Sarà presentato oggi in concorso a
Venezia77 Nuevo Orden diretto da Michel Franco con
protagonisti Naian González Norvind Diego Boneta,
Mónica del Carmen, Fernando Cuautle, Darío Yazbek,
Roberto Medina, Patricia Bernal, Lisa Owen, Enrique Singer, Eligio
Meléndez, Gustavo Sánchez Parra.
Nuevo
Orden propone una visione distopica del Messico, che
tuttavia si discosta solo leggermente dalla realtà. La
disparità sociale ed economica è attualmente sempre
più diffusa e insostenibile. Non è la prima volta che un
simile scenario si presenta nel Paese e i governi corrotti hanno
sempre risposto con violenza dittatoriale a qualsiasi forma di
protesta. Questo film vuole essere un monito: se la diseguaglianza
non viene risolta civilmente e se le voci del dissenso vengono
messe a tacere, ne deriva il caos.
Nuevo Orden, la trama
In questo
affascinante dramma distopico ricco di suspense, uno sfarzoso
matrimonio dell’alta società viene mandato a monte da una
rivolta inaspettata, scaturita dal confitto sociale che dà il
via a un violento colpo di stato. Attraverso gli occhi della
solidale giovane sposa e dei domestici che lavorano per e contro la
sua abbiente famiglia, Nuevo Orden descrive a
rotta di collo la caduta di un sistema politico e la nascita di uno
ancora più angosciante.
Da sempre celebrata come una delle
attrici più importanti e talentuose della storia, Anna
Magnani ha fatto del proprio volto un marchio di fabbrica
unico, divenuto tanto un simbolo del cinema italiano quanto della
romanità. Protagonista di alcuni tra i più grandi capolavori del
cinema nazionale, la Magnani ha ricevuto riconoscimenti da ogni
parte del mondo, venendo apprezzata tanto per la sua femminilità
quanto per la sua grinta unica.
Ecco 10 cose che non sai di
Anna Magnani.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Anna Magnani: la sua
filmografia
10. Ha recitato in celebri
film del cinema italiano. La Magnani inizia la propria
carriera nel corso degli anni Trenta, prendo parte a diversi film
con ruoli di contorno. Il primo grande successo arriva grazie a
Teresa Venerdì (1941), di Vittorio De
Sica. Da quel momento acquista sempre maggior popolarità
con film come L’avventura di Annabella (1943), Campo
de’ fiori (1943) e Roma città
aperta (1945), di Roberto
Rossellini, che la consacra. Successivamente, ricopre
ruoli importanti in Il bandito (1946), L’onorevole
Angelina (1947), L’amore (1948), Bellissima
(1951), La carrozza d’oro (1952), Siamo donne
(1953). Con La rosa tatuata (1955), inizia anche la sua
carriera internazionale, seguita da Selvaggio è il vento
(1957) e Pelle di serpente (1959). Torna poi in Italia
per Risate di gioia (1960), Mamma
Roma (1962) e Roma (1969),
di Federico
Fellini.
9. Ha vinto il premio
Oscar. Ormai celebre in Italia come all’estero, la Magnani
viene chiamata a recitare nel film La rosa tatuata,
scritto appositamente per lei da Tennesse
Williams. Per l’attrice si trattò della prima prova di
carattere internazionale, e il risultato fu clamoroso. Nonostante
le difficoltà linguistiche, la Magnani diede vita ad una
performance unica, che la portò nel 1956 a vincere il premio Oscar
per la miglior attrice protagonista. Ottenendo tale riconoscimento,
è diventata la prima attrice non di lingua a inglese a vincere il
prestigioso premio. La Magnani venne poi nuovamente nominata nel
1958 per il film Selvaggio è il vento.
8. Recitò anche per la
televisione. Nel corso della sua carriera, la Magnani non
si era mai lasciata conquistare dalla televisione, da lei guardata
sempre con sospetto. Cambia tuttavia idea nel 1971, quando accetta
di recitare in un ciclo di tre piccoli film intitolato Tre
Donne, la cui colonna sonora originale venne composta da
Ennio
Morricone. Dato il successo del progetto, la Magnani
prese parte ad un successivo film intitolato Correva l’anno di
grazia 1870, dove recita insieme a Marcello
Mastroianni. Il titolo, per una sfortunata coincidenza,
andò in onda proprio nel giorno della morte dell’attrice.
Anna Magnani canta ‘O surdato
‘nnamurato
7. Ha reso famosa la
celebre canzone napoletana. Nel primo dei film che
compongono il ciclo di Tre Donne, intitolato La
sciantosa, la Magnani interpreta Flora Bertuccioli, diva ormai
anziana e sul viale del tramonto che si ritrova a cantare per i
soldati al fronte. Nel momento in cui si ritrova davanti a tale
pubblico, però, si rende conto della loro difficile situazione.
Rifiuta pertanto di cantare la marcia militare e intona piuttosto
‘O surdato ‘nnamurato. La versione cantata dalla Magnani
del celebre brano napoletano è così divenuta una delle più celebri,
ancora oggi ricercata e ascoltata.
Anna Magnani a Furore
6. Ha reso celebre una
località della Campania. Nel 1948 l’attrice è protagonista
assoluta del film ad episodi L’amore. Il secondo dei
due, intitolato Il miracolo, è stato ambientato al Fiordo
di Furore, alle porte della Costiera Amalfitana. Considerato uno
dei luoghi più belli da visitare in Campania, questo è stato così
reso ulteriormente celebre e ricercato per via della presenza lì
della Magnani. L’attrice, inoltre, all’epoca viveva una burrascosa
storia d’amore con Rossellini, regista del film, e le loro vicende
in quei luoghi sono ancora oggi tramandate da quanti ebbero modo di
incontrarli.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Anna Magnani: la sua vita privata
e il figlio
5. Ebbe un figlio da un suo
collega. Nel 1942 l’attrice diede alla luce il suo unico
figlio, Luca, avuto dalla sua relazione con l’attore Massimo
Serato, il quale però la abbandona nel momento in cui scopre della
gravidanza. La Magnani, però, non si lascia abbattere da ciò, e
anzi riesce ad imporre il proprio cognome al figlio, portando
avanti una tradizione di famiglia. Infatti, anche sua madre Marina
fece lo stesso con lei, dando vita ad un raro caso di genealogia
matrilineare protrattosi per tre generazioni.
4. È nota la sua relazione
con Roberto Rossellini. Recitando nel film Roma città
aperta, la Magnani ha modo di conoscere il regista
Roberto Rossellini, considerato uno dei padri del
Neorealismo. Tra di loro nasce così una relazione sentimentale,
considerata una delle più importanti per le vite di entrambi. Il
loro rapporto li porta così a lavorare nuovamente insieme per il
film L’amore, ma si interrompe bruscamente nel momento in
cui Rossellini lascia la Magnani per l’attrice Ingrid
Bergman. Tuttavia, verso il finire della vita di lei, i
due si riavvicinano. Rossellini, infatti, fu presente accanto alla
Magnani sino al momento della sua morte.
Anna Magnani: la malattia e la
morte
3. Si ammalò
gravemente. L’attrice si è spenta a Roma il 26 settembre
del 1973, all’età di soli 65 anni, per via di un tumore al pancreas
contro il quale aveva combattuto nel periodo precedente. La sua
morte ha commosso il mondo intero, e numerosi sono stati i tributi
nuovamente a lei dedicati, dove veniva esaltata la sua forza di
carattere e il suo indiscusso talento. La Magnani oggi riporta nel
piccolo cimitero di San Felice Circeo, in provincia di Latina, nei
pressi della sua villa del Circeo.
Anna Magnani: le rughe
2. Il suo volto era motivo
d’orgoglio. La Magnani, contrariamente a molte attrici del
suo tempo, rifiutò sempre di ritoccare il proprio viso, facendo di
esso un vero e proprio vanto. Dimostrando un coraggio ancora oggi
raramente eguagliato, la Magnani non ha mai accettato che le
proprie rughe venissero considerate un segno di bruttezza,
indicando invece in esse la forza della propria espressività e
delle proprie emozioni. Celebre è inoltre la sua frase
“lasciatemi tutte le rughe, non me ne togliete neanche una. Ci
ho messo una vita a farmele venire”.
Anna Magnani: le frasi
1. Le sono attribuite
celebri citazioni. La Magnani è sempre stata una donna
dalle forti passioni, che ha saputo perfettamente racchiudere in
frasi divenute oggi iconiche. Oltre al celebre aforisma riguardante
le rughe, si annoverano diverse altre citazioni in grado di
raccontare perfettamente l’attrice e il suo animo. Ecco di seguito
alcune delle frasi più celebri della Magnani.
“È così ingiusto morire, dal momento che siamo
nati.“
“Ho capito che ero nata attrice. Avevo solo deciso di
diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di
meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per questa
lacrima, ho implorato questa carezza. Se oggi dovessi morire,
sappiate che ci ho rinunciato. Ma mi ci sono voluti tanti anni,
tanti errori.”
“Il fatto è che le donne come me si attaccano soltanto agli
uomini con una personalità superiore alla loro: e io non ho mai
trovato un uomo con una personalità capace di minimizzare la
mia.”
“L’importante è non avere le grinze al cervello. Quelle in
faccia prima o poi t’aspettano al varco.”
Affermatasi negli anni Ottanta e
Novanta grazie ai film romantici a cui ha preso parte, l’attrice
Meg Ryan è ancora oggi una vera e propria icona,
simbolo di storie che hanno fatto sognare generazioni e generazioni
di spettatori. Brillante, carismatica e ricca di talento, la Ryan
vanta dunque una carriera ricca di successi, che le hanno permesso
di collaborare con alcuni dei maggiori attori e registi di
Hollywood. Ruolo dopo ruolo, ha consolidato il proprio status
all’interno dell’industria, dando vita a personaggi femminili
ancora oggi insuperati.
Ecco 10 cose che non sai di
Meg Ryan.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Meg Ryan: i suoi film e le serie
TV
10. Ha recitato in celebri
lungometraggi. L’attrice debutta sul grande schermo con il
film Ricche e famose (1981), per poi ottenere subito
grande popolarità grazie a Top Gun (1986), con Tom
Cruise, Salto nel buio (1987) e Harry, ti presento
Sally… (1989), con cui si consacra agli occhi del pubblico
e dell’industria. Da quel momento recita così in popolari titoli
come The Doors (1991), Insonnia d’amore (1993),
con Tom
Hanks, Amarsi (1994), French Kiss
(1995), Innamorati cronici (1997), City of Angels – La
città degli angeli (1998), con Nicolas
Cage, C’è posta per te (1998), Avviso di
chiamata (2000), di Diane
Keaton, Kate & Leopold (2001), con Hugh
Jackman, In the Cut (2003), Il bacio che
aspettavo (2007), The Women (2008), con Annette
Bening, e Ithaca – L’attesa di un ritorno
(2015).
9. È anche regista e
produttrice. Nel corso della sua carriera la Ryan ha
deciso di non distinguersi soltanto per la sua attività
d’interprete, desiderando cimentarsi anche come regista e
produttrice. L’occasione di debuttare dietro la macchina da presa
arriva nel 2015 con il film Ithaca – L’attesa di un
ritorno. Ad oggi si tratta dell’unica attività da regista per
la Ryan. Maggiore è invece il numero dei film da lei prodotti,
alcuni dei quali la vedono anche come protagonista. Tra questi si
annoverano French Kiss, Northern Lights, Lost Souls – La
profezia e Prima o poi mi sposo, con JenniferLopez.
8. Ha ottenuto importanti
riconoscimenti. Con una carriera ricca di successi,
l’attrice vanta ad oggi tre nomination ai Golden Globe come miglior
attrice per i film Harry, ti presento Sally…, Insonnia
d’amore e C’è posta per te. Per il primo di questi
titoli è stata inoltre candidata al David di Donatello come miglior
attrice straniera. Ha poi ricevuto una nomination anche ai Sag
Awards per il film Amarsi, e ai Saturn Awards per City
of Angels. Pur non riportando vittorie, la Ryan ha avuto
comunque modo di affermarsi come una delle più apprezzate
interpreti della sua generazione, e nel 1994 è stata eletta donna
dell’anno e votata come una delle 50 persone più belle del mondo
dalla rivista People.
Meg Ryan in Top Gun
7. Ha intrapreso una
relazione sul set del film. Uno dei primi grandi titoli a
cui l’attrice ha partecipato è senza dubbio Top Gun. Qui,
nel ruolo di Carole, la Ryan ha intrapreso una relazione con
l’attore Anthony Edwards, che nel film interpreta il copilota Nick
“Goose” Bradshaw. I due mantennero la loro storia piuttosto
riservata e lontana dai riflettori, ma la cosa non durò comunque
molto. Dopo solo un anno i due resero noto il fatto di essersi
separati, cosa forse causata dall’incontro della Ryan con l’attore
Dennis
Quaid, poi divenuto suo marito.
Meg Ryan in C’è posta per te
6. Ha lavorato in una vera
libreria per prepararsi al ruolo. In uno dei titoli più
famosi della sua carriera, C’è posta per te, l’attrice
recita nel ruolo di Kathleen Kelly, la quale gestisce una piccola
libreria per bambini ereditata dalla madre. Per prepararsi a tale
ruolo, l’attrice, su suggerimento della regista Nora
Ephron, decise di andare a lavorare in una vera libreria
di New York per prendere dimestichezza con il mestiere e potersi
calare meglio nei panni del suo personaggio. La libreria, dove la
Ryan ha lavorato per circa una settimana, è la Books of Wonder,
situata nel cuore di Manhattan.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Meg Ryan e Tom Hanks
5. Hanno recitato insieme
più volte. La carriera della Ryan si è più volte
incrociata con quella del premio Oscar Tom Hanks,
e i due hanno così avuto modo di recitare insieme in alcuni
classici degli anni Novanta. Il primo di questi titoli è Joe
contro il vulcano, commedia dove i loro personaggi finiscono
con l’innamorarsi perdutamente. Cosa molto simile avviene anche in
Insonnia d’amore, dove i loro personaggi intraprendono una
struggente relazione a distanza. Il loro terzo film è poi C’è
posta per te, e anche in questo caso finiscono con il dar vita
ad un’insolita coppia.
4. Ha voluto l’attore per
il suo primo film da regista. Nel 2015 la Ryan decide di
debuttare alla regia del suo primo film, Ithaca. Per
l’occasione, l’attrice affermò il desiderio di circondarsi di
colleghi che fossero anche amici fidati, con i quali avrebbe potuto
sentirsi rassicurata nel corso di quella nuova avventura. Fu così
che la Ryan chiamò proprio Hanks, per fargli ricoprire un ruolo di
rilievo nel film. I due ebbero così modo di riunirsi dopo più di
quindici anni dal loro ultimo film insieme.
Meg Ryan: marito e figlio
3. Era sposata con un noto
attore. Sul set del film Salto nel buio, nel
1987, l’attrice ebbe modo di conoscere il collega Dennis
Quaid. I due strinsero da subito un profondo legame,
intraprendendo una solida relazione sentimentale. Dopo diversi
anni, i due sembravano pronti al matrimonio, ma la Ryan affermò che
avrebbe sposato l’attore solo se questi si fosse disintossicato da
droga e alcol. Per amore, Quaid si sottopose così a tale
riabilitazione, e i due arrivarono così a sposarsi il 14 febbraio
del 1991. Tuttavia, nel luglio del 2001 la coppia ha annunciato il
loro divorzio.
2. Suo figlio ha seguito le
sue orme. Dal matrimonio con Quaid l’attrice ha dato alla
luce, nell’aprile del 1992, il figlio Jack. Crescendo, questi
decise di seguire le orme dei genitori e diventare a sua volta un
attore. Debuttò nel 2012 nel film Hunger Games nel ruolo
di Marvel. È poi nota anche la sua
collaborazione con la madre, la quale l’ha voluto nel suo film
d’esordio alla regia, Ithaca, dove gli ha affidato il
ruolo di Marcus Macauley.
Meg Ryan: età, altezza e cosa fa
oggi
1. Meg Ryan è nata a
Faifield, nel Connecticut, Stati Uniti, il 19 novembre del
1961. L’attrice è alta complessivamente 173 centimetri.
Recentemente, l’attrice ha confermato la sua intenzione di
ritirarsi dalla recitazione, e negli ultimi anni le sue apparizioni
si sono infatti di molto diradate. Oggi, la Ryan è principalmente
concentrata sulla sua nuova carriera da regista e
sceneggiatrice.
Sarà presentato oggi fuori concorso
a Venezia77Run Hide Fight, il
film diretto da Kyle Rankin e prodotta da
Dallas Sonnier e Amanda Presmyk.
Protagonisti sono Thomas Jane, Radha Mitchell, Isabel May,
Eli Brown, Olly Sholotan, Treat Williams, Barbara Crampton, Britton
Sear, Cyrus Arnold, Catherine Davis e Joel Michaely.
Ho scritto Run
Hide Fight per affrontare la mia paura e
impotenza di fronte alle sparatorie di massa. Il mio intento non
è mai stato quello di sfruttare il dolore di qualcuno, ma
quello di dar vita a un confronto civile sulle armi in America. Il
film non è concepito né a favore né contro le armi,
in modo da incoraggiare un dialogo anziché una divisione,
soprattutto tra amici che hanno visioni opposte su un tema
complesso come questo. Spero che guardando il film, il pubblico
pensi a quali scelte farebbe e chi vorrebbe essere se si trovasse
nella posizione di Zoe. In definitiva, il film vuole essere
emotivamente vero e lasciare agli spettatori un ricordo che sembri
quasi il loro.
Run Hide Fight, la trama
Zoe Hull, diciassettenne, ha delle questioni
irrisolte. Non ha ancora superato la recente morte di sua madre e
talvolta le parla come se fosse ancora viva. Non sopporta suo
padre, un ex-militare, per la sua apparente mancanza di emozioni,
ma ogni giorno indossa la sua giacca dell’esercito come fosse
un’armatura. Il suo migliore amico, Lewis, le ha appena chiesto di
accompagnarlo al ballo di fine anno, perché vorrebbe che la
loro relazione diventasse qualcosa di più di quanto lei sia in
grado di gestire. Tutto ciò che Zoe vuole è passare le
poche settimane conclusive del suo ultimo anno di scuola e
andarsene al college per cominciare una nuova vita. Invece, la sua
scuola viene attaccata da quattro studenti nichilisti e armati, che
hanno intenzione di trasformare il loro assedio nella peggior
sparatoria scolastica della storia. Gli assassini prendono
velocemente il controllo della situazione e puntano le armi contro
i sopravvissuti per radunarli insieme, trasformando una sparatoria
in un sequestro di ostaggi e tenendo la polizia a debita distanza.
Il capobanda, Tristan, registra gli eventi in diretta livestream,
ottenendo la fama mondiale che desidera. Utilizzando le tecniche
che il padre le ha insegnato, Zoe riesce a fuggire, ma rischia la
vita per tornare all’interno della scuola. Senza avere un piano,
guidata dall’istinto, salva chi può, fino a rendersi conto di
essere pronta non solo ad aiutare gli altri a fuggire e
nascondersi, ma ad affrontare gli assassini e combattere.
Arriva su Netflix il 10 settembre
Julie and the Phantoms, una nuova serie musicale a
target giovanile che si avvale di un nome di grande fama e
prestigio: Kenny Ortega. Per chi non conoscesse il
regista e coreografo, si tratta della mente dietro al successo
planetario di
High School Musical e
Descendants e che qui si ritrova ad aver a che fare
con musica, scuola e adolescenti. La serie è ispirata ad un
prodotto brasiliano, Julie and the Phantoms, è
stata creata Dan Cross e Dave Hoge (I Thunderman), diretta da Kenny
Ortega, Paul Becker (Descendants, Mirror Mirror), Kristin Hanggi e
Kabir Akhtar, mentre le coreografie sono state curate da Ortega
stesso e Paul Becker.
Julie and the Phantoms la storia
La storia parte dal 1985: i Sunset
Curves, il chitarrista e compositore Luke, interpretato da Charlie
Gillespie, il batterista Alex, interpretato da Owen Patrick Joyner,
e il bassista Reggie, interpretato da Jeremy Shada, sono una band
emergente, che perde tragicamente la vita in un incidente. Saltiamo
poi in avanti, fino al 2020, e siamo con Julie (Madison Reyes), una
ragazzina orfana di madre, che per il dolore della perdita non
riesce più a coltivare la passione che la legava proprio alla
mamma: la musica. In un momento di sconforto, mentre rovista tra le
cianfrusaglie della madre, in garage, trova in CD dei Sunset
Curves; inserendo il CD nel lettore, quella che sembra essere una
magia fa materializzare i tre ragazzi nel suo garage: sono
fantasmi. Scopriamo poi che Julie è l’unica che può vederli e che,
quando suonano tutti insieme, lo diventano magicamente visibili a
tutti, come fossero il gruppo di sfondo e Julie la frontgirl. Con
la complicità della sua più cara amica, Julie fonda la sua band:
Julie and the Phantoms.
La serie si sviluppaseguendo le
declinazioni che assumono la passione per la musica e l’importanza
dell’amicizia, entrembi i temi diventano fondamentali per la
protagonista che impara anche a conoscersi meglio attraverso questo
buffo terzetto di fantasmi adolescenti. Sarà infatti la musica e il
sostegno di questi nuovi insoliti amici a permetterle di trovare il
coraggio di superare la morte della madre e soprattutto di trovare
la propria voce.
Non mancano, come ogni serie a terget giovanile, le linee narrative
romantiche, i personaggi stereotipati, come la reginetta un po’
bulla o il belloccio stupido. Tuttavia la nostra protagonista
rifugge dagli schemi e dai cliché. Julie non è la classica
emarginata imbranata, è una ragazza volitiva, amata, caparbia, il
suo abbigliamento è vivace e vistoso, non ha problemi a farsi
riconoscere e quando trova la propria voce diventa un vero e
proprio vulcano.
La colonna sonora di Julie and the
Phantoms
A fare da pilastro a tutta la serie
c’è naturalmente la colonna sonora. Scritta e prodotta dalla DJDTP,
la colonna sonora funge da vero e proprio strumento narrativo,
utilizzando molte canzoni come device narrativi, grazie alle quali
la storia procede o, in altri casi, attraverso le quali la storia
si spiega. Anche i generi spaziano nell’ambito di ritmi
orecchiabili più o meno cool, dal pop rock commerciale, che
rappresenta meglio la musica di Julie al K-pop in salsa
occidentale, per Carrie, la reginetta della scuola. Tutte le
canzoni sono fatte per entrare nella testa dei giovani spettatori e
non uscirne mai più.
Una vera e propria apoteosi dei
buoni sentimenti, Julie and the Phantoms è un
prodotto di ottima qualità nel genere musicale per i più piccoli, è
scritto con sufficiente arguzia e promette di mietere parecchie
vittime, soprattutto tra il pubblico femminile.
Si intitola
Spaccapietre il nuovo film dei Fratelli De
Serio, selezionato nel Concorso di Giornate degli Autori,
unico italiano in gare, che si fregia di una delle migliori
interpretazioni di Salvatore Esposito e
dell’esordiente e fulgido talento di Samuele
Carrino.
Giuseppe è uno spaccapietre, come
suo nonno e suo padre prima di lui, lavora in una cava, ma, quando
rimane ferito ad un occhio e lo perde, non può più occuparsi della
famiglia; così tocca alla moglie uscire e lavorare. Fa la
bracciante, sfruttata e sottopagata, in condizioni così precarie
che la sfibrano e la uccidono. Così Giuseppe si trova a doversi
occupare da solo e menomato di un bimbo, Antonio, vivace e dolce,
che sogna di fare il paleontologo perché è appassionato di
dinosauri. Alla sua vecchia cava non lo possono riassumere, così
l’uomo si rivolge ai datori di lavoro di sua moglie: sarà l’inizio
d un incubo. Giuseppe e Antonio diventano anche loro braccianti, e
toccano con mano la difficoltà e la sofferenza, la bassezza in cui
sono spinti a vivere coloro che non possono fare altro che questo
lavoro, reso brutale da chi possiede quelle terre in cui loro
sudano e talvolta muoiono.
Salvatore Esposito è il cardine di Spaccapietre
Gianluca e Massimiliano De
Serio raccontano una realtà cruda, brutale, cattiva,
sembrano voler puntare il dito contro certe realtà che esistono
realmente, ma sembrano anche offrire allo spettatore un monito, un
avvertimento, un invito alla compassione. Cardine solido intorno a
cui ruota tutto il film è Salvatore Esposito. Il ragazzone di
Gomorra – La Serie è diventato un uomo, ora è credibile anche nei
ruoli di padre e il suo Giuseppe è davvero il cuore della
storia.
Una roccia agli occhi del figlio, un
uomo spezzato a quelli degli spettatori, il protagonista della
storia cerca di costruire intorno a suo figlio, sua unica ragione
di vita, un piccolo universo parallelo. Il lavoro diventa un gioco,
la madre morta una presenza angelica che tornerà, la passione per
la paleontologia una vero obbiettivo da perseguire. Giuseppe
continua a dedicare ad Antonio le attenzioni e i momenti di
dolcezza che costituivano la loro quotidianità, prima che tutto
andasse in pezzi, e nonostante l’inferno in cui entrambi sono
scivolati, prova con tutte le sue forze a conservare la purezza del
figlio.
Samuele Carrino, promettente giovane talento
Il piccolo Carrino non sfigura certo
accanto ad un sempre più maturo e credibile Esposito. Il suo
Antonio è sveglio, attento, consapevole eppure sempre ottimista,
non si permette mai di far capire al padre quanto soffre, accoglie
sempre con ottimismo le sue storie e cerca nel suo modo semplice e
fanciullesco, di dare leggerezza al padre. E i fratelli De Serio
riescono a mettere in quadro tutta questa ricca e disperata umanità
condendola con polvere sudore e fatica, tutto ciò che sentono i due
protagonisti.
Non c’è speranza o redenzione in
Spaccapietre, solo sofferenza che a volte sembra
anche fine a se stessa, accanimento che se da un lato sembra
gratuitamente crudele, dall’altro è senza dubbio una possibilità di
rimanere all’erta ed essere consapevoli di ciò che accade tutti i
giorni, mentre siamo distratti ad andare avanti con le nostre
banali e comode vite.
Uscirà e sarà spettacolare.
Presentato in
anteprima mondiale l’attesissimo trailer di Dune
il film di Denis Villeneuve, è stato accompagnato
da un Q&A con tutto il cast collegato via zoom. Le primi
immagini colpiscono subito per la spettacolarizzazione, rendendo
subito l’idea di ciò che ci aspetta, una pellicola in cui la
palette di colori è fondamentale, con la sabbia a fare da
protagonista, il fuoco e gli splendidi costumi degli attori. Il
suono è potente, un crescendo minaccioso si alterna ad una musica
di speranza mentre a piccole dosi ci vengono presentati gli attori
di questa storia che avrà ben due film.
Questa è la prima delle grandi
novità emerse durante l’incontro, la conferma ai rumors che davano
per certa la notizia della seconda pellicola. A confermarlo è
proprio il regista “ho deciso sin dall’inizio di fare due film,
sin da quando abbiamo parlato del progetto questa era una delle mie
condizioni. Il libro ha una storia troppo complessa e piena di
avvenimenti che non si potevano raccontare in una sola pellicola.
Devo dire che sono stati subito tutti d’accordo.” Che la
storia sia epica si sa, il libro uscito nel 1965 per mano di
Frank Herbert fu un successo senza precedenti,
tant’è che nel 1984 David Lynch ne fece un film,
di altrettanto successo.
“È una storia semplice in
realtà, ma racchiude in se tantissime cose. Il libro è ricco di
elementi di narrazione, sono affascinato dal racconto di questi
umani che devono imparare il loro destino per cambiare il mondo. Mi
sono sentito come chiamato in causa, dovevo fare questo film è
tutto una questione di fato e destino, come Dune.”Denis Villeneuve è un fan del romanzo di vecchia
data, l’acclamato regista di
Arrival e Blade Runner 2049, è abituato a doversi
confrontare con la pressione, questa volta poi ci sono così tante
persone ad attendere questo film che la curiosità è ancora di più:
“Certo che si avverte la pressione, quando ho fatto
Blade Runner sentivo di dover portare rispetto al
lavoro di Ridley Scott, qui è la stessa cosa per Lynch ma sono più
fiducioso perché sono stato un grande sognatore da piccolo e
conservo questo aspetto del mio carattere. So cosa vuole chi
aspetta questo film.”
La pellicola con protagonista, fra
gli altri, il lanciatissimo Timothée
Chalamet, uscirà il 17 dicembre e il regista non ha
dubbi riguardanti il giovane attore: “È uno dei migliori della
sua generazione. Avevo bisogno di qualcuno che avesse un grande
talento che sostenesse il film, ma allo stesso tempo che fosse
giovane. Nella pellicola vive moltissime vite ma rimane fresco, è
straordinario. Timothée ha un carisma fuori dal comune che si
associa a qualcosa di romantico nel suo viso, ed è solo nei suoi 20
anni, è tutto ciò di cui avevo bisogno.”
Dal canto suo Chalamet ha
dichiarato che all’inizio non è stato facile approcciarsi a questo
film: ”Sono entrato a far parte di un film così importante, con
un cast di attori straordinari e anche se mi sono sentito subito
protetto e supportato mi sono sentito intimorito ma anche ispirato.
Denis è così bravo in quello che fa, ognuno nel cast è incredibile
in quello che fa e vuole dare il meglio di se per il bene del
progetto. Poi girare nel deserto della Giordania ha sicuramente
aiutato ad immergermi in una realtà suggestiva, l’ambiente che ti
circonda entra a far parte di te ed è come un quadro.”
Cosa è successo a Olaf dal momento
in cui Elsa lo ha creato mentre cantava “All’Alba Sorgerò” e
costruiva il suo palazzo di ghiaccio e quando Anna e Kristoff
l’hanno incontrato per la prima volta nella foresta? E come ha
imparato ad amare l’estate? Le inedite origini di Olaf, l’innocente
e profondo pupazzo di neve amante dell’estate che ha fatto
sciogliere i cuori nel film di animazione premio Oscar del 2013
Frozen – Il Regno di Ghiaccio e nel suo acclamato sequel
del 2019, vengono rivelate nel nuovissimo cortometraggio dei Walt
Disney Animation Studios, La Storia di Olaf.
Il corto segue i primi passi di vita
di Olaf, alla ricerca della sua identità sulle montagne innevate
nei pressi di Arendelle. La Storia di Olaf è diretto da
Trent Correy (animation supervisor di Olaf in Frozen 2 – Il
Segreto di Arendelle) e Dan Abraham (story artist veterano,
autore degli storyboard della sequenza musicale di “Da Grande” di
Olaf in Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle) e
prodotto da Nicole Hearon (associate producer di Frozen 2 – Il
Segreto di Arendelle e Oceania) con Peter Del Vecho
(produttore di Frozen – Il Regno di Ghiaccio, Frozen 2
– Il Segreto di Arendelle).
“È un’idea che ha iniziato a
prendere forma quando lavoravo come animatore del primo
Frozen”, ha detto il regista Trent Correy. “Io e Dan
Abraham siamo così grati ed entusiasti di aver avuto l’opportunità
di dirigere questo corto, lavorando con i nostri incredibili
colleghi dei Walt Disney Animation Studios”.
Nella versione italiana del corto
l’attore e regista Enrico Brignano presta ancora
una volta la propria voce a Olaf, mentre l’attrice
e cantante Serena Autieri e l’attrice, cantante e
conduttrice televisiva Serena Rossi tornano ad
interpretare rispettivamente le sorelle Elsa e
Anna.
Il corto animato dei Walt Disney
Animation Studios La Storia di Olaf arriva in esclusiva su
Disney+ dal 23 ottobre 2020.
Sono state diffuse le prime
immagini ufficiali e la data d’uscita su Disney+ di The Mandalorian
2. La serie arriverà sulla piattaforma il prossimo 30
ottobre! Ecco di seguito le immagini:
The Mandalorian 2
è la seconda stagione della serie tv The
Mandalorian live action basata
sull’universo di Star
Wars prodotta dalla LucasFilm per la piattaforma
streaming Disney+.
Ambientata nell’universo di Guerre
stellari dopo le vicende de Il
ritorno dello Jedi e prima di Star
Wars: Il risveglio della Forza, racconta le avventure
di un pistolero mandaloriano oltre i confini della Nuova
Repubblica. Dopo la caduta dell’Impero, nella galassia si è diffusa
l’illegalità. Un guerriero solitario vaga per i lontani confini
dello spazio, guadagnandosi da vivere come cacciatore di taglie.
Ambientata dopo la caduta dell’Impero e prima della comparsa del
Primo Ordine, The
Mandalorian racconta le difficoltà di un
pistolero solitario che opera nell’orlo esterno della galassia,
lontano dall’autorità della Nuova Repubblica. La serie ha come
protagonista Pedro Pascal nei panni del Mandaloriano.
La
serie è prodotta e scritta da Jon
Favreau (già produttore de Il Re
Leone e delle saghe
di Avengers e Iron Man). Nel cast
anche Gina
Carano (Deadpool, Fast
and Furious); Carl Weathers (Apollo
Creed nella saga di Rocky), Nick
Nolte (Cape Fear, Il Principe delle
maree), Emily
Swallow (Supernatural, Le regole
del delitto perfetto), Taika
Waititi (premio Oscar 2019 per JoJo
Rabbit), Giancarlo
Esposito (Fa’ la cosa
giusta, Breaking Bad) e Omid
Abtahi (24, Homeland, Star
Wars: The Clone Wars).
The
Mandalorian, prodotta in esclusiva per Disney+ da Lucasfilm, è
la prima serie live-action di Star Wars e, nei suoi 8 episodi,
racconta vicende ambientate dopo la caduta dell’Impero, quando
nella galassia si è diffusa l’illegalità. Protagonista è un
guerriero solitario che vaga per i lontani confini dello spazio,
guadagnandosi da vivere come cacciatore di taglie. A
interpretarlo Pedro
Pascal (Game of
Thrones, Narcos).
Si fa sempre un gran parlare della
Magia del Cinema, ma in un momento in cui il solo poter raccontare
una Mostra del Cinema sembra un miracolo vedere resuscitati due
nomi come quelli citati dal titolo appare davvero come il più
riuscito degli incantesimi. L’Hopper/Welles
presentato a Venezia tra i Fuori Concorso non è altro che la
ripresa della conversazione svoltasi nel 1970 tra un
trentacinquenne Dennis Hopper e Orson Welles
durante una serata passata insieme dai due tra sigarette e gin
tonic a parlare di società, rivoluzioni e soprattutto – e
imprescindibilmente – cinema.
Impossibile non pensare
immediatamente all’incontro tra Alfred Hitchcock e François
Truffaut (raccontato in un celebre libro e nel
documentario di Kent Jones, presentato al Festival
di Cannes nel 2015). Un incontro diverso e più strutturato di
questo, che da subito prende una piega molto particolare e rivela
rapidamente uno squilibrio tra le forze in campo. Da un lato il
regista di Easy Rider, autore di uno degli esordi
più sorprendenti della Nuova Hollywood ed ex giovane ribelle,
dall’altro il grande Maestro di Quarto Potere, qui
anche regista del documentario realizzato durante le travagliate
riprese del suo ultimo L’altra faccia del vento
(The
Other Side of the Wind) e il complicato montaggio di
Fuga da Hollywood (The Last Movie) di Hopper.
Orson Welles, genio e
grande burattinaio
Difficile relegare una personalità
come quella di Welles a un cliché, figurarsi se una tale occasione
poteva vederlo semplice spettatore, intervistatore, regista.
Hopper, sullo schermo, lo definisce un Party, ma la sua
pare più una speranza malriposta, forse dettata dalla disperazione
di trovarsi sotto il fuoco di fila di una controparte dialettica di
rara entità, una personalità strabordante, che fuoriesce dallo
schermo e si materializza davanti alla macchina da presa, che pure
non lo mostra mai. Un colosso con il quale ogni scambio sembra
destinato a diventare tenzone, ogni incontro uno scontro. Ed è
interessante scoprire i diversi orientamenti, o le letture dello
spettacolo offerto: quello che per The Wrap è una sorta di Talk
Show, per Screen diventa una conversazione intima e rivelatrice… e
forse la lettura più condivisibile arriva da IndieWire, che ne
parla come di “brain candy for cinephiles“.
Un dolcetto, un piccolo
‘treat‘, una chicca per i più nostalgici di due grandi
ormai scomparsi. E perché no per il gusto voyeuristico che non
pochi proveranno nel poter superare il limite, e nel vedere una
tale celebrità in difficoltà davanti a un Mito più grande di lei.
Che si offre con una generosità rara e del quale è possibile
intuire l’umanità – per quanto venata di sadismo, ma piuttosto
divertito (e divertente) – come poche altre volte. Welles è
saccente, pretestuoso, scorretto, incalzante, poco conciliante e
tutto sommato ospitale… ma è il suo modo di essere, non solo
regista. Il timone è nelle sue mani, prevalere è inevitabile. Anche
se forse avrebbe potuto mostrare maggior indulgenza, almeno verso
gli spettatori, condensando ulteriormente il materiale raccolto con
buona pace di qualcuno degli argomenti trattati.
Intrigante, ma per cinefili
pazienti
Interessante la fase di
riscaldamento dei due ‘pugili’, con scambi sul ruolo del regista
‘Dio’ o ‘Mago’ e con le citazioni di tanto cinema a noi vicino – da
Visconti e Buñuel, a L’anno scorso a Marienbad e
8 e 1/2 – o i diversi punti di vista sul
montaggio, per uno straziante mutilazione della propria creatura
per l’altro cinica eliminazione del superfluo e di tutto ciò che
non permette di vederne il meglio. Purtroppo prima ancora di
entrare nel vivo, la dinamica del confronto si rivela nella sua
completezza. E purtroppo non cambia molto nel suo procedere. I
momenti migliori – al netto del piacere intellettuale per
ragionamenti tanto taglienti – sono forse quando Hopper spezza la
monotonia e si mostra meno passivo. Ma è tutta una tattica. Welles
gode nell’incastrare l’altro, costretto a stare al gioco. Lo forza,
lo imbocca e poi ne distorce le risposte. Una provocazione continua
che a tratti porta a empatizzare con la vittima della serata.
Non si fraintenda, Hopper sarà pure
un pugile incapace di uscire dall’angolo in cui è stato chiuso, ma
non è certo uno sparring partner. La sua storia e la sua carriera
parlando da sole, eppure in questo frangente non si ha mai
l’impressione che possa sorprenderci e assestare un colpo. Forse il
difetto più grave del documentario, che rischia di diventare noioso
ai più. Se non esasperante. In attesa del colpo di grazia si passa
dall’analisi psicanalitica alla politica, con Hopper che di volta
in volta si trova a vestire i panni del ‘rivoluzionario da festa in
piscina’, del ‘impegnato confuso’, del teledipendente pigro, del
buon americano nostalgico, del politico da Reader’s Digest o
dell’artista di rottura per colpa di una madre dispotica e di un
padre assente (in realtà agente dei servizi segreti in Cina). Sul
filo di lana arriva l’ultima battuta, la definitiva schiacciata
dell’indiscusso dominatore, che chiude i giochi: “Le rivoluzioni le
fa chi legge, non chi guarda la tv!”. Game. Set. Match.
La Warner Bros ha diffuso il primo
trailer italiano ufficiale di Dune, film di
Denis Villeneuve che riporta in sala il romanzo di
Frank Herbert, già raccontato da David Lynch.
Artuniverse in collaborazione con
30 Holding è lieta di annunciare che il kolossal Sci-Fi made in
Italy Creators –
The Past arriverà finalmente nei cinema italiani
a partire dall’8 ottobre 2020.
Una scelta, quella di approdare
direttamente in sala dopo i difficili mesi vissuti dal comparto
cinematografico a causa dell’emergenza Covid-19, fortemente voluta
dalla casa di produzione e distribuzione del film e attraverso la
quale vuole dare un chiaro segnale di sostegno e supporto alle sale
cinematografiche e agli esercenti che hanno deciso fin da subito di
credere in un film tutto italiano ma dal respiro decisamente
internazionale come Creators
– The Past, un film che può essere fruito al meglio
solo in una sala cinematografica.
Nel cast di Creators
– The Past spiccano infatti talenti del calibro
di William Shatner, Gérard Depardieu, Bruce Payne e altri
importanti nomi del panorama cinematografico internazionale.
Il doppiaggio vanta le più grandi
voci italiane del cinema hollywoodiano quali: Giancarlo Giannini,
Luca Ward, Maria Pia Di Meo, Mario Cordova ed altri. CREATORS – THE
PAST, lungometraggio già vincitore di 28 Awards e nato dall’estro
creativo di Piergiuseppe Zaia, è il primo capitolo di una trilogia
a cui si affianca l’omonimo romanzo Creators
– The Past scritto dalla sceneggiatrice e attrice
Eleonora Fani insieme a Gea Mizzani Corio. Oltre alle musiche
originali di grande atrmosfera, il film è arricchito da una colonna
sonora, edita da Universal Music Publishing Ricordi Srl/Studio Lead
Srl, in Dolby Atmos di grande impatto epico sinfonico che vanta ben
75 temi originali, scritti dal compositore e regista Piergiuseppe
Zaia con la presenza di eccellenti voci tra cui il giovane talento
kazako Dimash Qudaibergen, considerato in tutto il mondo una delle
voci più belle del pianeta, e il soprano italiana Adriana
Damato.
Elementi sinergici che collaborano
all’unisono per esprimere tutte le potenzialità di un progetto a
lungo termine che porterà alla realizzazione del più grande
universo Sci-fi mai prodotto in Italia. Una sfida tutta italiana
non solo per quanto riguarda le prestigiose location (Valle
d’Aosta, Canavese, Biellese, Venezia, Ivrea, Lago Maggiore, Lago
d’Orta), ma anche per quanto riguarda la realizzazione degli
effetti speciali che appaiono per più di due terzi del
lungometraggio.
L’attesa è finita, venite a
scoprire il misterioso universo di CREATORS – THE PAST nei cinema
italiani a partire dall’8 ottobre 2020.
Un imponente allineamento galattico
si sta realizzando ed i suoi effetti influenzeranno ogni forma di
vita nel cosmo. Otto Dei governano e dirigono l’universo: sono i
Creators. In un’epoca lontana, essi forgiarono uno strumento che
avrebbe custodito il sapere divino della creazione: la Lens; otto
Lens per otto Creatori. Ognuno di loro diede vita ad un sistema
stellare, racchiudendone i segreti e la chiave della sua essenza
all’interno della Lens stessa. A distanza di anni alcuni pianeti e
le loro creature cominciarono ad uscire dal disegno divino a cui
erano predestinati. Ora è tempo per il Concilio Galattico di
riunirsi e decidere le sorti dei cieli ma serve il potere di tutte
le Lens per governare l’universo e le sue leggi. Il nostro pianeta
sta andando alla deriva e il Reggente della Terra non volendosi
conformare agli obiettivi del Concilio non si presenta all’appello
e nasconde la Lens nella dimensione umana. Questo scatenerà una
corsa contro il tempo in una battaglia galattica all’ultimo sangue
tra chi auspica il ritorno all’ordine stabilito dai Creators e chi,
invece, vuole costituire un ordine nuovo.
Ian Joyner ha
condiviso dei concept inediti realizzati in fase di lavorazione di
Captain Marvel. L’artista ha
scelto la frase, estremamente in tema “proteggiti, indossa una
maschera” per mostrare i concept non utilizzati di Minerva della
Staforce, interpretata da Gemma Chan.
Tutto ciò che sappiamo sul sequel
di Captain Marvel
Captain
Marvel 2, il sequel del cinecomic con
protagonista il premio Oscar Brie
Larson che ha incassato 1 miliardo di dollari al
box office mondiale, sarà sceneggiato da Megan McDonnell,
sceneggiatrice dell’attesa serie WandaVision.
Sfortunatamente, Anna
Boden e Ryan Fleck, registi del
primo film, non torneranno dietro la macchina da presa: a quanto
pare, i Marvel Studios sarebbero interessati ad affidare la regia
del nuovo film ad una sola regista donna. Secondo la fonte, Boden e
Fleck potrebbero essere comunque coinvolti in una delle serie
Marvel attualmente in sviluppo e destinate a Disney+.
Nessun dettaglio sulla trama del
sequel è stato rivelato, ma l’ambientazione del film dovrebbe
spostarsi dagli anni ’90 ai giorni nostri.
Naturalmente, Brie
Larson tornerà nei panni di Carol Danvers. Il
sequel diCaptain
Marvel arriverà nelle sale l’8 Luglio 2022.
Mentre Spider-Man: Far From
Home ha lasciato il pubblico con alcuni cliffhanger che
cambiano tutte le carte in tavola nell’universo dell’Uomo Ragno,
come la rivelazione dell’identità segreta di Spider-Man e il fatto
che Nick Fury sia uno Skrull, la pre-produzione di
Spider-Man 3 ha creato lo stesso grado di attesa,
visto che la pandemia di COVID-19 ha tenuto i fan appesi ad un
filo. Originariamente previsto per il luglio 2021, Sony ha rinviato
l’uscita del film a novembre 2021, e poi ancora una volta alla data
attuale del 17 dicembre 2021.
Le date delle riprese hanno subito
simili spostamenti e ritardi, con la terza uscita del franchise di
Homecoming che doveva entrare in produzione
nell’estate del 2020. Si diceva che il programma di produzione
fosse stato posticipato all’autunno 2020, ma poi è arrivata la
notizia di un altro spostamento, riferita dallo stesso Tom
Holland, quando l’attore si è lasciato sfuggire in
un’intervista che Spider-Man 3 avrebbe dovuto
terminare le riprese entro febbraio 2021. Ora, via The Direct sappiamo
quando Spider-Man tornerà finalmente sul set.
Tom
Holland si è unito al MCU nei panni
di Peter Parker nel 2016: da allora, è diventato un supereroe
chiave all’interno del franchise. Non solo è apparso in ben tre
film dedicati ai Vendicatori della Marvel, ma anche in due
standalone: Spider-Man:
Homecoming e Spider-Man: Far
From Home. La scorsa estate, un nuovo accordo siglato
tra Marvel e Sony ha permesso al personaggio dell’Uomo Ragno di
restare nel MCU per
ancora un altro film a lui dedicato –
l’annunciato Spider-Man 3 – e per un
altro film in cui lo ritroveremo al fianco degli altri eroi
del MCU.
Dopo essere esplosa grazie a
Normal People, serie Hulu di grande successo
tratta dall’omonimo romanzo di Sally Rooney,
Daisy Edgar-Jones è stata scelta per recitare nel
film Fresh.
Il progetto Legendary sarà il
debutto alla regia di Mimi Cave, una veterana dei
video musicali che ha lavorato con Vance Joy, Danny
Brown e Tune-Yards, tra gli
altri. Lauryn Kahn ha firmato la
sceneggiatura, mentre la trama del film è tenuta segreta.
Adam McKay e
Kevin Messick di Hyperobject
Industries si occuperanno della produzione e hanno già
lavorato con Kahn in Ibiza, una commedia Netflix. Prima di
recitare nell’adattamento della serie basata sul best seller di
Sally Rooney, Daisy Edgar-Jones è
apparsa in Gentleman Jack di HBO e BBC, nella
serie drammatica britannica Cold Feet e
nell’adattamento della serie di StudioCanal di H.G. Wells
War of the Worlds.
Rispetto al passato, oggi il
pubblico sa cosa aspettarsi bene o male da un film. E così
Hollywood e l’industria cinematografica devono impegnarsi ancora di
più per offrire qualcosa che sia davvero in grado di colpire
l’attenzione dello spettatore, magari lasciandolo turbato alla fine
della visione, con più domande che risposte. In genere, un film
palesa fin da subito quali sono i suoi intenti narrativi, quali
siano le motivazioni dei personaggi e dove la trama voglia andare a
parare. Ovviamente, ci sono le dovute eccezioni. Molti film,
infatti, oltre ad affascinare il pubblico, risultato
particolarmente intricati, riempiendo le menti dello spettatore di
teorie, ipotesi e speculazioni.
Screen Rant ha raccolto 15 celebri pellicole che meritano
almeno una seconda visione per essere comprese appieno:
Akira
Molti anime giapponesi sono
carichi di simbolismi e molti di essi richiedono ripetute visioni
per poterli apprezzare appieno. Il più famoso di questo gruppo è
senza dubbio il famosissimo Akira, che ha influenzato tutti, da James
Cameron alle sorelle Wachowski. Basato sul manga omonimo, racconta
la storia di un giovane membro di una banda di motociclisti che
vive in una Tokyo futuristica e distopica che improvvisamente
sviluppa spaventosi poteri psichici e telecinetici.
Una prima visione di Akira
lascerà la maggior parte degli spettatori sbalorditi. Solo
attraverso le ripetute visioni, gli strati narrativi iniziano a
districarsi abbastanza da consentire di comprendere appieno cosa
sta accadendo. L’obiettivo finale è comprendere la sequenza finale
e le parole “Io sono Tetsuo”, oggetto di dibattito da
decenni.
Ghost in the Shell
Un altro anime giapponese
che può essere paragonato ad Akira in termini di
complessità è certamente Ghost in the Shell. In contrasto con lo
spensierato manga originale, più orientata all’azione,
l’adattamento cinematografico animato è un assoluto frullatore che
mette in discussione la natura stessa di ciò che significa essere
umani in un’era cibernetica.
Sebbene non manchino
l’azione e le immagini mozzafiato, Ghost in the Shell
preferisce scavare in profondità, concentrandosi sul cyborg Motoko
Kusanagi e sul suo conflitto interiore per capire chi e cosa è
veramente. In tale senso, l’adattamento live-action del 2017 che
messo totalmente da parte questa profondità.
La terra silenziosa
Questo cult prodotto in
Nuova Zelanda, noti soprattutto tra i cinefili più incalliti, è
salito alla ribalta negli ultimi anni grazie alla distribuzione in
home video. Basato sul romanzo di Craig Harrison del 1981,
La terra silenziosa racconta la storia di un uomo
che crede di essere l’unico essere umano rimasto sulla Terra. Dopo
aver trovato altri due sopravvissuti che, come lui, erano tutti in
uno stato di angoscia al momento della scomparsa dell’umanità,
decidono insieme di impedire l’attivazione di un esperimento
governativo, che potrebbe essere stata la causa originale.
Il film stesso è carico di
simbolismi e forse è la rappresentazione più forte e realistica di
un essere umano che affronta la prospettiva che l’umanità possa
svanire. La sequenza finale, tuttavia, è noto per le sue immagini
strabilianti e il suo significato nascosto. Si tratta di una
congettura religiosa? Di un viaggio interdimensionale? Le ripetute
visioni potrebbero aiutare a dare un senso a tutto.
Blade Runner
Sono in molti ormai a dare
per scontato il simbolismo e l’intricata trama di Blade Runner, dal momenti che sono trascorsi
ormai decenni dalla sua uscita al cinema. Per chi non avesse mai
avuto la fortuna di vedere uno dei capolavori realizzati da Ridley
Scott, sappiate che state per immergervi nella visione di un gran
bel rompicapo.
Blade Runner è
universalmente riconosciuto come uno dei film più complessi di
sempre, un film che ha sempre richiesto più di una visione per
permettere allo spettatore di assorbire realmente tutto ciò che ha
da offrire. La sua influenza sul genere fantascientifico è
indubbia, ma i suoi numerosi intrecci, i personaggi così misteriosi
e il tema “È lui o non è lui” continuano a renderlo un
punto fermo tra le gemme della storia del cinema.
Americani
Americani
è noto soprattutto per il suo cast eclettico, composto
essenzialmente da attori di serie A, performance incredibilmente
affascinanti e parecchio linguaggio volgare. Racconta la storia di
diversi agenti immobiliari che si trovano sotto il controllo delle
autorità dopo che una serie di ambiti contatti di vendita è stata
rubata dall’ufficio.
Questa è solo la punta dell’iceberg,
dal momento che Americani mostra un ritratto poco
lusinghiero e sporco del gioco delle vendite e dei giocatori
moralmente falliti coinvolti. Deve essere guardato più volte
semplicemente per poter meglio entrare nelle teste dei molteplici
personaggi che compongono la storia. Per coloro che non sono
avvezzi al mondo delle vendite, parte del gergo può anche creare
confusione. Tuttavia, ne vale la pena anche solo per vedere
l’interpretazione di Alec Baldwin. Eroe o cattivo? È difficile
dirlo…
Inception
Inception, il
celebre film di Christopher Nolan del 2011, ha affascinato il
pubblico con la sua interpretazione unica del genere
heist. Scavando a fonto nel tema e nelle implicazioni dei
sogni, Inception è un film che richiede tutta l’attenzione
dello spettatore per tenere davvero traccia di ciò che sta
accadendo.
Ogni livello del subconscio presenta
nuovi pericoli per la gang protagonista. Il finale ambiguo che
lascia lo spettatore con più domande che risposta non solo
necessita almeno di una seconda visione, ma la impone.
Moon
Da quando è stato
rilasciato nel 2009, Moon ha ottenuto un ampio
seguito e elogi universali. Realizzato con un budget esiguo di soli
cinque milioni di dollari, ha dato vita ad una base lunare, un
robot e una serie di altri effetti sorprendenti.
Sebbene il film abbia una struttura
lineare e relativamente facile da seguire, è la grande svolta
centrale del film che stravolge tutto ciò che pensavamo di sapere.
Già alla seconda visione il film assume i contorni di un’esperienza
completamente diversa…
Interstellar
Interstellar
si differenzia dalla maggior parte degli epici film di fantascienza
realizzati ad Hollywood, in quanto non è interessato alla fantasia,
ma piuttosto alla realtà e alla vera scienza. Il film non tiene lo
spettatore per mano, e si aspetta che il pubblico stia al passo con
tutti i complessi concetti scientifici che tira in ballo.
La natura radicata della scienza che
viene presentata nel film è accattivante, ma una seconda visione
consente agli spettatori di concentrarsi meglio sulla storia che
viene raccontata.
La donna che visse due volte
Il classico La
donna che visse due volte di Hitchcock è senza dubbio uno
dei suoi più grandi thriller. Per chi non lo conoscesse, la
premessa è semplice: il detective Scottie viene assunto per seguire
la moglie di un vecchio amico del college. Da lì la storia cambia e
si trasforma, come fanno i migliori thriller.
Com’è nel classico stile del
regista, il film era già in anticipo sui tempi per quanto riguarda
la struttura insolita e manipolatrice, non solo nei confronti del
pubblico ma anche degli stessi personaggi. Sebbene il film abbia
più di 50 anni, regge ancora oggi il confronto e affascina
qualsiasi tipo di spettatore.
L’uomo senza sonno
Christian
Bale offre una delle più grandi interpretazioni della sua
carriera. Avendo perso un sacco di peso per il ruolo, è davvero
irriconoscibile nei panni di Trevor Reznik. Il film presenta molti
concetti surreali e ultraterreni apparentemente contraddittori.
Trevor giustifica la sua scioccante
perdita di peso come risultato del non aver dormito per molti mesi.
Combinato con altri strani avvenimenti, il film diventa un vero e
proprio puzzle. Il climax rivela tutto e ricontestualizza l’intero
film, rendendo le visioni successive un’esperienza completamente
nuova.
Pulp Fiction
Pulp Fiction, il rivoluzionario successo di
Quentin Tarantino che ha definito ufficialmente la sua carriera, è
stato una boccata d’aria fresca quando è uscito nel 1994. Il film
presenta più protagonisti e una struttura non lineare. Questo non è
evidente fin dall’inizio, ma tutto viene rivelato durante il film,
portando ad un climax soddisfacente e inaspettato.
Il film ha avuto successo sia di
critica che di pubblico e, sebbene sia più che probabile che tutti
abbiano già visto questo grande classico, merita comunque un posto
in questa lista.
Shutter Island
Shutter
Island è uno dei thriller moderni più oscuri e
intriganti. Le cose iniziano in modo abbastanza innocente, con due
detective inviati sull’isola di Shutter per condurre un’indagine,
solo per ritrovarsi bloccati lì.
Il film offre uno dei più grandi
colpi di scena verso il finale, che altera completamente la storia
che è stata raccontata fino al quel momento. Questo è un altro film
in cui una seconda visione significa guardare un film completamente
nuovo.
Se mi lasci, ti cancello
Se
mi lasci, ti cancello è confusionario come le menti di
Joel e Clem. È questo è – ovviamente – uno dei maggiori punti di
forza del film. Tuttavia, la struttura non lineare del film non
diventa subito evidente.
In modo spettacolare, il climax del
film assembla perfettamente tutti i pezzi, come un puzzle che
domina il tavolo della nostra sala da pranzo. Concedere al film
un’altra visione è un’esperienza certamente gratificante, offrendo
una comprensione più profonda dei personaggi.
Memento
Memento
piega la mente come pochi film riescono a fare, cominciando dal
climax del film e poi tornando alla scena precedente, fino a
raggiungere l’inizio della storia. Questa struttura rivoluzionaria
rende il film impossibile da capire finché tutto non è stato
rivelato, rendendo le visioni successive ancora più
piacevoli.
I molti segreti che
il film custodisce non possono essere compresi e scoperti finché
gli eventi del film non vengono esaminati con tutte le informazioni
necessarie. Fondamentalmente, se hai guardato Memento solo
una volta, non hai visto “davvero” Memento.
Synecdoche, New York
Synecdoche, New
York è un film che probabilmente meriterebbe più di una
visione, e non soltanto due. In realtà, ad una seconda visione,
potrebbero sorgere ancora più domande. Il film racchiude così tanti
personaggi, sottotrame, eventi della vita e dettagli
idiosincratici, che richiede un’attenzione totale ad ogni singola
visione.
È un film che ha davvero bisogno di
essere digerito e interiorizzato più e più volte. Sebbene la natura
non convenzionale del film possa scoraggiare alcuni, non c’è dubbio
che ciò che impareranno grazie al film, e ciò che il film
comunicherà loro, rimarrà per molto, molto tempo…
Lo scorso 3 Settembre è arrivata
come un fulmine a ciel sereno la
notizia che Robert Pattinson è risultato positivo al
Coronavirus. A causa di ciò, la produzione dell’attesissimo
The
Batman di Matt
Reeves – che era ufficialmente ripartita soltanto
due giorni prima, il 1 Settembre appunto – era stata nuovamente
messa in stand-by.
In seguito alla diffusione della
notizia, si era vociferato che la produzione sarebbe comunque
andata avanti senza Robert Pattinson (con Reeves intenzionato a
lavorare con lo stunt dell’attore per tutte quelle riprese che non
necessitano della sua presenza), ma a poche ore dalla circolazione
di quei rumor è stato
Variety a mettere a tacere ogni tipo di dubbio, confermando che
la produzione del film resterà in pausa e che tutti coloro che sono
entrati in contatto con Pattinson – sia membri del cast che membri
della troupe – sono ancora in quarantena.
Come si legge nel report della
fonte: “La produzione di The Batman continua ad essere in pausa
dopo che Robert Pattinson è risultato positivo al Covid-19. I
membri della troupe sono ancora impegnati con la costruzione dei
set e dei vari oggetti di scena presso i Warner Bros. Studios di
Leavesden, Regno Unito, ma le persone della produzione che sono
entrate in contatto con Pattinson sono in quarantena. La produzione
sta ancora facendo il tracciamento dei contatti. È improbabile che
le riprese riprendano fino alla fine del periodo di quarantena, che
durerà circa due settimane.”
“The
Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono
le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi
strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per
trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa
alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la
Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a
quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più
villain, poiché sono tutti sospettati“.
Sappiamo ormai da diverso tempo che
Ant-Man 3 è ufficialmente in fase di sviluppo,
anche se ad oggi non esistono molti dettagli sulla terza avventura
cinematografica di Scott Lang. Eppure, un nuovo report di Screen
Rant sembra suggerire che il film potrebbe finalmente
introdurre i Fantastici
Quattro nell’universo condiviso.
In che modo i personaggi creati da
Stan Lee e Jack Kirby potrebbe fare il loro debutto nel MCU? Secondo la teoria esposta
dalla fonte, il terzo Ant-Man, che sarà diretto ancora una
volta da Peyton Reed (già regista dei primi due
film), potrebbe ufficialmente introdurre il Macroverso (detto anche
Overspace), in pratica l’opposto del Regno Quantico, ed è proprio
lì che potremmo incontrare per la prima volta Reed Richards e
soci.
Per stessa ammissione di Reed in
una recente intervista, Ant-Man
3 è stato già descritto come un film “molto più
grande e articolato dei primi due, con un modello visivo molto,
molto diverso”. Le dichiarazioni del regista potrebbero
riferirsi – anche se si tratta di mere speculazioni, è doveroso
ricordarlo! – proprio al Macroverso, raggiungibile solo acquisendo
dimensioni gigantesche (in pratica il contrario di quello che
avviene per accedere al Regno Quantico).
Ant-Man 3 introdurrà l’Oversapce?
Grazie ai fumetti, sappiamo che i
Fantastici
Quattro hanno avuto più volte a che fare con
l’Overspace. La fonte suggerisce che, proprio grazie alla diverse
modalità di scorrimento del tempo tra le varie dimensioni, diversi
anni prima Reed e gli altri potrebbero esservi rimasti bloccati nel
corso di qualche esperimento, avanzando anche l’ipotesi che Mister
Fantastic possa anche essere un collega di Hank Pym e aver stretto
con lui una lunga amicizia.
Inoltre, sempre come sottolineato
dalla fonte, non bisogna dimenticare che Peyton
Reed ha sempre avuto una naturale propensione verso i
Fantastici
Quattro, tant’è che diversi anni fa propose
addirittura alla Fox un soggetto basato proprio su quei
personaggi.
Naturalmente, esistono anche
diverse altre speculazioni in merito a ciò che potremmo vedere in
Ant-Man
3: si mormora, ad esempio, che M.O.D.O.K. possa essere
il villain principale, mentre l’introduzione di Cassie Lang nei
panni di Stature potrebbe preparare il terreno per l’assemblaggio
degli Young Avengers.
In attesa dell’arrivo in rete,
domani, del primo trailer di Dune,
ecco un breve assaggio del film di Denis
Villeneuve che riporta in sala il romanzo di Frank
Herbert, già raccontato da David Lynch.
Almeno apparentemente, sembra che
per ora non sia prevista alcuna Ayer Cut di
Suicide Squad, ed è passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che abbiamo avuto aggiornamenti in merito da
David
Ayer. Tuttavia, proprio mentre alcuni fan stavano
iniziando a gettare la spugna, ecco che il regista è tornato con
altre rivelazioni sul suo adattamento DC Comics del 2016.
Non è un segreto che la maggior
parte delle scene con protagonista il Joker siano state eliminate
in fase di montaggio, ma Ayer ha ora rivelato via
Twitter che il piano originale per Suicide
Squad era che il film si aprisse con June Moon
che scopriva e rilasciava Incantatrice. Da lì, il Clown Principe
del Crimine sarebbe stato mostrato mentre prendere parte ad un
“lungo assalto” all’Arkham Asylum.
Da lì, avrebbe trasformato la
Dottoressa Harleen Quinzel in Harley Quinn, e sembra che il piano
originale per il film fosse che la narrazione proseguisse in
maniera molto più lineare (piuttosto che saltare avanti e indietro
nel tempo, con diversi flashback che fanno luce sulle storie di
origine di ciascuno di questi cattivi).
In un altro
tweet, Ayer ha chiarito di non aver mai pianificato che
Suicide
Squad fosse vietato ai minori: il rating pensato
da subito per il cinecomic è sempre stato PG-13. Tuttavia, il film
ha comunque superato i limiti imposti da quella valutazione e alla
fine è stato vietato ai minori di 15 anni nel Regno Unito.
Suicide
Squad è un film del 2016 diretto da David
Ayer con Will
Smith, Margot
Robbie, Jared
Leto, Joel
Kinnaman, Jai Courtney, Cara
Delevingne, Viola
Davis, Scott Eastwood, Raymond Olubawale, Jay Hernandez, Ike
Barinholtz, Ted Whittall, Robin Atkin
Downes e David
Harbour. Nel film i più temuti supercriminali del
mondo vengono reclutati in gran segreto da Amanda Waller per
costituire la Task Force X, una squadra di antieroi che in seguito
alla morte di Superman avrà il compito di difendere l’umanità da
ogni genere di minaccia.
L’Academy continua nella sua volontà
di rinnovarsi e di restare al passo coi tempi, ma soprattutto di
rendere gli Oscar dei premi a sostegno
dell’inclusione della diversificazione nel cinema. Come apprendiamo
da
Deadline, oggi l’associazione ha annunciato una nuova riforma
all’interno del meccanismo di selezione dei film.
Tale riforma è stata approvata con
l’obiettivo di promuovere un’equa rappresentazione sullo schermo
per quanto riguarda i temi legati all’identità di genere,
all’orientamento sessuale, all’etnia e alla disabilità. La riforma
in questione entrerà in vigore a partire dalla 96esima
edizione degli Academy Awards, quindi nel 2024. Come
leggiamo nel report della fonte, una riforma simile verrà messa in
atto anche dai BAFTA, gli Oscar inglesi.
Le categorie di rappresentazione che
verranno prese in considerazione dalla riforma dovranno interessare
il cast, la troupe, lo studio cinematografico e altre aree legate
allo sviluppo e all’uscita del film. A partire dal 2024, quindi,
per essere presi in considerazione per la categoria
“Miglior Film“, una produzione dovrà
obbligatoriamente soddisfare almeno due dei quattro nuovi standard
imposti dalla riforma.
In una nota congiunta David
Rubin, presidente dell’Academy, e Dawn
Hudson, CEO dell’Academy, hanno commentato: “Lo
sguardo deve essere ampliato per riflettere la popolazione globale
sia nella creazione di film che nel pubblico che li guarda.
Crediamo che questi standard di inclusione saranno catalizzatori di
un profondo e duraturo cambiamento nella nostra
industria.”
La riforma non avrà alcun impatto
sulla prossima edizione degli Oscar, la numero 93,
che si svolgerà il prossimo 25 Aprile. La cerimonia di premiazione,
che generalmente si tiene a Febbraio, è stato posticipata di
diversi mesi a causa dell’emergenza Coronavirus.
A quanto pare Luca
Guadagnino, che si occuperà della regia del nuovo
adattamento di Scarface, è determinato a realizzare un film
vietato ai minori che possa scioccare il pubblico. Il film
originale, diretto nel 1932 da Howard Hawks, ha avuto già un primo
rifacimento – molto più celebre – nel 1982, diretto da
Brian De Palma, sceneggiato da Oliver
Stone e con Al Pacino nei panni del protagonista Tony
Montana, un immigrato cubano che in breve tempo divenne uno dei più
potenti criminali di Miami.
Nonostante all’epoca della sua
uscita in sala causò molte controversie proprio a causa
dell’eccessiva dose di violenza, il film fu un successo al box
office mondiale e ad oggi è considerato un vero e proprio cult.
Adesso, un nuovo remake è attualmente in sviluppo per conto di
Joel e Ethan Coen (che si
occuperanno di scrivere la sceneggiatura), con Luca
Guadagnino incaricato dalla Universal di occuparsi della
regia.
In un’intervista con BadTaste.it, nell’ambito del Festival di
Venezia, il regista di Chiamami Col Tuo Nome e Suspiria ha rivelato che il suo intento è quello di
realizzare un film che possa essere tanto scioccante per il
pubblico quanto nel 1982 lo fu la versione di De Palma. Riferendosi
al personaggi di Tony Mantana come ad un “archetipo”,
Guadagnino ha spiegato che i personaggi cattivi come lui sono il
“sintomo” del bisogno degli immigrati di raggiungere il Sogno
Americano. Il regista ha poi aggiunto che il suo film sarà vietato
ai minori e che la sceneggiatura, che ha definito
“grandiosa”, sarà l’elemento chiave che condurrà alla
realizzazione di un film “scioccante”.
“La verità è che mi interessa
il personaggio di Tony Montana. È un sintomo del Sogno
Americano”, ha spiegato Guadagnino. “E penso che questi
film siano fatti per i loro tempi. Il mio Scarface arriverà 40 anni
dopo il precedente. Penso che la cosa importante di questi film non
sia il fatto che siano attraenti e fondamentali come quello di
Brian De Palma. L’importante è sapere che Tony Montana è un
personaggio archetipico. Le cose importanti sono: A) Deve essere
ben fatto, la sceneggiatura deve essere eccezionale, e lo è; B) Il
nostro Tony Montana deve essere aggiornato. Non voglio imitare
niente; C) Questo film deve essere scioccante. Il film di Brian De
Palma è stato classificato R, quindi voglio anche io un grande R
per il mio film.”
In questi giorni Luca
Guadagnino è stato protagonista della 77esima
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove ha
presentato, Fuori Concorso, il suo nuovo documentario
Salvatore – Shoemaker of Dreams, dedicato allo
stilista e imprenditore italiano Salvatore Ferragamo. Il
documentario verrà distribuito in Italia prossimamente grazie a
Lucky Red.
È da molto tempo, ormai, che si
parla di un possibile Kill Bill Vol. 3 e diverso tempo fa
l’attrice Vivica A. Fox aveva suggerito un ruolo per
Zendaya nell’ipotetico film. Nelle
intenzioni di Quentin Tarantino, infatti, ci sarebbe la
volontà di raccontare la storia della figlia ormai adulta di
Vernita Green (il personaggio interpretato dalla Fox) e della sua
vendetta nei confronti di Beatrix Kiddo (Uma
Thurman) per la morte della madre.
All’epoca Vivica A. Fox aveva suggerito proprio Zendaya(Spider-Man:
Homecoming, The
Greatest Showman, Euphoria) per
il ruolo della figlia di Vernita, dichiarando:
“Nel corso di un’intervista mi hanno chiesto a quale
giovane attrice avrei fatto interpretare quel personaggio. Io
risposi facendo il nome di Ambrosia, ma loro volevano il nome di
un’attrice affermata, e così ho risposto Zendaya. Quanto sarebbe
fico? Probabilmente darebbe il via libera al progetto. Inoltre, lei
e Uma sono molto alte e insieme spaccherebbero. E poi adoro
Zendaya.”
Adesso, è stata la stessa Zendaya (che a Dicembre vedremo
nell’attesissimo Dune di
Denis Villeneuve) a commentare le parole di Fox in una recente
intervista con Empire, dichiarandosi
“onorata” per la proposta dell’attrice: “Ho letto quella cosa!
Sono stata onorata che abbia fatto il mio nome. Ovviamente è
incredibile e sono molto lusingata che abbia pensato a me. Però, è
soltanto un’idea. Internet inizia a parlare di una cosa e sembra
che funzioni.”
Nel corso degli anni, lo stesso
Quentin Tarantino ha parlato più e più volte
della possibilità di un terzo capitolo di
Kill Bill. Il regista ha dichiarato di averne anche
parlato con Uma
Thurman e che il progetto potrebbe effettivamente
vedere la luce tra circa tre anni. Tuttavia, non esiste alcuna
certezza in merito alla cosa, dal momento che Tarantino è noto per
aver spesso parlato di suoi progetti che poi non si sono mai
concretizzati.
In attesa che il regista ci delizi
con nuovi aggiornamenti sul possibile Kill Bill Vol. 3, ricordiamo che il suo
ultimo film, C’era una volta a
Hollywood, è uscito nelle sale lo scorso anno. Il
film, con protagonisti Leonardo
DiCaprio, Brad
Pitte Margot
Robbie, ha vinto 3 Golden Globe su 5 candidature,
tra cui il Golden Globe per il miglior film commedia o musicale, e
2 Premi Oscar su un totale di 10 candidature.
La nostra intervista a Oleh
Yutgof, attore conosciuto grazie alla terza stagione di
Stranger Things, e protagonista di Never Gonna Snow Again, film in Concorso a
Venezia 77 e prossimamente in sala con I Wonder Pictures.
Un massaggiatore entra nelle case e
nelle vite dei cittadini di un ricco quartiere residenziale, i cui
abitanti, a dispetto della loro ricchezza, trasudano tristezza
interiore e desiderio. Le mani del misterioso nuovo arrivato hanno
proprietà curative, i suoi occhi penetrano le loro anime. Alle loro
orecchie, il suo accento russo suona come una melodia del passato,
un ricordo di un’infanzia più sicura e protetta. Zhenia, questo è
il suo nome, cambierà le loro vite.
Never Gonna Snow
Again, che è già stato scelto come film per rappresentare
la Polonia ai prossimi Oscar 2021, sarà nelle sale italiane
prossimamente con I Wonder Pictures
Never Gonna Snow Again, la trama
Un massaggiatore dell’Est fa il suo ingresso
nella vita dei facoltosi abitanti di una comunità scialba e
inaccessibile, i quali, a dispetto della loro ricchezza, trasudano
tristezza interiore e desiderio. Le mani del misterioso nuovo
arrivato hanno proprietà curative, i suoi occhi penetrano le
loro anime. Alle loro orecchie, il suo accento russo suona come una
melodia del passato, un ricordo di un’infanzia più sicura e
protetta. Zhenia, questo è il suo nome, cambierà le loro
vite.
Il
commento del regista
La parola “neve” può assumere svariati
significati ed evocare molteplici emozioni. Se da un lato può
essere un elemento pervasivo e pericoloso, dall’altro è fonte di
sicurezza e conforto, una coperta che ci riporta alle favole
dell’infanzia. Oggi, viene associata alla distruzione del clima del
pianeta per mano dell’uomo e, di conseguenza, alla sua lenta
sparizione dalla nostra vita. I protagonisti sono concentrati su un
piccolo mondo rassicurante, che danno per scontato. Tuttavia,
dietro le apparenze, sono alla ricerca di una dimensione più
spirituale. I personaggi bramano il contatto, l’intimità, il sesso,
la comprensione, la libertà. Finanziariamente ricchi e
spiritualmente poveri, sono sopraffatti da una brama inconscia.
Proiettano le proprie fantasie su uno sconosciuto che, dopo essere
entrato nelle loro vite, agisce come uno specchio. È difficile dire
se questa esperienza sia reale o un’illusione. La foresta magica
nella quale si trovano con lo sconosciuto è puramente frutto della
loro immaginazione, oppure esiste veramente? Il film è avvolto da
un’aura di mistero. Vorremmo incoraggiare il pubblico a riflettere
sulle condizioni attuali dell’Europa. Il nostro obiettivo è
suscitare una serie di domande, sottili, all’insegna dell’umorismo,
senza alcun preconcetto da parte nostra.
Dopo Alfred
Hitchcock, anche Netflix prova ad adattare il romanzo di
Daphne Du
Maurier, Rebecca. Nel cast
del film diretto da Ben Wheatley ci sono
Armie Hammer, Lily James e Kristin Scott
Thomas
Una giovane sposina arriva
nell’imponente tenuta di famiglia del marito su una costa inglese
battuta dal vento e si ritrova a combattere l’ombra della sua prima
moglie, Rebecca, la cui eredità vive nella casa
anche molto tempo dopo la sua morte. Un adattamento moderno del
romanzo gotico di Daphne Du Maurier arriva su
Netflix: interpretato da Armie Hammer, Lily James
e Kristin Scott Thomas.
È stato diffuso il trailer
ufficiale di Nomadland, nuovo
film di Chloé Zhao con protagonista la due volte
premio Oscar Frances McDormand.
Nomadland
segue Fern (McDormand), una donna che, dopo il collasso economico
di una cittadina rurale nel Nevada, fa i bagagli e parte nel suo
van per provare la vita on-the-road, fuori dalla società
convenzionale, da moderna nomade. Il film include i nomadi veri
Linda May, Swankie e Bob Wells che fanno da mentori e compagni a
Fern nel suo viaggio attraverso il vasto paesaggio dell’Ovest
americano.
Nomadland
è prodotto da Frances McDormand (Olive Kitteridge su HBO),
Peter Spears (Chiamami col tuo nome), Molly Asher (The
Rider), Dan Janvey (Re della Terra Selvaggia), e
Chloé Zhao (The Rider– Il sogno di un cowboy).
Protagonista del film, oltre a McDormand, è David Strathairn
(Good Night, and Good Luck.). Zhao torna a lavorare con il
suo direttore della fotografia per The Rider, Joshua James
Richards (La terra di Dio). Le musiche nel film sono del
compositore italiano Ludovico Maria Enrico Einaudi e il montaggio
di Zhao. Alla Searchlight, il film è stato coordinato dai
presidenti della produzione Matthew Greenfield e David Greenbaum e
dal vice presidente della produzione Taylor Friedman.
ChloéZhao è una regista, sceneggiatrice, montatrice, e
produttrice rinomata per il suo lavoro nel suo film d’esordio,
Songs My Brothers Taught Me (2015), presentato in prima
mondiale al Sundance Film Festival. Il suo secondo lungometraggio,
The Rider (2017), ha ricevuto diversi riconoscimenti fra i
quali le candidature agli Independent Spirit Awards per miglior
film e miglior regista. Zhao ha diretto il film di prossima uscita
dei Marvel StudiosEternals,
programmato per il 2021 e distribuito da Walt Disney Studios.
Andrei Konchalovsky
ha presentato il Concorso alla 77° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia Cari Compagni, il suo ultimo film, in cui è
protagonista Julia Vysotskaya, sua compagna anche
nella vita.
Il film è basato su un fatto
realmente accaduto a Novocherkassk il 2 giugno del 1962 e secretato
fino agli anni ’90. Nel 1992 venne avviata la prima inchiesta. Le
vittime del massacro erano state occultate in tumuli sotto falso
nome perché non venissero mai ritrovate. I principali sospetti fra
gli alti vertici governativi erano già morti. I responsabili non
sono mai stati condannati.
Penelope Cruz sarà
la protagonista de L’immensità, il nuovo film di
Emanuele Crialese che torna alla regia dopo nove
anni di pausa, Terraferma è infatti del 2011.
L’attrice premio Oscar sarà la madre di una famiglia degli anni
’70, che vive un amore viscerale per i propri figli in un momento
storico di cambiamento.
L’immensità è
scritto da Emanuele Crialese, Francesca Manieri e
Vittorio Moroni. Il regista ha raccontato che
Penelope Cruz incarnerà “un archetipo che può solo venire alla
luce dall’incontro umano e artistico con la sensibilità di una
grande attrice come Penelope Cruz”.
Intanto, l’attrice spagnola ha
dichiarato: “Sono fan di Emanuele Crialese da lungo tempo e
L’immensità è una delle migliori sceneggiature che abbia mai letto.
Non vedo l’ora di tuffarmi in questa avventura magica con lui e il
resto del team per dare vita a un personaggio di cui sono già
innamorata”. Le riprese del film cominceranno nel 2021.
A otto anni da Bellas
Mariposas, Salvatore Mereu torna al
cinema con Assandira, torna così a raccontare la
Sardegna, con un occhio affezionato e allo stesso tempo crudo,
spietato su un rapporto tra uomo, tradizione e ambiente che diventa
feroce e tragico. Per farlo si serve del volto scavato di
Gavino Ledda, già autore di Padre Padrone
e qui interprete di Costantino, un pastore sardo completamente
vittima di se stesso e degli eventi.
È su un suo primo piano sofferente e
graffiato che si apre il film, sotto una pioggia torrenziale,
mentre su luogo di un incidente, la cui natura è difficile da
identificare da subito, si aggira come un fantasma, rifugiandosi su
un pagliaio, farneticando, in una profonda e toccante voce fuori
campo che percorre tutto il film, su senso di vergogna e dolore. La
storia è ambientata negli anni Novanta, quando la moda degli
agriturismi che facevano conoscere la vita di campagna ai turisti
stranieri e cittadini divenne una moda. Mario, unico figlio di
Costantino, torna nel suo paesino d’origine in Sardegna con la
moglie tedesca, Greta, con una proposta per il vecchio padre:
trasformare un vecchio podere in un agriturismo, uno spiraglio di
riqualificazione, modernità e soprattutto di ricchezza, in una
terra di pastori, semplice e antica, ancorata alla tradizione ma
non abituata a mostrarsi. Comincia così per Mario e Greta, e solo
dopo per Costantino, una avventura che sembra eccitante e nuova e
che, piano piano, si trasforma in qualcosa di pericoloso e
tragico.
La terra e la carne di
Assandira
Salvatore Mereu si
attacca ai volti dei suoi protagonisti, attori professionisti e
non, che si mettono a nudo, carne e anima, davanti alla camera. E
l’occhio del regista va proprio a scavare nella terra e nei
pensieri, specialmente di Costantino, la cui voce ci guida in una
storia che adotta il linguaggio del thriller investigativo,
costruito su flashback e testimonianze, e progressive rivelazioni.
Un approccio accattivante ad una storia che si fa indagine
antropologica di una semplicità della vita di campagna che viene
contaminata dal progresso, quel turismo moderno, invasivo e
invadente. I gruppi rumorosi di tedeschi e danesi non sono
interessati alla verità della vita dei pastori, ma sono
intrattenuti da una rappresentazione della stessa che sfocia nella
farsa e nell’esagerazione di luoghi comuni, con il personaggio di
Greta che diventa ammaliatrice, promotrice, artefice principale
dell’azione.
La giunonica donna si pone in mezzo
a due uomini a loro modo simili, per quanto è bionda e vitale lei,
sebbene portatrice di una doppiezza strisciante e ambigua, sono
scuri, pelosi, rugosi padre e figlio. Mario è una vittima
consapevole, si piace scientemente al volere della moglie, mentre
Costantino, da restio e conservatore, si fa sedurre dal corpo della
donna, dalla sua vitalità, dalla sua apparente purezza, soprattutto
dalla fisicità calda di Greta. Una scelta che lo porterà poi alla
rovina.
Un paradiso terrestre pronto a distruggersi
Assandira è un
posto magico, un piccolo paradiso costruito su un sogno, ma proprio
come il paradiso terrestre custodisce un’insidia, un pericolo, un
lato oscuro che finirà per devastarlo. Attraverso il volto segnato,
sempre in primo piano, dell’ottimo e profondo Ledda,
Salvatore Mereu racconta una fiaba dall’esito
tragico, adotta il linguaggio del thriller investigativo e offre
una riflessione antropologica su un dialogo vizioso tra passato e
presente, dove il primo è stuprato e strumentalizzato da un
presente sempre più annichilito dalla noia.
Ci son storie vere che diventano
esemplari ed altre che ci fanno sorprendere di non averle mai
sentite prima, ma in nessuna di queste due categorie potrebbe
rientrare lo spunto al quale si è ispirato Andrei Konchalovsky per
il suo ultimo Dorogie Tovarischi (Cari Compagni),
in concorso alla 77. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia.
Sullo sfondo, infatti, c’è il massacro avvenuto a Novocherkassk il
2 giugno del 1962, del quale si è potuto sapere solo nel 1992
grazie alla Glasnost di Gorbaciov e all’inchiesta affidata
all’investigatore Yuri Bagraev, non a caso chiamato a fare da
consulente alla sceneggiatura.
Il bilancio finale fu di 87 feriti e
26 morti, i corpi dei quali furono seppelliti sotto falso nome per
cancellare ogni prova dell’accaduto. Di fatto preservando i
colpevoli, a tutt’oggi mai condannati. Un esempio agghiacciante
della distorsione dell’informazione e dell’uso della censura ad
ampio raggio da parte del regime comunista sovietico, in questo
caso post Staliniano, che viviamo attraverso l’esperienza della
protagonista, Caposettore del Comitato Locale del Partito, Lyudmila
Syomina. La donna, interpretata dalla moglie del regista Julia
Vysotskaya, da sempre irreprensibile militante convinta della bontà
degli ideali comunisti e dell’onnipotenza del defunto leader, si
getta alla disperata ricerca della figlia, data per morta e
scomparsa dietro la fumosa organizzazione del KGB.
Cari Compagni, una storia
dalle radici antiche
“Volevo fare un film sulla
generazione dei miei genitori” e sulla disillusione di quanti
avevano sognato una società diversa, ha dichiarato il regista, che
da circa 10 anni coltivava questo progetto. Da prima ancora della
sua vittoria del Leone d’argento con Le notti bianche del postino nel 2014 e
Paradise nel 2016 proprio al Lido, dove torna
per omaggiare a suo modo la purezza di quegli uomini e donne, in
molti casi prime vittime del crollo di quelle ideologie. Un tributo
da leggere tra le righe, in effetti, ma non così nascosto,
sicuramente più evidente nelle espressioni della gente comune e
nella loro umanità. Volti e speranze che Konchalovsky sottolinea e
incornicia con inquadrature attente, sicuramente sostenute dal
bianco e nero utilizzato e dal formato scelto, l’ormai insuale
4:3.
A tratti, i paradossi dell’Apparato
assumono toni quasi farseschi, o teatrali, come nelle immagini
dello sciopero e dei primi morti osservate da dietro i vetri di una
finestra chiusa, ma tutto si trasforma rapidamente in tragedia.
Prima sociale, politica e poi personale, con la missione della
donna intorno alla quale tutto ruota. La foga emotiva di questa
madre angosciata spicca facilmente sugli sfondi scelti per
rappresentare una realtà storica fatta di uffici, ospedali e case
private, di soldati senza volto e folle vocianti tanto quanto di
icone religiose e quadri di Stalin.
Tessere di un puzzle che piano perde
di umanità, sposando perfettamente l’immagine stereotipata che
tutti (almeno quelli che ricordano il periodo in questione) abbiamo
di quel contesto, proprio mentre tutto spinge per far emergere
sempre più esempi di pietà e solidarietà tra le vittime, carnefici
compresi. Fondamentali nel procedere della ricerca, che si sviluppa
tra le maglie dell’istituzione, tra alleati imprevedibili e
improbabili, fino alla conclusione più attesa.
Andrà tutto
bene
La parabola che disegna Konchalovsky
è evidente, le sue sorprese non sono narrative, ma la realtà di cui
son intrisi i fatti riportati colpisce ancora più duramente.
Analogamente emoziona di più il turbamento della protagonista
nell’affrontare la nomenklatura schierata per la lettura del
discorso – il cui incipit dà il titolo al film – che dovrebbe
salvarla piuttosto che le implicazioni o le conseguenze della sua
scelta. Le parole vengono meno. E i paralleli tra la chiusura della
città e il lockdown vissuto da tutti noi, o tra il conclusivo
“Staremo meglio” e lo slogan che abbiamo visto apparire su molti
dei nostri balconi, vengono naturali. Non senza regalarci un ultimo
brivido, drammaticamente sincero.