Annunciato il programma della
39° Settimana internazionale della
critica. Con le stesse modalità green dello scorso
anno, ovvero senza una conferenza stampa fisica ma soltanto con un
breve video, conciso ed efficace, Beatrice
Fiorentino, delegata generale della Settimana
della Critica 2024, trentanovesima edizione della sezione
autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici
Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito della Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia,
svela la line-up di quest’anno.
https://www.facebook.com/sicvenezia/videos/8437806836249771
La SIC sta portando avanti un
discorso coeso e solido che si guarda intorno rispecchiando nella
sua selezione il sentire del tempo, mutevole, incerto, in continuo
movimento, in attesa di una tempesta. La selezione presenta
quest’anno dagli Usa Homegrown dello statunitense
Michael Premo, e No Sleep Till, l’esordio di
Alexandra Simpson. Dai cugini inglesi arriva invece Paul &
Paulette Take A Bath di Jethro Massey, commedia nera ma
allo stesso tempo dolce.
Dal Vietnam un altro esordio, quello
di Dương Diệu Linh che, tra romance e tradizione racconta
Mưa trên cánh bướm (Don’t Cry,
Butterfly). Dall’Egitto arriva Perfumed with
Mint di Moattar Binaana che racconta
la propria terra con un tono che ricorda il realismo magico. Oltre
i toni fantastici di questi ultimi due titoli c’è Anywhere,
Anytime il film dell’iraniano Milad Tangshir, film
che però batte bandiera italiana, visto che Milad vive in Italia da
13 anni. La 39° Settimana internazionale della
critica si apre anche al grottesco di
Peacock dell’austriaco Bernhard Wenger. Apertura e
chiusura sono stati invece riservati alla Francia che presenta,
rispettivamente, Planète B di Aude Léa Rapin, con
protagonista
Adèle Exarchopoulos, e Little Jaffna di
Lawrence Valin. Ricca è anche la selezione dei cortometraggi della
sottosezione SIC@SIC.
Ecco di seguito il programma della 39° Settimana
internazionale della critica.
FILM D’APERTURA
Planète B
di Aude Léa Rapin
Francia
CONCORSO
Anywhere Anytime
di Milad Tangshir
Italia, 81′
Don’t Cry, Butterfly
di Duong Dieu Linh
Vietnam, 97′
Homegrown
di Michael Premo
USA, 110′
No Sleep Till
di Alexandra Simpson
USA, 93′
Paul and Paulette Take a Bath
di Jethro Massey
GB, 108′
Peacock
di Bernhard Wenger
Austria, 103′
Perfumed with Mint
di Muhammed Hamdy
Egitto, 112′
FILM DI CHIUSURA
Little Jaffna
di Lawrence Valin
Francia, 97′
PROIEZIONE SPECIALE
Il postino
di Michael Radford
Italia
CORTOMETRAGGI D’APERTURA
Dark Globe
di Donato Sansone
The Eggregores’ Theory
di Andrea Gatopoulos
CONCORSO SIC@SIC
At Least I Will Be 8 294 400 Pixel
di Marco Talarico
Billi il Cowboy
di Fede Gianni
Nero Argento
di Francesco Manzato
Phantom
di Gabriele Manzoni
Playing God
di Matteo Burani, Arianna Gheller
Sans Dieu
di Alessandro Rocca
Things That My Best Friend Lost
di Marta Innocenti
CORTOMETRAGGIO DI CHIUSURA
Domenica sera
di Matteo Tortone
In che mondo viviamo? In che
tempo viviamo? Un mondo indecifrabile, un tempo indefinito, colmo
di incertezze, di incognite, all’interno del quale si è fatto
difficile orientarsi e persino distinguere il vero dal falso, la
realtà dalla finzione. Siamo dentro a un presente indeterminato,
dove il rischio – ogni giorno più concreto – è quello di smarrire
anche la capacità di interpretazione, quasi che i riferimenti, i
codici che hanno permesso di riconoscerci e di definirci secondo un
linguaggio comune, si stessero rivelando improvvisamente
inadeguati, fallaci, contraddittori. In un simile scenario, a un
passo dal baratro, in un mondo funestato da guerre, armi, questioni
ambientali e sociali che impongono al più presto un radicale cambio
di passo se si vuole scongiurare la catastrofe, che risposte può
offrire il cinema? Non risposte, dubbi semmai. Le immagini del
presente – alle quali non smettiamo mai di guardare, nonostante
tutto, e alle quali ancora ci affidiamo nell’affannoso bisogno di
coordinate – anziché generare certezze, ci interrogano, ci sfidano
e ci richiamano alla necessità di una presa di coscienza e di
responsabilità superiori, poiché oggi tutto è in discussione. Anche
ciò che vediamo. Il cinema del presente sembra assecondare questo
spaesamento, la sensazione di trovarci in un momento di
sospensione, di attesa. I film che compongono il programma della
39. edizione della Settimana Internazionale della Critica, frutto
di un sempre fertile e stimolante dialogo con il comitato di
selezione formato da Enrico Azzano, Chiara Borroni, Ilaria Feole e
Federico Pedroni, che ormai da tre anni mi affianca nella
definizione delle rotte più solide del cinema contemporaneo, vanno
in questa direzione, confermando lo smarrimento che ci accomuna a
ogni latitudine del pianeta. Una selezione dai forti chiaro-scuri
che trasmette un senso di instabilità generale, e che si compone in
un ventaglio di proposte che, nella loro composita varietà,
comunicano tra loro secondo il principio delle attrazioni,
generando nell’insieme un discorso ancora più ampio, più dinamico e
sfaccettato. Numeri record quest’anno alla SIC, che accoglie come
sempre 7+2 titoli –scelti tra i quasi 700 considerati e provenienti
da ogni continente– dove la rappresentazione del mondo è declinata
attraverso i codici del cinema di genere e d’autore, con uno stile
realista, documentario, talvolta ironico, oppure in chiave
metaforica, attraverso il filtro del realismo magico. Nuove sfide
ci attendono, sia sul piano della realtà che sul fronte della
narrazione. Mentre osserviamo – senza pregiudizi, ma neppure
disattenti – le nuove frontiere dell’immagine, anche quelle
generate artificialmente dalle AI nelle sue prime convincenti
applicazioni (a prescindere dall’inderogabile accordo sui principi
etici e legislativi che ne dovranno disciplinare la produzione), ci
confrontiamo con un presente schizofrenico, eppure a suo modo
elettrizzante. Forse non necessariamente distruttivo, ma
potenzialmente rigenerante, o rigenerativo, in ogni caso
un’opportunità per ripensare, ancora, la storia e il futuro del
cinema. Sarebbe paradossale e bellissimo, se proprio alle porte
dell’inferno, quando ogni schema è caduto e tutto sembra indicare
che siamo ormai prossimi alla fine, riuscissimo invece a
trasformare la tempesta perfetta in un nuovo inizio. E quindi
rinascere. Rifondare. Anche attraverso l’immagine.
Beatrice Fiorentino
39° Settimana internazionale della critica – l’immagine
del 2024

Non è mai stato tanto difficile
guardarsi indietro. Tre anni fa uscivamo da una pandemia spaventosa
che ci aveva costretti tra le mura delle nostre abitazioni e
tornavamo ad abbracciarci, a toccarci, a vivere di nuovo
l’esperienza della sala cinematografica come qualcosa di importante
perché condivisa. Abbiamo ribadito l’anno successivo la voglia di
riprenderci tutto, di occupare spazi con sguardi sfidanti,
orgogliosi, fieri del nostro essere creature in eterno movimento.
Soltanto l’anno scorso, però, cercavamo già il ritorno a una
dimensione più intima e personale. A una narrazione che partisse
dal corpo e che al corpo tornasse, vedendolo come veicolo assoluto
di codici e racconti. E ora? Cos’è ora? Ma soprattutto, ora
quando?, se da ciò che è accaduto ieri sembrano già passati giorni,
fagocitati come siamo da informazioni che si sommano alle
precedenti, istante dopo istante, giungendo da ogni angolo del
globo e capovolgendo ogni illusoria stabilità. Annichiliti da un
mondo che sembra aver perso ogni umanità, senza alcuna certezza nel
domani, ci sfaldiamo, perdiamo le nostre fattezze, disfacendoci in
dubbi, paure e aria, in attesa della prossima tempesta che ci
spazzerà via. Intorno a noi, strade prive di cartelli o
indicazioni. Poca luce. Solo la consapevolezza che la natura
resterà a guardare tutto quel che ci accadrà, sopravvivendoci. E
dopo?
Grande è la confusione
sotto il cielo. La situazione, forse, non è del tutto
eccellente.
Mauro Uzzeo
A volte, per andare avanti, c’è
bisogno di togliere. Graffiare lo strato superficiale, andare a
fondo. Cercare le forme nude, scarne, distruggere per poi
ricostruire. E continuare a muoverci, senza fermarci, fino al cuore
della tempesta. Ci piace l’idea di unire i linguaggi: l’abbiamo
fatto con il cinema, il disegno, la fotografia. Questa volta
abbiamo avuto voglia di cercare i colori dentro strutture
primitive, in contrasto col mondo che, mai come in questi ultimi
anni, ci offre uno spettacolo giornaliero di bellezza levigata e
smussata. Così abbiamo lasciato correre i pensieri dentro
l’immagine, centrifugando la figura, storcendola, sporcandola,
perché ci è sembrato un buon modo di raccontare il presente. Se
quello che abbiamo intorno è incerto, è proprio dall’incertezza che
bisogna ripartire.
Emiliano Mammucari