la rappresentazione di Kingpin tanto quanto te”, ha continuato
D’Onofrio. “Ne starei alla larga. Sosterrei la narrazione che
amo invece di criticare gli sceneggiatori e la performance di
qualcuno”, ha concluso l’attore.
In Daredevil:
Rinascita della Marvel Television, Matt Murdock
(Charlie
Cox), un avvocato cieco con capacità straordinarie,
lotta per ottenere giustizia nel suo vivace studio legale, mentre
l’ex boss mafioso Wilson Fisk (Vincent
D’Onofrio) persegue le sue iniziative politiche a New
York. Quando le loro identità passate iniziano a emergere, entrambi
gli uomini si ritrovano inevitabilmente su una rotta di collisione.
Entrambi torneranno nella Stagione 2.
La serie vede la partecipazione
anche di Margarita Levieva, Deborah Ann Woll, Elden Henson,
Zabryna Guevara, Nikki James, Genneya Walton, Arty Froushan, Clark
Johnson, Michael Gandolfini, con Ayelet
Zurer e Jon Bernthal. Dario
Scardapane è lo showrunner.
In una recente intervista, la
costumista di SupermanJudianna Makovsky ha rivelato che la decisione di
far indossare all’Uomo d’Acciaio interpretato da David Corenswet gli iconici slip rossi è stata
presa all’ultimo minuto e che lo stesso James
Gunn era molto indeciso a riguardo. “C’erano molte
persone che non volevano gli slip e molte altre che invece li
volevano. James era molto indeciso. E devo dire che mi sono
rifiutata di arrendermi”, ha dichiarato Makovsky.
Alla fine, si è deciso di optare per
il look classico, ma questo significa che Superman ha creato un
precedente? I fan devono aspettarsi che anche Batman, Lanterna
Verde, Martian Manhunter e altri eroi DC seguano la scelta
adoperata per l’Ultimo Figlio di Krypton? “Non abbiamo
ancora deciso. Le mutande vanno bene. Vedremo cosa succederà”,
ha detto Gunn a Comicbook. Ha poi aggiunto:
“Penso che sia meno probabile che alcuni degli altri personaggi
indossino i pantaloncini”.
A riguardo, concentrandosi su
Batman, ha dichiarato: “Sono più parte del costume di Superman
che di quello di Batman, anche se nei fumetti Batman li ha
indossati spesso”. Sembra poi che nel film Superman
ci sarà un motivo specifico che spiega perché Superman indossa i
mutandoni rossi sopra il costume, ma la discussione ha preso
un’altra piega per evitare spoiler.
Come noto, il primo sguardo al
costume di David Corenswet è stato rivelato nel maggio 2024 e ci
sono state molte discussioni su questi dettagli, incentrate sulla
decisione di includere i pantaloncini. A più di un anno di
distanza, l’opinione pubblica è notevolmente cambiata e molti fan
ora vedono il costume in modo più positivo. Per quanto riguarda
Batman, però, sembra che possiamo aspettarci un costume senza
questo particolare dettaglio.
Tutto quello che sappiamo su
The Brave and the Bold
Parlando l’anno scorso dei piani dei
DC Studios per
The Brave and the Bold, James Gunn ha detto: “Questa è
l’introduzione del Batman del DCU. È la storia di
Damian Wayne, il vero figlio di Batman, di cui non conoscevamo
l’esistenza per i primi otto-dieci anni della sua vita. È stato
cresciuto come un piccolo assassino e assassina. È un piccolo
figlio di puttana. È il mio Robin preferito“. “È basato
sulla run di Grant Morrison, che è una delle mie run preferite di
Batman, e la stiamo mettendo insieme proprio in questi
giorni“.
Il co-CEO dei DC Studios, Peter
Safran, ha aggiunto: “Ovviamente si tratta di un lungometraggio
che vedrà la presenza di altri membri della ‘Bat-famiglia’
allargata, proprio perché riteniamo che siano stati lasciati fuori
dalle storie di Batman al cinema per troppo tempo“. Il film
sarà scritto e diretto da Andy Muschietti. Alla
sceneggiatura, oltre a Muschietti, dovrebbe esserci anche
Rodo Sayagues, noto per aver firmato le
sceneggiature di
La casa,
Man in the Dark e Alien:
Romulus.
Questo aggiornamento getta però
ulteriore incertezza sul futuro di Squid Game dopo
la terza stagione. Secondo alcune indiscrezioni, lo spin-off
occidentale sarebbe in fase di sviluppo dal 2023. Tuttavia, il capo
di Netflix ha già smentito l’idea, insistendo sul fatto che si
trattava solo di una voce. Hwang ha già dichiarato che non intende
tornare alla serie dopo la terza e ultima stagione. Ha anche
affermato di non essere stato ufficialmente informato di uno
spin-off. Sebbene Squid Game abbia immediatamente conquistato la
vetta della classifica di Netflix dopo l’arrivo della terza
stagione, la nuova stagione ha ulteriormente diviso il pubblico e
la critica.
La terza stagione di Squid
Game riporta infatti un punteggio dell’83% da parte dei
critici e del 52% da parte del pubblico su Rotten Tomatoes. Sebbene
la maggior parte abbia avuto un’ottima esperienza di visione,
alcuni hanno criticato il finale e la maggiore attenzione della
serie ai personaggi secondari. Al momento, dunque, il cameo della
Blanchett potrebbe anche semplicemente lasciar intendere che
l’esperienza di Squid Game si svolge anche in altre parti del
mondo, ma che non necessariamente vedremo racconti su di esse. Non
resta dunque che attendere notizie ufficiali da parte di
Netflix.
Nella terza e ultima
stagione di Squid Game, ritroviamo Gi-hun
(Lee Jung-jae) dopo che ha perso il suo miglior
amico nel gioco ed è stato portato alla completa disperazione dal
Front Man (Lee Byung-hun), che ha nascosto la sua
vera identità per infiltrarsi nel gioco. Gi-hun non demorde nel suo
obiettivo di porre fine ai giochi, mentre il Front Man prosegue con
la sua prossima mossa e le scelte dei giocatori sopravvissuti
causano gravi conseguenze a ogni round. Il mondo attende con ansia
di vedere l’incredibile finale scritto e diretto da Hwang
Dong-hyuk, che ha promesso di portare la storia alla sua
meritata conclusione. Ci sarà un barlume di speranza per l’umanità
sullo sfondo della realtà più crudele?
Il regista Hwang
Dong-hyuk, che ha fatto la storia alla 74a edizione dei Primetime
Emmy diventando il primo asiatico a vincere il premio come Miglior
regia di una serie drammatica, è ancora una volta al timone della
serie come regista, sceneggiatore e produttore. Nel cast della
terza stagione troviamo Lee Jung-jae, Lee
Byung-hun, Yim Si-wan, Kang
Ha-neul, Wi Ha-jun, Park Gyu-young, Park
Sung-hoon, Yang Dong-geun, Kang Ae-sim, Jo Yu-ri, Chae Kuk-hee, Lee
David, Roh Jae-won, e Jun Suk-ho, con la
partecipazione speciale di Park Hee-soon.
In
Star Wars: Gli ultimi Jedi (qui
la recensione), Luke Skywalker si allontana
dagli eventi galattici e si rifugia sul remoto pianeta Ahch-To,
oppresso da un profondo senso di fallimento, rimorso e disillusione
nei confronti dell’eredità Jedi e dei propri fallimenti. Il suo
ritiro è in gran parte determinato da un momento cruciale di
debolezza, la sua reazione istintiva all’oscurità che percepiva
crescere in suo nipote, Ben Solo.
Sebbene non abbia mai agito
sull’impulso di colpire Ben, il solo pensiero è stato sufficiente a
distruggere il loro legame e a far precipitare Ben nella sua
identità di Kylo Ren. Per Luke, questo incidente ha cristallizzato
una convinzione più profonda: che l’Ordine Jedi non fosse una
soluzione, ma parte di un ciclo ripetitivo di arroganza e
collasso.
Piuttosto che tentare di ricostruire
quello che considerava un sistema fallimentare, Luke ha scelto di
allontanarsi completamente, cercando la solitudine nel luogo del
primo Tempio Jedi, non per proteggere la sua eredità, ma per
assicurarsi che i Jedi finissero con lui. Il regista Rian
Johnson ha voluto che questa trama mostrasse che anche gli
eroi leggendari sono vulnerabili al dubbio e alla disperazione, e
che il fallimento può plasmare una persona tanto quanto il
trionfo.
Nonostante questa ambizione
tematica, la scelta creativa si è rivelata polarizzante. Molti fan
di lunga data hanno ritenuto che questa rappresentazione fosse in
contrasto con il carattere di Luke. Si aspettavano che affrontasse
le avversità con speranza, non con l’isolamento, che cercasse di
salvare Ben piuttosto che abbandonare la galassia al suo
destino.
Mark Hamill rivela il retroscena
inizialmente ideato per Luke Skywalker
Mark Hamill, che ha
dato vita a Luke, ha espresso le stesse riserve, dichiarandosi in
più occasioni deluso da come il personaggio è stato sviluppato.
Durante la produzione, ha dunque concepito un’interpretazione
personale alternativa dell’evoluzione del personaggio per
conciliare la sceneggiatura con la sua visione di chi fosse
diventato Luke. Durante la sua apparizione al podcast Bullseye with Jess Hord, Hamill ha però
elogiato Johnson e ha ammesso che avrebbe preferito tacere le sue
riserve sul motivo dell’isolamento di Luke.
Tuttavia, ha rivelato di aver detto
a Rian che, secondo lui, ciò che era successo a Ben e al resto dei
suoi allievi avrebbe spinto Luke a raddoppiare i suoi sforzi per
ripristinare l’Ordine Jedi. “Rian, ho visto interi pianeti
essere spazzati via. Semmai, Luke raddoppia la sua determinazione e
rafforza la sua risolutezza di fronte alle avversità”.
Ha poi aggiunto: “Ho pensato:
cosa potrebbe spingere qualcuno a rinunciare alla devozione a
quella che è fondamentalmente un’entità religiosa… a rinunciare a
essere un Jedi? Beh, l’amore di una donna. Quindi lui si innamora
di una donna. Rinuncia a essere un Jedi. Hanno un figlio insieme. A
un certo punto il bambino, ancora piccolo, prende una spada laser
incustodita, preme il pulsante e muore all’istante… La moglie è
così piena di dolore che si suicida“.
Un retroscena decisamente tragico,
che avrebbe sì potuto spingere Luke ad allontanarsi dal proprio
ruolo di Jedi per vivere in solitudine il proprio dolore. Un
risvolto però probabilmente fin troppo drammatico, che avrebbe
necessitato di più tempo per essere esplorato in tutte le sue
conseguenze. Motivo per cui Hamill sembra aver compreso che forse
quanto proposto da Johnson non è interamente da rimuovere dalla
memoria.
Come ormai noto, l’attrice
premio Oscar Charlize Theron fa parte del cast di
Odissea, il nuovo film di Christopher Nolan. Mentre i ruoli di alcuni
membri del cast sono ad oggi stati confermati (Matt
Damon sarà Odisseo, Tom Holland sarà Telemaco), il personaggio che
Theron interpreterà nel film è fino ad ora rimasto un mistero.
Proprio l’attrice, però, ha spezzato questo segreto rivelando il
suo ruolo.
In un’intervista sul red carpet con
Variety, la Theron ha infatti
confermato che interpreterà la dea della stregoneria,
Circe. Circe è una delle principali “antagoniste”
dell’Odissea, una potente maga che intrappola l’eroe protagonista e
i suoi uomini sulla sua isola e trasforma parte dell’equipaggio in
animali. Sebbene non ci sia stato alcun annuncio ufficiale da parte
di Nolan o della Universal, la risposta di Theron nell’intervista
conferma che interpreterà effettivamente Circe.
Quale ruolo avrà la Circe di
Charlize Theron in Odissea?
Circe, nella narrazione, ostacola
dunque Odisseo nel suo viaggio di ritorno a casa per più di un
anno. Oltre a trasformare metà dei suoi uomini in animali con vino
e formaggio drogati, seduce l’eroe e, nella mitologia ampliata, dà
alla luce un figlio con lui di nome Telegono. Dopo aver soggiornato
sull’isola di Circe per un anno, Odisseo e i suoi uomini (che sono
stati trasformati nuovamente in esseri umani) partono e vengono
consigliati/aiutati da Circe per il resto del loro viaggio.
È dunque un personaggio complesso
nel contesto dell’Odissea di Omero, e lo è ancora di più dato che
suo figlio avuto da Ulisse finisce per uccidere accidentalmente suo
padre. Il fatto che un’attrice del calibro della Theron sia stata
scelta per interpretare Circe potrebbe fornire alcuni indizi su ciò
che includerà la trama di Odissea di Nolan. Il
poema epico originale comprende 24 “libri” in totale e per adattare
accuratamente l’intera opera sarebbe necessaria una serie TV di più
stagioni, non un singolo film (anche se della durata di tre
ore).
Sembra che la sosta di Odisseo ad
Eea (l’isola di Circe) sarà un arco narrativo importante nel film,
che non potrà includere tutte le deviazioni del viaggio ventennale
di Ulisse verso casa. Circe potrebbe quindi finire per essere la
cosa più vicina a una vera e propria nemica all’interno del film,
dato il suo coinvolgimento continuo nel viaggio di Ulisse, anche se
questo non è esattamente il suo ruolo nel poema originale per cui è
lecito aspettarsi ulteriori sfumature di questo personaggio.
Il regista Joseph
Kosinski ha parlato del finale adrenalinico di F1 – Il
film (qui
la recensione) e ha fatto luce sulla scena post-credits. Il
film d’azione sportivo con Brad Pitt e Damson Idris ha
già battuto diversi record al botteghino, e le ottime recensioni e
i punteggi del pubblico dovrebbero garantirgli un buon successo
nelle prossime settimane nelle sale. Con momenti drammatici
ispirati a incidenti reali di
Formula 1, personaggi simpatici e gare mozzafiato, F1 – Il
film intrattiene fino al suo
emozionante finale. Tuttavia, c’è un’interessante scena
post-credits che ha lasciato il pubblico a chiedersi se sia in
programma un sequel.
In un’intervista con GQ, Kosinski ha dunque parlato della
scena finale ambientata nel deserto, in cui Sonny corre nella Baja
1000, una gara fuoristrada annuale che si tiene in Messico. GQ
osserva che la scena era in realtà pensata per l’inizio del film,
prima che Ruben Cervantes (Javier
Bardem) proponesse a Sonny di entrare a far parte del
team APX. Riguardo a se questa scena può anticipare un sequel,
Kosinski ha detto:
“Questo sta al pubblico
deciderlo. Penso che abbiamo lasciato un finale davvero aperto per
Sonny, per Kate [interpretata da Kerry Condon] e per Joshua. Quindi
sì, penso che ci sia sicuramente altro da raccontare sul team APXGP
e su dove andrà Sonny Hayes da qui in poi. Ma non è una decisione
che spetta a me”.
Il produttore (e famoso pilota di
F1) Lewis Hamilton e il CEO della Mercedes
Toto Wolff hanno deciso di inserire questa gara
fuoristrada solo al termine del film poiché non c’era “nulla di
traducibile” tra questo stile di corsa e quello della Formula 1.
Invece della Baja 1000, all’inizio del film Sonny viene dunque
mostrato mentre partecipa alla Rolex 24 a Daytona, la famosa gara
di endurance. Il suo passaggio ad un diverso ramo
dell’automobilismo potrebbe dunque effettivamente lasciare aperta
la porta ad un sequel.
Possiamo aspettarci un sequel di F1 – Il
film?
Il film, come noto, vede Pitt nei
panni dell’ex pilota di Formula 1 Sonny Hayes, la cui carriera è
stata interrotta da un grave infortunio più di 30 anni prima degli
eventi di F1 – Il film. Su richiesta del suo ex
compagno di squadra (Bardem), aiuta un talentuoso esordiente
(Idris) e il resto del team APX Grand Prix, ultimo in classifica, a
trovare il loro posto nel mondo ad alto rischio della Formula 1.
Sebbene Sonny sembri aver chiuso con la Formula Uno per il momento,
il fatto che Kosinski abbia incluso una scena in cui lui continua a
correre in qualche modo indica che la storia di Sonny non è
finita.
In realtà, questo dipinge
essenzialmente l’intera esperienza nella Formula 1 come poco più
che un’altra tappa nel percorso nomade di Sonny come pilota a
contratto. È del tutto possibile che Sonny torni nel team APX in un
sequel, ma come tecnico o team principal. Con la sua relazione con
Kate McKenna, interpretata da Kerry Condon,
lasciata in sospeso, ha comunque una motivazione per tornare in
futuro.
Sonny ha anche chiarito
perfettamente a Ruben che preferirebbe morire piuttosto che non
poter guidare. Nonostante il suo ritiro forzato dal team APX, c’è
sicuramente una possibilità che torni come pilota di riserva o
anche come pilota a contratto per un altro team interessato al suo
talento al volante. Stando a quanto dichiarato da Kosinski, però,
tutto dipenderà dai risultati del film al box office e dal grado di
apprezzamento del pubblico.
Vin Diesel ha sorpreso il pubblico sabato al
FuelFest nella California
meridionale, annunciando che l’ultimo film della
serie Fast & Furious uscirà nelle sale
nell’aprile 2027. Diesel, che ha recitato in tutti
i film della serie tranne uno dal 2001, ha rivelato altre novità
durante il suo intervento sul palco, confermando che Fast
& Furious 11 sarà ambientato a Los Angeles e che
vedrà il ritorno del personaggio di Dominic Toretto, interpretato
da Diesel, insieme a Brian O’Conner, interpretato
da Paul Walker.
Walker, come noto, ha recitato con
Diesel in cinque film della saga prima di morire tragicamente in un
incidente stradale nel novembre 2013 all’età di 40 anni. Le scene
rimaste in sospeso per Fast & Furious
7 sono dunque state girate con l’aiuto dei fratelli
di Walker e con la sovrapposizione del volto dell’attore sui loro
corpi. È probabile che, per far comparire in scena Brian O’Conner
per quello che potrebbe essere semplicemente un cameo conclusivo
che riunisce i due amici, verrà utilizzata la stessa tecnica.
Diesel aveva già utilizzato i suoi
canali social per sollecitare la Universal Pictures a fissare la
data di uscita di Fast & Furious 11, il seguito di
Fast X del 2023 che ha incassato oltre 700 milioni
di dollari al botteghino mondiale. Il sequel è stato annunciato
come l’ultimo film della serie, ma bisognerà dunque attendere
ancora due anni prima di poterlo vedere. Non resta dunque che
attenderer maggiori novità a riguardo, sapendo però che il ritorno
di O’Conner in scena potrebbe dar vita ad un finale di saga
particolarmente emozionante.
Dove eravamo rimasti con
Fast X?
Alla conclusione di Fast
X, siamo rimasti con un cliffhanger quando Dante
di Jason
Momoa sembrava andarsene con il sopravvento su
Dominic Toretto di
Vin Diesel, dopo aver tentato di raggiungere il figlio
di Dom, Brian, tramite l’aiuto del voltagabbana Aimes (
Alan Ritchson). Il fratello di Dom, Jakob
(John
Cena), si sacrifica per salvare Brian e portarlo in
salvo. Dom e Brian si gettano in acqua, ovviamente, da una diga e
sopravvivono a malapena. Nel frattempo, Letty (Michelle
Rodriguez) si ritrova in una prigione artica insieme a
Cipher di Charlize
Theron, prima che Gisele di Gal
Gadot, presumibilmente morta dopo gli eventi
di Fast
and Furious 6, arrivi in un sottomarino per
aiutare.
Una scena a metà titoli rivela che
anche
Dwayne Johnsontornerà
nel franchise per il finale. Dopo essere stato etichettato
come criminale, Hobbs è stato al lavoro per rintracciare i
suoi obiettivi e scoprire una delle reti di sorveglianza di
Dante. Dante promette che anche Hobbs sarà un obiettivo,
creando una potenziale faida che potrebbe estendersi anche a un
altro film spin-off in cui
Dwayne Johnson sarà il protagonista, una volta che la
sua attuale storia in WWE sarà terminata.
Contrariamente a quanto
ha detto una parte consistente della critica, la
terza stagione di The
Bear aveva molti aspetti positivi. Tra
tutti, la “stasi” degli episodi, ovvero l’impossibilità di
sviluppare un arco narrativo preciso. Carmy prima di tutto, ma in
fondo anche Sydney e Richie, continuano a rimanere impantanati nei
propri problemi personali, e questo restituiva il sapore della vita
vera, dove dalle proprie gabbie psicologiche si esce con molta
fatica e tempo impiegato, o addirittura proprio non se ne esce.
La sfida di The Bear Stagione 4
Il problema è che la
finzione, quando realizzata con lucidità come nel caso di
The Bear, può avvicinarsi alla realtà, ma non
restituirla. A un certo punto bisogna necessariamente che storie e
personaggi percorrano un processo di evoluzione (o involuzione) che
generi una narrazione, ed era quindi questa la sfida della quarta
stagione. Per le prime sei puntate, ciò non succede, e questo si
rivela un periodo di tempo troppo lungo perché la serie non perda
una certa efficacia, continuando a offrire psicologie e situazioni
che sono sempre le stesse, messe in scena con cura ma non in
maniera diversa da quanto già visto in precedenza. Certamente ci
sono in questi episodi momenti commoventi, come ad esempio il
toccante finale della terza puntata, ma nel complesso si ha la
sensazione che il blocco non abbia molto da raccontare, o almeno
nulla di particolarmente interessante.
Poi arriva la settima
puntata da un’ora abbondante, specchio del tanto celebrato sesto
episodio della Season 2. Ma la nuova, gigantesca
riunione familiare di The Bear Stagione 4
al contrario possiede una finezza di racconto, una gentilezza nel
tocco che sa andare in profondità. E infatti si rivela il momento
in cui alcune delle figure fondamentali dello show iniziano
veramente a fare i conti con i propri scheletri nell’armadio. Non
ci sono colpi di scena radicali, e questo rende lo spettacolo ancor
più reale e toccante. Davvero un gran momento di televisione
seriale, esplicitato dalla scena che vede protagonista
Jeremy Allen White e un altro
attore che ritorna in un cammeo prezioso (no spoiler).
Se The Bear
Stagione 4 fosse finita in quel momento, la considerazione
complessiva sull’intera stagione sarebbe stata molto migliore.
Invece il creator e regista Christopher Stoter
doveva arrivare a dieci episodi. Dopo averne regalati un altro paio
di buon effetto e tenuta narrativa accettabile, sceglie di chiudere
il tutto con una sorta di kammerspiel che vede protagonisti i
personaggi principali, i quali vengono quasi costretti dall’unità
di luogo a confrontarsi, ad aprirsi in maniera anche drammatica. Se
sulla carte questa poteva essere un’idea vincente, la sua
realizzazione ottiene purtroppo l’effetto contrario. L’ultimo
episodio di The Bear Stagione 4 risulta infatti
forzato, eccessivamente “urlato” (quando invece la quasi totale
assenza di momenti “over the top” si era rivelata una scelta
intelligente), e una certa retorica fa capolino sia nei dialoghi
che nell’arco narrativo che viene proposto per chiudere i conti. Un
finale piuttosto artefatto, non in linea con la coerenza interna
apprezzabile o meno dei precedenti episodi, ma comunque
tangibile.
La stagione più
ondivaga
Della stagioni di
The Bear realizzate fino a oggi, quest’ultima è
decisamente quella maggiormente ondivaga, spesso potente ma anche
talvolta imprecisa. L’ipotesi è che Storer stia iniziando
leggermente ad allungare il filo della narrazione affidandosi un
po’ troppo alla tensione drammatica insita nei personaggi, o nelle
atmosfere spesso intime del set principale, ovvero la cucina del
ristorante. Una eventuale Stagione 5 – ancora non confermata –
potrebbe portare novità sostanziali, le quali pur lasciando incerti
i fan dello show potrebbero al contrario rappresentare un toccasana
per la sua continuazione. Staremo a vedere. Intanto Carmy, Sydney
Richie e gli altri “orsi” continuano a farci soffrire come la buona
televisione sa fare…
Squid
Game conclude finalmente la sua corsa con
la terza stagione, non solo risolvendo tutti i punti fondamentali,
ma anche con un cameo intrigante nei momenti finali. L’ultima
puntata della serie coreana di successo Netflix inizia con il ritorno di Gi-hun
nella sala comune dei giochi e il ricongiungimento con i
sopravvissuti. Tuttavia, dopo aver perso il suo amico Jung-bae e
ritenendosi responsabile della morte di molti innocenti, Gi-hun si
sente distrutto e senza speranza. Il suo lato oscuro emerge quando
uccide Dae-ho durante il primo gioco della terza stagione di Squid Game, sperando che dare la colpa
a qualcun altro lo faccia sentire un po’ meglio.
L’uccisione di Dae-ho rende
Gi-hun ancora più disilluso ed emotivamente vuoto, ma alla fine
riesce a liberarsi dalla spirale discendente quando sia Geum-ja che
Jun-hee gli affidano la responsabilità di prendersi cura del
neonato di Jun-hee. Determinato a garantire la sopravvivenza del
bambino, Gi-hun entra nell’arena del gioco finale, dove tutto,
dalla sua moralità alla sua capacità di sopravvivere, viene messo
alla prova.
In più di un senso, Gi-hun alla
fine esce vittorioso, ma paga un prezzo molto alto per trovare la
pace e la redenzione.
Perché Gi-hun si sacrifica per
far vincere il bambino nel finale della terza stagione di Squid
Game
Gi-hun capisce il suo vero
scopo
La seconda stagione di Squid
Game presentava una scena confusa ma apparentemente
significativa in cui la sciamana diceva a Gi-hun che era arrivato
così lontano solo perché aveva uno scopo da compiere. Guardava
persino Jun-hee mentre parlava dello scopo di Gi-hun, suggerendo
che la fine della sua storia avrebbe avuto qualcosa a che fare con
lei. Per la maggior parte della serie, la sciamana Seon-nyeo
sembrava solo delirante. Tuttavia, la sua previsione sulla
profezia che Gi-hun doveva compiere si è avverata quando Gi-hun
ha salvato il bambino di Jun-hee mettendo a rischio la propria
vita.
All’inizio della terza stagione,
Gi-hun era sul punto di diventare spietato come il Front Man. Ha
persino sfiorato l’immoralità quando ha ucciso Dae-ho durante il
gioco a nascondino. Tuttavia, a differenza del Front Man,
Gi-hun ha conservato ciò che restava della sua umanità non
scatenando una carneficina contro gli altri giocatori sopravvissuti
quando il Front Man gli ha dato l’opportunità di farlo. Se avesse
accettato l’offerta del Front Man e ucciso i suoi avversari nel
sonno, non sarebbe stato diverso da Myeong-gi, disposto a uccidere
suo figlio per vincere.
È stato proprio il suo senso
di umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il
bambino.
È stato proprio il suo senso di
umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il bambino.
Verso la fine, Gi-hun sembra anche rendersi conto che non potrà
mai vivere in pace con se stesso dopo tutto quello che ha fatto e
vissuto. Il bambino, tuttavia, potrebbe finalmente rompere il
ciclo di violenza perpetuato dai giochi e crescere in un mondo
molto migliore di quello in cui ha vissuto Gi-hun. Squid Game – stagione 3 ha un finale simile a quello
della stagione 1 per diversi motivi, dato che, come Sang-woo,
Gi-hun si rende conto del prezzo delle sue azioni e permette a
qualcun altro di vincere il premio.
Il cameo di Cate Blanchett nel
finale della terza stagione di Squid Game spiegato
L’attrice hollywoodiana
potrebbe sostituire Gong Yoo
Prima che inizino i titoli di coda
della terza stagione di Squid Game, una sequenza mostra Cate Blanchett vestita come l’iconico
venditore interpretato da Gong Yoo. Interpreta il gioco di
reclutamento di Squid Game, Ddakji, con un uomo e lo schiaffeggia
ogni volta che non riesce a capovolgere le buste nel gioco. Questa
scena sembra suggerire che il rumored spin-off americano di Netflix
di Squid Game sia già in lavorazione. Solo il tempo dirà se
Cate Blanchett avrà un ruolo nella prossima
serie, ma la scena finale potrebbe significare che lei è la nuova
venditrice.LO SAPEVATE CHE: Il creatore di Squid Game, Hwang
Dong-hyuk, ha anche un’idea per uno spin-off che si svolgerebbe tra
la prima e la seconda stagione e descriverebbe “cosa facevano i
reclutatori, il capitano Park (Oh Dal-su), gli ufficiali o gli
uomini mascherati in quel periodo”.
Considerando che Gong Yoo è
stato uno degli attori più famosi del cast di Squid Game,
avrebbe senso che il remake americano avesse un’attrice famosa come
Cate Blanchett nel ruolo della Venditrice. Il futuro del
franchise di Squid Game rimarrà incerto fino a quando
Netflix non farà annunci ufficiali su ciò che ci aspetta. Tuttavia,
anche se i remake di serie acclamate dalla critica possono spesso
rivelarsi difficili, il potenziale coinvolgimento di Cate Blanchett
nello spin-off rende il progetto molto interessante.
“Non siamo cavalli. Siamo
esseri umani. Gli esseri umani sono…”: spiegazione delle ultime
parole di Gi-hun
Gi-hun sembra in conflitto con
se stesso nei suoi ultimi istanti
Fin dai primi momenti, Squid
Game ha utilizzato i cavalli come metafore efficaci per i
giocatori dei giochi che danno il titolo alla serie. Nell’arco
narrativo iniziale, Gi-hun investe molto in una corsa di cavalli,
sperando di vincere alla grande e risolvere definitivamente i suoi
problemi finanziari. Tuttavia, ben presto, diventa lui stesso un
cavallo quando i VIP scommettono su di lui e sugli altri giocatori
mentre compete per vincere una corsa per il loro divertimento.
“Voi scommettete sui cavalli.
Qui è lo stesso, ma noi scommettiamo sugli esseri umani. Voi siete
i nostri cavalli”, dice il Front Man nella prima stagione,
ricordando a Gi-hun come le persone come lui siano ridotte a
semplici strumenti di intrattenimento dai ricchi. Come i
cavalli, anche Gi-hun e gli altri giocatori si conformano e lottano
per partecipare ai giochi senza considerare i loro diritti e la
loro autonomia come esseri umani. Tuttavia, verso la fine della
serie, Gi-hun usa le sue ultime forze per protestare contro gli
organizzatori del gioco e ricordare loro che non sono cavalli, ma
esseri umani.
Nella prima stagione, Gi-hun
risponde con sicurezza al Front Man e gli dice: “Ascolta
attentamente. Non sono un cavallo. Sono una persona. Ecco perché
voglio sapere chi siete… e come potete commettere tali atrocità
contro le persone.“ Purtroppo, dopo aver visto il meglio e
il peggio dell’umanità durante i giochi, il personaggio si sente in
conflitto su ciò che pensa degli esseri umani. Pertanto, si
ferma a ”gli esseri umani sono…” invece di dire qualcosa di
più o di meno.
Chi prende il premio vinto da
Gi-hun nella prima stagione dalla camera d’albergo (e
perché)
Il Front Man lo passa a
qualcuno che lo merita
Una figura misteriosa irrompe
nella camera d’albergo dove Gi-hun aveva conservato tutto il denaro
vinto nella prima stagione, e Woo-seok fatica a capire chi possa
averlo preso. Nei momenti finali della serie, il Front Man,
In-ho, si presenta a casa della figlia di Gi-hun e le dice che
conosceva suo padre. La figlia sembra arrabbiata con suo padre e
afferma di non voler avere nulla a che fare con lui. Tuttavia, il
suo cuore si scioglie quando In-ho le rivela che suo padre è
morto.
Ha lasciato tutta la
ricchezza di Gi-hun a sua figlia perché ha capito che era ciò che
Gi-hun avrebbe voluto.
In-ho se ne va subito dopo averle
lasciato una scatola piena degli effetti personali del padre. Oltre
alla tuta da ginnastica di Squid Game, la scatola contiene una
piccola busta con una carta di debito, che sembra dare alla figlia
accesso al premio in denaro di Gi-hun. Questo conferma che
In-ho ha preso i soldi di Gi-hun e li ha messi al sicuro in una
banca. Ha lasciato tutta la ricchezza di Gi-hun alla figlia perché
ha capito che era quello che avrebbe voluto Gi-hun.
Perché il front man lascia il
bambino a suo fratello
Si rende conto che Jun-ho darà
al bambino una vita migliore di quella che lui potrà mai
dargli
Come suggeriscono le storie di
Jun-ho e In-ho, In-ho ha sempre tenuto molto al suo fratellastro
minore, Jun-ho, e gli ha persino donato uno dei suoi reni.
Tuttavia, si è allontanato da lui dopo che le difficoltà
finanziarie e l’impossibilità di curare la moglie malata lo hanno
costretto a partecipare alla 28ª edizione di Squid Game. La terza
stagione di Squid Game rivela anche che, per vincere i giochi,
In-ho ha sgozzato tutti i suoi concorrenti mentre
dormivano.
Nell’arco finale di Squid
Game, In-ho si rende conto che non tutti gli esseri umani sono
egoisti e freddi come i giochi gli hanno fatto credere. Capisce
che, anche se le circostanze lo hanno fatto perdere il senso della
moralità, c’è ancora del buono in persone come suo fratello e
Gi-hun. Il sacrificio di Gi-hun lo aiuta a capire che gli esseri
umani meritano una seconda possibilità e non possono essere
trattati come pedine in un sistema creato dall’élite corrotta.
Pertanto, decide di allontanare la bambina dal suo mondo distorto,
lasciandola a casa di suo fratello.
Squid Game non approfondisce
troppo la vita del Front Man dopo i giochi, ma lui sembra
preoccupato quando vede il personaggio interpretato da Cate
Blanchett reclutare nuovi giocatori per una sede negli Stati
Uniti.
Rendendosi conto che suo fratello è
un brav’uomo, gli lascia persino il premio in denaro della
bambina. Squid Game non approfondisce troppo la vita del
Front Man dopo i giochi, ma lui sembra preoccupato quando vede il
personaggio interpretato da Cate Blanchett reclutare nuovi
giocatori per una sede negli Stati Uniti. Questo suggerisce che,
dopo aver visto il sacrificio di Gi-hun, In-ho ha capito che i
giochi non dovrebbero esistere.
No-eul riuscirà a riunirsi con
sua figlia in Cina?
Il futuro di No-eul rimane
incerto
Quando No-eul esamina i registri
delle guardie nella sede dei giochi, trova alcuni documenti su se
stessa. I suoi documenti rivelano che sua figlia è morta. Dopo aver
appreso il destino di sua figlia, No-eul si sente distrutta, ma il
sacrificio di Gi-hun la incoraggia a vivere e a tornare nel mondo
esterno. Con sua grande sorpresa, il suo investigatore privato
le rivela di aver trovato qualcuno in Cina che sembra corrispondere
alla descrizione di sua figlia.
Con una nuova speranza, No-eul si
reca in Cina, credendo di poter finalmente riunirsi con sua figlia.
La serie lascia la sua storia un po’ in sospeso, non rivelando se
lei riesca a rivedere sua figlia. Tuttavia, come spettatori, è
difficile non sperare che tutto finisca bene per il personaggio di
Park Gyu-young in Squid Game.
Perché Jun-ho non spara a suo
fratello In-ho
Ricorda come suo fratello lo ha
risparmiato
Jun-ho arriva al luogo dei giochi
proprio prima che In-ho stia per andarsene con il bambino. Questo
offre a Jun-ho l’occasione perfetta per fermare suo fratello
uccidendolo. Tuttavia, sceglie comunque di risparmiarlo perché
suo fratello ha fatto lo stesso nella prima stagione.
Nonostante sia diventato freddo dopo aver partecipato ai giochi e
averli infine organizzati come Front Man, In-ho sembra non aver mai
perso il suo affetto complicato ma profondo per il suo
fratellastro. Anche Jun-ho se ne rende conto, ed è per questo che
fatica a premere il grilletto nel finale della terza stagione di
Squid Game.
Quali personaggi principali di
Squid Game sono ancora vivi dopo la fine della terza
stagione
Solo due giocatori
sopravvivono
Tra i giocatori, il bambino
(giocatore 222) sopravvive perché Gi-hun garantisce la sua
incolumità sacrificando la propria vita. Anche Kyung-seok
(giocatore 246) finisce per sopravvivere perché No-eul lo protegge.
Lei gli spara intenzionalmente in una zona non vitale e finge di
stare al gioco delle altre guardie che trafficano in esseri umani.
Tuttavia, non appena lo portano dal medico per asportargli gli
organi, lei uccide le guardie e chiede al medico di curare la
ferita del giocatore 246.
Poi ricatta l’ufficiale per
ottenere una barca per lei e il Giocatore 246. Anche se il
Giocatore 246 rischia di essere ucciso durante il viaggio di
ritorno, Jun-ho e i suoi uomini lo salvano all’ultimo momento.
No-eul lo fa perché in precedenza ha incontrato sua figlia nel
mondo esterno e ha persino scoperto che sta combattendo contro il
cancro. Rendendosi conto che Kyung-seok era ai giochi solo per
ottenere i soldi per le cure di sua figlia, lei prova empatia per
lui e decide di intraprendere una missione per riunirlo con sua
figlia. In questo modo, spera di redimersi per aver lasciato suo
figlio in Corea del Nord.
Il vero significato dell’intera
storia di Squid Game spiegato
La serie presenta una metafora
inquietante per molte questioni del mondo reale
Per molto tempo è stato difficile
non vedere il Front Man come il cattivo principale della serie.
Tuttavia, l’arco narrativo finale di Squid Game mostra come
anche In-ho fosse un tempo un giocatore disperato, determinato a
creare una vita migliore per sé stesso e la sua famiglia. Vedeva i
giochi come una fonte di salvezza piuttosto che di crudeltà, ma la
sua disperazione si è presto trasformata in distacco. Alla fine, ha
perso se stesso nel sistema generale, evidenziando quanto sia
facile cadere preda degli schemi dei potenti quando viene offerta
una parvenza di controllo in cambio della propria moralità e
coscienza.CorrelatiSpiegata la durata scioccante della terza
stagione di Squid GameLa terza stagione di Squid Game è la più
breve della serie, con solo sei episodi, uno in meno della già
breve seconda stagione, ma c’è una buona ragione per questo.
Mentre le vicende di In-ho e di
molti altri personaggi sono un monito su come la caduta morale di
una persona raramente sia improvvisa e spesso sia guidata dal
semplice desiderio di sopravvivere, la storia di Gi-hun e il suo
sacrificio finale mostrano come un singolo giocatore possa portare
ondate di cambiamento e sfidare le fondamenta di un sistema basato
sullo sfruttamento.
Squid Game può anche
essere visto come un gioco sull’illusione del libero arbitrio che
spesso esiste nei sistemi capitalistici. Come i giocatori, gli
individui sono portati a credere di essere liberi di plasmare il
proprio destino e vincere un grande premio in denaro, ma sono
ostacolati dalle disuguaglianze e dalle divisioni di classe.
Un personaggio significativo della
prima stagione fa un cameo nella
terza stagione di Squid
Game, influenzando notevolmente la storia di Gi-hun.
Dopo tre stagioni, il thriller horror distopico di successo di
Netflix è giunto al termine, concludendo la serie TV
coreana e preparando il terreno per lo spin-off americano
Squid
Game. La terza stagione di Squid Game, che purtroppo
è la più controversa tra i fan e la critica, riprende da dove la
storia si era interrotta. Gi-hun è costretto a tornare ai giochi e
viene ammanettato nel tempo libero per impedire ulteriori tentativi
di ribellione.
Poiché Gi-hun è stato il
personaggio principale di Squid Game fin dall’inizio,
sembrava scontato che sarebbe arrivato alla finale, anche se alla
fine fosse morto. Tuttavia, il suo percorso per arrivarci è stato
sicuramente interessante.
Uno dei momenti più significativi
lo vede faccia a faccia con un personaggio della prima stagione di
Squid Game, che gli offre un consiglio molto utile.
Jung Ho-yeon riprende il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game
Sae-byeok appare nella terza
stagione di Squid Game, episodio 5, “Circle Triangle
Square”
Durante tutta la prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon interpreta il personaggio stanco ma
adorabile di Kang Sae-byeok, alias Giocatore 067. Grazie alla sua
astuzia e alla sua grinta, riesce ad arrivare fino alla finale a
tre, prima di soccombere a una ferita causata dai vetri frantumati
del ponte. Dopo la morte di Sae-byeok nella prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon non era prevista per il ritorno.
Tuttavia, il regista Hwang Dong-hyeok ha accennato alla possibilità
di un suo ritorno ai SAG Awards 2022 (tramite
RFA), dicendo: “Molti personaggi sono morti nella prima
stagione, ma stiamo cercando di riportarli in vita nella seconda.
Forse Sae-byeok ha una sorella gemella”.
Il suo personaggio rimane
morto, ma appare come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne ha più bisogno.
La possibilità che Jung Ho-yeon
apparisse è diventata ancora più remota quando non ha avuto alcun
ruolo di rilievo nella seconda stagione. Tuttavia, hanno trovato un
modo per riportarla in vita, dato che l’attrice ha ripreso il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game.
Fortunatamente, non hanno fatto un colpo di scena alla Oh Il-nam
rendendola una dei VIP o riportandola in vita. Sarebbe stato
imperdonabile, considerando che è uno dei personaggi più amati di
Squid Game. Invece, il suo personaggio rimane morto,
apparendo solo come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne aveva più bisogno.
Perché Gi-hun vede davvero
Sae-byeok prima della partita finale
Gi-Hun aveva bisogno di un
promemoria di chi è
Gi-hun la vede prima della partita
finale, dopo aver avuto l’opportunità di uccidere gli altri
concorrenti. Non è chiaro se stia ricordando la loro interazione
passata o se creda che lei sia davvero nella stanza con lui. In
ogni caso, l’apparizione di Sae-byeok è probabilmente indotta dallo
stress, dai sentimenti contrastanti e dalla mancanza di sonno. Nel
momento in cui sta per uccidere il giocatore 100, lei gli dice la
stessa cosa che gli aveva detto prima della partita finale nella
prima stagione di Squid Game: “Non farlo. Tu non sei
così”.
Questa frase lo ha riportato
all’umanità a cui aveva cercato di aggrapparsi dopo la ribellione
fallita. La terza stagione di Squid Game ha portato Gi-hun
in un luogo oscuro, ma Sae-byeok lo ha riportato alla luce.
Da quel momento in poi, sembra che stia cercando di rimanere l’uomo
che Sae-byeok credeva che fosse. Forse non riuscirà a sfuggire al
trauma e alla rabbia causati dalla partecipazione ai giochi, ma può
aggrapparsi a quel piccolo barlume di chi era prima.
La scena di Sae-byeok nella
terza stagione di Squid Game chiude il cerchio
Sae-byeok gli ha dato il
consiglio di cui aveva bisogno in una situazione quasi
identica
Oltre a regalare ai fan un cameo
felice, la breve scena di Sae-byeok nella terza stagione di
Squid Game ha contribuito a chiudere il cerchio della
narrazione. Gi-hun aveva la possibilità di porre fine ai giochi
nella prima stagione uccidendo Cho Sang-woo mentre il suo amico
dormiva prima della partita finale. Lui e Sae-byeok avrebbero
potuto potenzialmente uscirne vivi. Tuttavia, ciò avrebbe richiesto
che lui tradisse uno dei suoi valori fondamentali, trasformandolo
in qualcuno che non è. Sae-byeok lo capiva.
Alla fine, Gi-hun si ritrova
praticamente nella stessa posizione alla
fine della terza stagione di Squid Game. Aveva i mezzi e
l’opportunità di tagliare la gola a tutti gli altri membri per
salvare se stesso e il bambino.
Tuttavia, le sue azioni lo
avrebbero spinto oltre il limite, perché avrebbe dovuto diventare
un assassino a sangue freddo. È giusto che Sae-byeok gli ricordi
ancora una volta chi è nella stagione finale di Squid Game.
Squid
Game è giunto al termine e il creatore ha affrontato il
controverso colpo di scena e il vincitore. Dopo la fallita
ribellione nella seconda stagione, Gi-hun (Lee Jung-jae) crolla
nella seconda metà dei giochi, ma alla fine si assume la
responsabilità di prendersi cura del bambino di Jun-hee (Jo Yu-ri)
fino al finale della serie. Questo porta con sé il
colpo di scena di Squid Game, quando il bambino
prende il posto di Jun-hee come giocatore 222.
Invece di mostrare Gi-hun vincitore
di un’altra serie di giochi, Sky Squid Games ha lasciato a Gi-hun
la scelta di vincere i giochi o di dare invece un’opportunità al
bambino. Avendo partecipato per protestare contro la brutalità dei
giochi stessi, ha finito per sacrificarsi per dimostrare che il
Front Man (Lee Byung-hun) aveva torto. Il figlio di Jun-hee è
diventato il vincitore ufficiale, guadagnando 4,56 miliardi di
won.
In un’intervista con The Hollywood Reporter, il creatore Hwang Dong-hyuk ha
espresso che il bambino rappresentava “la coscienza
umana,” ed è proprio per questo che ha scelto di concludere
la storia con la morte di Gi-hun. Pur mettendo in mostra gli
aspetti più oscuri dell’esperienza umana, Hwang sperava di mettere
in luce anche le sue qualità migliori. Di seguito la sua citazione
dettagliata:
Dato che si trattava del finale,
ho pensato che alzare la posta in gioco e correre un rischio
maggiore, in vero stile Squid
Game, fosse la scelta giusta. In questo modo, volevo mostrare
in modo ancora più accuratoil fondo dell’umanità e anche
far luce su una speranza ancora più luminosa. Credo che
attraverso il bambino, Gi-hun sia in grado di mostrare questi temi
in modo più dettagliato.
Credo che tutti noi siamo in
grado di vivere in questo mondo grazie agli sforzi e alle lotte che
la generazione precedente ha affrontato per darci un mondo
migliore. E il motivo per cui dobbiamo cercare di correggere il
corso del mondo è perché vogliamo dare un mondo migliore alla
generazione futura. Quindi, nella nostra storia, il bambino non
rappresenta solo la coscienza umana, ma anche la generazione futura
per la quale dobbiamo sistemare le cose.
Cosa significa questo per il
finale di Squid Game
I giochi non sono
finiti
Gi-hun è tornato ai giochi per
trovare un modo per porvi fine per sempre, ma non è riuscito a
ribellarsi adeguatamente controil Front Man. Al
contrario, è stato costretto a giocare l’intero gioco, con la
possibilità di vincere alla sua seconda apparizione consecutiva.
Sfortunatamente per Gi-hun,la presenza del bambino
significava che avrebbe dovuto sacrificare la sua umanità solo per
vincere.
Con le voci costanti su un
Squid Game ambientato negli Stati Uniti, non dovrebbe sorprendere
che Gi-hun abbia fallito la sua missione.
Se fosse stato meglio preparato
per il suo ritorno, Gi-hun avrebbe potuto trovare un modo per
fermare i giochi. La sua intera missione era quella di fermare
l’orrore, mainvece non è riuscito a salvare la vita dei
molti candidatiche sarebbero stati inevitabilmente
eliminati. Fortunatamente, è riuscito a salvare un bambino e
potenzialmente a dimostrare che l’umanità può essere buona.
CorrelatiSquid Game Stagione 3:
spiegazione del finale: chi vince il gioco finale?Il finale della
terza stagione di Squid Game non solo risolve tutti i nodi con una
nota agrodolce, ma presenta anche uno strano cameo che allude al
futuro del franchise.
Anche se Myung-gi (Yim Si-wan) era
disposto a uccidere sua figlia, Gi-hun non avrebbe mai ucciso un
bambino, e le sue azioni potrebbero cambiare le aspettative dei
futuri giocatori. È la prova che l’umanità non è sempre terribile e
che le persone continueranno a lottare per proteggere la
generazione successiva. In una forte dichiarazione a Netflix, Hwang ha espresso questo concetto in modo
approfondito:
Credo che abbiamo anche la
responsabilità e il dovere di fare tutto ciò che è in nostro potere
per lasciare un mondo migliore alle generazioni future. Il fatto
che il bambino sia uscito vincitore erain linea con il
significato di Squid Game.
Purtroppo, anche se Gi-Hun si è
mosso per proteggere il bambino, gli altri esseri umani non sono
altrettanto umani. Con le continue voci su una versione
statunitense di Squid Game, non dovrebbe sorprendere che Gi-hun non
abbia avuto completamente successo nella sua missione. Ci deve
essere un seguito, che inevitabilmente continuerà ad attingere a
ciò che ha interessato gli spettatori in primo luogo: i giochi.
Palazzina
Laf, film d’esordio alla regia per Michele Riondino, è uno dei titoli
italiani più sorprendenti e intensi degli ultimi anni. Presentato
in anteprima nella sezione Giornate degli Autori alla Mostra del
Cinema di Venezia 2023, il film ha conquistato critica e pubblico
grazie alla sua capacità di raccontare una storia profondamente
radicata nella realtà sociale del nostro Paese. Ambientato a
Taranto negli anni ’90, il film affronta temi complessi e
universali come il lavoro, l’alienazione, la manipolazione
psicologica e la violenza sistemica all’interno del mondo operaio,
con particolare riferimento al colosso industriale dell’Ilva.
Oltre a curarne la regia, Riondino
interpreta il protagonista Caterino, un uomo semplice e fedele
all’azienda che lentamente si ritrova intrappolato in un meccanismo
di repressione e isolamento. Accanto a lui, un cast di grande forza
espressiva, in cui spiccano nomi come Elio Germano, Vanessa
Scalera, Gianni D’Addario e
Domenico Fortunato. Il film ha poi ottenuto
riconoscimenti importanti, tra cui tre David di Donatello,
rispettivamente, per il Miglior attore protagonista (a Riondino),
al Miglior attore non protagonista (a Germano) e alla Migliore
canzone originale (La mia terra, scritta e interpretata da
Diodato).
Il titolo stesso, Palazzina
Laf, fa riferimento a un luogo realmente esistente, un
edificio utilizzato per isolare e punire i lavoratori “scomodi”.
Questo dettaglio ha spinto molti spettatori a chiedersi se la
vicenda raccontata sia ispirata a fatti realmente accaduti. Nei
prossimi paragrafi, esploreremo proprio questa dimensione, cercando
di rispondere alla domanda: Palazzina Laf è tratto
da una storia vera? Analizzeremo le fonti, i riferimenti reali e il
contesto storico da cui il film prende spunto.
Michele Riondino in Palazzina Laf
La trama di Palazzina Laf
1997. Caterino, uomo semplice e rude
è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale
dell’Ilva di Taranto. Vive in una masseria caduta in disgrazia per
la troppa vicinanza al siderurgico e nella sua indolenza condivide
con la sua giovanissima fidanzata il sogno di trasferirsi in città.
Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per
individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino
comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo
ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli.
Ben presto, non comprendendone il
degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF,
dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi
privati delle loro consuete mansioni. Questi lavoratori non hanno
altra attività se non quella di passare il tempo ingannandolo
giocando a carte, pregando o allenarsi come fossero in palestra.
Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un
paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare
psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle
dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non
c’è via di uscita.
La storia vera dietro il film
La forza emotiva e politica di
Palazzina Laf deriva in larga parte dalla sua
ispirazione a fatti realmente accaduti. Il film prende infatti
spunto da un episodio oscuro ma documentato della storia recente
dell’Ilva di Taranto, uno degli stabilimenti siderurgici più grandi
e controversi d’Europa. Negli anni ’90, all’interno dell’imponente
struttura industriale, esisteva davvero una palazzina – la
cosiddetta Palazzina Laf, dal nome di un reparto –
dove venivano trasferiti i lavoratori considerati “problematici”,
ovvero coloro che si opponevano a certi meccanismi aziendali,
denunciavano irregolarità o semplicemente venivano ritenuti scomodi
dalla dirigenza.
Michele Riondino in Palazzina Laf
Questi lavoratori venivano assegnati
a mansioni inutili o ripetitive, oppure lasciati senza compiti
precisi, in uno stato di isolamento e inattività forzata, con
l’evidente intento di logorarne la stabilità psicologica e
costringerli alle dimissioni. Si trattava di una forma di mobbing
istituzionalizzato, un abuso di potere sistemico che ha segnato
profondamente la comunità operaia tarantina. Michele
Riondino, originario proprio di Taranto, ha raccontato di
aver scoperto questa vicenda da ragazzo e di essere rimasto colpito
dalla sofferenza silenziosa di tante persone, spesso lasciate sole
anche dalle istituzioni e dall’opinione pubblica.
Il regista ha quindi costruito il
film sulla base di testimonianze dirette, documenti e interviste a
ex operai dell’Ilva, rielaborando i fatti con uno sguardo
drammaturgico ma senza tradirne l’essenza. Palazzina
Laf non è un biopic né una cronaca esatta, ma un’opera di
finzione ispirata a eventi reali e supportata da un’attenta
ricostruzione del contesto sociale e lavorativo dell’epoca. La
figura di Caterino, interpretata dallo stesso Riondino, è un
personaggio simbolico che incarna la condizione di molti, un uomo
ingenuo ma leale che si ritrova lentamente stritolato da un
meccanismo che non comprende fino in fondo.
Attraverso la vicenda di Caterino,
il film denuncia così una realtà fatta di soprusi, silenzi e
violenze psicologiche, mostrando come anche un ambiente di lavoro
possa trasformarsi in un luogo di reclusione. L’intento degli
autori non è però solo quello di raccontare un caso specifico, ma
di portare alla luce un sistema più ampio di emarginazione e
punizione sociale, ponendo lo spettatore davanti a domande urgenti
sulla dignità umana, la responsabilità collettiva e la memoria
storica.
Diretto nel 2011 da Gavin
O’Connor, Warrior si colloca
perfettamente all’interno della filmografia del regista, per il
modo in cui fonde azione e dramma con un’intensa componente
emotiva. Già noto per Miracle (2004), basato sulla vera
storia della squadra di hockey statunitense, e per Pride and
Glory (2008), O’Connor ha spesso raccontato storie di uomini
in conflitto – con il mondo, con la famiglia, con se stessi. Con
questo film, firma una delle sue opere più riuscite, capace di
coniugare l’energia di un film sportivo con la profondità di un
dramma familiare. A sostenere il tutto, un cast potente guidato da
Tom Hardy, Joel Edgerton e Nick Nolte,
quest’ultimo poi candidato all’Oscar per il suo ruolo.
Il film racconta la storia di due
fratelli separati da anni – Tommy e
Brendan – che si ritrovano a gareggiare nello
stesso torneo di arti marziali miste, lo “Sparta”, ognuno per
motivi personali e profondamente diversi. Intorno a loro, la figura
del padre alcolizzato in cerca di redenzione e una serie di
dinamiche familiari spezzate, cariche di dolore e rabbia repressa.
Ma Warrior non è soltanto una storia di lotta
fisica: è un racconto di riconciliazione, perdono e sacrificio,
costruito con una sensibilità che lo eleva al di sopra del tipico
film sportivo.
Temi come la seconda possibilità, la
redenzione e il peso delle scelte personali sono centrali
nell’evoluzione dei personaggi. Il contesto sportivo dell’MMA
diventa così la metafora perfetta per affrontare i conflitti
interiori dei protagonisti. Proprio per la sua intensità e il suo
realismo emotivo, molti spettatori si chiedono:
Warrior è tratto da una storia vera? Nei prossimi
paragrafi risponderemo a questa domanda, analizzando le fonti
d’ispirazione del film e il suo legame con eventi reali.
Warrior è basato su una storia
vera?
La risposta è che no,
Warrior non è basato su una storia vera. La
sceneggiatura – scritta da Gavin O’Connor, Anthony
Tambakis e Cliff Dorfman – è interamente
inventata e concepita originariamente per il film. Secondo il
co-sceneggiatore e regista O’Connor, il film è però nato da
“qualcosa” della sua vita personale. “Credo che l’idea o la
comprensione del perdono fosse qualcosa che stavo davvero cercando
di afferrare, e quando dico questo non intendo solo le parole ma il
vero perdono nel cuore”, ha dichiarato a GQ.
Oltre al tema del perdono, lo sfondo
delle arti marziali miste deriva anche dalla vita personale di
O’Connor. “Credo che contemporaneamente l’idea di esplorare le
arti marziali miste come sfondo di un film mi allettasse perché
sono un fan di questo sport, lo seguo da un po’ e non l’ho mai
visto al cinema”, ha aggiunto. La storia di due fratelli
allontanati si è poi aggiunta all’idea che O’Connor stava
sviluppando. Per il regista, l’idea proponeva anche la questione di
come “guarire e perdonare”, che ha influenzato i conflitti tra
Tommy, Brendan e il loro padre.
La sfida successiva per O’Connor è
stata quella di concepire il torneo e il conflitto di due fratelli
che si battono in una gara a chi vince di più, il fulcro del dramma
sportivo. “[…] ho preso spunto dai tornei Pride e K1 in
Giappone, dove si svolgono i tornei Grand Prix. Ma questi ragazzi
[Tommy e Brendan] sono in rotta di collisione tra loro, e poi
quando devono entrare nella gabbia per il campionato mondiale dei
pesi medi, per chi fai il tifo? E questa per me è stata una sfida
interessante come regista, perché non ricordo di aver mai visto una
cosa del genere prima d’ora, in cui ti viene chiesto di
scegliere“, ha dichiarato a GQ.
Anche se il film è di fantasia, si
possono fare dei paralleli tra i personaggi e le figure reali. La
vita dell’ex campione dei pesi medi UFC Rich “Ace”
Franklin, che era un insegnante di scuola superiore,
assomiglia alla vita di Brendan come insegnante.
Secondo quanto riportato, la vita del sergente dei Marines degli
Stati Uniti Ewan G.P. Pennington ha invece
parzialmente ispirato il passato di Tommy nel corpo dei Marines.
Frank Grillo, che interpreta Frank Campana, si
sarebbe ispirato all’allenatore di MMA Greg
Jackson per concepire la sua performance.
L’“imbattibile”
Koba nel film assomiglia invece a Fedor
Emelianenko, un artista russo dei pesi massimi di arti
marziali miste. Il personaggio del commentatore Bryan
Callen ricorda il commentatore dell’UFC Joe
Rogan. Sebbene la narrazione di Warrior
sia effettivamente fittizia, nel film compaiono inoltre numerosi
combattenti di MMA e personaggi degli sport da combattimento
realmente esistiti, come Kurt Angle, Nate
Marquardt, Anthony Johnson, Roan
Carneiro, Yves Edwards, Amir
Perets e Dan Caldwell. L’aggiunta di
combattenti reali aumenta l’autenticità del film e lo avvicina
quindi alla realtà.
L’incubo di Maggie
(il cui titolo originale è Dangerous Snow Day) è un
thriller psicologico per la televisione che rientra pienamente
nella tradizione dei Lifetime movies, quei film costruiti
attorno a tensioni familiari, minacce latenti e conflitti
psicologici intensi, spesso con protagoniste femminili al centro di
situazioni drammatiche e pericolose. Diretto da Brittany Underwood, il
film è un esempio classico di domestic thriller, dove la
casa – simbolo di sicurezza e protezione – si trasforma nel teatro
di un incubo ad occhi aperti. L’atmosfera claustrofobica,
alimentata da un’ambientazione invernale e isolata, amplifica il
senso di vulnerabilità e sospetto che accompagna la
protagonista.
Come in molte storie di questo
genere, le apparenze sono ingannevoli e i pericoli più minacciosi
arrivano dall’interno delle mura domestiche o dalle persone
considerate più vicine. Per questo motivo si può accostare
L’incubo di Maggie a titoli simili come
Lo stalker della stanza accanto o Inganno
dal passato. Il film della Underwood, però, utilizza in
maniera efficace la dinamica della paranoia e della manipolazione,
affrontando temi come la fiducia, l’identità e la protezione della
propria famiglia da minacce invisibili ma pervasive.
Nel corso dell’articolo, verrà
fornita una dettagliata spiegazione del finale del film, utile a
chiarire gli snodi narrativi del terzo atto e a mettere in luce i
sottotesti tematici. L’epilogo, come spesso accade in questo tipo
di thriller, non si limita a risolvere i conflitti della trama, ma
offre anche una riflessione sul percorso della protagonista e sul
significato più ampio delle sue scelte. Per chi ha visto il film o
è curioso di scoprirne i retroscena, l’analisi del finale
rappresenta una chiave di lettura utile per comprendere le
implicazioni psicologiche e narrative dell’intera storia.
Nicolette Langley in L’incubo di Maggie
La trama di L’incubo di Maggie
Giovane e brillante studentessa,
Maggie (Nicolette Langley) viene
assunta come tata da una ricca famiglia apparentemente perfetta.
Quando inizia a lavorare per Kristen (Kate
Watson) e Frederick Cargill
(Matthew Pohlkamp), Maggie è entusiasta della
possibilità di costruirsi una nuova vita. Tuttavia, l’atmosfera
elegante e ben curata della casa comincia presto a mostrare delle
crepe. Maggie si accorge infatti che qualcosa non va: strane
tensioni tra i coniugi, comportamenti ambigui e la sparizione
misteriosa di una tata precedente gettano un’ombra sinistra sulla
sua nuova occupazione.
Con il passare dei giorni e l’arrivo
di una tempesta di neve che isola la casa dal mondo esterno, Maggie
inizia a sentirsi sempre più minacciata. Mentre cerca di scoprire
cosa si nasconde dietro il sorriso glaciale di Kristen, diventa
chiaro che la famiglia Cargill cela un segreto pericoloso. La
situazione precipita quando Frederick viene arrestato e Kristen si
mostra per ciò che è veramente: una donna disturbata, gelosa e
assetata di controllo. In un crescendo di tensione, Maggie sarà
costretta a lottare per la propria sopravvivenza.
La spiegazione del finale
Nel finale, il mistero si svela durante una violenta nevicata che
isola la casa dei Cargill: Maggie, la tata, è rimasta a badare ai
bambini mentre Kristen, la moglie, è andata a trovare la
madre.
Proprio quella notte Hannah, l’amica di Maggie, viene investita e
gravemente ferita, segno che qualcuno vuol zittire le testimoni. Il
marito Frederick viene arrestato come sospetto, ma Maggie è
convinta che la verità sia un’altra e inizia.
Scatenato, Frederick la accusa del suo arresto e la minaccia in
casa. Ma quando pare sia arrivata la svolta, emerge la vera nemica:
Kristen.
Harlow Bleu e Kate Watson in L’incubo di Maggie
Dopo aver neutralizzato il marito con una pala, la moglie si rivela
come la vera assassina della precedente tata, comprese la scomparsa
di Ashley Coleman. Kristen lega entrambi, infligge violenza
psicologica e li accusa di tradimento e gelosia, confessando i suoi
crimini. In una lotta disperata, Maggie riesce a difendersi,
riuscendo a resistere fino all’arrivo delle forze dell’ordine, che
arrestano Kristen e Frederick. Il film si chiude così con Maggie in
stato di shock mentre la polizia porta via i coniugi in
manette. Maggie, insieme allo sceriffo Holden, adottano i
loro figli e danno vita alla loro propria famiglia.
Il
colpo di scena di L’incubo di Maggie mostra
dunque come l’oscurità spesso si nasconda dietro le maschere della
quotidianità: Kristen, personaggio fino alla fine percepito come
vittima, si rivela invece l’autentica minaccia domestica. Questo
tema, caro ai domestic thriller, ribalta le aspettative
dello spettatore, invitandolo a riflettere su quanto possa essere
sottile il confine tra affetto e perversione all’interno della
famiglia. Maggie, da vittima isolata e sfruttata, si trasforma però
in sopravvissuta.
Il
suo atto finale di difendersi da Kristen rappresenta una
liberazione interiore: spezza la dinamica tossica instaurata da una
figura di potere materno e padrone. La neve e il freddo, simboli
iniziali di quiete e pulizia, diventano così metafore di tensione e
sangue, accompagnando il percorso verso la verità e la rinascita
della protagonista. Questo epilogo risuona anche sul piano
simbolico: l’arresto dei coniugi libera Maggie da una gabbia
psicologica, ma il prezzo è l’esperienza traumatica di aver
scoperto che il male vero si annida dove meno te lo aspetti.
Il direttore della fotografia di
Spider-Man: Brand New Day, Brett
Pawlak, ha condiviso sul suo account Pinterest alcune
immagini molto interessanti, che molti fan interpretano come la
conferma che il Bruce Banner/Hulk di Mark Ruffalo apparirà nel film. Le immagini
(che si possono vedere qui, qui e qui) che si pensa facciano parte di un
mood board per il film, sono un misto di fotogrammi dei precedenti
film di Spider-Man con Peter Parker (Tom
Holland) e MJ (Zendaya),
e di fumetti che mostrano il Wall-Crawler sia in squadra che in
lotta con Hulk.
Un recente rumor ha affermato che il
Golia Verde sarà il cattivo del film, il che presumibilmente
significherebbe che Hulk Intelligente, o Professor Hulk se
preferite, tornerà alla sua forma selvaggia e si imbarcherà in una
delle sue tipiche furie. Ciò sarebbe in linea con le precedenti
indiscrezioni relative ai piani della Marvel per il personaggio e
potrebbe gettare le basi per un
futuro evento ispirato alla World War Hulk.
Al momento il coinvolgimento di Hulk
o di Ruffalo in Spider-Man: Brand New Day
non è stato ancora confermato ufficialmente, ma con l’ormai
prossimo inizio della produzione si attendono notizie ufficiali. A
parte la presenza di Hulk in queste immagini, si nota in ogni caso
un’atmosfera piuttosto cupa, segno che il film – alla luce degli
eventi verificatisi nel finale di Spider-Man:
No Way Home – potrebbe prendere una simile direzione.
Anche in questo caso, tuttavia, non resta che attendere conferme
ufficiali.
Quello che sappiamo su Spider-Man: Brand New
Day
Ad oggi, una sinossi generica del
film è emersa all’inizio di quest’anno, anche se non è chiaro
quanto sia accurata.
Dopo gli eventi di Doomsday,
Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a
concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità
di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge
una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e
costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in
gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità
di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile
alleato per proteggere coloro che ama.
L’improbabile alleato potrebbe
dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal –
recentemente annunciato come parte del film – in una situazione
già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono
inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi
contro la vera minaccia di turno.
Di certo c’è
che Spider-Man: Brand New Day condivide il
titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo
inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e
rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha
dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da
un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry
Osborn.
Spider-Man: Brand New
Day è stato recentemente posticipato di una settimana dal
24 luglio 2026 al 31 luglio 2026. Destin Daniel
Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda
dei Dieci Anelli, dirigerà il film da una
sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. Tom Holland guida un cast che include
anche Zendaya, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas
e Jon Bernthal. Michael Mando è
stato confermato mentre per ora sono solo rumors il coinvolgimento
di Steven Yeun, Charlie
Cox e di Mark Ruffalo.
Spider-Man: Brand New
Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.
È stato svelato il primo poster
dell’avventura spaziale di Ryan Gosling, Project
Hail Mary. Diretto da Phil Lord e Christopher Miller
(21 Jump Street, The LEGO Movie), il film è tratto
dall’omonimo romanzo di Andy Weir e uscirà nelle sale nel marzo
2026.
Gosling interpreta Ryland Grace, un
insegnante di scienze che si risveglia su un’astronave senza alcun
ricordo di come sia arrivato lì. Tuttavia, ben presto si rende
conto di essere stato incaricato di risolvere un mistero che
minaccia la Terra: cosa sta causando la morte del sole?Project Hail Mary vede anche la partecipazione di
Sandra Hüller, Lionel Boyce, Ken Leung e Milana
Vayntrub.
Amazon MGM Studios ha dato il via
alla promozione di Project Hail Mary pubblicando il primo
poster, che mostra un astronauta (probabilmente Gosling) che
sfreccia su uno sfondo spaziale colorato mentre viene trascinato da
una nave. Il poster è accompagnato dalla notizia che il primo
trailer sarà rivelato lunedì 30 giugno. Guarda il poster qui
sotto:
Cosa significa questo per
Project Hail Mary
Project Hail Mary è
previsto per il 20 marzo 2026, quindi il poster e il trailer
arrivano a poco meno di un anno dalla sua uscita. Nel caso del
poster, non è molto sorprendente, dato che gli studi
cinematografici generalmente pubblicano i poster base mesi prima
dell’uscita.
Il debutto del trailer,
tuttavia, è degno di nota. Negli ultimi anni, gli studi
cinematografici hanno tenuto segrete le prime immagini fino a poco
prima dell’uscita; ad esempio, il primo trailer di Jurassic
World – La Rinascita, che uscirà il 2 luglio, è stato
pubblicato a febbraio, solo cinque mesi prima dell’uscita. La
Disney non ha ancora rivelato il trailer di Avatar: Fuoco e Cenere, in uscita
quest’anno.
La decisione di Amazon MGM di
iniziare a promuovere Project Hail Mary con quasi nove mesi
di anticipo suggerisce che ha molta fiducia nel progetto e crede
che possa riscuotere successo. Con quasi un anno di tempo per
suscitare interesse, Amazon MGM può rendere Project Hail
Mary uno dei film più chiacchierati del 2026.
Una nuova immagine di Avatar: Fuoco e
cenere anticipa un incontro carico di tensione tra
Quaritch (Stephen Lang) e Spider (Jack Champion). Quaritch,
antagonista principale del film Avatar di
James Cameron, è morto alla fine del primo
film. Ha lasciato un figlio, Spider, che è stato poi cresciuto da
Jake Sully e Neytiri su Pandora.
In Avatar: La
via dell’acqua, Quaritch è tornato in vita sotto
forma di Avatar e ha nuovamente minacciato la pace delle loro vite,
causando la morte del figlio maggiore di Jake e Neytiri,
Neteyam.
Ora, Empire ha rivelato una nuova immagine, che anticipa
un incontro teso tra Quaritch e suo figlio biologico.
Nell’immagine, Quaritch sembra cercare di parlare con Spider, ma
Spider lo tiene per un braccio mentre si allontana da lui. Parlando
con la rivista, Lang ha rivelato che il loro prossimo incontro non
porterà a una risoluzione e ha avvertito che “il tradimento”
è dietro l’angolo. Leggi il suo commento qui sotto:
“Si ricongiungono per necessità.
Il loro legame non è esclusivo. Ci sono momenti in cui tutti si
uniscono a un certo livello. Ma quando i nemici cooperano, puoi
stare certo che il tradimento è dietro l’angolo“.
”Spider confonde Quaritch. Ma
Quaritch vuole chiarezza. C’è qualcosa in Spider che Quaritch ama
davvero, una parola che non associamo a lui. Penso che il rispetto
e l’ammirazione crescano davvero, così come l’animosità e la
manipolazione. Il rapporto si approfondirà, nel bene o nel
male”.
Cosa significa questo per
Avatar: Fuoco e cenere
Quaritch e Spider si
affronteranno
Nel sequel, Spider si ricongiunge
con il padre biologico resuscitato, ma la caccia senza tregua di
Quaritch a Jake e alla sua famiglia lo mette in una posizione
complicata. Alla
fine di Avatar: La via dell’acqua, nonostante tutto ciò che
Quaritch ha fatto, Spider salva suo padre dall’annegamento.
Tuttavia, la nuova immagine suggerisce che la riunione imminente
non avrà toni felici.
CorrelatiI cattivi Na’vi di
Avatar 3 sembrano ancora più
terrificanti dopo il nuovo teaser sul ritorno di QuaritchAvatar:
Fire and Ash vedrà il debutto di una nuova tribù Na’vi spietata,
destinata a diventare ancora più pericolosa grazie all’alleanza con
Quaritch.
Nella stessa intervista, Lang ha
fatto luce su come il suo personaggio potrebbe sentirsi nei
confronti di Spider dopo la lunga separazione. Ha rivelato che il
colonnello potrebbe essere confuso su chi sia diventato Spider.
Sebbene l’amore paterno e l’ammirazione siano presenti, ha anche
avvertito che l’approfondimento del loro legame potrebbe
rivelarsi un’arma a doppio taglio.
La terza stagione di Silo
non è ancora stata pubblicata su Apple
TV+, ma ci sono già aggiornamenti sulla quarta
stagione della serie. Un mese dopo la prima della seconda stagione
di Silo sulla piattaforma di streaming, Apple ha annunciato
che la serie fantascientifica di successo è stata rinnovata per la
terza e la quarta stagione. Tuttavia, la quarta stagione di
Silo sarà l’ultima della serie, concludendo la storia
distopica basata sui romanzi di Hugh Howey. Questo potrebbe
sorprendere alcuni, considerando il grande successo ottenuto dalla
serie, soprattutto se si considera la performance della
protagonista Rebecca Ferguson nel cast di Silo. Il finale della seconda stagione di
Silo ha aperto le porte al
futuro della serie Apple TV+, con un flashback che
anticipa il disastroso evento che ha costretto le comunità a vivere
sottoterra in rifugi sotterranei. Il finale è andato in onda nel
gennaio 2025, ma a quel punto la terza stagione di Silo era già in fase di riprese, prima
di concludersi nel maggio 2025. Sembra inoltre che il cast e la
troupe non stiano perdendo tempo con l’ultima stagione della serie.
Durante un’intervista con
ScreenRant, il direttore della fotografia della
seconda stagione di Silo, Baz Irvine, ha confermato che
il team è “in procinto di iniziare” le riprese. Ecco
cosa ha detto Irvine sul lavoro alla seconda stagione e sul futuro
della serie:
No, no, la terza è appena
finita. Ma, cosa interessante, ho incontrato il regista, Michael
Dinner, con cui ho lavorato alla seconda stagione… ha deciso di
rimanere e di fare la terza e la quarta stagione, [e] stanno per
iniziare la quarta.
Quindi no, non sono tornato alla
terza stagione. La seconda stagione è stata incredibilmente lunga,
perché ero il direttore della fotografia principale, quindi sono
arrivato con 12 settimane di anticipo per preparare tutto. Ho anche
dovuto fare i conti con il COVID, lo sciopero degli attori [e] lo
sciopero degli sceneggiatori. E alla fine quello che avrebbe dovuto
essere un impegno di circa nove mesi, che era già molto lungo, è
diventato di 15 mesi.
Inoltre, gran parte del tempo è
stato trascorso in set sotterranei, impazzendo un po’ per la
mancanza di luce solare. Credo di aver avuto lo scorbuto, o una di
quelle malattie di una volta. Penso che quando fai un lavoro del
genere, devi chiederti se sei la persona giusta per portare avanti
il progetto la volta successiva. E penso che Silo sia un ottimo
esempio di serie in cui probabilmente è davvero utile avere un
nuovo punto di vista e un nuovo direttore della fotografia, proprio
per segnare la differenza e la variazione necessarie da una
stagione all’altra per far progredire una serie. Questa era la mia
logica, e inoltre volevo fare altre esperienze.
Cosa significa
l’aggiornamento sulla produzione della quarta stagione di Silo per
la serie
L’ultima stagione della
serie fantascientifica arriverà prima del previsto
Questa volta, sembra che Silo
tornerà in produzione per la quarta stagione prima ancora che la
terza stagione abbia una data di uscita su Apple TV+. Detto questo,
sulla base delle tempistiche di produzione precedenti,è
ragionevole pensare che Silo potrebbe puntare a un debutto
all’inizio del 2026. Ciò allineerebbe la serie al
periodo di post-produzione della seconda stagione, considerando che
le riprese della terza stagione sono terminate a maggio. Passare
direttamente alla quarta stagione potrebbe anche significare,
realisticamente, che l’ultima stagione di Silo potrebbe andare in
onda nella prima metà del 2027.CorrelatiTemo che Silo di Apple TV+
non riesca a coprire tutti e 3 i libri di Hugh Howey in quattro
stagioniSilo di Apple TV+ ha avuto un successo incredibile finora,
ma temo che non riesca a coprire tutti e 3 i libri di Hugh Howey
nelle 4 stagioni previste.9
Sebbene Silo abbia debuttato su
Apple TV+ nel 2023, i suoi unici ritardi sostanziali sono stati
causati da situazioni al di fuori del controllo del team creativo.
Come ha menzionato Irvine, lastagione 2 di Siloha dovuto affrontare il COVID, oltre ai ritardi nella produzione
causati dagli scioperi dei lavoratori di Hollywood nel 2023. A meno
di ritardi imprevisti nella produzione, la serie di Graham Yost
sembra essere sulla buona strada con il capitolo finale di
Silo.