Non scrivo mai articoli in prima
persona, lo trovo un modo troppo autoreferenziale per parlare di
cinema. L’unica occasione in cui mi concedo un “io” è la classifica
di fine anno, la famigerata Top 10, tanto
“complicata” da stilare quanto sempre, per fortuna, discussa,
perché non mette mai d’accordo chi legge e perché, e la prima
persona lo sottolinea, è assolutamente discrezionale,
esclusivamente basata sul gusto personale, che è sempre
insindacabile.
Di seguito, potete trovare
la mia Top 10 dei film usciti, in sala o su
piattaforma, nel 2022, almeno tra quelli che ho visto, che seppure
non sono tutti, sono comunque molti. Lo dico in anticipo, non ci
sono titoli gettonati, come The
Fabelmans oppure Triangle
of Sadness, è una classifica estremamente personale,
che elenca i film che mi hanno dato da pensare a fine visione, che
mi fanno spuntare un sorriso anche nei giorni, nelle settimane o
anche nei mesi successivi alla visione. I film che, per qualche
motivo, mi hanno parlato di più nel corso di quest’anno. Ecco
la mia Top 10 dei migliori film del 2022, godetene
e discutetene:
Visto nel 2021 ma uscito in
sala in Italia nel 2022, il film con
Joaquin Phoenix rasenta la video-arte, eppure ha
un cuore grande e una dolcezza palpabile, come una carezza.
Questa sensazione è accentuata anche
dalla fotografia morbida, dalla colonna sonora che punteggia con
discrezione ogni momento del film, soprattutto dall’interpretazione
di Phoenix che, dopo gli eccessi e i trionfi di
Joker, si dedica a una storia piccola a un
personaggio che mette in scena per sottrazione, confermandosi uno
dei migliori attori viventi.
La classifica è mia e ne
faccio ciò che desidero, inserendoci anche commedie minuscole
perché sì: il film di Hyde è una lettera d’amore a tutte quelle
donne che non si piacciono e non si perdonano (e non si
perdoneranno mai) per come appaiono, a quelle che guardandosi allo
specchio non riescono a essere gentili con se
stesse.
È complicato accettarsi, ancora di
più piacersi, avere il coraggio di uscire dalla propria confort
zone, e questo piccolo film lo mostra con onestà, con leggerezza e
con una profondità davvero rara. Guardarsi l’ombelico,
figurativamente e letteralmente, non è mai stato tanto liberatorio.
E poi c’è
Emma Thompson…
A una commedia piccola e
sconosciuta come
Il piacere è tutto mio, segue uno dei titoli più
importanti del decennio. Il ritorno del “re del mondo”,
James Cameron, il ritorno su Pandora,
soprattutto il ritorno a un’esperienza cinematografica che
stordisce, affascina e rapisce.
Avatar: la via dell’acqua
non è solo grandiosa tecnica messa al servizio del racconto, è
l’elevazione della potenza dell’immagine che crea narrazione, e la
glorificazione dell’idea di un singolo, un uomo capace di piegare
la tecnica ai suoi bisogni e alle sue visioni, trasformandola e
inventandola. Tutto in un film che racconta anche della difficoltà
di essere una famiglia nel mondo che cambia: chiamala
fantascienza…
Pinocchio
di Guillermo Del Toro
Nessuno lo avrebbe mai
detto, dopo tante versioni e ri-narrazioni della storia di
Carlo Collodi, eppure Guillermo Del
Toro è riuscito a trovare uno spiraglio in cui ha
insinuato il suo immaginario trapiantandolo su una creature
preesistente.
Di tutte le cose grandiose che ha
fatto la sua personalissima versione di Pinocchio,
dal sovvertimento del senso originale della storia, allo
spostamento temporale della vicenda durante il fascismo in Italia,
fino alla riflessione sul valore della morte e della condivisione
della vita con chi amiamo, la potenza e la puntualità con cui ha
trasformato uno dei più grandi classici internazionali in una
storia personale è senza dubbio l’aspetto più interessante del
film, la testimonianza del suo spessore di autore e artigiano della
narrazione.
Inoltre, la stop-motion conferisce
un fascino a-temporale alla storia, uno sguardo indietro agli
albori del cinema e allo stesso tempo un balzo nel futuro di una
tecnica che ha tantissimo da esprimere e da regalare al grande
schermo.
Flee di Jonas Poher Rasmussen
Forse passato in sordina
nel nostro Paese,
Flee è un documentario d’animazione che non
solo rappresenta un crocevia di generi, ma è anche la prova provata
di quanto lo strumento animazione sia potente e duttile nelle mani
di chi sa usarlo.
Il film racconta di una fuga per la
sopravvivenza, del diritto ad avere una casa, una identità, la
libertà di poter vivere secondo le proprie necessità. Lo fa con
pudore, alternando pochissimi filmati di repertorio a disegni
animati che diventano rarefatti, allo scopo di raccontare senza
mostrarle alcune delle atrocità che racconta. È la riproposizione
di una testimonianza personale che proprio grazie all’animazione
diventa storia condivisibile da tutto il mondo.
Elvis di Baz
Luhrmann
L’elettricità, gli ormoni
impazziti, la febbrile determinazione a sbrindellare le tavole del
palcoscenico con i propri movimenti troppo troppo sensuali per
l’epoca. Baz Luhrmann si cimenta nell’impresa
impossibile di raccontare la vita di una delle più grandi icone pop
della storia dell’umanità: Elvis Presley.
Eccessivo, barocco, con un montaggio
frenetico e strabiliante, Elvis
è davvero elettricità cinematica allo stato puro, è un Luhrmann
tanto in forma come non lo si vedeva da Moulin
Rouge del 2001, è un’interpretazione straordinaria da
parte del giovane Austin Butler, con un volto
d’angelo e uno spirito indemoniato, lui come il personaggio che
interpreta, inarrivabile e impossibile da eguagliare. E che in
questo il film paga nella seconda parte, sgonfiandosi un po’ nel
ritmo, ma rimanendo un viaggio cinematografico pazzesco.
Ennio di Giuseppe Tornatore
Ennio
Morricone è la storia della musica per il cinema, e
sentirsi raccontare quella storia da lui stesso, che la intreccia
con la sua vicenda privata, poco dopo la sua morte (il film è
uscito all’inizio del 2022, a due anni dalla morte del Maestro che
aveva già registrato la lunga intervista in cui si racconta nel
film) è un’emozione potentissima, che non si riesce a spiegare a
parole, perché la musica aggiunge una dimensione in più, al cinema
e alle emozioni.
Ennio attraversa
momenti gloriosi e momenti dolorosi con la grazia che solo la
leggerezza e la lucidità di una mente onesta e acuta riescono ad
avere. Grandezza che sopravvive alla carne, bellezza che spezza il
fiato.
Che cosa significa avere
più o meno vent’anni, essere innamorati, pieni di vita e di sogni e
avere fiato per correre all’impazzata inseguendo se stessi?
Paul Thomas Anderson lo ha raccontato con una
precisione chirurgica in un film completamente anarchico nella
struttura e nelle svolte narrative, un confort movie in
cui i due protagonisti sono assolutamente insopportabili e che
tuttavia rappresentano almeno una parte di ognuno di noi, in
quell’età dove tutto è esagerato, dove ogni dramma è una tragedia e
ogni gioia è la quintessenza della felicità.
Alana e Gary sono il regista stesso,
ma sono anche un po’ tutti noi, che li guardiamo con affetto dalla
poltrona del cinema, con distanza ma con invidia, perché per loro è
ancora tutto possibile e il loro amore imperfetto e “di corsa” è la
concretizzazione delle possibilità della vita.
Guadagnino non è un
regista che gode troppo della mia simpatia, e sono sicura che
questa affermazione non lo scalfisce affatto, tuttavia gli rendo il
merito di essere riuscito, in questo lungo anno di cinema, a
regalarmi una delle rappresentazioni più vivide e intime di quello
che significa amarsi. Raccontando tutto con una grande finezza che
non viene meno neanche nelle scene più crude, che pure abbondano in
tutto il film.
Ora, la battuta ovvia e scontata, ma
anche efficace, vorrebbe che dicessi “amarsi fino all’osso”, che è
un’espressione letterale nel film e figurata nella vita reale che
esprime benissimo quello che il film davvero racconta. Accettarsi e
capirsi, accogliersi a vicenda, nonostante tutto, ritrovarsi
nell’altro e vedersi riconosciuti per quello che si è. Amarsi
nonostante tutto. Non c’è stato quest’anno, né negli ultimi anni,
un film che sia riuscito così tanto a raccontare questo.
Arrivato in sala a marzo
2022, Red
Rocket è un titolo molto poco conosciuto che merita la
testa della mia (personalissima) classifica perché ha un cuore
enorme e forse perché ci fa sentire migliori del suo protagonista,
interpretato splendidamente da Simon Rex, e anche
soprattutto perché guarda con estrema dolcezza a quegli individui
abbietti e sgradevoli che occupano i margini della società.
La totale assenza di giudizio, la
comprensione, la dolcezza con cui Sean Baker
racconta questa derelitta umanità è un gigantesco atto d’amore, non
solo verso gli ultimi, ma verso la bellezza del lavoro di
canta-storie che alcuni filmmaker prendono più sul serio di altri.
Mikey, protagonista di questa storia, è un cialtrone, non fa niente
per nasconderlo, eppure l’occhio della macchina da presa lo
accarezza, senza risparmiargli nessuna delle sue bassezze eppure
senza mai giudicarlo. E questa assenza di giudizio sembra essere il
punto di vista più nobile con cui guardare al mondo, oggi.