Nonostante Il
sol dell’avvenire sia nelle sale italiane da
settimane, è arrivato oggi il suo grande giorno al Festival
di Cannes 76, dove Nanni Moretti ha
presentato in Concorso il suo ultimo film, apprezzatissimo in
casa.
In Italia si conosce molto bene
l’approccio ironico di Moretti alla vita e al mondo del cinema che
popola da anni, e nemmeno alla stampa estera è sfuggita la scena
del film, visibile già nel trailer, in cui il suo alter ego del
film si confronta con dei responsabili di Netflix, in una conversazione folle su sceneggiature
e tempi di coinvolgimento dello spettatore nella storia.
In occasione della conferenza
stampa si Il
sol dell’avvenire, Nanni Moretti ha
spiegato che in quell’occasione non si stava limitando a
punzecchiare specificatamente Netflix, ma stava puntando il dito
contro tutti gli streamer e contro la loro invasione del cinema.
“C’è questo fenomeno che mi crea dispiacere: un certo numero di
registi e sceneggiatori si limitano a lasciare il posto alle
piattaforme, si inchinano alle piattaforme”, ha detto Moretti.
“Per quanto mi riguarda, penso che dovremmo continuare a
sentirci coinvolti emotivamente, psicologicamente ed economicamente
vis a vis con il cinema”, ha proseguito il regista.
“Quando ho un film che mi viene
in mente; non penso al tredicenne in Pennsylvania che guarda il suo
telefono mentre prende la metropolitana”, ha detto Moretti
riguardo al suo pubblico previsto. “Quando penso di fare un
film, lo faccio per le sale cinematografiche dove gli spettatori
vengono a vedere immagini più grandi e continuo a scrivere
sceneggiature e fare film pensando alle sale
cinematografiche”.
Moretti ha affermato di aver
originariamente concepito una parte della sceneggiatura diversi
anni fa, incentrandola sempre sui moti ungheresi del 1956. “Non
siamo riusciti a scrivere la sceneggiatura, quindi ho rinunciato a
quell’idea”, ha detto. Tuttavia, quando è tornato in contatto
con lo sceneggiatore, ha cercato di esplorare la vita e tutte le
nevrosi di quel regista che invece stava girando un film sulle
vicende del ’56.
Protagonisti Nanni Moretti,
Margherita
Buy,
Silvio Orlando, Mathieu Amalric, Barbora Bobulova.
Tra i temi del film ci sono il cinema, il circo, gli anni
’50.
La casa di Carl
Fredricksen, brontolone protagonista di Up
della Pixar, è stata ricreata con oltre 68.000
mattoncini LEGO prima di prendere il volo con dei palloncini. Up è
uscito nel 2009, e racconta la storia di Carl
Fredricksen, un uomo di 78 anni che usa i palloncini per
far volare la sua casa fuori città con lo scopo di raggiungere le
Cascate Paradiso, senza accorgersi che insieme alla sua casetta
colorata, porta via anche Russell, un piccolo Esploratore della
Natura Selvaggia. Il film è stato co-diretto da Pete
Docter e Bob Peterson ed è stato un
successo di critica e pubblico, guadagnando oltre 735 milioni di
dollari in tutto il mondo e classificandosi come uno dei film Pixar
più amati.
Mentre la Disney celebra 100 anni di meraviglie, il canale
ufficiale della Casa di Topolino ha pubblicato un nuovo episodio di
Making Wonder su Youtube in cui si mostra la ricostruzione della
casa di Carl con l’incredibile cifra di 68.753 mattoncini
LEGO. Non solo, una volta ricostruita, la casa è stata
fatta anche volare con un numero spropositato di palloncini!
https://www.youtube.com/watch?v=5MwdXy72Q4c&t=3s
La Pixar è nota per i personaggi
iconici che attraversano i suoi numerosi film d’animazione
acclamati dalla critica. Che si tratti di Woody di Toy
Story, WALL-E o Mike e Sully di
Monsters and Co, lo studio di animazione ha
lasciato un segno indelebile nelle generazioni. E
Up ha continuato la tendenza, regalandoci
personaggi memorabili come Carl, Russell e Dug.
La storia del film di Barbie
è basata su un libro di successo, rivela Greta
Gerwig. Il tanto atteso film è stato scritto da
Noah Baumbach insieme a Gerwig che ha anche
diretto, reduce dai suoi successi dietro alla macchina da presa:
Lady Bird e Piccole Donne,
entrambi arrivati all’attenzione degli Oscar. A parte la Barbie di Margot Robbie e il Ken di
Ryan Gosling che lasciano Barbieland alla ricerca
della vera felicità nel mondo reale, non si sa molto altro sulla
storia del
film.
Parlando con Vogue, Greta
Gerwig ha rivelato un dettaglio significativo
sulla storia del film di Barbie. Il film è in
parte basato sul libro best seller Reviving Ophelia, che
Gerwig ha letto quando era bambina. La sceneggiatrice-regista
afferma che il libro di saggistica del 1994, che esamina il brusco
cambiamento che si verifica nelle ragazze quando passano
all’adolescenza e soccombono alle pressioni della società, ha
parzialmente ispirato l’arco narrativo del film.
Sembra che quindi il passaggio al
mondo reale della Barbie protagonista del
film sia in qualche modo una metafora dell’ingresso
nell’adolescenza, nella maturità sessuale, in un mondo nuovo che
contestualizza e destruttura la considerazione di sé nel mondo. Il
film assume dunque una luce metaforica, che già aveva, ma indirizza
meglio il faro su quello che sarà il vero centro narrativo della
storia.
Oltre a Margot Robbie e
Ryan Gosling nei panni
di Barbie e Ken ci saranno infatti anche America Ferrera, Kate McKinnon,Michael Cera, Ariana Greenblatt, Issa Rae, Rhea Perlman e
Will
Ferrell. Fanno poi parte del cast del film anche
Ana Cruz Kayne, Emma Mackey, Hari Nef, Alexandra
Shipp, Kingsley Ben-Adi, Simu Liu, Ncuti Gatwa, Scott Evans, Jamie
Demetriou, Connor Swindells, Sharon Rooney, Nicola Coughlan, Ritu
Arya e il premio Oscar Helen Mirren.
Il film, diretto da Greta Gerwig e da lei scritto
insieme a Noah Baumbach arriverà in sala dal
21 luglio.
Dopo i risultati deludenti di
Black
Adam e Shazam! La Furia
degli Dei, Warner Bros. punta tantissimo su
The
Flash, che dovrebbe segnare il definitivo punto
di svolta per il franchise DC Comics al cinema, stando almeno a
quello che ha dichiarato James
Gunn.
Oltre a sfruttare l’approvazione di
personaggi come Tom Cruise, Stephen King e persino il capo dei DC Studios
James Gunn (che insiste nel dire che questo
The
Flash è il suo film preferito del 2023), è stata presa
la decisione di presentare in anteprima un montaggio incompiuto del
film da oltre 220 milioni di dollari durante il CinemaCon di
aprile. Gli spoiler hanno subito iniziato a trovare la loro strada
online, mentre le proiezioni per i fan si stanno svolgendo a poco
meno di un mese prima dell’uscita del film nelle sale.
In un’intervista con Esquire Middle
Earth, il regista Andy Muschietti ha
lanciato una vera bomba confermando che
Nicolas Cage farò un’apparizione cameo nel film
nei panni di Superman. “Nic è stato assolutamente
meraviglioso”, dice il regista al sito. “Anche se il ruolo
era un cameo, si è tuffato in esso… Ho sognato per tutta la vita di
lavorare con lui. Spero di poter lavorare di nuovo con lui presto”.
“È un grande fan di Superman. Un fanatico dei fumetti”, ha
aggiunto Muschetti.
Nicolas Cage era originariamente stato scelto per
interpretare l’Uomo d’Acciaio nello sfortunato
Superman Lives di Tim Burton, 25 anni
fa. Il progetto è andato in pezzi per una serie di
motivi, anche se le foto di una prova costume di Nicolas
Cage in completo di tuta blu e mantello rosso circolano
ancora in rete.
In merito a come sarà effettivamente
questo cameo, pare che il personaggio verrà mostrato mentre
combatte contro il famigerato ragno gigante che una volta era uno
dei cattivi principali del film.
The Flash: la trama e il
cast del film
In The
Flashi mondi si incontreranno quando Barry
userà i suoi superpoteri per viaggiare indietro nel tempo e
cambiare gli eventi del passato. Ma quando il tentativo di salvare
la sua famiglia altera inavvertitamente il futuro, Barry rimane
intrappolato in una realtà in cui il generale Zod è tornato,
minacciando distruzione, e senza alcun Supereroe a cui rivolgersi.
L’unica speranza per Barry è riuscire a far uscire dalla pensione
un Batman decisamente diverso per salvare un kryptoniano
imprigionato…. malgrado non sia più colui che sta cercando. In
definitiva, per salvare il mondo in cui si trova e tornare al
futuro che conosce, l’unica speranza per Barry è ‘correre per la
sua vita’. Ma questo estremo sacrificio sarà sufficiente per
resettare l’universo?
Fanno parte del cast di The
Flash l’attore Ezra Miller nei panni
del protagonista, riprendendo dunque il ruolo di Barry Allen da
JusticeLeague, ma anche l’astro nascente
Sasha Calle nel ruolo
di Supergirl,
Michael Shannon (“Bullet Train”, “Batman v Superman: Dawn of Justice”),
in quelli del Generale Zod, Ron Livingston
(“Loudermilk”, “L’evocazione – The Conjuring”),
Maribel Verdú (“Elite”, “Y tu mamá también –
Anche tua madre”), Kiersey Clemons (“Zack
Snyder’s Justice League”, “Sweetheart”),
Antje Traue (“King of Ravens”, “L’uomo
d’acciaio”) e Michael Keaton (“Spider-Man: Homecoming”,
“Batman”), che torna nel costume di Batman dopo oltre 30
anni.
Una clip tratta da uno spot
televisivo internazionale di Spider-Man:
Accross the Spider-verse, sembra rivelare al pubblico,
prima dell’uscita del film, il tanto discusso cameo live-action che
vedremo in questa seconda avventura cinematografica di
Miles Morales.
I fan avevano sperato in Tom Holland, invece si tratta semplicemente
della Signora Chen, un personaggio secondario di
Venom.
In quello che sembra essere un filmato riciclato da Venom: La Furia di
Carnage, la proprietaria del negozio si trova
brevemente faccia a faccia con La Macchia, anche se chiaramente non è
impressionata dal supercriminale che salta tra le realtà
(immaginiamo perché sia avvezza a questo tipo di situazioni, data
la sua amicizia con Eddie Brock). A QUESTO LINK POTETE VEDERE LA CLIP.
Miles Morales torna nel nuovo
capitolo della saga Spider-Verse, vincitrice di un premio Oscar®,
Spider-Man: Across the Spider-Verse. Dopo essersi riunito con Gwen
Stacy, l’amichevole Spider-Man di quartiere di Brooklyn viene
catapultato nel Multiverso, dove incontra una squadra di
“Spider-Eroi” incaricata di proteggerne l’esistenza. Ma quando gli
eroi si scontrano su come affrontare una nuova minaccia, Miles si
ritrova contro gli altri “Ragni” e dovrà ridefinire cosa significa
essere un eroe per poter salvare le persone che ama di più.
Sony Pictures Animation ha
ingaggiato Joaquim Dos
Santos(Voltron: Legendary Defender, La leggenda
di Korra), il candidato all’Oscar Kemp
Powers(Soul) e Justin
K. Thompson(Piovono polpette) per
dirigere il film, utilizzando una sceneggiatura scritta
da Phil Lord e Chris
Miller (che tornano anche come produttori insieme a
Amy Pascal, Avi Arad e Christina Steinberg) in collaborazione
con David Callaham(Shang-Chi
e La Leggenda dei Dieci Anelli, Wonder Woman
1984).
Non è stato ancora confermato, ma
sia Shameik Moore che la candidata
all’Oscar Hailee
Steinfeld dovrebbe tornare a doppiare
rispettivamente Miles Morales e Gwen Stacy. Nel sequel dovrebbero
ritornare anche gran parte degli attori che hanno prestato le loro
voci nel primo film, tra cui Jake
Johnson, Brian Tyree Henry, Lily Tomlin, Luna Lauren Velez,
Zoë Kravitz, John Mulaney,
Oscar Isaac e Kimiko Glenn. La
voce del villain sarà, in originale, doppiata da Jason
Schwartzman.
Stefan Kapicic
(Colosso) ha confermato che le riprese di Deadpool 3 sono
cominciate, e anche se il protagonista Ryan Reynolds
(Wade Wilson) o dal regista Shawn Levy non hanno
ancora confermato quello che ha dichiarato l’attore, Hugh Jackman è apparso su Instagram mostrando
un look molto familiare: l’attore australiano ha sfoggiato la sua
tipica barba da Wolverine, indicandoci che anche per lui è
imminente il momento di tornare sul set e far rivivere, è il caso
di dirlo, il suo Logan.
Hugh Jackman non menziona il trequel
dell’MCU nel suo post, ma nelle ultime
settimane si era fatto crescere la barba per poi rasarsi “le
costolette di montone di Logan” (anche se non sono così definite
come lo erano nel primi film degli X-Men) in preparazione delle
riprese londinesi.
Deadpool 3: quello che sappiamo sul film
Sebbene i dettagli ufficiali della
storia di Deadpool 3 non
siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i
Marvel
Studios di unire la serie di film di Deadpool
– l’unica parte del franchise degli X-Men sopravvissuta
all’acquisizione della Fox da parte della Disney – è stabilire che
i film di Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò
preserva i film degli X-Men della Fox nel loro universo,
consentendo al contempo a Deadpool e Wolverine di tornare e
potenzialmente viaggiare nell’universo principale dell’MCU.
In attesa di ulteriori conferme,
sappiamo che Shawn Levy dirigerà Deadpool 3, mentre
Rhett Reese e Paul Wernick, che
hanno già firmato i primi due film sul Mercenario Chiacchierone,
scriveranno la sceneggiatura basandosi sui fumetti creati da
Rob Liefeld, confermandosi nella squadra creativa
del progetto, dopo che per un breve periodo erano stati sostituiti
da Lizzie Molyneux-Loeglin e Wendy
Molyneux. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, aveva precedentemente assicurato ai
fan che rimarrà un film con rating R, proprio come i primi due
film, il che lo renderebbe il primo film dello studio con tale
classificazione matura. Deadpool 3 uscirà il
8 novembre 2024.
Il film, oltre a presentare
naturalmente Ryan Reynolds
di nuovo nei panni di Deadpool, vanterà anche il tanto atteso
team-up tra l’irriverente protagonista e Wolverine, con Hugh Jackman che uscirà dal suo pensionamento
da supereroe per riprendere il suo ruolo iconico degli X-Men. Anche Emma Corrin e
Matthew Macfadyen si sono uniti al cast in ruoli ancora
non del tutto resi noti, anche se la Corrin dovrebbe interpretare
uno dei villain del film. La pellicola sarà il primo film della
serie di film di Deadpool ad essere distribuito dopo l’acquisizione
da parte della Disney della 20th Century Fox.
La scorsa settimana, alcune foto
rubate dal set di Captain America: New World Order dei Marvel Studios sembravano rivelare che Sam
Wilson (Anthony Mackie), alla sua prima “uscita
pubblica” nei panni della Sentinella della Libertà, si sarebbe
dovuto scontrare con il gruppo malvagio noto come Serpent
Society.
La superstar della WWE Seth Rollins
è stata avvistata accanto a una
donna misteriosa (che si ritiene fosse Diamondback in base al suo
abbigliamento), e ora sembra che l’identità misteriosa dell’attrice
sia stata rivelata. Secondo Murphy’s Multiverse,
Rosa Salazar (Alita: Battle Angel) apparirà nel
film nei panni di Diamondback.
Serpent Society è un gruppo di
supercriminali composto da persone con poteri “a tema” di rettili e
hanno tutti nomi di serpenti come Cobra, Anaconda, oppure
Diamondback. QUI le foto dal
set.
Julius Onah dirige Captain America: New World Order, su una
sceneggiatura di Malcolm Spellman e Dalan Musson. Il cast
comprenderà
Anthony Mackie nei panni di Sam Wilson/Captain
America, Danny Ramirez nei panni di Joaquín
Torres/Falcon, Tim Blake Nelson nei panni di
Samuel Sterns/Leader, Carl Lumbly nei panni di
Isaiah Bradley e Shira Haas nei panni di Ruth
Bat-Seraph/Sabra. L’uscita al cinema è prevista per il 3
maggio 2024.
Arriva da Deadline la conferma che la due
volte candidata ai Primetime Emmy Rhea Seehorn è
entrata a far parte del cast di Bad
Boys 4. Adil El Arbi e
Bilall Fallah tornano alla regia da
una sceneggiatura di Chris Bremner, con il
cast del terzo capitolo, Bad
Boys for Life, che torna a bordo: prima di tutto
Will Smith e Martin Lawrence e poi anche Paola
Núnez, Vanessa Hudgens e Alexander
Ludwig. Eric Dane potrebbe interpretare il villain del
nuovo film.
Jerry Bruckheimer, Will
Smith e Doug Belgrad sono tornati alla
produzione; con Martin Lawrence, James Lassiter, Chad Oman,
Mike Stenson, Barry Waldman e Jon Mone
che si occuperanno della produzione esecutiva.
Seehorn ha recitato in 61 episodi di
Better Call Saul nei panni
dell’avvocato Kim Wexler e della fidanzata di Jimmy McGill/Saul
Goodman, un ruolo che l’anno scorso ha ottenuto una nomination ai
Primetime Emmy come attrice non protagonista. Ha anche ricevuto una
nomination ai Primetime Emmy nel 2022 come miglior attrice in una
commedia o serie drammatica di breve durata per Cooper’s
Bar. Altri crediti televisivi includono
Whitney e Veep e il film Linoleum
con Jim Gaffigan.
Da oggi, solo al cinema, arriva
Renfield,
il nuovo film con
Nicolas Cage, nei panni di Dracula, e
Nicholas Hoult, in quelli del suo servo fidato, in cui
si immagina un’altra storia per il personaggio del titolo, nato
dalla penna di Bram Stoker.
Il male non sarebbe eterno senza un
piccolo aiuto. In questa mostruosa avventura moderna del fedele
servitore di Dracula, il candidato all’Emmy Nicholas Hoult (Mad
Max: Fury Road, la saga di X-Men) interpreta Renfield, il
tormentato aiutante del boss più narcisista della storia, Dracula
(il premio Oscar® Nicolas Cage). Renfield è costretto a procurare
le vittime del suo padrone ed a eseguire ogni suo ordine, per
quanto spregevole. Ma ora, dopo secoli di servitù, Renfield è
pronto a scoprire se c’è una vita al di fuori dell’ombra del
Principe delle Tenebre. Se solo riuscisse a capire come porre fine
alla sua codipendenza.
Renfield è diretto dal vincitore
dell’Emmy Chris McKay (La guerra di domani, LEGO Batman – Il film)
da una sceneggiatura di Ryan Ridley (la serie di Ghosted, la serie
di Rick & Morty), basata su un’idea originale di Robert Kirkman,
creatore di The Walking Dead e di Invincible.
Il film è interpretato dalla
vincitrice del Golden Globe Awkwafina (The Farewell – Una bugia
buona, Shang-Chi e la leggenda
dei Dieci Anelli), dalla vincitrice dell’Emmy e candidata al
premio Oscar® Shohreh Aghdashloo (Casa Saddam, La Casa di Sabbia e
Nebbia), Ben Schwartz (Sonic, The Afterparty) e Adrian Martinez (I
sogni segreti di Walter Mitty, Focus – Niente è come
sembra).
Renfield è una produzione
Skybound/Giant Wildcat, prodotto da Chris McKay, Samantha Nisenboim
(co-produttrice, La guerra di domani), Bryan Furst (Daybreakers –
L’ultimo vampiro), Sean Furst (Daybreakers – L’ultimo vampiro)
Robert Kirkman e David Alpert (The Walking Dead). Il produttore
esecutivo è Todd Lewis (manager dell’unità di produzione, Jason
Bourne).
Dopo aver presentato in concorso al
Festival
di Cannes 2021 Parigi, tutto in una notte,
Catherine Corsini torna in competizione alla
Croisette con Le Retour (2023), un viaggio emotivo
nel passato e nella ricerca di identità di due ragazze,
Jessica e Farah che, assieme alla
madre Khédidja, fanno ritorno in Corsica quindici
anni dopo aver lasciato il loro paese natale. Il film si addentra
nella complessità di questa esperienza di trasferimento, rivelando
segreti familiari e tensioni sociali tra mondi diversi, compreso il
razzismo con cui si troveranno a fare i conti.
La trama: ritorno in Corsica
Nella trama del film di Corsini in
concorso a
Cannes 76, Khédidja, tata di professione, è
stata invitata in Corsica da una famiglia benestante per occuparsi
dei loro figli piccoli in vacanza. Le sue due figlie la raggiungono
per l’estate: sono Jessica (Suzy
Bemba), 18 anni, studiosa e distante, e
Farah (Esther Gohourou), 15 anni,
che si sente poco apprezzata e vive nel caos. Il viaggio è
movimentato: le ragazze sono nate in Corsica, ma non hanno alcun
ricordo del luogo, a parte la consapevolezza che il padre è morto
lì. Khédidja nasconde informazioni sul loro passato, cosa che
Jessica e Farah non sopportano.
Nonostante ciò, almeno inizialmente,
tutto sembra rispettare i requisiti del meraviglioso viaggio estivo
per le sorelle che, tra giornate passate in spiaggia e nella
piscina a casa dei proprietari, non si sono mai sentite così
libere. Farah, un vero e proprio peperino, riesce
a mettersi nei guai con un gruppetto di ragazzi bianchi “boss”
della spiaggia, mentre Jessica inizia a provare sentimenti inediti
per Gaia (Lomane de Dietrich), la
figlia coetanea dei suoi datori di lavoro, un’adolescente
ribelle.
Dell’ultimo film della
Corsini se ne è parlato già prima della sua
presentazione al Festival e non per le migliori ragioni: sono state
avanzate denunce per le cattive condizioni di lavoro sul set, a cui
si è aggiunto il ritiro dell’investimento statale da parte del
Centre national du cinéma et de l’image animée perché la
casa di produzione ha dimenticato di dichiarare una scena di sesso
tra minori. All’indomani della prima sulla Croisette, la
Corsini ha poi spiegato che nel realizzare questo
film, la cui storia ha un legame particolare con il proprio passato
familiare, forse l’orgoglio le ha giocato un brutto scherzo ed è
stata troppo “pretenziosa”, pensando di potersi sostituire alla
figura di un coordinatore dell’intimità sul set di Le
Retour.
Formarsi nella terra del
passato
Corsini usa il
pretesto del ritorno di una madre e le due figlie al paese natale
per instaurare un dialogo col pubblico su come le differenze di
classe e di etnia determinino il destino di una famiglia e pone
l’attenzione sulla necessità di riconciliarsi con il presente per
proiettarsi in un futuro migliore. Si immerge nelle vite di questi
giovani e nelle loro ricerche in tempi di crisi, esplorando come
queste circostanze possano sia distruggere che dare vita alla loro
creatività. La narrazione offre uno sguardo autentico e onesto
sulla vita degli adolescenti in tempi di cambiamento e di scoperta,
avvalendosi di un realismo documentaristico notevole.
Le idee visive non mancano a
Catherine Corsini, che sa bene come entrare nella
testa di due adolescenti, tuttavia, la maggior parte delle
situazioni conflittuali in cui si trovano le due ragazze, quelle
che effettivamente contraddistinguono i racconti di formazione e su
cui sarebbe stato ottimo investire narrativamente, sono concentrate
più che altro nella seconda parte della storia e rischiano di
perdere credibilità. Un ammasso di problematiche, atti di
ribellione che cercano di arrivare a un climax non fanno che
lasciare lo spettatore ancora più confuso sulle vere intenzioni
della Corsini. Probabilmente, Le Retour funziona
più come opera personale, un racconto che la regista francese ha
imbastito per riconciliarsi con le sue origini e una terra con cui
ha sempre avuto un rapporto turbolento per sua stessa ammissione.
Come storia di formazione, coming of age che dovrebbe sfruttare la
presenza di queste ragazze in una terra a loro fondamentalmente
estranea ma che è parte integrante delle loro radici, risulta
incompleta.
Le vite di Luca (Riccardo
Maria Manera) e Giulia (Jenny
De Nucci) erano destinate a incrociarsi.
Massimo Cappelli dirige Prima di andare
via, questo dramma adolescenziale che ricorda Colpa
delle stelle o Io prima di te per l’importanza dei temi
trattati. I due giovani protagonisti sembrano legati da un destino
inesorabile: un tumore inoperabile che ha devastato le loro vite a
soli vent’anni. Ci sono diversi modi per reagire al dolore e
all’interno del film la vivacità e la positività di
Giulia trova l’abbraccio del tenebroso
Luca, che inaspettatamente si ritrova a dover
cambiare prospettiva.
Ad aiutarli, Samuel (interpretato da
Emanuele Turetta) il goffo e strampalato
coinquilino di Luca con cui condivide la sua vita da studente fuori
sede. Entrambi i ragazzi fanno di tutto per arrivare a fine mese:
Luca si arrangia con le consegne a domicilio e
proprio durante una di queste consegne rivede la sua ex fidanzata
storica, Sofia. Di ritorno alla pizzeria,
sovrappensiero il ragazzo ha un’incidente e viene portato in
ospedale. Così ha inizio Prima di andare via, il
nuovo film Prime Video originale italiano con Jenny De Nucci e Riccardo Maria Manera che
sarà disponibile in piattaforma dal 26 maggio.
Prima di andare via, la trama
L’incidente di Luca
darà il via a una serie di eventi che riassunti in un’ora e mezza
di film sembrano trattati in maniera quasi
precipitosa. Al ragazzo viene diagnosticato un
tumore inoperabile e fuori dall’ospedale conosce
Giulia, anche lei con la stessa diagnosi. Il
personaggio interpretato da Jenny De Nucci cerca di conferire positività e
allegria, la vediamo mentre durante il gruppo di ascolto cerca di
far imparare agli altri un balletto su TikTok ma nasconde comunque
delle paure. Luca è un ragazzo che la vita, un po’, la subisce. Ha
un migliore amico da tenere sotto controllo, un esame difficile da
superare e un’ex ragazza che gioca con lui come il gatto col topo.
Quando scopre di avere il tumore e conosce Giulia la sua vita
cambia prospettiva.
Tutti i problemi che nei primi
minuti sembrano insormontabili come l’affitto, gli esami
universitari e l’ex ragazza sono diventano minuscoli in confronto a
quello che gli sta capitando. Nel film questa spensieratezza che
emana Giulia arriva dritta allo spettatore che
anche se per poco smette di pensare per un attimo al dolore dietro
la malattia e alla retorica della lotta contro un male incurabile.
Luca e Giulia sono due ragazzi, due adulti che si
stanno conoscendo. Hanno degli appuntamenti fuori
dall’ordinario, e lì dove Luca vuole solo bere una birra
cercando goffamente di sorprenderla, lei invece organizza cene a
lume di candela super romantiche.
Un palloncino
Il racconto di Prima di
andare via corre spedito verso la fine e nasconde una
verità dolceamara. Si scopre presto che in realtà la diagnosi di
Luca deriva da un errore medico: sono state
scambiate le cartelle con un omonimo. Questo Luca non lo sa, è un
segreto che solo Samuel e lo spettatore conoscono.
Il coinquilino ha preferito tenere per sé questa notizia “l’ho
fatto per te”, gli dirà, perché vede nell’amico un modo diverso di
affrontare la vita. Solo quando la situazione di
Giuliacambia e peggiora, i due
conosceranno la verità. Così da complici, amici, confidenti Giulia
e Luca diventano praticamente estranei. Luca cambia casa dopo aver
litigato con Samuel e torna alla sua vita che,
senza Giulia, perde vitalità. Il film rincorre sé stesso perché
dopo poco il personaggio di Jenny De Nucci muore e senza di lei il film
cambia tono.
Solo durante il funerale ci rendiamo
conto dell’eredità lasciata da Giulia alle persone
a lei più care. In particolare, ai membri del gruppo di ascolto che
ha stimolato a reagire alla malattia piuttosto che subirla. Loro la
omaggiano sulle note di Amore disperato con la
coreografia che la ragazza stava preparando. Un simbolo del film è
il palloncino che vola attraverso l’opera di
Bansky e assume un significato di liberazione per
Giulia. Luca ricorderà per sempre il palloncino e alla fine del
film, dopo il funerale, quando ne vede uno volare ha consapevolezza
del fatto che la presenza di Giulia vivrà per
sempre nei suoi ricordi.
Tra gli eventi più affascinanti da
vedere al cinema vi è senza ombra di dubbio l’Apocalisse. I film
dedicati a tale catastrofe hanno sempre catturato l’attenzione del
pubblico, a cui viene data l’occasione di vedere qualcosa a cui si
spera di non dover mai essere diretti testimoni nella realtà. La
fantascienza apocalittica è dunque un sottogenere particolarmente
ricco, comprendente titoli come Meteor, 2012, The Day After Tomorrow e
Segnali dal futuro. Un
altro titolo particolarmente celebre e apprezzato dai fan del
genere è Deep Impact, diretto nel 1998
dalla regista Mimi Leder, già autrice di The Peacemaker e
The Code.
Originariamente il film doveva
essere diretto dal premio Oscar Steven Spielberg, ma i suoi impegni
con il film Amistad gli hanno impedito di ricoprire tale
ruolo, limitandosi dunque ad essere produttore di Deep
Impact. Nello stesso anno di uscita di questo film è poi stato
realizzato anche un altro titolo pressocché identico nelle premesse
narattive, ovvero Armageddon – Giudizio finale. Pur se
quest’ultimo ottenne incassi maggiori, fu però Deep Impact
ad ottenere il favore della critica, la quale lo indica come un
film meno sensazionalistico e come il più scientificamente accurato
tra i due.
Deep Impact rimane dunque
un film ideale per ogni amante di questo genere di racconti, che
offrono tensione, emozioni e grande intrattenimento, merito tanto
degli effetti speciali quanto delle interpretazioni dei
protagonisti. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Deep Impact: la trama del film
Tutto ha inizio quando Leo
Beiderman, un adolescente che ama l’astronomia, scopre uno
corpo celeste mentre sta guardando il cielo col telescopio. Quando
il ragazzino avvisa il suo insegnante, l’uomo decide di informare
immediatamente l’astronomo Marcus Wolf, che
capisce si tratti di una cometa in rotta di collisione con la
Terra. Mentre corre per avvisare le autorità, tuttavia, muore in un
tragico incidente d’auto, senza riuscire a informare nessuno,
lasciando di fatto cadere nell’oblio la scoperta. Dopo un anno, il
mondo viene infine a sapere che una cometa si sta dirigendo verso
la Terra e che lo schianto provocherà terribili conseguenze per gli
esseri umani.
Da subito le massime istituzioni del
globo si mobilitano per cercare di distruggere l’asteroide ed
evitare la distruzione del pianeta terra. Si progetta dunque di
costruire un vettore in grado di atterrare sulla cometa, facendola
poi esplodere. Nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti
Tom Beck annuncia la costruzione di bunker
sotterranei, che possono ospitare però solo un milione di persone.
Diretti verso di esso ci sono il giovane Leo e la sua famiglia, ma
anche la giornalista Jenny Lerner. Mentre
l’impatto è sempre più prossimo, i destini di tutti si
incroceranno, in quelle che potrebbero essere le ultime ore
dell’umanità.
Deep Impact: il cast del
film
Ad interpretare il giovane Leo, uno
dei protagonisti del film, vi è l’attore Elijah Wood,
qui in uno dei suoi ruoli di maggior rilievo prima di consacrarsi
con la trilogia di Il Signore degli Anelli. L’attrice
Téa Leoni, nota
anche per Jurassic Park III e la serie Madam
Secretary, interpreta invece la giornalista Jenny Lerner,
impegnata a gestire il rapporto con i genitori Robin e Jason,
interpretati da Vanessa
Redgrave e Maximillian Schell. Altro
grande protagonista del film è il premio Oscar
RobertDuvall, qui nel ruolo del
capitano Spurgeon Tanner, un astronauta veterano incaricato di
pilotare il vettore incaricato di distruggere l’asteroide.
Morgan Freeman
è invece il presidente degli Stati Uniti Tom Beck. Per interpretare
il personaggio, l’attore chiese di poter sfoggiare un orecchino. La
regista fu però contraria alla cosa, ma permise invece di far
intravedere uno dei tatuaggi che l’attore ha sul braccio. Un
dettaglio che, a sua detta, gli conferisce un aspetto da uomo
qualunque. Sono poi presenti anche gli attori James
Cromwell nei panni del Segretario del Tesoro Alan
Rittenhouse, Jon Favreau in
quelli del dottor Gus Partenza e Ron Eldard in
quelli di Oren Monash, comandante del vettore.
Deep Impact: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Deep Impact grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
mercoledì 24 maggio alle ore
21:00 sul canale Iris.
Finalmente una serie comica capace
di allietare, far sorridere delle piccole disavventure che ognuno
di noi affronta nella propria quotidianità. I creatori Nick
Stoller e Francesca Delbanco hanno saputo
carpire il cuore di ciò che significa essere persone comuni e lo
hanno inserito in situazioni e personaggi che, esaltando la loro
assoluta normalità, si fanno paladini spiritosi delle frustrazioni
dell’uomo e donna contemporanei.
La storia su cui si dipana
Platonic non potrebbe essere più
semplice: un tempo migliori amici, Sylvia (Rose Byrne) e Will (Seth Rogen)
decidono di incontrarsi anni dopo una lite che li ha tenuti lontani
l’una dall’altro. E in questo modo scoprono quanto sono in realtà
cambiati dai tempi del college e delle scorribande goliardiche di
cui erano protagonisti: lei è una madre di famiglia che ha
rinunciato alla carriera avvocatizia per accudire i tre figli,
mentre lui ha appena divorziato e gestisce un bar nella paura
costante di crescere.
Saper raccontare i problemi della vita quotidiana
Platonic propone una gamma
ampia ed esaustiva di quelli che sono i problemi della vita
quotidiana, e lo fa con un’ironia tanto precisa quanto ficcante.
Fin dall’episodio pilota – che scriviamolo subito, non è neppure
lontanamente il migliore di quelli proposti dalla stagione –
entriamo dentro l’universo di due personaggi che potrebbero essere
tranquillamente i nostri vicini di casa, tanto amabili quanto
lontani anni luce da alcun tipo di “caratterizzazione” volta a
renderli drammaticamente interessanti. Perché allora
Platonic funziona così bene? Perché sa esattamente cosa
vuole raccontare e come farlo nella maniera giusta: la verità e
l’attenzione al lato assurdo delle situazioni in cui ognuno di noi
potrebbe trovarsi in un giorno qualunque sono sviluppate con
perizia, puntata dopo puntata, immergendo lo spettatore dentro un
mondo tanto comprensibile quanto realmente divertente.
Platonic e il valore dei suoi interpreti
E qui il merito principale della
riuscita dello show deve essere attribuito ai due attori
principali, in particolar modo alla Byrne. Se infatti Seth
Rogen dimostra di essere maturato come attore continuando
esplicitamente a interpretare il “tipo fisso” che propina al
pubblico ormai da decenni – dimostrandolo anche nel recente
The Fabelmans di
Steven
Spielberg – Rose Byrne conferma
definitivamente, se ce fosse stato ancora il bisogno, di essere
un’attrice in grado di saper indossare la leggerezza delle proprie
figure femminili con una precisione emotiva ammirevole.
La sua Sylvia diventa in questo modo
una figura a tutto tondo, intendendo con questo amabile non
soltanto per i suoi numerosi pregi ma anche, anzi forse
soprattutto, per i piccoli difetti, le dolci e umanissime
scorciatoie che prende come donna che deve fare i conti con le
proprie piccole insoddisfazioni, tenendole a bada per il bene
comune. La sua capacità di essere vera eppure sempre divertente,
guizzante, in qualche caso ruvida al limite dell’isteria, ha ormai
raggiunto un livello di competenza attoriale che a nostro avviso
poche colleghe posseggono oggi quando si tratta di commedia. È
senza dubbio lei il valore aggiunto di uno show comunque molto
efficace nel suo studio di caratteri e situazioni.
Se volete trascorrere una mezz’ora
insieme a personaggi con cui potete specchiarvi, alle prese con
problemi che potrebbero senza dubbio appartenervi, Platonic merita
di essere abbracciata e coccolata. Per la sua semplicità, per la
sua volontà di stuzzicare e magari anche far riflettere sui
percorsi inaspettati, sui piccoli scarti di rotta che in fin dei
conti possono decidere la vita di una persona almeno quanto le
grandi decisioni. Si ride, si partecipa con affetto alle
vicissitudini di questi due anti-eroi nel senso più profondo del
termine. Non c’è proprio nulla di eroico in Sylvia e Will. E
proprio per questo possiamo davvero rivederci in loro…
Per qualcuno il suo
ultimo The French Dispatch è stato il film più
emozionante del Festival
di Cannes del 2021, e il più deludente, e a distanza
di due anni il nuovo film di
Wes Anderson sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda. Di
nuovo sulla Croisette per Asteroid City, di nuovo in
concorso per la Palma d’Oro con un affresco dei suoi, costruito su
diversi livelli e sceneggiato insieme a Roman
Coppola, ma soprattutto nel quale – con Jason
Schwartzman e
Scarlett Johansson (la cui “breve nudità” ha causato
problemi con la censura) – appaiono in ruoli diversissimi tra loro
Tom Hanks,
Jeffrey Wright,
Tilda Swinton,
Bryan Cranston,
Adrien Brody,
Margot Robbie e
Steve Carell.
Benvenuti ad Asteroid City
Nulla è reale ad
Asteroid City, come vediamo sin dalla prima scena,
nella quale un autore (Edward
Norton) sta scrivendo la storia di una occasionale e
variegata comunità, raccolta nel deserto del SouthWest statunitense
– forse tra Arizona e Nevada – per il raduno di “giovani astronomi
e cadetti spaziali” che riunisce studenti dotati e i loro genitori
in una località caratterizzata dalla caduta di un piccolo meteorite
ormai circa 3.000 anni prima.
L’ambientazione e –
soprattutto – gli eventi eccezionali che vi si svolgono e che
vediamo mentre vengono letteralmente messi in scena sono quelli
della fantascienza di una volta, ma le relazioni che si
stabiliscono tra gli 87 abitanti e i suddetti visitatori sono
quanto di più umano ci sia. E di coerente con i precedenti del
regista, tra militari pomposi, scienziati alienati, attori famosi e
meno famosi, cantanti country e famiglie disfunzionali di ogni
tipo.
Wes Anderson sci-fi
contro l’Intelligenza Artificiale
Non è detto che
Wes Anderson apprezzerebbe di veder definito il
suo film“delizioso”, come in molti hanno fatto. Soprattutto dopo
tanti precedenti nei quali però il gusto estetico e il talento
decorativo del regista texano erano sicuramente più funzionali alla
storia narrata. Che qui, al contrario, e come nel precedente
The French Dispatch, sembra più
finalizzata a permettergli di sfogare il suo estro e regalare al
suo pubblico più appassionato quei ‘dettagli’ che tanto ce lo hanno
fatto amare.
Nei tableaux che compone
ognuno può trovare quel che vuole, da Billy Wilder
a Steven Spielberg, dalle tragedie
esistenziali e familiari di frontiera ai B-movie di fantascienza
anni 50, con i quali il film ha in
comune un narratore (Bryan
Cranston) da dramma radiofonico. Tra set televisivo e
teatro, dal bianco e nero alla solita palette di colori caldi e
pastello, il fine settimana intorno al cratere nel deserto si
sviluppa gradualmente, come gli intrecci tra i suoi
protagonisti.
Su tutti il vedovo
fotografo di guerra Augie Steenbeck (Jason
Schwartzman), diviso tra figli, suocero (Tom
Hanks) e la star Midge Campbell (Scarlett
Johansson), fotografata in bagno in pose che vanno
dalle Pin Up dell’epoca al Marat di Jacques-Louis
David. Grandi nomi, che difficilmente potranno ambire a
una nomination agli Oscar per la mancanza della possibilità di
offrire una vera interpretazione, a differenza di quanto accaduto
in passato per le candidature raccolte dai suoi film – non a caso
per animazione, colonna sonora e sceneggiatura – o i premi andati
ai costumi, la scenografia e il trucco ottenuti di Grand Budapest Hotel nel 2012.
Nella vita, “non puoi
sapere cosa succederà”
Ma non importa. Come dice
Bryan Cranston è come nella vita, “non puoi sapere
cosa succederà, quanto durerà o chi incontrerai, devi solo andare
avanti”. E, incurante di renderla comprensibile,
Wes continua a raccontare la storia che ha dovuto
girare approfittando persino della pandemia e della vera quarantena
che stavamo vivendo nel mondo reale, prima che in quello
rappresentato sullo schermo. Nel quale tutto viene sublimato, non è
una novità, ma dove le cose spesso assumono contorni e significati
diversi, o addirittura mai sottesi al significante.
Ma non importa nemmeno
questo, dove sia il confine – o dove lo si superi – tra la
creazione originale dell’artista o quella rielaborata dallo
spettatore. Tanto più in una pièce così strutturata, che cambia
continuamente di piano – dalla Asteroid City
rappresentata al backstage dove i suoi interpreti tornano attori
(che interpretano attori) – in un gioco di scatole cinesi. In
ciascuna delle quali c’è un pezzetto del cuore del regista, una sua
paura, un trauma irrisolto, o trasformato in topos.
Meno slegato e
inutilmente denso dell’ultimo, con qualche – apprezzatissimo –
inserto animato, ovviamente nella stop motion più artigianale
possibile, qui l’unità di luogo aiuta sicuramente a non perdersi
tra tante divagazioni e intermezzi. Forse non del tutto
giustificate o necessarie, per una volta. Una volta di più,
purtroppo, ché l’analisi del mondo del teatro e della televisione,
dopo quello del giornalismo di The French Dispatch, offre sì uno
smascheramento della realtà, ma fa sentire la mancanza di storie
tanto articolate quanto riuscite, nelle quali l’accumulo di
situazioni, battute, fotografie, personaggi, rendesse la sensazione
di un
film e non di una striscia domenicale.
Dal 18 al 22 maggio, al
Lingotto Fiere di Torino, tanti sono stati gli
ospiti che hanno attraversato lo specchio al Salone
Internazionale del Libro 2023. Fra questi, Valerio Mastandrea e Alessandro
Borghi, che nella Sala Azzurra al Padiglione 3,
moderati da Francesca Serafini, hanno incontrato
il pubblico per parlare di Claudio Caligari, in un
bell’omaggio al maestro e al modo di fare cinema.
Per l’occasione i due attori hanno ripercorso alcune tappe salienti
della loro carriera, regalando aneddoti e momenti toccanti. Del
regista, scomparso per una malattia nel 2015,
Valerio Mastandrea ricorda subito L’odore
della notte del 1998, film facente parte di una
trilogia apertasi con Amore tossico e conclusasi con
Non essere cattivo, ultimo lavoro di Caligari
prima di morire.
Il primo a prendere la parola, con
la sua ironia, è proprio Mastandrea che in L’odore
della notte interpreta Remo, il protagonista: “Io
ho fatto Remo solo alla fine”, inizia, “ero stato chiamato
per interpretare uno dei compagni del protagonista, tutt’altro
personaggio, e ho conosciuto Claudio in quella occasione. Non lo
avevo mai visto per intero, quindi quando l’ho incontrato pensavo
fosse uno di Ostia e invece mi sono ritrovato davanti un uomo di
Arona. E ho detto: Oh cavolo! Era la seconda volta che mi capitava
perché avevo visto un altro film, Un’altra vita, di un altro grande
maestro, Carlo Mazzacurati, ambientato in una Roma che soltanto un
romano poteva conoscere, e quando scoprii che era di Padova mi
prese un colpo.“
“Eppure in queste occasioni
capii una cosa importante: come il cinema poteva essere
strumento per conoscere le cose, raccontarle anche
non essendoci natodentro.”,
prosegue l’attore, “Questo
è un grande insegnamento: bisogna immergersi tanto prima di poter
raccontare qualsiasi cosa. Tornando al film di Caligari, a venti
giorni dalle riprese venni richiamato ed esaminato, e alla fine lui
mi voleva chiedere se volevo fare Remo, il protagonista. Ci volevo
pensare perché la proposta mi aveva emozionato. Alla fine ho
accettato e da lì in poi con Claudio è nato un sodalizio così, come
nascono le amicizie tra coetanei, che non sai quando ti sei
conosciuto, perché ti sembra che nella tua vita avete sempre
camminato insieme. E secondo me quelli sono gli amici con cui
riesci a camminare nel presente.”
Claudio Caligari, il suo cinema con
Alessandro Borghi e Luca Marinelli
Mastandrea, che con Claudio
Caligari ha instaurato un rapporto di amicizia, è stato
poi produttore della sua ultima opera, Non essere cattivo, diventato un cult.
Proprio come ricorda Serafini, Caligari apprezzava molto Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che nel film interpretano
rispettivamente Vittorio e Cesare. Ed è proprio il
primo a ricordare commosso il suo maestro, che come conferma lo
stesso Borghi è stato fra quelli che più gli hanno insegnato la
materia cinematografica. “Io sono stato molto travolto
dall’aver conosciuto Claudio Caligari. Mi ha dato tanti
insegnamenti senza rendersene neanche conto, e questa è una cosa
molto bella. Era sempre uno scambio continuo di qualcosa
che aveva a che fare con il racconto, con la grande
passione di raccontare una storia.”
“La prima cosa che ho imparato
era la necessità di raccontare delle storie, a prescindere da
tutto, al di fuori della dinamica del commercio, dei soldi, del tax
credit. Io ho fatto dieci anni di televisione brutta e non mi
rendeva felice. Facevo delle cose che quando le riguardavo mi
vergognavo e non mi facevano stare bene. Poi ad un certo punto sono
arrivati prima Stefano Sollima che mi ha fatto fare Suburra e
subito dopo il film di Claudio Caligari, Non essere cattivo, una
svolta. Ogni volta che ho un nuovo progetto, penso sempre a quello
che mi ha insegnato, e lo applico. Io ho un prima e un dopo
Claudio”, come “esiste un prima e un dopo Cristo”,
gli fa eco il collega accanto.
Mastandrea ricorda anche le parole
di Fabrizio Gifuni ai David di Donatello 2023, in memoria di
Caligari e del suo saper “stare dentro le storie”:
“Per lui doveva essere tutto credibile. Doveva filtrarlo prima
lui, verificarne la credibilità.” Subito dopo, per rafforzare
le parole del collega Borghi, è stato mostrato un video-saluto di
Luca Marinelli, il quale ha omaggiato il regista con un aneddoto
divertente ma profondo: “Un giorno, in una scena di Non essere
cattivo, andai da Claudio preso da un dubbio sull’atteggiamento del
mio personaggio (Cesare ndr). Arrivai da lui spiegandogli
le sensazioni che secondo me il personaggio sentiva e tutti i
ragionamenti che faceva nei confronti della madre. Ad un certo
punto lo guardo, lui mi guarda e mi dice: se Cesare ragionasse così
sarebbe un idiota.”
“All’inizio pensavo si riferisse
proprio a me, ma poi lui mi disse che non dovevo mai giudicare il
personaggio che stavo interpretando, perché lui è un pianeta che fa
parte di un sistema e sicuramente vuole entrare in comunicazione
con un altro pianeta in orbita (che sono gli altri personaggi,
in questo caso la madre di Cesare ndr). Questo mi aiutò molto e
fu una grande lezione di cinema, molto diretta. E poi, se Valerio
Mastandrea, Alessandro Borghi e io siamo diventati una grande
famiglia è proprio grazie a Claudio.”
Inevitabile, verso la fine, il
pensiero a Le otto montagne, film di Felix Van Groeningen e
Charlotte Vandermeersch, che ai David di Donatello 2023 si è
portato a casa quattro premi, fra cui quello a Miglior film, oltre
a vincere l’anno prima il Premio della giuria al Festival di
Cannes. In realtà, Le otto montagne è debitore a
Non essere cattivo di Caligari per il rapporto
d’amicizia che si è creato fra i due protagonisti. “Ho
ragionato molto su questa cosa mentre stavamo facendo il film
(Le otto montagne ndr).”, ha detto Borghi, “Lì (in Non
essere cattivo ndr), Luca ed io ci siamo uniti, siamo
diventati fratelli, e la cosa è rimasta immutata nel tempo. Però
poi è successa una cosa molto bella: su quelle montagne è come se
avessimo riscoperto la nostra capacità di essere amici. Fino a che
punto riuscivamo ad esserlo stando da soli a fare una pausa pranzo
in mezzo a un prato. Abbiamo messo a disposizione dei personaggi la
nostra amicizia e sarebbe stato stupido non farlo. Abbiamo parlato
molto del fatto che Pietro e Bruno sono come noi, lontani, se si
considera che io vivo a Roma e lui a Berlino e che, come me e Luca,
si vedono una volta l’anno e che hanno, sempre come noi, due
visioni completamente diverse della vita.”
“Queste differenze enormi ci
hanno uniti, e io non riuscirei ad immaginare più la mia vita senza
Luca, professionalmente e umanamente. L’altro giorno ho fatto
incorniciare una foto emblematica, io, Luca Marinelli e Valerio
Mastandrea seduti su un divano a Los Angeles, per promuovere Non
essere cattivo di Claudio Caligari, e quando la guardo è
incredibile come lì ci siano tre universi diversi, e come questi
tre universi riescano ad essere uno soltanto, più
grande, quando sono insieme. Ed è la bellezza dell’unione di questo
lavoro ma anche dell’amicizia nella sua essenza. Di essere liberi
di parlarsi apertamente e dirsi quando le cose vanno bene o male e
nell’applicazione del lavoro, prendere tutti quegli elementi e
poterli mischiare e mixare, per metterli a disposizione di un’altra
storia, è un grande regalo.”
Con una sferzata di comicità
inquietante, interrogandosi sui ruoli e gli spazi che occupiamo
nella vita, arriva in concorso al Festival
di Cannes 2023May December, il nuovo
film di Todd Haynes (Io non sono
qui, Carol), con protagoniste Natalie Portman, Julianne Moore e la star di RiverdaleCharles Melton. Nel film, vent’anni dopo che
la loro famigerata storia d’amore sui giornali scandalistici aveva
attanagliato la nazione, la coppia con una grande differenza d’età
formata da Joe e Gracie (Melton
e Moore) inizia a vacillare quando un’attrice,
Elizabeth (Portman),
trascorre un periodo a casa loro per prepararsi al suo prossimo
film, in cui interpreterà proprio Gracie.
May December: amore suburbano
In May December,
Julianne Moore si riunisce con
Haynes per interpretare Gracie
Atherton-Yoo, un’ex insegnante svampita che è diventata
famosa nel 1992 quando ha lasciato l’ex marito per uno dei suoi
studenti tredicenni. Ora siamo nel 2015, la situazione si è in
qualche modo normalizzata, e Gracie e
Joe stanno insieme da abbastanza tempo che i loro
figli più piccoli stanno per diplomarsi. Nella villa in riva al
mare di Savannah, che Gracie e Joe hanno pagato con le loro
apparizioni nel reality show “Inside Edition“, arrivano
ancora occasionalmente pacchi pieni di escrementi, ma queste
consegne – “regali” di estranei casuali che non riescono a digerire
la storia d’amore della coppia – sono diventate meno comuni ora che
la loro storia d’amore scandalosa si è stabilizzata nella realtà
suburbana. O almeno così sembra.
Ma il passato non è ancora pronto a
mollare la presa su questi folli ragazzi e Gracie
non ha il buon senso di tenerlo a distanza di sicurezza. Nonostante
il suo scetticismo nei confronti delle celebrità, Gracie decide di
stendere il tappeto di benvenuto all’attrice televisiva
Elizabeth Berry, interpretata da Natalie Portman. Elizabeth ha la stessa età di
Gracie quando ha fatto sesso con Joe per la prima volta nel retro
di un negozio di animali – un ricordo che è diventato di dominio
pubblico – ed è destinata a interpretarla in un prossimo film
indipendente sullo scandalo.
Percezioni doppie e distorte
In May December, lo
studio dei doppi significa mettere letteralmente in scena un film
nel film per caratterizzare i suoi personaggi: solo analizzando a
fondo le parvenze di chi ci sta accanto, i loro modi di fare,
provando a ricalcarli e a capire che ruolo giocano nella nostra
esistenza, riusciamo ad addentrarci nella psicologia di
Joe, Gracie ed
Elizabeth. Come per un’attrice che si è calata
troppo nel personaggio, uscire dalla bolla domestica di Joe e
Gracie non sarà facile, e neanche riuscire a stabilire
effettivamente con certezza cosa ci stanno raccontando di vero e
quanto alcune informazioni che stiamo collezionando siano falsate
dalla percezione distorta che vogliono avere della realtà.
Tutto nella relazione e nella
quotidianità di questa improbabile coppia è ribaltato: valori,
ruoli, vita di coppia. Joe è un ragazzo cresciuto
troppo in fretta, con non troppa differenza di età rispetto ai suoi
figli, ma che deve prendersi cura della personalità fragile di
Gracie e, dunque, adempiere a molti più compiti e ruoli:
contemporaneamente è marito, padre e amico. Il personaggio della
Moore, dall’altro lato, ha fermato l’attimo
nel momento in cui ha conosciuto Joe: ha disintegrato il suo
precedente matrimonio per un ragazzino che allora andava alle medie
e, senza pensare a conseguenza alcuna, ha deciso di rifondare una
propria idea di nucleo famigliare. Gracie pensa
che riempiendosi la casa di gente, affetti, cimeli e futili ricette
di torte e pasticceria varia che i suoi vicini le commissionano per
pietà, possa colmare il vuoto che una relazione così sproporzionata
sotto ogni punto di vista ha lasciato in lei. In realtà,
mentalmente è regredita a uno stato pressochè adolescenziale e vede
in Joe un principe salvatore, solerte nel proteggere
contemporaneamente lei e tutta la famiglia allargata che si porta
dietro.
Un case study tra realtà e
finzione
L’Elizabeth di
Natalie Portman è il jolly che corrisponde al
punto di vista spettatoriale in May December e che
tenta di discernere il vero dal falso, ciò che è successo e le
percezioni amplificate dal presente e dalla manipolazione dei
tabloid, tra Gracie e Joe. Pur
avvicinandosi e toccando con mano la vita di Gracie, facendo alcune
delle sue esperienze quotidiane, Elizabeth mantiene
un’imperturbabilità di fondo. All’esterno, si ridicolizza al
massimo tentando di carpire il segreto di un’esistenza grottesca e
con lei
Natalie Portman, che accetta di mettersi nei panni di
un’attrice forse ancora più macchietta del personaggio reale che
dovrà interpretare. Mentalmente, invece, non siamo mai sullo stesso
livello di Elizabeth: è vero che fa esperienza assieme a noi
pubblico, che ci conduce passo a passo nella vita di Gracie e Joe
nella loro villa in Maine, ma diventa illeggibile tanto quanto i
suoi “case study“.
Tra le tre performance, forse quella
che emerge di più e che sorprende proprio perchè viene da un
giovanissimo della recitazione, è quella di Melton. L’attore di Riverdale
riesce a catturare in toto le sfaccettature del suo personaggio,
conferendogli un’aria da belloccio dei tanto popolari young adult
ma affibbiandogli anche un’aria costantemente desolata e
malinconica, incerta nel suo trovarsi costantemente in bilico tra
l’essere adulto e il tornare bambino. Il suo Joe è
contemporaneamente appetibile e tenero, solare e angoscioso. Un
personaggio vincente che si è auto-confinato in un terreno di
isolamento totale, lontano dal tono camp della pellicola, dai
colori vivi della sua fotografia e lussureggianti della natura che
lo circonda. Forse è proprio attraverso il personaggio di Joe che
Haynes riesce a sbugiardare i suoi personaggi, l’artificiosità dei
loro comportamenti e del finto paradiso che si sono creati.
Melodramma camp fino al midollo, l’ironia disturbante di Todd
Haynes fa luce con May December sulle
(s)proporzioni dei ruoli e dei valori famigliari di una realtà
pervasa dalla finzione.
E’ facile immaginare che per
Francesca Scorsese il mondo del Festival
di Cannes non sia del tutto nuovo, ma è chiaro che partecipare
al Festival con un cortometraggio in concorso è sicuramente
un’esperienza differente. Scorsese, che al festival del 2023
presenta Fish Out of Water, ha parlato anche delle sue passate
esperienze a Cannes: “Ricordo solo il tappeto quando ero
più piccola e ricordo di aver guardato tutti perché avevo
probabilmente 10 anni o addirittura di meno”.
Fish Out of Water
segue la storia di una figlia che si riconnette con il padre
separato e la madre sempre più malata, e Francesca
Scorsese ha approfondito il concetto per la sua tesi di
laurea alla New York University. Sebbene la relazione padre-figlia
nel film non abbia, dice, alcuna relazione con la vita reale,
c’erano aspetti in linea con le esperienze di sua madre.
“Penso che volevo principalmente
raccontare una storia di legame familiare attraverso la malattia e
momenti davvero difficili, così come la cura di un membro della
famiglia, perché è qualcosa che ho fatto per la maggior parte della
mia vita con mia madre che ha il Parkinson. Quindi, è stato un po’
il mio modo di affrontare quei ricordi.”
Suo padre, Martin Scorsese, ha sostenuto enormemente i
suoi sogni di regista e questo film, ha detto. “L’ho mostrato a
mio padre. Mio padre lo ha inviato ai suoi amici. Sono abbastanza
sicuro che Ari Aster l’abbia visto. Ero tipo, ‘Oh mio
dio.'”
Ma ha poi spiegato che a causa della
rappresentazione della malattia del personaggio della madre, era
estremamente nervosa all’idea di mostrare il film a sua madre.
“È stato assolutamente terrificante mostrarlo a mia madre, più
che a tutte le altre persone”, ha detto. “Lei diceva
sempre, ‘Oh, voglio vederlo.’ E io dicevo, ‘OK, ma potresti non
essere davvero felice.’ Ovviamente è un argomento molto delicato.
Ma mostrandoglielo, mi sono seduta nella stanza e mio padre mi ha
detto che dovevo restare nella stanza. Ero tipo, ‘Vado, andiamo’. E
lui, ‘Siediti in quella stanza, resta nella stanza. Devi essere lì
con lei, basta tenerle la mano.’ E e poi gli ho detto, ‘Hai
ragione. Davvero.’”
Il supervisore degli effetti
speciali di Oppenheimer,
Scott R. Fisher, spiega come ha creato una finta
esplosione nucleare senza l’uso di CGI. Diretto da
Christopher Nolan, Oppenheimer racconta la vita e la
carriera del fisico teorico J. Robert Oppenheimer,
che fu una delle figure chiave responsabili della creazione della
bomba atomica. L’epopea storica vede Cillian Murphy nel ruolo del protagonista
dopo che per molti anni ha lavorato con Nolan sempre in ruoli
secondari.
Fisher fa un tuffo profondo negli
effetti speciali del film in una nuova intervista con Total
Film (tramite Slash Film). Il supervisore
degli effetti speciali entra nei dettagli su come è riuscito a
creare un’esplosione di una bomba nucleare senza CGI, rivelando che
si sono affidati ad alcune tecniche di ripresa “vecchia scuola” per
farlo sembrare reale.
“È come una tecnica della
vecchia scuola. Non le chiamiamo miniature; le chiamiamo big-ature.
Le facciamo più grandi che possiamo, ma riduciamo la scala in modo
che sia gestibile. Si avvicina la fotocamera e lo si fa
nell’ambiente il più grande possibile.
Si tratta principalmente di
benzina, propano, cose del genere. Ma poi introduciamo anche cose
come polvere di alluminio e magnesio per migliorare davvero la
luminosità e dargli un certo aspetto. Abbiamo fatto un po’ di
esperimenti, perché volevamo davvero che tutti parlassero di quel
lampo, quella luminosità. Quindi abbiamo cercato di replicarlo il
più possibile”.
È stato rivelato per la prima volta
l’anno scorso che l’esplosione nucleare di Oppenheimer è
stata creata senza CGI, il che è emblematico dell’atteggiamento
generale di Nolan verso gli effetti pratici. Sebbene i film di
Nolan presentino certamente CGI, è quasi sempre per abbellire o
migliorare le scene che sono state catturate dalla telecamera. È la
dedizione del regista alle tecniche cinematografiche della vecchia
scuola che fa davvero risaltare i suoi film nel panorama del cinema
moderno, con il suo uso di effetti pratici che conferiscono
all’azione una sensazione tattile e realistica che la CGI non può
proprio replicare.
Il film, che la Universal
distribuirà dal 21 luglio, è una delle uscite estive più ambiziose
degli ultimi anni. Quella estiva è una stagione che di solito è
riservata ai film di evasione e ai film sui supereroi, ma Oppenheimer
è alle prese con alcuni temi pesanti, per non parlare del fatto che
racconta di uno sviluppo scientifico che ha rimodellato il corso
della storia. Oppenheimer
ha guidato il Progetto Manhattan come capo del Los Alamos
Laboratory, prima di diventare un critico delle armi di distruzione
di massa. “La sua storia è sia un sogno che un incubo”, ha
detto Nolan.
Il film è stato girato in 70 mm con
telecamere Imax e il trailer che Nolan ha condiviso alternava scene
in bianco e nero e scene a colori con un design di produzione
impeccabile. Un Cillian Murphy dall’aspetto scarno e con in
testa un fedora è un duplicato esatto di Oppenheimer,
e ha l’aria di un distruttore di mondi.
Con a capo Murphy, che è un
fedelissimo di Christopher Nolan, il cast del film si
presenta davvero ricchissimo di star. Ci sono anche
Matt Damon nei panni del generale Leslie Groves,
Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss, un
membro della Commissione per l’energia atomica, ed Emily Blunt nei panni della moglie di
Oppenheimer, Katherine. Il cast include anche Rami
Malek e Florence Pugh.
Oppenheimer
uscirà al cinema in Italia il 23 agosto 2023. Distribuito da
Universal Pictures.
Michelle Randolph e
Jacob Lofland si sono uniti a Billy Bob Thornton nella prossima serie di
Taylor SheridanLand
Man alla Paramount+.
A darne la notizia è stato il noto sito
americano Variety
che ha appreso in esclusiva che anche Ali
Larter reciterà nella serie.Secondo il
logline ufficiale, la serie “è ambientata nelle proverbiali
città del boom del Texas occidentale ed è una moderna storia di
persone in cerca di fortuna nel mondo delle piattaforme
petrolifere. La serie racconterà la storia sia ai piani alti che ai
piani bassi che alimentano un boom così grande che sta rimodellando
il nostro clima, la nostra economia e la nostra geopolitica”.
La serie è basata sul podcast “Boomtown“.
Michelle Randolph
interpreterà Ainsley Norris, descritta come “la selvaggia e
volitiva figlia diciassettenne di Tommy Norris (Billy
Bob Thornton)”. Lofland interpreterà Cooper Norris,
“il figlio di Tommy, che è nuovo al lavoro impegnativo nei
giacimenti di petrolio e gas del Texas occidentale”. Ali
Larter interpreterà Angela, l’ex moglie di
Tommy. La serie vedrà riunirsi Sheridan e
Randolph, dopo aver recitato insieme nella serie prequel di
Yellowstone
e 1923.
È anche nota per ruoli in film come “The Resort” e “5 Years
Apart”. Lofland è esploso con il suo ruolo di
debutto nei panni di Neckbone nel film del 2012 Mud con
Matthew McConaughey e Tye Sheridan. Da allora ha continuato a
recitare nel franchise cinematografico “Maze
Runner” e in spettacoli come “Justified”, “Texas
Rising” e “The Son”. Apparirà anche nel sequel “Joker: Folie à Deux”.
Land Man è co-creato e prodotto da
Taylor Sheridan e Christian Wallace. Sheridan è
produttore esecutivo sotto la sua società Bosque Ranch
Productions, che è attualmente impegnata con un ricco
accordo generale con Paramount Global. Billy Bob Thornton è anche produttore
esecutivo oltre a recitare. David Glasser, David Hutkin, Ron
Burkle e Bob Yari sono anche produttori esecutivi tramite 101
Studios. Geyer Kosinski è produttore esecutivo insieme a Dan
Friedkin e Jason Hoch per Imperative Development LLC, e Scott Brown
e Megan Creydt per Texas Monthly. Peter Feldman è il
co-produttore esecutivo. MTV Entertainment Studios sta
producendo la serie.
Dopo una manciata di apparizioni
secondarie, Julia Louis-Dreyfus, che nel Marvel Cinematic Universe
interpreta Valentina Allegra de Fontaine, promette che il
suo ruolo in Thunderbolts
avrà molto più spazio.
Introdotto nell’universo
cinematografico Marvel in The Falcon and the Winter
Soldier, l’attrice di Seinfeld e Veep interpreta una
losca figura del governo che convince il John Walker di
Wyatt Russell a diventare US Agent e assume Yelena
Belova (Florence
Pugh) per uccidere Clint Barton in Hawkeye. È stata vista l’ultima volta in
Black Panther: Wakanda
Forever, dove è stato rivelato che è l’ex moglie di
Everett Ross (Martin Freeman) e che ha
recentemente ottenuto la posizione di direttore della CIA.
Mentre parlava in esclusiva con
Screen Rant per promuover eil
suo nuovo film You Hurt My Feelings, a
Julia Louis-Dreyfus è stato chiesto del suo
imminente ritorno nel MCU con Thunderbolts. Pur mantenendo il segreto
sui dettagli della sua parte nel film, Julia
Louis-Dreyfus ha assicurato che il film collettivo avrebbe
esplorato di più il personaggio di Val rispetto a quanto è stato
fatto fino a questo momento. “Non posso dirti niente! [Ride]
Sì, te lo posso dire, si vedrà molto di più di lei. Ecco il tuo
scoop!”.
Il roster di Thunderbolts
il cast è attualmente composto da Red Guardian (David
Harbour), Ghost (Hannah
John-Kamen), Yelena Belova (Florence
Pugh), Bucky Barnes/The Winter Soldier
(Sebastian
Stan), John Walker/ Agente statunitense (Wyatt
Russell) e Taskmaster (Olga
Kurylenko). Secondo quanto abbiamo appreso la contessa
Valentina Allegra de Fontaine (Julia
Louis-Dreyfus) metterà insieme la squadra e potrebbe anche
essere parzialmente responsabile della creazione di
Sentry.
Harrison Ford sostituirà
il defuntoWilliam Hurt nei panni di Thaddeus
“Thunderbolt” Ross, che potrebbe finire per trasformarsi in Red
Hulk. Nel cast sono stati annunciati anche Ayo
Edebiri, in un ruolo ancora non stato rivelato.
Thunderboltsuscirà
nelle sale il 26 luglio 2024. Jake Schreier (Robot and Frank,
Dave) dirigerà Thunderbolts,
che si baserà su una sceneggiatore scritta dallo
sceneggiatore di Black Widow Eric Pearson.
Dopo le
immagini della contemporanea Lydia Deetz (Wynona
Rider), nuove foto dal dietro le quinte di Beetlejuice
2 anticipano un set particolarmente adeguato al tema
del film: si tratta delle foto di un vecchio e spettrale
cimitero.
Il sequel del classico
Beetlejuice di Tim Burton del
1988 ha richiesto diversi decenni di conversazioni e accordi per
potersi mettere in moto. Nel febbraio 2022 è stato riferito che il
progetto era in fase di sviluppo e le riprese sono iniziate
ufficialmente questo mese. Beetlejuice 2 dovrebbe uscire il 6
settembre 2024 nelle sale USA.
Nelle foto dietro le quinte
pubblicate su Twitter da Mad Monster, le nuove immagini di Beetlejuice
2 mostrano una cripta inquietante e una chiesa
solitaria.
Michael Keaton, Winona
Ryder e Catherine O’Hara riprenderanno i
loro ruoli dal primo film, insieme a new entry di serie A nel cast
del film che sarà diretto da Tim Burton.
Jenna Ortega (Mercoledì) in
particolare è stata scelta per interpretare la figlia di Lydia
Deetz. Justin Theroux e William
Dafoe sono stati scelti per il film, con quest’ultimo
destinato a interpretare un agente delle forze dell’ordine
nell’aldilà. Successivamente, è stato annunciato che Monica
Bellucci si era unita al cast e interpreterà la moglie
dello spiritello dispettoso protagonista. Anche il compositore
Danny Elfman, sodale di Burton, è tornato nel team
creativo. Beetlejuice
2 dovrebbe uscire il 6 settembre 2024 nelle sale
USA.
Si muove a partire da una premessa
interessante il filmRenfield, diretto da Chris
McKay (Lego Batman, The Tomorrow
War), ovvero quella secondo la quale il rapporto esistente tra
il Conte Dracula e il suo assistente R. M.
Renfield non è altro che, usando l’odierno modo di dire,
una relazione tossica. Che le dinamiche esistenti tra questi due
personaggi siano tutt’altro che sane non è certo un’invenzione di
Robert Kirkman, autore della storia, né dello
sceneggiatore Ryan Ridley, bensì di colui che
questi personaggi li ha inventati nel lontano 1897, ovvero
Bram Stoker. Tale chiave di lettura viene però qui
ulteriormente esaltata, specialmente grazie al fatto di avere, per
una volta, Renfield come assoluto protagonista.
Interpretato da Nicholas Hoult,
egli continua a servire il leggendario vampiro sin dagli eventi del
Dracula del 1931, di cui Renfield è un
“quasi-sequel“, secondo la definizione di McKay. Dopo aver
attraverso gli oceani del tempo ed essere arrivati nel mondo
contemporaneo, i due continuano indisturbati le loro attività, con
Renfield che procura nuove vittime al suo padrone e questi che se
ne ciba per diventare sempre più forte. La vita di Dracula sembra
però non avere né uno scopo né una direzione precisa, ed ecco
allora che il potente vampiro decide che è giunto il momento di
conquistare il mondo. Renfield inizia però ad assaporare una vita
diversa da quella, con la consapevolezza che intraprenderla
significherebbe tradire il suo maestro.
Un film pulp per il più famoso dei
vampiri
Sin dai primi materiali
pubblicitari rilasciati, Renfield lasciava intendere
di essere un progetto pensato con il piede schiacciato sul pedale
della follia. Con questa premessa, non ci si poteva dunque
aspettare qualcosa di particolarmente elaborato da un punto di
vista del racconto e l’aspettativa puntualmente non viene smentita.
L’intreccio è quantomai esile e quando le varie linee narrative
iniziano a convergere verso il finale ecco che diventa anche
noiosamente prevedibile. Il principale interesse di Kirkman, Ridley
e McKay risulta piuttosto essere quello di confezionare una serie
di scene, gag o anche solo battute che possano risultare memorabili
nella loro follia, intrattenendo e possibilmente reggendo l’intero
film.
Naturalmente affidare un intero
lungometraggio a tali elementi raramente è una buona idea.
Renfield riesce però ad offrire un numero
tale di momenti pulp, tra combattimenti estremamente sanguinolenti
e interazioni effettivamente divertenti tra i personaggi, da
riuscire a risultare – complice la sua adeguata durata di 93 minuti
– un prodotto godibile e divertente, che trova il suo giusto tono
tra horror, commedia ed azione splatter. Il che probabilmente è ciò
che conta di più. Innegabile però che anche il citato pedale della
follia appare ben presto non essere premuto fino in fondo,
lasciando dunque la sensazione che se proprio doveva essere questo
l’elemento su cui fondare il film, tanto valeva crederci un po’ di
più.
Renfield e la sua relazione tossica
La vera arma a doppio taglio, che
probabilmente farà però storcere il naso solo ai più smaliziati, è
proprio la sua chiave di lettura riguardante le relazioni tossiche.
Questa risulta inizialmente interessante applicata ai due
protagonisti, mostrando in particolare gli effetti che ha sulla
psiche di Renfield (con tanto di sua partecipazione a gruppi di
sostegno). È un elemento che rimane “sullo sfondo”, che giustamente
si fa percepire più per immagini che non per parole pronunciate dai
protagonisti. Nel momento in cui sul finale il concetto viene però
ribadito in maniera ancora più esplicita, a mo’ di lezione di vita,
ecco che diventa didascalico, svuotato di valore. Un di più che
spezza non solo il momento in cui è aggiunto ma fa acquisire
all’intero film un che di furbo poco gradevole.
Nicolas Cage: un magnifico Dracula
Innegabile che ad aver reso degno
di particolari attenzioni questo progetto, rimasto a lungo in stand
by per via dei problemi del Dark Universe, ci sia
la presenza del premio Oscar Nicolas Cage nei panni
del conte Dracula. L’attore, che negli ultimi anni sta vivendo una
seconda vita artistica grazie a film bizzarri come Mandy,
Pig o Il talento di Mr. C, aggiunge così alla sua
collezione di personaggi anche l’iconico vampiro, che interpreta
come suo solito con un fare sopra le righe che però, dato il
personaggio, risulta particolarmente appropriato. Ancor di più,
l’interprete riesce a rendere il proprio Dracula simpatico (nella
sua crudeltà) ed effettivamente minaccioso quando occorre.
Non sfigurano tuttavia neanche
Nicholas Hoult nei panni del protagonista del
titolo e, in particolare, Awkwafina – qui nel
ruolo dell’intransigente poliziotta Rebecca Quincy – dotata di una
verve comica e una presenza scenica che non si smentiscono mai.
Sono decisamente loro, con la notorietà ed esperienza di cui
godono, la principale attrattiva del film, che può comunque vantare
anche delle affascinanti scenografie ed un buon trucco per quanto
riguarda le trasformazioni fisiche di Dracula. I tre reggono sulle
loro spalle il film, contribuendo indubbiamente alla sua generale
riuscita nonostante le pecche più su evidenziate.
Dopo la Palma d’oro alla
carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in
concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in
Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il
Festival
di Cannes per
presentare la sua ultima opera. E
Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta
nella sezione più importante con il Rapito che 01
Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia
vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni
magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di
Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi,
Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di
Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.
Rapito: la storia vera di tanti ebrei
italiani
Il piccolo Enea Sala e
Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese
Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua
famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa
Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i
tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio
Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale
inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente
che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si
sono liberamente ispirati il regista e
Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la
collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza
storica di Pina Totaro.
Tutto inizia nel
quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a
casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di
sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora
domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il
diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino
riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’
l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude
nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la
conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Il
racconto unico e potente di Marco Bellocchio
La componente tecnica è
importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo
Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a
rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo.
Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi,
narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e
riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur
rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente,
grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di
Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi
di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo
Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto
non secondario.
L’alternarsi delle
ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani
nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara,
una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento
musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo
ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo
rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere
continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo
inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di
sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere –
aiutare lui.
Qualcosa che lo accomuna
al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante
né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione
della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure
costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e
a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria
gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita
all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).
Nell’opera
Rapito di
Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il
sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà
complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema
tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne
sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo
di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto
dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più
disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore
nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi
di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della
cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte
della famiglia.
La scoperta delle reali
motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda
presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che
renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore
moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più
riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala
sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come
già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta
tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse
troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di
quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del
Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da
missionario.
Il noto regista italiano
Marco Bellocchiotorna al Festival
di Cannes con “Rapito”, un dramma che
ricostruisce la vera storia di Edgardo Mortara, un
giovane ebreo rapito dalla Chiesa e cresciuto con la forza come
cristiano nell’Italia del XIX secolo. Questa è una storia su
cui Steven Spielberg aveva messo gli
occhi da molto tempo, avendo annunciato nel 2016 che avrebbe
realizzato un dramma su Mortara per il quale aveva già
iniziato a cercare location nel nostro paese.
L’anno scorso, Marco Bellocchio era a Cannes
con un altro dramma sui rapimenti, la miniserie TV Esterno Notte, sul rapimento e l’assassinio dell’ex
premier italiano Aldo Moro da parte dei terroristi
delle Brigate Rosse. La prima incursione televisiva del regista ha
ottenuto un discreto successo e una versione cinematografica è
andata bene nei cinema italiani – in due puntate – prima di andare
in onda sulla RAI e vendere in tutto il mondo. In un’intervista
esclusiva sul sito
Variety il regista ha parlato del nuovo filmdi
come ha fatto a portare questo atto di violenza e le sue complesse
conseguenze sul grande schermo e perché il Vaticano dovrebbe
chiedere perdono.
Cosa l’ha spinta a voler ricostruire
la storia di questo sequestro perpetrato in nome di Dio?Mi ha colpito questa storia dopo aver letto un libro su Edgardo
Mortara scritto da un cattolico piuttosto conservatore. Il
libro ripercorre il cammino della conversione al cattolicesimo di
questo bambino che viene rapito dopo aver iniziato il suo cammino
religioso da ebreo ortodosso. È una conversione, inizialmente
forzata. Ma Edgardo non cambia idea dopo che Roma è stata
liberata dal dominio papale, a quel punto è libero di fare ciò che
vuole. Diventa invece sacerdote e poi missionario fino alla
fine dei suoi giorni.
Era da tanto che desideravi
fare questo film?SÌ. Ma subito dopo
aver letto il libro ho scoperto che Steven Spielberg stava preparando questo
film. Una casa di produzione era venuta in Italia per cercare
location e fare dei provini, quindi ho smesso di
pensarci. Poi, diversi anni dopo, mentre ero negli Stati Uniti
a promuovere “Il
traditore” [che è stato presentato al Festival di Cannes nel
2019] ho chiesto in giro e ho sentito che Spielberg non aveva portato avanti il
progetto. Quindi lo abbiamo verificato e siamo tornati a
lavoraresul film. La storia è ricca di elementi che hanno stimolato
la mia immaginazione. È come un grande romanzo del XIX
secolo. Nel film i personaggi della madre e del padre sono
molto importanti e altrettanto importante è la figura del Papa
violento e intollerante ma allo stesso tempo coerente [con le
credenze cattoliche di allora].
Pensi che
Steven Spielberg avrebbe adottato un approccio
diverso? Lavorando con [la
sceneggiatrice/regista] Susanna Nicchiarelli [che ha diretto i film
storici “Nico, 1988”, “Miss Marx” e “Chiara”] abbiamo utilizzato
diversi libri come fonti, ma anche molti documenti. Siccome si
tratta di un’Italia che non esiste più, abbiamo fatto un sacco di
effetti digitali per ricostruire quel mondo. Ma volevamo anche
dare al pubblico un senso reale di ciò che è accaduto. Molto
lavoro è stato dedicato alla scenografia e ai costumi. Abbiamo
cercato di ricostruire il mondo delle province italiane. Siamo
stati molto attenti nell’assicurarci che i tipi di italiano volgare
che i personaggi parlano fossero molto accurati. L’accuratezza
dell’aspetto linguistico è stato fondamentale per me per renderlo
reale. È probabile che il progetto di Spielberg sarebbe stato
completamente diverso. Per noi, volevamo davvero difendere il fatto
che questa famiglia ebrea vivesse sul suolo italiano.
In concorso al Festival
di Cannes 2023 c’è anche un film a sfondo
storico: si tratta di Firebrand, nuova prova registica di
Karim Aïnouz (La vita invisibile di Euridice
Gusmao). Basato sul romanzo Queen’s Gambit del 2013
di Elizabeth Fremantle, il film è incentrato sulla
figura di Katherine Parr, la sesta e ultima moglie
di Enrico VIII e interpretato da Alicia Vikander, Jude Law, Sam Riley,
Eddie Marsan, Simon Russell Beale
ed Erin Doherty.
Firebrand, la trama
Nell’Inghilterra dei Tudor intrisa
di sangue, Katherine Parr, sesta e ultima moglie
di Enrico VIII, viene nominata reggente mentre il
tiranno Enrico sta combattendo oltreoceano. Katherine ha fatto
tutto il possibile per promuovere un nuovo futuro basato sulle sue
convinzioni protestanti radicali. Quando il re torna, sempre più
malato e paranoico, si accanisce contro i radicali, accusando di
tradimento l’amica d’infanzia di Katherine e mettendola al rogo.
Inorridita e addolorata, ma costretta a negarlo, Katherine si
ritrova a lottare per la propria sopravvivenza. La cospirazione si
ripercuote nel palazzo. Tutti trattengono il fiato: che la regina
faccia un passo falso, che Enrico la voglia decapitare come le le
mogli precedenti. Con la speranza di un futuro libero dalla
tirannia a rischio, Katherine si sottometterà all’inevitabile per
il bene del re e del Paese?
Eresia a corte?
Nell’anno 1546, in cui
Firebrand è ambientato, il re era ancora percepito
come una figura divina. Enrico VIII aveva chiuso
ogni rapporto con la Chiesa cattolica romana per il rifiuto di
quest’ultima di concedere l’annullamento del suo primo matrimonio,
e lui e i suoi consiglieri religiosi temevano che i riformatori
protestanti potessero minare l’intero sistema.
La storia di
Firebrand inizia mentre Enrico è all’estero e
Katherine lo sostituisce come reggente. Sfidando
l’autorità ecclesiastica, Katherine si allontana di nascosto per
andare a trovare Anne Askew (Erin
Doherty), una controversa predicatrice protestante e amica
di lunga data. In seguito, assumendosi un grande rischio, Katherine
insiste affinché Anne accetti una preziosa collana che
Henry le aveva regalato, sostenendo di fatto la
sua causa eretica.
Ritratti femminili
Quella di Aïnouz è
una Katherine Parr carismatica, dai numerosi
interessi e con uno sguardo più vasto del mondo di corte. Alicia Vikander la interpreta anzitutto con
compostezza, prima qualità che ci si sarebbe aspettati da una
regina dell’epoca, ma riesce a offrirci un ritratto sfaccettato
dell’ultima moglie di Enrico VIII. Katherine è
consapevole del suo ruolo a corte e anche delle sue conoscenze: non
è un caso che la giovanissima Elisabetta, figlia di Enrico e Anna
Bolena e futura sovrana di Inghilterra, la ammiri, le faccia spesso
domande e non la perda mai di vista.
Anche se Alicia Vikander interpreta il personaggio
principale della pellicola, la voce femminile che risuona con più
potenza è, forse, proprio quella indesiderata e tanto temuta:
quella di Anne. Dalle prime sequenze in cui vediamo
Anne e Katherine incontrarsi nei
boschi dove la prima tiene delle sorti di comizi con gli altri
eretici, ci viene illustrato il rapporto che intercorre dalle due:
Katherine tenta di avvisarla, vuole che Anne scappi. Con
Enrico VIII al governo, il suo destino è
segnato.
Jude Law è Enrico VIII
Inizialmente, almeno per quanto
riguarda la presenza su schermo, siamo di fronte a un film di
donne: da Katherine ad Anne,
passando per Elizabeth, abbiamo un ritratto di
quello che l’Inghilterra era al momento, di quello che voleva
abbattere e di ciò che il Paese sarebbe diventato. Come
l’Enrico VIII di Jude Law irrompe sulla scena, capiamo che la
minaccia in tutte le sue variazioni, domestica, politica e anche
fisica – il sovrano ha la gotta ed è continuamente circondato da
medici – sarà la parola d’ordine della narrazione di
Firebrand.
Jude Law dà vita al ritratto forse più
verosimile del sovrano inglese che sia mai stato rappresentato al
cinema. Burbero, malato, violento, ma anche ironico, compositore –
alcune delle canzoni che sentiremo nel film sono state veramente
composte da Enrico VIII – il sovrano fiuta la
minaccia e se la carica anche sul corpo, sempre meno curato,
abnorme, facendone volutamente percepire la pesantezza a
Katherine.
Con una messa in scena dettagliata
e precisa, costumi curatissimi e performance convincenti,
Firebrand riesce a distinguersi come dramma
storico e prima prova del brasiliano Aïnouz in
lingua inglese. Qualche revisione storica potrebbe forse non
conquistare l’ammirazione di troppi spettatori, ma il calore con
cui abbraccia e cuce addosso ad Alicia
Vikander questo ruolo femminile è assolutamente degno
di nota.
Dopo la rivelazione di quali
titoli avrebbero fatto parte
dell’imminente rimozione di contenuti da
Disney+alla fine
di questo mese, la Disney ha deciso di annullare la sua decisione
di rimuovere i titoli precedentemente annunciati. A seguito del
contraccolpo che ha travolto la società sulla decisione di attivare
un programma di rimozione pianificata, Deadline riporta
che la Disney ha affermato che il documentario Howard rimarrà sul
servizio. Il documentario racconta la vita del famoso
paroliere gay DisneyHoward
Ashman e il suo ruolo principale nella creazione di alcune
delle canzoni più memorabili della compagnia degli anni
’90.
La tempistica della rimozione
pianificata è stata accolta con un certo dissenso, poiché il remake
live-actiondeLa sirenetta di questo mese
presenta molti dei testi di Ashman, mentre il mese del Pride
LGBTQ+ inizierà il 1° giugno.“L’elenco dei titoli in uscita da Hulu e Disney+ la prossima settimana
è ancora in fase di definizione“, ha detto un rappresentante
della Disney. Questa risposta suggerisce che altri contenuti
potrebbero essere aggiunti o rimossi dall’elenco prima che le cose
inizino a essere tolte dallo streamer il 26 maggio.
Durante la stessa
discussione in cui sono state inizialmente annunciate le
rimozioni, la società ha annunciato che avrebbe aggiunto i
contenuti di Hulu a Disney+ entro la fine
dell’anno per creare una “esperienza con un’unica app“.
Questo vale solo per gli USA, perché in alcuni paese come ad
esempio l’Italia in cui Hulu non è disponibile, la
programmazione di Hulu è già disponibile su Disney+ sotto il marchio per
adulti di Star.
Mortal Kombat 2
seguirà l’esempio del suo predecessore e
film di successo del 2021 e la produzione sarà ancora in
Australia. Le riprese si svolgeranno nel Gold Coast, nel
Queensland, da Adelaide nel South Australia. Il titolo New
Line Cinema e Warner Bros. Pictures è basato sull’iconico
videogioco di Ed Boon e John Tobias. Le riprese inizieranno ai
Village Roadshow Studios a partire da giugno.
Mortal Kombat
2 è scritto da Jeremy Slater e
sarà nuovamente diretto dall’australiano Simon McQuoid. Il
film sarà prodotto da Atomic Monster di
James Wan e Broken Road
Productions di Todd Garner. La produzione è stata attirata
dal governo del Queensland grazie alla strategia di attrazione
della produzione di Screen Queensland. La produzione sarà inoltre
elegibile per il regime di compensazione recentemente rivisto
del governo federale australiano.
“Con una spesa locale stimata di oltre $
68 milioni, Mortal Kombat 2 è un
grande successo per l’economia dello stato, creando almeno 560
posti di lavoro per il cast e la troupe del Queensland“, ha
dichiarato Annastacia Palaszczuk, premier del Queensland.
“Sono così orgoglioso che Atomic Monster sia in grado di
portare le riprese di ‘Mortal Kombat 2‘ in
Australia“, ha dichiarato James Wan,
produttore. “Girare il primo film in Australia è stata
un’esperienza fantastica, sono entusiasta che con l’aiuto di Screen
Australia e Screen Queensland, possiamo mostrare le maestose
location del Queensland e lavorare con i talenti artistici di
prim’ordine che vivono lì.”
Mortal Kombat
2 è prodotto da Wan e Michael Clear per Atomic
Monster, Todd Garner, Simon McQuoid e E. Bennett Walsh. Il film, An
Atomic Monster/A Broken Road Production, sarà distribuito dalla
Warner Bros. Pictures.
The Mother continua a guidare tutti i
titoli Netflix per la seconda settimana consecutiva
con 92 milioni di ore visualizzate durante la finestra di
visualizzazione dal 15 al 21 maggio. Pertanto, porta il film a
raggiungere più di 90 milioni di visualizzazioni. Netflix calcola
le visualizzazioni totali dividendo le ore totali guardate (178,1
milioni di ore) per la durata totale (1,96 ore).
Gli spin-off hanno regnato sovrani nella
classifica della TV in lingua inglese. Al primo posto della
lista c’è “Queen
Charlotte:
A Bridgerton Story“, che ha registrato ulteriori 82,39
milioni di ore di visualizzazione. Nella sua terza settimana
nella classifica dei titoli popolari, anche il racconto dell’era
georgiana di Shonda Rhimes è apparso nella Top 10 in 89
paesi. Anche le stagioni 1 e
2 di “Bridgerton”
sono rientrate nelle classifiche di questa settimana al n. 6 e al
n. 7, rispettivamente, quando gli spettatori hanno rivisitato o
scoperto la serie originale. La prima
stagione del dramma in costume ha registrato 19,46 milioni
di ore visualizzate, mentre la seconda stagione ha registrato 18,17 milioni
di ore visualizzate.
Appena sotto c’è la serie sequel di
“To All the
Boys“, “XO, Kitty“, che ha aperto a
72,08 milioni di ore visualizzate dopo il suo debutto il 18
maggio. Con Anna Cathcart (Kitty Song Covey) e Minyeong Choi
(Dae), la commedia romantica di YA ha avuto oltre 14
visualizzazioni totali ed è apparsa nella Top 10 in 90 paesi. La
sesta stagione di “Selling Sunset” ha scalato la
classifica con una solida apertura dopo il suo debutto il 19
maggio. Con i nuovi membri del cast Bre Tiesi e Nicole Young,
la serie ha guadagnato 22,78 milioni di ore visualizzate nei primi
tre giorni di disponibilità e si sono piazzati al quarto posto
nella lista.
“Così tante persone nel mondo del
cinema indipendente erano davvero incazzate con me“, ha detto
Pugh. “Erano tipo, ‘Fantastico, ora se n’è andata per
sempre.’ E io sono tipo, no, sto lavorando sodo come lavoravo
prima. Ho sempre fatto film back-to-back. È solo che le
persone li stanno guardando ora. Devi solo essere un po ‘più
organizzato con il tuo programma”.Mentre
Florence Pugh ha raggiunto il mainstream con
il suo ruolo Marvel, non ha voltato le spalle ai
film indipendenti. Tra un film e l’altro della Marvel, ha girato il dramma
sostenuto da Netflix
di Sebastian Lelio “The
Wonder” e si è guadagnata il plauso della critica per il suo
ruolo. Di recente è stata la protagonista dell’ultimo lavoro
di regia indipendente di Zach Braff, “A Good
Person“.
A marzo, Florence Pughha dichiarato alla
rivista Total Film che alcune persone del
settore le avevano detto che “non sarebbe mai più tornata ai
piccoli film” dopo aver fatto il salto nel Marvel Cinematic
Universe.“Mi ha sempre in qualche
modo ferito“, ha detto. “Perché penso che ci sia
bellezza in tutti i tipi di quei film. C’è bellezza nelle
trame enormi ed epiche come “Dune“, come la Marvel, come anche “Oppenheimer” che ho
fatto. Sono fantastici, mega film. E poi c’è anche la
bellezza in tutti questi piccoli che non tutti vedranno, ma
influenzeranno la persona giusta al momento giusto. Non ho
mai, mai pensato che avrei fatto solo un tipo di film. Ho
sempre saputo che voglio dilettarmi in tutte le
aree”.
Thunderbolts
arriverà nelle sale nel luglio 2024. Prima di allora, Pugh reciterà
in Oppenheimer di
Christopher Nolan e farà il suo debutto in un
altro grande franchise di studio: interpreterà la principessa
Irulan in “Dune:
Part Two” di Denis Villeneuve, ” entrando a
far parte di un cast che include artisti del calibro di
Timothée Chalamet,
Zendaya e
Austin Butler.“Avevo bisogno di
persone che avessero il carisma necessario“, ha detto
Villeneuve alla rivista Time riguardo all’assemblaggio del cast per
il sequel di “Dune“. “Penso che Florence, Zendaya,
Timothée [Chalamet] e Austin [Butler] saranno il nuovo potere di
Hollywood. Queste figure forti e carismatiche riporteranno le
persone a teatro”.
Un anno dopo Esterno
Notte, la sua serie sul rapimento e l’assassinio nel
1978 dell’ex capo del governo italiano Aldo Moro, il regista
italiano Marco Bellocchio cattura un altro rapimento che ha
fatto notizia nell’Italia dell’Ottocento. Rapitoracconta la storia di Edgardo Mortara, un bambino
nato in una famiglia ebrea, rapito dalla Chiesa per ordine del Papa
per essere cristianizzato. Il film è concorso per la Palma d’Oro al
Festival
di Cannes.
Cosa sapevi della vicenda
Mortara prima di iniziare a scrivere questo lungometraggio? Non
lo sapevo. L’ho scoperto in un libro di Vittorio Messori, un
autore molto cattolico e conservatore che ha sviluppato la vita di
Edgardo Mortara e ha difeso le ragioni che hanno portato il Papa a
separarlo dalla sua famiglia. Il suo libro svela le
contraddizioni esistenziali di Mortara. Pare che oltre al suo
rapimento – sul quale Messori passa sotto silenzio -, Mortara non
abbia goduto di una vita molto serena. Ma ha rivendicato la
sua libertà e la sua conversione spontanea per diventare
cattolico. Inoltre, il film originariamente doveva
intitolarsi The Conversion . La storia che
Messori ne racconta tradisce una sofferenza permanente a causa
delle contraddizioni che lo abitavano.
Come ti sei avvicinato alla
sceneggiatura con Susanna Nicchiarelli? Oltre a quello di
Messori, abbiamo essenzialmente basato il nostro lavoro sui libri:
quello di Daniele Scalise, che evoca anche questo caso, o anche
quello di David Kertzer, che Steven Spielberg ha voluto adattare prima di
cambiare idea. Come per Esterno
Notte, abbiamo cercato di basare il nostro racconto su
fatti storicamente indiscutibili, per poi lasciare che la nostra
immaginazione si inserisse negli spazi che la Storia ha lasciato
vacanti. Ad esempio, avevamo pochissime informazioni sulle
personalità dei personaggi. Abbiamo rispettato alcuni
capisaldi storici per costruire la struttura del film: il rapimento
nel 1858, il processo nel 1860 e la presa di Roma nel 1870.