Nella giornata del 16
marzo 2021, l’Università
IULM di Milano ha tenuto un convegno
su C’era una volta in America, il
capolavoro del regista Sergio
Leone. L’incontro, aperto agli studenti e a tutta
la cittadinanza, ha visto la partecipazione di tante personalità
legate al regista e al lungometraggio: tra gli altri, la figlia del
maestro, Raffaella Leone, lo sceneggiatore
Franco Ferrini, l’attore del giovane
Noodle Scott Schutzman. Vediamo nel
dettaglio gli argomenti più interessanti che sono stati trattati
durante l’evento!
Perché parlare oggi di C’era una
volta in America?

È il terzo capitolo della ”trilogia
del tempo”. Dopo
C’era una volta il West (1968) e
Giù la testa (1971), Sergio Leone
dedica per dieci anni anima e corpo alla creazione di un’opera
mastodontica che, nella sua testa, sarebbe dovuta durare 5 o 6 ore.
Il pioniere degli
spaghetti-western, accantona il genere che l’ha reso
celebre al grande pubblico per creare un
gangster movie ambientato a New York.
Partendo dal romanzo The
Hoods di Harry Grey, Leone
mette in scena la storia della vita di David ”Noodles”
Aaronson, un ebreo povero dei quartieri bassi di Manhattan che
diventa fin da piccolo un criminale per necessità. Il film percorre
quarant’anni di vita (e di storia), passando dal proibizionismo
degli anni Venti al clima del tardo dopo-guerra degli anni
Sessanta.
C’era una volta in America: la
trama
Il film parla di amicizia, di
disperazione e, soprattutto, di tempo. I tempi del film sono tre e
– nella versione distribuita fuori dagli Stati Uniti – vengono
continuamente mescolati. Nel 1920 Noodles (Scott
Schutzman) è un adolescente, già membro di una baby-gang
con i suoi quattro amici: Max, Patsy,
Cockeye e Dominic. Noodles
è piccolo, ma vive già emozioni forti come l’amore, l’odio e
il lutto. Negli anni Trenta Noodles (Robert
De Niro) è un giovane criminale che, dopo aver perso i
suoi amici nell’ennesima lotta di quartiere, fugge da New York per
cambiare vita. Nel 1968 Noodles è ormai
ultrasessantenne. Torna a New York perché è stato invitato dal
rabbino locale: deve trasferire le salme degli amici morti
trent’anni prima.
Quando arriva in città,
Noodles scopre che in realtà l’azione è già stata compiuta
da un ignoto benefattore. Il fatto viene interpretato dal
protagonista come il richiamo da parte di un vecchio nemico: non
può far altro che accettare la sfida e scoprire chi (e perché) lo
sta cercando…
Un oggetto di culto

Ad aprire il convegno è il critico
cinematografico e rettore dell’Università IULM Gianni
Canova. Per prima cosa, spiega quanto il film
sia un oggetto di culto, soprattutto per la sua
generazione. Ricorda il ruolo di
C’era una volta in America anche per la
rivista di cinema Duel, in cui Canova stesso si è formato
e da cui sono uscite importanti personalità dell’odierna critica
cinematografica: ”Il numero uno del 1993 aveva in copertina un
volto molto leoniano, Clint Eastwood, il
titolo era Duel, anch’esso molto leoniano, e l’esergo
dell’editoriale del primo numero era: cosa avete fatto in
tutti questi anni? Siamo andati a letto
presto”. Canova spiega poi come il
film di Sergio Leone sia
un’opera-mondo, un’opera che non solo costruisce
un mondo ma che ci aiuta anche a vivere meglio nel nostro
mondo.
”Cosa hai fatto in tutti questi
anni?” ”Sono andato a letto presto”
La famosa frase che Noodles
dice a Fat Moe quando torna a New York è solo una degli
elementi iconici di C’era una volta in America. Il
film ha segnato la storia del cinema, in particolare il genere dei
gangster movies. Le vicissitudini legate alla produzione,
le interpretazioni della pellicola, le leggende e le verità che
circolano attorno all’ultimo grande film di Sergio
Leone continuano ad affascinare: ecco perché si è scelto
di fare un convegno interamente dedicato al lungometraggio.
Il tempo costruito

Fuori e dentro la pellicola,
C’era una volta in America è un film che ha a che
fare con il tempo. Noodles, tornando a New York dopo 35
anni, si trova a fare i conti con il suo passato: i ricordi
d’infanzia, l’amicizia, i dolori. Attorno al personaggio degli anni
Sessanta il tempo si sgretola. Come dice anche Deborah,
suo amore giovanile: ”Siamo due vecchi, Noodles: l’unica cosa
che ci resta è qualche ricordo”.
La pellicola, nella versione
originale gioca tantissimo con il tempo, lo sfrutta ai fini
drammatici. Lo sceneggiatore Franco Ferrini spiega
il senso del tempo, in particolare nella scena in cui Fat
Moe e Noodles si rincontrano: De
Niro arriva nel bar e porta un oggetto in particolare, la
chiave del vecchio pendolo. È come se il tempo, dopo la partenza di
Noodles, non fosse mai passato: riparte nel momento del
ritorno. A decadere non è solo il tempo del protagonista, ma anche
il tempo storico: quello di C’era una volta in
America è un mondo che, cadendo dopo la seconda guerra
mondiale, vuole portare tutto e tutti con sé.
Il tempo distrutto
Anche a livello di produzione, la
”questione tempo” è rilevante. Ci sono voluti dieci anni per
realizzare il film e, alla fine, ne sono uscite più versioni. Per
questioni commerciali, in America la pellicola è uscita mutilata:
139 minuti di un film riorganizzato in ordine cronologico. A
raccontare della produzione – e di come è stata vissuta da
Sergio – c’è Raffaella Leone,
figlia del grande regista e aiuto costumista sul set del film.
”Io dico sempre che C’era una volta in America
è stato per dieci anni il nostro quarto fratello.” Per
Sergio Leone la versione americana non è mai
esistita: ”Mio padre ha tolto il nome, non ha mai voluto
vederlo, è stato per lui una ferita, un’amputazione.”
Raffaella Leone
svela anche alcuni dettagli su Sergio: ”Mio
padre per dieci anni ha inseguito questo sogno, per dieci anni non
ha lavorato a nessun film. Per me vederlo sul set è stata una
doppia rivelazione: di lui come regista e di lui come persona. Ho
scoperto lati di papà che nella vita erano difficili da
individuare. Se nella vita mio padre era un uomo pigro, come i suoi
film, sul set era un’altra persona, molto attivo”.
E aggiunge, con nostalgia: ”Sul
set mio padre era felice, come un bambino in un negozio di
caramelle, si accendeva. Era il momento in cui riusciva a esprimere
ciò che aveva sognato e immaginato.”
Le tre versioni
Totalmente spersonalizzato e privo
di senso, il lavoro di Leone non ottiene successo
negli Stati Uniti. Fortunatamente, fuori dagli
States C’era una volta in America ha avuto la
gloria meritata. In ambito internazionale, il film è uscito in una
versione da 219 minuti che rispetta il plot pensato dal regista e
dagli sceneggiatori.
Dopo un primo montaggio,
Leone aveva considerato anche l’ipotesi di
pubblicare una versione da 6 ore, divisa in due parti: anche nel
film internazionale quindi, mancano numerose scene. Le
sequenze tagliate non sono state distrutte, ma sono state
conservate in modo piuttosto scarno, non doppiate e non montate,
fino al 2011. Con l’acquisto dei diritti del film per l’Italia da
parte dei figli del regista, C’era una volta in
America trova nuova vita: viene fatto restaurare dalla
Cineteca di Bologna e, grazie al restauro, vengono recuperati anche
26 minuti di girato presenti nel primissimo montaggio. Nel 2012
viene quindi presentato a Cannes l’extended
diector’s cut, un film lungo 246 minuti.
Le scene inedite

Al convegno tenuto in
IULM si è parlato anche di queste scene
tagliate (e poi ricucite). Piero Neri Scaglione,
autore del libro Che fine hai fatto in questi anni, ha
presentato insieme a Massimo Rota,
giornalista critico cinematografico, sei sequenze inedite del film,
tratte dalla versione estesa. Tra queste, c’è l’incredibile scena
all’interno della cripta del cimitero, essenziale per capire il
senso del film. La sequenza permette infatti a Noodles di
scoprire che i corpi dei suoi amici sono stati spostati da qualcuno
a suo nome, una persona che conosce la sua identità.
Scaglione e
Rota fanno quindi luce sull’impresa del regista,
sulla maestosità del progetto e sull’enorme quantità di girato: si
è parlato, ironicamente, di 22 mila metri di pellicola.
”Leone diceva di avere parti della pellicola
anche sotto il suo letto”.
Le musiche di Ennio Morricone:
scheletro di C’era una volta in America
Non si può parlare del
film senza citare l’incredibile colonna sonora di
Ennio Morricone. A raccontare della musica è
il compositore Alessandro De Rosa, autore del
libro Ennio Morricone. Inseguendo quel sogno. ”Se
penso a C’era una volta in America penso
all’amicizia, al tradimento, all’amore, alla morte, alle memorie,
allo sgretorarsi come statue di sale”.
Il film, spiega De
Rosa, è costituito principalmente da temi musicali duali,
che creano conflitto dentro e fuori dal film. Un gioco di
dimensioni in cui le musiche esprimono ed esaltano concetti,
legittimando la storia. ”Anche tutti i personaggi sono animati
da una forza duale: sono poca cosa nel presente, ma stanno puntando
a qualcosa di più alto e più grande.”
I temi musicali del film
I temi che guidano C’era una
vita in America sono tre e sono temi musicali quanto
narrativi. Il tema dell’amicizia, che è quello
principale, il tema poverty, della povertà, e il
tema di Deborah, la musa, la donna irraggiungibile
per Noodles. Questi temi, nella lunga durata del film,
s’incastrano e mescolano tra loro, per dare senso e intensità.
Dice De
Rosa: ”La musica si sostituisce al dialogo. Entra
ed esce dal film, passa dalla dimensione dietetica a quella
extradiegetica.” Si passa dal flauto di pan suonato da
Cockeye, all’orchestra extradiegetica, alle note scordate
di un pianoforte. Tutto è estremamente evocativo. Il ricordo,
l’amicizia, la povertà e l’amore sono le emozioni che dominano il
film e la musica ne è la cassa di risonanza. La musica,
specialmente quella di Morricone, ha
potere ”La musica può guidare le azioni di un gruppo, può
coordinare i movimenti di camera, … è tra le persone che lavorano
al film.”
Tutti gli ospiti della
giornata

La cittadinanza e gli studenti hanno
potuto quindi interfacciassi con tante personalità legate a
C’era una volta in America: oltre ai personaggi
già nominati, sono intervenuti Steve Della Casa,
critico cinematografico e direttore del Torino Film
Festival, la costumista del film Gabriella
Pescucci, Scott Schutzman, l’interprete
del giovane Noodles e lo scrittore Paolo
Cognetti.
Il dialogo è stato ricco di passione
e senza dubbio arricchente per tutti i presenti. Gli aneddoti
curiosi e le nozioni più tecniche si sono susseguiti nel corso
della giornata, fornendo tanti spunti di riflessione per i cinefili
e generando curiosità per chi ancora non avesse visto il film.
Eventi come questo organizzato dall’Università
IULM permettono anche ai più giovani di scoprire e
riscoprire i capolavori del secolo scorso: speriamo che, per una
sera, qualche Noodles di oggi scelga di ”non andare a
letto presto” per guardare C’era una volta in
America.