Matrix Resurrections, l’attesissimo nuovo
capitolo dell’innovativo franchise che ha ridefinito un genere,
arrivain prima tv su Sky: lunedì 12 settembre alle
21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K (e alle 21.45 anche su Sky
Cinema Sci-Fi), in streaming su NOW e disponibile on demand, anche
in qualità 4K.
Dopo la trilogia cult, la
regista visionaria Lana Wachowski ha riunito
nuovamente Keanu
Reeves e
Carrie-Anne Moss negli iconici ruoli di Neo e Trinity.
Con loro nel cast Yahya Abdul-Mateen II (Morpheus),
Jessica Henwick (Bugs), Jonathan Groff (Smith), Neil
Patrick Harris (The Analyst), Priyanka Chopra Jonas (Sati),
Jada Pinkett Smith (Niobe).Matrix
Resurrections è stato distribuito nelle sale italiane
da Warner Bros. Pictures.
La trama del film
Per scoprire se la sua realtà è
vera o solo immaginazione e per conoscere realmente se stesso,
Thomas Anderson dovrà scegliere di seguire ancora una volta il
Bianconiglio. E se Thomas… Neo… ha imparato qualcosa, è che
scegliere, sebbene sia un’illusione, è tuttora l’unica via
d’uscita, o d’entrata, per Matrix. Ovviamente Neo sa già cosa deve
fare, ma cosa ancora non sa è che Matrix è più forte, più sicura e
più pericolosa che mai. Déjà vu.
E in occasione della prima visione
di MATRIX RESURRECTIONS, da lunedì 5 a venerdì 16 settembre Sky
Cinema Collection diventa Sky Cinema Sci-Fi, il
canale dedicato al genere letterario e cinematografico che ha
contribuito a ridefinire il nostro immaginario culturale e che ci
ha aiutati a sognare il futuro, con 70 titoli in
programmazione.
MATRIX RESURRECTIONS–
lunedì 12 settembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K (e
alle 21.45 anche su Sky Cinema Sci-Fi), in streaming su NOW e
disponibile on demand, anche in qualità 4K.
Non molto tempo dopo aver vinto un
Oscar per la sua interpretazione in Room del 2015,
l’attrice BrieLarson è stata scelta per interpretare la
pilota di caccia dell’Air Force Carol Danvers nel
MCU, la quale acquisisce poi i
superpoteri che la portano a diventare Captain Marvel. Il suo debutto è
dunque avvenuto nel film da solista Captain Marvel, che,
nonostante le reazioni contrastanti del pubblico, è stato accolto
con recensioni ampiamente positive da parte della critica e ha
incassato oltre 1 miliardo al botteghino, spingendo i Marvel Studios a sviluppare un sequel
intitolato The
Marvels, atteso in sala per il 28 luglio
2023.
Sal suo debutto con il film nel
2019, la Larson è stata poi regolarmente presente nel MCU, presentandosi due volte nel
corso di Avengers: Endgame e una
volta durante la scena post-crediti di Shang-Chi e la Leggenda dei
Dieci Anelli. La sua apparizione più recente nel MCU è stata quella nella scena dei
titoli di coda di Ms. Marvel, che vede la vede
interagire cone la Kamala Khan di Iman Vellani,
anticipando dunque alcuni aspetti di The Marvels. Lo
status della Larson è dunque particolarmente solido all’interno
dell’MCU, eppure l’attrice ha rivelato
in una recente intervista di aver avuto molta paura all’idea di far
parte del film.
“Quando mi hanno scelto io ero
tipo: “non capiscono che sono un’introversa con l’asma, hanno
commesso un errore”. – ha raccontato la Larson – Poi ho
iniziato ad allenarmi e ho imparato che in realtà ero molto più
forte di quanto pensassi e che le mie allergie erano la causa della
mia asma. Quindi ho preso medicine per l’allergia e in breve potevo
sollevare pesi molto pesanti e questo ha davvero trasformato la mia
vita. Captain Marvel mi ha cambiato come persona
molto più di quanto avrei mai immaginato”. L’esperienza
dell’attrice sembra dunque confermare una volta di più quanto
questo tipo di film possano essere fonte di ispirazione, tanto per
gli spettatori quanto per gli attori coinvolti.
La Warner Bros. ha
rilasciato il secondo trailer completo di Black
Adam, a meno di due mesi del debutto nelle sale del
film. Questo nuovo trailer offre ai fan uno sguardo più accurato al
film, che come noto avrà il celebre Dwayne Johnson nei
panni dell’antieroe DC Comics del titolo. Ad unirsi a lui nel film
ci saranno più membri della Justice Society of
America, la prima squadra di supereroi della DC. Questi, dopo
che Black Adam viene risvegliato da oltre cinquemila anni di sonno,
tenteranno di avvicinare il potentissimo supereroe per cercare di
fermare la sua furia, insegnandogli ad essere un eroe più che un
cattivo.
Il nuovo trailer, inoltre,
presenta anche la minacca di una forza più potente dello stesso
Adam, motivo per il quale egli dovrà unire le sue forze con la
Justice Society per salvare il mondo. Il vero villain del film
sembra infatti essere Sabbac, le cui forze oscure
dell’Inferno gli conferiscono il potere di diventare un essere
supremo, senza limiti, provvisto di super forza, super velocità, e
le abilità di volo, respiro infuocato e l’emissione di palle
infuocate dalle mani. Un nemico all’altezza del protagonista,
dunque, che sembra promettere scontri particolarmente intensi
all’interno del film.
Le sorprese regalate dal trailer
non finiscono però qui, poiché nel trailer fa la sua comparsa anche
la Amanda Waller di Viola Davis,
già vista in Suicide Squad e nel
reboot/sequel del 2021
The Suicide Squad. La sua presenza permette dunque di
collocare in modo definitivo le vicende di Black Adam
nell’universo condiviso della DC. Lo stesso Johnson aveva
precedentemente dichiarato che Black Adam segna l’inizio
di una nuova era per il DC
Extended Universe. Per scoprire quale sarà l’impatto del film,
bisognerà attendere il 21 ottobre, potendo però
intanto godere del trailer qui di seguito riportato.
Glass Onion – Knives
Out, il sequel di Cena con delitto –
Knives Out diretto nuovamente da Ryan
Johnson e sempre con Daniel Craig
protagonista, arriverà prossimamente al cinema e poi su
Netflix dal 23 dicembre. La trama di questo
seguito, come rivelato di recente, si concentra sul magnate della
tecnologia Miles Bron che invita alcuni dei suoi più cari amici in
vacanza sulla sua isola privata in Grecia. Ben presto, tuttavia,
quell’oasi di pace si macchia di sangue e mistero, un mistero che
solo il detective Benoit Blanc può risolvere.
Dopo essersi mostrato grazie ad
alcune prime immagini ufficiali, il
film concede un’ulteriore assaggio di sé attraverso il primo
trailer. In questo vengono presentati i personaggi principali,
interpretati da un cast di attori del calibro di Edward
Norton, Janelle Monáe,Jessica
Henwick, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr, Madelyn
Cline,Kate HudsoneDave
Bautista. Poco viene invece svelato
del mistero alla base del film, anche se il regista ha rivelato che
Glass Onion sarà diverso rispetto a Knives Out in
quanto a tono, ambizioni e ragion d’essere.
Johnson ha inoltre spiegato che la
sua tecnica per la scelta del cast è come “organizzare una cena
per gli ospiti.Inviti sempre le persone che ti
piacciono, ma è difficile sapere davvero come andrà e alla
fine puoi solo cercare di scegliere i migliori attori per una
parte, quelli che sembrano più adatti a un ruolo specifico. A quel
punto ti tuffi e trattieni il respiro. Per fortuna abbiamo messo
insieme un gruppo stupendo e davvero coeso”. Non resta dunque che
attendere che il film diventi disponibile per la visione, potendo
intanto godere del suo elettrizzante trailer.
Dopo dieci lunghi anni di assenza
dal grande schermo, Andrew Dominik torna al cinema
con l’attesissimo Blonde, rielaborazione favolistica del romanzo
di Joyce Carol Oates della struggente storia di
Marilyn Monroe, qui interpretata da una
meravigliosa Ana de Armas. Da bambina indesiderata a icona
idolatrata da milioni di persone, passata di mano in mano cercando
disperatamente qualcuno da chiamare “papà”, Norma
Jean è caduta nell’abisso dell’autodistruzione, uccisa,
forse, dal nostro stesso sguardo. Nel cast, anche Adrien Brody, Bobby
Cannavale, Xavier
Samuel, Julianne
Nicholson e Lily Fisher.
Norma Jean: la fatica
dell’autoritratto
Norma Jean gioca a
nascondino fin da piccola. Vittima dei comportamenti di una madre
instabile, inconsapevole di ciò che il diventare donna porta con
sè, Norma trova nell’inquadratura da pin-up e nel
cinema un appiglio per procedere a un’involuzione necessaria, per
poter stringere la mano a una bambina che avrebbe ancora tanto da
capire. Luci e ombre rimescolano le fila di una narrazione
ellittica, in cui seguiamo Norma Jean sobbalzare
in apnea tra le quinte del palcoscenico di una vita per cui non è
stata educata e il desiderio di rinchiudersi nel cassetto che le ha
fatto da culla da piccina, vestigia primigenia e unica di un
ritratto famigliare incompiuto, in cui la potenza di ciò che
sarebbe potuto essere non è mai diventata atto compiuto.
Blonde è, soprattutto, un film di prospettiva,
che abbraccia completamente l’occhio della sua protagonista, alla
ricerca disperata di un legame da poter stringere con qualcuno
oltre lo schermo, con lo spettatore alieno alle dinamiche che ne
hanno consumato lo spirito, chi è al di là dello spettro fittizio
in cui Norma Jean è stata intrappolata.
Marilyn è insieme armatura e minaccia, è l’estrema
conseguenza di traumi irrisolti, uno sdoppiamento esperienziale in
cui ogni ribaltamento di significati già conosciuti ci avvicina
sempre di più alla demistificazione, a ciò che Norma avrebbe sempre
desiderato: la comprensione.
Tra la carne e le pieghe di un
esistenza lacerante
Blonde vive di una relazione biunivoca tra il
soggetto della storia e lo spettatore, ricevente unico di stimoli e
punti di svolta che gli altri protagonisti sullo schermo non
intercettano, favorendo implicitamente quella scissione tra un sè pubblico e privato endogena
all’arte attoriale, ma portata alle estreme conseguenze nel caso di
Marilyn. La voce di Norma rimane inascoltata,
oppressa dalle proiezioni degli altri sulla sua persona, che
stridono con gli unici legami affettivi di cui
vorrebbe poter godere: l’amore di un padre e l’attesa di un figlio.
Questa rielaborazione favolistica, nera e crudele, ma in cui c’è
tanta verità ed emerge tutto l’amore che Norma avrebbe voluto
diffondere, lontana dagli schemi del biopic e vicina solo a quello
che la protagonista veramente sente, si fa metaforicamente
successore spirituale del viaggio di Alexia in
Titane, film vincitore della Palma d’Oro a
Cannes 2021. Con la stessa audacia e sfrontatezza
visionaria di Julia Ducournau, Andrew
Dominik riesce finalmente a portare su schermo la storia
che custodiva gelosamente da quasi 15 anni, in attesa di trovare la
sua “bionda”.
In Blonde è il contenuto che si adatta alla forma
e alla grammatica cinematografica, mai il contrario. L’occhio – o
il corpo di Marilyn, un “pezzo di carne” agognato
e preteso – ci indica dove guardare, come raggiungere Norma anche
quando la stessa non riesce a farla risalire dalle profondità di
una psiche che è in realtà bambina, che vuole guardare indietro ma
al tempo stesso dimenticare. Mutano i formati, il modo di
inquadrare Norma/Marilyn, si adatta la gradazione
cromatica in base all’eloquente filtro visivo della protagonista.
Storicamente, ci sono note tante cose della sua vita e carriera, ma
Norma ve le racconterà dal suo punto di vista.
Blonde: il cerchio di luce oltre
Marilyn
Come analizza accuratamente
Richard Dyer nel suo saggio sul divismo
Star, e il regista Andrew Dominik
traspone su schermo, l’immagine di Marilyn Monroe
è da collocarsi nella corrente di idee sulla moralità e sessualità
degli anni Cinquanta americani: anni dell’affermazione di star
“ribelli” come Marlon Brando, James
Dean ed Elvis Preasley; periodo di
diffusione dei concetti freudiani nel dopoguerra e di attenuazione
della censura cinematografica di fronte alla competizione con la
televisione; ma anche anni di tensioni sociali, sessuali ed
economiche. L’icona, il personaggio di Marilyn,
riusciva a condensare sessualità e innocenza tramite un carisma
unico, e sembrava personificare le tensioni che attraversavano la
vita ideologica dell’epoca: un’eroica sopravvivenza alle tensioni o
una loro dolorosa esposizione? L’opera di Andrew
Dominik cerca di coniugare entrambi i quesiti.
Seppur Andrew
Dominik ci abbia abituati a un’esposizione sempre molto
elegante del dolore, qui il regista lascia le redini della storia
in mano a Norma, facendola sognare e urlare al
tempo stesso, lasciandole scegliere i colori che più preferisce per
poter dipingere o rivedere alcuni ricordi. Un cerchio di luce
che contiene un sè alternativo da portarsi accanto ovunque si vada:
non stiamo parlando solo di un esercizio dell’Actors Studio
insegnato a Norma, ma di una vera e propria luce
che tenderà a inseguire sempre – qualche volta la sovrasterà anche
nell’immaginario – per ricordarle la terribile condanna con cui
dovrà sempre fare i conti: essere altro per chi non ci conosce,
assumere su di sè significati che non sentiamo nostri, rifugiarsi
in una maschera spaventosa perchè è ciò che viene richiesto.
In Blonde, non saremo mai noi spettatori a vedere
Marilyn, a visionare i frammenti di sequenze
iconiche prelevate dai sui film più di successo: di questo,
Andrew Dominik, rende partecipe solo il pubblico
delle sale di quegli anni, masse di ammiratori folgorati da
un’inscindibile e sofferente patto tra il riflesso cinematografico
e la caratura drammatica che ogni esistenza debilitata porta con
sè. A noi, resta il privilegio di tendere la mano a Norma
Jean, ricordarla oltre il mito, l’icona. Oltre le barriere
che Andrew Dominik scavalca in nome della finzione
rimaneggiata, per ricordarci che il biondo è una maschera ma,
tavolta, può anche essere luce: per salvare
Norma.
Si è tenuta questa sera la premiere
alla 79esima Mostra d’Arte Internazionale del cinema di Venezia di
Blonde,
il nuovo film del regista Andrew Dominik che vede
Ana de Armas nei panni della leggendaria icona Marilyn Monroe.
Sul red carpet tutto il cast e il produttore del film,
Brad Pitt.
Il film
Tratto dal bestseller di Joyce
Carol Oates, Blonde reinventa con audacia la vita di una delle
icone più leggendarie di Hollywood: Marilyn
Monroe. Dalla sua infanzia imprevedibile come Norma Jeane,
attraverso l’ascesa alla fama e i legami sentimentali, Blonde
mescola realtà e finzione per esplorare la sempre più vasta
differenza tra l’immagine pubblica e quella privata dell’attrice.
Scritto e diretto da Andrew Dominik, il film vanta un cast
straordinario con Ana de Armas al fianco di Bobby
Cannavale,
Adrien Brody, Julianne Nicholson, Xavier Samuel ed Evan
Williams.
È possibile vedere il mondo al di fuori dei nostri traumi, al
di fuori delle nostre paure e desideri? E se si incarna un oggetto
del desiderio, quello che il mondo vede è il tuo vero io o una
proiezione dei propri bisogni? Marilyn Monroe una volta disse:
“Quando si è famosi, ci si imbatte sempre nell’inconscio delle
persone”. Come si pone una bambina indesiderata di fronte
all’essere diventata la donna più desiderata del mondo? Deve
dividersi a metà? Proporre un’immagine sfolgorante al mondo,
mentre l’io indesiderato soffoca all’interno. E non è forse il
cinema stesso una macchina del desiderio? L’abbiamo in qualche modo
uccisa noi stessi con il nostro sguardo? Lei ora esiste, come la
polvere di una stella esplosa, sotto forma di migliaia di immagini
che fluttuano nel nostro inconscio collettivo, nei film, nelle
fotografie, sui muri, nelle pubblicità, sulle fiancate dei furgoni
dell’aria condizionata e la sua luce – come quella di una stella –
viaggia ancora verso di noi, anche se lei si è spenta da
tempo.
Ad oggi considerato un punto di
riferimento del sottogenere survival thriller film,
Un tranquillo weekend di paura (il cui
titolo originale è Deliverance) è stato sin dal momento
della sua uscita in sala un vero e proprio caso cinematografico.
Diretto nel 1972 da John Boorman, il film affronta
in modo quantomai controverso e brutale il tema della socialità e
dei comportamenti selvaggi insiti nell’uomo “civile”, presentando
caratteristiche e riflessioni che lo posero in una categoria a sé
stante rispetto al suo genere di riferimento. Grande successo di
critica e pubblico, il film ottenne poi tre nomination all’Oscar,
compresa quella per il miglior film.
Sceneggiato da James
Dickey, Un tranquillo weekend di paura è
l’adattamento del romanzo del 1970 dello stesso Dickey. Ancora oggi
considerato tra i romanzi più importanti scritti dai primi del
Novecento in poi, è questo un racconto cupo e violento che indaga i
rapporti umani portando alla luce anche gli aspetti meno piacevoli,
che si tendono normalmente a nascondere sotto la maschera della
civiltà. Il tutto si svolge prevelentemente presso il fiume
Cahulawassee, luogo immaginario e che nel film viene “interpretato”
dal vero fiume Chattooga, in Georgia.
Noto per alcune sue scene in
particolare, alcune delle quali anche molto brutali e poco
ortodosse, Un tranquillo weekend di paura è un titolo
imperdibile per gli amanti del thriller e delle emozioni forti,
capace ancora oggi di suscitare tanta attrazione quanta repulsione.
Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente
utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a
questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e
al cast di attori. Infine, si elencheranno anche
le principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Un tranquillo weekend di
paura: la trama e il cast del film
Protagonisti del film sono quattro
amici di Atlanta: Ed Gentry,
LewisMedlock, Bobby
Trippe e Drew Ballinger. Questi decidono
di passare un fine settimana nei boschi dei monti Appalachi,
discendendo poi a valle seguendo il fiume Cahulawassee.
L’avventura, tuttavia, viene bruscamente interrotta dall’incontro
con due cacciatori, che si rivelano particolarmente ostili nei
confronti dei quattro. Nel momento in cui anche l’ambiente
selvaggio presenta loro una serie di pericoli e difficoltà, i
quattro si ritrovano a dover compiere alcune scelte morali che li
divideranno profondamente. Con il progressivo peggiorare della loro
situazione, quella che doveva essere un’escursione spensierata si
trasforma in un vero e proprio weekend di terrore.
Ad interpretare i quattro
protagonisti vi sono rispettivamente gli attori Jon
Voight, Burt Reynolds,
Ned Beatty e Ronny Cox. È noto
che, poiché la produzione non possedeva i fondi necessari, i
quattro attori non ebbero modo di poter contare su delle loro
controfigure per le scene più pericolose. Furono dunque addestrati
affinché potessero interpretare personalmente ogni scena prevista,
il tutto senza possedere un’assicurazione sulla vita. Accanto a
loro, nei ruoli dei due sadici cacciatori, vi sono gli attori
Bill McKinney e Herbert Coward,
divenuti celebri proprio per questo film. L’attore James
Dickey interpreta invece lo sceriffo Bullard, mentre
Billy Redden è il ragazzo che suona il banjo.
Un tranquillo weekend di
paura: la scena del banjo e la colonna sonora
Una delle scene più iconiche del
film si trova già all’inizio e vede il personaggio di Drew
imbattersi in un ragazzino autistico, che stringe un banjo. Drew,
non trovando altro modo per comunicare con lui, comincia a
improvvisare una melodia con la sua chitarra, a cui il giovane
risponde col suo strumento. Il brano eseguito dai due è il celebre
Dueling Banjos, inciso numerose volte sin dal 1955.
Proprio l’utilizzo di questo portò ad una disputa legale
riguardante la colonna sonora del film. I crediti sullo schermo affermano che la
canzone è un arrangiamento della canzone “Feudin’ Banjos“,
indicando la Combine Music Corp come titolare del
copyright.
Ad essere accreditati come autori
dell’arrangiamento furono Eric Weissberg e
Steve Mandell. Il cantautore e produttore
Arthur “Guitar Boogie” Smith, che aveva scritto
“Feudin ‘Banjos” nel 1955 e l’aveva registrato con il
suonatore di banjo a cinque corde Don Reno, ha in
seguito intentato una causa per i crediti di scrittura della
canzone e una percentuale sui diritti d’autore. Il brano, infatti,
sembra essere stato utilizzato senza il suo permesso e il suo nome
non era stato mai citato. Smith vinse poi la causa e ottenne quanto
gli spettava. Non volle però che il suo nome comparisse nei titoli
di coda del film, in quanto lo trovava troppo violento e
offensivo.
Un tranquillo weekend di
paura: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire di Un
tranquillo weekend di paura grazie alla sua presenza
su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili
Cinema, Rai Play, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di giovedì 8settembre alle ore
23:00 sul canale Rai 4.
Ritenuta una delle più brillanti
commedie statunitensi del nuovo millennio, 2 single a
nozze si è affermato non solo grazie ad una serie di
scene e gag memorabili, ma anche grazie alla grande chimica che
intercorre tra i protagonisti. Il risultato è un folle viaggio che
dal piacere sfrenato conduce all’amore vero. Non mancano però
situazioni al limite, e difatti il film venne presentato come
vietato ai minori per via di contenuti sessualmente espliciti o
contenenti una spiccata volgarità. A dirigere tutto ciò, nel 2005.
è stato David Dobkin, autore anche del recente
Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga.
L’idea alla base del film appartiene
però al produttore Andrew Panay, il quale da tempo
desiderava realizzare un film ispirato ai suoi anni giovanili da
seduttore ai matrimoni altrui. Assunti gli sceneggiatori
Steve Faber e Bob Fisher, la
storia si è poi arricchita di una storia d’amore che cambia la vita
del protagonista, come anche di un forte legame d’amicizia che lega
i due personaggi maschili. Le preoccupazioni nel realizzare un
simile progetto non furono poche, specialmente considerando che ad
un primo impatto i due protagonisti potrebbero sembrare dei
misogini in cerca solo di avventure. I buoni sentimenti introdotti,
però, hanno evitato ogni possibile fraintendimento.
2 single a nozze venne
infatti accolto da un grande favore di critica e pubblico. Al box
office guadagnò un totale di oltre 288 milioni di dollari a fronte
di un budget di circa 40. Ottenne anche 3 MTV Movie Award, compreso
quello per il miglior film. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
2 single a nozze: la trama
del film
Protagonisti del film sono
John e Jeremy, amici sin
dall’adolescenza e di professione avvocati divorzisti. Al di fuori
del lavoro, il loro passatempo preferito è entrare di straforo nei
ricevimenti di nozze di gente che non conoscono per mangiare gratis
e rimorchiare le ragazze. Passando da un evento all’altro, i due
solidificano la loro amicizia e la rispettiva fama di seduttori. Un
giorno i due si introducono al matrimonio della figlia maggiore del
segretario WilliamCleary, senza
immaginare che quelle nozze saranno in grado di modificare per
sempre la loro vita e la loro amicizia.
Jeremy si lega alla figlia più
piccola del politico, Gloria, mentre John si
innamora quasi a prima vista di Claire, la quale è
però già impegnata con Zachary Lodge, rampollo
dell’alta società che si rivela però essere un uomo particolarmente
sleale e traditore. Complice la capacità di John e Jeremy di
invitare bugie, i due vengono invitati in un weekend alla casa al
lago dei Cleary dopo il ricevimento di nozze. Le loro menzogne,
però, entreranno in conflitto con i nuovi sentimenti per le due
donne, creando situazioni a dir poco complesse. Ben presto,
capiranno che i sentimenti d’amore non possono essere ignorati, e
dovranno fare i conti con quanto seminato lungo il percorso.
2 single a nozze: il cast
del film
Ad interpretare i due incalliti
seduttori vi è la coppia formata da Owen Wilson,
nei panni di John, e Vince Vaughn,
in quelli di Jeremy. I due attori vennero sin da subito scelti dal
regista, il quale li riteneva una perfetta coppia comica. Ai due
venne lasciato ampio margine di improvvisazione, ed è così che sono
nate alcune delle battute più celebri del film, come quella
pronunciata da Wilson che recita “io credo che usiamo solo il
10% del nostro cuore!“. Nel film è poi presente, in un cameo
divenuto iconico, l’attore Will Ferrell. A
questi era stato offerto il ruolo di John, ma egli preferì
interpretare un ruolo più piccolo, e assunse così i panni di Chazz,
il mentore di Jeremy e possessore dei grandi segreti dell’arte di
imbucarsi ai matrimoni.
Ad interpretare Claire è invece
l’attrice Rachel McAdams.
Questa ha raccontato di essersi preparata a lungo per il ruolo, che
le ha richiesto un notevole trasporto emotivo. Per prepararsi alle
scene più forti era solita ascoltare il
brano Landslide dei Fleetwood Mac, il quale la
portava subito alle lacrime. Isla Fisher,
invece, è Gloria, sorella di Claire. Il suo personaggio avrebbe
dovuto dar vita a ben 5 scene di nudo, ma l’attrice convinse il
regista a ridurle ad una sola. La Fisher era convinta che mostrare
il corpo di Gloria l’avrebbe resa seducente e non più divertente.
Bradley Cooper
è invece il fedifrago Zachary, ruolo per il quale è stato assunto
non appena terminato il suo provino, con il quale si era affermato
su tutti gli altri candidati. Il premio Oscar Christopher
Walken è invece il segretario al Tesoro William
Cleary.
2 single a nozze: il
sequel, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Nel 2014 hanno iniziato a circolare
alcune voci relative ad un sequel del film. Dobkin, il regista,
aveva infatti fatto sapere di aver avuto insieme a Wilson e Vaughn
una buona idea per riportare i personaggi al cinema. Questa
sembrava prevedere lo scontro di John e Jeremy contro un ancora più
esperta personalità nell’imbucarsi ai matrimoni altrui per sedurre
le invitate. Tale progetto, però, sembra essere rimasto ad un
livello di mera proposta. Nel 2016, l’attrice Isla Fisher ha però
fatto sapere che Vaughn l’aveva avvertita circa nuovi sviluppi del
progetto relativo al sequel. Nel novembre del 2020, infine, i due
attori protagonisti, Wilson e Vaughn, hanno aperto un dialogo con i
produttori per riprendere i loro ruoli.
In attesa di tale sequel, è
possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
2 single a nozze è infatti disponibile nel
catalogo di Google Play e Apple
iTunes. Per vederlo, basterà semplicemente iscriversi, in
modo del tutto gratuito alla piattaforma. Si avrà così modo di
guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà a disposizione
un determinato limite temporale entro cui effettuare la visione. Il
film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno
giovedì 8 settembre alle ore
21:10 sul canale TwentySeven.
Hugh Jackman, Laura Dern e il
regista parlano di The Son
Ancora una
volta, Zeller attinge a una sua
pièce teatrale, l’ultimo capitolo di una trilogia dedicata
ai rapporti familiari, e, accompagnato da un cast impeccabile,
mette in scena un film profondo e straziante. Gli interpreti
di The Son sono nomi celebri: Hugh Jackman,
Laura Dern, VanessaKirby, Anthony Hopkinsa cui si
aggiunge il giovane e talentoso Zen
Mcgrath.
Il regista Florian
Zeller e i due interpreti principali, Hugh
Jackman e Laura
Dern, rivelano qualche dettaglio sul casting fatto
via Zoom e sulla lavorazione di The Son.
Jackman e Dern, nei panni
di Peter e Kate, sono i genitori
divorziati dell’adolescente infelice
Nicholas (Zen Mcgrath) e
cercano, a loro modo, di aiutare il figlio a guarire dalla
depressione.
La scelta degli attori
Zeller evidenzia le dinamiche di casting e
cosa l’ha portato a scegliere i suoi personaggi principali. Il suo
scopo era quello di trovare attori in grado di creare connessioni
emotive sullo schermo ”non imitando o mostrando, ma
semplicemente essendo presenti davanti alla macchina da
presa”.
Gia al primo incontro via Zoom,
Zeller ha capito che con Dern
poteva fare qualcosa di speciale ”Adoro
Laura, come adoro tantissimo David Lynch e credo che Laura
sia la sua musa.” Sull’espressività di Dern,
il regista di The Son aggiunge: ”Noi
conosciamo molto poco della storia pregressa di questi due
personaggi[Peter e Kate], di quando erano insieme.
Tuttavia, le espressioni di Laura, il suo volto,
riescono a svelarti i segreti e le cose più nascoste. Sono grato a
per la sua intelligenza emotiva, la sua grazia e la
generosità nei confronti del regista.”
Per quanto riguarda la scelta
di Jackman, Zeller dice
di aver apprezzato l’empatia dell’attore e la sua disponibilità a
immergersi appieno nell’esplorazione di sé e
delle emozioni per poi offrirle all’altro. ”La scelta di
Hugh è stata immediata. Quello che volevamo fare
non era raccontare una storia di cattivi genitori, ma mostrare un
padre che ci prova, che fa del suo meglio nei confronti del
figlio.”
Zeller ha chiesto
al cast di The Son di creare connessioni emotive senza paure. Il lavoro
sull’interiorità non è stato semplice da parte degli attori ma,
come precisa Laura Dern, il
regista li ha accompagnati durante tutto il
processo. ‘‘Florian è tutto quello che vuoi
trovare in un regista, perché si fida del comportamento umano.
Quello che lui ti chiede è di guardarti negli occhi e di trovare la
verità, essere sincera. Noi ci siamo fidati delle sue parole, lui
si è fidato di noi.”
Dal canto
suo, Jackman precisa che, non appena ha letto
il copione, ha sentito di essere adatto alla parte di
Peters. ”Mi ci sono
subito rivisto, avevo trovato una parte in cui mettermi alla prova
ed essere me stesso.”
Inoltre, l’attore riflette
sulla nuova mascolinità, una mascolinità diversa
da quella di quando lui era adolescente. ”Quando ero ragazzo c’era l’idea che i maschi dovessero
essere trasformati, fatti diventare uomini. Questa cosa metteva
pressione e oggi viene messa in dubbio.” Attraverso
The
Son, Jackman confessa di aver
fatto un grande lavoro su se stesso e di essere cresciuto non solo
come attore, ma anche come uomo e come padre. ”Ho trovato un
collegamento a livello viscerale con questa storia e questo film:
ciò che ci ha chiesto Florian è stato esplorare la nostra
vulnerabilità. Non abbiamo praticamente fatto
prove, ogni giorno ci buttavamo in qualcosa di
nuovo.” E conclude ”Ora come uomo mi mostro più
vulnerabile, anche con i miei figli, che hanno 17 e 22 anni, e ogni
volta che lo faccio noto da parte loro c’è un profondo sollievo
quando lo faccio.”
Con The
Son Zeller ha voluto sognare
Infine, Zeller
torna a parlare della sceneggiatura e del lavoro fatto sulla pièce
teatrale. Questa volta, a differenza di The Father, il
processo è stato più lineare, scelta che si è rivelata semplice e
difficile allo stesso tempo. Il testo drammaturgico è stato
affrontato in maniera più diretta e The Son
risulta molto fedele a Il figlio. ”Con
The Son volevo consentirmi di sognare, e questo
sogno mi ha portato a New York. Volevo rappresentare qualcosa
che non avesse a che fare con me direttamente, come Parigi o Londra
che conosco molto bene. Anche perché volevo che il film fosse
qualcosa di universale e, in fondo, New York è una città che
accoglie persone da tutto il mondo. E il cinema fa questo: porta
sullo schermo temi universali.”
Tra gli ultimi film attesi alla
Mostra del Cinema di Venezia 2022 c’è Blonde,
che sarà presentato in anteprima questa sera, prima che il Leone
d’oro venga assegnato il 10 settembre, data conclusiva del
festival. Girato da Andrew Dominik e con
protagonisti Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby
Cannavale, Xavier Samuel,
Julianne Nicholson e Lily Fisher,
Blonde riadatta l’omonimo best-seller di
Joyce Carol Oates, che ripercorre audacemente la
vita di una delle icone intramontabili di Hollywood,
Marilyn Monroe. Dalla sua infanzia precaria come
Norma Jeane, fino alla sua ascesa alla fama e agli
intrecci sentimentali, Blonde
confonde i confini tra realtà e finzione per esplorare la
crescente divisione tra il suo io pubblico e quello privato.
Proprio il regista del film
Andrew Dominik e Ana de Armas assieme al cast di Blonde,
approdato oggi al Lido, ci hanno parlato di questo impegnativo
progetto, a lungo in cantiere e che si propone come una
rielaborazione audace e fittizia di una delle biografie divistiche
più struggenti di sempre.
Ana de Armas ha raccontato il suo viaggio in
Blonde attraverso
le due “facce” della diva, persona e personaggio,
Norma e Marilyn. “Per la
maggior parte del tempo, sono Norma, la storia è innanzitutto sua.
Poi, ovviamente, Marilyn inizia a prendere il sopravvento. Hanno
entrambe bisogno l’una dell’altra, sono complementari. Grazie a
questo progetto ho imparato a mostrare ancora più empatia e
rispetto nei confronti degli attori che si trovano costantemente
sotto i riflettori, ho capito quanto questa situazione possa farci
male, nessuno è preparato a gestire tutta questa pressione, al
fatto che la gente proietti su di te quello che vuole. Ho imparato
anche a proteggermi ancora di più. Lei ha fatto tutto ciò che ha
potuto”.
Adrian Brody, che
nel film interpreta una rielaborazione del dramamturgo
Arthur Miller, ha poi affermato di essersi sentito
onorato di poter prendere parte a questo progetto, che denuncia
“tutto quello che hanno dovuto sopportare le donne per lungo
tempo. Sono molto consapevole della netta divisione tra
l’adulazione del pubblico nei confronti di Marilyn e di ciò che lei
voleva essere veramente, anche dal punto di vista creativo e
attoriale. Tanti artisti si sentono così, in un certo senso. Questo
tormento interiore e i traumi irrisolti del suo passato non l’hanno
mai abbandonata“.
Andrew Dominik ha
spiegato in maniera concisa quali sono stati i punti cruciali di
questo progetto, primo fra tutti la sensazione che
Marilyn fosse fisicamente presente attorno a loro
sul set di Blonde
e che anche la sua aura potesse, in qualche modo, prendere parte a
questa fantasia. “Marilyn era sul set con noi. Abbiamo girato
proprio nella stanza da letto in cui è morta, è stato così
difficile riuscire ad avervi accesso. Quando abbiamo terminato le
riprese, tutti se ne sono andati e io mi sono sdraiato sul suo
letto per dieci minuti. Ho avvertito una disperazione assoluta
nella stanza, riuscivo a sentire sia la persona, Norma, che il
personaggio, Marilyn, tutto unito in una sorta di comunicazione
psichica”.
“Non penso che il mio film sia
originale. La maggior parte del materiale (libri, ecc) che hanno
rielaborato la storia di Marilyn sono sempre fantasie rischiose.
Anche il mio film è una fantasia rischiosa. Marilyn è un
personaggio verso cui proviamo tanti sentimenti, specialmente le
donne: rappresenta la femminilità, ma anche il sentirsi incomprese,
chiamate pazze…c’é un sentimento di sorellanza tra noi e Marilyn.
Era l’Afrodite del 20esimo secolo. Aveva tutto ciò che la società
ci impartisce di desiderare, perciò nella parabola di Marilyn
possiamo capire che in realtà c’è qualcosa di sbagliato in quello
che vorremmo”.
Ma cosa significa
Marilyn per Andrew Dominik?
Perchè il regista ha avuto in mente il progetto di Blonde
da tantissimi anni? “Marilyn rappresenta la mia fantasia, la
donna che porto dentro di me, quella che Freud chiamava anima,
qualcosa di totalmente diverso da quello che lei è effettivamente
stata. Io la amo, amo la vera persona che era. Ma la vera persona è
stata la Marilyn gioiosa, quella preoccupata….una miscela di tutti
questi stati d’animo che mi fa credere, a volte, di
conoscerla”.
L’accento è stato poi posto
sull’utilizzo dei colori e del bianco e nero in base a sequenze
specifiche, proiezioni o meno di ciò che
Norma/Marilyn immagina. “Abbiamo ricreato a
colori specialmente le immagini di lei che abbiamo in mente e che
esistono. La verità è che l’uso del bianco e nero segue un’idea
precisa: il voler creare un’associazione tra ciò che conosciamo di
lei, cambiandone però il significato. Così, un ricordo romantico
che abbiamo di Marilyn, qui può non essere un’immagine romantica.
Il film è sempre dalla sua parte, gli unici sentimenti che gli
interessano sono i suoi”.
Anche il concetto e il rapporto di
Marilyn con la maternità sono parte fondante del
viaggio di Blonde
nella psiche di Marilyn: “Marilyn deve
dialogare con questa maternità mai raggiunta. Il bambino è per lei
vero tanto quanto ogni altra persona nel film, per questo dovevamo
rappresentarlo. Si muovono due forze opposte nei confronti della
maternità: da una parte, vuole rielaborare il trauma della sua
infanzia e infondere amore a una nuova creatura, dall’altro,
l’unica esperienza della maternità che ha conosciuto è stata quella
terribile di sua mamma, quindi, ha paura”.
Andrew Dominik ha
inoltre dichiarato che Blonde
non sarebbe mai potuto esistere senza Brad Pitt,
che figura come produttore del film con la sua casa di produzione
Plan B. “Brad è il migliore amico che un
regista potrebbe desiderare, è una delle ragioni fondamentali per
cui questo film esiste. Ha messo più impegno nella realizzazione di
Blonde, rispetto a tutti i film in cui ha lavorato con
me”.
Blonde
sarà disponibile su Netflix
dal 29 settembre 2022.
Nonostante un
titolo fuorviante, Love Life di Koji
Fukada, in concorso a Venezia 79, è un racconto di dolore
e di lutto, profondamente ancorato nel tessuto e nella cultura
sociale giapponese, lì dove tutto, troppo spesso, deve essere detto
ed espresso con uno sguardo.
Love Life, la
trama
Taeko (Fumino
Kimura) e Jiro (Kento Nagayama) sono
sposati da circa un anno, si sono conosciuti diversi anni prima
nell’ufficio di assistenza sociale dove ora lavorano entrambi.
Taeko aveva già un figlio, Keita (Tetta Shimada),
da un precedente matrimonio con un uomo che li aveva abbandonati
quando il bimbo era molto piccolo, un immigrato coreano sordo che a
mala pena riusciva a prendersi cura di sé. Dopo averlo cercato per
anni, Taeko di rifà una vita con Jiro, cosa che però non fa piacere
alla famiglia di lui. I genitori, in particolare, non sono contenti
che il loro unico figlio abbia sposato una donna più grande, con un
figlio che non ha il loro sangue. E, quando una tragedia improvvisa
si abbatte sulla famiglia, questi legami affettivi verranno messo a
dura prova e un intervento esterno continuerà a minare un
equilibrio apparente molto più precario di quanto non sia sembrato
a prima vista.
Fukada presenta queste
vicende con un occhio fermo e glaciale, resta a distanza da
emozioni forti e tragedie, quasi a emulare l’atteggiamento di
apparente distacco con cui i protagonisti affrontano delle
questioni anche molto dolorose che per una cultura occidentale
sarebbero tutte esternate con reazioni animate e rumorose.
Forse il principale
ostacolo che Love Life presenta per il pubblico è proprio
questo gap culturale che non permette l’identificazione non tanto
in ciò che accade agli sventurati protagonisti, quanto nelle
maniera algida con cui tentano di gestire questi
avvenimenti.
Un melodramma normalizzato
Tutto quello che succede
nella storia appartiene al genere del melodramma, tuttavia il film
non diventa mai tale. La musica, la fotografia, la formula di messa
in scena, tutto prova a indicare allo spettatore che non si sta
guardando una storia drammatica. Fukada quindi opera una
normalizzazione del melodramma, che se da una parte si presenta
come un’operazione linguisticamente interessante, dall’altra fa
crollare tutto l’impianto drammatico della storia, annullando il
coinvolgimento dello spettatore. Ci si potrebbe sentire, alla fine,
come se non fosse accaduto nulla di così doloroso come invece si
verifica.
Love Life è un dramma familiare che ricorda il
cinema muto, quasi, dove ogni piccolo gesto assume un significato
profondo e altro, che dovrebbe essere decodificato da una
sensibilità affine a quella dell’autore e che, in mancanza di un
dialogo tra chi racconta e chi riceve il racconto, potrebbe
risultare troppo ostico per essere apprezzato.
All the Beauty and the
Bloodshed, unico documentario in concorso a
Venezia 79, esplora la lotta dell’artista Nan
Goldin contro la famiglia Sackler,
arricchitasi dalla vendita di oppiodi e che ha riciclato la propria
immagine pubblica vendendosi come mecenati d’arte. Questo progetto,
diretto da Laura Poitras, ha come protagonista
proprio Goldin, che ha condotto una dura campagna
contro la Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica di
proprietà della famiglia Sackler, produttrice dell’antidolorifico
Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che
ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel
mentre, alla “facoltosa” famiglia sono state intitolate fino a
sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo
del Louvre di Parigi.
La battaglia privata e collettiva di Nan Goldin
Considerata una delle più
prestigiose fotografe contemporanee, nota per la sua fervida
aderenza ad importanti cause e tematiche, tra cui sessualità e
dipendenza – in particolare per la serie The Ballad of
Sexual Dependency – che documenta le comunità queer della
New York degli anni ’70 e ’80, in All the Beauty and the
Bloodshed Goldin ripercorre le proprie vicissitudini
famigliari e professionali e il tortuoso viaggio che l’ha condotta
alla dipendenza da questi antidolorifici oppioidi. Nel corso di
quasi due anni, Poitras ha visitato la
Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie
di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie
della stessa Goldin, costituiscono l’ossatura del film.
Dopo essere sopravvissuta a
un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017
Goldin ha fondato il gruppo di difesa
P.A.I.N (Prescription Addiction Intervention Now)
per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché
interrompano le collaborazioni con la famiglia
Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le
arti. “Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in
ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i
miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di
persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E,
per ora, ne abbiamo abbattuto uno“, ha dichiarato Nan
Goldin a Venezia.
Al centro del film ci sono le opere
d’arte di Goldin “La ballata della dipendenza
sessuale“, “L’altro lato“, “Sorelle e
sibille” e “La memoria perduta“, tramite cui
Goldin cerca di catturare tutta la bellezza e la
cruda tenerezza che vuole identificarsi come l’eredità della
sorella Barbara e delle amicizie più vere strette
nel corso degli anni, alla base di tutto il percorso artistico di
Goldin.
La bellezza e lo spargimento di sangue degli affetti
personali
Anche i precedenti documentari di
Poitras si concentravano sulle personali storie di
individui che combattono per un senso di giustizia o
responsabilità. Se è vero, dunque, che l’associazione
P.A.I.N rimane il nucleo fondante di All
the Beauty and the Bloodshed, questa nuova incursione nel
documentario di Poitras si rivela l’occasione
ideale per esplorare l’intrinseca connessione tra l’attivismo di
Goldin e il suo lavoro come punto di riferimento
nell’ambito della fotografia.
In All the Beauty and the
Bloodshed emerge chiaramente come per
Goldin sia stato essenziale toccare parallelismi
economici, sociali ed istituzionali tra la crisi dell’HIV/AIDS e
l’attuale crisi degli oppioidi nel Paese. Cercando di far emergere
a più riprese il concetto che le crisi sociali non esistono in un
unico contesto e che è necessario catturare le relazioni tra
comunità per poterne sondare le profondità, il documentario di
Laura Poitras riesce a coniugare ottimamente la
sovversività politica del suo lavoro artistico e l’emotività –
spesso anche lacerante – delle storie personali che sono state e
continuano ad essere l’ispirazione primaria per i suoi lavori.
Filtrando il concetto di stigma
tramite le sue più comuni derivazioni, il suicidio, la malattia
mentale, il genere, Goldin ha progressivamente
compreso la forte valenza politica che il suo impegno artistico
stava assumendo. Intrecciando la storia della sua infanzia, delle
sue profonde amicizie nelle comunità di artisti che continuano a
dimostrare slancio creativo e resilienza di fronte alle indicibili
perdite subite durante l’epidemia di AIDS, All the Beauty
and the Bloodshed cattura la storia non solo di
Nan, ma anche di Barbara Goldin:
la sorella perduta, ma mai dimenticata, la cui esistenza sofferente
– che diventa un ricordo quasi etereo – racchiude perfettamente la
storia di un’artista che ha raccontato la sua vita anche attraverso
l’impegno socio-politico.
L’attrice Anna Kendrick,
celebre per film come Pitch Perfect, Tra le nuvole e Un piccolo favore,
debutterà alla regia con il thriller The Dating
Game, per il quale sarà anche produttrice e
protagonista. Il progetto è basato sulla storia incredibilmente
vera di Cheryl Bradshaw. Nel 1978, la donna è
apparsa nel popolare programma televisivo The Dating Game
scegliendo inizialmente di avere un’appuntamento con Rodney
Alcala, salvo cambiare idea all’ultimo. L’uomo è poi stato
arrestato circa un anno in quanto serial killer con diversi omicidi
a carico.
Non è ancora noto in che modo il
film tratterà la vicenda, se vi sarà totalmente fedele o se la
Kendrick sceglierà di prendersi alcune libertà. Ad oggi l’attrice
ha solo confermato che ricoprirà per la prima volta il ruolo di
regista, affermando che “ho adorato questa sceneggiatura dal
momento in cui l’ho letta. E mentre ero ovviamente entusiasta di
interpretare il personaggio di Cheryl, mi sono sentita così
connessa alla storia, al tono e ai temi intorno al genere, che
quando si è presentata l’opportunità di dirigere il film, l’ho
colta al volo. Il supporto che ho già ricevuto da Stuart Ford e da
tutti in AGC, Vertigo e BoulderLight è stato fonte di ispirazione e
incoraggiamento“.
Le riprese del film, scritto da
Ian MacAllister McDonald, dovrebbero iniziare
nell’ottobre di quest’anno e prossimamente potrebbero dunque essere
annunciati anche nuovi nomi facenti parte del cast come anche
ulteriori dettagli relativi alla trama. Per la Kendrick si tratta
ovviamente di una grande opportunità, che potrebbe portarle
ulteriore popolarità oltre che a farle guadagnare un posto accanto
ad altre attrici come Greta Gerwig e Olivia Wilde
poi passate con successo alla regia di film come Lady Bird e Don’t Worry
Darling.
Il cast del prossimo
Joker 2, ufficialmente
intitolato Joker: Folie à Deux, continua
a crescere con l’aggiunta della candidata all’Oscar
Catherine Keener in un ruolo ad oggi tenuto
segreto. L’attrice è nota principalmente per i suoi ruoli in
Essere John Malkovich e
Truman Capote – A sangue freddo, mentre di recente ha
recitato in Scappa – Get Out, Soldado e The Adam Project.
Joaquin
Phoenix, vincitore dell’Oscar come miglior attore
proprio per Joker, tornerà per il
sequel, riprendendo il ruolo di Arthur Fleck. Phoenix guiderà un
cast che include anche la co-protagonista Zazie Beetz e
il nuovo arrivato Brendan Gleeson. Anche
Lady Gaga apparirà nel film, interpretando una
nuova versione di Harley Quinn.
Anche se non è dunque ancora chiaro
chi interpreterà la Keener, considerando che il film sembra essere
ambientato per buona parte all’interno dell’Arkham Asylum, è
ipotizzabile che l’attrice possa vestire i panni di un medico del
posto o, altra ipotesi non da escludere, uno dei pazienti lì
rinchiusi. In generale, però, si sa ancora molto poco di questo
sequel, il quale stando a quanto mostrato da un primo breve teaser,
includerà anche elementi musicali.
Le riprese dovrebbero incominciare a
dicembre, con Todd Phillips
che torna in cabina di regia, avendo anche scritto la sceneggiatura
insieme a Scott Silver. Con una data di uscita
attualmente fissata al 4 ottobre 2024, bisognerà
attendere ancora un po’ prima di poter sperare di avere maggiori
informazioni sul film. Per il precedente Joker, tuttavia,
diverse immagini del film hanno iniziato a circolare con ancora le
riprese in corso. È dunque possibile che già nei prossimi mesi si
possa avere un assaggio in più su ciò che questo Joker: Folie à
Deux ha da offrire.
In merito al film Bill Pohlad ha
rivelato, “La storia di Donnie Emerson intreccia amore,
lealtà, seconde occasioni e la possibilità di vedere i propri
sogni avverarsi. Al contempo è anche una storia di dolore, di
rimpianto e delle complicazioni che i sogni possono portare con
sé. Dreamin’ Wild possiede una tranquilla semplicità. Esplora la
fede e la famiglia, il senso di colpa e la responsabilità. In
definitiva, parla di guarigione: ed è ciò di cui oggi abbiamo
più che mai bisogno nel mondo. Ecco perché sono stato attratto da
questa storia. Il nucleo centrale del film è la musica: Baby
girava nella mia testa mentre scrivevo, e l’anima e la passione di
questa canzone permeano il film. Vi è un senso di magia che
attraversa questa storia. Lo si può sentire riecheggiare in Baby.
E lo percepirete in Dreamin’ Wild.”
Cosa succederebbe se un sogno
d’infanzia si avverasse all’improvviso – ma trent’anni più tardi?
È quanto accade al cantautore Donnie Emerson. Il sogno di avere
successo si realizza improvvisamente – e inaspettatamente – quando
si sta avvicinando ai cinquant’anni. E se ciò da un lato porta con
sé la speranza di seconde occasioni, dall’altro lato evoca anche i
fantasmi del passato frammisti a emozioni a lungo sepolte, mentre
Donnie, il fratello Joe e l’intera famiglia si ritrovano a fare i
conti con la fama recentemente conquistata. Dreamin’ Wild è
un’incredibile storia vera di amore, speranza, famiglia, senso di
colpa e responsabilità.
A soli due mesi dall’uscita in sala,
sarebbero attualmente in corso alcune riprese aggiuntive per il
film Black Panther: Wakanda
Forever, il prossimo film targato Marvel nonché sequel del
pluripremiato Black Panther. Alcune
fonti hanno infatti riportato la notizia che il regista
Ryan Coogler sta svolgendo alcune ulteriori
riprese nello Stato della Georgia. È molto raro che un film vada
incontro a riprese aggiuntive così vicine alla data di uscita in
sala. Proprio per questo, alcuni fan ipotizzano che il team
creativo stia in realtà girando nuove scene post-credits. Non ci
sono però conferme o smentite da parte dei Marvel Studios ed è dunque difficile stabilire
il contenuto effettivo di queste nuove riprese.
Molti fan, ad esempio, hanno
lanciato su Twitter l’hashtag #RecastTChalla, chiedendo che nel
film venga inserita una variante del personaggio. Tale richiesta è
però difficile che venga accontentata, in quanto i Marvel Studios hanno affermato di
non aver intenzione di operare un recasting, rimanendo fedeli alla
memoria di Chadwick
Boseman, l’originale interprete del personaggio
prematuramente scomparso nel 2020. Il film si è dunque costruito
sulla difficoltà e necessità di andare avanti senza il suo
protagonista effettivo. Appare dunque improbabile che lo studios
abbia ora cambiato idea all’ultimo, inserendo una variante di
TChalla come richiesto dai fan.
In attesa di chiarimenti ufficiali,
rimane dunque ignota la natura di queste riprese aggiuntive, da
svolgersi certamente in modo quantomai rapido per evitare rinvii
nella data di uscita del film. Questo è infatti atteso in sala per
il 9 novembre e vanta un cast composto da
Letitia Wright,Lupita
Nyong’o, Dominique Thorne, Danai Gurira,
Angela Bassett
e Tenoch Huerta nei panni del villain Namor.
Ieri è stata una giornata ricca di
star quella di Venezia 79, sul red carpet hanno
sfilato i protagonisti del film The Son, che è stato presentato in
concorso. Insieme al regista Florian Zeller sul
red carpet hanno sfilato i protagonisti Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby e Zen
McGrath.
The
Son segue una famiglia che lotta per tornare
unita dopo essersi sfasciata. The Son è incentrato su Peter, la cui
vita frenetica con il figlio appena nato e la nuova compagna Beth
viene sconvolta quando l’ex moglie Kate ricompare con il figlio
Nicholas, ormai adolescente. Il giovane manca da scuola da mesi ed
è tormentato, distante e arrabbiato. Peter si sforza di prendersi
cura di Nicholas come avrebbe voluto che suo padre si fosse preso
cura di lui, mentre si destreggia tra il lavoro, il nuovo figlio
avuto da Beth e l’offerta della posizione dei suoi sogni a
Washington. Tuttavia, cercando di rimediare agli errori del
passato, perde di vista il modo in cui tenersi stretto Nicholas nel
presente.
The Son è un film sul senso di
colpa, sui legami familiari e, in ultima analisi, sull’amore.
Volevo realizzarlo da diversi anni. Ero così determinato a
raccontare questa storia che non avrei potuto raccontarne
nessun’altra, né da un diverso punto di vista. È in parte ispirato
a emozioni che conosco personalmente. Volevo condividerle con il
pubblico perché so che molte persone si confrontano con i disturbi
mentali e che la vergogna e lo stigma associati a questi problemi
possono ostacolare conversazioni necessarie e talvolta vitali.
Una delle questioni più accese
intorno al Marvel Cinematic Universe è quella
relativa al casting dell’annunciato Fantastici
Quattro, il film che inaugurerà la Fase
6 nel novembre 2024. Ad oggi non vi sono
ancora certezze riguardo a chi interpreterà i quattro fantastici
protagonisti, tra i più celebri e amati supereroi della Marvel. Vi sono però una serie di
rumor a riguardo su attori presi in considerazione per questi
ruoli. Per quanto riguarda Sue Storm, alias la donna invisibile, il
ruolo potrebbe andare all’attrice Jodie Comer, la
quale sempre stanto alle voci di corridoio sarebbe la principale
candidata alla parte.
Divenuta celebre per aver
interpretato Villanelle nella serie Killing Eve, la Comer
si è poi di recente fatta notare anche al cinema con i film
Free Guy – Eroe per
gioco e The LastDuel,
recitando in entrambi in qualità di protagonista femminile. Questi
titoli le sono bastati ad affermarsi come una delle attrici più
promettenti di Hollywood e il ruolo di Sue Storm potrebbe per lei
rappresentare la definitiva consacrazione in termini di popolarità.
Le qualità sembrano dunque esserci tutte, come anche una certa
somiglianza al personaggio.
Restano invece ancor più irrisolti i
ruoli di Reed Richards alias Mr. Fantastic, La Cosa e la Torcia
Umana, per i quali sono tuttavia trapelati
alcuni possibili candidati valutati dalla Marvel. Al di là
degli attori che saranno coinvolti, sappiamo che Matt
Shakman, già distintosi presso i Marvel
Studios per aver diretto la miniserie WandaVision, dovrebbe essere confermato come
regista del progetto. Occorre ora aspettare l’imminente D23
Expo, durante il quale i Marvel Studios potrebbero annunciare novità
relative ai Fantastici Quattro.
Con l’imminente premiere del film
semi-autobiografico The
Fabelmans di Steven Spielberg al Toronto
International Film Festival, è stato ora rilasciato il nuovo poster
del film, che mostra anche alcune immagini tratte dalla pellicola
stessa. Il poster raffigura infatti la sagoma di un personaggio che
cammina lungo un vicolo accanto allo Stage 25. Lo sfondo del poster
mostra invece bobine di film con immagini reali presenti nel film.
La più importante di queste è al centro, con Gabriel
LaBelle che interpreta Sammy Fabelman intanto ad usa una
telecamera ed esplorando dunque il suo amore per il cinema.
Il poster di The
Fabelmans ci mostra anche immagini che ritraggono
Michelle
Williams (Manchester by the Sea), che
interpreta la madre di Sammy, Leah Fabelman,
intenta a balla sotto alcuni riflettori. Paul Dano
(The
Batman), che interpreta il padre di Sammy,
Burt, può invece essere visto nel poster
sorridente con una scimmia sulla spalla. Infine vi è anche Seth Rogen
(The Disaster Artist), che interpreta nel film un collega
di Burt, anche se non è ancora noto il ruolo che il personaggio
avrà effettivamente nella storia.
La vicenda di The
Fabelmans, come già anticipato è una versione
semi-autobiografica dell’infanzia di Spielberg. Il film è infatti
incentrato su Sammy Fabelman, che sogna di
diventare un regista mentre cresce nell’Arizona del secondo
dopoguerra. Il film ripercorrerà la sua vita dalla sua infanzia
fino alla tarda adolescenza, momento in cui scoprirà un segreto di
famiglia e apprende definitivamente il potere del cinema. Oltre a
dirigere il film, Spielberg è anche co-autore della sceneggiatura
con Tony Kushner, che in precedenza aveva
collaborato con il regista in film come West Side Story,
Lincoln e
Munich. Il film ha una distribuzione in sala attualmente
prevista per la fine di novembre. Di seguito il poster
ufficiale.
Sono finalmente state rilasciate le
prime immagini dedicate ai protagonisti di Babylon, il nuovo film del più giovane
premio Oscar per la regia, ovvero Damien Chazelle.
Tali immagini offrono uno sguardo ravvicinato al personaggio di
Margot Robbie e
Brad Pitt, ma
anche a quello di Tobey Maguire.
Il regista di La La Land e Whiplash, ha descritto
questo suo nuovo progetto come un film ambientato nell’età del jazz
della Hollywood degli anni ’20, quando il cinema iniziò ad
allontanarsi dai film muti per passare al sonoro.
Chazelle ha sviluppato la storia
per questo film in costume per più di un decennio, ma è stato solo
grazie al recente successo e al suo affermarsi come uno dei registi
più talentuosi di Hollywood che il film ha potuto prendere vita. Le
riprese di Babylon si sono concluse circa un anno fa e
ora, finalmente, il materiale promozionale del film sta
incominciando ad emergere. Queste prime immagini ci mostrano dunque
Pitt nei panni Jack Conrad, una superstar amante
delle feste ormai alla fine della sua carriera, mentre Robbie
interpreta Nellie LaRoy, una giovane attrice di
talento, la cui popolarità è in continua crescita.
Tobey Maguire, che
inizialmente sembrava dovesse interpretare il grande
Charlie Chaplin, ha invece ora un personaggio
chiamato James McKay, il cui ruolo nel film è però
ancora sconosciuto. Con queste nuove immagini appena rilasciate,
potrebbe non volerci molto per scoprire di più sul progetto. Il
pubblico può infatti iniziare ad attendere con impazienza il
trailer del film, che potrebbe essere rilasciato da qui a breve,
considerando che Babylon ha una data di uscita in sala
fissata proprio per questo Natale, il 25 dicembre
2022. Di seguito, ecco le immagini relative ai tre
protagonisti rilasciate da Vanity Fair:
1 di 3
Director Damien Chazelle on
the set of Babylon from Paramount Pictures.
Director Damien Chazelle on the set of Babylon from Paramount
Pictures.
Gentile concessione di
Paramount PICTURES
Gentile concessione di
Paramount PICTURES
See Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva,
Tobey Maguire, Jovan Adepo, and more in the glittering first look
at ‘Babylon,’ due out this December. https://t.co/0SUx9rsWjz
Prime
Video ha diffuso il trailer di My
Policeman il film diretto da Michael Grandage e basato sul
romanzo di Bethan Roberts. Protagonisti del film sono Harry
Styles, Emma Corrin, Gina McKee, Linus Roache, David Dawson e
Rupert Everett. Scritto da
Ron Nyswaner. Prodotto da Greg Berlanti, Sarah
Schechter, Robbie Rogers, Cora Palfrey, Philip Herd.
Executive Producer: Michael Grandage,
Michael Riley McGrath, Caroline Levy.
La trama del film
La bellissima storia di un amore proibito e del cambiamento
delle convenzioni sociali, My Policeman segue tre ragazzi
– il poliziotto Tom (Harry Styles), l’insegnante Marion (Emma
Corrin) e il curatore di un museo Patrick (David Dawson) – durante
un viaggio emozionante nella Gran Bretagna degli anni ’50. Negli
anni ’90, Tom (Linus Roache), Marion (Gina McKee) e Patrick (Rupert
Everett) sono ancora in preda al desiderio e al rimpianto, ma ora
hanno un’ultima possibilità di riparare i danni del passato. Basato
sul romanzo di Bethan Roberts, il regista Michael Grandage realizza
un ritratto visivamente commovente di tre persone coinvolte nelle
mutevoli maree della storia, della libertà e del perdono.
Dopo l’esordio cinematografico
conThe
Father – Nulla è come sembra, dopo essersi guadagnato
due Oscar e un César, il
drammaturgo francese Florian Zeller torna
alla regia. The Son è
di nuovo un adattamento di una sua pièce teatrale (Il
figlio) ed è un dramma familiare che ruota attorno ad un
adolescente infelice. Per raccontare questa
storia, Zeller si serve di un cast
stellare: Hugh Jackman, Laura
Dern, VanessaKirby,
Anthony Hopkins e il
giovanissimo Zen Mcgrath.
La trama di The
Son
Nei migliori quartieri di New
York, PeterHugh Jackman),
un avvocato di successo, vive con la sua
compagna Beth (Vanessa Kirby)
e con il loro figlio appena nato Theo. In
realtà, Peter ha anche un altro
figlio, Nicholas (Zen
Mcgrath), che abita con la madre Kate
(Laura
Dern). Nicholas ha diciassette anni e
sta attraversando un periodo difficile. Insieme all’adolescenza,
nel ragazzo emergono una serie di angosce che lo spingono ad
abbandonare la scuola e a isolarsi sempre di più. Nel
tentativo di aiutarlo, Peter acconsente alla
richiesta di Nicholas di vivere con lui e la nuova
compagna. Tuttavia, la tristezza del ragazzo sembra
irreparabile.
I traumi legati al divorzio
di Peter e Kate impediscono
a Nicholas di essere felice, ogni manifestazione
d’affetto sembra non bastare. Se nessuno si salva da solo, chi può
salvare un figlio, se non i suoi genitori?
I legami familiari esplorati in
modo acritico
In The Son si
parla soprattutto di rapporti familiari: madre e figlio neonato,
madre, padre e figlio adolescente, matrigna e figliastro. O
ancora, un padre (Jackman) che è a sua volta
figlio (di Anthony Hopkins). Nessuno degli
individui che appare sulla scena ha senso da solo: tutte le parti
sono intersecate e strettamente legate tra loro. Questo vale ancora
di più per Nicholas. Il ragazzo è fragile e allo
stesso tempo sogna una spensieratezza che non riesce a ottenere
proprio perché porta in sé sia il ricordo del divorzio dei genitori
che quello di quando ancora stavano insieme.
Nonostante il giovane accusi più
volte i genitori, in realtà il regista non vuole esprimere un
giudizio sulla condotta di Kate e di Peter.
Le figure genitoriali sono mostrate in modo
acritico. Zeller non esclude nulla e
porta sullo schermo le fragilità, le qualità positive, i vizi e le
virtù, dei genitori come del figlio. Con il loro modo di
comportarsi, madre e padre sono in parte carnefici
di Nicholas, in parte vittime delle azioni del figlio
adolescente. E, alla fine dei conti, tutti soffrono, si fanno male
e si consolano a vicenda.
Parlare di depressione
giovanile
Zeller
sceglie un punto di vista imparziale e il risultato è un film che
lascia poca speranza. Il tema della depressione giovanile, ancora
più ridondante tra i ragazzi dopo l’arrivo del Covid-19, è delicato
e decisamente ampio. Per parlarne, il regista si serve di un
interprete eccellente. Il giovane Zen
Mcgrath, figura esile non troppo dissimile da Thimothée
Chalamet in Beautiful
Boy, ha un’intensità rara e straziante.
Mcgrath è la bussola che guida gli stati
d’animo di The
Son e, insieme a lui, la spirale emotiva del film
scende verso il basso. Come per ogni soggetto fragile,
salvare Nicholas richiede uno sforzo immenso e
globale. Il protagonista del lungometraggio non è però
l’adolescente, ma Peter, colui che allo stesso tempo
è sia padre che figlio…
Con The
Son Zeller guarda a Hollywood
Il
castè l’arma più potente del
film. Jackman oscilla tra tutte le
possibili emozioni vissute da un padre separato alle prese con un
adolescente, un neonato e un lavoro ingombrante. Laura
Dern è, come sempre, una madre realistica e umana,
mentre Vanessa Kirby è forse
il personaggio più emblematico: il suo ruolo secondario oscilla
continuamente tra le quinte e la scena, come se il personaggio che
interpreta non fosse mai nel posto giusto. A questi attori
incredibili, si aggiunge un cameo di Anthony Hopkins, fil rouge che
collega The Son al
precedente The
Father.
Nonostante le ottime
interpretazioni, con The
SonZeller in parte si allontana
dallo stile narrativo del film precedente. Il regista fa un passo
verso un cinema più hollywoodiano, sia per le ambientazioni
newyorkesi, sia per la linearità della storia, ma soprattutto per i
colpi di scena programmabili (esattamente come la lavatrice che è
sempre in azione in casa di Peter).
Il regista di The
Son
Florian Zeller è un
acclamato scrittore e drammaturgo francese. Nel 2020 entra a gamba
tesa nel mondo cinematografico come regista e sceneggiatore di
The Father – Nulla è come sembra, lungometraggio tratto da
una sua pièce teatrale. Il film, un dramma con
protagonisti Anthony Hopkins e Olivia Colman, conquista pubblico e
critica e si guadagna due Oscar (Miglior sceneggiatura non
originale e Miglior attore protagonista a
Hopkins). Quest’anno, Zeller
torna a dirigere un suo testo teatrale: The Son,
tratto da Il figlio (2018), ultimo capitolo di
una trilogia sui rapporti familiari.
Con The
Eternal Daughter, in concorso a
Venezia 79, Tilda Swinton e Joanna Hogg
tornano a collaborare per la terza volta, in un film che si
configura come estensione massima dello stile registico di
Hogg, a cui è possibile approciarsi soltanto con
la consapevolezza del lavoro simbiotico che le due svolgono da
tantissimi anni – fin dai tempi dell’università – e concretizzatosi
con i film The Souvenir e The Souvenir
2.
Il film più d’atmosfera di Joanna
Hogg
La trama di The
Eternal Daughter vede un’artista
(Julie) e la sua anziana madre
(Rosalind) confrontarsi con segreti a lungo
sepolti quando fanno ritorno nella vecchia casa di famiglia, ora
diventata un hotel infestato da un misterioso passato.
The
Eternal Daughter è un film di difficilissima natura.
Bisogna portarsi dietro il bagaglio conoscitivo che ci offerto il
rapporto tra Julie e la madre nei due
Souvenir per comprendere quanto a fondo la
Hogg voglia spingersi con questa analisi spettrale
e struggente della figura femminile, in cui il doppio agevola la
messa in scena di un rapporto generazionale e Tilda
Swinton non fatica a recitare, deve semplicemente
rispondere alla fatica che soggiace ai ruoli di madre e figlia.
Sempre minimale ma rigorosissimo
nella messa in scena, The
Eternal Daughter è il film più d’atmosfera della
Hogg. Da sempre interessata al sovrannaturale, era
già da prima della pandemia da Covid-19 che la regista desiderava
mettere in scena una storia di fantasmi. Senza un copione preciso a
guidarne la recitazione, Tilda Swinton segue il richiamo dei suoni
naturali per ricostruire la cronistoria di legame indissolubile,
che nasce dalla proiezione del sè nell’altro, dall’idea del
rompicapo ipnotico che avvolge le cornici delle storie gotiche.
The Eternal Daughter, o meglio, The
Souvenir 3
Per quanto visivamente intrigante,
The
Eternal Daughter si perde paradossalmente nello spazio
confinato che sceglie come propria ambientazione, un albergo
spettrale e dall’impatto visivo incontestabile, che riecheggia
tuttavia sprazzi di quello che sarebbe potuto essere un The
Souvenir 3. Nella ridondanza recitativa – conoscevamo già
tanto di madre e figlia dai precedenti film – l’ultima fatica di
Joanna Hogg risulta quasi inaccessibile, vittima
del dilatarsi di una linea del tempo che solo regista e attrice
conoscono veramente, ed è impossibile che lo spettatore riesca ad
immergervisi altrettanto. The
Eternal Daughter è il risultato di conversazioni
durate quindici anni tra Swinton e Hogg, che si sono
interrogate a lungo sul divario generazionale tra loro – figlie
dalla vocazione artistica – e le loro madri, raffinatissime e
altolocate, per cui una professione artistica non poteva essere
assolutamente contemplata.
Non tutti hanno figli o figlie, ma
tutti abbiano una madre e siamo figli.
Tilda/Julie/Rosalind decide di identificarsi in
entrambi i punti di vista, cercando di simpatizzare con queste
proiezioni del se, non lasciarsi spaventare e dimostrare che la
conversazione tra le due parti continua sempre, non deve per forza
finire secondo i ritmi della natura, bensì nutrire il tempo che
verrà.
Nel periodo di tempo trascorso
insieme, Julie e Rosalind
condividono la stessa voce e lo stesso volto. Entrambe invecchiano
poco a poco, ma hanno il tempo necessario per dar voce alla paura
più grande dei figli e delle madri: avere sbagliato qualcosa, non
essere stato all’altezza. Un confronto continuo, terapeutico ma
estremamente struggente, che fa dell’eternità la chiave per
(ri)leggere la filmografia di un’artista estremamente
autobiografica e che ancora non vuole finire di raccontarsi.
Il film è ispirato ad un raconto di
Antonio Cossu. Siamo negli anni Cinquanta. Nelle
colline del Trexenta, in Sardegna,
vive Raffaele (Giuseppe
”Peppeddu” Cuccu), un contadino che ha da
poco colto un misero mucchio di grano. Il raccolto deve ancora
essere concluso: l’arrivo del vento permetterà ai chicchi di
dividersi dalla paglia e concluderà la trebbiatura. Nell’attesa del
”bentu”, Raffaele sceglie di rimanere nel suo piccolo
casolare in campagna. Tuttavia, il vento non sembra voler arrivare.
A tenere compagnia al contadino c’è però il piccolo
Angelino (Giovanni Porcu), un ragazzino
invadente e affascinato dall’attività di Raffaele. Ciò che
più di tutto attrae Angelino è la cavalla di
Raffaele, ma il bambino è ancora troppo leggero per
poterla cavalcare…
Un film che segue i ritmi della
natura
Bentu ruota attorno a
tre personaggi: Raffaele, Angelino e la cavalla
indomita del contadino. Questi soggetti si muovono sullo schermo in
funzione dei ritmi della natura. La campagna della Sardegna, ampia
e seccata dal caldo estivo, è la regina delle inquadrature
di Mereu. Campi lunghi e lunghissimi esaltano
l’ampiezza delle ambientazioni naturali. La pittoricità delle
immagini è incantevole: i colori sono vividi come quelli usati da
Van Gogh nei suoi quadri rupestri (come non
citare Casa di campagna in provenza
o Mietitura). Esattamente come in un dipinto
paesaggistico, Raffaele e Angiolino sono le
sole scarne figure umane che vagano negli spazi raffigurati.
È quindi l’ambiente
naturale a dominare sia a livello visivo che a livello
narrativo: la giornata di Raffaele ruota attorno
al campo e al vento. Infatti, il film procede seguendo
cronologicamente la quotidianità dell’uomo: la raccolta del grano,
i pasti semplici nel piccolo casolare, il riposo e, soprattutto,
l’attesa del vento. La semplicità del racconto è in linea con la
storia, una storia contadina fatta di figure scarne, case spoglie e
parole dialettali (tutti i dialoghi sono in dialetto sardo).
Raffaele è l’emblema del burbero
contadino
Raffaele è il
personaggio principale di Bentu e rappresenta
lo stereotipo dell’anziano contadino: solitario, burbero,
silenzioso, indaffarato. Cuccuparla
solo in dialetto sardo e sembra rifiutare il progresso con
tutte le sue forze. Nell’attesa del vento, più volte viene esortato
ad utilizzare la mietitrebbiatrice, ma si rifiuta di far fare alla
macchina un lavoro che spetta all’uomo e alla natura. La
trebbiatura, la separazione del frumento dalla paglia, è
per Raffaele un rito e attendere il
bentu è come una pratica religiosa.
Angelino
Il protagonista è accompagnato da un
personaggio antitetico: Angelino. Il bambino che
si intromette in casa sua, lo stuzzica, lo provoca, è l’emblema di
quel progresso e di quella modernità che il protagonista
di Bentu rifiuta. Al contrario di
Raffaele, Angelino è vivace, iperattivo, è
incuriosito dalle novità, parla in italiano. Le due figure sono tra
loro contrapposte e affini: giovane e vecchio si
uniscono in un luogo eterno, la campagna, che sembra la stessa
delle poesie di Pascoli – o dei film del Neorealismo – e che esalta
gli ambienti bucolici e le piccole cose (le famose
myricae).
In conclusione,
Bentu è un film che procede a ritmo lento,
richiedendo allo spettatore di avere la stessa pazienza di
Raffaele. Mereu sfrutta la settima
arte e, come altri prima di lui hanno fatto attraverso il cinema,
la poesia e l’arte pittorica, realizza un’opera contemplativa sulla
ciclicità della vita contadina, un continuo confronto tra vita,
morte e rinascita.
Si è tenuta ieri sera la premiere
di
Dead for a Dollar, il nuovo film del regista Walter
Hill che ha ricevuto ieri anche il Leone d’Oro alla
carriere. Insieme al regista ad accompagnarlo i
protagonisti del film
Christoph Waltz,
Willem Dafoe,
Rachel Brosnahan, Warren Burke, Benjamin Bratt.
Nel film Siamo nel 1897. Dead for a
Dollar segue il famoso cacciatore di taglie Max Borlund fin nelle
profondità del Messico; qui si imbatte in Joe Cribbens – giocatore
d’azzardo professionista e fuorilegge e suo nemico giurato – che
Max aveva spedito in prigione alcuni anni prima. Borlund è in
missione: deve ritrovare e portare a casa Rachel Kidd, moglie di un
ricco uomo d’affari di Santa Fe, rapita e presa in ostaggio. Quando
scopre che la donna è in realtà scappata da un marito violento,
Max deve fare una scelta: portare a termine la missione disonesta
per cui è stato ingaggiato, o farsi da parte mentre spietati
fuorilegge mercenari e il rivale di lunga data si fanno sempre più
vicini… Max e il suo aiutante Alonzo Poe non hanno nulla da
guadagnare se resistono: nulla, a parte l’onore.
Decidere di abbandonare una
carriera sicura per seguire i propri sogni è un azzardo che alcune
volte però paga. Ne sa qualcosa l’attore turco Can
Yaman, una delle rivelazioni televisive degli ultimi
anni.
Scopriamo insieme tutto
quello che c’è a sapere su Can Yaman, a proposito della
sua carriera e anche qualche curiosità.
Can Yaman serie tv
10. Nato l’8
novembre del 1989 a Instanbul, Turchia, Can ha origini miste; suo
padre è un avvocato albanese-kosovaro mentre la madre è una
professoressa di lettere di origini macedoni. Sin da bambino Can si
dimostra uno studente molto promettente. Dopo il liceo, Yaman
si iscrive a Giurisprudenza all’università
Yeditepe, dove si laurea a pieni voti.
9. Subito dopo la
laurea, comincia a lavorare come assistente
procuratore ma la sua carriera nel mondo giuridico non
dura più di sei mesi. Can capisce ben presto di aver intrapreso la
strada sbagliata e si dà alla recitazione, seguendo così il suo
sogno di diventare un attore di successo.
Özge Gürel e Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte: IMDB
8. La sua carriera
come attore inizia solo nel 2014 quando viene scelto per la serie
tv turca dal titolo Gönül Isleri.
La serie racconta la storia di tre
sorelle e il loro padre che vivono insieme a quando la madre li ha
lasciati. Le ragazze vorrebbero finalmente sposarsi e andare avanti
con le loro vite ma il destino si diverte a cambiare continuamente
le carte in tavola.
Nella serie Gönül Isleri. Can Yaman
interpreta il ruolo di Bedir, personaggio attivo
per tutta la durata della prima e unica stagione, andata in onda
dal 2014 al 2015.
Özge Gürel e Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte: IMDB
7. Dopo aver
interpretato un ruolo minore nella sua prima serie, nel 2015 Can
Yaman viene scelto per la parte del co-protagonista nella serie
turca İnadına Aşk.
In questa serie Defne
(Açelya Topaloglu) e Yalin (Can
Yaman) sono colleghi dello stesso studio legale, costretti
a lavorare insieme pur non sopportandosi a vicenda. Dopo un primo
periodo di assestamento, i due trovano il modo di collaborare e il
loro rapporto cambia drasticamente, trasformandosi in qualcosa di
molto più profondo.
Can Yaman in Bitter Sweet –
Ingredienti d’amore
6. Il successo
vero per Can arriva solo nel 2017 quando entra a far parte del cast
della nuova serie tv turca Bitter Sweet – Ingredienti
d’amore, come co-protagonista al fianco della bella
Özge Gürel.
Necip Memili and Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte:
IMDB
La giovane cuoca Nazil Pinar
(Özge Gürel), per mantenersi all’università, dove
frequenta corsi di lingua giapponese, è alla disperata ricerca di
un lavoro. Dopo aver fatto tanti colloqui, finalmente viene assunta
come cuoca personale nella casa di un ricco uomo d’affari, Ferit
Aslan (Can Yaman). In casa di Ferit, Nazil conosce
il piccolo Bulut (Alihan Türkdemir), suo nipote,
rimasto orfano di entrambi i genitori. La ragazza instaura un bel
rapporto di fiducia e genuino affetto con il ragazzo ma pian piano
scopre i terribili retroscena dell’incidente che ha messo fine alla
vita dei suoi genitori. Ci sono infatti loschi personaggi che trama
alle spalle di Ferit e del piccolo Bulut…
Can Yaman e Alihan Türkdemir in Bitter Sweet – Fonte:
IMDB
La serie, andata in onda in Turchia
per una sola stagione di 26 episodi nel 2017, è stata un
grandissimo successo. Due anni più tardi, finalmente, la serie
approda in Italia e viene trasmessa su Canale 5 in
un formato differente; la versione originale degli episodi, 26 da
95-165 minuti, viene sostituiti da 80 episodi da 45 minuti
circa ciascuno.
Can Yaman in DayDreamer – Le ali
del sogno
5. La carriera
televisiva di Can Yaman, ormai ben avviata, continua nel 2019 con
una nuova serie, sempre di origine turca, dal titolo
DayDreamer – Le ali del sogno.
Demet Özdemir e Can Yaman in DayDreamer – Fonte: IMDB
La serie racconta la storia di
Sanem Aydin (Demet Özdemir), una ragazza che sogna
di fare la scrittrice e di vivere alle Galapagos ma che, per
sfuggire a un matrimonio combinato, inizia a lavorare in un’azienda
pubblicitaria, insieme alla sorella Leyla (Öznur
Serçeler), segretaria di Emre (Birand
Tunca), secondogenito del capo, Aziz (Ahmet
Somers).
Mentre Emre è un uomo d’affari
senza scrupoli, suo fratello maggiore Can Devit (Can
Yaman) è il suo opposto; è un spirito libero e gira il
mondo facendo il fotografo. Quando Aziz scopre di essere gravemente
malato, richiama il figlio Can per affidargli le redini
dell’azienda e l’arduo compito di scovare la talpa che vende
informazioni private sulla compagnia alla sua concorrente. Essere
spodestato dal fratello maggiore rende furioso Emre che farà di
tutto per estromettere Can e continuare con i suoi loschi affari.
Nel frattempo Sanem incontra Can e tra i due nasce un rapporto che
presto diventa ben più profondo di una semplice collaborazione
lavorativa…
La serie in Turchia è andata in
onda per una sola stagione da 51 episodi, ognuno dei quali da
120-140 minuti. Dal 10 giugno 2020, DayDreamer è approdata anche
qui in Italia, su Canale 5, ma con una differente
divisione degli episodi; come per Bitter Sweet, sulla tv italiana
andranno in onda 152 episodi da 40-50 minuti
ciascuno.
4. Attualmente
l’attore è impegnato su più fronti. Pare sia infatti in produzione
una nuova serie dal titolo Bay Yanlış ancora
inedita qui in Italia.
La serie racconta la storia di
Özgür (Can Yaman), un ricco proprietario di un
ristorante che pensa solo a divertirsi e non crede nell’amore.
Dall’altra parte della barricata c’è invece Ezgi (Özge
Gürel) che sceglie sempre l’uomo sbagliato ma che è
determinata a trovare il tipo giusto da sposare. L’incontra
tra Özgür e Ezgi dà vita a uno strano gioco ‘mentore-allievo’;
l’uomo è intenzionato a insegnare a Ezgi tutte le tattiche giuste
per conquistare gli uomini e arrivare così alla sua anima
gemella.
3. Oltre a
Bay Yanlış, in cantiere per Can Yaman c’è anche un
nuovo film per la tv dal titolo CanyaMan:The
Legend di cui attualmente non si hanno altre
informazioni.
Can Yaman oggi: tante
curiosità
2. Molto attivo
sui social e soprattutto sul suo account Instagram, Can Yaman è tuttavia
una persona molto riservata. Non si sa infatti molto della sua vita
privata anche se spesso i giornali gli attribuiscono nuovi flirt.
Attualmente, Can pare sia single e molto concentrato sulla sua
carriera di attore.
1. Essendo molto
attivo sui social e molto legato ai suoi fan, durante la quarantena
pare che il bel Can si sia dedicato allo studio della
lingua spagnola. Parlando già fluentemente il
turco, l’italiano, il tedesco e
l’inglese, con l’aggiunta dello
spagnolo, l’attore può adesso interagire meglio
con tutti i suoi fan, rispondendo a ogni domanda o commento in
lingue diverse.
Ma durante la quarantena da Covid,
Can non si è dedicato solo allo spagnolo; pare infatti che l’attore
abbia preso lezioni di tango dalla madre.
Dead For a Dollar è
il nuovo western di Walter Hill, presentato fuori concorso a
Venezia 79, con Christoph Waltz, Willem Defoe, Rachel Brosnahan, Warren
Burke e Benjamin Bratt protagonisti.
Quando i titoli di coda appaiono sullo schermo alla fine di
Dead for a Dollar, la dedica “In memoria di
Budd Boetticher” campeggia in modo così evidente
accanto al titolo, che potrebbe quasi fungere da sottotitolo per il
film stesso. In ogni caso, questo divertente ultimo film del
venerabile scrittore-produttore-regista Walter
Hill è intriso di un amore elegiaco per le storyline
pulite, la narrazione vivace e i dilemmi morali dei western
classici, come quelli di Boetticher, tra cui
L’ultimo fuorilegge (1952), Il
traditore di Forte Alamo (1953) e La valle dei
mohicani (1960).
Il dollaro prima di tutto
Ambientato nel 1897 il film segue il
veterano cacciatore di taglie Max Borlund nelle
profondità del Messico, dove incontra il giocatore d’azzardo
professionista e fuorilegge Joe Cribbens, un
nemico giurato che Max aveva mandato in prigione
anni prima. Borlund è in missione per trovare e
restituire Rachel Kidd, la moglie in ostaggio di
un ricco uomo d’affari di Santa Fe. Scoprendo che
la signora Kidd è in realtà fuggita da un
matrimonio violento, Max si trova di fronte a una
scelta: portare a termine il lavoro disonesto per cui è stato
ingaggiato o restare in disparte mentre spietati mercenari
fuorilegge e il suo rivale di sempre si avvicinano…
I legami nell’incarnazione del West
di Hill, che ha co-sceneggiato con Matt
Harris, sono prima contrattuali, poi etici. I due uomini
al centro del film si trovano da una parte e dall’altra della
legge: il Max Borlund di Christoph Waltz è un cacciatore di taglie,
mentre il Joe Cribbens di Willem Dafoe è un fuorilegge e campione del
gioco d’azzardo. Ciò che alla fine li accomuna in un rancoroso
rispetto è un asse economico nella fedeltà a se stessi prima di
tutto. Non si tratta di uomini nobili legati a un codice di
moralità o di destino manifesto. Si tratta di lavoratori che
compiono il loro dovere nei confronti dell’onnipotente dollaro,
irritati innanzitutto dalle minacce di portare a termine il proprio
compito.
Walter Hill rischia
e affianca audacemente il racconto delle loro bussole morali alla
storyline degli uomini d’affari e alle forze dell’ordine messicane,
testimoni di un conflitto che si riversa oltre il confine
meridionale. In termini narrativi si crea un innegabile conflitto
tra il duo, stanco del mondo e la cui credibilità è data
soprattutto dai due interpreti magistrali, e tutti coloro che lo
circondano. La loro (in)sensibilità si scontra anche con le giovani
leve che danno il via alla storia. Il ricco uomo d’affari
Martin Kidd di HamishLinklater invia il saggio ma schietto
Max a recuperare sua moglie, l’indipendente
RachelBrosnahan, dalle grinfie
del Buffalo Soldier Elijah Jones (Brandon
Scott).
Dead for a Dollar: un B-Movie
caotico
Apprezzabile è l’intento del regista
Walter Hill di avvicinarsi a una sorta di idea
metapoetica del western, riflettendo la nostalgia per “un certo
periodo della storia americana che tutti condividiamo”, ma cercando
di scongelare il genere dai dettami degli anni ’40 e ’50, lasciando
che accolga rilevanza moderna e che l’intenzione cambi.
Dead for a Dollar è
un progetto indipendente, che è stato girato in poche settimane;
nonostante sia figlio di uno dei più grandi nomi del genere
western, i limiti tecnici vanno a inficiare l’evoluzione di una
storia fin troppo classica, che non trova luce nel tentativo di
modernizzazione dei suoi personaggi, quanto più nella solida
constazione del b-movie che intrattiene, ma regala poco.
In Dead for a
Dollar, c’è tutto del genere: i toni seppia e la
colorazione giallastra della fotografia, per dare l’impressione
costante di una luce solare intensa che invade il sud-ovest
americano e il Messico; uno sconfinato senso dello spazio e della
giografia, la parola data che deve essere mantenuta, tutto in nome
di quel dollaro che può riscattare le sorti di chi è caduto, e
arricchire l’ego del più rinomato cacciatore di taglie.
I western si preannunciano, e questa
tradizione rimane valida anche per Dead for a
Dollar: con una sceneggiatura ridotta all’osso, il film si
identifica come “più contemporaneo” solo per la presenza di famose
star davanti alla macchina da presa. Sembra quasi che
Walter Hill abbia voluto realizzare il western che
conosceva in passato, rudimentale ma sicuramente di
intrattenimento, che regala qualche momento interessante
soprattutto grazie all’interazione di Rachel con
il personaggio di
Christoph Waltz. Nonostante ciò, Hill
rimane un forte regista d’azione: la sequenza di venti minuti di
sparatorie che chiude il film è prevedibilmente emozionante, con
una manciata di colpi che evocano i giorni di gloria del
regista.
Del resto, il caos visivo e
narrativo mina il risultato finale di Dead for a
Dollar che, tra un’inquivocabile derivatività e un
comparto tecnico che commette non pochi scivoloni, si conferma come
un b-movie d’intrattenimento, ma che indubbiamente non gode del
fattore re-watch.
Anche Gianni
Amelio, come Emanuele Crialese e
Alejandro G. Inarritu nell’ambito del Concorso di
Venezia 79, ricorre alla pseudo-biografia nel suo
Il Signore delle Formiche, presentato in
anteprima nella Selezione Ufficiale della Mostra, a contendersi il
Leone d’Oro. In questo caso, l’elemento biografico è “laterale” e
la figura del regista si sovrappone vagamente a quella di
Elio Germano, che interpreta un giornalista che
segue da vicino il processo per plagio subito dall’intellettuale
Aldo Braibanti.
Alla fine degli anni
Sessanta si celebrò a Roma un processo che fece scalpore. Il
drammaturgo e poeta Aldo Braibanti fu condannano a
nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver
sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo
studente e amico da poco maggiorenne. Il ragazzo, per volere della
famiglia, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto
a una serie di devastanti elettroshock, perché ‘guarisse’ da
quell’influsso ‘diabolico’.
Amelio prende spunto
dalla storia vera per raccontare un coro a più voci, non solo la
figura di Braibanti, interpretato da Luigi Lo
Cascio, ma anche parenti, amici, persone che in qualche
modo hanno seguito la vicenda da vicino e che ne sono rimasti
toccati.
Una storia vera
Il Signore delle Formiche racconta di queste
vite travolte, di questo processo assurdo e mette in luce una
storia vera che forse non è conosciuta da moltissimi. Proprio
questo aspetto avrebbe potuto spingere il regista ad approfondire
meglio l’aspetto del processo, sottolineando di più quanto l’accusa
di plagio fosse a tutti gli effetti uno strumento che mirava a
punire i “diversi”, che all’epoca non potevano essere considerati
esistenti, figurarsi poi chiamarli omosessuali, senza uno strascico
di giudizio e disprezzo.
La classicità del cinema
di Amelio, ma anche l’impressione che si sia fuori
tempo massimo per raccontare in questo modo storie legate alla
persecuzione dell’omosessualità nel nostro Paese, contribuiscono a
far percepire Il Signore delle Formiche un film “vecchio”,
che sembra non aver senso in questo momento storico in cui la
conversazione intorno alle tematiche di genere è varia, vasta e
all’ordine del giorno. Soprattutto è arrivata a livelli molto più
avanzati rispetto al classicismo proposto del film.
Un racconto lontano dalla contemporaneità
Il cinema spesso si fa
narratore di storie vere non troppo conosciute e sicuramente la
vicenda di Braibanti merita di essere nota e
raccontata, ma forse avrebbe meritato uno spirito più moderno, un
occhio che fosse al passo con i tempi e che rendesse attuale il
discorso intorno a un pregiudizio che nel Paese Reale esiste ancora
in maniera invasiva e capillare.
Tutto ne Il Signore delle Formiche è poco ispirato,
dalla messa in scena alla scrittura, fino addirittura alle
interpretazioni, lo stesso Lo Cascio che è sempre
brillante qui viene fagocitato dalla stanchezza con cui questa
storia, potente e importante, viene lasciata andare con fare
svogliato e pigro.
Un nuovo nome si aggiunge al cast di
Red One, il film natalizio di
Prime Video, ideato dal presidente della
Seven Buck Production, Hiram Garcia, che in
precedenza ha descritto il progetto come “Hobbs incontra
Miracolo sulla 34ª Strada“. Il progetto è stato poi comprato
dal colosso dello streaming dopo una guerra di offerte descritta
come altamente competitiva. Protagonisti del film
saranno Dwayne Johnsone il
Captain America della MarvelChrisEvans, ai quali si unisce ora l’attrice
Kiernan Shipka,
divenuta celebre grazie alle serie Mad Men e Le
terrificanti avventure di Sabrina.
Mentre i dettagli relativi ai
personaggi dei tre attori, insieme alla trama, sono tenuti
ancora strettamente segreti, Red One è ad oggi stato
presentato come una commedia d’azione che combina vacanze natalizie
con avventure in giro per il mondo. Un’ulteriore descrizione
anticipa il film come “un universo completamente nuovo da
esplorare all’interno del genere natalizio“. Il film vedrà
Johnson collaborare di nuovo con il regista del franchise di
JumanjiJake Kasdan, che ha dunque già
diretto l’ex wrestler in Benvenuti nella giungla
e The Next Level.
La sceneggiatura è invece firmata da
Chris Morgan, che in precedenza ha lavorato con la
Seven Bucks e Johnson a progetti come Fast & Furious: Hobbs and
Shaw, Fast & Furious 5, Fast & Furious 6, Fast & Furious
7 e Fast & Furious 8. Le riprese del film
dovrebbero iniziare quest’anno, con un’uscita nei cinema ancora non
confermata ma, dato il tema natazilio, prevedibile per il Natale
del 2023. Grazie a Prime Video, il film sarà poi anche trasmesso in
streaming in più di 240 paesi e territori in tutto il mondo.
Gli attoriNicolas
Cage e Joel Kinnaman
reciteranno insieme in un nuovo film intitolato Sympathy for
the Devil. La pellicola vede Kinnaman nei panni di un’autista
che un giorno incontra un misterioso passeggero, interpretato da
Cage, ritrovandosi coinvolto in un gioco di inseguimenti ad alto
rischio. Man mano che la loro corsa da brivido avanza, diventa
chiaro che non tutto è come sembra”. Ulteriori dettagli della trama
sono attualmente tenuti segreti, ma il film che sembra dunque
coinvolgere inseguimenti da brivido tra automobili è
descritto anche come un intenso thriller psicologico.
La sceneggiatura è scritta da
Luke Paradise mentre a dirigere il film vi è
Yuval Adler, noto per The Operative, così
come per il suo primo lungometraggio, Bethlehem, che gli è
valso un premio ai Venice Days. Capstone Studios sta collaborando
con la Hammerstone Studios e la Signature Films per produrre il
film. Allan Ungar, uno dei produttori del film, ha rilasciato la
seguente dichiarazione: “Questo film è un tour de force con due
attori incredibili. In qualità di regista acclamato, Yuval ha
assemblato il cast perfetto e ha apportato una visione unica e
grintosa in questo racconto che catturerà sicuramente il
pubblico“.
Cage e Kinnaman sono entrambi
rinomati nel fornire performance memorabili in film appartenenti al
genere thriller d’azione. Il primo è celebre per film come The
Rock, Con Air e Face/Off – Due facce di un
assassino, mentre più di recente ha recitato in thriller
come Drive Angry, Mandy e
Pig. Kinnaman è invece noto per film come RoboCop, The Suicide Squad e
The Informer. Ancora
non ci sono informazioni sulla data di distribuzione del film, che
attualmente sembra essere ancora in fase di riprese a Las
Vegas.