Si è tenuta la premiere del film
originale Netflix
in concorso a Venezia
80Maestro di e con Bradley Cooper, prodotto da Martin
Scorsese e
Steven Spielberg. Nel cast anche
Carey Mulligan,
Bradley Cooper,
Matt Bomer,
Maya Hawke, Sarah Silverman, Josh Hamilton, Scott Ellis, Gideon
Glick, Sam Nivola, Alexa Swinton e Miriam Shor. Purtroppo
per i fan e per il Festival nessuno dei protagonisti era presente
sul tappeto rosso per via dello sciopero del sindacato degli attori
e degli sceneggiatori che giustamente manifestano per giusto
compenso.
Lo stesso
Bradley Cooper e il cast non sono arrivati a Venezia per unirsi
alla protesta. Prima del red carpet il direttore del festival
Alberto Barbera e i membri della giuria hanno partecipato ad
un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la condanna
di Saeed Roustaee durante un tappeto rosso per il film
“Maestro”.
Il direttore del festival
Alberto Barbera e il membro della giuria Jane Campion partecipano
ad un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la
condanna di Saeed Roustaee
Il direttore del festival
Alberto Barbera e il membro della giuria Jane Campion partecipano
ad un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la
condanna di Saeed Roustaee
Il direttore del festival
Alberto Barbera e il membro della giuria Jane Campion partecipano
ad un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la
condanna di Saeed Roustaee
Il film è un tributo agli
estasianti alti e angoscianti bassi che accompagnano una vita alla
ricerca di amore, famiglia e arte. È interpretato dalla due volte
candidata agli Oscar
Carey Mulligan (Una donna promettente), nei panni
dell’acclamata attrice, artista e attivista Felicia Montealegre
Cohn Bernstein, e dal nove volte candidato agli Oscar Bradley Cooper, nel ruolo del leggendario
musicista, direttore d’orchestra, compositore, insegnante e autore
Leonard Bernstein. A partire dal duetto tra Cooper e Josh Singer
(Il caso Spotlight, The Post), coresponsabili della
sceneggiatura, per arrivare all’ensemble di acclamati produttori e
al coro di artigiani che ha creato un’armonia visiva, Maestro è un
entusiasmante sinfonia di gruppo allineata alla visione di Cooper,
conduttore sia davanti sia dietro la cinepresa.
In merito al film il regista ha
dichiarato “Quando ero piccolo in casa ascoltavamo spesso
l’opera e la musica classica. Ho passato molte ore a condurre
un’orchestra immaginaria con le capacità limitate di un bambino di
otto anni. In particolare, ascoltavamo spesso un disco di Leonard
Bernstein. Perciò la fiaccola che mi avrebbe mostrato la via per
realizzare Maestro era già accesa molti anni prima che mi capitasse
il progetto tra le mani. Dopo aver completato un anno di ricerche
su Lenny e sulla famiglia, e aver digerito tutte le informazioni,
ho capito che l’aspetto più interessante e toccante per me era il
matrimonio tra Lenny e Felicia. Era un amore non convenzionale e
sincero, che trovavo estremamente intrigante. Ed era questa la
storia che ho voluto raccontare. Sarò per sempre riconoscente a
Jamie, Nina e Alex per avermi aperto le porte della loro famiglia e
dei loro cuori. È stata una delle più grandi gioie della mia
carriera”. MAESTRO in cinema selezionati a dicembre e su
Netflix dal 20 dicembre.
E’ stato attribuito il secondo
Leoni d’Oroalla carriera
all’attore Tony Leung Chiu-wai alla
80. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di
Venezia.
Tony Leung
Chiu-wai – che ha interpretato tre film Leoni d’Oro a
Venezia, Città dolente (1989)
di Hou
Hsiao-hsien, Cyclo (1995) di
Tran Anh Hung e Lust,
Caution (2007) di Ang Lee – nell’accettare
la proposta ha dichiarato: “Sono colpito e onorato dalla notizia
della Biennale di Venezia. Condivido idealmente questo premio con
tutti i cineasti con cui ho lavorato. Questo riconoscimento è anche
un omaggio a tutti loro”.
Manuel ha sedici anni e cerca di
godersi la vita come può, mentre si prende cura dell’anziano
padre. Vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune
foto a un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di
scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua
portata. Infatti i ricattatori che lo inseguono si rivelano essere
estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che
ritengono uno scomodo testimone e il ragazzo dovrà chiedere
protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.
“Dopo le esperienze all’estero,
finalmente sono tornato a raccontare la mia città. Roma è
cambiata e anch’io. L’ho osservata con occhi diversi percorrendo le
sue strade con un altro passo. Un adagio. Questo è il racconto del
declino inesorabile, struggente, di tre vecchie leggende della Roma
criminale alla ricerca di una redenzione impossibile in un mondo
ancora più cinico, caotico e feroce di quello che avevano
governato negli anni d’oro. Un mondo che schiaccia relazioni
familiari, amichevoli e fraterne senza lasciare altri legami tra
gli uomini al di fuori del denaro. Una città governata dal caos,
dalla corruzione, dal cinismo e asfissiata dal caldo torrido,
devastata dagli incendi e dal buio dei blackout… Ma c’è uno
spiraglio di luce. La nuova generazione“. Stefano
Sollima
Nello squallido dominio del ventre
criminale di Miami, un sicario esperto si lancia all’inseguimento
implacabile del suo prossimo obiettivo. Girato interamente con
lenti termiche, AGGRO DR1FT naviga in un
mondo contorto dove la violenza e la follia regnano sovrane. Le
tensioni si sciolgono, portando a un viaggio psichedelico che
confonde i confini tra predatore e preda. Se l’obiettivo di
Harmony Korine era lasciare il segno in questa
Venezia 80 allora il risultato è assicurato. Tra i Fuori Concorso
di questa Mostra del Cinema, il film del regista
di Spring Breakers torna al Lido. Un film
che racconta in maniera cruda uno spaccato di realtà americana e lo
fa in una modalità visiva disturbante.
AGGRO DR1FT, la trama
È chiara nella pellicola di Korine
l’intenzione di non tracciare una linea retta per AGGRO
DR1FT il che deve essere stata una vera e prossima
sfida. Se a questo aggiungiamo gli effetti visivi del film appare
ancora più chiaro che il film è un’esperienza, quasi come se fosse
un videogioco. Lo stesso regista ha specificato che questa storia
andava raccontata in modo sensoriale – grazie all’uso delle lenti
termiche – concimando immagini e suoni per creare un’esperienza a
360°. Le immagini vanno odi pari passo con i rumori e con i suoi
che la colonna sonora riesce a calibrare così come vengono
calibrati i colori della lente distorta. La musica ha un ruolo
preponderante e rende l’atmosfera ancora più disturbante. Le voci
dei protagonisti sono distorte e questo aspetto descrive il mondo
criminale che viene rappresentato nella pellicola.
Nel film la trama è semplice e allo
stesso tempo lo spettatore è impossibilitato a empatizzare con i
personaggi è solo, per l’appunto, lo spettatore esterno della
vicenda. E, infatti, quello che più si apprezza del film è la resa
delle immagini che lo stesso regista chiama narrazione liquida e
come tale assume la forma del contenitore che la contiene. È
mutevole così come lo sono le immagini che si alternano a momenti
di banalità delle stesse quando vogliono rappresentare ancora di
più la realtà.
Tra visione ed esperienza
Dove inizia però la visione e dove
parte l’esperienza questa è la lettura chiave di AGGRO
DR1FT. Korine fa di tutto per abbandonare i classici
dettami della psicologia, delle emozioni semplicemente si è
prefissato di creare una visione a tutto tondo delle tecniche
cinematografiche, esplorarle e giocare con esse. Non mancano i
riferimenti più moderni al nuovo cinema digitale ai visori VR. In
aiuto al regista per la gestione delle immagini il direttore della
fotografia, Arnaud Potier, che ha sperimentato con le immagini
termiche creando scene ipnotiche e fluide, che lasciando i
personaggi nudi, come se fossero sotto una radiografia. Sicuramente
un film dove Korine ha azzardato e si è lasciato
spingere oltre la macchina da presa sperimentando un nuovo tipo di
immagini.
Una visione che ha portato sul
grande schermo immagini oniriche e reali giocando molto su questo
contrasto tra finzione e realtà. Come se la realtà descritta, quel
ventre criminale di Miami nascondesse molto di più: dei mostri, dei
demoni che controllano gli uomini. Così la lotta tra le parti
diventa non solo reale ma anche fittizia quando compaiono sullo
schermo le proiezioni mitiche. Anche l’ambientazione di Miami non è
del tutto casuale e si mescola alla parte narrativa del film.
Miami ha un posto speciale nel cuore del regista –
è la città dove vive – ed ha contribuito alla realizzazione del
racconto. È una città in continuo cambiamento, la sua storia è
fatta di reinvenzione.
La Ruota del Tempo è la serie
tratta dalla lunga saga di libri scritti da Robert Jordan agli
inizi degli anni 90. Il ciclo dei romanzi vanta una media di
ottocento pagine per volume per un totale di quattordici pezzi, gli
ultimi tre dei quali scritti da Brandon Sanderson a causa della
morte di Jordan. Un ricchissimo universo descritto in ogni minimo
dettaglio a partire dalle origini della creazione del mondo,
aspetto caratteristico del genere fantasy.
Adattata per una prima
stagione di otto puntate uscite due anni fa su Prime Video,
La Ruota del Tempo aveva già visto altre volte la
possibilità di una trasposizione filmica della storia, tanto che il
suo stesso autore aveva venduto i diritti nel 2004 alla Red Eagle
Entertainment, la quale ha poi aderito all’attuale progetto avviato
da Prime nel 2018. Scritta da Rafe Judkins, che ne
è anche produttore esecutivo, esce sulla piattaforma con la stessa
formula che era stata prevista per la prima stagione: dal 1°
settembre sono disponibili le prime tre puntate su un totale di
otto, e le seguenti lo saranno ogni venerdì, una per volta, fino al
6 ottobre. E secondo quanto annunciato l’anno scorso al San Diego
Comic-Con, è già in lavorazione la terza stagione, che avrà come
riferimento il quarto capitolo della saga di Jordan intitolato
L’ascesa dell’Ombra.
La Ruota del Tempo, seconda
stagione, la trama
La Ruota del Tempo è
quella che agli inizi della nascita della vita è stata creata per
tessere le esistenze degli uomini e le epoche storiche che si
susseguono. A permetterne il movimento continuo è l’Unico Potere,
la forza magica che viene incanalata dalle donne (e solo da loro),
in particolare quelle appartenenti alla casta delle Aes Sedai, che
da millenni sono addette alla difesa, alla protezione della vita,
alla formazione di nuove allieve della loro organizzazione e,
soprattutto, alla scoperta di chi sia il Drago Rinato, cioè l’unico
che sia in grado di fermare il Tenebroso, l’oscura creatura che
vuole la distruzione di tutto.
Durante tutta la prima
stagione Moiraine (RosamundPike) e il suo fedele custode Lan
(Daniel Henney) avevano condotto il gruppo di
giovani composto da Rand (Josha Stradowski),
Egwene (Madeleine Madden), Perrin (Marcus
Rutherford), Mat (oggi interpretato da Dónal
Finn, prima da Barney Harris) e Nynaeve
(Zoë Robins) in un insidioso viaggio verso la
Torre Bianca per scoprire tra chi di loro si celasse, appunto,
l’incarnazione del Drago.
The Seanchan Empire, Loial played by Hammed Animashaun, The Dark
One played by Fares Fares
Se nello svolgimento
della prima parte della trasposizione de La Ruota del Tempo
emergeva un po’ d’ingenuità nella riproduzione del mondo fantasy
con tutti i suoi codici e presupposti impliciti, forse in questo
secondo ciclo di episodi la profondità verso la quale
inevitabilmente la storia si dirige, avvantaggia per una maggiore
credibilità del contesto ricreato da Rafe Judkins.
Adesso la fragilità umana
di Moiraine dà una nuova prospettiva da cui guardare tutti i
rapporti tra i personaggi, anche perché il suo è uno dei ruoli
principali su cui si regge la serie (tra l’altro, RosamundPike è anche produttrice). L’intreccio
diventa così più coinvolgente, specialmente perché l’aspetto magico
e il discorso da cui nasce sono estremamente interessanti.
Quell’Unico Potere che
muove la Ruota del Tempo era un tempo dono anche degli uomini ma, a
causa di un attacco del Tenebroso, è stato contaminato dal germe
della follia, rischio che tutt’ora sussiste, soprattutto per quanto
riguarda il Drago Rinato: potrà salvare il mondo o agevolarne la
devastazione. Ed è una tematica curiosa con la quale confrontarsi,
sicuramente non nuova, anzi.
In ogni caso,
l’esordio di questa seconda stagione pare
interessante, sempre considerando che l’impatto maggiore è
soprattutto dato dalla tensione narrativa e dalla curiosità che
genera nello spettatore e dall’affascinante messa in scena.
Nel film Gli anni più belliMicaela
Ramazzotti interpreta Gemma, una donna che ad un certo
punto del racconto si confessa e ammette di star attraversando
innumerevoli tempeste, ma che nonostante questo è alla ricerca
della propria felicità e che prima o poi è certa che la troverà.
Sembra quasi nascere da qui la storia di Desirè, la protagonista
del primo film da regista della Ramazzotti che si intitola, non a
caso, Felicità. Presentato nella sezione
Orizzonti Extra della Mostra del Cinema di
Venezia, il film è un’opera prima che colpisce sia per
l’attenzione della debuttante regista ai dettagli, sia per
l’argomento che sceglie di raccontare.
La Ramazzotti, anche protagonista
del film, sceglie sì – saggiamente – di rimanere vicina a contesti
che cinematograficamente conosce bene, dalle periferie romane a
personaggi calamite di problemi, ma anche di affrontare tematiche
dal forte impatto in quanto particolarmente urgenti nell’attuale
società italiana. Relazioni tossiche, inadeguatezza ad essere
genitori e, soprattutto, disagio e depressione giovanile. Il suo
Felicità è dunque ricco di contenuti che potremmo definire
tosti da affrontare e digerire, ma che la Ramazzotti sa stemperare
con una leggerezza e una comicità amara che ha appreso dalle sue
tante collaborazioni.
Felicità, tra genitori oppressivi e figli
smarriti
In Felicità si racconta la storia di una
famiglia “storta”, di genitori egoisti e
manipolatori (Max Tortora e Anna
Galiena), un mostro a due teste che divora ogni speranza
di libertà dei due figli. Desirè (la stessa
Ramazzotti), acconciatrice per set cinematografici, si rivela
allora la sola che può salvare suo fratello
Claudio (Matteo Olivetti), frustrato
dall’incapacità di trovarsi un lavoro e smarcarsi dall’ombra dei
due genitori. Per lui, ma anche per sé stessa, Desirè si troverà
allora a lottare contro tutto e tutti, anche contro l’oppressivo
compagno Bruno (Sergio Rubini),
in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di
felicità.
La prima volta di Micaela
Le opere prime, si sà, sono
pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come
dirlo altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio
pubblico. La Ramazzotti sembra essere stata consapevole di tali
rischi, evitati grazie al suo decidere di raccontare una storia in
parte ispirata a qualcosa di autentico, come da lei dichiarato.
Qualcosa che conosce, che sa indagare e rappresentare. Ci si
potrebbe lamentare che di storie su famiglie problematiche se ne
vedono tante nel cinema, ma l’ambizione con Felicità non è
necessariamente quella di raccontare una storia originale,
l’importante è che sia autentica.
Questa autenticità la regista la
trova grazie ad una serie di dettagli che ci raccontano i
personaggi meglio di tante parole. Basta un’inquadratura di Desirè
che fruga nella borsa del fratello, trovandovi pasticche e un
gratta e vinci usato, per raccontarci ciò che sullo schermo non
viene mostrato. Un “dietro le quinte” che apre dunque le porte
dell’immaginazione dello spettatore, arricchendo così il racconto.
Allo stesso tempo, la Ramazzotti limita i virtuosismi che si
potrebbe essere tentati di utilizzare, specialmente alla prima
esperienza come regista, confezionando un film contenuto,
focalizzato sui personaggi e le loro vicende.
Scritto dalla Ramazzotti insieme a
Isabella Cecchi e Alessandra
Guidi, Felicità non è esente da alcune ingenuità
tipiche delle opere prime, come la rappresentazione di alcune
situazioni o la risoluzione di alcune linee narrative. Lo stesso
finale, ad esempio, avrebbe probabilmente meritato una maggiore
attenzione in fase di scrittura, in quanto così com’è potrebbe
risultare troppo brusco nel suo svolgersi, smorzando le emozioni
che sì sono fin lì suscitate. Ma davanti a tali difetti si può
chiudere un occhio, considerando che si ha con Felicità
avuto il coraggio di portare sul grande schermo una serie di
tematiche che raramente trovano spazio, nel cinema con nei
dibattiti quotidiani.
Parlare di disagio giovanile è un
conto, addentrarsi nel bosco oscuro della depressione un altro
ancora. La Ramazzotti non si fa però spaventare e sceglie di andare
a raccontare ciò che non si può vedere, quella malattia della mente
tanto sottovalutata quanto pericolosa. Sono dunque capaci di
catturare l’attenzione le scene dove si prende di petto tale
argomento, che il giovane Matteo Olivetti prende
in modo convincente sulle proprie spalle. Il suo volto diventa la
lavagna su cui la regista va a lavorare, costruendo per Claudio un
netto abisso tra mondo interiore ed esteriore.
C’è dunque molta attenzione nei
confronti di un tema così delicato, così come ce ne è nel
raccontare di quanto i genitori o in generale gli appartenenti ad
una generazione differente, sottovalutino il problema. In questo
deserto delle emozioni, il rapporto tra Desirè e Claudio è allora
un punto di calore particolarmente forte. Dal loro rapporto si
sprigionano una serie di sensazioni, sentimenti e preoccupazioni
che arrivano anche allo spettatore, rendendolo partecipe del loro
legame. Insomma, la Ramazzotti si contiene da un punto di vista
formale per lavorare sui contenuti, rendendo così Felicità
un’opera prima decisamente notevole.
Dopo la parentesi statunitense,
durante la quale ha realizzato i film Soldato e Senza rimorso, il regista
Stefano Sollima torna in Italia per
concludere una sua trilogia spirituale sulla criminalità romana. Lo
fa con Adagio, presentato in concorso
alla Mostra del Cinema di Venezia, proponendo una
storia che ha per protagonista Manuel, un ragazzo di sedici anni
che si ritrova suo malgrado invischiato in questioni ben oltre la
sua portata. Inseguito da alcuni ricattatori, che si rivelano
essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che
ritengono uno scomodo testimone, i ragazzo dovrà chiedere
protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.
Quello in Adagio è un clima
apocalittico, che sembra annunciare la fine di un certo mondo e dei
suoi personaggi ma anche l’arrivo di una nuova generazione.
“Alcuni elementi drammaturgici, come gli incendi o i blackout,
hanno una funzione tutt’altro che distopica all’interno del
film. – spiega Sollima aprendo la conferenza stampa – In
realtà è parte della città e di come io la vivo. Volevo tornare a
raccontare Roma, trasfigurandola certo, ma con situazioni proprie
della sua realtà. Adagio, insomma, è un mio modo di vederla e di
annotare i suoi cambiamenti nel tempo”.
Adagio, tra lavoro sul corpo e ricerca di
redenzione
Nel film ritroviamo un cast composto
da alcuni dei più grandi interpreti del cinema italiano: Piefrancesco
Favino, Toni Servillo,
Valerio
Mastandrea, Adriano
Giannini e Francesco Di
Leva. A raccontare per primo della sua esperienza sul
set è stato Toni Servillo, il quale ha raccontato
che questo “è il mio primo film con Sollima. Sono rimasto
ammaliato dalla sceneggiatura e poi dal lavoro sul set. Daytona, il
mio personaggio, recita nella recita, quindi è particolarmente
affascinante per un attore. Abbiamo a che fare con personaggi
criminali che hanno vissuto entro certe regole e che intendono
rispettarle fino alla fine, consapevoli di sbattare così contro un
destino inevitabile”.
“È una storia di uomini che
fanno i conti con sé stessi e quella libertà che si immagina
abbiano avuto cercano di mantenerla fino all’ultimo, rilanciando
sui giovani“, conclude Servillo. La parola passa poi a
Piefrancesco Favino, che descrive ulteriormente il
film e i suoi protagonisti affermando che “lavorare per Stefano
vuol dire occupare lo spazio con il corpo in modo diverso dal
solito. C’è sempre un senso di invenzione, per cui anche se ci sono
elementi storici precisi era possibile aggiungere qualcosa in più.
Per questi personaggio io ho sempre pensato a quei cani che quando
stanno per morire cercano la solitudine. Poi però può capitare che
arrivi la chiamata ad una guerra antica che risveglia l’adrenalina,
la voglia di vivere”.
“Stefano è un regista punk, nei
suoi film non c’è redenzione. Non sono storie di bene o male, ma
storie di uomini che c’hanno delle cose da fare. I personaggi sono
falene impazzite che ruotano attorno alla propria ossessione. Il
messaggio però è che per fortuna le colpe dei padri non sempre si
tramando ai figli“, conclude Favino, lasciando la parola a
Valerio Mastandrea che riguardo il suo
coinvolgimento afferma “quando Stefano mi ha fatto leggere la
sceneggiatura ho pensato ‘che bella storia di vecchi, mi piacerebbe
vederla al cinema’, non avevo capito che mi stava offrendo un
ruolo”. Sollima spiega allora che “Adagio era un
soggettodi poche pagine con tre vecchie leggende della
Roma criminale. Alla fine però volevo lavorare con persone che amo
e stimo, quindi abbiamo rivisto un po’ l’età dei
personaggi”.
Adriano Giannini
torna invece sul discorso del corpo nello spazio e spiega che
“tutti noi attori abbiamo fatto un lavoro sul corpo, perché il
tipo di linguaggio cinematografico scelto ci obbligavano a creare
delle grandezze, delle deformità fisiche per entrare meglio in
quell’immagine che Stefano aveva in mente. Da attore non sempre hai
la percezione di poter lavorare così”. Nel film recita anche
il giovanissimo Gianmarco Franchini, nel ruolo di
Manuel. L’attore ha ricordato l’esperienza affermando che “per
me è stato come essere un bambino al luna park. Sono un fan di
Stefano e ho potuto recitare con alcuni dei migliori attori oggi in
Italia. E Stefano teneva molto alla mia opinione, voleva sapere
cosa ne pensavo, cosa potevo aggiungere. È stato un lavoro in
sinergia“.
Adagio chiude la trilogia su Roma di Sollima
Come riportato in apertura,
Adagio conclude la trilogia di Sollima che ha come
argomento centrale la criminalità romana. Dopo ACAB – All Cops Are
Bastards e Suburra, con Adagio si
va dunque a rappresentare la decadenza di quel mondo e l’estinzione
dei suoi rappresentanti. “Questo genere che tratto, il crime,
continuerà a piacermi. Adagio è sì una chiusura della trilogia su
Roma vista e traslata in chiave criminale. Ma questo non vuol dire
che sicuramente cambierò genere di racconto con il mio prossimo
progetto. Magari farò altri film di questo tipo, anche se non
necessariamente a Roma“. In attesa di scoprire cosa riserva il
futuro per Sollima, Adagio uscirà in sala il 14
dicembre, distribuito da Vision
Distribution.
È stato presentato Fuori concorso
allaMostra del Cinema di
Venezia il film The Palace, il nuovo
lungometraggio del regista premio Oscar Roman Polanski ambientato al
Palace Hotel, uno straordinario castello progettato all’inizio del
1900 che si trova nel bel mezzo di una valle svizzera innevata,
dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e
viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La festa di Capodanno
2000 li ha riuniti tutti in un evento irripetibile. Al servizio
delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri,
facchini, cuochi e receptionist. Hansueli, zelante direttore
dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima dell’arrivo degli
ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del nuovo millennio, non
sarà la fine del mondo.
In effetti quella che si prepara è
davvero una guerra combattuta a colpi di stravaganze ed
eccentricità degli ospiti dell’hotel. Le varie storie danno vita a
una commedia assurda, nera e provocatoria. È la fine del 1999: non
solo l’epilogo di un secolo, ma la fine di un intero e controverso
millennio, e nell’aria aleggia il Millennium Bug. Polanski torna
dunque ad uno dei suoi filoni prediletti, quello della satira,
ponendo alla berlina l’umanità e le direzioni da essa intrapresa.
Polanski non è però potuto essere a Venezia per presentare il film,
lasciando dunque tale onore al suo cast di attori, composto da
Luca
Barbareschi, Fortunato Cerlino,
Fanny Ardant, Mickey Rourke,
Oliver Masucci e Milan
Peschel.
L’esperienza di produrre Roman Polanski
“Questo è un film per molto
importante, come lo sono stati gli altri realizzati con Polanski.
– esordisce Barbareschi in conferenza stampa – Èun film di attori, corale, in cui Roman ha voluto dar vita ad
un affresco straordinario di cosa è diventato questo mondo
oggi”. Barbareschi, oltre ad essere tra i protagonisti del
film, ne è anche produttore e proprio di questa esperienza ha
voluto parlare, affermando che “Lavorare con Roman è
meraviglioso, perché produttivamente ha sempre ragione. Produrre un
suo film quindi non è facile ma siamo felici di averlo fatto per
questo che è ben più che una commedia. Un’opera speciale, che dopo
L’ufficiale e la spia propone
una storia molto divertente, quasi balzacchiana”.
“Polanski ha compiuto 90 anni
quest’anno, ma ha un’energia impressionante. Spero di fare presto
un altro film insieme. Penso inoltre che il direttore artistico
della Mostra del Cinema sia stato molto coraggioso ad invitarci,
perché è giusto che un evento come questo punti a rappresentare
ogni sfumature del cinema e dei suoi linguaggi. E penso che non
possa e non debba esserciun giudizio morale
sull’arte.Ancora non mi spiego perché L’ufficiale e la
spia non sia stato distribuito nei paesi anglosassoni, ma poi è
anche così che si scatenano le guerre, negando all’arte di
circolare e toccare il cuore e la mente delle
persone”.
Recitare per Polanski in The Palace
Barbareschi passa poi a parlare del
personaggio da lui interpretato, un anziano porno attore di nome
Bongo. “È un personaggio emblematico di questo secolo, dove il
nuovo Dio è il selfie, ovvero l’egocentrismo. Bongo è un
egoriferito, pensa solo al proprio bagaglio di vita. Ma la cosa
divertente di una pornostar è che invecchiando lo riconoscono solo
i vecchi e quindi si deve confrontare con questo declino. È quindi
anche una metafora di un mondo sessualizzato, dove tutto è
pornografia”. Nel film recita anche l’attrice francese
Fanny Ardant, che ha racconto di aver ritrovato
con The Palace“la gioia di lavorare con un uomo
appassionato, che ricerca l’assoluto in ogni particolare”.
Barbareschi non è stato però l’unico
italiano a recitare nel film, dove possiamo ritrovare anche
Fortunato Cerlino, nel ruolo di Tonino,
receptionist dell’albergo. “È statoun grande
privilegio aver lavorato con un simile maestro.– ha
dichiarato l’attore – Mi piace associare questo film ad
una commedia dell’arte. Ogni personaggio porta sostanzialmente una
maschera e così nel corso del racconto ci ritroviamo davanti agli
occhi qualcosa di molto buffo ma anche profondamente tragico.
Perché come diceva Cechov, quando sei davanti a qualcosa di
estremamente tragico allora non puoi che ridere”.
La parola passa poi a Oliver
Masucci, interprete del diretto del The Palace:
“volevo lavorare con Roman e cercavo di farlo da tempo.
Inizialmente per il personaggio che interpreto in The Palace aveva
pensato a Christoph Waltz, il quale però non ha potuto partecipare.
Così sono arrivato io e lavorare con Roman è stato come trovarsi in
teatro, dove puoi provare più volte le scene, trovare il giusto
punto di vista.” Anche Milan Peschel si
unisce alle lodi nei confronti di Polanski, affermando di aver
trovato in lui un regista aperto all’improvvisazione e capace di
comunicare molto con poco.
Al via le riprese del film
Leopardi &Co una
co-produzione Camaleo/Eagle Pictures – il film diretto da
Federica Biondi vede il debutto in un film
italiano del Premio Oscar Whoopi
Goldberg. Nel cast Jeremy Irvine (War
Horse), Denise Tantucci,
Paolo Calabresi e Paolo Camilli. La produzione ha
avuto il nulla osta dal SAG per poter iniziare le riprese.
Leopardi & Co. è
una commedia romantica, girata interamente a Recanati, in cui
l’amore fra i due giovani protagonisti, David e Silvia, sboccia e
cresce nella cittadina marchigiana, ruotando attorno al mito senza
tempo di Giacomo Leopardi. Il film, che ha ottenuto dal SAG il
nulla osta per iniziare le riprese, segna il debutto in un film
italiano di Whoopi Goldberg, una delle 18
personalità al mondo che possono vantare di aver raggiunto lo
status di EGOT (vincitrice di Emmy, Golden Globe,
Oscar e Tony Award).
Diretto dalla talentuosa
regista marchigiana Federica Biondi (La
Ballata dei Gusci Infranti), il film è interpretato anche da
Jeremy Irvine (Mamma Mia! Ci risiamo, War
Horse) Denise Tantucci( HotSpot – Amore
Senza Rete, Tre Piani), Paolo Calabresi
(Trilogia Smetto Quando Voglio, Boris), e Paolo
Camilli(The White Lotus).
Il film scritto da Mauro Graiani da
un’idea originale di Roberto Cipullo e Nicola
Barnaba, è una co-produzione CAMALEO e EAGLE PICTURES.
Gabria Cipullo, Ceo di Camaleo, ha commentato: “Per noi
si tratta di una nuova ed affascinante sfida: grazie alla fiducia
che ci ha dato Eagle siamo riusciti a portare a Recanati un cast
stellare al servizio di una storia che siamo sicuri emozionerà il
pubblico di tutto il mondo”.
Andrea Goretti, Amministratore
Delegato di Eagle Pictures, ha commentato: “Quando
Roberto Cipullo ci ha proposto questa storia non abbiamo avuto
esitazioni. La conferma definitiva sulla bontà del progetto è poi
arrivata quando attori di questo livello hanno scelto di prenderne
parte”.
La trama di Leopardi & Co
David (Jeremy Irvine) è un giovane
attore americano che sogna un ruolo in grado di consacrarlo come
una vera star mondiale. Ma David è talmente superficiale che
nemmeno legge i copioni che gli arrivano finché la sua agente
Mildred (Whoopi Goldberg) lo costringe ad accettare il ruolo di
protagonista in “Giacomo in Love” film diretto dal mitico regista
italiano Ruggero Mitri (Paolo Calabresi). David, convinto sia la
storia di Casanova, arriva sul set a Recanati totalmente
impreparato per cui viene affidato a Silvia (Denise Tantucci) una
coach del luogo col compito di spiegare all’americano chi era il
Sommo. Tra i due è odio a prima vista…
È stata rivelata una
nuovissima clip di The Nun
2,il prossimo sequel horror dellaNew Line Cinema, che anticipa un’altra sequenza spaventosa.
The Nun
2 dovrebbe arrivare nelle sale l’8
settembre.Il video è ambientato in un collegio
cattolico, dove un gruppo di ragazzi fa uno scherzo a una delle
loro compagne di scuola chiudendola in una stanza
decrepita. Lo spaventoso scherzo si trasforma in un vero e
proprio incubo, quando
Valak appare all’improvviso dietro la ragazza ignara.Guarda la clip di The Nun
2:
New Line Cinema
presenta il thriller horror The Nun 2,
il secondo capitolo della saga di “The Nun“,
l’opera di maggior successo dell’universo “The
Conjuring“, che ha incassato più di 2 miliardi di dollari. 1956
– Francia. Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo.
Il sequel del film campione d’incassi segue le vicende di Suor
Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con
Valak, la suora demoniaca.
Taissa Farmiga (“The Nun”, “The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor
Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”, “The Nun”),
Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell (“Fairytale”,
la trilogia de “Le cronache di Narnia”) Bonnie Aarons (al suo
ritorno in “The Nun”) e da un cast di star internazionali. Michael
Chaves (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”) dirige da una
sceneggiatura di Ian Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy
of Jane Doe”) e Akela Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia
di Akela Cooper, basata sui personaggi creati da James Wan & Gary
Dauberman. Il film è prodotto dalla Safran Company di Peter Safran
e dalla Atomic Monster di James Wan che danno seguito alle passate
collaborazioni nei precedenti film della saga “Conjuring”.
Produttori esecutivi di “The Nun II” sono, Richard Brener, Dave
Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman, Michael Clear, Judson
Scott e Michael Polaire.
Nel team creativo che ha affiancato
il regista Michael Chaves troviamo il direttore della fotografia
Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”, “The Dark
and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend (“Les Vedettes”,
“The French Dispatch”), il montatore Gregory Plotkin ( “Scream”
2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti visivi Sophie A.
Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès Béziers (“Oxygen”,
“The Breitner Commando”), e il compositore Marco Beltrami (
“Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”) autore della
colonna sonora.
L’universo “The Conjuring”
rappresenta la saga horror di maggior successo nella storia al box
office con un incasso complessivo globale di 2 miliardi di dollari.
A livello mondiale, quattro dei titoli di “The Conjuring” hanno
incassato ciascuno oltre 300 milioni di dollari nel mondo (“The
Nun” $366 million; “The Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring”
$320 million; “Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo
della saga ha incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The
Nun” è al vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366
milioni di dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una
produzione Atomic Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà
nelle sale italiane a settembre distribuito da Warner Bros.
Pictures.
Nella sua lunga carriera,
Tony Leung Chiu-wai ha recitato in tre film che
hanno vinto il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia, e
oggi riceve finalmente il suo Leone d’Oro alla carriera,
che, come dice lui stesso, non deve dividere con nessuno, questa
volta.
L’attore e cantante di
Hong Kong è una delle star asiatiche di maggior successo e
riconosciute a livello internazionale. Tra i suoi film più
importanti a livello mondiale ricordiamo il capolavoro di
Wong Kar-wai del 2000, In the Mood for Love, per il quale ha vinto il
premio come miglior attore a Cannes. Le sue altre collaborazioni
con Wong includono Chungking Express,
Happy Together e The
Grandmaster.
Leung ha anche recitato in
Hero, film candidato all’Oscar di Zhang
Yimou, e nei successi al botteghino Hard
Boiled di John Woo e Infernal
Affairs di Andrew Lau e
AlanMak. Quest’ultimo film, in particolare, è
stata l’ispirazione originale per The Departed, con cui Martin
Scorsese ha vinto un Oscar.
“Finalmente posso averlo per me,
non devo condividerlo con nessuno” ha detto oggi in conferenza
stampa Tony Leung, parlando del riconoscimento
alla carriera al Festival di Venezia, dove è stato ospite
diverse volte con i suoi film (i tre vincitori del Leone d’Oro in
cui ha recitato sono A City of Sadness di
Hsiao-Hsien Hou, Cyclo di Tran Anh-hung e
Lust, Caution di Ang Lee).
L’attore ha ripercorso la sua
carriera, raccontando di come la recitazione lo abbia aiutato a
superare la sua timidezza. Attraverso questo mezzo espressivo,
Leung “ha trovato il modo di esprimersi di fronte ad altre
persone senza essere timido perché non sanno che sono io, pensano
che sto interpretando un personaggio”.
Alla domanda sulle sue
collaborazioni con Wong Kar-wai, Tony
Leung ha osservato: “È così diverso rispetto agli
altri registi. Non abbiamo mai una sceneggiatura completa quando si
lavora con lui, quindi non so cosa preparare prima delle riprese.
Ricevo la sceneggiatura solo quel giorno: è molto
sperimentale”. A volte, ha spiegato, una scena viene girata
otto volte in vari costumi e ambientazioni, “È il motivo per
cui i film di Wong Kar-wai a volte richiedono alcuni
anni…”.
Proprio in merito a In The Mood For Love, forse la sua
collaborazione più importante con Wong Kar-wai,
Leung commenta la citazione di quel film in Everything
Everywhere All At Once: “Ho visto il film su un volo, non
ricordo dove. È stato interessante, una specie di tributo ad alcuni
film degli anni ’80 e ’90. È stato un film molto interessante, un
film molto speciale”. Per quello che riguarda il suo percorso in
carriera e i suoi obbiettivi da attore, Leung ha affermato di non
aver mai seguito un percorso professionale specifico: “Nella
mia carriera di attore non pianifico mai cosa voglio fare dopo,
perché penso che il destino unisca le persone. Quando succede
qualcosa, succede. Non calcolo mai se voglio fare film o no… uso il
cuore”.
Di recente il suo cuore si è posato
su The Goldfinger di Felix Chong,
un film poliziesco d’azione ambientato negli anni ’80 basato su
eventi reali che uscirà nelle sale di Hong Kong il 30 dicembre.
Leung lo ha definito una sorta di American Hustle
che incontra The Wolf of Wall Street. Nel
film, Leung avrà “finalmente” la possibilità di interpretare un
cattivo. Inoltre, lo farà al fianco di Andy Lau
che in Infernal Affairs era il cattivo. “Per me è molto
impegnativo interpretare il cattivo, e questa volta Andy interpreta
il buono. Vent’anni dopo Infernal Affairs, ci scambiamo i
ruoli”.
Nel corso della serata, Tony Leung
sarà il protagonista della cerimonia di consegna del Leone d’Oro
alla carriera nella Sala Grande.
Personaggi di vario genere e sfumatura, narrazioni complesse,
intrecci avvincenti: sono questi gli ingredienti principali grazie
ai quali il MCU è diventato il
franchise dei fumetti più redditizio, acclamato e amato a livello
mondiale. L’avere tanto materiale a disposizione da poter sfruttare
ha portato anche, ed inevitabilmente, ad una serie di plot twist
inaspettati, nati e cresciuti soprattutto grazie alla grande
quantità di eroi e villain presenti. Molti di questi colpi di scena
derivano in particolare dai tradimenti: se però la
maggior parte possono dirsi telefonati grazie all’andamento della
storia, ce ne sono alcuni invece del tutto imprevedibili e
scioccanti. Arrivati quando il pubblico proprio non se li
aspettava. Scopriamo perciò quali sono i dieci tradimenti
dei film Marvel più inaspettati e
strazianti.
Il tradimento di Nebula
L’introduzione del personaggio di
Nebula nel MCU – sorella di
Gamora e figlia adottiva di
Thanos – è stata fatta mostrando al pubblico una certa rivalità
fra le due aliene. Salvo poi lentamente risanare e al tempo stesso
solidificare il loro rapporto. Quando perciò
Nebula diventa un Avengers, tutto ci si sarebbe aspettato
tranne che tradisse i suoi compagni in Avengers:
Endgame, in prima istanza perché ha una vendetta personale
contro il folle padre, con il quale in realtà la vediamo alleata.
Nonostante questo, è anche giusto dire che il tradimento di Nebula
non è poi così scandaloso come altri, in quanto il film lo
inserisce utilizzando la sua versione alternativa. Una mossa tutto
sommato intelligente.
Il tradimento di Yon-Rogg
Uno dei tradimenti forse considerati fra i più scioccanti è quello
di Yon-Rogg, presente nel film Captain
Marvel. La pellicola ce lo presenta come mentore Kree di
Carol Danvers, affetta da amnesia cosmica, e il suo personaggio
sembra avere tutte le carte in regola per essere, oltre che un
collega, un vero e sincero amico. Andando avanti con la narrazione,
però, la sua vera identià salta fuori: si scopre infatti che le
intenzioni dei Kree sono tutt’altro che nobili e che Yon-Rogg ha
manipolato Carol Danvers per tutto il tempo. Pur potendo essere
l’evento telefenato, l’interpretazione avvincente di
Jude Law è riuscita a ingannare tutti, tanto che quando il
tradimento avviene lo fa essere inaspettato.
Il tradimento di Black Widow
Un altro tradimento
importante del MCU, inflitto da un
Avengers all’altro, è quello che ha come protagonista
Black Widow, che nell’universo cinematografico della Marvel è presentata come una delle
spie più importanti. In Captain America: Civil War, l’eroina si schiera con
Iron Man per gli Accordi di Sokovia, andando di conseguenza
contro il suo amico di vecchia data Steve Rogers. Nel momento in
cui però lo cattura, Black Widow ha un improvviso ripensamento, che la
porta a tradire Tony Stark, lasciando che Rogers vada via. Questo,
alla fine, conduce ad una sorprendente svolta finale.
Il tradimento di Kamran
Passiamo dai film alle serie del MCU, e arriviamo a
Ms. Marvel, show che ha debuttato nel 2022 sulla
piattaforma
Disney+, e che ha introdotto nell’universo Kamala Khan. Oltre
lei, il pubblico fa anche la conoscenza dei Clandestini, un gruppo
di potenti esseri provenienti dalla Dimensione Noor. Fra di essi
c’è Kamran, figlio adolescente della leader dei Clandestini Najma,
che li aiuta a manipolare la protagonista affinché esegua i loro
ordini. Ad un certo punto, però, assistiamo ad un plot twist
abbastanza inaspettato: Kamran, infatti, decide di aiutare Kamala
nel tentativo di eludere il Dipartimento di Controllo dei Danni e
in questo modo tradisce i suoi simili. La scelta del personaggio
porta alla morte della madre e dei suoi compagni di squadra, ed
oltre ad essere un momento imprevedibile, segna anche un cambio di
rotta e di lealtà da parte del character molto risonante.
Il tradimento di Arnim Zola
Torniamo ai film del MCU e precisamente a
Captain America: Il primo vendicatore, la cui storia
introduce Arnim Zola, scienziato dell’HYDRA
e stretto collaboratore del Teschio Rosso durante la Seconda Guerra
Mondiale. Sin da subito è chiara la grande fedeltà del personaggio
nei confronti dell’HYDRA, salvo poi venire catturato dall’esercito
americano. Quando Steve Rogers/Capitan America si risveglia nel
presente, questi scopre che Zola ha in realtà disertato lo SHIELD e
ha lavorato con l’organizzazione per molti anni. Il suo tradimento,
perciò, risulta inaspettato solo fino a quando ill film non rivela
che è sempre stato un agente doppiogiochista.
Il tradimento di Nick Fury
Il
personaggio di
Nick Fury, sin dal momento in cui è stato introdotto nel
MCU, si è sempre rivelato
fra quelli più buoni. Uno dei momenti che va a dimostrazione di
quanto detto si può ricercare in Capitan
Marvel, quando Fury promette alla popolazione degli Skrull
di trovare per loro una nuova casa nello spazio, in cui poter
vivere. Una promessa che però in Secret
Invasion, show che ha recentemente debuttato su
Disney+, scopriamo non essere stata mantenuta. La serie rivela
che
Fury, oltre a non essere stato corretto con gli Skrull, ne ha
anche sposato uno. Il suo tradimento risulta essere dunque ancor
più grave, in quanto rinnega la sua promessa dopo aver iniziato una
relazione proprio con uno di loro.
Il tradimento di Capitan America
Uno dei personaggi più amati del MCU è Steve Rogers, alias
Capitan America. Un supereroe forte, tenace, risoluto, che nel
corso della sua storia ha dovuto affrontare diverse situazioni
scomode e difficili, oltre che prendere decisioni cruciali. Una
delle più inaspettate è il tradimento di Rogers nei confronti di
Iron Man. L’evento
è inserito all’interno di Captain America: Civil War, quandoTony Stark viene a
sapere che Bucky Barnes, ossia il
Soldato d’Inverno, è responsabile della morte dei suoi
genitori, poiché li ha uccisi per volere dell’HYDRA.
Quando questo avviene, Capitan America si trova in estrema
difficoltà, in quanto è riuscito a salvare da poco l’amico dal
lavaggio del cervello. Rogers in quel momento non ha scelta: si
schiera dalla sua parte, ammettendo a Stark di essere sempre stato
a conoscenza degli omicidi. Quella rivelazione risulta inaspettata
data la natura onesta dell’ereo, e rennde il tradimento ancora più
profondo.
Il tradimento di Xialing
Nel 2021 il MCU decide di introdurre
un altro personaggio, Shang-Chi, esperto di arti marziali, con un
nuovo film: Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli. Oltre lui,
viene introdotto anche un nuovo villain, Mandarino, antagonista
della storia, il quale si scopre essere suo padre Wenwu. Accanto a
Shang-Chi combatte però la sorella Xialing, la quale, in seguito
alla morte del padre, promette al fratello di sciogliere
l’organizzazione dei Dieci Anelli. La scena post-credits del film
mostra Xialing assumere invece il controllo dei Dieci Anelli,
tradendo in questo modo Shang-Chi e trasformandosi di conseguenza
in un futuro cattivo del Marvel Cinematic
Universe. Il tradimento anche qui risulta decisamente
inaspettato, poiché avviene quasi subito dopo la promessa fatta da
lei a Shang-Chi, e lascia persino intendere che i due diventeranno
nemici.
Il combattimento di Ikaris contro gli Eterni
Parliamo ora di Eternals,
film del MCU che introduce gli
Eterni, creature immortali e dotate di superpoteri provenienti dal
pianeta Olimpia. Nel racconto diretto da Chloé Zao, molto della
storia originale viene modificato, e questo porta ad assistere a
diversi inaspettati colpi di scena nella pellicola. Quello più
impattante e scioccante ha come protagonista Ikaris, il quale verso
metà della trama si scopre aver ucciso il leader degli Eterni,
Ajak. Non solo: Ikaris sta anche lavorando contro i suoi compagni
per permettere la distruzione della Terra. Nei fumetti, l’eroe non
è così cattivo come invece appare in Eternals, e soprattutto non diventa mai l’antagonista
principale della narrazione.
L’uccisione di Gamora
Ma
se proprio dobbiamo classificare i tradimenti peggiori del
MCU, quello più difficile
da digerire – e soprattutto inaspettato – riguarda
Thanos. L’uccisione di Gamora da parte del Titano pazzo è la
più terrificante, e per cui si aggiudica il primo posto. Avengers:
Infinity War aveva dato modo al suo pubblico di fargli
conoscere meglio Thanos, mostrandogli anche tutto il processo che
lo aveva condotto ad adottare la piccola aliena verde. Lo
spettatore assiste perciò alla costruzione del loro rapporto, in
cui si evince l’affetto profondo che il Titano nutre per lei. È
solo dopo questo momento che Avengers: Inifity War fa scoprire a Thanos di dover
sacrificare la persona che più ama, dunque Gamora, per poter
recuperare la Gemma dell’Infinito. La decisione del Titano – pur a
malincuore – di uccidere la figlia e preferire il potere lo rende
un tradimento, oltre che inaspettato, straziante.
Michele Bravi, nel
cast di Finalmente
l’Alba di Saverio Costanzo, ha
raccontato la sua esperienza nel film in Concorso alla Mostra
d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia edizione numero
80. Finalmente
l’Alba è il viaggio lungo una notte della giovane
Mimosa che, nella Cinecittà degli anni Cinquanta, diventa la
protagonista di ore per lei memorabili. Una notte che da ragazza la
trasformerà in donna.
Inizialmente
volevo scrivere un film sull’omicidio della giovanissima Wilma
Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, che rappresentò per
l’Italia il primo caso di assassinio mediatico. La stampa speculò
sulla vicenda, che coinvolgeva personalità della politica e dello
spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione che presto diventò
indifferenza. La vittima scomparve dalle cronache per fare posto
alla passerella dei suoi possibili carnefici. Poi, come accade
spesso scrivendo, l’idea iniziale è cambiata e piuttosto che far
morire un’innocente ne ho cercato il riscatto. Mi piace infatti
pensare che Finalmente l’alba sia un film sul riscatto dei
semplici, degli ingenui, di chi è ancora capace di guardare il
mondo con stupore. La protagonista Mimosa è un foglio bianco, su
cui ognuno dei personaggi in cui s’imbatte scrive la sua storia,
senza paura di essere giudicato. Mimosa è una ragazza semplice,
una giovanissima comparsa di Cinecittà che nella Roma degli anni
Cinquanta accetta l’invito mondano di un gruppo di attori americani
e con loro trascorre una notte infinita. Ne uscirà diversa,
all’alba, scoprendo che il coraggio non serve a ripagare le
aspettative degli altri, ma a scoprire chi siamo
Grande amico della Mostra di
Venezia, Harmony Korine arriva al Lido mascherato e
sereno, a
presentare Fuori Concorso il suo nuovo film Aggro
Dr1ft, quello che sembra l’inizio di un nuovo capitolo
nella sua filmografia, sempre molto concreta e legata al reale e ai
personaggi.
In merito a questo nuovo lavoro, un
tuffo nella sperimentazione, Korine spiega: “Non ero
soddisfatto nel fare o guardare i film tradizionali, e ho
cominciato a pensare che ci fosse qualcosa oltre la loro
realizzazione. Volevo sperimentare l’idea di cosa venisse per me
dopo che un film è finito, per me è stata una specie di esperienza
sensoriale, una vibrazione, l’essere dentro un
gioco.”
E proprio i videogiochi sono stati
la sua principale ispirazione per la realizzazione del film, in
particolare gli open world, come
Legend of Zelda. “L’ingegneria del giochi mette in campo
una vera e propria creazione di un mondo, oggi, molto più che un
film, l’estetica di un gioco per me è una delle forme espressive
più interessanti in circolazione.”
Ma più che cinema sperimentale,
quello di Harmony Korine è un gioco, un tentativo
di riconnettersi con l’arte del cinema: “Non volevamo
realizzare un esperimento tecnico, ma volevo divertirmi con il
medium. Non c’era più senso di divertimento e di gioco nel processo
della realizzazione dei film, e quindi ho voluto tornare a quello
che mi faceva divertire, un tentativo di innamorarmi di nuovo del
processo.”
Per farlo, Harmony Korine ha utilizzato una serie di
strumenti precisi, come le termocamere, che gli hanno consentito un
modo diverso di girare, utilizzando anche un vocabolario differente
e specifico. “È stato divertente anche solo provare cose nuove.
Provare un misto di tecnologia e creatività, spingere la tecnica
per vedere creativamente dove si poteva arrivare. Stiamo lavorando
adesso una dream box, che permette di creare immagini solo
pensandole. È questo il tipo di cose che mi piace fare, è un
continuo esperimento.”
Evento Speciale alle
Giornate degli Autori, “L’Expérience ZOLA”
di Gianluca Matarrese, con Anne
Barbot e Benoît
Dallongeville è una produzione Bellota
Films e Stemal Entertainment,
prodotto da Dominique
Barneaud e Donatella Palermo,
distribuito
da Luce Cinecittà.
«Con “L’Expérience Zola” Gianluca
Matarrese torna al Lido di Venezia portandoci in un altrove
linguistico e letterario con un film che passa senza soluzione di
continuità dalla finzione al documentario, dalla vita alla
lettaratura e al teatro», dichiara
Gaia FurrerDirettrice artistica
delle Giornate degli Autori.
Anne è una regista teatrale. Si è
separata dal marito e sta cambiando casa. È spenta, senza desideri.
Conosce Ben, vicino di casa servizievole e attore senza scritture.
Lui la guarda con occhi appassionati, lei non vuole mai più
legarsi a un uomo. Ma quando decide di mettere in
scena L’assommoir di Zola, è a lui che propone il
ruolo di Coupeau, riservandosi quello di Gervaise. Man mano che la
storia si sviluppa, il confine tra la vita reale e la
rappresentazione teatrale si riduce sempre di più. Tra letture e
prove, tra ricerca e studio, la realtà sfuma nella finzione e
i due sembrano ripercorrere esattamente tutti i passaggi della
storia di Coupeau e Gervaise, fino alla rovina.
«Anne Barbot e io ci siamo
formati insieme alla École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq
– racconta
il regista–
Entrambi mettiamo in discussione la nozione di prospettiva e la
porosità tra realtà e finzione. Insieme abbiamo sperimentato la
creazione di ponti tra due linguaggi: quello del teatro e quello
dell’audiovisivo. L’adattamento teatrale di L’Assommoir di
Emile Zola da parte di Anne è sembrato un ottimo soggetto per
l’esperienza che avevamo in mente».
Nato e cresciuto a Torino,
Gianluca Matarrese si è trasferito a Parigi,
all’età di 22 anni, dove ha completato gli studi di cinema e
teatro. Nel 2008 ha iniziato la sua carriera in televisione come
autore di programmi di entertainment e fiction. Negli ultimi cinque
anni ha realizzato otto film documentari che hanno girato numerosi
festival internazionali (Settimana della Critica, IDFA,
Thessaloniki, CPH, Hot Docs, DMZ, Torino Film Festival, Vision du
Réel, Festival dei Popoli), sostenuto regolarmente da broadcaster
come France Télévisions e Arté.
Dopo il successo al box office,
arriva su Sky l’attesissimo nuovo capitolo della
saga di Shrek di Dreamworks Animation, con protagonista l’impavido
felino spadaccino,
Il gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio,
in prima tv lunedì 4 settembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno
(e alle 21.45 anche su Sky Cinema Shrek), in streaming su NOW e
disponibile on demand.
Candidato come miglior film animato
ai BAFTA Awards del 2023 e agli Oscar 2023 come miglior film
d’animazione, vede alla regia Joel Crawford e un
cast di doppiatori superstar come Antonio
Banderas, Salma Hayek Pinault,
Olivia Colman, Harvey Guillén, Samson Kayo, Anthony Mendez,
Wagner Moura, John Mulaney, Florence Pugh, Da’ Vine Joy Randolph e
Ray Winstone, che, nella versione originale, prestano le
loro voci ai divertenti personaggi di questa avventura. Il film è
tratto da una storia di Tommy Swerdlow e
Tom Wheelere la sceneggiatura è di Paul
Fisher e Tommy Swerdlow.
La trama di l gatto con
gli Stivali 2: L’ultimo desiderio
Per la prima volta dopo più di
dieci anni, DreamWorks Animation presenta un nuovo capitolo dalle
favole di Shrek in cui l’audace fuorilegge Gatto con gli Stivali
scopre che la sua passione per il pericolo e la sua noncuranza per
la prudenza prendono il sopravvento. Sebbene abbia perso il conto
lungo la strada, il Gatto ha bruciato otto delle sue nove vite. Per
riaverle, dovrà intraprendere la più grande impresa di sempre.
Il candidato agli Oscar
Antonio Banderas ritorna per dar voce al famigerato
Gatto con gli Stivali, impegnato nel compiere un viaggio epico
nella Foresta Nera alla ricerca della mitica Stella dei Desideri e
nel tentativo di riappropriarsi delle vite perdute. Ma con una sola
vita a disposizione, il Gatto sarà costretto a chiedere aiuto alla
sua ex partner e nemesi: l’affascinante Kitty “Zampe di Velluto”
(la candidata all’Oscar® Salma Hayek Pinault).
Nella loro impresa, il Gatto e
Kitty saranno aiutati – contro ogni buon senso – da uno
sgangherato, loquace e gioioso cane randagio di nome Perro (Harvey
Guillén). Insieme, il nostro trio di eroi dovrà mantenersi un passo
avanti rispetto a Riccioli d’Oro (la candidata all’Oscar Florence
Pugh) e alla Famiglia del Crimine dei Tre Orsi: Mamma orso (la
vincitrice dell’Oscar®Olivia Colman), Papà orso (Ray Winstone) e
Piccolo orso (Samson Kayo), “Grande” Jack Horner (il vincitore agli
Emmy John Mulaney) e il grosso e malvagio cacciatore di taglie, il
Grande Lupo cattivo (Wagner Moura), che ha preso di mira il Gatto.
Il film può contare anche su un cast stellare di comici che include
il medico del Gatto con gli Stivali (il candidato all’Emmy Anthony
Mendez) e Mama Luna (il candidato al Tony Award Da’ Vine Joy
Randolph).
in occasione della prima visione
IL GATTO CON GLI STIVALI 2 – L’ULTIMO DESIDERIOda lunedì 4 a venerdì 8 settembre Sky Cinema Collection
(canale 303) si trasforma in SKY CINEMA SHREK, con tutti i
film del franchise dedicato al simpatico orco verde e il primo
capitolo IL GATTO CON GLI STIVALI. Tutti i film saranno
disponibili anche in streaming su NOW e on
demand.
La saga si apre nel 2001 con il
primo memorabile SHREK, capolavoro che ha
rivoluzionato il mondo delle favole e che ha vinto l’Oscar per il
miglior film d’animazione. Racconta la storia di un orco verde,
scorbutico ma dal cuore buono, che deve liberare la principessa
Fiona, segregata in un castello, che gli farà battere il cuore. Il
divertimento continua con il secondo capitolo campione d’incassi,
SHREK 2. Questa volta Shrek e Fiona devono
affrontare le ire dei genitori di lei, poco propensi ad accettare
un “mostro” come genero. In SHREK TERZO nel regno
di Molto Molto Lontano è morto il re e bisogna trovare il cugino di
Fiona, Arthur, erede del trono per linea di successione. L’orco
verde, insieme agli amici Ciuchino e Gatto con gli Stivali, parte
alla sua ricerca, ma una sorpresa li attende. Il quarto e ultimo
capitolo della saga d’animazione, SHREK E VISSERO FELICI E
CONTENTI, vede Shrek alle prese con i problemi di un padre
di famiglia e una forte nostalgia dei vecchi tempi. Complice la
trappola che gli tende il nano Tremotino, l’orco finirà per vivere
un’altra avventura indimenticabile. Non manca infine IL
GATTO CON GLI STIVAL, primo capitolo della rocambolesca
animazione che vede protagonista il personaggio reso famoso dalla
saga di Shrek. In questa divertente avventura l’amicizia fra il
beffardo Gatto con gli Stivali e Humpty Dumpty si rompe in seguito
a una rapina finita male, ma il destino li riunisce sulla strada
verso la famigerata Oca dalle uova d’oro.
Finalmente l’alba è il viaggio
lungo una notte della giovane Mimosa che, nella Cinecittà degli
anni Cinquanta, diventa la protagonista di ore per lei memorabili.
Una notte che da ragazza la trasformerà in donna.
Inizialmente volevo scrivere un film sull’omicidio della
giovanissima Wilma Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, che
rappresentò per l’Italia il primo caso di assassinio mediatico. La
stampa speculò sulla vicenda, che coinvolgeva personalità della
politica e dello spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione
che presto diventò indifferenza. La vittima scomparve dalle
cronache per fare posto alla passerella dei suoi possibili
carnefici. Poi, come accade spesso scrivendo, l’idea iniziale è
cambiata e piuttosto che far morire un’innocente ne ho cercato il
riscatto. Mi piace infatti pensare che Finalmente l’alba sia un
film sul riscatto dei semplici, degli ingenui, di chi è ancora
capace di guardare il mondo con stupore. La protagonista Mimosa è
un foglio bianco, su cui ognuno dei personaggi in cui s’imbatte
scrive la sua storia, senza paura di essere giudicato. Mimosa è
una ragazza semplice, una giovanissima comparsa di Cinecittà che
nella Roma degli anni Cinquanta accetta l’invito mondano di un
gruppo di attori americani e con loro trascorre una notte infinita.
Ne uscirà diversa, all’alba, scoprendo che il coraggio non serve a
ripagare le aspettative degli altri, ma a scoprire chi siamo.
L’attrice Micaela Ramazzotti
arriva al lido per presentare in Orizzonti Extra
Felicità, il suo debutto alla regia che la vede
anche protagonista al fianco di Max Tortora, Anna Galiena,
Matteo Olivetti e
Sergio Rubini. Ecco tutte le foto:
Questa è la storia di una famiglia storta,
di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che
divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la
sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare
contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per
inseguire un po’ di felicità.
Felicità è la mia opera prima
e sono così orgogliosa e onorata che proprio la Mostra del Cinema
di Venezia sia il primo festival ad accoglierla e a volerle bene.
La storia, che è in parte ispirata a qualcosa di autentico, parla
di una famiglia patologica, di un percorso psichiatrico, di una
relazione squilibrata, di mediocrità educativa e sociale e di come
lo spirito dell’Italia di questi anni si rifletta sulle persone
meno attrezzate. C’è voluta da parte mia un po’ di faccia tosta a
interpretare Desirè, perché non è certo il ritratto edificante
di una donna virtuosa, anzi è decisamente imperfetta, ingenua, un
po’ bugiarda e anche patetica.
Si è tenuto nella serata il red
carpet di Poor
Things, il nuovo film dell’acclamato regista greco
Yorgos Lanthimos che però era solo a presentare il
film, dato che il cast è in sciopero a Hollywood e dunque no può
promuovere la pellicola. Assenti
Emma Stone,
Mark Ruffalo, William Dafoe. Presenti molti volti
italiani.
La storia incredibile della fantastica
trasformazione di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita
dal dottor Godwin Baxter, scienziato brillante e poco ortodosso.
Bella vive sotto la protezione di Baxter ma è desiderosa di
imparare. Attratta dalla mondanità che le manca, fugge con Duncan
Wedderburn, un avvocato scaltro e dissoluto, in una travolgente
avventura che si svolge su più continenti. Libera dai pregiudizi
del suo tempo, Bella cresce salda nel suo proposito di battersi per
l’uguaglianza e l’emancipazione.
Il Marvel Cinematic Universe
registra un nuovo cambiamento nella sua timeline a causa dello
sciopero di attori e sceneggiatori in corso a Hollywood. Marvel Studios ha riprogrammato infatti
diversi show Disney+. Tra questi c’è la
seconda stagione di What
If…?, la prima serie animata MCU, che sarebbe dovuta uscire
all’inizio del 2023, e adesso arriverà alla fine dell’anno, per
ragioni non specificate.
Per quanto riguarda Echo,
spin-off di Hawkeye, con
Alaqua Cox come prima Nativa Americana protagonista di una serie
Marvel, la serie è stata spostata
dal 29 novembre a gennaio 2024. Sarà comunque previsto che tutti
gli episodi usciranno insieme.
X-Men ’97, l’atteso aggiornamento
della serie d’animazione dedicata agli X-Men degli anni ’90, è
stata spostata dall’autunno 2023 all’inizio del 2024. E infine, lo
spin-off di Wandavision,
Agatha, con Kathryn Hahn nei
panni della strega Agatha Harkness, uscirà nell’autunno del 2024.
La serie, le cui riprese si sono concluse prima dello sciopero
degli attori, era stata annunciata con il titolo di Agatha:
House of Harkness, poi a luglio 2022, la Marvel ha cambiato il titolo in
Agatha: Coven of Chaos. Ora il titolo definitivo
sembra essere Agatha: Darkhold Diaries.
La prossima serie Marvel su Disney+ sarà comunque Loki 2, in arrivo
il 6 ottobre, con Tom Hiddleston che riprende il ruolo ultra
decennale del Dio dell’Inganno. Altre serie, come Daredevil:
Born Again e Wonder
Man, subiranno purtroppo altri ritardi.
La serie live-action di
One
Piece di Netflix (qui
la
recensione) modifica diversi elementi rispetto alla storia
originale, pur rimanendo fedele al manga di Eiichiro
Oda. La prima stagione di One
Piece è composta da otto episodi e copre i primi 95
capitoli del manga. Considerando il numero di personaggi e luoghi
raccontati dal manga fin dall’inizio, ci si aspettavano cambiamenti
rispetto al materiale originale. Fortunatamente, la maggior parte
delle modifiche apportate alla serie live-action di
One
Piece ha a che fare con il ritmo piuttosto che
con cambiamenti sostanziali di personaggi o circostanze.
Eiichiro Oda era
direttamente coinvolto nello show e avvisava i produttori ogni
volta che qualcosa non andava bene. La prima stagione di
One
Piece ha mostrato molto rispetto per il materiale
originale e dei riferimenti profondi e mirati nella ricreazione
accurata di scene iconiche. Tuttavia, sono state apportate molte
modifiche alla storia, a partire da personaggi scomparsi fino a
nuovi ambienti. Ecco i cambiamenti più importanti apportati dalla
prima stagione di One
Piece al manga.
Garp ha condotto l’esecuzione di
Gold Roger
Alcuni dei più grandi
cambiamenti di One
Piece per il live-action hanno a che fare con il
personaggio di Garp, la cui prima apparizione nel manga è avvenuta
nel capitolo 92. Nello show live-action, Garp è colui che guida
l’esecuzione di Gold Roger. Questa scena viene rievocata anche nel
finale della prima stagione, quando Garp, guardando Luffy che ride,
ricorda la risata beffarda e divertita di Gold Roger nel momento
dell’esecuzione.
Volti familiari vengono rivelati
subito durante l’esecuzione di Gold Roger
Numerosi personaggi
importanti di One
Piece erano presenti all’esecuzione di Gold Roger,
inclusi Shanks, Mihawk e Smoker. Anche se questo è esattamente ciò
che accade nel manga, questi personaggi non vengono mostrati la
prima volta che si racconta dell’esecuzione di Gold Roger.
One
Piece rivisita la morte di Roger molte volte, ma
la serie live-action ha preferito mostrare subito questi personaggi
importanti.
Shanks è più vecchio durante il
flashback dell’esecuzione
L’esecuzione di Gold Roger
è avvenuta 22 anni prima degli eventi principali di
One
Piece. Sebbene One
Piece di Netflix mantenga la stessa sequenza temporale, Shanks
è significativamente più vecchio nel flashback dell’esecuzione
rispetto alla sua controparte manga/anime. Pertanto, lo Shanks di
oggi è più vecchio nell’anime che nel manga.
Shanks dice che andrà alla ricerca
del One Piece
Nel manga, Shanks dice a
Luffy che la sua squadra è al Windmill Village da troppo tempo.
Shanks saluta Luffy ma non dice esattamente dove sta andando con la
sua ciurma. Nel live-action, Shanks dice espressamente che anche
loro stanno inseguendo il One
Piece.
Luffy non viene risucchiato in un
vortice
L’attuale introduzione di
Luffy nello show di One
Piece è molto simile a come avviene nel manga, ma con
alcune differenze. Invece di affrontare un mostro marino locale e
poi essere risucchiato in un vortice, Luffy decide di entrare in un
barile dopo che la sua barca ha iniziato ad affondare. Il risultato
è lo stesso: Luffy viene ripescata dall’equipaggio di Alvida.
Vediamo Zoro che affronta Mr. 7
del Byzantine Works
L’introduzione di Zoro in
One
Piece di Netflix è molto diversa dal materiale
originale. Invece di incontrare il “demone cacciatore di pirati” a
Shells Town, Zoro viene presentato al pubblico davanti alla tomba
di Kuina. Inoltre, Zoro combatte contro Mr. 7 dopo che il membro
dei Byzantine Works ha cercato di reclutarlo. Sebbene questo
combattimento avviene anche nella storia originale, se ne fa
riferimento solo molto più tardi e non è mostrato all’inizio di
One
Piece.
Nami viene presentata a Shells
Town
Nel manga, Nami si unisce
alla storia solo nel capitolo 8, dopo la conclusione dell’arco
narrativo di Shells Town. In One
Piece di Netflix, Nami viene introdotta pochi
minuti dopo l’episodio 1 e partecipa all’arco narrativo di Shells
Town. Questo cambiamento è stato mutuato dall’anime, che vede Nami
coinvolta negli eventi di Shells Town, proprio come accade nel live
action.
La “lotta” tra Luffy e Koby non
avviene
Koby ha un ruolo più
importante in questa parte della storia nel live-action rispetto al
manga. Anche se Koby il fatto che si unisce ai Marines a Shells
Town corrisponde a quanto accade nel materiale originale, lo
“scontro” tra lui e Luffy non avviene. Invece, Koby rimane con i
Marines e viene successivamente interrogato da Garp.
La mappa della Rotta Maggiore è
stata rubata ai Marines (non a Buggy)
La mappa della Rotta
Maggiore è stata utilizzata come McGuffin nella prima stagione di
One
Piece, dal momento che ci sono diversi personaggi che
la cercano. Tuttavia, invece di diventare un punto della trama
durante l’arco narrativo di Orange Town dove i protagonisti
incontrano Buggy, la mappa della Rotta Maggiore è stata introdotta
nell’episodio 1. Luffy e Nami rubano la mappa ai Marines, anche se
poi Buggy viene introdotto come uno dei contendenti in cerca della
mappa.
Nami è subito una brava
combattente
Il live-action di
One
Piece offre a Nami molte più scene di
combattimento in questa parte della storia rispetto al manga o
all’anime. Il bastone distintivo di Nami debutta nell’episodio 1,
durante il quale Nami si unisce a Luffy e Zoro nella lotta contro
Morgan Mano d’ascia. Nami ha anche alcune scene di combattimento
interessanti nel segmento in cui compare Buggy.
Garp viene presentato (e insegue
Luffy) molto prima
Oltre ad apparire nel
flashback dell’esecuzione di Gold Rogers, Garp gioca un ruolo
significativo in One
Piece stagione 1. Garp è stato una sorta di
antagonista generale per la ciurma di Cappello di Paglia. Quello
che si rivela essere il nonno di Luffy ha inseguito i protagonisti
da Shells Town al Villaggio Coco, cosa che non accade affatto nel
manga. Inoltre, il fatto che Garp facesse da mentore a Koby e
Helmeppo è stato spostato di livello superiore ed è avvenuto in
concomitanza con le avventure di Luffy nel Mare Orientale.
Luffy è più intelligente di quanto
dovrebbe essere
Luffy di Iñaki
Godoy mette in scena molto bene sia l’aspetto del Luffy
originale sia il suo buon cuore. Inoltre, il live-action di
One
Piece riesce anche a catturare l’umorismo di
Luffy. Detto questo, il protagonista è più intelligente
nell’adattamento Netflix che nel manga. Mentre il Luffy di Godoy è
sempre spontaneo e ingenuo, il personaggio sembra più maturo e
sveglio rispetto al Luffy del manga.
Luffy e Koby si riuniscono due
volte nella prima stagione di One Piece
Luffy e Koby si riuniscono
due volte dopo che il pirata del Cappello di Paglia lascia Shells
Town nel live action. Koby ha incontrato Luffy a Syrup Village e
poi nel finale di One
Piece al Villaggio Coco. Tuttavia, nel manga, Luffy e
Koby si vedono solo più di 400 capitoli dopo. Koby ha avuto un
ruolo molto più importante in questa versione della storia rispetto
al manga.
Il circo di Buggy e gli abitanti
incatenati non provengono dal manga
Buggy il Clown ruba la
scena nella prima stagione di One
Piece, ma l’episodio incentrato su di lui era molto
diverso dall’arco narrativo di Orange Town del manga. Nella serie
live-action, Buggy gestisce un circo, la cui folla è formata da
abitanti del villaggio incatenati. Sebbene Buggy e i suoi pirati
distruggano un villaggio durante la loro introduzione, nel manga
non c’è traccia del circo o dei prigionieri incatenati.
Lo scontro tra Buggy e Luffy è
completamente diverso
Lo scontro tra Buggy e i
pirati di Cappello di Paglia di Luffy è molto diverso dal materiale
originale. Tutto accade all’interno del circo di Buggy piuttosto
che nelle strade di Orange Town. Buggy non cattura Luffy, Zoro e
Nami tutti insieme nel manga; inoltre non tortura Luffy allungando
il suo corpo. Lo scontro di Zoro con Cabaji non avviene nel
live-action e personaggi come il sindaco e il cane appaiono solo
come brevi riferimenti.
Zoro ha ucciso il fratello di
Cabaji
One
Piece di Netflix ha aggiunto un
elemento personale alla rivalità tra Zoro e Cabaji. Secondo il capo
della ciurma di Baggy, Zoro ha ucciso suo fratello. Questo non è
una informazione che deriva dal manga. Curiosamente, nonostante
abbia creato una storia personale tra Zoro e Cabaji, la serie non
mostra quello scontro. Invece, Zoro liquida rapidamente Cabaji con
pochi colpi dopo essersi sciolto.
I pirati di Usopp non
compaiono
Il retroscena di Usopp e la
sua introduzione in One
Piece di Netflix
sono molto fedeli al materiale originale. In effetti, gli episodi
di Syrup Village sono tra i migliori della prima stagione. Detto
questo, un cambiamento significativo rispetto al manga è stato che
Ninjin, Tamanegi e Piiman – i “pirati Usopp” – non appaiono.
Nemmeno i compagni di Usopp sono menzionati né si fa riferimento a
loro in forma di Easter Eggs.
Appaiono solo due dei Pirati del
Gatto Nero di Kuro
Il piano e la motivazione
di Kuro nella prima stagione di One
Piece corrispondono a quelli del manga. Tuttavia, il
climax dello scontro tra la ciurma di Cappello di Paglia e il
capitano dei Pirati del Gatto Nero è leggermente diverso. Invece di
affrontare tutto l’equipaggio di Kuro per salvare Kaya, Luffy e i
suoi amici combattono solo contro Buchi e Sham.
Jango non appare
Anche se il piano di Kuro
di uccidere Kaya prima di impossessarsi delle ricchezze della sua
famiglia è rimasto lo stesso in One
Piece di Netflix,
il modo in cui sarebbe dovuto accadere è diverso. Nel manga, Kuro
dei Mille Piani arruola Jango, un ipnotizzatore, per ipnotizzare
Kaya. Nel live-action, Kuro, fingendosi il maggiordomo Klahadore,
manipola semplicemente Kaya facendogli affidare a lui l’azienda di
famiglia.
Il bacio di Usopp e Kaya
La dinamica tra Usopp e
Kaya in One
Piece di Netflix è vicina al materiale originale, con
il primo che rallegra la seconda con il racconto delle sue
mirabolanti (e inventate) avventure. Tuttavia, c’è una differenza
sostanziale rispetto al manga. Usopp e Kaya si baciano
nell’episodio 4, cosa che non accade nel manga e conferma che,
nella serie live action, la loro relazione è romantica.
Kuro uccide Merry
Kuro attacca Merry dopo che
quest’ultimo scopre la vera identità del primo sia nel manga che
nella serie live-action. Tuttavia, Merry muore nell’episodio 4 di
One Piece di Neflix, mentre nel manga sopravvive. Nello show, la
morte di Merry è ciò che porta Luffy a chiamare la loro nuova nave
“Going Merry”.
Johnny e Yosaku non appaiono
Johnny e Yosaku, gli amici
cacciatori di taglie di Zoro, non compaiono in One Piece di
Netflix. Originariamente introdotti prima dell’arco narrativo di
Baratie, Johnny e Yosaku rimangono vicino ai pirati di Cappelli di
Paglia fino al segmento di Arlong Park. L’assenza di Johnny e
Yosaku nello show live-action può essere stata una delusione, ma la
prima stagione di One Piece ha preferito concentrarsi
esclusivamente sull’originale ciurma di Cappello di Paglia.
Arlong sostituisce Don Krieg al
Baratie
Don Krieg è presente nella
prima stagione di One
Piece di Netflix, ma in un ruolo molto più piccolo
rispetto al manga. Mihawk incontra i pirati di Don Krieg e provoca
loro gravi perdite, proprio come nell’originale. Tuttavia, nello
show, Mihawk uccide Don Krieg prima ancora che Luffy arrivi al
Baratie. Invece di affrontare Krieg al ristorante, Luffy combatte
Arlong in quello che è stato uno dei più grandi cambiamenti
rispetto al manga. La sostituzione di Krieg con Arlong ha
semplificato la storia e ha reso Arlong una presenza più
ingombrante anche prima degli episodi di Arlong Park.
Arlong cattura Buggy
Arlong cattura Buggy
nell’episodio 3 di One
Piece e porta la testa del clown con sé fino al
Baratie. Lì, viene rivelato che Baggy ha messo una delle sue
orecchie nel cappello di Luffy, motivo per cui Arlong sapeva dove
trovare il Cappelli di Paglia. Niente di tutto questo accade nel
manga. Nella storia originale, Luffy dà un pugno alla testa di
Buggy allontanandola dal corpo del clown. Buggy recupera solo
alcune parti del suo corpo e poi intraprende un divertente viaggio
prima di incontrare Alvida.
L’Isola degli Animali Rari non
appare
L’Isola degli Animali Rari,
una famosa località di One
Piece nella regione del Mare Orientale, non appare
nella prima stagione di One Piece. L’Isola degli Animali Rari
appare due volte nel materiale originale durante questa parte della
storia, poco prima che la ciurma di Cappelli di Paglia vada via dal
Baratie e quando Buggy intraprende un’avventura in solitaria mentre
gli manca la maggior parte del corpo. Di conseguenza, Gaimon non è
presente nello show Netflix.
Nojiko e Genzo non sapevano
dell’accordo di Nami con Arlong
Il segreto di Nami e il
motivo per cui lavorava per Arlong sono rimasti inalterati in One
Piece di Netflix. Tuttavia, nella serie live-action, né Nojiko né
Genzo sono a conoscenza dell’accordo di Nami con Arlong. Entrambi
credono che Nami abbia scelto di lavorare per la persona che ha
ucciso Bell-mère. Nojiko scopre la verità solo nell’episodio 7 di
One Piece, poco prima che i soldi di Nami vengano rubati. Nel
manga, Nojiko e il resto del villaggio scoprono molto presto che
Nami ha scelto di lavorare con Arlong solo per liberare il
villaggio.
Nel 1755, lo
squattrinato capitano Ludvig Kahlen parte alla conquista delle
aspre e desolate lande danesi con un obiettivo apparentemente
impossibile: costruire una colonia in nome del Re. In cambio,
riceverà per sé un titolo reale disperatamente desiderato. Ma
l’unico sovrano della zona, lo spietato Frederik de Schinkel, ha la
presuntuosa certezza che questa terra gli appartenga. Quando De
Schinkel viene a sapere che la cameriera Ann Barbara e il marito
servitore sono fuggiti per rifugiarsi da Kahlen, il privilegiato e
perfido sovrano giura vendetta, facendo tutto ciò che è in suo
potere per scoraggiare il capitano. Kahlen non si lascerà
intimidire e ingaggerà una battaglia impari, rischiando non solo
la sua vita, ma anche quella della famiglia di emarginati che si è
venuta a formare intorno a lui.
Il commento del regista
Quando qualche anno fa ho vissuto
l’esperienza assolutamente straordinaria di diventare padre, ho
iniziato a vedere i miei film precedenti, compresi i ricordi della
loro realizzazione, sotto una nuova luce. Per quanto ne rimanga
orgoglioso (almeno della maggior parte!), quelle opere riflettono
la visione di un uomo con un unico scopo: la dedizione entusiasta
nei confronti della creazione di storie e di arte… ma non molto
altro. Bastarden è nato da questa presa di
coscienza esistenziale ed è a oggi, di gran lunga, il mio film
più personale. Con l’aiuto del brillante romanzo di Ida Jessen, io
e Anders Thomas Jensen volevamo raccontare una storia epica e
grandiosa su come le nostre ambizioni e i nostri desideri siano
destinati a fallire se rappresentano la sola cosa che abbiamo. La
vita è un caos; dolorosa e sgradevole, bella e straordinaria, e
spesso non la possiamo controllare. Come dice il proverbio: “Noi
facciamo piani e Dio se la ride”.
Un dramma storico dalla forte
intensità, Bastarden – The Promised Land arriva a Venezia 80. Un film fortemente voluto dal
Arcel, anche un progetto intimo per lui che porta al Lido e che
ottiene i suoi primi consensi. Come racconta il regista la
paternità ha avuto un ruolo chiave nella sua realizzazione.
“È una cosa banale da dire ma
avere un figlio ti cambia la vita e non immagini quanto. Quando ho
letto il romanzo stavo diventando padre e leggerlo mi ha fatto
scoprire questa storia di ambizione che contrasta con la famiglia.
Prima ragionavo sempre in termini di ambizione, ma ora mi rendo
conto che la famiglia è il mio nuovo obiettivo. Ecco perché è un
film così personale per me”.
Il film presenta anche molte scene
violente e crude. Il regista e lo sceneggiatore hanno spiegato che
per queste parti è stata fatta una ricerca su fatti realmente
esistiti: “È realmente esistito un tale Schinkel, ma di lui
abbiamo solo una citazione tramandata nel tempo e a partire da
quella abbiamo costruito il personaggio che vedete nel film”,
racconta Jensen.
Nonostante sia ambientato nel 1755
il film presenta alcuni elementi contemporanei e moderni che non
sono assolutamente frutto dell’epoca passata anzi come dice Arcel
si tratta di temi universali “il come bilanci e controlli la
tua vita o come la lasci in balia del caos. Per me emotivamente
questo risuona ancora oggi nel nostro contemporaneo”. Alla
conferenza stampa, presenti anche gli attori che hanno raccontato
il loro personaggio. Sono tutti diversi ed emotivamente a
pezzi.
“Sono stata affascinata dal
personaggio ma c’è un momento in cui ho capito di dover dare tutto
al regista per poter davvero trovare la strada e il carattere di
Ann Barbara. Mi sono arresa al personaggio ed è stato un viaggio
stupendo”, ha detto Amanda Collin. “È
interessante interpretare un uomo così focalizzato su un unico
obiettivo. L’ho trovato complesso e per questo stimolante. Ogni
giorno era una nuova sfida”, racconta Mikkelsen che già aveva
collaborato con Arcel per Royal Affair: “Non abbiamo lavorato più
insieme per circa 10 anni, quindi prima ci siamo rincontrati per
capire come lavorare di nuovo insieme e abbiamo concordato di
immergerci il più possibile nella storia. Sarò sincero, speravo che
(Arcel) non facesse passare così tanto per una nuova collaborazione
insieme (ride)”, conclude l’attore
Bastarden – The Promised
Land è un film di genere che ha avuto tante ispirazioni:
“Penso sia ovvio vedendo questo film che io sia un film dei
grandi film epici, sin da quando ero bambino. I film di David Lean
ad esempio. Nel tempo ci ho sempre ripensato e l’obiettivo è stato
quello di ambire a realizzare qualcosa di simile. Non considero
Bastarden un Western, anche se naturalmente ci sono elementi di
quel genere, ma c’è anche tutta una descrizione delle corti danesi
di quel tempo”.
Un auto con gomma a terra nel pieno
della notte che impedisce ai suoi tre passeggeri di continuare i
festeggiamenti; un cavalcavia da cui poter osservare il mondo
sottostante o sputare sulle auto che passano; una campagna deserta
dove poter vivere senza orari o regole. Queste sono solo alcune
delle situazioni che Alain Parroni
concepisce per Una sterminata domenica,
il suo esordio alla regia di un lungometraggio, presentato nella
sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di
Venezia. Immagini caotiche e frenetiche, estratti di
una vita frenetica quale è quella dei tre giovai protagonisti, qui
rappresentanti di una generazione allo sbando.
Una catena ininterrotta di
situazioni, paradossi e caratteri si alternano dunque fra loro in
una costruzione narrativa vicina a un anticonvenzionale romanzo di
formazione che ha per protagonisti Alex
(Enrico Bassetti), Brenda
(Federica Valentini) e Kevin
(Zackari Delmas), tre adolescenti che ronzano tra
la campagna del litorale e la città eterna, tentando di resistere
a proprio modo all’inesorabile avanzare del tempo e del caldo.
Mentre Kevin ricopre ogni superficie di graffiti, Brenda si scopre
incinta di Alex, che ha appena compiuto diciannove anni e si vede
ora proiettato nel mondo dei grandi. Nel corso dell’estate, tutti e
tre dovranno dunque imparare a crescere e trovare il proprio posto
nel mondo.
Un sincero racconto
generazionale
Raccontare le nuove generazioni, che
sia con un film o una serie TV, è un compito assai arduo, che
richiede di cogliere con onestà un panorama di voci, storie e
caratteri quanto mai ampio, frammentato, liquido e complesso.
Richiede di comprendere il disagio giovanile provato dagli attuali
adolescenti e di contestualizzarlo nello spaventoso scenario del
mondo odierno. Quello che Parroni si proponeva dunque di
raggiungere con Una sterminata domenica era un obiettivo
ambizioso e rischioso, che viene però complessivamente raggiunto
grazie alla spontaneità che riesce ad infondere nelle sue scene e a
ricavare dai suoi interpreti.
Parroni, Giulio
Pennacchi e Beatrice Puccilli, autori
della sceneggiatura, scelgono infatti di non strutturare un solido
e preciso percorso narrativo bensì di proporre una sequenza – non
casuale – di avventure, quasi piccoli eventi autonomi dai quale
emerge tutto il senso e gli obiettivi del film. Nascono così
situazioni particolarmente divertenti, dove i tre protagonisti,
diversissimi tra loro per carattere e ideali, si pongono in aperto
contrasto con contesti ai quali giurano di non arrendersi mai.
Altresì, prendono vita momenti molto drammatici, che insieme ai
primi offrono uno spettro completo del bene e del male di una
generazione in cerca di punti di riferimento.
Ancor più di tale costruzione, è
però il lavoro sul linguaggio ad essere uno degli aspetti più
convincenti del film. Ascoltiamo i tre ragazzi parlare proprio come
parlano i loro coetanei nella realtà, con modi di dire,
espressioni, intonazioni e impacciamenti tipici del parlare
quotidiano, contribuendo così a quella ricerca di spontaneità di
cui si è già accennato. A tal proposito, straordinari sono i tre
giovani interpreti, che riescono a farsi carico del senso di realtà
ricercato dal regista e riproporlo con le proprie interpretazioni.
Peccato che tale incanto si spezzi nel momento in cui si mettono in
bocca ai personaggi parole che, pur servendo a ribadire le
tematiche del film, risultano poco vere, costruite.
Un’opera prima imperfetta ma con
tanto cuore
Per esprimere attraverso le vicende
di Alex, Brenda e Kevin uno stato d’animo di abbandono e
smarrimento, Parroni punta però sapientemente non solo
sull’anarchica sceneggiatura ma anche e soprattutto, come accennato
in apertura, sulla forza comunicativa delle immagini e in
particolare dei luoghi e degli ambienti prescelti. Campagne
desolate e palazzi popolari malridotti sono quantomai eloquenti,
nonché palcoscenico perfetto per raccontare di questi giovani che
sembrano sospesi nel tempo di un’apparentemente interminabile
estate – o domenica, come suggerisce il titolo. Ovviamente si
riscontrano in Una sterminata domenica, ed è anche normale
che sia così, tutta una serie di ingenuità tipiche delle opere
prime.
Talvolta sembra che il regista non
sia sicuro di quanto fino a quel momento compiuto, avvertendo
l’esigenza di inserire una serie di momenti che ribadiscono
didascalicamente quanto già proposto, allungando così un film che
soffre probabilmente di una durata “eccessiva” per tale racconto e
l’approccio scelto per esso (il film dura 113 minuti). Si tratta
però di aspetti su cui si può soprassedere, considerando le tante
altre intuizioni che Parroni propone con questo suo esordio e che
lo rendono un nome da tenere d’occhio per il futuro. Con Una
sterminata domenica egli si dimostra infatti capace di
raccontare i giovani con sincerità e tanto cuore, una capacità
decisamente non comune.
Dopo la straordinaria prova
attoriale di Nitram
(2021), per cui si è aggiudicato la Palma d’oro come miglior
interpretazione maschile al Festival
di Cannes 2021, l’eclettico Caleb Landry
Jones si mette nuovamente nei panni di un personaggio
complesso ed estremamente sfaccettato in Dogman di
Luc Besson, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia 2023. Cuore da eroe e mente da villain, il suo
Douglas – soprannominato Doug,
evidente richiamo fonetico al titolo e alla trama del film – è il
vero punto di luce di un film soprendentemente valido,
probabilmente l’opera del regista francese che meglio riuscirà a
imporsi come mainstream.
Dogman: la storia di Douglas, da
God a Dog
Dogman racconta la
storia di Douglas, auto-soprannominatosi
Doug: è una sorta di origin-story molto
equillibrata nel suo arco. Dall’infanzia passata letteralmente
chiuso in una gabbia, vittima di figure maschili dispotiche nella
casa, arrivando al presente narrativo in cui Doug si trova in
prigione e viene interrogato da una psichiatra, Besson ci
accompagna alla scoperta di un personaggio molto sfaccettato, che
“ruba” da tanti villain o anti-eroi moderni, fra cui il
Joker di Heath Ledger e l’Elijah Price di
Samuel L. Jackson, quanto da icone drag e dive
del cinema passato. Una figura fluida nell’animo e nei modi,
nonostante i gravi problemi fisici, apparentemente imprendibile,
almeno fino a quando non avrà come interlocutrice un’altra persona
che conosce il dolore e che varrà la pena proteggere.
Douglas ha passato
una vita a psicoanalizzarsi, dunque, non sorprende che il suo
dialogo con la psichiatra sia più da intendere come un racconto che
una confessione. Il racconto di una vita su cui hanno gravato le
disattenzioni altrui, la scarsa considerazione, l’incapacità di
relazionarsi con altri esseri umani. Besson mette
in chiaro fin da subito le condizioni in cui vive
Douglas, mischiando senza soluzione di continuità
l’asprezza e la decadenza del pertugio attiguo al canile dove abita
e, contemporaneamente, non dimenticandosi mai di far risaltare dei
dettagli di arredamento significativi per Doug: il letto a
baldacchino, la sua postazione make-up, i libri di cucine. Non a
caso, dirà che le prime cose che ha imparato dalla vita gli sono
state insegnate dalle riviste americane per il pubblico
femminile.
Un giorno questo dolore ti sarà
utile
Il vivere chiuso in una gabbia, tra
la sporcizia animale, la melma e le sbarre che precludono un mondo,
ha forgiato l’intera esistenza di Doug, il suo
modus operandi come artista dell’animalità umana. La famiglia
canina di cui si è circondato, che tanto dà e nulla toglie,
funziona come un’estensione del protagonista. Lavorando in maniera
serrata sul ritmo, sul montaggio e sulla scrittura, Luc
Besson incanala la vitalità di Doug in ogni sequenza che
coinvolge anche i suoi “figli“, quelli che si è scelto in
epoca infantile anche per contrastare la violenza con cui il padre
trattava queste creature. Tra Doug e i suoi cani vi è, inoltre, una
terza figura: un Dio a cui Doug si affida, che ha sempre cercato, e
da cui, come nel rapporto coi suoi cani, non ha mai preteso niente
se non la sua volontà. In tanti modi – e anche in un fotogramma
significativo – i lessemi God e Dog si fondono, a sottolineare la
simbiosi tra forza ultraterrena e terrestre, carnale, che il film
di Besson indaga.
Seppur derivativo nella scrittura,
come abbiamo già sottolineato, Dogman è
un’aggiunta spumeggiante al concorso ufficiale della Mostra
del Cinema di Venezia 2023, l’operazione recente meglio
prodotta di Luc Besson, dopo una serie di film
ritenuti insuccessi. Caleb Landry Jones conferma
la sua natura da performance mimetico e presta la sua energia a un
regista che avevamo bisogno di vedere così a fuoco.
Wes Anderson segna la sua doppietta
quest’anno e dopo il Festival di Cannes 2023 sbarca al Lido di
Venezia per Venezia 80. Il suo mediometraggio di quaranta
minuti, che sarà distribuito da Netflix in tutto il mondo dal 27 settembre 2023 è
intitolato The Wonderful Story of Henry Sugar e ancora una
volta, così come nelle precedenti pellicole il regista americano
punta su attori già visti: Ralph Fiennes, Benedict Cumberbatch, Dev Patel, Ben Kingsley, Richard Ayoade. Si tratta di un adattamento al
romanzo omonimo di Roal Dahl che Anderson ha messo in cantiere
oltre vent’anni fa. Un’opera originale che grazie alla scenografia
e all’uso dei colori per cui Wes Anderson è già famoso prende vita come uno
spettacolo teatrale.
The Wonderful Story of Henry
Sugar, la trama
Un’amata storia di Roald Dahl su un
uomo benestante che scopre un guru in grado di vedere senza usare
gli occhi e decide di imparare l’arte per imbrogliare nel gioco
d’azzardo. Henry – interpretato da Benedict Cumberbatch – è un giocatore
d’azzardo che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, prevede le
opportunità finanziarie che questo potere potrebbe garantirgli. Per
tre anni studia il metodo di meditazione e alla fine ottiene la
capacità di vedere attraverso le carte da gioco e persino di
prevedere il futuro. Henry porta il suo nuovo talento in un casinò
e vede l’avidità di coloro che lo circondano dopo aver vinto una
grossa somma di denaro. La sua “redenzione” sarà continuare a
bluffare nei casinò di tutto il mondo per aprire orfanotrofi e
aiutare i più bisognosi. Una storia abbastanza semplice resa
particolare dallo stile del regista.
L’omaggio di Anderson a Dahl è in
realtà un inno alla sua infanzia. Cresciuto con i libri dello
scrittore, il regista di Grand
Budapest Hotel ha ricercato informazioni per
oltre un decennio affinché la messa in scena del film risultasse
così fedele alla storia originale. Ralph Fiennes interpreta Dahl,
nella sua cabina dello scrittore a Gipsy House ed è tra le voci
narranti del film. The Wonderful Story of Henry Sugar ha
la peculiarità di avere molte voci narranti perché il racconto
continua a cambiare prospettiva. Questa caratteristica trova poi la
sostanza nella recitazione degli attori come Dev Patel quando
interpreta il medico che deve visitare il personaggio di Ben Kingsley. Lo stile dei vari protagonisti è
incalzante e va veloce, così come mediometraggio. Le molte voci
narranti fanno da effetto matrioska alla narrazione che si scopre
pian piano.
Il cinema di Wes Anderson
È uno dei suoi film più artistici
perché oltre all’uso dei colori c’è anche un utilizzo della
scenografia che diventa quasi un gioco di prestigio, ti cattura. A
differenza del suo film precedente presentato a Cannes 2023,
Asteroid City, con The Wonderful Story of
Henry Sugar tornano le scenografie dioramiche di Rushmore e Le
avventure acquatiche di Steve Zizou. Più che un mediometraggio
sembra un’opera teatrale fatta di lunghissimi monologhi dove
Anderson lascia carta bianca ai suoi interpreti. Per chi ama il
buon e vecchio cinema alla Wes Anderson, diventato ormai un marchio
di fabbrica – e forse per questo troppo inflazionato – The
Wonderful Story of Henry Sugar avrà il morale risollevato dopo
un Asteroid City criticato nonostante sia uno dei suoi
film più personali.
Megalopolis,
il tanto atteso progetto di Francis Ford Coppola,
è l’ultimo film ad ottenere un accordo ad interim con SAG-AFTRA. La
produzione del film è terminata all’inizio di quest’anno, quindi
non si sa a cosa servirà l’accordo, ma con la stagione dei festival
in accelerazione potrebbe ottenerne uno per essere venduto in uno
dei mercati, o potenzialmente per essere proiettato a un festival,
e in tal caso sarebbe necessario un accordo a fini
pubblicitari.
Il film è apparso sugli
aggiornamenti quotidiani di SAG-AFTRA della sua lista di accordi
provvisori. Secondo la corporazione, il film ha ottenuto l’accordo
mercoledì scorso. Le domande per gli accordi provvisori SAG-AFTRA
sono state rese disponibili il primo giorno dello sciopero degli
attori, il 14 luglio, e la gilda ha immediatamente ricevuto
“centinaia di domande… risponderemo a tutte”, ha
dichiarato il direttore esecutivo nazionale e capo negoziatore di
SAG-AFTRA. Duncan Crabtree-Ireland ha detto
all’epoca che i progetti non possono avere “alcuna impronta AMPTP
su di loro” se sperano di ottenere un accordo.
Da allora il processo è stato
perfezionato per includere accordi di casting e successivamente ha
modificato la sua politica di richiesta per escludere qualsiasi
progetto girato negli Stati Uniti coperto dalla WGA. Questa mossa è
stata operata in solidarietà con lo sciopero simultaneo degli
sceneggiatori che è giunto al suo 122esimo giorno.
Di cosa parla Megalopolis?
L’idea di Megalopolis è stata
ispirata dalla seconda Congiura di Catilina. Tuttavia, il film sarà
caratterizzato da un’ambientazione futuristica e sarà incentrato su
un ambizioso architetto che cova l’idea innovativa di ricostruire
New York City in un’utopia all’indomani di un disastro naturale che
ha rovinato le infrastrutture della città. Il pubblico può
aspettarsi immagini straordinarie poiché si dice che il film sia
girato utilizzando una tecnologia rivoluzionaria che impiega nuove
tecniche simili a quelle utilizzate per The Mandalorian.
Coppolla, che scrive e dirige il
film, ha riunito un emozionante cast costellato di star per quello
che potrebbe essere il suo canto del cigno. Oltre
a Adam
Driver, nel cast compaiono anche
Forest Whitaker,
Nathalie Emmanuel, Jon Voight,
Laurence Fishburne, Aubrey Plaza, Talia Shire,
Shia LaBeouf, Jason Schwartzman, Grace Vanderwaal, Kathryn
Hunter e James Remar.
Con un mediometraggio a sorpresa,
Wes Anderson ha partecipato a Venezia 80, dopo
aver portato a Cannes 2023 il suo Asteroid City.
Una iperattività che il regista di Huston racconta con grande
serenità, dal momento che se il film cannense è stato un progetto
che ha avuto un classico decorso, dall’idea alla realizzazione,
The Wonderful Story of Henry Sugar,
dal racconto di Roald Dahl, è un progetto che il
regista aveva nel cassetto da oltre vent’anni.
“Ho incontrato la famiglia Dahl
venti anni fa, quando volevo realizzare Fantastic Mr.
Fox. Ho incontrato la vedova di Dahl quando ero sul set di
I Tenenbaum, forse era il 2000. Sono cresciuto
amando i suoi libri e Henry Sugar era uno dei miei preferiti, ma
non riuscivo a vedere un modo per poterlo adattare, e così loro lo
hanno tenuto da parte per me, mettendo da parte i diritti di
sfruttamento. E poi un giorno ho capito che la chiave poteva essere
quella di basarsi sul linguaggio di dhal e quindi realizzare un
adattamento basato proprio sul linguaggio e sugli attori.”
Come tutti i film diretti da
Anderson, il cast è all-stars, guidato da
Benedict Cumberbatch nel ruolo da protagonista, e con
Ralph Fiennes,
Dev Patel,
Ben Kingsley, Rupert Friend e Richard
Ayoade. Sulle motivazioni che lo hanno spinto a realizzare
un mediometraggio e non un film da 90 minuti, Wes Anderson è stato
molto chiaro, spiegando che la storia aveva quel tipo di lunghezza
e quindi andava raccontata con quel ritmo:
“Volevo adattare proprio questa
storia. Per molti film si comincia da zero, per esempio adesso sto
lavorando con Roman Coppola a un’idea originale, e in partenza non
avevamo nulla. Ma quando adatti una cosa che già esiste, ce l’hai
già davanti agli occhi, e quindi volevo trovare la forma più
efficiente per raccontarla. Più che un film, Henry Sugar è stato
una presentazione teatrale, l’abbiamo realizzato in due settimane
circa.”
“Io non so quanta gente ha
voglia di andare al cinema per un film che dura solo 40 minuti, ma
a me piace andare al cinema e a cena, e così le due cose si possono
combinare!” Ha concluso scherzando.
L’80ª edizione della Mostra
del Cinema di Venezia presenta fuori
concorso due serie quest’anno e la prima a mostrarsi è
D’Argent et de Sang, diretta dal regista
Xavier Giannoli (regista di
Illusioni perdute) e basata
sull’omonimo libro di Fabrice Arfi, liberamente
ispirato all’incredibile storia della truffa della carbon
tax avvenuta tra il 2008 e il 2009. Un’opera che affronta
dunque un argomento scottante, forse meno noto – quantomeno agli
estranei al settore – rispetto ad altre note truffe di questo tipo,
ma certamente meritevole di essere raccontata, specialmente se da
una serie ben congeniata come questa.
D’Argent et de Sang, la trama della serie
Protagonista della serie è
l’ispettore doganale Simon Weynachter (Vincent
Lindon), che parte per rintracciare Jérôme
Attias (Niels Schneider) e Alain
Fitoussi (Ramzy Bedia), artefici di una
delle più grandi società truffe finanziarie di tutti i tempi.
Miliardi vanno infatti in fumo nel nuovo mercato delle “quote di
carbonio”, inventato per combattere l’inquinamento. Un gruppo di
furfanti da quattro soldi di Belleville si unisce dunque a un
trader altolocato per mettere in atto un raggiro epocale. Questo
succede quando il “capitalismo da casinò” si scontra frontalmente
con la politica, quando si scatenano passioni umane che vanno ben
oltre la semplice cupidigia.
La finanza per tutti
Oggigiorno è più facile manipolare
il mercato azionario che rubare una banca, spiega l’ispettore
interpretato da Lindon nei primi minuti del primo episodio. Una
premessa che permette di inserirsi più facilmente nel contesto in
cui si svolge il racconto, il quale pur essendo frutto di finzione,
prende spunto dagli eventi realmente verificatisi e resi possibili
dalla precaria situazione finanziaria causata dal crollo di Lehman
Brothers nel 2008. Non bisogna però lasciarsi spaventare
dall’argomento, perché pur non puntando ad una spettacolarità fatta
di ritmi esagitati o grossi colpi di scena, D’Argent et de
Sang sa come catturare l’attenzione dello spettatore.
Si parla molto, è vero, e spesso di
questioni economiche che potrebbero non essere così accessibili,
trovando però il modo di rendere chiaro ciò che occorre sapere sin
da subito. Giannoli e il suo co-sceneggiatore Jean-Baptiste
Delafon puntano infatti ad una semplificazione che non
banalizzi l’argomento ma lo renda allo stesso tempo comprensibile
sin da subito. Anzi, dagli episodi visti in anteprima la serie
sembra riuscire a garantirsi una propria identità, evitando di
raccontare la finanza in modo pedante ma anzi estetizzandola. Una
scelta che potrebbe non piacere a tutti, ma di certo non dovrebbe
scontentare gli interessati all’argomento.
La molteplicità di punti di vista,
inoltre, permette di avere una panoramica ampia sul racconto, così
da riuscire ad orientarsi nella progressione degli eventi. Ancora
una volta però è bene ribadire che il regista sceglie di non
puntare sugli aspetti più action o thriller a cui
una storia come questa potrebbe prestarsi, puntando piuttosto sulla
forza di ciò che emerge dai personaggi nel loro rapporto con quanto
avviene loro. D’Argent et de Sang è sì una serie su una
frode epocale, ma prima di ciò è il ritratto di come l’essere umano
si rapporti e trasformi con l’ambito finanziario, ormai alla base
del mondo.
Una serie guidata dai personaggi
Grazie all’ingresso facilitato di
cui si è parlato, lo spettatore può dunque farsi conquistare da
personaggi non solo ben scritti ma anche meravigliosamente
caratterizzati dai loro interpreti. Su Lindon c’erano pochi dubbi,
interprete francese tra i migliori in attività, capace di conferire
un certo peso tragico ma anche una forza emotiva non indifferente
al suo personaggio, un uomo che cerca di smascherare il male mentre
cerca di tenere insieme la propria vita privata. Ruba però in più
occasioni la scena Ramzy Bedia, che con il suo
Fitoussi dà vita ad un personaggio sopra le righe, capace di
risultare simpatico anche quando compie le proprie truffe.
Niels Schneider, invece,
particolare, porta in scena una personalità inquietante nella sua
imprevedibilità, che sempre più si svela come rappresentante di
quelle menti criminali attive in questo ambito, che possono
rivelarsi più pericolose del previsto. Sono dunque i personaggi,
ben più che l’argomento, a rivelarsi la forza della serie.
Personaggi profondamente umani, avidi, ingannevoli, pieni di vizi e
virtù. Tutte caratteristiche che sembrano emergere con maggior
forza quanto poste davanti alla tentazione del denaro e al pericolo
del sangue.
Arriverà il 10 novembre al cinema
The Marvels,
il film del MCU che vede tornare protagonista
Brie
Larson al fianco di Teyonah
Parris e Iman Vellani per un
team-up inedito tutto al femminile.
The Marvels, la trama
Nel film Marvel StudiosThe
Marvels, Carol Danvers alias Captain
Marvel deve farsi
carico del peso di un universo destabilizzato. Quando i suoi
compiti la portano in un wormhole anomalo collegato a un
rivoluzionario Kree, i suoi poteri si intrecciano con quelli della
sua super fan di Jersey City Kamala Khan, alias Ms. Marvel, e con quelli
della nipote di Carol, il capitano Monica Rambeau, diventata ora
un’astronauta S.A.B.E.R.. Insieme, questo improbabile trio deve
fare squadra e imparare a lavorare in sinergia per salvare
l’universo come “The
Marvels”.
Tutto ciò che sappiamo su The Marvels
The
Marvels, il sequel del cinecomic Captain Marvel con
protagonista il premio Oscar Brie
Larson che ha incassato 1 miliardo di dollari al
box office mondiale, sarà sceneggiato da Megan McDonnell,
sceneggiatrice dell’acclamata serie WandaVision.
Sfortunatamente, Anna
Boden e Ryan Fleck, registi del
primo film, non torneranno dietro la macchina da presa: il sequel,
infatti, sarà diretto da Nia DaCosta, regista
di Candyman.
Nel cast ci saranno
anche Iman Vellani(Ms.
Marvel, che vedremo
anche nell’omonima serie tv in arrivo su Disney+)
e Teyonah Parris (Monica Rambeau, già
apparsa in WandaVision). L’attrice Zawe
Ashton, invece, interpreterà il villain principale, del
quale però non è ancora stata rivelata l’identità. Il film, salvo
modifiche, arriverà in sala il 10 novembre
2023.