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Surface: recensione della serie Apple Tv+

Surface recensione serie tv

Dopo il successo ottenuto con la prima stagione di The Morning Show, Gugu Mbatha-Raw è tornata a collaborare con Apple TV+ grazie a Surface, dramma psicologico con risvolti che sconfinano nel thriller che vede come Creator Veronica West (Ugly Betty).

Surface, la trama

Dopo essere miracolosamente sopravvissuta a un drammatico tentativo di suicidio, Sophie deve ricostruire la propria agiata vita a San Francisco pur avendo perso gran parte della memoria. Ad aiutarla ci sono principalmente suo marito James, la migliore amica Caroline e la psicologa Hannah. Quando però all’improvviso spunta il misterioso Baden e le insinua il sospetto che il suo passato non è quello che tutti stanno tentando di farle credere, e soprattutto che potrebbe essere ancora in pericolo di vita, Sophie inizia a notare delle discrepanze nel suo presente che la portano a sospettare non si sia trattato veramente di un tentato suicidio…

Surface fatica a catturare l’attenzione dello spettatore

Nelle prime puntate, Surface offre allo spettatore uno sviluppo narrativo e dei personaggi che non rappresentano davvero nulla di nuovo rispetto al genere di appartenenza dello show, e, difetto sicuramente anche peggiore, non possiede uno spessore drammatico in grado di catturarlo veramente. A parte alcuni interessanti accorgimenti di regia che rendono la messa in scena intrigante, la serie si sviluppa attraverso un ritmo narrativo eccessivamente posato. Il che avrebbe potuto diventare qualcosa di originale se avesse permesso di approfondire la vita interiore e i dilemmi dei personaggi principali, magari anche quelli secondari rispetto alla protagonista Sophie. Ma ciò non accade, e alla lunga la fluidità “contenuta” della progressione narrativa diventa complessa da sostenere.

Una serie molto elegante nella forma

Visivamente piuttosto curata, Surface si fa notare in particolar modo per l’eleganza delle ambientazioni che rappresentano metaforicamente la gabbia dorata in cui la protagonista è rinchiusa: un fattore che avrebbe potuto diventare una stimolante fonte di contrasto man mano che si comincia a scoprire l’universo in cui invece vive e si muove Baden. Anche questo aspetto però viene purtroppo mal gestito, in quanto rappresentato in maniera fin troppo esplicita: il look estremamente curato e i continui cambi di costume di Gugu Mbatha-Raw diventano un fattore controproduttivo, in quanto distraggono ulteriormente dalla trama: anche se siamo coscienti possa sembrare un’osservazione superficiale, se non addirittura frivola, a tratti si presta maggiore attenzione all’abbigliamento alla moda dell’attrice che alle vicende del suo personaggio.

Scenografia e costumi catturano più della storia

Un lavoro estremamente curato per quanto riguarda scenografie e costumi, adoperato come artificio per catturare e intrigare il pubblico anche a dispetto di un prodotto non particolarmente efficace, era un qualcosa che avevamo già notato quando avevamo scritto della sit-com Loot con protagonista Maya Rudolph, sempre realizzato per Apple TV+. Che si tratti solo di un coincidenza o stia diventando un marchio di fabbrica della piattaforma in streaming, saranno il tempo e le prossime serie realizzate a dircelo…

Se la qualità media delle serie prodotte da Apple TV+ risulta a nostro avviso superiore rispetto a quella delle piattaforme di streaming concorrenti, Surface al contrario si presenta come un mezzo passo falso. A uno spunto di partenza non particolarmente originale segue uno sviluppo non equilibrato tra narrazione e messa in scena, con quest’ultima che risulta molto più curata (addirittura fin troppo…) rispetto all’altra. Gugu Mbatha-Raw – anche executive producer – Stephan James, Oliver Jackson-Cohen, Ari Graynor e Marianne Jean-Baptiste non riescono più di tanto a rendere i proprio personaggi bidimensionali, costretti a lavorare su una storia che non li aiuta a evitare molti stereotipi del genere.

Surface manca di piglio, di spunti e reali riflessioni su quello che vuole raccontare dietro la superficie. E cosa forse ancor più grave sembra tentare di nascondere questa mancanza con una confezione che sfrutta con eccessiva furbizia molti dei trend di questi anni. Peccato.

 
 

Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own): recensione della serie Prime Video

Ragazze vincenti - La serie

Il rifacimento in versione seriale del film di successo Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) (da noi arrivato con il titolo di Ragazze Vincenti) diretto da Penny Marshall nel 1992, che vedeva a protagonisti Geena Davis, Lory Petty e Tom Hanks, propone una variazione sul tema che adopera la stessa cornice storico-sociale per raccontare tematiche decisamente più attuali.

Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own), la trama

Come noto la storia prende spunto dalla formazione nel 1935 della lega femminile di baseball, creata per “salvare” il più popolare sport americano dal momento che la maggior parte dei giocatori professionisti e dei giovani del Paese erano stati arruolati per combattere durante la Seconda Guerra Mondiale.

Co-creator (insieme a Will Graham) e protagonista degli otto episodi è Abbi Jacobson, il cui personaggio di Carson Shaw si trova ad affrontare non soltanto la sfida di giovare come pitch nelle Rockford Peaches ma anche quella umana di scoprire veramente il suo posto nel mondo. Continuare ad essere la moglie ideale di un marito partito per il fronte o affrontare la nuova realtà di un mondo che la vede affermarsi come protagonista del proprio mondo? Allo stesso tempo Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) racconta anche la storia della giovane Max (Chanté Adams), talento naturale come lanciatrice che vede però il proprio amore per il baseball ostacolato solamente dal colore della propria pelle…

Una feel-good series

Il merito maggiore di Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) sta nel fatto di settare il tono della serie fin dal primo episodio, e mantenerlo costante per l’intera durata della stagione. Si tratta di un prodotto chiaramente intento a proporsi come “feel-good” entertainment, e all’interno di questo contenitore propone uno sguardo sincero ed efficacemente gentile nei confronti di un tema come l’omosessualità nello sport.

Abbi Jacobson sembra sapere fin dall’inizio quale è la scala dello show e i suoi obiettivi principali, e non li perde di vista per un solo episodio: Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) non perde mai tensione tentando di diventare eccessivamente melodrammatica o “volare alto” con artifici narrativi o fuorvianti trovate di messa in scena. Al contrario la serie si dipana con un tono gioviale, a tratti magari anche civettuolo, ma in nessun caso superficiale. I rapporti tra i personaggi che compongono la squadra sono ben delineati, e molti archi narrativi funzionano a dovere. Soprattutto lo show restituisce con discreta efficacia la quieta rassegnazione di chi deve condurre la propria vita secondo le etichette prestabilite dal costume dell’epoca, nascondendo i propri impulsi e istinti per non incorrere nello scandalo e nel disonore.

La storia viene sviluppata attraverso due narrazioni principali, in cui appare piuttosto chiaro che quello riguardante Carson Shaw funziona meglio rispetto alle vicende di Max, ma non per questo Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) soffre di evidenti scompensi in fase di tensione drammatica, tutt’altro. A rafforzare l’operazione partecipano poi la notevole presenza scenica e la bravura di D’Arcy Carden e la presenza di caratteristi di lusso quali Nick Offerman, Kevin Dunn e soprattutto la sempre poderosa Dale Dickey.

Il pubblico seriale in cerca di grandi emozioni o spettacoli di genere pirotecnici nei confronti di Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) più di tanta attenzione. Si tratta molto probabilmente di uno di quei prodotti che passeranno piuttosto in sordina e non finiranno in troppe Top10 dei migliori show del 2022. Non ci sono grandi star, non c’è un genere “forte” in grado di solleticare l’attenzione degli appassionati, non ci sono neppure artifici drammaturgici particolarmente originali.

Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) ha una componente sperimentale

Quello che lo show possiede è il tono commedia edificante con alcune pennellate di approccio molto contemporaneo. Sull’ambientazione d’epoca vengono infatti spesso sovrapposti dialoghi coloriti, che impreziosiscono il realismo di personaggi e situazioni. Ecco che allora Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) diventa un piccolo esperimento che contiene “stonature” elettrizzanti, figure che si muovono con grazia tra stereotipo e originalità, momenti di tenerezza sinceri e discorsi sotterranei socio-politici ben orchestrati. L’intento è quello di regalare al pubblico dolcezza, umanità e ritratti femminili a cui affezionarsi, e in questo l’obiettivo viene pienamente centrato. Rimane il dubbio che avrebbe potuto essere qualcosa di maggiormente ficcante? Forse.

La sensazione precisa vedendo episodio dopo episodio è che non fosse questa l’idea alla base del tutto. E partendo da questo presupposto Ragazze vincenti – La serie (A League of Their Own) diventa una serie perfetta da vedere per una serata in completa rilassatezza, magari se possibile accanto alla persona a cui si è legati. Per coccolarci un po’, difficilmente troverete in giro qualcosa di più adatto.

 
 

Cinque giorni al Memorial: recensione della serie con Vera Farmiga

Cinque giorni al Memorial recensione serie apple tv

Il valore e la compattezza di una società civile non dovrebbero essere misurati attraverso gli standard della normalità, quanto piuttosto nelle situazioni di emergenza. Nel momento del bisogno, un tessuto sociale e lo Stato che lo rappresenta dovrebbero ergersi come entità coesa e protrarsi verso gli strati della popolazione maggiormente bisognosi. Il modo in cui si affronta la calamità dovrebbe mostrare il reale stato di salute di una nazione e del suo governo.

Cinque giorni al Memorial, la storia vera

Ed è per questo che gli Stati Uniti non riusciranno mai a lavare dalla propria bandiera la macchia del disastro di New Orleans dopo Katrina. Cinque giorni al Memorial racconta cosa successe nei giorni successivi al passaggio dell’uragano in un ospedale rimasto isolato, o meglio abbandonato al proprio destino. Ideata da John Ridley e Carlton Cuse, la serie di Apple TV+ è un resoconto preciso, minuzioso e desolante dei tragici fatti che portarono alcuni medici a prendere decisioni estreme, salvo poi venir messi sotto accusa a causa di quelle stesse decisioni. Perché risulta sempre conveniente puntare il dito contro il singolo piuttosto che il sistema.

Crea uno scarto concettuale e psicologico profondo e fortissimo, Cinque giorni al Memorial: nella progressione drammatica, nell’attenzione all’arco narrativo dei personaggi principali, nel realismo delle scenografie e delle ambientazioni sembra quasi una docu-serie (viene adoperato a tal proposito anche molto footage reale girato dopo il disastro di Katrina). Eppure allo stesso tempo si ha la sensazione di assistere a un prodotto di fantascienza, a uno show post-apocalittico proprio per gli stessi motivi appena elencati. La mente di chi scrive – e supponiamo anche quella di molti altri spettatori – ha fatto davvero fatica a radicare l’idea che la ricostruzione mostrata è basata su fatti realmente accaduti.

Cinque giorni al Memorial Vera FarmingaRidley e Cuse – anche registi di molti degli episodi – evitano dosano con enorme sensibilità le sottolineature drammatiche e drammaturgiche lasciando che siano i fatti a parlare. Nell’esporre dettaglio dopo dettaglio, scena dopo scena, episodio dopo episodio quanto New Orleans e le sue infrastrutture fossero totalmente impreparate all’emergenza dell’uragano, Cinque giorni al Memorial diventa un atto di accusa perentorio nei confronti di un sistema socio-politico totalmente disinteressato al benessere, anzi soltanto anche alla mera sicurezza delle classi sociali meno agiate. Ed ecco allora che della catastrofe l’uragano diventa la causa almeno quanto lo sono anni e anni di lassismo, incompetenza, razzismo, sfruttamento economico: piaghe che si sono rivelate come tali nei giorni immediatamente successivi a Katrina, quando il vuoto assoluto di potere gestionale – unito alla malafede dolosa e criminale di chi ha curato prima di tutto i propri interessi economici – ha impedito che reali e organizzati soccorsi fossero portati alle migliaia e migliaia di persone colpite dalla catastrofe.

I primi cinque capitoli dello show sono interamente ambientati al Memorial Hospital, con l’ultimo di essi che si rivela un episodio scritto con una lucidità onestamente mai esperita in precedenza in una serie televisiva. Viene infatti raccontato come persone costrette a compiere delle scelte che non avrebbero dovuto spettare loro – persone che hanno dedicato la propria vita professionale al benessere dei propri pazienti, qualsiasi cosa ciò significhi – hanno fatto quello che ritenevano giusto (umano) in condizioni estreme. E insieme viene messo in scena come altri hanno fatto la scelta opposta, ottenendo altri risultati.

Cinque giorni al Memorial serie tv

Non c’è giudizio nel racconto

Si insinua allora l’idea di giusto o sbagliato in Cinque giorni al Memorial? Si tenta un giudizio? Assolutamente no. Al contrario si abbraccia l’idea che chi agisce, chi si prende responsabilità anche gravose nei confronti del prossimo, in particolar modo quando è bisognoso, è al di sopra di una nozione così univoca come giusto o sbagliato. E se anche gli ultimi tre episodi non posseggono la potenza espressiva ed emotiva dei precedenti, rimangono comunque fondamentali poiché continuano a presentare la vicenda da molteplici punti di vista, regalando angolazioni e spunti di riflessione realmente importanti.

È un lungo applauso che meritano tutti coloro che hanno partecipato a Cinque giorni al Memorial, dai creator agli sceneggiatori al cast di attori perfetto in cui primeggiano Vera Farmiga, Cherry Jones e Michael Gaston. È una miniserie dolorosa, a tratti quasi insostenibile. Ma è qualcosa a nostro avviso di mai visto prima, sia nella scrittura che nell’esposizione. Non perdetela.

 
 

Power Book III: Raising Kanan – stagione 2, recensione della serie StarzPlay

Power Book III: Raising Kanan stagione 2 recensione serie tv
NICOLE RIVELLISTARZ

Continua a fiorire e a moltiplicarsi la saga di Power che, con la seconda stagione di Power Book III: Raising Kanan, continua a espandere i propri fili narrativi, in lungo e largo, anche se in questo caso sarebbe più corretto dire “indietro nel tempo”, visto che la serie prequel è ambientata negli anni ’90 e racconta dell’ascesa di Kanan Stark e di come si è fatto strada nel mondo dello spaccio di droga.

Power Book III: Raising Kanan stagione 2, dove eravamo rimasti?

All’inizio della seconda stagione, Raquel Thomas, madre di Kanan, ha raggiunto il controllo totale del traffico di droga della città, ma le sta sfuggendo il controllo sul figlio. Kanan Stark torna nel Queens incerto sul suo futuro negli affari di famiglia e, a causa del segreto sul detective Howard, è ancora più incerto sul suo passato. Il giovane è alla ricerca della verità mentre sua madre Raq con audacia vuole espandere gli affari in un territorio ostile. Lou-Lou, zio di Kanan e fratello di Raq, ha altri piani che ruotano attorno alla sua etichetta discografica in fallimento, ma la donna non ha intenzione di lasciarsi ostacolare dai problemi del fratello. Allo stesso tempo l’altro fratello, Marvin, sebbene rimanga un fedele soldato di Raq, è distratto dalla lotta per ottenere il perdono di Jukebox e diventare il padre che non è mai stato. I legami che tengono insieme la famiglia si stanno sciogliendo, ma Raq non si fermerà davanti a nulla pur di riunirli.

Il franchise in continua espansione

Dopo il focus sulle vicende di Tommy Egan all’inizio del 2022, con Power Book: Force, torniamo negli anni ’90 a seguire la storia di Kanan Stark, che nella serie principale di questo franchise sui generis è lo spacciatore ed ex mentore di Ghost e Tommy, poi diventato il loro rivale.

Le tappe obbligate della storia, che la porteranno a ricongiungersi con la serie principale non fanno perdere di freschezza Power Book III: Raising Kanan stagione 2 che, dopo l’accoglienza positiva della prima stagione, continua a mettere in scena questo lungo viaggio d’iniziazione alla vita criminale del personaggio che in Power ha il volto di 50 Cent. Il carisma della serie resta invariato rispetto alla prima stagione e si arricchisce di svolte e trame che porteranno inevitabilmente, come da titolo, alla “nascita” di Kanan nel suo universo criminale.

Sascha Penn, ideatrice della serie e guira della writing room dello show, si conferma una penna ottima per mettere in scena le avventure splendidamente interpretate da Patina Miller e MeKai Curtis,  rispettivamente Raq e Kanan.

Oltre ai protagonisti, il cast comprende anche Omar Epps (HouseLove and Basketball), London Brown (Ballers), Malcolm Mays (ThemSnowfall), Hailey Kilgore (Amazing Stories), Joey Bada$$ (Due estranei), Shanley Caswell (L’evocazione – The Conjuring), Quincy Brown (Dope), Toby Sandeman (The Royals). Antonio Ortiz (High FidelityThe Sinner) ha ora un ruolo ricorrente nella serie nei panni di Shawn “Famous” Figueroa. Power Book III: Raising Kanan stagione 2 arriverà su StarzPlay a partire dal 14 agosto.

 
 

Irma Vep – la vita imita l’arte: recensione della serie con Alicia Vikander

Irma Vep - la vita imita l'arte

Dopo una gloriosa premiere mondiale al Festival di Cannes 2022, Irma Vep – la vita imita l’arte arriva in Italia, a partire dal 3 agosto, su Sky e NOW. La serie riprende ed espande un universo creato a portato a schermo da Olivier Assayas nel 1996, quando presenta il suo film. Anni dopo, il regista francese torna a quella storia, espandendola e dilatando il mondo di Irma Vep, sfuggendo all’etichetta di remake o di sequel e sviluppando in una serie da 8 episodi di 50 minuti non solo i concetti metatestuali che già venivano affrontati nel film, ma aggiungendovi un occhio contemporaneo e avvalendosi di un cast estremamente devoto ai personaggi che porta in scena.

Irma Vep – la vita imita l’arte, la trama

La storia è quella di Mira, un’attrice di blockbuster hollywoodiani che si accinge a partecipare a una produzione che vuole rimettere in scena una serie culto per la cultura audiovisiva francese. Stiamo parlando di I vampiri, serial del 1915 divenuto un punto di riferimento iconico, a tratti maledetto, per i surrealisti.

Irma Vep – la vita imita l’arte, metatestualità

Qual è il punto di maggiore interesse in questa serie? Sicuramente la meta-testualità. Irma Vep  – la vita imita l’arte è un’indagine sull’industria cinematografica e sullo star System che racconta il remake di una serie a sua volta iconica che, anche nella vita reale ha una valenza artistica importante, mentre contemporaneamente alle riprese i personaggi interpretato da attori scivolano dentro i personaggi che loro stessi interpretano.

Il cast straordinario di Irma Vep

Un gioco di scatole cinesi che viene tenuto in piedi principalmente dal cast, particolarmente in armonia con lo scenario messo a disposizione. In particolare Vincent Macaigne, nei panni del regista di quest’avventura insolita, che si cimenta in un lavoro di rifacimento uno a uno, con momenti di grande poesia e lirismo alternati a gesti e toni grotteschi. Accanto a lui, la vera star della serie, Alicia Vikander, che compare anche trai Producer del progetto televisivo e che offre una delle sue migliori interpretazioni in carriera. Il volto dolce da bambina si concede guizzi di sensualità improvvisa, come fosse u serpente che salta sulla sua preda, insieme a una profondità insondabile di sguardo che accresce quella sensazione di trovarsi di fronte a una ragazza spaesata che però nasconde un segreto. Insomma, un’ambiguità elegante e raffinata, quella di Vikander, che sembra essere perfetta per mettere in scena Mira, che a sua volta scivola dentro Irma Vep e la fa sua, quanti vendo posseduta da questo personaggio carismatico e sensuale, talmente tanto consapevole da scatenare timore negli uomini che la circondano.

Assayas si muove agile tra questi piani della narrazione, mostrando il fianco talvolta all’interpretazione stessa e rendendola protagonista della scena, talvolta a ciò che significa oggi fare arte, o a quello che si potrebbe fare se l’industria non fosse così castrante e bigotta. Irma Vep – la vita imita l’arte è uno sguardo libero alle costrizioni dello sforzo creativo, attraverso un racconto nel racconto e un occhio lucido e tuttavia appassionato.

 
 

Bad Sisters: recensione della nuova serie Apple TV+

Bad Sisters recensione serie apple tv

Dopo il grande – e strameritato – successo di Catastrophe su Prime Video, Sharon Horgan torna allo streaming con Bad Sisters, una miniserie che mescola al meglio molti dei temi e toni portanti delle produzioni made in Britain. Bad Sisters racconta la storia di cinque sorelle molto diverse tra loro, ognuna con i suoi piccoli grandi problemi di tutti i giorni. Una in particolare, Grace (Anne-Marie Duff), ha sposato un uomo che definire meschino, abusivo, ipocrita o minaccioso sarebbe un eufemismo. Jean Paul (Claes Bang) è odiato da tutte le cognate per il modo in cui tratta ognuna di loro, oltre che schiavizzare la moglie. Finché un giorno l’uomo all’improvviso muore…

La trama di Bad Sisters

Ispirata dalla serie belga Clan, Bad Sisters è una commedia che mescola con brio e coerenza la commedia di situazione con una trama gialla in puro stile Agatha Christie. L’ambientazione principale è una piccola cittadina vicino Dublino che si dimostra fin dal pilot molto efficace per circoscrivere l’azione e i personaggi in una cornice “piccola” e provinciale, al fine di ottenere quel necessario senso di realismo. Gli episodi sono infatti sviluppati, sia narrativamente che nella messa in scena, secondo una sobrietà che permette poi a piccoli e precisi guizzi di comicità di esplodere e intrattenere il pubblico. Sharon Horgan dimostra di possedere una versatilità insospettata, allontanandosi dai toni scatenati, a tratti iperbolici di Catastrophe, per arrivare a un prodotto molto stratificato pur se comunque infuso di una leggerezza ammirevole.

Ogni puntata di Bad Sister riesce a scivolare dal dramma alla commedia al thriller (leggero) con un’efficacia che non molti prodotti televisivi posseggono. E allo stesso tempo si presta a essere uno spaccato sociale molto preciso e purtroppo contemporaneo, che racconta quanto esistano ancora oggi nel Regno Unito (ma ovviamente non solo…) microcosmi dove l’abuso e la prevaricazione dell’uomo nei confronti della donna è parte integrante – e tristemente integrata – del tessuto sociale. L’unico punto a sfavore della miniserie – o meglio non del tutto centrato a livello di equilibrio del personaggio – è rappresentato proprio dal personaggio di Jean Paul, il quale alterna momenti in cui è magnificamente tratteggiato nella quotidianità del suo essere abusivo e opprimente, ad altri in cui invece si muove un po’ troppo sopra le righe per risultare realistico, sconfinando nella macchietta.

Bad Sisters serieNonostante questo, Claes Bang riesce a fornire dell’uomo un’interpretazione molto precisa, subdola e fastidiosa al punto giusto. E con questa puntualizzazione passiamo dunque a scrivere del cast di Bad Sister, composto da cinque attrici in stato di grazia, che riescono ognuna a tratteggiare un personaggio unico e insieme perfettamente integrato con gli altri. La rappresentazione del rapporto che lega le sorelle protagoniste è vero, brioso, profondo, a tratti doloroso. Se Sharon Horgan dimostra ancora una volta una presenza scenica tutta personale e corposa, la vera sorpresa è una Sarah Greene (Normal People) davvero energica nel ruolo di Bibi Garvey, la sorella maggiormente mossa dalla rabbia e dalla sete di vendetta.

Una serie di difficile classificazione

È sinceramente difficile catalogare Bad Sisters all’interno di un genere specifico. Lo show di Apple TV+ si declina attraverso molteplici coordinate che lo rendono un prodotto pieno, corposo e capace di indirizzare il pubblico verso discorsi anche differenti tra loro ma ottimamente incorporati insieme. C’è molto nella serie di Sharon Horgan, ma mai troppo. Ci si diverte in maniera frivola e allo stesso tempo profonda; c’è un discorso contemporaneo sul rapporto donna/uomo che non diventa mai pamphlet preconfezionato o messaggio retorico; ci sono romance, commedia di situazione e personaggi, giallo leggero, melodramma. Il tutto incorniciato da paesaggi naturali bellissimi da vedere. Insomma, Bad Sisters merita assolutamente la visione, in quanto capace di soddisfare una larga parte di pubblico.

 
 

L’Immensità disponibile da oggi per l’acquisto e il noleggio in digitale

l'immensità recensione

L’Immensità, il film di Emanuele Crialese che vede protagonista Penelope Cruz, sarà disponibile da oggi, giovedì 22 dicembre, per l’acquisto e il noleggio su tutte le principali piattaforme digitali per Warner Bros. Home Entertainment. Il film è stato presentato in concorso alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti, Penelope Nieto Conti, Alvia Reale, India Santella, Mariangela Granelli e Valentina Cenni.

L’Immensità è una produzione Wildside (una società del gruppo Fremantle), Warner Bros. Entertainment Italia, Chapter 2, Pathé, France 3 Cinema.

L’Immensità – la trama

Roma, anni 70: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli su cui Clara riversa tutto il suo desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha appena compiuto 12 anni ed è la testimone attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. Adriana rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa sua ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare ad un punto di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.

 
 

I am Groot: recensione della serie di cortometraggi Disney+

I Am Groot

Arriva come un uragano di dolcezza e simpatia, il 10 agosto su Disney+, I am Groot, la nuova serie Marvel per la piattaforma che va ad arricchire l’offerta che la Casa delle Idee regala agli abbonati. La serie ci riporta al tempo in cui l’albero senziente è ancora un bambino, anche se probabilmente si tratta di un progetto fuori-canone, come ha dichiarato lo stesso James Gunn. La serie vede diversi ritorni, non solo quello di Vin Diesel che dà la voce al protagonista e di Bradley Cooper che torna brevemente a doppiare Rocket Raccoon, ma è lo stesso Groot che torna nel suo pianeta d’origine, dove non lo abbiamo mai visto!

La serie è formata da 5 episodi, di circa dieci minuti, piccoli cortometraggi, pillole di divertimento e tenerezza che vedono il nostro ramoscello impegnato a esplorare la galassia, a fare i conti con l’ambiente circostante e a farsi rispettare dalle altre creature che incontra sul suo cammino, indipendentemente dalla taglia! Sicuramente queste avventure lo formeranno fino a trasformalo nell’albero che abbiamo conosciuto all’inizio di Guardiani della Galassia e che si sacrificherà per salvare la sua famiglia.

I Am Groot, la nuova serie animata Marvel

Anche in questo prodotto, indirizzato chiaramente ai più piccoli, Groot si dimostra particolarmente a suo agio nel combinare pasticci, con buona pace di Rocket Raccoon, che non può fare a meno di adorare il suo piccolo amico, anche se cerca in tutti i modi di essere severo e limitarne l’entusiasmo infantile.

Con I Am Groot, lo stile del MCU si arricchisce ulteriormente, perché per la prima volta entra in gioco l’animazione fotorealistica, che sebbene sia la più diffusa nel panorama contemporaneo dell’animazione, è una prima volta per lo studio di Kevin Feige. Si potrebbe quindi ipotizzare che si sta aprendo una nuova strada espressiva e linguistica per la Casa delle Idee e I am Groot fa da apripista, soprattutto perché è già stato confermato un secondo ciclo di cortometraggi. Questa novità non ha però impedito a Feige di affidarsi a mani note e fidate. A firmare i cinque episodi c’è infatti Ryan Little, che aveva già seguito What If…? e che è stato confermato per questa nuova avventura.

A dispetto delle recenti polemiche in merito alla scarsa qualità della computer grafica dei recenti prodotti MCU, è evidente che I am Groot si avvale della tecnica più raffinata per mettere in campo al meglio l’amatissimo protagonista, che risplende in tutta la sua dolcezza in tutti e cinque i cortometraggi disponibili su Disney+ dal 10 agosto.

 
 

She-Hulk: Attorney at Law, recensione del primo episodio della serie Disney+

She-Hulk: Attorney at Law recensione serie tv

Non è la versione al femminile di Hulk, non è un mostro, non è preda della sua rabbia: potremmo dire che She-Hulk è la controparte femminile del Gigante di Giada e potremmo dire che sia migliore di lui in ogni cosa. In effetti, dati alla mano, She-Hulk è proprio questo: una versione migliore, più equilibrata e completa di Hulk.

She-Hulk: Attorney at Law, da dove parte la storia?

Lo scopriamo da subito, nella primissima parte del pilot della nuova serie Disney+, in cui incontriamo Jennifer Walters alle prese con Bruce Banner (Mark Ruffalo). Quando Jennifer si trova a dover gestire lo stesso problema del cugino Vendicatore, è ovvio che si rivolga a lui per cercare di capire di cosa si tratta e come “curarsi”, ma presto scoprirà che lei è più brava a gestire la rabbia, a modulare la trasformazione in creatura verde, a convivere, in pratica, con la sua metà bestiale, non perde mai coscienza di sé e si trasforma in una gigantessa verde ma che conserva la personalità di Jennifer. Ma una giovane avvocatessa rampante che d’improvviso si trova investita da superpoteri, e quindi super-responsabilità, è pronta a fare l’eroe? Per Jennifer la risposta non è immediata, dopotutto ha studiato tanti anni per diventare avvocato, non vorrà mica mandare tutto all’aria per una questione di poco conto come questa?

She-Hulk: Attorney at Law Tatiana Maslany

Ally McBeal con i superpoteri, ma non solo!

She-Hulk: Attorney at Law è una serie interessante nel panorama Marvel/Disney: non si colloca mai in un genere preciso, e anche se a tutti verrà in mente Ally McBeal, il paragone, seppure giusto, non rende giustizia all’intera serie che, almeno per i primi quattro episodi, varia di tono e di tema, risultando fresca e intrigante, ma soprattutto offrendo un punto di vista nuovo sul mondo dei supereroi.

Come è stato detto in sede di presentazione della serie alla stampa, She-Hulk è un sguardo privilegiato al backstage della vita di supereroe, mentre seguiamo Jennifer Walters nella sua vita quotidiana, che fa fronte a tutti gli impegni, le incombenze, gli appuntamenti che una donna in carriera di 30 anni e single deve affrontare ogni giorno. E mentre per il cugino la doccia di raggi Gamma è stata uno sconvolgimento, Jennifer, donna multitasking che oltre a fronteggiare una vita piena e attiva si trova anche a vivere in un mondo, quello della professione forense, profondamente maschilista, è semplicemente già allenata a gestire la rabbia, il disappunto, la frustrazione e quindi la sua metà verde diventa solo un task in più.

che hulk castUna donna sa già come gestire la rabbia

Tutte le emozioni che fanno di Bruce un animale indomabile, un mostro pericoloso, per Jennifer sono solo un’altra seccatura, una delle tante, da gestire in una vita piena. Ed è proprio qui che ci porta She-Hulk: Attorney at Law, nella vita di Jennifer, che sceglie di continuare a fare del bene non come supereroe, ma come avvocato, anche dopo che ha ottenuto i poteri e la sorprendente capacità di gestirli.

Il personaggio di Tatiana Maslany offre una nuova prospettiva sull’essere eroe, quella di scegliere di privilegiare l’impegno e la professionalità rispetto allo “smash”, allo spaccare tutto e combattere i cattivi con la forza bruta. Certo, anche lei verrà messa con le spalle al muro, ma sarà in grado di fare le proprie scelte, controcorrente per un supereroe Marvel, ma coerenti e realistiche per una donna contemporanea che vive nel suo tempo.

Rispettato lo stile del fumetto

La serie, con una squadra alla produzione prevalentemente al femminile, riesce a portare a schermo tutto ciò che c’era nei fumetti Marvel degli anni ’80, anche la rottura della quarta parete, ma attualizzando le questioni e il punto di vista dei personaggi a oggi, con grande efficacia e con un risultato fresco e leggero. Certo, per essere un prodotto Marvel l’azione viene lasciata un po’ indietro, ma forse la scelta di produzione è uno specchio della scelta stessa di Jennifer, che cerca di essere un’eroina con il suo incredibile cervello e non con la forza. Ha studiato per questo, in fondo!

 
 

Festa del Cinema di Roma: annunciate le date della 18° edizione

festa del cinema di roma

Dal 2023, Roma Capitale affiderà la gestione della Casa del Cinema alla Fondazione Cinema per Roma. La nuova linea editoriale, curata dal Presidente Gian Luca Farinelli e dalla Direttrice Artistica Paola Malanga, sarà presentata ufficialmente a febbraio, con inizio delle attività nel mese di marzo, dopo una serie di interventi di restyling della struttura e un rinnovamento dell’infrastruttura tecnologica che verranno realizzati nei primi mesi del 2023.

La Fondazione Cinema per Roma annuncia inoltre le date della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si terrà dal 18 al 29 ottobre 2023. La manifestazione avrà dunque un giorno in più di programmazione, attestandosi sulla durata di altri celebri festival internazionali come quello di Cannes.

 
 

The Kingdom Exodus: recensione della serie di Lars Von Trier

The Kingdom Exodus recensione serie tv

Nei regni catturati dalla nostra fantasia, le porte non si chiudono mai del tutto. Basta un’intuizione, un appiglio per drammatizzare un’inquietudine sotterrata nei meandri del subconoscio o, nel caso di Lars Von Trier, di un’inquietante ospedale. Dopo un quarto di secolo, il regista danese è tornato fuori concorso a Venezia 79 con The Kingdom Exodus, che costituisce la terza e conclusiva stagione della celebre miniserie del regista divisa in due parti, The Kingdom (2004) e The Kingdom 2 (2007). Von Trier è pronto a scatenare ancora una volta l’inferno sull’ospedale Riget, in cui ci aveva condotti per la prima volta nel 1994, cercando di replicare su schermo quello che David Lynch aveva fatto con Twin Peaks: ricalibrare le redini della narrazione seriale, avvicinarle al concetto di visione cinematografica, che sedimenta grazie a un uso inedito della suspense e del suo ben noto humor nordico.

Oltre alla protagonista Bodil Jorgensen, il cast di The Kingdom Exodus comprende Lars Mikkelsen, Nikolaj Lie Kaas, Mikael Persbrandt, Ghita Nørby, Nicolas Bro, Søren Pilmark, Peter Mygind, Laura Christensen, Udo Kier, Tuva Novotny e David Dencik. Alexander Skarsgård figura invece come guest star. I cinque episodi di The Kingdom Exodus verranno distribuiti su Mubi.

La trama di The Kingdom Exodus

Un enorme organismo di carne e sangue si è materializzato nelle stanze e nei corridoi di The Kingdom. In una notte buia e tempestosa, la sonnambula Karen intuisce che qualcosa non va e si reca al Regno per cercare delle risposte. Al suo arrivo, scopre che l’ospedale sta soffrendo e che lei è l’unica che può liberare il Regno dal suo tormento. Nle mentre, il medico svedese Helmer Junior è stato assunto da poco nell’ospedale e, ben presto, inizia a percepire un atteggiamento denigratorio da parte dei colleghi danesi. Essendo svedese, si impunta e lancia nuovi approcci in reparto, come la totale neutralità di genere, che ha conseguenze quasi fatali tra lo staff. Ma il male incombe sull’ospedale, qualcosa di incontrovertibile sta per accadere: l’Exodus. È ora che gli spiriti che circondano l’ospedale vengano divisi in chiari e scuri, e che il cancello venga localizzato e aperto. È ora che l’aria debba essere liberata dal grande gregge che non dorme mai.

Prendete Scrubs, celebre successo seriale con Zach Braff protagonista, e conditelo del grottesco: Riget Exodus inizia con un’esilarante battuta e, per tutte le sue cinque ore di durata, continuerà a ironizzare sulla negligenza del personale dell’ospedale, sul concetto di autorità e subordinazione, incapsulando il tutto in una strampalata rivistazione di quella che una volta era la soap opera di prima serata. Certo, la fruizione dei programmi televisivi è completamente cambiata, ma Von Trier – e soprattutto il direttore della fotografia Manuel Alberto Claro – cercano di riportare lo spettatore indietro nel tempo, abbracciando il seppia come accompagnamento cromatico di uno stato dell’essere che descrive tanto i personaggi che abitano il primo livello di realtà dell’ospedale Riget, quanto i fantasmi del passato, a cui la signora Karen (Bodil Jørgensen) cerca in qualsiasi modo di riconnettersi.

Un’ospedale che è anche casa

Karen ha dei conti in sospeso non solo con il Riget, ma anche con Von Trier stesso: il suo personaggio è l’estensione del disappunto dei fan della serie, che hanno dovuto attendere 25 anni per poter intraprendere di nuovo questo percorso luciferino. In realtà, perfino Von Trier e il co-sceneggiatore Niels Vørsel avevano supposto la futura ideazione di una terza e ultima parte di The Kingdom, che si configura anche come metaforico successore del delirante La Casa di Jack (2018). Più esistenze confluiscono nella trappola narrativa di Von Trier, specchio in realtà di anime costrette nel simbolisco incessante, nella raffigurazione distorta del male che dilaga e che preannuncia conseguenze di natura cosmica per il Riget.

Tempi morti lunghissimi, improvvisi cambi di tono e cumuli di informazioni vertiginose, un costante senso di terrore: forse la vecchia magia del Riget non risuona forte tanto quanto negli anni ’90, ma con The Kingdom Exodus Lars Von Trier ci conferma che la variopinta galleria di vecchi furfanti dell’ospedale può ancora coinvolgerci e che, forse, la casa che Jack voleva tanto costruire è stata completata.

 
 

Mike: recensione della serie su Disney+

Mike recensione serie tv

Sembra proprio essere arrivata fuori tempo massimo, questa serie dedicata alla vita sportiva e privata della leggenda del pugilato Mike Tyson. E a conti fatti è un vero peccato, perché si tratta di uno dei personaggi maggiormente controversi e a suo modo affascinanti della società contemporanea. Un simbolo di quell’epoca così contraddittoria e degna di essere rivisitata quali furono gli anni a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90. Sia ben chiaro, lo show realizzato negli Stati Uniti per la piattaforma di streaming Hulu ha parecchie frecce al proprio arco, ma allo stesso tempo possiede suo malgrado anche una mancanza fondamentale che ne mina alla base la riuscita. Ci arriveremo.

Che cosa racconta Mike?

Partiamo dai pregi di Mike: l’idea di costruire un tessuto narrativo che adopera come perno lo show teatrale che proprio Tyson portò in giro per i palcoscenici americani qualche anno fa funziona piuttosto bene, in quanto consente sia un uso efficace dello stesso protagonista come narratore in prima persona della propria vicenda, sia la possibilità di usare il flashback per mettere insieme i tasselli del puzzle umano che era (ed è tutt’oggi) l’atleta newyorkese. Non per nulla dietro al progetto c’è un cineasta di intelligenza acuta quale Craig Gillespie, già autore di un altro biopic sportivo di enorme effetto come Io, Tonya. Anche in quel caso l’uso del montaggio serrato e il guizzo degli attori che parlano alla macchina da presa per raccontare la propria versione dei fatti fanno indubbia presa sul pubblico.

Anche se parte un po’ come a suo modo Martin Scorsese scelse di aprire il suo capolavoro Toro scatenato, con il protagonista che si prepara ad affrontare il suo più temuto avversario, ovvero un pubblico di sconosciuti pronto a giudicarne le gesta, il pilot se ne discosta piuttosto velocemente regalando uno spettacolo molto più contemporaneo, nel bene e nel male: la prima puntata è infatti uno spettacolo variegato e tutto sommato gioiosamente sopra le righe che presenta Mike Tyson in tutta la sua brutale verità, o così almeno vorrebbe farci credere. Perché a conti fatti conviene non dimenticare comunque che non si tratta di un documentario ma della spettacolarizzazione di una vicenda molto più complessa di quanto lo show non la presenti: Mike tende fin da subito a smussare gli angoli più spigolosi, a limare molte delle ruvidezze del Tyson reale e della sua storia, almeno fino alla quinta puntata che invece presenta con un deciso cambio di tono la vicenda di Desirée Washington e dello stupro da lei subito.

Fino a quel momento Mike Tyson viene più o meno giustamente presentato come un uomo bisognoso di un punto di riferimento, così bramoso di ottenere l’altrui consenso da consegnarsi nelle mani di personaggi pronti a sfruttare la sua ingenuità oltre che i suoi terribili pugni sul ring. Sarà magari anche vero, ma il modo in cui la serie lo presenta rende il sottotesto davvero troppo univoco per convincere veramente. Il fatto che sia poi lo stesso (non)eroe a narrare la propria vicenda, fornendoci sempre e comunque il suo punto di vista, non aiuta di certo a ottenere una prospettiva almeno bidimensionale su fatti e personaggi rappresentati. Il che in fin dei conti non sarebbe neppure un difetto insuperabile, se a Mike non mancasse quel qualcosa di fondamentale a cui avevamo accennato in precedenza: la ferocia.

Una furia brutale e inarrestabile

Per chi quegli anni li ha vissuti, per chi ha visto in diretta quegli incontri di pugilato e tutto quello che successe al di fuori del ring, Mike Tyson ha rappresentato un enorme scossa al sistema da cui in qualche modo non si è potuti tornare indietro. Con la sua furia brutale e inarrestabile sul quadrato/arena, con la sua vicenda umana e sportiva sempre al limite, Tyson ci ha al contrario sbattuto in faccia il tempo in cui stavamo vivendo, dimostrando di essere il simbolo estremo di quel periodo e non un fenomeno “altro” come lo status quo aveva tentato di presentarlo.

La dimensione maggiormente arcigna, il sapore ferroso del sangue, l’iconografia quasi atavica, ancestrale del guerriero sono elementi che la serie proprio non possiede. Probabilmente perché i tempi non sono più consoni per tornare a reificare ancora una volta attraverso la fiction tali caratteristiche di un personaggio. E torniamo quindi al punto di partenza: Mike sembra essere un prodotto arrivato fuori tempo massimo…

 
 

Alien: il nuovo capitolo in Casa Disney partirà nel 2023

Alien: Covenant

Il primo film in franchise di Alien prodotto in Casa Disney del regista Fede Álvarez inizierà le riprese all’inizio del 2023. Il terrificante film del 1979 di Ridley Scott su un equipaggio dello spazio profondo che combatte un’implacabile minaccia aliena è diventato un classico del cinema. E lo stesso si può dire del sequel del 1986 di James Cameron, opportunamente intitolato Aliens. Ma “classico” non è necessariamente una parola che si può usare per descrivere i film successivi della serie, e in effetti il franchise è rimasto in un limbo sin dall’uscita di Alien: Covenant nel 2017, che ha fallito al botteghino con soli 240 milioni di dollari.

Ma ora Alien ha un’altra possibilità grazie alla Disney, che ha acquisito il franchise di fantascienza di lunga data quando hanno rilevato la Fox. Il regista di Alien: Covenant Ridley Scott è ancora a bordo del progetto come produttore, ma i compiti di regia per il riavvio sono stati assunti dal regista di Evil Dead Fede Álvarez. E ora c’è un’altra notizia da segnalare sul tentativo della Disney di una resurrezione aliena. Secondo Production List, le riprese del nuovo Alien inizieranno a Budapest il 6 febbraio 2023. La stessa fonte riporta anche il titolo provvisorio del film come Alien: Romulus.

Il casting per il progetto Alien della Disney è ancora in corso, ma è stato recentemente riferito che Cailee Spaeny (Pacific Rim: Uprising) era in trattative per recitare nel film. Oltre ad assumere incarichi di regista, Álvarez scriverà la sceneggiatura di Alien: Romulus insieme al suo partner di scrittura di Evil Dead, Rodo Sayagues. La Disney ha optato per Álvarez per guidare il franchise di Alien nel futuro dopo che un precedente progetto guidato da Neill Blomkamp non è riuscito a decollare. E in questo momento c’è un altro progetto dell’universo alieno in fase di sviluppo sotto forma di una serie TV FX guidata dallo showrunner di Fargo Noah Hawley.

 
 

Avatar: la via dell’acqua, alcuni costumi hanno richiesto 200 ore di lavoro

Avatar: la via dell'acqua
(L-R): Ronal, Tonowari, and the Metkayina clan in 20th Century Studios' AVATAR: THE WAY OF WATER. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2022 20th Century Studios. All Rights Reserved.

La costumista di Avatar: la via dell’acqua, Deborah Lynn Scott, spiega perché alcuni costumi Na’vi hanno richiesto più di 200 ore per essere realizzati. Distribuito 13 anni dopo l’originale da record di James Cameron, il sequel accoglie gli spettatori nel meraviglioso mondo di Pandora per continuare la storia di Jake (Sam Worthington), Neytiri (Zoe Saldana) e della loro nuova famiglia. Avatar: la via dell’acqua ha ottenuto recensioni entusiastiche da parte del pubblico, che ha elogiato l’impressionante costruzione del mondo di Cameron e gli effetti visivi sbalorditivi del sequel. Mentre il primo film si svolgeva principalmente nelle giungle di Pandora, il sequel, come suggerisce il titolo, Jake e Neytiri trasferiscono la loro famiglia in una comunità oceanica di Na’vi dopo l’emergere di una nuova minaccia.

Come il primo film, Avatar: la via dell’acqua ha costruito molti costumi e oggetti di scena dal vero prima che quegli elementi venissero ricreati fedelmente usando la CGI. I costumi Na’vi, in particolare, hanno richiesto ore di scrupoloso lavoro, e Deborah Lynn Scott ha rivelato in una recente intervista a Variety che alcuni pezzi hanno richiesto più di 200 ore di lavoro per essere realizzati.

“Dipende dal costume. Il processo è iniziato con molta ricerca e sviluppo. Ma cosa hanno dettato il personaggio e la scena a me e a Jim? Abbiamo seguito molto il modello del primo film e l’abbiamo portato a un standard più elevato e più complicato. Con il mondo Na’vi, penso che ci siano volute in media circa 200 ore per indumento. Questo senza il tempo di ricerca precedente per decidere se sarebbe stato un vero costume, un costume stampato in 3D o un costume laminato. Abbiamo continuato a tornare al mondo naturale e ai materiali naturali perché quelli sono quelli che danno davvero la vita al pezzo di costume. Abbiamo scoperto che tutta questa magia della stampa 3D, che in alcuni casi abbiamo fatto per aumentare, non era così buona come ciò che era reale, fatto a mano, scolpito a mano sui singoli pezzi su misura.”

Avatar: la via dell’acqua, la recensione

Avatar: la via dell’acqua ha debuttato il 14 dicembre 2022, e sarà seguito dal terzo capitolo il 20 dicembre 2024. Per il quarto e quinto capitolo, invece, si dovrà attendere ancora qualche anno: 18 dicembre 2026 e 22 dicembre 2028.

Il cast della serie di film è formato da Kate Winslet, Edie Falco, Michelle Yeoh, Vin Diesel, insieme ad un gruppo di attori che interpretano le nuove generazioni di Na’vi. Nei film torneranno anche i protagonisti del primo film, ossia Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang, Sigourney Weaver, Joel David Moore, Dileep Rao e Matt Gerald.

 
 

The Menu, dal 4 gennaio disponibile su Disney+

The Menu film 2022

Disney+ ha annunciato che il film Searchlight Pictures The Menu arriverà in streaming in Italia dal 4 gennaio 2023 in esclusiva su Disney+.

In The Menu, una coppia, Margot (Anya Taylor-Joy) e Tyler (Nicholas Hoult), si reca su un’isola costiera degli Stati Uniti nord-occidentali per mangiare in un ristorante esclusivo, Hawthorn, dove il solitario Chef Julian Slowik (Ralph Fiennes), famoso in tutto il mondo, ha preparato un sontuoso menù degustazione per alcuni ospiti speciali appositamente selezionati. Oltre alla coppia, ci sono tre giovani esperti di informatica già ubriachi, Bryce (Rob Yang), Soren (Arturo Castro) e Dave (Mark St. Cyr), una coppia benestante e più anziana composta da due clienti abituali del ristorante, Anne e Richard (Judith Light e Reed Birney), il celebre critico gastronomico Lillian Bloom (Janet McTeer) e il suo servile caporedattore Ted (Paul Adelstein), e una famosa star del cinema di mezz’età (John Leguizamo) con la sua assistente Felicity (Aimee Carrero). Organizzata dai membri impeccabilmente vestiti del personale di sala, diretto dal generale Elsa (Hong Chau), la serata è dominata da una tensione crescente che aleggia su ciascun tavolo degli ospiti mentre vengono svelati segreti e vengono serviti piatti inaspettati. Quando si verificano eventi folli e violenti, le vere motivazioni di Slowik iniziano a inquietare i clienti, e diventa sempre più chiaro che il suo elaborato menù è stato pianificato per culminare con un finale scioccante.

The Menu è diretto da Mark Mylod, con una sceneggiatura di Seth Reiss & Will Tracy.

 
 

Hayao Miyazaki sull’arte realizzata con la AI: “Un insulto alla vita stessa”

Hayao Miyazaki

Hayao Miyazaki non è un fan dell’arte generata dall’intelligenza artificiale. Il talentuoso regista di La città incantata, Si alza il vento, Il castello errante di Howl e Kiki – consegne a domicilio, Miyazaki è il massimo sostenitore dell’animazione disegnata a mano. Questo lungo e scrupoloso processo vede i risultati una volta che l’intero progetto è stato detto e fatto. L’intelligenza artificiale viene ora utilizzata per togliere la maggior parte del tempo e del lavoro agli artisti, rendendo l’arte visiva un’impresa che chiunque può facilmente realizzare.

In un video caricato su Twitter dall’utente Tofu Pixel, al leggendario animatore Hayao Miyazaki viene presentato un display di animazione AI. La presentazione sostiene che l’animazione prodotta dall’intelligenza artificiale porterà idee a cui nessuna mente umana può pensare. Irritato dall’affermazione audace, Miyazaki chiarisce che non solo non userebbe mai questa tecnologia nel suo lavoro, ma questa tecnologia è un insulto alla vita stessa. Il video si conclude con la proposta di una macchina in grado di disegnare immagini come gli umani.

 
 

Doctor Strange nel Multiverso della Follia: i concept mostrano il ruolo esteso di Captain Carter

captain carter Hayley Atwell

L’artista degli storyboard della Marvel Soren Bendt rivela il ruolo esteso del Captain Carter in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. L’uscita del sequel di Doctor Strange era attesa da grandi aspettative, in particolare a causa dell’apparizione degli Illuminati. Il film ha permesso alla Marvel di approfondire finalmente il multiverso espanso e mostrare personaggi che altrimenti non avrebbero potuto presentare in precedenza. Presentava le apparizioni del Professor X (Patrick Stewart), Mr. Fantastic (John Krasinski), Maria Rambeau nei panni di Captain Marvel (Lashana Lynch), Black Bolt (Anson Mount) e il debutto live-action di Captain Carter (Hayley Atwell). Nonostante l’impressionante formazione, la rappresentazione dei personaggi è stata molto controversa.

Non è un segreto che la Marvel avesse piani importanti per i personaggi e che le massicce riscritture abbiano comportato pesanti modifiche alle scene. Bendt ha condiviso i suoi storyboard online (come visto tramite Doctor Strange Updates), svelando un po’ di più sui ruoli originali degli Illuminati. La più grande rivelazione è stata che Captain Carter avrebbe originariamente aiutato il Dottor Strange (Benedict Cumberbatch) e i suoi alleati a fuggire attraverso i tunnel rimanendo indietro per combattere Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen). Ecco i concept che lo testimoniano:

 
 

Brokeback Mountain, Ang Lee su Heath Ledger: “Aveva un dono di Dio”

I segreti di Brokeback Mountain film

Il regista Ang Lee ricorda una suggestiva scena di Heath Ledger durante le riprese di I segreti di Brokeback Mountain. Il defunto attore ha guadagnato consensi per molti ruoli nel corso della sua carriera ed è meglio ricordato come il Joker nel film di Christopher Nolan del 2008 Il cavaliere oscuro. Al di fuori del suo ruolo da cattivo di Batman, Ledger è stato riconosciuto per il suo lavoro in diversi progetti, tra cui 10 cose che odio di te e I segreti di Brokeback Mountain. Diretto da Lee e adattato da un racconto di Annie Proulx, il film è interpretato da Ledger e  Jake Gyllenhaal nei panni di un ranch e di un rodeo cowboy che sviluppano un profondo sentimento reciproco nel 1963.

In I segreti di Brokeback Mountain, Ennis Del Mar (Heath Ledger) e Jack Twist ( Jake Gyllenhaal) si incontrano durante una stagione di allevamento di pecore sulla montagna che dà il titolo al film nel 1963 e stringono una relazione intima. Mentre la coppia completa il lavoro e si separa, Ennis si sposa con la sua dolce metà Alma (Michelle Williams), ma la continua relazione tra Jack ed Ennis mette a dura prova il matrimonio. Alla fine, Alma lascia Ennis e lui ha una breve avventura con Cassie Cartwright (Linda Cardellini), dopo di che dice a Jack che non possono più vedersi. Durante una conversazione con Empire, Lee descrive una delle scene più memorabili di Ledger, elogiando la profonda comprensione del personaggio da parte del defunto attore e il suo “dono di Dio”. Ecco cosa ha detto Ang Lee:

“Ennis è solo, sta mangiando una fetta di torta di mele. Linda [Cardellini] sta recitando a squarciagola, è in lacrime, affrontando Ennis: ‘Perché l’hai fatto?’ Ma lei non ottiene una parola da lui. Durante tutta la scena, Heath non fa nulla: mangia solo la torta di mele. Ma guardando i giornalieri, anche la troupe piangeva, dicendo: ‘Lascia stare quel tizio!’ Ho capito e apprezzato la tranquillità di Heath, la sottigliezza del momento e il modo in cui si è comportato in quella scena. Siamo stati tutti molto fortunati a poter fare un film con un attore di quel calibro. Aveva un dono di Dio. In cuor suo, penso che Heath conoscesse profondamente il personaggio di Ennis.”

Prima di tutti i film che negli ultimi anni hanno raccontato e celebrato un amore furoi dagli schemi classici c’è stato I segreti di Brokeback Mountain, diretto nel 2005 dal premio Oscar Ang Lee. Questo è in particolare ricordato per la delicatezza con cui l’amore tra i due protagonisti viene raccontato, dando vita ad una storia struggente e senza tempo.

Il film è basato sul racconto Brokeback Mountain, anche noto come Gente del Wyoming, scritto nel 1997 da Annie Proulx per la rivista The New Yorker. Benché di questo una sceneggiatura fu scritta subito, ci vollero anni perché il film si concretizzasse. Da molti era infatti ritenuto un progetto troppo rischioso, sia per ciò che si raccontava sia per ciò che si mostrava. Lee si rivelò il regista giusto per quest’opera, essendo tutto il suo cinema percorso da un conflitto tra i sentimenti e le costrizioni. La brevità del racconto ha in questo caso permesso di inserire tutto ciò che è scritto nel film, lasciando spazio anche ad una serie di approfondimenti dei personaggi e del loro vissuto.

 
 

Universal vs the people: lo studio condannato per la “pubblicità ingannevole” di Yesterday

yesterday recensione Universal

“Universal ha ragione sul fatto che i trailer implicano una certa creatività e discrezione editoriale, ma questa creatività non supera la natura commerciale di un trailer”, ha scritto il giudice distrettuale degli Stati Uniti Steven Wilson in una sentenza del 20 dicembre sulla mozione principalmente fallita dello studio per respingere la potenziale azione collettiva presentata per la prima volta a gennaio da Paul Michael Rosza e Conor Woulfe. “In sostanza, un trailer è una pubblicità progettata per vendere un film fornendo ai consumatori un’anteprima del film”, ha proseguito il giudice federale (leggi qui la sentenza integrale).

Facciamo un passo indietro (oppure leggi tutto qui). A gennaio aveva fatto notizia l’azione legale che Paul Michael Rosza e Conor Woulfe avevano intentato contro la Universal: i due avevano visto il trailer di Yesterday di Danny Boyle e, avendo visto che il video promozionale sponsorizzava la presenza di Ana De Armas nel film come interesse amoroso del protagonista, avevano deciso di noleggiarlo. La scoperta che il ruolo della loro attrice era stato tagliato dal film ha messo i due consumatori nella disposizione di fare causa allo studio.

Adesso, il tribunale si è espresso a favore di Paul Michael Rosza e Conor Woulfe. Quella versione del trailer è costata allo studio $ 5 milioni. Woulfe e Rosza si sono sentiti ingannati dalla presenza di Ana De Armas nel trailer di Yesterday e non hanno gradito essere presi in giro. “La pubblicità e la promozione del film Yesterday da parte dell’imputato è falsa, fuorviante e ingannevole”, ha dichiarato la loro causa legale del 21 gennaio contro la Universal.

Nonostante lo studio di proprietà di Comcast e i migliori sforzi dei loro avvocati Munger Tolles e Olson per archiviare questa causa, il giudice Wilson era d’accordo con molte delle ragioni dei querelanti e del loro esercito di avvocati. “In sintesi, la Universal non ha indicato alcun discorso non commerciale che potrebbe essere intrecciato con il trailer e, l’eccezione inestricabilmente intrecciata alla dottrina del discorso commerciale non si applica”, ha scritto ieri in un avanzamento della questione alla scoperta e potenziale classe certificazione. “Pertanto, poiché i querelanti hanno plausibilmente affermato che il trailer è un falso discorso commerciale, i querelanti possono procedere con le loro affermazioni senza offendere il Primo Emendamento”.

Sebbene il giudice Wilson abbia anche tenuto a dire nella sua sentenza che “la decisione della Corte è limitata alle rappresentazioni sul fatto che un’attrice o una scena sia nel film, e nient’altro”, la sua sentenza potrebbe complicare le cose nella galassia sciolta di trailer. Con questo esempio, lungi dall’essere la prima volta che un trailer di un film di Hollywood ha mostrato qualcuno che alla fine non è presente o appena in un film, il quadro generale qui è che potrebbe essere necessario attenuare l’iperbole visiva, verbale e non dei trailer, o rischiare grosse responsabilità.

 
 

Masquerade – Ladri d’amore di Nicolas Bedos al cinema

Masquerade - Ladri d'amore

Dopo esser stato presentato fuori concorso nell’ultima edizione del Festival di Cannes e aver raggiunto oltre 500.000 spettatori in Francia nei primi 10 giorni di programmazione, arriva nelle sale italiane, dal 21 dicembre, il nuovo film di Nicolas Bedos, Masquerade – Ladri d’amore, che vede protagonisti Pierre Niney, Isabelle Adjani, François Cluzet, Marine Vacth, Emmanuelle Devos e Laura Morante.

Masquerade – Ladri d’amore è un affresco corale che parte dalle storie di Adrien e Margot – Niney e Vacth -, giovani e bellissimi che sognano una vita migliore, a qualunque costo. Le loro vite e le loro scelte si intrecciano inesorabilmente a quelle degli altri personaggi in scena, in una trama carica di relazioni e colpi di scena.

La Costa Azzurra con i suoi colori sgargianti e i suoi panorami mozzafiato fa da cornice a un film sul desiderio, sul denaro, sulla gloria e sull’illusione. Un vero e proprio omaggio a Nizza, quello di Bedos, alle sue feste, alla follia immobiliare, a quella ‘nostalgia fitzgeraldiana’ come la definisce il regista, che torna con Masquerade – Ladri d’amore sul grande schermo dopo il successo, tra gli altri, de La Belle Époque.

Sinossi: Adrien, un attraente ballerino che ha dovuto lasciare la danza, spreca la sua giovinezza nell’ozio della Costa Azzurra, dove vive mantenuto da Martha, vecchia gloria del cinema. Tutto cambia quando incontra la giovane e bellissima Margot ed è subito colpo di fulmine. Insieme, fantasticano su una vita migliore e mettono in piedi una truffa ai danni di un ricco imprenditore. In Masquerade – Ladri d’amorenulla è come sembra.

 
 

L’impero del sole: tutto quello che c’è da sapere sul film di Steven Spielberg

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L’imminente uscita in sala del nuovo film di Steven Spielberg, The Fabelmans (qui la recensione), è l’occasione giusta per riscoprire alcuni lungometraggi diretti dal premio Oscar troppo spesso dimenticati in favore di altri come Lo squalo, E.T. – L’extraterrestre o Schindler’s List – La lista di Schindler. Pellicole come Il colore viola, Always – Per sempre o L’impero del sole sono infatti tra le opere meno citate di Spielberg, pur presentando non solo elementi di grande fascino ma anche tematiche particolarmente centrali nella poetica del regista. Proprio l’ultimo di questi tre titoli citati, realizzato nel 1987, è l’occasione per affrontare la Seconda guerra mondiale da un punto di vista inedito.

Spielberg, a partire dalla sceneggiatura di Tom Stoppard e Menno Meyjes, adatta per il grande schermo il romanzo omonimo al film e parzialmente autobiografico scritto da J. G. Ballard, dove l’autore riporta, con alcune variazioni, le esperienze vissute a Shanghai durante l’occupazione Giapponese. Il regista si sentiva particolarmente vicino al giovane protagonista, che perde i genitori nel corso dell’invasione e vive un periodo di smarrimento durante il quale passa drammaticamente dall’infanzia all’adolescenza. Ancora una volta, dunque, Spielberg affronta l’infanzia e la perdita dell’innocenza per parlare sia di sé stesso che dell’intera umanità, realizzando un film tanto epico quanto intimo.

Ben accolto dalla critica e candidato sei premi Oscar, L’impero del sole è dunque un altro dei film di Spielberg da scoprire o riscoprire senza ombra di dubbio, nel quale si possono ritrovare sentimenti, paure e riflessioni assolutamente universali. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e al libro da cui il film è tratto. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.

L’impero del sole: la trama e il cast del film

La storia si svolge nel 1941, quando il ragazzo inglese Jim Graham, di dieci anni, vive a Shangai in mezzo agli agi con l’hobby immaginifico degli aerei-giocattolo. Quando però si scatena l’invasione della Cina da parte dei Giapponesi, nella confusione della fuga, Jim perde i genitori e tutta la vita a cui era abituato. Dopo lungo vagabondare, deciderà di avventurarsi in bicicletta per la Shangai pattugliata dai Giapponesi. Quasi investito da due spregiudicati americani, Basie e Frank Demerest, Jim si ritrova catturato con loro dai Giapponesi e rinchiuso in un campo di concentramento. Qui vivrà gli anni difficili del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, in attesa di conoscere nuovamente la libertà.

Ad interpretare il giovane Jim vi è un dodicenne Christian Bale, qui nel suo primo ruolo da protagonista per il cinema. Bale fu consigliato a Spielberg dalla sua moglie di allora, l’attrice Amy Irving, che aveva lavorato con il giovane attore nel film televisivo Anastasia – L’ultima dei Romanov. Bale batté poi la concorrenza di oltre quattro mila candidati, ottenendo il ruolo che di fatto lo ha reso una celebrità. Proprio per via dell’attenzione della stampa nei suoi confronti, egli sviluppoò poi uno stato emotivo di tale stress che lo portò a decidere di smettere di recitare, tornando poi sui suoi passi due anni dopo.

Accanto a lui, nel film, si ritrovano poi gli attori John Malkovich e Joe Pantoliano, rispettivamente nei ruoli del ladruncolo Basie e del suo tirapiedi Frank. Il primo dei due diventerà una figura paterna per Jim, mentre il secondo nutrirà gelosia nei suoi confronti. L’attore Ben Stiller, anch’egli in una delle sue prime esperienze cinematografiche, ricopre invece il ruolo di Dainty, uno dei ragazzi del campo che stringerà amicizia con Basie. Stiller ha in seguito raccontato di aver avuto l’idea per il suo film Tropic Thunder proprio sul set di L’impero del sole. Completano poi il cast gli attori Nigel Havers nei panni del dottor Rewlins e Masato Ibu in quelli del sergente Nagata, capo dei soldati giapponesi.

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L’impero del sole: il libro e la storia vera dietro il film

Pubblicato nel 1984, L’impero del sole è, come già accennato, un racconto sostanzialmente autobiografico basato sulle esperienze dell’autore, nato e cresciuto a Shanghai, dove il padre era direttore di un’industria tessile. Venne internato insieme alla famiglia in un campo di prigionia in seguito all’attacco di Pearl Harbor. Durante la seconda guerra mondiale Ballard bambino fu internato assieme ai suoi famigliari nel campo di prigionia giapponese di Lunghua dal 1943 al 1945. Uscitone sano e salvo, si trasferì poi in Gran Bretagna, dove iniziò gli studi di medicina all’Università di Cambridge. Lasciati gli studi, Ballard si dedicò alla scrittura e divenne un apprezzato scrittore di opere di fantascienza (suoi sono La mostra delle atrocità e Crash).

Sarà però proprio L’impero del sole a renderlo famoso al di fuori del genere fantascientifico e da quel momento egli si allontanò sempre di più da quel tipo di scrittura. Nello scrivere il romanzo da cui poi Spielberg ha tratto il romanzo, però, Ballard ha ammesso di aver volutamente apportato delle modifiche rispetto alla sua vera vicenda da prigioniero. I suoi genitori e sua sorella non furono inclusi nel nucleo della storia che si svolge nel campo di concentramento per una precisa scelta volta a rendere la scrittura del romanzo più facile, anche dal punto di vista psicologico. Partendo da questo suo racconto, dunque, Spielberg costruisce un film incentrato sulla perdita d’innocenza di un bambino e dell’intera umanità di fronte all’orrore della guerra.

L’impero del sole: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di L’impero del sole grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 21 dicembre alle ore 21:00 sul canale Warner TV.

Fonte: IMDb

 
 

Mistero a Crooked House: trama, cast e le differenze tra il libro e il film

Mistero a Crooked House film

Unanimemente considerata una delle scrittrici più influenti e prolifiche del XX secolo, Agatha Christie ha consegnato al mondo una fortunata serie di romanzi e racconti gialli ancora oggi considerati tra i migliori esempi di questo genere. Celebre per aver dato vita a personaggi come Hercule Poirot e Miss Marple, la Christie ha visto proprio questi due divenire protagonisti di numerose trasposizioni televisive e cinematografiche. Tra i più recenti si annovera infatti il film Assassinio sull’Orient Express, con Kenneth Branagh nel ruolo di Poirot. Anche molti altri suoi romanzi sono però stati oggetto di adattamento e tra questi vi è Mistero a Crooked House (qui la recensione).

Diretto nel 2017 da Gilles Paquet-Brenner (noto per essere stato il regista di Walled In – Murata viva e Dark Places – Nei luoghi oscuri) il film è l’adattamento del romanzo del 1949 È un problema. La Christie trasse lo spunto per questo da un’antica filastrocca e decise di non inserirlo nelle serie che prevedevano come protagonisti Poirot o Miss Marple. Si tratta di un’opera molto cara alla scrittrice, che in più occasioni l’ha definita come uno dei suoi scritti preferiti insieme al romanzo Le due verità. Poiché anche questa storia si adattava bene al racconto cinematografico, dar vita ad una sua trasposizone fu del tutto naturale.

Con un ricco cast di celebrità internazionali, Mistero a Crooked House si affermò come un buon giallo, portando gli spettatori all’interno di un nuovo rompicapo tutto da decifrare. Un film che ha ribadito l’apprezzamento che questa tipologia di film ancora oggi ha e che ha poi trovato in Cena con delitto un suo simile. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alle differenze tra il libro e il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Mistero a Crooked House: la trama del film

La storia qui narrata si svolge nella Lodra di fine anni Cinquanta. Per ottenere finalmente la mano della bella e facoltosa Sophia Leonides, incontrata al Cairo presso l’ambasciata inglese, il giovane investigatore privato Charles Hayward deve prima risolvere il mistero che avvolge la morte di suo nonno, il patriarca Aristides Leonides, avvelenato da un familiare a Crooked House. Nella dimora lussureggiante, dove l’intera famiglia si è trasferita a causa della Seconda guerra mondiale, figli e nipoti del defunto puntano il dito contro Brenda, giovane seconda moglie dell’anziano miliardario, accusata di avere una liaison sentimentale con il precettore dei nipoti.

Le indagini personali conducono Charles su piste non battute dalla polizia, nuovi moventi emergono a rimescolare le carte, e gli alibi già traballanti dei misteriosi inquilini crollano sotto il peso di stringenti interrogativi. Non solo ci si domanda chi è l’assassino, ma se e quando colpirà ancora. Ben presto, ognuno diventa un potenziale sospettato, poiché ognuno sembrava avere un motivo valido per uccidere. Con l’infittirsi del mistero, Charles dovrà sbrigarsi a risolvere l’enigma, poiché lui stesso o quanti a lui cari potrebbero essere le prossime vittime.

Mistero a Crooked House: il cast del film

Mistero a Crooked House è composto da un ricco cast di celebri interpreti internazionali. Max Irons interpreta Charles Hayward, mentre Stefanie Martini è la sua amata Sophia Leonides. Spicca poi la pluricandidata all’Oscar Glenn Close, nel ruolo di Lady Edith de Haviland, mentre Terence Stamp è l’ispettore Taverner. Julian Sands interpreta Philip Leonides, Christian McKay è Roger Leonides e Amanda Abbington ricopre il ruolo di Clemency Leonides. Questi tre attori sono noti come dei veterani delle traspozioni della Christie, avendo recitato in diverse opere tratte dai suoi racconti. Nel film sono poi presenti le note attrici Gillian Anderson nel ruolo di Magda Leonides e Christina Hendricks in quello della controversa Brenda Leonides. Honor Kneafsey è Josephine Leonides.

Mistero a Crooked House libro

Mistero a Crooked House: le differenze tra il libro e il film

Nell’adattare il romanzo della Christie, gli autori sono rimasti particolarmente fedeli a questo. Sono però ovviamente state necessarie alcune modifiche, più o meno grandi, al fine di conferire una forma più cinematografica al tutto. In primis, nel film Charles e Sofia vengono descritti come due ex amanti, mentre nel racconto sono fidanzati sin dall’inizio. Successivamente, un significativo cambiamento si ritrova anche in relazione al personaggio di Lady Edith. L’anziana, infatti, decide di lasciare la sua confessione a Charles invece che a Taverner. Non lascia però nessuna seconda lettera, come invece avviene nel romanzo. In questa veniva esplicitamente indicato il nome dell’assassino.

Venendo a mancare questa lettera, Charles deve attivarsi in prima persona per cercare di scoprire tale identità. Ulteriori cambiamenti si ritrovano nel personaggio di Brenda. Questa viene descritta come americana, mentre nel film non è indicata la sua provenienza. La Christie l’aveva però caratterizzata come una cameriera, mentre nel film diventa una seducente danzatrice. Infine, il film introduce alcune scene di inseguimento d’automobile non presenti nel romanzo e il personaggio di Josephine si ritrova messa ko in seguito ad una caduta dalla sua casa sull’albero. Nel romanzo, invece, viene colpita da un pesante ornamento.

Mistero a Crooked House: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Mistero a Crooked House è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple iTunes e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 21 dicembre alle ore 21:10 sul canale Rai Movie.

Fonte: IMDb

 
 

Wolverine – L’immortale: trama e cast del film con Hugh Jackman

Wolverine - L'immortale film

Con l’inizio del nuovo millennio i film dedicati ai supereroi dei fumetti, in particolare Marvel e DC Comics, sono diventati una realtà particolarmente solida dell’attuale panorama cinematografico mondiale. La trilogia di lungometraggi dedicati agli X-Men, in particolare, è tra le più apprezzate dai fan del genere. In questi titoli, in particolare, spicca naturalmente il personaggio di Wolverine, interpretato da Hugh Jackman. A lui è infatti poi stata dedicata una trilogia iniziata nel 2009 con X-Men le origini – Wolverine e proseguita nel 2013 con Wolverine – L’immortale (qui la recensione). Diretto da James Mangold, questo secondo capitolo si colloca cronologicamente tra X-Men – Conflitto finale e X-Men – Giorni di un futuro passato.

Pur essendo un sequel, però, questo presenta una storia, inserita in un contesto profondamente diverso rispetto al precedente, rendendolo quasi un film a sé stante. La vicenda è infatti basata sulla serie di fumetti The Wolverine, scritta da Chris Claremont e illustrata da Frank Miller, e presenta un’ambientazione giapponese. Proprio per via di questa Mangold decise poi di costruire il film fondendo al suo interno caratteristiche da western derivate da opere come Il texano dagli occhi di ghiaccio e altre derivate dai film di samurai come 13 assassini. Ciò permise di dar vita ad un racconto sul celebre mutante ricco di suggestioni visive che lo rendono unico.

Ciò portò Wolverine – L’immortale a distinguersi dai suoi simili, ottenendo recensioni positive ed un incasso complessivo di quasi 415 milioni di dollari. Ancora oggi, per i fan del personaggio, è insieme a Logan – The Wolverine, il miglior film dedicato al personaggio. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Wolverine – L’immortale: la trama del film

Wolverine – L’immortale si apre con un flashback sul passato di Logan il quale, nel 1945, è prigioniero a Nagasaki durante lo scoppio della bomba atomica, dove riesce a salvare il soldato Yashida dall’esplosione. Nel 2013, Logan è invece distrutto dalla morte dell’amata Jean Grey e conduce una vita da eremita sulle montagne dello Yukon. Il suo isolamento è improvvisamente interrotto dalla comparsa della giovane mutante Yukio, in grado di prevedere la morte di ogni persona. Quest’ultima gli rivela che Yashida sta morendo e vorrebbe ringraziarlo per il valoroso gesto compiuto durante la guerra.

Nonostante le iniziali opposizioni, Logan si reca dunque a Tokyo. Qui l’uomo tenta in realtà di persuadere Wolverine a barattare con lui il suo dono dell’immortalità. Sebbene detesti l’idea di vivere per sempre con il rimorso, il mutante si rifiuta di privarsi di questo potere, ignaro di essere già caduto nella trappola della dottoressa Viper, la quale aspira ad avere il dono dell’immortalità posseduto dal mutante. Logan si ritrova così vittima di un complotto più grande di quello che potrebbe immaginare, che lo porterà a dover letteralmente lottare per la propria vita, cercando allo stesso tempo di salvare l’innocente Mariko, nipote di Yashida, coinvolta nella vicenda.

Wolverine - L'immortale cast

Wolverine – L’immortale: il cast del film

Con Wolverine – L’immortale, l’attore Hugh Jackman si ritrova ad interpretare il personaggio di Wolverine per la sesta volta. Ormai particolarmente legato al personaggio, egli si sottopose ad un allenamento fisico ancor più intenso dei precedenti, consigliatogli dall’attore Dwayne Johnson. Così facendo ha raggiunto una forma fisica sbalorditiva, grazie alla quale ha potuto prendere personalmente parte alle sequenze d’azione del film, senza affidarsi eccessivamente a controfigure. In particolare, quando doveva apparire senza vestiti egli era solito privarsi di liquidi per circa 36 ore, così da far risultare più evidenti i muscoli. Una pratica, questa, che è però particolarmente pericolosa per la salute.

Accanto a lui, nel film, si ritrovano diversi attori giapponesi, a partire da Tao Okamoto, qui al suo debutto cinematografico nel ruolo della giovane Mariko, mentre Rila Fukushima è Yukio. Per il suo ruolo, quest’ultima si allenò in particolare nell’uso della spada. Per interpretare Yashida, l’uomo salvato da Wolverine, è invece stato scelto Hiroyuki Sanada. L’attrice russa Svetlana Khodchenkova interpreta invece la mutante Viper, in grado di produrre veleni e tossine estremamente pericolosi. Hal Yamanouchi è invece il Silver Samurai, altro potente rivale di Wolverine presente nel film. In ultimo, si annoverano anche i camei di Patrick Stewart nel ruolo di Charles Xavier e di Famke Janssen in quelli di Jean Gray.

Wolverine – L’immortale: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Wolverine – L’immortale grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Amazon Prime Video e Disney+. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 21 dicembre alle ore 21:20 sul canale Italia 1.

Fonte: IMDb

 
 

Ecco tutti i titoli Apple Original Film in arrivo nel 2023 su Apple TV+

Sharper film 2023

Un anno ricco di grandi titoli per Apple Original Film in arrivo nel 2023 su Apple TV+, trai titolo di maggior richiamo l’attesissimo Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Argylle, un thriller di spionaggio con Henry Cavill.

1Killers of the Flower Moon

Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese in Killers of the Flower Moon 10 marchi
Gentile concessione di © 01 Distribution

Killers of the Flower Moon, basato sul best-seller di David Grann, è ambientato nell’Oklahoma degli anni ’20 e racconta la storia dell’assassinio di numerosi membri della Osage Nation, una zona ricca di insediamenti petroliferi; una misteriosa serie di crimini brutali che divennero noti come “il regno del terrore di Osage”. Il film è diretto da Martin Scorcese ed è interpretato da Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Jesse Plemons e Lily Gladstone. I produttori, insieme allo stesso Scorcese, sono Dan Friedkin e Bradley Thomas per Imperative Entertainment e DiCaprio per Appian Way.

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The Last Movie Stars di Ethan Hawke arriva su SKY e NOW

The Last Movie Stars

Arriva in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW The Last Movie Stars, l’attesissima docu-serie HBO Max diretta da Ethan Hawke e prodotta da Martin Scorsese. Un’epica storia in sei episodi che celebra una delle grandi coppie di Hollywood: Paul Newman e Joanne Woodward.

Il progetto, in onda dal 26 dicembre alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW, parte dalle sbobinature dattiloscritte di audiocassette registrate dallo stesso Newman – e poi andate distrutte – a cui grandi attori di Hollywood, tra cui George Clooney e Laura Linney, hanno ridato vita con la propria voce.

La docu-serie in sei episodi intreccia testimonianze e tracce d’archivio a sequenze memorabili di grandi film. Ethan Hawke esplora la storia d’amore tra le due leggende di Hollywood con le letture, a lungo perdute, di momenti più intimi e familiari dei due attori, partner sullo schermo e nella vita. The Last Movie Stars dipinge un ritratto intenso di una coppia duratura, intrecciata per sempre con la storia del cinema americano.

Negli anni ’50, un giovane Paul e un’ancor più giovane Joanne si recano a New York per iniziare la loro carriera di attori, e incrociano fatalmente i loro percorsi come sostituti a Broadway. C’è solo un problema: Paul è già sposato. Resa finalmente pubblica la loro relazione, i novelli sposi Paul e Joanne trovano successo insieme, e Joanne porta a casa un Oscar come migliore attrice. La serie ripercorre le loro vite, tra le glorie e le difficoltà, in un rapporto in cui oltre al cinema c’era molto altro.

 
 

I 10 blockbuster più attesi del 2023 secondo Fandango

Guardiani della Galassia Vol. 3

Fandango ha pensato di stilare una lista dei 10 blockbuster più attesi per il 2023 con un sondaggio su oltre 5000 fan. Il cinema è l’esperienza sensoriale più autentica che si possa ricevere, seppur sia fornita da prodotti di finzione. Questa è la ragione per cui non morirà mai, e il motivo per il quale gli appassionati, i cinefili e i tipici voyeur non vedono l’ora che il vecchio anno volga al termine per lanciarsi nelle nuove offerte in sala del prossimo.

L’iniziativa di Fandango è dunque interessante e grazie ad essa si può avere un’idea delle pellicole che più saranno fruite. Il 2023 sarà un anno pieno zeppo di novità, come si vedrà, con una serie di pellicole il cui l’hype è salito alle stelle, aumentando il desiderio da parte dei fedeli (e non) di scoprire le modalità in cui i disparati registi sorprenderanno la propria audience. Scopriamo, quindi, la classifica.

1Guardiani della Galassia Vol.3

Per la classifica Fandango il podio spetta a Guardiani della Galassia Vol.3. Pellicola molto attesa soprattutto poiché ultimo lavoro di James Gunn nella Marvel, per entrare nell’universo DC come co-CEO dei rinnovati DC Studios.

In questo terzo capitolo, la squadra di reietti capitanata da Star-Lord è cambiata. Peter Quill deve ancora metabolizzare bene il lutto della sua amata Gamora, uccisa Thanos in Avengers: Endgame. Nel frattempo però il suo compito è tenere unito il gruppo per poter difendere insieme l’universo e proteggere uno di loro, pena la fine degli stessi Guardiani.

Il film uscirà nelle sale il 5 maggio 2023.

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The Witcher: Blood Origin, recensione della nuova serie Netflix

The Witcher: Blood Origin
Foto di Susie Allnutt © Netflix

Catapultati nuovamente nei regni del nord, The Witcher: Blood Origin è una serie fantasy che racconta le origini del primo Witcher. Il prequel, ambientato più di mille anni prima della serie The Witcher, è sempre tratto dai romanzi del polacco Andrzej Sapkowski.  The witcher: blood origin è al momento formata da una sola stagione di quattro episodi, ognuno da circa 50 minuti. Nel cast ritroviamo Michelle Yeoh (Everything everywhere all at once, memorie di una geisha) nel ruolo di Scian, ultima superstite della tribù fantasma, Mirren Mack (Florence in Sex education) nei panni della principessa Merwyn e Lenny Henry (Il signore degli anelli: gli anelli del potere).

The Witcher: Blood Origin, come tutto ebbe inizio

The Witcher: Blood Origin ha inizio in un campo di battaglia. Qui un bardo cantastorie viene salvato da una strana creatura mutaforma affinché possa far rivivere una storia: la storia dei sette. In un lontano passato, circa mille anni prima, i regni del nord erano governati solamente da elfi, in un eterno conflitto tra loro. Il re di Cintra vuole firmare un trattato con i re degli altri regni per mantenere la pace, dando ad uno di questi Merwyn, principessa Cintrana, in sposa. Merwyn, insieme al potente stregone Balor ed al capo dell’esercito Eredin, attua un colpo di stato proclamandosi come imperatrice dei regni del nord, grazie all’ausilio di un terribile mostro invocato da Balor da un altro mondo. Lo stregone infatti riesce, con degli antichi monoliti, ad aprire dei portali su altri pianeti e dimensioni. Merwyn vuole colonizzare questi altri territori, esportando la civiltà ed ottenendo maggiori risorse per il popolo affamato.

Fuori dal palazzo e lontano dai giochi di potere, Fjall, combattente del clan del cane ripudiato per aver avuto una relazione con Merwyn, si ritrova con Eile, combattente del clan del corvo, a salvare il mondo elfico dalla bramosia di potere di Balor e Merwyn. Nel loro viaggio verso la capitale di Cintra altri valorosi guerrieri si uniranno a loro, tra cui Scian, vecchia maestra d’armi di Eile, due stregoni, la nana Meldof ed il combattente Callan, detto fratello morte. Insieme, cercano in ogni modo di fermare l’imperatrice, anche usando pericolosamente la magia.

The Witcher: Blood Origin
Crediti Susie Allnutt/Netflix

Una serie fantacomica

Ciò che rende The Witcher: Blood Origin una serie piacevole da vedere è la combinazione equilibrata di azione, fantasy e comicità. Pur essendo presenti svariate scene di combattimenti, anche a tratti abbastanza violenti, la serie mantiene sempre una certa ironia attraverso battute ed espressioni dei personaggi. Un esempio di comicità è la scena in cui Eile e Fjall, già ricercati dalle guardie reale, vedono dei volantini raffiguranti il proprio volto con segnata la ricompensa: sul volantino di Fjall era stato disegnato un pene.

Passando invece ad aspetti più tecnici, si ritrova nella serie una certa attenzione ai particolari dal punto di vista scenografico e riguardo gli effetti speciali. Gran parte della serie è stata girata negli Arborfield Studios, in una piccola cittadina nel Berkshire, Inghilterra; si tratta dello stesso luogo in cui sono state già filmate le prime due stagioni di The Witcher.

Le tematiche trattate in The Witcher: Blood Origin sono svariate. Si noti l’importanza data al sentimento di appartenenza ad un clan, specialmente da Fjall, ripudiato dalla sua comunità, e Scian, ultima vivente del suo clan. A questo si affianca, se pur qui in maniera non troppo esplicita, l’elemento di discriminazione tra elfi e nani, attraverso il personaggio della nana Meldof. Lei racconta, parlando con l’elfo Callan, della morte per mano degli elfi della sua amata Gwen, e di come il popolo elfico abbia costruito la propria ricchezza sulle ossa dei nani.

Blood origin o Game of Thrones?

I fan delle serie fantasy, coloro che hanno visto tutte le stagioni de Il trono di spade, potranno notare alcune similarità tra le due serie, nelle tematiche, nei personaggi e perfino in una delle scene clou di The Witcher: Blood Origin.

Primo fra tutti, è possibile fare un confronto tra la principessa, poi imperatrice, Merwyn e Daenarys Targaryen. Entrambe affermano di agire per un bene superiore, per salvaguardare il proprio popolo, ma è chiaro in ambedue i casi qual è il loro vero obiettivo: il potere. Allo stesso modo, si può notare una somiglianza anche tra il capo saggio Balor e Lord Petyr Baelish. Entrambi di umili origini, cercano di affermarsi in maniera autoritaria, sfruttando e manipolando le persone come pedine.

Una tematica dominante nelle due serie è la sete del potere, il gioco del trono. In The Witcher: Blood Origin e ne Il trono di spade l’aspetto magico, di mostri e draghi, si unisce a quello politico, fatto di accordi segreti, tradimenti e, infine, tanto sangue.

In questo confronto è necessario sottolineare, seppur senza spoiler, una delle scene finali della serie. Qui, infatti, viene riprodotta in maniera molto simile la scena della morte di Daenerys, l’uccisione di un personaggio della serie da parte di una persona amata. L’assassinio della madre dei draghi è risultata essere una scena molto d’effetto, una delle più note nell’ultima stagione de Il trono di spade: si sarà pensato di ottenere il medesimo successo emulandola.

 
 

Sony Pictures: i film più attesi del 2023

Spider-Man: Across the Spider-Verse

Nel 2023, Sony Pictures si prepara a presentare al pubblico uno dei sequel più attesi di sempre: Spider-Man: Across the Spider-Verse, che segue il successo di Spider-Man: Un nuovo universo, che ha incassato più di 375 milioni di dollari. Il prossimo autunno arriveranno anche Kraven The Hunter e The Equalizer 3, mentre il sequel di Ghostbusters: Afterlife chiuderà l’anno. Ecco tutti i film Sony più attesi del 2023!

1Il sequel di Ghostbusters: Legacy

Ghostbusters: Legacy è stato un grande successo l’anno scorso, avendo incassato oltre 204 milioni di dollari a fronte di un budget di produzione stimato di 75 milioni di dollari, quindi non deve sorprendere che la Sony abbia voluto rimettere insieme il gruppo per un altro capitolo. Resta da vedere se il film rispetterà la data d’uscita invernale, soprattutto con Gil Kenan che ha recentemente assunto la regia, ma lo studio ha già ufficializzato alcune foto, quindi siamo pronti a trascorrere le vacanze natalizie del 2023 gli Acchiappafantasmi!

Cast: Mckenna Grace, Paul Rudd, Carrie Coon e Finn Wolfhard

Data di uscita: 20 dicembre

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Disney/Marvel Studios: i film più attesi del 2023

Halle Berry in La Sirenetta

Per Disney e i Marvel Studios il 2023 si prospetta un’annata eccezionale: arriveranno infatti al cinema diversi sequel di successo del MCU (Ant-Man and the Wasp: Quantumania; Guardiani della Galassia Vol. 3; The Marvels), della Lucasfilm (Indiana Jones e la Ruota del Destino), e una manciata di film d’animazione della Pixar (Elemental) e Disney Animation (Wish) che dovrebbero deliziare il pubblico di tutto il mondo.

1Wish

Wish

Questa potrebbe essere una delle proposte animate più intriganti della Disney, in quanto promette di raccontare l’inedita storia di come è nato il desiderio nel loro universo esteso di film. Il film seguirà infatti una giovane ragazza di nome Asha e rivelerà come il suo desiderio abbia cambiato per sempre la sua esistenza.

Cast: Ariana DeBose

Data di uscita: 22 novembre

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Whitney: Una Voce Diventata Leggenda da domani al cinema

Whitney: Una Voce Diventata Leggenda

Whitney: Una Voce Diventata Leggenda sarà solo al cinema da domani, giovedì 22 dicembre. Il film diretto da Kasi Lemmons con Naomi Ackie, vincitrice del BAFTA Award e del British Independent Film Awards come miglior attrice esordiente. Nel cast anche Stanley Tucci, candidato al premio Oscar, Ashton Sanders, Tamara Tunie, Nafessa Williams e Clarke Peters. Whitney: Una Voce Diventata Leggenda è un film prodotto da Sony Pictures e distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia.

Whitney: Una Voce Diventata Leggenda è un tributo al mito di Whitney Houston. Diretto da Kasi Lemmons, scritto dal candidato all’Oscar Anthony McCarten, prodotto dal leggendario discografico Clive Davis e interpretato dalla vincitrice del BAFTA Award Naomi Ackie, il film è un ritratto inedito della complessa e sfaccettata vita della donna dietro a “The Voice”. Dalle sue origini come corista nel New Jersey fino a diventare una delle artiste più iconiche e premiate di tutti i tempi, Whitney: Una Voce Diventata Leggenda è un viaggio commovente ed emozionante attraverso la vita e la carriera della Houston, con esibizioni spettacolari e una colonna sonora con i successi di una delle voci più amate di sempre.