Se Ted
Lasso è uno show entrato di diritto nel cuore degli
spettatori di Apple TV+
il merito va attribuito anche alla sua estetica precisa, capace di
far respirare atmosfere quotidiane e confortevoli. Sotto questo
punto di vista il lavoro della fotografia ha rappresentato una
parte fondamentale per il conseguimento di tale obiettivo. Noi di
Cinefilos abbiamo intervistato i direttori della fotografia
David Rom e Vanessa Whyte, che
hanno creato l’estetica di questa serie partendo rispettivamente
dalla prima e seconda stagione. Ecco cosa ci hanno svelato dello
show:
A livello estetico Ted
Lasso ha creato un microcosmo preciso e riconoscibile, con
ambientazioni familiari che gli hanno regalato coerenza visiva.
Come avete lavorato con scenografi e costumisti per raggiungere
questo risultato?
David
Rom – Quando abbiamo pensato alla serie ci siamo ispirati
al Crystal Palace, i cui colori principali sono blu e rosso. Questo
ha in qualche modo definito il lavoro di tutti, abbiamo scelto di
attenuare leggermente la brillantezza dei colori perché
l’ambientazione risultasse più piacevole, rilassante. Il resto è
venuto di conseguenza, è stato un processo creativo molto
organico.
Vanessa
Whyte – Allo stesso tempo è stato molto interessante di
tanto in tanto uscire dai soliti teatri di posa e trovare qualche
soluzione nuova per esprimere visivamente lo stato dei personaggi.
Nella terza stagione ad esempio una nuova ambientazione quale
l’ufficio di Keeley ci ha regalato una ventata d’aria fresca,
permettendoci di trovare soluzioni cromatiche diverse rispetto ad
esempio allo spogliatoio del Richmond o ad altri set
principali.
Come avete deciso di
passare dai trenta minuti della prima stagione alla durata più
estesa delle successive?
D.R. – Anche le puntate
della prima stagione dovevano durare quarantacinque minuti, poi si
sono accorti che il ritmo e il tono funzionavano meglio con trenta.
Per un direttore della fotografia di solito non cambia nulla, a
parte il tempo a disposizione per preparare le illuminazioni dei
set. Per il resto il mio approccio estetico è rimasto identico.
V.W. – La peculiarità di
questa serie sta nel fatto che all’inizio ti arriva una
sceneggiatura di quaranta pagine, poi quando vai a girare sono
diventate cinquanta. Quello che puoi fare è adattarti, essere
spontaneo durante le riprese. I miei episodi nella seconda
stagione, ovvero il settimo e l’ottavo, si sono gonfiati mentre li
giravamo essendo in pratica degli standalone.
D.R. – Aggiungerei che la
durata maggiore avvantaggia il direttore della fotografia in quanto
consente riprese con inquadrature più lunghe, che non verranno
tagliate in fase di montaggio. A livello visivo preferisco questo
tipo di lavoro sul tempo dell’inquadratura.
Col passare delle
stagioni Ted Lasso è diventato uno show sempre più corale, con le
puntate che hanno alternato spesso toni se non addirittura
protagonisti. Come ha cambiato il vostro modo di lavorare?
D.R. – Quando giriamo in
studio cerchiamo sempre di ottenere quell’effetto estetico che lega
gli episodi, che fa da collante. Quando andiamo in esterni invece,
e penso alla puntata della terza stagione girata ad Amsterdam,
cerchiamo di andare in direzioni differenti: possiamo esprimere i
personaggi in maniera diversa, Ted Lasso lo permette in quanto
molte scene sono girate in location vere.
V.W. – Per me conta molto la
composizione dell’inquadratura, fattore che cambia radicalmente se
ci sono scene con uno o due personaggi oppure con l’intera squadra,
come dentro lo spogliatoio. Alternando questo tipo di situazioni si
crea spesso molto spazio per commedia o dramma, allora il modo di
girare influisce maggiormente dell’effetto che si sta cercando.
Quale è il vostro
episodio preferito nel corso delle tre stagioni?
D.R. – Senza dubbio
l’episodio che ho citato, quello girato ad Amsterdam. Dopo
settimane di spogliatoio e corridoi, girare all’aperto è stato
liberatorio. La sceneggiatura di quella puntata poi è piena di
gioia, connette i personaggi in maniera emozionante e positiva.
Anche se le condizioni di riprese sono state complesse, ha piovuto
tutto il tempo e abbiamo lavorato per una settimana fino alle
cinque del mattino.
V.W. – Lo stesso posso
dire dell’episodio che vede Coach Beard protagonista. Nonostante
stessimo girando in piena estate faceva incredibilmente freddo. In
piú abbiamo lavorato in piena Londra, dove ci sono restrizioni
ferree sull’uso di macchinari o sul disturbo della quiete pubblica.
Abbiamo avuto il permesso di girare soltanto la settimana prima
delle riprese, quindi abbiamo dovuto lavorare con una troupe
ristretta e mezzi leggeri.
Intervista a David Rom e
Vanessa Whyte, direttori della fotografia di Ted
Lasso
Dal momento che Fuori
orario di Martin Scorsese è uno dei miei film preferiti degli anni
‘80, devo per forza chiedere a Vanessa dell’omaggio che ha fatto al
film nella puntata della seconda stagione dedicata proprio a Coach
Beard…
V.W. – Lo sceneggiatore
di quell’episodio è un cinefilo accanito, sa tutto di Martin
Scorsese e di quel lungometraggio. Nella sceneggiatura c’erano
anche riferimenti ad Arancia meccanica o ad altri capolavori. Ho
speso molto tempo con lui a parlare di come organizzare la puntata
a livello visivo. Ci siamo divertiti molto a girarlo, é stata una
vera soddisfazione riempirlo di così tante citazioni.
Il calcio è senza
dubbio uno degli sport più difficili da tradurre in immagini,
probabilmente a causa della compressione del tempo di gioco
effettuata in fase di montaggio. Che tipo di sfida avete affrontato
nel girare i match del Richmond?
D.R. – Fin dall’inizio,
quando abbiamo visitato vari stadi per capire come organizzare le
riprese, ci è stato chiaramente vietato di girare sui prati di
gioco. Ovviare a questo rappresenta sempre un qualcosa che ti
distanzia in qualche modo dal calcio vero, senza contare che spesso
poi non puoi neppure citare le squadre o i calciatori reali. Ted
Lasso riesce ad ovviare a molti di questi problemi perché in fondo
parla molto poco di calcio.
V.W. – A livello tecnico
il problema sta nel girare con i giocatori quasi sempre in area di
rigore, mentre i tecnici stanno vicino alla panchina, praticamente
due set differenti. Poi hai il pubblico, gli effetti speciali per
riempire lo stadio. Insomma, ci sono talmente tanti tasselli del
puzzle da riempire che diventa un vero e proprio tour de force. Per
le partite di calcio solitamente si fa molto uso anche della
seconda unità per girare le azioni di raccordo.
Entrambi avete
lavorato a diversi show televisivi: in cosa Ted Lasso si
differenzia rispetto agli altri?
V.W. – Per me si tratta
di un’esperienza unica, qualcosa che non avevo mai provato in
precedenza. Forse perché è il mio primo show americano, oppure per
il fatto che è un processo organico in grado di lasciare molto
spazio a quello che avviene sul set, ma si respira un’atmosfera
diversa. La troupe è praticamente la stessa dal primo episodio, non
succede mai in una produzione.
D.R. – Non posso che
concordare. Non avevo mai girato commedie prima di questa, forse
per questo mi hanno voluto coinvolgere fin dal principio. Girare
scene con venti persone dentro una stanza rappresenta una bella
sfida, il clima disteso che abbiamo respirato ogni singolo giorno
ha creato il senso di cameratismo necessario per poterlo
realizzare. Ammetto che all’inizio non avevo compreso la portata
della serie, non riuscivo a capire verso che tipo di pubblico fosse
diretta. Iniziando a lavorarci ho scoperto quanto fosse profonda e
diversa dal resto. Si è trattato di un processo creativo
appagante.
Ci sono stati altri
show, film o magari anche soltanto direttori della fotografia a cui
vi siete ispirati per alcuni episodi di Ted Lasso?
D.R. – Prima di iniziare
a lavorare alla prima stagione ci siamo orientati guardando film
come Moneyball o Io, Tonya, quest’ultimo in particolare per capire
come girare le scene sul campo di calcio. Fin dal principio
sapevamo che non volevamo farne una commedia simile a quelle delle
TV via cavo, poi per ogni episodio abbiamo concordato con i veri
registi che tipo di riferimenti intendevamo inserire, svariando da
film a altre serie TV o anche addirittura opere letterarie.
V.W. – Essendo entrata
nel cast nella seconda stagione, i miei riferimenti sono stati
soprattutto gli episodi della prima. Il mio lavoro consisteva nel
continuare quello stile invece di proporne altri. Poi nel nono
episodio, quello di Beard e della sua notte di svago, ho avuto
carta bianca per provare qualcosa di nuovo. Uno dei film a cui mi
sono ispirata è stato l’argentino Il clan, diretto da Pablo
Trapero. Essendo una grande fan di Stanley Kubrick, ho inserito
nella puntata il mio omaggio personale ad Arancia meccanica e
Shining, ho potuto tirar fuori il mio animo geek!
Ultima domanda: non
c’è davvero nessuna speranza di avere una quarta stagione di Ted
Lasso?
V.W. – Non ne ho idea.
Muoio dal desiderio che Jason mi chiami un giorno per darmi qualche
buona notizia…
D.R. – Fin dall’inizio è
stato pianificato come uno show in tre stagioni. Non so nulla di
una possibile espansione dell’universo di Ted Lasso. Credo che
nessuno si aspettasse un successo così eclatante, magari un
pensierino a continuare lo stanno facendo…