È trapelata dal set di Ant-Man and the Wasp: Quantumania una foto di
una sedia di produzione su cui campeggia il nuovo logo del film con
Paul Rudd eEvangeline
Lilly. Il look di questo logo è decisamente
particolare e ricercato e potrebbe richiamare il personaggio di
Kang il Conquistatore, che comparirà nel film.
Il regista Edgar Wright ha espresso interesse nei
confronti del franchise di James Bond, rivelando di avere addirittura
un’idea per la storia dell’eventuale prossimo capitolo del
franchise.
Ospite del podcast Happy Sad
Confused, Wright ha rivelato di essere assolutamente
disponibile per il prossimo capitolo della saga di Bond. A tal
proposito, il regista di Ultima notte a Soho (che arriverà nelle sale italiane
dal 4 novembre) ha detto di avere già un’idea su come dovrebbe
essere il prossimo film del franchise.
Secondo Wright, i film di Bond
tendono ad essere “o cioccolato fondente o cioccolato al
latte”. Dal momento che il ciclo di film con protagonista
Daniel Craig sono etichettabili come
“cioccolato fondente” secondo il regista, è arrivato il momento di
rilanciare il franchise attraverso nuove avventure classificabili
come “cioccolato al latte”.
“Non credo che continuare nella
stessa direzione dei film con Daniel possa davvero portare a
qualcosa. Sono convinto che sarebbe molto più interessante provare
a fare qualcosa di nuovo”, ha spiegato il regista.
“Ho una mia visione per il
futuro di Bond al cinema, e se mai dovessero contattarmi per
discutere della saga, cogliere l’occasione per proporla allo
studio. Non voglio parlarne pubblicamente, ma quando leggo dei
possibili nuovi attori per il ruolo, mi sembrano tutti la versione
2.0 di Daniel Craig. Penso che sia molto meglio cambiare
direzione.”
In No Time
to Die, Bond si gode una vita tranquilla in Giamaica
dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto vivere
viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un vecchio
amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La
missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si
rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle
tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa
tecnologia.
Creati dal leggendario fumettista
Jack Kirby alla fine degli anni ’70, gli Eterni sono sempre stati
tra gli eroi meno conosciuti del vasto catalogo di personaggi della
Marvel, fino a quando il film
Eternals non
è stato annunciato come parte integrante della Fase 4 del MCU.
Nonostante all’inizio il MCU fosse estremamente coinvolto nella
pianificazione di film riguardanti personaggi come Iron Man, Thor,
Capitan America e i Guardiani della Galassia, pare che in realtà
stesse già pianificando di introdurre, prima o poi, la razza di
immortali superpotenti al cinema.
La conclusione della Saga
dell’Infinito con Avengers:
Endgame ha aperto la strada al decollo di nuovissimi
franchise come Shang-Chi e, appunto, Eternals.
L’uscita di scena di Iron Man e Captain America ha lasciato spazio
all’introduzione di nuovi personaggi che potessero affiancare le
presenze relativamente più giovani della saga, come Doctor Strange
e Captain Marvel. Come Shang-Chi, anche Eternals ha
il potenziale necessario per rappresentare l’inizio di un nuovo
franchise del MCU.
Un nuovo libro di recente
pubblicazione, dal titolo: “The Story of Marvel Studios: The Making
of the Marvel Cinematic Universe”, fa luce sul fatto che, in
realtà, la Marvel aveva messo gli occhi su Ikaris, Thena e gli
altri Eterni da molto tempo prima che il film venisse ufficialmente
confermato. Secondo Screen
Rant, Joe Robert Cole (sceneggiatore di
Black
Panther e Black
Panther: Wakanda Forever), era stato inserito nel
programma di scrittura
della Marvel nel 2011, per aiutare a
creare storie per alcuni dei nuovi progetti dello studio. Durante i
suoi due anni trascorsi all’interno del programma, Cole ha scritto
le prime sceneggiature per Deathlok, Eternals e
Blade. Alla
fine Deathlok è stato accantonato, mentre le sceneggiature
realizzate per Eternals e
Blade non
sono più state utilizzate dalla Marvel, quando anni dopo
“ricominciò da zero” con entrambi i progetti.
Ciò dimostra che la Marvel ha sempre
visto un grandissimo potenziale nei personaggi degli Eterni,
nonostante si tratti di personaggi che non sono universalmente
conosciuti, soprattutto a chi non ha mai letto i fumetti. Eppure,
l’idea che una squadra di essere immortali potesse condividere la
Terra con gli umani da migliaia di anni ha sempre giocato un ruolo
fondamentale nella progettazione a lungo termine dei Marvel
Studios.
Eternals,
il terzo film della Fase Quattro dell’Universo Cinematografico
Marvel diretto dalla regista vincitrice dell’Academy
Award Chloé Zhao, arriverà il 3 novembre
nelle sale italiane. Il film targato Marvel
StudiosEternals presenta
un nuovo team di supereroi dell’Universo Cinematografico
Marvel: l’epica storia, che abbraccia migliaia di anni, mostra
un gruppo di eroi immortali costretti a uscire dall’ombra per
unirsi contro il più antico nemico dell’umanità, The Deviants.
Il cast del film
comprende Richard
Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma
Chan, che interpreta Sersi, amante
dell’umanità; Kumail
Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del
cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la
velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che
interpreta l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario
Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena.Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
Chloè Zhao, regista
premio Oscar per Nomadland, ha chiuso la Festa del Cinema di
Roma 2021 con l’evento più atteso di questa edizione, organizzato
insieme ad Alice nella Città, la prima europea di Eternals,
il film Marvel Studios, che ha portato
nella cavea dell’Auditorium i suoi protagonisti:
Angelina Jolie,
Richard Madden, Gemma Chan e
Kit Harington.
Zhao è stata scelta per dirigere il
film a lavori già cominciati, come ha raccontato in conferenza:
“Quando sono arrivata nel processo di creazione di questo film,
esisteva già un trattamento molto ricco. Quando Jack Kirby ha
creato questi personaggi, ha scelto di porli all’esterno delle
dinamiche del mondo condiviso, sono esterni, ci sono da sempre. Si
tratta di un gruppo di eroi che, proprio perché esterni, gli ha
permesso di aggiungere una prospettiva differente alle sue
storie.”
Secondo Zhao, si tratta di
un’esperienza interessante dopo l’enorme successo e l’incredibile
lavoro che è stato fatto con la Infinity Saga, che
ha davvero cambiato la storia del cinema contemporaneo in termini
di produzione e mercato.
Il film segna l’esordio nel MCU di
molti volti noti e amati dello spettacolo, su tutti
Angelina Jolie, che interpreta la guerriera Thena, ma
nel cast ci sono anche Richard Madden e Kit Harington, che avevano già lavorato
insieme in Game of Thrones e che ora si ritrovano
a condividere, seppur brevemente, un nuovo set molto importante.
Gemma Chan, che interpreta Sersi, si trova invece
nella singolare posizione di “tornare” nel MCU con un ruolo
completamente differente, visto che era già stata Minerva in
Captain Marvel.
“Mi sento così fortunata per
essere tornata una seconda volta, oltretutto con un personaggio
così diverso da quello che ho interpretato in precedenza, ero
sorpresa quando sono stata richiamata, mi sento molto
fortunata.” Ha commentato Gemma Chan.
Per Kit Harington è stato come tornare in un
progetto molto lungo, come già gli era capitato con Game Of
Thrones: “Questa è la mia prima volta nel MCU e devo dire che
ricevere una telefonata da loro è proprio una bella chiamata. Non
me lo aspettavo, sono già stato in una lunga serie e questo
progetto mi piace tanto.”
Angelina Jolie aveva già espresso il suo gradimento
per questo franchise e ha confermato che per lei è stato molto
bello arrivare in questo universo proprio con il personaggio di
Thena. “Volevo farne parte e mi sento fortunata a essere
arrivata in questo momento con questo personaggio, amo la famiglia
che è protagonista del film, amo la diversità e l’inclusione di
questo cast. Spero diventi una nuova normalità per ogni tipo di
produzione e sono contenta che in questo modo la gente si veda
finalmente rappresentata al cinema.”
Richard Madden ha invece confessato di essere
un vero e proprio fan del MCU, ed essere dentro a uno dei film più
particolari e complessi di questo universo è stato incredibile:
“Sono sempre stato un grande fan di questi film, e mi
ritrovarmi adesso in una scena a citare Thor o Thanos è stato
davvero strano”.
Da regista premio Oscar che ha
diretto un cinecomic, Zhao sembra rappresentare il perfetto
equilibrio tra il cinema d’autore e quel cinema più rumoroso e ad
alto budget. Secondo la regista però non c’è contrasto tra i due
modi di fare cinema, dal momento che “stiamo danzando sul bordo
di un revisionismo artistico, ed è importante vedere come i Marvel
Studios desiderano sfidare il loro stesso genere. I concetti di
eroismo, di trovare un posto nel mondo, di dividere il bene dal
male, sono argomenti che il cinema sta cercando di raccontare da
sempre eppure nei fumetti c’è già tutto. Tutto quello che definisce
un personaggio moderno è già presente nelle storie a fumetti
Marvel.”
Il cast è d’accordo sugli elementi
fondamentale di Eternals:
la famiglia, la diversità, l’amore e la connessione con il pianeta
Terra. Secondo la regista, il pubblico entrerà subito in sintonia
con il personaggio di Sersi, in particolare, perché è il primo che
si affeziona ai terrestri, e li guarda con affetto e compassione,
ama vivere tra loro e desidera proteggerli più di ogni altra
cosa.
Non solo, Sersi è anche coinvolta
nella storia d’amore che, alla fine dei giochi, deciderà se sorti
della Terra. “L’amicizia che lega Gemma e Richard – ha
commentato Chloè Zhao– è stata un dono
prezioso per tutto il film. Loro ci hanno fatto dono del loro
legame e della loro complicità, così che tutto il film ne
risultasse impreziosito.”
Il cast di Eternals
Eternals
arriva in sala a partire dal 3 novembre, è diretto da Chloè
Zhao e vede protagonisti Richard Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma Chan, che interpreta Sersi,
amante dell’umanità; Kumail Nanjiani, che
interpreta Kingo, dotato dei poteri del cosmo; Lauren
Ridloff, che interpreta la velocissima
Makkari; Brian Tyree Henry, che interpreta
l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta
il solitario Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena. Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
C’è ancora molto che non sappiamo su
Spider-Man:
No Way Home, ma secondo il regista Jon
Watts, la portata del threequel sarà più grande di
qualsiasi cosa abbiamo visto fino ad ora. “Di certo, stiamo
cercando di essere particolarmente ambiziosi”, ha anticipato
il regista a
Emprie Magazine. “Sarà l’Endgame del franchise di
Spider-Man”.
Tom
Holland, nel frattempo, ha rivelato che all’inizio era
piuttosto scettico in merito all’idea del film: “Quando mi è
stata lanciata l’idea la prima volta, ho pensato che fosse
semplicemente fantastica”, ha spiegato l’attore.
“Tuttavia, non pensavo che potesse davvero funzionare. Invece
alla fine è successo. Il risultato finale sarà pazzesco.”
Insieme a queste nuove
dichiarazioni, la celebre rivista ha anche svelato due nuove
immagini ufficiali tratte dal film. In una delle due, vediamo il
Doctor Octopus di Alfred Molina che insegue Iron Spider, mentre
nell’altro sembra che Peter Parker, colto nella sua tradizionale
posa di atterraggio, stia affrontando una minaccia sconosciuta.
Il film è diretto
da Jon Watts (già regista
di Homecoming e Far
From Home) e prodotto da Kevin
Feige per i Marvel
Studios e da Amy Pascal per la
Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17
dicembre 2021.
La scena post-credit del primo
Iron Man ha stabilito non solo l’esistenza
dell’Iniziativa Avengers, ma anche il ruolo chiave che Nick Fury avrebbe giocato nel futuro del
MCU in quanto direttore dello
SHIELD. Il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson è stato un vero e proprio
collante all’interno della Fase 1, ma oggi scopriamo che,
all’inizio, non c’erano dei piani per eventuali sue apparizione in
altri film.
A quanto pare, infatti,
l’apparizione di Nick Fury nella scena post-credit di Iron man del
2008 è stata concepita all’inizio come qualcosa di isolato: i
Marvel Studios non avevano alcun piano per il futuro del
personaggio sul grande schermo. Come raccontato nel libro di
recente pubblicazione: “The Story of Marvel Studios: The
Making of the Marvel Cinematic Universe“, Jackson aveva
accettato il ruolo di Fury dopo aver appreso della somiglianza con
il personaggio dei fumetti, ma all’epoca non esisteva nessun
accordo per il suo coinvolgimento in altri film. La Marvel non
aveva pianificato ancora nulla perché non sapeva se il pubblico si
sarebbe realmente interessato a ciò che quella scena post-credit
avrebbe anticipato.
Come riportato da Screen
Rant: “Jeremy Latchman dice che avevano chiamato Samuel L.
Jackson per chiedergli se fosse ancora interessato alla parte. In
tal caso, si sarebbe trattato di un breve cameo. ‘Non avevamo alcun
accordo con lui per eventuali film futuri'”, chiarisce
Latchman, vicepresidente del settore produzione e sviluppo dei
Marvel Studios. “Forse al pubblico non sarebbe fregato nulla di
quella scena, e se Jackson fosse stato d’accordo, alla fine
l’avremmo tenuta. Nonostante durasse poco e all’epoca non
rappresentava ancora nulla, decidemmo comunque che doveva rimanere
un segreto, in modo da evitare ai fan dei fumetti di rovinarsi la
sorpresa.”
La scena post-credit del primo
Iron Man del 2008 si è rivelata poi l’inizio di un
vero percorso per il personaggio di Nick Fury all’interno del MCU.
In seguito, Samuel L. Jackson ha firmato un contratto per
apparire in ben 9 film dei Marvel Studios, a cominciare da
Iron Man 2, uscito soltanto due anni dopo. Ad oggi sono
state persino raccontate le origini del personaggio in Captain
Marvel, mentre lo stesso si appresta a tornare nella Fase
4 grazie all’attesissima serie in arrivo su Disney+Secret
Invasion.
L’arco narrativo di Tony Stark/Iron Man nel MCU si è concluso in maniera
tragica, nonostante il sacrificio compiuto dall’eroe alla fine di
Avengers:
Endgame abbia assunto un significato davvero
speciale, soprattutto in riferimento a tutta la storia pregressa
del supereroe.
Tuttavia, pare che inizialmente
Robert Downey Jr. non fosse molto d’accordo a
girare l’iconica scena in cui il suo personaggio, poco prima di
schioccare le dita, pronuncia in maniera audace le parole:
“Sono Iron Man”, in risposta a Thanos che, in precedenza,
aveva esclamato di essere “ineluttabile”.
Nel taglio originale di Endgame,
Iron Man non avrebbe dovuto pronunciare alcuna battuta in quel
momento. Tuttavia, mentre i Russo stavano lavorando al montaggio,
hanno ritenuto giusto che l’eroe pronunciasse di nuovo una delle
sue frasi più iconiche (che si ricollega direttamente al primo film
del 2008, quando Tony Stark rivelò la sua identità di supereroe al
mondo intero).
All’epoca, era trascorso già un po’
di tempo dalla conclusione delle riprese principali. Per quanto,
quando Downey Jr. è stato informato delle riprese aggiuntive e
della “nuova” battuta, inizialmente non era intenzionato a
pronunciarla. Il motivo è stato spiegato dal presidente dei Marvel
Studios Kevin Feige e dal co-regista di EndgameAnthony Russo nel libro di recente
pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of the
Marvel Cinematic Universe” (via
ComicBook).
Kevin Feige:
“All’inizio, quando ha scoperto che volevamo tornare sul set e
girare una nuova versione di quello che è probabilmente il momento
più emozionante dell’interno film, Robert era contrario.”
Anthony Russo:
“Non è una cosa sulla quale è facile raggiungere un
compromesso. È stato difficile far orientare di nuovo Robert
all’interno della scena. È stato difficile per lui capire, nello
specifico, a che punto della narrazione eravamo. Quando ti chiudi
in sala di montaggio e lavori giorno e notte al suo film, arriva un
momento in cui il materiale lo conosci a memoria. L’hai davvero
esplorato da ogni punto di vista possibile. Tuttavia, non significa
che non si possano avere nuove idee. A quel punto, eravamo davvero
sicuri di ciò che cui quella scena aveva bisogno.”
Avengers:
Endgame è arrivato nelle nostre sale il 24 aprile
2019, diventando il maggior incasso nella storia del cinema. Nel
cast del film – tra gli altri – figurano Robert
Downey Jr., Chris
Evans, Mark
Ruffalo, Chris
Hemsworth e Scarlett
Johansson. Dopo gli eventi devastanti di Avengers:
Infinity War, l’universo è in rovina a causa
degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati
rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi
ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare
l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle
conseguenze che potrebbero esserci.
Il Doctor Octopus di Alfred Molina e il Green Goblin
di Willem
Dafoe sono già stati confermati, e siamo sicuri
al 99,9% che rivedremo anche il Peter Parker di Tobey
Maguire. Tuttavia, chi abbiamo effettivamente visto in
azione nel primo trailer di No Way
Home è stato proprio il Doc Ock di Molina,
personaggio che l’attore aveva già interpretato in Spider-Man
2 del 2004, diretto appunto da Raimi.
In una recente intervista con
Empire, il presidente dei Marvel StudiosKevin Feige ha parlato di come sono stati
scelti i cattivi che dovevano apparire nei film del MCU dedicati
alle avventure dell’Uomo Ragno. Feige ha specificato che l’intento
è sempre stato quello di far debuttare personaggi che non erano mai
apparsi prima sul grande schermo, come Avvoltoio o Mysterio.
Tuttavia, quando si è parlato del
ritorno di Octopus, il produttore ha confermato che non avrebbe mai
sostituito Alfred Molina, anche se la sceneggiatura
avesse richiesto una rivisitazione del personaggio, dal momento che
considera la sua iterazione di Doc Ock assolutamente perfetta.
“Volevamo davvero rivisitare
cattivi che erano già apparsi in precedenza? No, volevamo portare
Avvoltoio, Mysterio e altri personaggi che non avevamo mai visto al
cinema prima d’ora”, ha spiegato Feige. “Ricordo però di
aver pensato: ‘Come potremmo riproporre Doc Ock con un altro
attore?’. Alfred Molina era perfetto. Quindi alla fine decisi che,
semmai l’avessimo riportato indietro, sarebbe stato comunque lui,
in un modo o nell’altro.”
Il film è diretto
da Jon Watts (già regista
di Homecoming e Far
From Home) e prodotto da Kevin
Feige per i Marvel
Studios e da Amy Pascal per la
Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17
dicembre 2021.
Dal set siciliano di Indiana
Jones 5, arrivano nuove foto della produzione che vede
coinvolto Harrison Ford, ancora nei panni del professor
Jones. Questa volta, al suo fianco, c’è Phoebe Waller-Bridge, attrice e autrice molto
premiata che sta continuando la sua scalata di Hollywood, dopo il
successo di Fleabag, per Amazon Prime Video.
James
Mangold(Logan –
The Wolverine) sarà il regista di Indiana
Jones 5 al posto di Steven
Spielberg, che invece aveva diretto tutti gli altri
capitoli precedenti della saga. A bordo del progetto torna
invece John Williams, già compositore
dell’iconica colonna sonora che accompagna il personaggio da 40
anni. Nel cast, oltre a Harrison
Ford, ci sarà anche Phoebe
Waller-Bridge. Le riprese dovrebbe partire in
primavera.
Prima dell’ingaggio di Mangold, la
sceneggiatura era stata affidata a David
Koepp, he ha poi lasciato il progetto
insieme a Spielberg. Prima di Koepp, anche Jonathan
Kasdan (figlio dello sceneggiatore de I
predatori dell’arca perduta, Lawrence Kasdan) aveva messo le
mani sullo script. L’uscita nelle sale del film è già stata
posticipata diverse volte: inizialmente previsto per il 19 Luglio
2019, il film è stato rinviato prima al 10 Luglio 2020, poi al 9
Luglio 2021 e infine al 29 Luglio 2022.
La trama di Planet
Hulk ha attraversato i fumetti dedicati all’iconico
Gigante di Giada tra l’aprile del 2006 e il giugno del 2007, ideata
dallo scrittore Greg Pak e dagli artisti Carlo Pagulayan e Aaron
Lopresti. Quella storyline si concentra sull’atterraggio di Hulk
sul pianeta alieno di Skaar, con l’alter ego di Bruce Banner che si
ritrova poi a guidare una rivoluzione di gladiatori.
Fin dall’uscita del fumetto,
Planet Hulk è sempre stata considerata una delle migliori
trame legate ad Hulk, con la maggior parte dei fan che ha sempre
chiesto a gran voce che quella storyline venisse adattata in un
lungometraggio. Tuttavia, a causa dei complicati diritti sul
personaggio, ancora non è stato possibile realizzare un nuovo film
da solista interamente dedicato al Gigante Verde (cosa che
probabilmente non accadrà mai). Tuttavia, alcuni elementi della
trama di Planet Hulk sono stati combinati all’interno di
Thor: Ragnarok di
Taika Waititi, come i personaggi di Korg e Miek, ma anche la
versione gladiatore di Hulk.
All’interno del libro di recente
pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of
the Marvel Cinematic
Universe“, scritto da Tara Bennett e Paul Terry, viene
rivelato che uno dei maggiori ostacoli nell’adattare la trama di
Planet Hulk è stato, in realtà, il piccolo ruolo che ha Bruce
Banner all’interno della storia. Nel libro, il presidente dei
Marvel Studios Kevin Feige ha affermato: “Non abbiamo mai
nemmeno preso in considerazione l’idea di adattare Planet Hulk,
perché, per quanto il fumetto sia fantastico, Bruce Banner non fa
parte di Planet Hulk.”
A quanto pare, a
Joss Whedon venne addirittura chiesto di cambiare il finale di
Avengers: Age of Ultron in modo che i fan non avessero
la sensazione che nel futuro del MCU ci potesse essere proprio un
film basato su Planet Hulk.
ComicBook riporta la dichiarazione completa di Feige contenuta
nel libro: “Ho detto: ‘Joss, non possiamo farlo. La gente
penserà che stiamo cercando di adattare Planet Hulk. Così hanno
chiesto a Whedon di cambiare parte dei dialoghi e dire che
l’avevano perso mentre era ancora sulla Terra, e hanno poi
sostituito il cielo stellato realizzato attraverso i VFX con il blu
dell’atmosfera terrestre.”
Open Arms – La legge del mare
edizione della Festa del Cinema di Roma.
Il film vincitore del “Premio del
Pubblico FS”, in collaborazione con il Gruppo FS Italiane, Official
Sponsor della Festa, è stato votato dagli spettatori della prima
replica dei film della Selezione Ufficiale attraverso l’APP
ufficiale e il sito www.romacinemafest.it.
Luca Torchia, Chief Communication
Officer di FS Italiane, ha consegnato il “Premio del Pubblico FS”
ad Aldo Lemme, Head of Theatrical Distribution di Adler
Entertainment che distribuirà il film in Italia.
Mediterráneo (Open Arms
– La legge del mare) è una produzione spagnola di Lastor
Media, Fasten Films, Arcadia Motion Pictures, Cados Producciones
con la casa di produzione greca Heretic.
MEDITERRÁNEO |
MEDITERRANEO: THE LAW OF THE SEA | OPEN ARMS – LA LEGGE DEL
MARE
di Marcel Barrena, Spagna, Grecia,
2021, 111’
Cast: Eduard
Fernández, Dani Rovira, Anna Castillo, Sergi López, Àlex Monner,
Melika Foroutan
Autunno 2015. Due bagnini spagnoli,
Òscar e Gerard, colpiti dalla straziante fotografia di un bambino
annegato nel Mediterraneo, vanno nell’isola di Lesbo, dove scoprono
una realtà sconvolgente: ogni giorno migliaia di persone rischiano
la vita cercando di solcare il mare con imbarcazioni precarie, per
fuggire dalla miseria e dalle guerre che affliggono i loro Paesi
d’origine. Ma la cosa più sconcertante è che nessuno sta svolgendo
attività di salvataggio. Insieme a Esther, Nico e agli altri membri
della loro squadra, Òscar e Gerard lotteranno per compiere il
lavoro disatteso dalle autorità e per portare a migliaia di persone
l’aiuto di cui hanno estremo bisogno. Dalla storia vera di Òscar
Camps, il fondatore di Open Arms.
NOTE DI REGIA per Open Arms
– La legge del mare
Nel settembre del 2015 il mondo
tremò davanti alla foto di Aylán Kurdi, un bambino senza vita su
una spiaggia del Mediterraneo. A Òscar Camps, bagnino di Badalona,
quell’immagine ha cambiato la vita. Convinse il suo amico Gerard
Canals ad andare a Lesbo per vedere cosa stava accadendo. Quello
che era iniziato come un viaggio di due giorni divenne una missione
che si protrasse per mesi e che, a oggi, ha salvato la vita a più
di 60.000 persone. Dopo aver visto quella foto, Òscar lasciò tutto
per salvare molta gente da morte certa e denunciare quanto stava
avvenendo. Io che cosa potevo fare? Non sono un bagnino, ma potevo
fare un film che desse visibilità a ciò che stava succedendo a sole
due ore di aereo da casa nostra. Per quattro anni abbiamo lavorato
a Lesbo per conoscere in prima persona la situazione e dare forma a
un progetto in cui abbiamo affrontato l’inimmaginabile. Abbiamo
girato nei veri uffici dei soccorritori di Open Arms. Abbiamo
ricostruito il campo profughi di Moria e assunto come comparse
centinaia di rifugiati. Né il film né io abbiamo le risposte per
porre fine a ciò che accade nel Mediterraneo, ma possiamo fare da
megafono perché nessuno dimentichi quel che avviene sulle nostre
coste.
Il XXVI Linea d’Ombra
Festival a Salerno si è aperto con il primo grande
ospite di questa edizione, in presenza finalmente, e che già nel
primo giorno di proiezioni e incontri ha segnato il tutto esaurito
per tutti gli appuntamenti.
Niccolò Ammaniti, scrittore, sceneggiatore, regista,
si è aperto con il pubblico che ha gremito la Sala Pasolini di
Salerno al 100% della capienza, durante la conversazione condotta
dal direttore artistico Boris Sollazzo, introdotta
dal presidente e fondatore del festival Peppe
D’Antonio.
Niccolò Ammaniti ha ripercorso gran
parte della sua carriera, quella letteraria che molto presto si è
intrecciata con il cinema e poi quella da regista, legata a due
serie televisive di grande successo internazionale, Il
miracolo e Anna. E proprio dal romanzo da cui
poi ha tratto la serie parte Ammaniti per raccontarsi.
“Dopo avere finito di
scrivere Anna mi sono accorto che avevo perso interesse
nello scrivere, mi sono chiuso, non vedevo e non sentivo nessuno, e
così per la prima volta in vita mia ho deciso di rivolgermi a uno
psichiatra che semplicemente mi ha detto che dovevo vedere gente,
fare cose nuove, solo che avevo allontanato tutti. Allora mi è
venuta in mente una cosa che mi disse una volta Marco Risi, che
stare sul set è bello perché hai un sacco di amici che paghi per
stare con te. Ed è quello che ho fatto con Il miracolo, ho detto
subito a tutta la troupe che dovevano essere miei amici, la mia
famiglia, decidere di fare il regista è stata una necessità umana
mediata da una sceneggiatura di cui tu racconti a ognuna delle
persone che lavorano con te una verità parziale”.
Parlando di Marco
Risi, Ammaniti ha ricordato l’esperienza de
L’ultimo capodanno, primo film tratto da
un suo racconto. “Fu un’esperienza bellissima, Marco mi permise
di stare sempre sul set e li ho capito l’importanza che nel cinema
hanno i luoghi. Una notte stavamo girando a Corso Francia, una
grande strada di Roma trafficatissima, una strada che non può
chiudere e che invece era stata chiusa per un film. Lì ho capito la
potenza del cinema”.
Purtroppo il film fu un disastro al
box office, “non ci andò veramente nessuno, tanto che con Marco
andammo da una maga, perché eravamo convinti che qualcuno avesse
fatto il malocchio al film. Allora andammo da questa maga della
Maglianella, di cui avevano parlato a Marco dicendogli che era
fenomenale. Ma non funzionò neanche quello”.
Un altro incontro molto importante
per Niccolò Ammaniti fu quello con Bernardo
Bertolucci. “Io
e teè stato il primo romanzo che ho pensato avrei
potuto anche dirigere. Ma quando Bernardo manifestò il suo
interesse ho immediatamente rinunciato”.
Cosa che non fece con Il
miracolo, “la prima volta che non ho avuto il
desiderio di scrivere il romanzo prima di far diventare questa
storia qualcos’altro, perché non sarei stato in grado di rendere il
sangue che sgorga da questa madonna sulla pagina, servivano le
immagini”. Una serie che gli ha insegnato il mestiere della
regia “sbagliando tanto, sin dal primo giorno, quando ho fatto
delle inquadrature bruttissime e poi ho voluto fare una scena alla
Michael Cimino che era una schifezza”.
Tutte cose però che hanno fatto
cresce l’Ammaniti regista, come dimostrato nella serie successiva,
Anna, tratta dal suo romanzo che si è
dimostrato in qualche modo profetico e da cui lo stesso regista è
stato travolto.
“Quando ci hanno detto che
avremmo dovuto interrompere le riprese per il Covid non volevo
accettare la cosa, sulla nave che da Palermo mi riportava a Roma
ero da solo, ho pensato che sarebbe stata una scena clamorosa.
Durante il lockdown la mia preoccupazione era che i bambini
crescessero troppo, quando ci vedevamo su Zoom glielo dicevo ‘non
crescete’”.
Niccolò Ammaniti è ripartito, e dal
pubblico di Linea d’Ombra e da Boris Sollazzo si è
congedato con due grandi notizie. La prima, di cui già si
sapeva qualcosa, è che dopo sette anni è tornato a scrivere
un romanzo.
“Scrivere libri è una cosa
fantastica, ti permette ti stare nella mente dei tuoi personaggi a
lungo, cosa che in una serie e al cinema non puoi fare, perché devi
dare spazio all’azione. Quindi mi sto divertendo, e dopo il gran
culo che mi sono fatto sul set mi sono anche detto adesso me ne sto
a casa, comodo, con i miei cani, a scrivere. Il titolo del romanzo
sarà La vita intima”.
La seconda è che dopo due serie,
è arrivato il momento di fare un film. “Non
subito, voglio prima finire la prima stesura del romanzo, ma il
film è già scritto. Non posso dire niente, se non che si tratterà
diun horror, siciliano, che ruoterà attorno alla
mitologia di quella terra”.
La prima giornata di Linea d’Ombra
ha anche tenuto a battesimo il lungometraggio italiano inserito nel
concorso Passaggi d’Europa, The Grand
Bolero, di Gabriele Fabbro, con protagoniste
Lidia Vitale e Ludovica Mancini, un piccolo grande
film che racconta una passione tra due donne durante il lockdown
attraverso una storia ricca di suggestioni visive e sonore che è
stata molto apprezzata dal pubblico che si è poi intrattenuto con
il regista, le protagoniste, il produttore e la scenografa in un
appassionato Q&A dopo la proiezione.
Linea d’Ombra continua
domenica 24 ottobre con Roberto Andò, che
racconterà al pubblico il suo cinema e le sue storie, a partire da
Il bambino nascosto, il film con
Silvio Orlando, tratto dal romanzo omonimo dello
stesso regista, che è stato presentato fuori concorso all’ultima
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e che
arriverà nei cinema il 4 novembre.
E poi lunedì 25
ottobre grande attesa per l’arrivo di Valeria
Golino, per parlare con l’attrice e regista di un anno per
lei ricco di soddisfazioni, con tanti film e il ritorno negli Stati
Uniti al fianco di due star come Reese Witherspoon e
Jennifer Aniston, nella serie prodotta da Apple
Tv+The Morning Show,
un’interpretazione che potrebbe darle molte soddisfazioni nella
award season.
Petite Maman di Céline
Sciamma vince il Premio come miglior film Alice nella
Città 2021. La giovane giuria, composta da 30 ragazzi provenienti
da tutta Italia, ha scelto di attribuire il riconoscimento al
“delicato, elegante, profondo e poetico” film della regista
francese per la sua “capacità di coinvolgere emotivamente e di
trasportare lo spettatore, all’interno di un viaggio immersivo e
nostalgico, in un mondo che fa della purezza e della semplicità i
suoi punti di forza”.
“Voglio ringraziare la giuria
del festival – dichiara Céline Sciamma –
per aver realizzato il sogno del film: una sala cinematografica
piena di ragazze e ragazzi. A loro voglio dire grazie. Grazie per
l’emozione, per la sensibilità, per la curiosità. Come dicono le
parole della canzone del film: il mio cuore è nei vostri cuori, i
vostri cuori sono nel mio cuore”.
Da sempre attenta al mondo dei
giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma è tornata
con Petite Maman alle atmosfere di
Tomboy, uno dei suoi film più amati,
dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il
film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo
la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna
dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si
imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna
di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si
chiama proprio Marion…
Grazie a una storia che molti
critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman ha saputo gli spettatori
con la sua riflessione commossa sulla memoria, l’amicizia e la
famiglia. Il film, che rappresenta la prima collaborazione tra
Teodora e MUBI, è
uscito al cinema il 21 ottobre e sarà in streaming in esclusiva su
MUBI nel 2022.
Dopo aver visto le prime
tre puntate della miniserie creata da Dan
Futterman (candidato all’Oscar per gli script di A
sangue freddo – Capote e Foxcatcher, entrambi di Bennett
Miller) appare chiaro che lo scopo principale di
AmericanRust sia quello di
mettere in scena le condizioni tutt’altro che agiate in cui versa
oggi una buona parte del Nord Est degli Stati Uniti. Tale
intenzione si sovrappone alla trama principale dello show, cercando
un equilibrio tra melodramma e thriller che pende fin troppo in
favore del primo genere.
American Rust, la trama
Dal momento che
l’ambientazione dello show trasmesso in America da Showtime è
dunque fondamentale, un contesto storico-sociale è del tutto
necessario. Il set principale della storia adattata dal romanzo di
Philipp Meyer è Buell, cittadina del sud della
Pennsylvania. Ovvero nel mezzo della cosiddetta “Rust Belt”
(Cintura di Ruggine), territorio che in particolar modo dopo
la Seconda Guerra Mondiale aveva sviluppato una fiorente economia
basata sull’industria pesante, salvo poi essere stata “abbandonato”
a se stesso a partire dalla fine degli anni ‘70. Il decennio
successivo ha costretto larga parte dei cittadini alla
disoccupazione, causando di conseguenza povertà, abuso di droghe,
criminalità. È in questo clima di desolazione che si muovono i
personaggi di American Rust: protagonista della serie è Del Harris,
uomo di legge che deve catturare l’assassino di un suo ex-collega
dal passato tutt’altro che integerrimo. Il principale indiziato è
il giovane Billy Poe, figlio della donna con cui proprio Harris
vorrebbe costruire il proprio futuro. Il dilemma è quindi semplice:
fare il proprio dovere diretto verso la ricerca incondizionata del
colpevole oppure “pilotare” le indagini in modo da deviare
l’attenzione lontano dal ragazzo?
Il giallo è un pretesto
Fin dall’episodio pilota
si può chiaramente intuire che in American Rust
l’ossatura del giallo è poco più di un pretesto: il solo fatto che
l’episodio venga costruito come un lungo flashback rivela quanto
Futterman e il regista John Dahl – anni fa diresse
il notevole ma sfortunato Il giocatore con
Matt Damon ed
Edward Norton – siano maggiormente interessati alla
rappresentazione del contesto rispetto allo sviluppo della trama.
L’interesse che American Rust suscita nello
spettatore sta principalmente nella rappresentazione dell’umanità
lasciata indietro in cittadine come Buell: la desolazione economica
e soprattutto umana che lo show mette in scena possiede un realismo
malinconico capace di non scivolare mai in atteggiamento
pietistico.
Personaggi e figure in
chiaroscuro, sconfitte dal tempo o dalle vicissitudini di una vita
fatta di stenti, si alternano a momenti in cui la vitalità e la
voglia di affermare il proprio valore colpiscono nel profondo, come
in una bella sequenza di matrimonio nel secondo episodio. La
rappresentazione sentita e partecipe di tale umanità non riesce
però a distogliere l’attenzione dal fatto che il meccanismo di
detection riguardante l’omicidio, ovvero il catalizzatore della
trama, in realtà funziona a stento: le indagini si sviluppano con
un meccanismo narrativo estremamente lento e tutto sommato poco
interessante. I potenziali indiziati del crimine vengono sviluppati
come personaggi stranamente inconsistenti, che nel corso degli
episodi diventano sempre più stereotipati sia nelle azioni che nei
meccanismi psicologici. E tale mancanza di presa emotiva sulla
vicenda della soluzione del puzzle alla lunga mina l’efficacia
degli episodi stessi.
Jeff Daniels merita la visione
Se American
Rust merita comunque uno sguardo è senza dubbio per le
interpretazioni corpose di alcuni attori del cast principale: prima
di tutto il protagonista Jeff Daniels, capace di tratteggiare un Del
Harris piegato dalla stanchezza e da un passato doloroso che tenta
comunque di svolgere il proprio lavoro con la dignità rimasta.
L’attore amato qualche anno fa nella serie The Newsroom creata da Aaron
Sorkin lavora in questo caso con i mezzitoni e le
sfumature del ruolo in maniera magistrale. Accanto a lui un altro
“veterano” come Bill Camp – il quale ha ottenuto la consacrazione
sul piccolo schermo con una miniserie poderosa quale The
Night Of – contribuisce a impreziosire
American Rust insieme alla sempre efficace Maura
Tierney. Insomma, se scoprire il colpevole in questo show non
sembra poi così avvincente o anche necessario, rimane comunque la
soddisfazione di vedere all’opera attori di bravura
consumata.
Con Il silenzio degli
innocentiHannibal Lecter è diventato uno dei
personaggi più iconici del cinema, merito anche
dell’interpretazione da Oscar di Anthony
Hopkins. Protagonista poi anche di diverse opere
successive al film del 1991, Lecter era in realtà già apparso sul
grande schermo nel 1986 con il celebre film Manhunter –
Frammenti di un omicidio (dove il cognome viene però
modificato in Lektor), diretto dal maestro del cinema
d’azione Michael Mann (suoi sono acclamati
film come Heat – La sfida, Insider – Dietro la verità
e Collateral). Questo
film ha così gettato le basi per una vera e propria mitologia,
riadattando i canoni del genere per dar vita a nuove forme di paura
e tensione.
Oltre ciò, Manhunter si
presenta però come un’opera più complessa di quanto potrebbe
sembrare in apparenza. Non si tratta della classica storia di sfida
tra detective e serial killer, poiché questo rapporto è arricchito
da una serie di elementi che rendono i due personaggi a loro modo
speculari, entrambi figli di una società malsana che li circonda.
Caratterizzati dai colori blu e verde, ricorrenti in tutto il film,
i due personaggi anticipano quella sfida tra bene e male
riscontrabile anche in Heat, dove però i confini tra
questi due valori vengono spesso ad essere poco definiti.
Con Manhunter, Mann
suggerisce dunque di come per poter catturare un serial killer,
occorra esserlo a propria volta. Poco apprezzato al momento della
sua uscita, quest’opera è oggi un cult imperdibile e da riscoprire
in ogni suo aspetto, tanto narrativo quanto tecnico e visivo. Prima
di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi al libro, alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il libro da cui è tratto il film
Il film di Mann, di cui egli è anche
sceneggiatore oltre che regista, è tratto dal romanzo del 1981
Red Dragon, scritto da Thomas
Harris. Si tratta del primo libro a contenere il
personaggio di Hannibal Lecter e gli altri divenuti poi popolari
con i film. Harris, da sempre appassionato delle storie dedicate a
serial killer, si documentò molto prima di scrivere la propria,
incontrando agenti dell’FBI e apprendendo da loro tutto ciò che
c’èra da sapere su queste personalità. Scritto in quasi totale
isolamento in un monolocale di circa 3.5 metri quadrati, il libro
divenne poi un successo straordinario, incontrando da subito
l’interesse di Hollywood.
Per il primo adattamento, quello di
Manhunter, si decise tuttavia di modificare il titolo
poiché Red Dragon poteva far pensare ad un film di arti
marziali. Nel 2002, tuttavia, è stato realizzato un nuovo
adattamento del romanzo, stavolta con il titolo di Red
Dragon. Nel tempo trascorso tra i due film, però, Harris aveva
pubblicato anche due sequel del suo romanzo, rispettivamente Il
silenzio degli innocenti e Hannibal. Entrambi furono
poi adattati negli omonimi film, usciti nel 1991 e nel 2001. Con
questa trilogia Harris si concentrò sempre di più sulla figura di
Hannibal Lecter, rendendolo il personaggio iconico che oggi tutti
conosciamo.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: la trama del film
Protagonista del film è l’ex agente
Will Graham, ora andato in pensione anticipata
dopo aver subito gravi ferite fisiche e psichiche in seguito ad uno
scontro con il serial killer cannibale Hannibal
Lektor. Sapendo ora il criminale dietro le sbarre di una
prigione di massima sicurezza, Graham può godersi il suo meritato
riposo insieme alla moglie Molly e al figlio
Kevin, cercando di dimenticare quanto accadutogli.
La comparsa di un nuovo assassino, che si fa chiamare Dente
di Fata, scuote profondamente la sua tranquillità. Il
killer si è infatti affermato per il suo commettere spaventose
stragi durante le notti di plenilunio, dove giovani coppie con
bambini sono sterminate secondo macabri rituali.
Gli ex datori di lavoro di Graham
non tardano a chiedergli di tornare in azione per dedicarsi al
caso, in quanto solo lui conosce talmente bene la mente criminale
da poterla anticipare. Non sapendo resistere all’offerta, Graham
decide infine di dedicarsi a questo nuovo caso. Il suo metodo
investigativo, però, richiede di immedesimarsi nella parte
dell’assassino, il che è ora per lui estremamente gravoso sul piano
emotivo. Per poter riuscire a portare a termine quel caso, l’agente
si vedrà dunque costretto a rivolgersi alla persona di cui più ha
terrore al mondo: Hannibal Lektor. Così facendo, Graham entra però
in una spirale di perdizione, nella quale finirà per essere
coinvolta anche la sua famiglia.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il cast del film
Ad interpretare il protagonista,
Will Graham, vi è l’attore William Petersen, noto
in particolare per il ruolo di Gil Grissom in CSI – Scena del
crimine. Per prepararsi al ruolo l’attore ha lavorato insieme
al dipartimento di polizia di Chicago per apprendere quanto
necessario sul mesterie. Ha poi anche avuto modo di approfondire
l’impatto che i casi più disturbanti hanno sulla psiche degli
agenti. Grazie a queste informazioni ha potuto dare
un’interpretazione credibile del personaggio. Per il ruolo di
Hannibal Lektor è invece stato scelto l’attore Brian Cox. Egli
ha poi dichiarato di essersi ispirato per la propria
interpretazione al serial killer Peter Manuel, evidenziando come
per questo tipo di personaggi non esistano i concetti di giusto e
sbagliato.
L’attrice Kim
Greist è Molly, la moglie del protagonista, mentre
Stephen Lang è Freddy Lounds. La candidata
all’Oscar Joan Allen interpreta Reba McClane, una
donna cieca particolarmente centrale nella storia. Per il suo ruolo
l’attrice si è preparata camminando bendata per le strade di New
York. Infine, nei panni del serial killer Dente di Fata vi è
l’attore Tom Noonan. Per tutto il tempo delle
riprese egli rimase nei panni del personaggio, chiedendo che
nessuno degli attori che interpretavano le sue vittime avesse
contatti con lui e che il resto dei presenti gli si rivolgesse con
il nome del personaggio. Secondo molte testimonianze questo suo
comportamento ha generato una forte tensione sul set, accentuando
la paura nei suoi confronti.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
Sfortunatamente
Manhunter – Frammenti di un omicidio non
è presente su nessuna delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Il film è però presente nel palinsesto
televisivo di sabato 23 ottobre alle ore
23:30 sul canale Iris. Parallelamente, si
potrà vederlo sulla piattaforma Mediaset Play, in
modo del tutto gratuito.
Al suo esordio da
regista, lo sceneggiatore e curatore di effetti speciali
Valdimar Jóhannsson sceglie la svedese Noomi Rapace come protagonista di
Lamb. È lei a traghettare lo spettatore in un
universo quasi primordiale nella sua semplicità, a veicolare una
riflessione sulla volontà umana di sottomettere la natura alle
proprie esigenze e l’illusione di poterne uscire indenni. Premio
per l’originalità al Festival di Cannes 2021.
Lamb, la trama
In mezzo alla natura
islandese vive una coppia di allevatori di ovini, Maria,
NoomiRapace, e Ingvar, Hilmir Snær Guđnason.
Un giorno accade un fatto inaspettato, che ha del soprannaturale:
una delle loro pecore partorisce un agnellino per metà umano. Che
fare col piccolo, anzi, con la piccola? Maria non ha dubbi:
alleverà la creatura come la figlia che non ha potuto crescere. Lei
e Ingvar, infatti, hanno perso la loro figlia Ada in tenera età e
non si sono più ripresi da quel lutto. Per Maria l’arrivo di questa
creatura è un segno del destino, un’opportunità di ritrovare la
felicità, a cui non è disposta a rinunciare. Ma quanto durerà e
quale sarà il suo prezzo?
Lamb, un racconto oscuro sulla volontà
dell’uomo di piegare la natura ai propri scopi
Mai come in questo ultimo
anno e mezzo si è avuta l’occasione di riflettere sul rapporto che
ci lega alla natura di cui siamo parte. Con la pandemia ci si è
resi più che mai conto di quanto l’uomo sia fragile e impotente di
fronte alla natura, nonostante si sforzi continuamente di
governarla e indirizzarla secondo i propri scopi. Si è riflettuto
sui danni che questa manipolazione arreca alla natura stessa e
sulla necessità di tornare a vivere in equilibrio con essa. È
proprio questo il punto nodale di Lamb. Cosa accade quando l’uomo
forza la natura a proprio piacimento, anziché rispettarla?
Come è opportuno guardare ad essa? È una nemica da
sconfiggere, o piuttosto un’alleata da salvaguardare? Verrebbe
spontaneo propendere per la seconda opzione, ma, come dimostra il
film, nella realtà non è così facile come si potrebbe pensare. Le
due spinte opposte sono ancora più evidenti proprio per il tipo di
vita che la coppia di protagonisti conduce.
In quanto allevatori,
infatti, sono tra coloro che più conoscono la natura, gli animali e
i loro ritmi. Vivono a stretto contatto con loro ogni giorno e
sembrano attenti e scrupolosi nel prendersi cura del gregge. Ma
quando Maria intravede la possibilità di soddisfare un suo bisogno
e riparare così, in un certo senso, a un torto subito dalla natura
stessa con la perdita della figlia, non esita a stravolgerne
l’equilibrio. Il tema del lutto è infatti l’altro cardine del film.
la perdita, e in particolare di quella che appare più innaturale
tra tutte: la perdita di un figlio. Così difficile da elaborare che
può essere devastante. Nel caso dei protagonisti, sembra averli
svuotati completamente. Maria è la più battagliera e cerca con
tutte le sue forze qualcosa per aggrapparsi ancora alla vita, lo
trova nella piccola agnellina-umana. Ingvar sembra più rassegnato,
ma la segue.
Maria e Ingvar sono quasi
simbolo dell’umanità intera. Il regista li mostra immersi in un
mondo di cui sembrano i soli abitanti. Colpisce, infatti, l’assenza
di scambi, di relazioni umane, fatta salva l’incursione del
fratello di Ingvar, Petur, interpretato da Björn Hlynur
Haraldsson. Un’assenza che l’ambientazione nella campagna
islandese, tra montagne innevate e ampie distese erbose, non basta
a giustificare, inducendo a pensare a una precisa scelta
stilistica. I protagonisti paiono esemplificare, nella visione di
Jóhannsson, l’atteggiamento umano di fronte al mondo.
Tra thriller, favola
e fumetto, una fusione non riuscita
Volendo parlare di
generi, si potrebbe dire che Lamb sia un thriller che si
mescola con la favola e il fumetto. Il regista afferma di essersi
ispirato ai racconti popolari islandesi e di aver attinto al folklore del
suo paese. L’espediente della creatura metà uomo e metà animale,
però, rimanda più a un fumetto o a una favola, sia concettualmente,
che fisicamente. Anche se il regista ha cercato di usare il più
possibile il vero agnello per rendere realistico il personaggio,
infatti, la bambina-pecorella ha spesso l’aspetto artefatto di un
oggetto animato, specie se deve muoversi. D’altro canto, è il
regista stesso a dire che il film ha iniziato a prendere forma da
una graphic novel.
L’inserimento di questo
elemento in un contesto che vuole essere realistico e anche crudo
per certi versi, stride, non solo per la discrepanza tra gli stili,
ma anche perchè risulta un espediente un po’ troppo semplice per lo
spettatore adulto. Rimanda infatti al mondo infantile, pur
trattandosi di un film duro, drammatico ed evidentemente non
destinato ai più piccoli. Esso allontana chi guarda, non lo
coinvolge, dandogli una sensazione di messinscena, provocando
straniamento. L’idea della creatura soprannaturale avrebbe reso
forse meglio se questa, ad esempio, non fosse stata mostrata, ma
soltanto evocata, lasciando la possibilità di
immaginare.
L’elemento soprannaturale
e il modo in cui viene accolto portano una nota inquietante. Nella
seconda parte del film ci sono diversi indizi che creano suspense,
alimentata anche dall’atmosfera visivamente cupa: nebbie, tempo
grigio, vento, pioggia. Questo però non basta a rendere il lavoro
avvincente.
Delle molte strade
possibili per parlare del complesso rapporto uomo-natura, ivi
compresa quella documentaristica, che negli ultimi anni ha dato più
di una soddisfazione – basti pensare, ad esempio a un lavoro come
Genesis
2.0 di Christian Frei e Maxim Arbugaev –
Jóhannsson sceglie forse la meno adatta, creando un
crossover tra generi troppo azzardato, che non convince,
nonostante il
premio per l’originalità ricevuto a Cannes.
Distribuito da Wanted
Cinema, Lamb arriverà nelle sale a marzo 2022.
Mothering
Sunday è l’ultima opera di Eva Husson. La
regista francese è al suo terzo lungometraggio: passata dal Toronto
International Film Festival con Bang Gang A Modern Love
Story del 2015 e da Cannes nel 2018 con Girls of
the Sun e con il film in questione, in questi giorni
approda anche a Roma alla 16esima Festa del Cinema, facendoci
immergere in atmosfere sospese e fluttuanti direttamente nelle
campagne inglesi del 1924.
Mothering Sunday, la trama
Mothering
Sunday racconta infatti della giovane domestica Jane
Fairchild (Odessa Young) che presta servizio in
casa dei ricchi coniugi Niven: gentili, specialmente il marito
(Colin
Firth), ma anche malinconici e silenziosi,
specialmente la moglie – una Olivia Colman ammusonita quasi come in
La Favorita – i quali hanno un rapporto
d’amicizia molto stretto con altre due coppie, gli Sheringhan e gli
Hobday.
Uno dei figli degli
Sheringham, Paul (Josh O’Connor), ha una relazione
intima ma clandestina con Jane. E sarà parzialmente attorno a
questi attimi, sguardi, tocchi, che tutto il film di Eva
Husson incentrerà i suoi primissimi piani e i suoi
sospiri.
Come in un flusso di
coscienza, che prende il via da una memoria emotiva vivida e ancora
pulsante, traspare da ogni sequenza che l’origine della storia sia
un romanzo (omonimo, scritto nel 2016 da Graham Swift), e sono
molto ricche le impressioni che suscita, la facile capacità con cui
attraverso ogni inquadratura è immediata la sensazione di trovarsi
nella dimensione intima dei ricordi di qualcuno.
Senz’altro, quel che si
può chiaramente ammettere, è che Eva Husson sappia
regalare la soggettività di Jane, anche se non sempre con la dovuta
continuità. A catturare delle immagini che la regista costruisce, è
la fotografia tinta di luci delicate e sognanti, unitamente al
volto ninfeo di Jane, sul quale i piani stringono sempre
tantissimo, così come su quello del suo amante Paul, nei suoi
sorrisi tirati e quasi plastici, proprio come se fossero estratti
da vecchie foto.
È interessante lo
sviluppo narrativo che va avvolgendosi attorno al personaggio di
lei, sempre di più, chiarificando quale sia davvero l’obiettivo
della regista e su chi voglia veramente puntare il riflettore.
Husson ha a cuore la
fisicità della giovinezza, e si compiace nel ritrarre i corpi,
nelle loro linee acerbe ma che si gettano nella vita, con
incoscienza e spudoratezza. Quasi ad invidiarne l’inconsapevole
potenziale, ne racconta l’incontinenza dei desideri, a qualunque
costo.
Mothering
Sunday va alternandosi in tre fasi distinte della vita di
Jane e, da una all’altra, la maturazione della sua femminilità
cambia in maniera evidente, anche se in modo solo accennato.
Probabilmente ciò che
manca di fronte ad un’estetica così curata, è la parte più
semplicemente narrativa, nella quale conoscere ciò che ha davvero
abitato i sentimenti e i pensieri della protagonista.
È sicuramente
affascinante la vaghezza continua del tratto stilistico che,
appunto, scivola anche sul piano della storia e che riesce ad
essere comunque esaustiva nel dire, dopotutto, quale sia il senso
di un cuore più volte spezzato ma che non smette di battere. Ma
l’effetto, d’altra parte, è quello di passare senza lasciare
veramente una traccia, se non un sospiro, il soffio di un vento di
ricordi che scompigliano un po’ i capelli e nulla di più. Nelle
intenzioni sarebbe stata molto più incisiva l’immagine che Husson
avrebbe voluto veicolare sulla crescita di una donna nell’arco
della sua vita, iniziata, tra l’altro, in un orfanotrofio.
Poco male.
Mothering Sunday riesce a salvarsi egregiamente in
tutti i casi per merito della grazia attraverso la quale descrive
le cose. E l’arguzia – consapevole o no – sta nel fatto che l’arte
maneggiata in modo superficiale può, sì, durare il tempo che trova,
ma non per questo ammaliare di meno.
Nella selezione ufficiale della
Festa del
Cinema di Roma arriva il momento del film
Zlatan, il biopic in cui il regista
svedese Jens Sjögren disegna il suo ritratto di
uno dei giocatori più amati del calcio moderno: Zlatan
Ibrahimović. Se lo scorso anno con Mi chiamo Francesco Totti, documentario di
Alex Infascelli, la Festa ha reso omaggio al
talento del capitano giallorosso, oggi lo fa con
Ibrahimovic, portando sul grande schermo un
racconto di formazione e di riscatto.
Zlatan, la
trama
Zlatan, Dominic Andersson
Bajraktati, è un bambino la cui famiglia è immigrata in
Svezia dai Balcani. Vive in periferia con la madre, Merima
Dizdarević, e i due fratelli. È un bambino irrequieto e
problematico, soprattutto a scuola, dove la madre è spesso
convocata dalla preside. È allergico alla disciplina e si mette
spesso nei guai. Quando però i suoi piedi incontrano un pallone,
non lo lasciano più. Inizia a giocare sui campetti vicino casa e
poi entra nelle squadre locali, fino ad arrivare, anni dopo, nelle
giovanili della squadra svedese Malmö FF. Ma il suo problema è
ancora la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole. Zlatan,
Granit Rushiti, vuole solo giocare e fare gol e
mostra scarso spirito di squadra. Perciò viene ripreso spesso
dall’allenatore. Ormai è un adolescente ed è andato a vivere col
padre, Cedomir Glisović, un uomo senza mezzi, che
si lascia andare e non si occupa di lui, lo lascia a sé stesso.
Nonostante la sfiducia altrui e un ambiente familiare problematico,
Zlatan continua il suo percorso, che lo porta sempre più in alto,
fino ad approdare all’Ajax. La sua carriera, però, decollerà
davvero solo quando riuscirà a mettere tutto il suo desiderio di
rivalsa al servizio del gioco e della squadra.
Zlatan, la strada del calciatore
fino al successo senza troppo coinvolgimento
Il regista Jens
Sjögren – con un passato da chef, conduttore tv, attore –
racconta Ibrahimović senza fare un’agiografia e
senza dare alcun giudizio sul giocatore. Compone un classico
racconto di formazione e di riscatto, articolato in un susseguirsi
di flashback e flashforward. Disegna la parabola ascensionale del
giocatore tenendo sempre al centro sia il talento, che il non
essere accettato, il sentirsi sempre additato per il suo
comportamento. Un problema caratteriale che gli viene dalla sua
formazione umana, dalla famiglia, dalle privazioni, dallo spirito
di rivalsa che cova e trasforma in aggressività.
Sjogren sceglie la forma filmica piuttosto che la
documentaristica, dà il suo taglio al lavoro, concentrandosi sui
momenti che lo interessano, ovvero le fasi che precedono il grande
successo, poiché, come si dice nei titoli di coda: “il resto è
storia del calcio”.
I due ragazzi che interpretano
Ibrahimović nelle varie fasi della sua formazione,
prima Dominic Andersson Bajraktati e poi
Granit Rushiti, offrono buone interpretazioni e
nel cast è presente anche l’italiano Emmanuele
Aita, nel ruolo del procuratore sportivo Mino Raiola. Ciò
che manca in Zlatan non è tanto la
tecnica registica, quanto la capacità di creare empatia,
coinvolgimento, di emozionare davvero il pubblico. Forse perché
Sjögren si mantiene troppo a distanza, preoccupato
di mantenere un equilibrio, anzichè andare più a fondo nel
personaggio.
Il racconto procede lineare, come
una classica storia di formazione e riscatto, che parte da una
famiglia disagiata come ce ne sono tante. Una storia in cui la
voglia di riuscire e di essere accettati è più forte delle
difficoltà. Ciò che manca è qualcosa che emozioni davvero, che vada
al di là dell’interesse per il personaggio in sé, della curiosità
di sapere chi è Ibrahimović e da dove viene.
Qualcosa che faccia sentire vicino lo spettatore. Così il film
avrebbe potuto coinvolgere anche i non tifosi, i non appassionati
di calcio e coloro che non amano o non conoscono Zlatan
Ibrahimović. Zlatan sarà nelle
sale dall’11 novembre, distribuito da Lucky Red e Universal
Pictures.
I
posticipi nelle uscite dei prossimi film Marvel Studios (e
Disney) annunciati nei giorni passati hanno dato un profilo
nuovo alla Fase 4 del MCU, oltre ad avere delle
conseguenze per l’universo condiviso e per i fan che non sono mai
sazi di storie Marvel sul grande schermo. Ecco di seguito le
principali conseguenze dei posticipi delle uscite dei film
Marvel Studios della Fase 4:
1Guardiani della Galassia Vol. 3 non è
stato rimandato
Guardiani
della Galassia Vol. 3 non è stato menzionato nel mega
annuncio dei posticipi di Marvel e Disney, ma James
Gunn ha confermato che arriverà come previsto il 5 maggio
2023.
Le
riprese iniziano molto presto e Gunn ha rivelato di aver iniziato a
scegliere attori (incluso
il già annunciato Will Poulter nei panni di Adam
Warlock) per almeno una dozzina di ruoli diversi. Chris Pratt
ha recentemente condiviso il suo look da Star-Lord sui social
media, anche se in seguito abbiamo appreso che si tratta del look
per la giostra del parco a tema Disney World, “Cosmic Rewind”. Le
riprese per questo Vol. 3 e per lo speciale di Natale verranno
girate contemporaneamente. Avremmo dovuto già vedere il
trequel ormai, ma il breve litigio di Gunn con la Disney, il suo
periodo nel DCEU alla guida di The Suicide Squad e
il COVID hanno rallentato le cose.
Come sappiamo, spesso e volentieri
i fan si divertono a confrontare il DCEU e il
MCU
elogiandone i pregi; eppure ci sono alcune aree in cui entrambi gli
universi di fumetti vanno incontro ad alcuni problemi: vediamo
assieme quali.
Essendo le due colonne portanti dei
contenuti a fumetti, non è una sorpresa che il Marvel Cinematic Universe e il
DC Extended
Universe siano abitualmente messi a confronto – e che la Marvel
sembri uscirne vincitrice. Ad Iron Man, e al conseguente lancio del MCU, è
spesso riconosciuto il merito di aver portato il genere
supereroistico al livello attuale (anche se la serie di film
originali degli X-Men ha sicuramente parte del merito), i suoi
film sono indubbiamente i più lodati, e il suo universo sembra
spesso più coeso e attentamente pianificato.
1Ritardi COVID
Sicuramente non limitata ai film di supereroi,
la pandemia di COVID-19 ha portato scompiglio nelle uscite
cinematografiche e, di conseguenza, nelle cifre del box office.
The Suicide Squad, nonostante sia stato il film DC
più visto sulla HBO, è stato un flop al botteghino, non riuscendo a
recuperare il budget di produzione. Black Widow,
nonostante fosse un film che i fan aspettavano da anni, è stato
rilasciato su Disney+,
violando il contratto e portando a una causa legale e a numeri
deludenti al botteghino. Mentre Shang-Chi ha dato
risultati leggermente migliori, è chiaro che i ritardi e le
interruzioni nelle riprese e nel rilascio avranno avuto un impatto
significativo su entrambi gli universi, e che il vere conseguenze
durature saranno chiaramente percepibili solo negli anni a
venire.
Presentato alla Festa del
Cinema di Roma nella sezione Alice nella
Città, Una notte da dottore porta sulla
scena un’inedita coppia comica: Diego
Abatantuono e Frank
Matano. Dottore della guardia medica il primo e
fattorino il secondo, in una commistione di ruoli, i due sono i
protagonisti di avventure e disavventure notturne per le strade di
Roma, tra pazienti problematici e clienti arroganti. Con apparente
leggerezza, il regista Guido Chiesa (Cambio
tutto, Ti presento
Sofia) esplora a fondo la vita dei lavoratori
notturni.
Una notte da dottore: la trama
Nel film Una notte da
dottore, Pierfrancesco Mai (Diego
Abatantuono) è una guardia medica di 65 anni che, con
mille acciacchi e poco entusiasmo, si muove in macchina di notte
per visitare i pazienti. Mario (Frank
Matano) è un fattorino di Deliveroo spiritoso e
affezionatissimo alla bici che gli permette di fare consegne tra le
strade di Roma. La vite dei due collidono, letteralmente:
Pierfrancesco investe con la sua auto Mario. Il
rider fortunatamente ne esce illeso, ma con la bici
inutilizzabile. Dal canto suo, dopo l’urto, il medico si ritrova
bloccato con la schiena. Dopo l’incontro-scontro, nessuno dei due è
più in grado di fare il proprio lavoro autonomamente. L’unica
soluzione sembra essere quella di unire le forze.
Pierfrancesco propone un accordo: Matano
potrà usare l’auto di Abatantuono per le sue
consegne, ma in cambio dovrà fingersi dottore. Visitando guidato
dalle sue dritte, guadagnerebbe dai salatissimi prezzi della
guardia medica. Mario, inizialmente dubbioso, accetta e i
due partono all’avventura nella notte romana. Affrontano così
pazienti ipocondriaci, clienti di Deliveroo arroganti, donne
partorienti, in un viaggio non solo fisico che a poco a poco
esplora le storie di due personaggi a prima vista inconciliabili.
Tra scambi di identità e mansioni illegali, riuscirà la coppia a
concludere il turno notturno senza fare danni?
I personaggi di Una notte da
dottore
Una notte da
dottore mostra la vicinanza degli opposti.
Pierfrancesco è anziano, insofferente per il dolore alla
schiena ma anche infastidito dalle persone. Scorbutico e chiuso in
sè stesso, riesce ad essere acidamente ironico parlando senza peli
sulla lingua. Per le sue visite frettolose, colleziona critiche dai
pazienti, ma comunque guadagna banconote su banconote.
Mario invece è giovane, entusiasta e vivace, malgrado
l’arroganza con cui è trattato dai ristoratori e dai clienti.
Nonostante la sua gentilezza, fatica a ricevere anche qualche
moneta di mancia.
Unendosi, i due personaggi riescono
a migliorarsi, ritrovando uno un figlio, l’altro un padre. La
coppia funziona e riesce a strappare continue risate.
Abatantuono, nei panni del medico di origini
milanesi, scocciato e cinico, non risparmia freddure e battute
taglienti. Matano, nel ruolo di fattorino di
Caserta dall’animo solare ma poco ambizioso, porta sulla scena
un’ironia più ingombrante e focosa, quasi da giullare di corte.
Gli altri personaggi danno ancora
più colore a Una notte da dottore: non manca
l’oste della taverna romana un po’ rude, il paziente anziano in
vestaglia, il cliente bruttino ma ricco e arrogante. Caratteri
forse un po’ troppo stereotipati, ma comunque necessari ad animare
le situazioni tragicomiche vissute dai protagonisti.
Tra le strade romane
La Roma che vediamo in Una
notte da dottore non è quella dei luoghi
turistici. Il film si svolge quasi interamente di notte:
originale la scelta di ambientazioni buie e poco illuminate per la
maggior parte del film. In un collage variegato, si passa dal
minuscolo set nell’abitacolo dell’auto, alle eccentriche abitazioni
dei pazienti: case popolari e affollate si mescolano a loft e
palazzi nobiliari dalle enormi stanze. Non mancano le immagini di
Roma inquadrata dall’alto, come le riprese con i droni dei vicoli e
delle piazze deserte nelle ore più buie. Il lavoro sulla fotografia
di Emanuele Pasquet (Sul
più bello) è indubbiamente approfondito, anche se tratti
un po’ esasperato.
Una comicità che lascia spazio alla
critica sociale e ai momenti drammatici
Una notte da
dottore porta in primo piano non poche tematiche sociali.
Guido Chiesa esplora approfonditamente il mestiere
del medico. In Una notte da dottore c’è la critica
al mondo delle guardie mediche, preso in giro ed estremizzato nei
suoi difetti: prezzi altissimi e medici poco attenti che affrontano
pazienti di ogni tipo, da quelli ipocondriaci a quelli realmente in
condizione di emergenza. Anche il settore delle consegne a
domicilio viene messo in primo piano: fattorini non assicurati,
maltrattati e presi in giro. Non mancano nel film i momenti
commoventi: le riflessioni sui rapporti di Pierfrancesco e
di Mario con le rispettive famiglie potrebbero far
scendere qualche lacrima.
Una notte da
dottore è la ricetta della tipica
commedia italiana di oggi: c’è l’ironia, il discorso sulla
famiglia, gli stereotipi nazionali e regionali, la critica sociale
al ”sistema Italia”, senza escludere l’attimo strappalacrime. Un
film che si lascia piacevolmente guardare, leggero ma non troppo
superficiale, perfetto da vedere in famiglia. Una notte da
dottore è prodotto da Colorado
Film in collaborazione con Medusa film.
Qui il link del trailer
ufficiale. Il film uscirà nelle sale italiane giovedì 28
ottobre 2021.
Dopo
le rivelazioni di Angelina Jolie che ha ammesso il vero
motivo del perché ha scelto Eternals per
entrare a pieno titolo in un cinecomics anche
Salma Hayek ha rivelato il perché della scelta di
interpretare un ruolo di supereroi. Molti di voi non sapranno che a
differenza della Jolie a
Salma Hayek non era mai stato offerto un ruolo da
supereroina prima di Eternalse
proprio per questo ha definito il suo personaggio di Ajak e
Gli Eterni“quelli giusti” e “al
momento giusto”.
La
Hayek ha continuatoa lodare la regista
Chloé Zhaoe ha messo in evidenza
la famiglia “eclettica”
che ha creato con il film,
dicendo: “Adoro il regista. Penso che
sia molto significativo che sia avvenuto in questo momento, che
posso essere nei miei 50 anni ed essere un supereroe, ed essere
arabo-messicano ed essere un supereroe, ed essere parte di questa
famiglia eclettica.”Quando la
Hayek si è unito al film, c’era solo la Jolie che
aveva firmato in quel momento, il che ha reso l’attrice
eccitata.“Perché le mie più grandi
aspettative su Angie, sul regista, sulla nostra piccola famiglia
che abbiamo creato, sul film stesso – è una di quelle rare
occasioni in cui continui a essere sorpreso in modo positivo, e
continua a crescere“.
Eternals,
il terzo film della Fase Quattro dell’Universo Cinematografico
Marvel diretto dalla regista vincitrice dell’Academy
Award Chloé Zhao, arriverà il 3 novembre
nelle sale italiane. Il film targato Marvel StudiosEternals presenta
un nuovo team di supereroi dell’Universo Cinematografico
Marvel: l’epica storia, che abbraccia migliaia di anni, mostra
un gruppo di eroi immortali costretti a uscire dall’ombra per
unirsi contro il più antico nemico dell’umanità, The Deviants.
Il cast del film
comprende Richard
Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma
Chan, che interpreta Sersi, amante
dell’umanità; Kumail
Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del
cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la
velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che
interpreta l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario
Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena.Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
Dopo
Jason Momoa anche un’altra protagonista dell’universo
DC esprime la sua ammirazione per la Catwoman di
Zoë Kravitz che ha infiammato tutti nel
primo trailer ufficiale di The
Batman rilasciato settimana
scorsa. Infatti
Gal Gadot ha espresso la sua eccitazione perla performance di
Zoë Kravitz nei panni di Catwomannell’attesissimo
The
Batman. La modella divenuta
A-lister di Hollywood ha recitato nel DCEU come Diana Prince/Wonder
Woman in 5 film, incluso il recente remix di
Zack Snyder’sJustice
League. I film di Wonder
Woman di Gadot sono stati elogiati come impressionanti film
di supereroi guidati da donne, non come i film del passato dove
appare invece Catwoman,che invece sono stati estremamente deludenti
come laCatwoman di Halle
Berry nei primi anni 2000.
La nuova attrice che veste i
panni felini di Selina Kyle è
Zoë Kravitz. La star
di Rough Nightapparirà
come il gatto ladro antieroina in The
Batman di Matt Reeves ; il
prossimo reboot della DC, con il nuovo Bruce Wayne interpretato
Robert Pattinson. Kravitz fa seguito alle
iconiche Catwomen precedenti tra cui Eartha Kitt,
Michelle Pfeiffer e Anne Hathaway. La nuova Selina Kyle sembra
essere una ladra gatto più semplice e low-tech, che si ritroverà
ancora una volta coinvolta in una faida romantica con il crociato
incappucciato.
In un’intervista conVariety,
Gal Gadot ha commentato l’arrivo della Catwoman di
Kravitzall’universo DC. Dopo aver
visto il
secondo trailer l’attrice ha rivelato”Lei
[Kravitz] sembra incredibile“.
Gal Gadot ha poi elogia l’attrice come una
“donna di talento
prima di affermare che è “ così felice di avere un’altra
donna come compagna. Ha poi continuato: “Io amo Zoe.
Sembra incredibile. È una dolce a metà. È una donna di talento e
sono così felice di avere un’altra donna come
compagna”.
“The Batman
esplorerà un caso di detective“, scrivono le fonti.
“Quando alcune persone iniziano a morire in modi strani, Batman
dovrà scendere nelle profondità di Gotham per trovare indizi e
risolvere il mistero di una cospirazione connessa alla storia e ai
criminali di Gotham City. Nel film, tutta la Batman Rogues Gallery
sarà disponibile e attiva, molto simile a quella originale fumetti
e dei film animati. Il film presenterà più villain, poiché sono
tutti sospettati“.
Mentre cresce l’attesa per la
premiere italiani dell’attesissimo Eternals,
il nuovo film Marvel
Studios che sarà il film di chiusura della Festa del
Cinema di Roma, oggi una delle protagoniste, Angelina Jolie ha rivelato nel corso di
un’intervista il vero motivo del perché ha accetto il ruolo, e
perché proprio il personaggio di Thena. Angelina Jolie ha già affrontato personaggi
noti di universi prima, specialmente nell’adattamento videoludico
diLara Croft: Tomb
Raider e ha detto che è
stato “bello combattere di nuovo”per Eternals.
Come molti di voi già sapranno lei
ha rifiutato molto ruoli di cinecomics in passato!L’attrice ha
continuato dicendo che era stata contattata per ruoli di supereroi
in passato, ma è stato solo quando è stato
offerto a Thenache l’ha considerata davvero,
dicendo che la parte le ha fatto desiderare di far parte di
qualcosa di più grande:
“Thena… rappresentava davvero
questa famiglia di cui volevo far parte. Quando ho capito cosa
sarebbe stato questo film e chi era questo gruppo, cosa avrebbe
rappresentato questo gruppo e quanto fosse inclusivo e
diversificato, ho sentito che sarebbe dovuto essere sempre così. È
quello che volevo essere, e capire la mia parte era secondario;
capire chi sarei stato. Volevo solo far parte di questa famiglia. E
mi fido di
questa regista.”
Eternals,
il terzo film della Fase Quattro dell’Universo Cinematografico
Marvel diretto dalla regista vincitrice dell’Academy
Award Chloé Zhao, arriverà il 3 novembre
nelle sale italiane. Il film targato Marvel StudiosEternals presenta
un nuovo team di supereroi dell’Universo Cinematografico
Marvel: l’epica storia, che abbraccia migliaia di anni, mostra
un gruppo di eroi immortali costretti a uscire dall’ombra per
unirsi contro il più antico nemico dell’umanità, The Deviants.
Il cast del film
comprende Richard
Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma
Chan, che interpreta Sersi, amante
dell’umanità; Kumail
Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del
cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la
velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che
interpreta l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario
Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena.Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
Hayden Christensen riprenderà il suo ruolo di
Anakin Skywalker, alias Darth Vader, in Ahsoka,
l’ultima serie live-action di Star
Wars di Lucasfilm e Disney+.
Rosario Dawson interpreta il personaggio
preferito dai fan di Ahsoka Tano, un sopravvissuto
Jedi Knight popolare nel lato dell’animazione di Star
Wars che ha fatto il suo debutto live-action nella
seconda stagione di The
Mandalorian. I dettagli della trama vengono mantenuti
ai confini dell’Orlo Esterno, ma è noto che Dave Filoni, il
detentore della spada laser di lunga data di Star
Wars, sta scrivendo la serie e producendo esecutivamente
con Jon Favreau. La produzione dovrebbe
iniziare all’inizio del 2022.
Ryan Gosling sarà Ken nel film su Barbie
con Margot Robbie. L’attore è nella fase finale
delle trattative con Warner Bros e Mattel per interpretare il ruolo
del personaggio nel film diretto da Greta Gerwig,
e co-sceneggiato da Noah Baumbach.
Robbie seguirà il film anche come
produttrice, con la sua LuckyChap Entertainment, che è reduce dal
grande successo agli Oscar dello scorso anno per Una donna
promettente. I produttori di Barbie includono anche Tom Ackerley e
Josey McNamara di LuckyChap; Robbie Brenner e Ynon Kreiz di Mattel;
e David Heyman.
I piani per adattare la storia di
Barbie per
il grande schermo hanno subìto alcune battute d’arresto negli
ultimi anni, ma quando Robbie, Gerwig e Baumbach si sono imbarcati
nel progetto rispettivamente nel 2018 e nel 2019, le cose sono
andate a gonfie vele. Secondo quanto riportato da Variety, Barbie
avrebbe dovuto iniziare la produzione all’inizio del 2022 presso i
Leavesden Studios di WB a Londra, con un’uscita nelle sale prevista
per il 2023.
Il piano originale dei Marvel Studios per il
Mandarino in Iron
Man del 2008 è stato finalmente rivelato. Il primo
film del MCU ha messo lo studio in condizioni di realizzare il
miglior film possibile con Tony Stark come unico protagonista, il
che significava cambiare i piani in corso d’opera. Quando Iron Man
è stato originariamente concepito, il piano era che il principale
antagonista dei fumetti di Stark, il Mandarino appunto, fosse il
cattivo principale. Questa decisione ha fatto sì che il personaggio
di Obadiah Stane fosse poi un cattivo secondario,
che sarebbe potuto eventualmente diventare un problema nel corso
della storia, ma alla fine la Marvel ha deciso che era meglio
lasciare il Mandarino fuori dal film di Jon
Favreau.
L’MCU può anche aver cancellato i
piani per inserire il personaggio in Iron Man, ma il desiderio che
fosse nell’universo non è mai stato abbandonato. Questo alla fine
ha portato i Marvel Studios a utilizzare il personaggio come parte
di una complessa mistificazione in Iron Man
3. Il film ha proposto Ben Kingsley
come mandarino solo per rivelare che era un attore fallito e
ubriaco assunto da Aldrich Killian per interpretare la parte di un
terrorista globale. La Marvel alla fine ha rivelato in
All Hail the King One-Shot che il “vero mandarino”
esisteva nel mondo Marvel, da qualche parte. Abbiamo dovuto
aspettare Shang-Chi e La leggenda dei dieci anelli per
vedere che questo vero Mandarino era in realtà il personaggio
interpretato egregiamente da Tony Leung, che ha
dato giustizia a questo grande villain dei fumetti nel film con
Simu Liu.
I piani originali per il Mandarino
L’interpretazione Leung ha fatto
valere l’attesa, ma sappiamo che il vero Mandarino poteva comparire
già molto prima nel Marvel Cinematic Universe. Come parte di
The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel
Cinematic Universe, il produttore Jeremy
Latcham ha rivelato il ruolo originale cancellato del
Mandarino nel MCU. Il personaggio cinematografico è stato concepito
per essere il principale cattivo di Iron Man e un rivale di Tony
Stark. Mandarino aveva un edificio proprio accanto a quello delle
Stark Industries e voleva ottenere le invenzioni di Stark per sé.
La storia “pazza terribile” e “deludente” di Latchman vedeva il
Mandarino praticare un foro sotto l’edificio delle Stark Industries
che gli avrebbe permesso di rubare la tecnologia di Tony.
L’incapacità iniziale della Marvel
di dare spazio e dignità a questo personaggio al cinema ha poi
funzionato per il meglio. Se si fosse seguito lo spunto di
Latchman, la storia del Mandarino sarebbe stata completamente
diversa da quella mostrata in Shang-Chi, poiché probabilmente non
sarebbe stato il padre di Shang-Chi né un
conquistatore di secoli.
Salerno. Sarà Niccolò
Ammaniti il primo ospite della 26esima edizione di Linea
d’Ombra. Con Boris Sollazzo, direttore artistico con Peppe
D’Antonio del festival, lo scrittore e regista romano, ripercorrerà
la parabola ascendente della sua carriera raccontandosi in prima
persona. L’incontro, in programma alle ore 20 alla Sala Pasolini,
potrà essere seguito anche in diretta streaming a
questo link.
L’arrivo dei giurati che seguiranno
in presenza il festival è attesto per le ore 16. La prima sezione,
CortoEuropa, accenderà il grande schermo della
Sala Pasolini alle ore 18; alle 18.30 negli spazi della Sala Menna
ci saranno le prime proiezioni di VedoAnimato;
alle 19 al Piccolo Teatro di Portacatena ci saranno i documentari
in concorso per LineaDoc mentre alle 20 nella sala
Menna si ritornerà al futuro con la proiezione di Blade
Runner di Ridley Scott (Usa, Hong Kong / 1982 / 124’), il
film sarà introdotto da Michelle Grillo,
dottoranda, specializzata in Social Media. Il progetto realizzato
in collaborazione con il DISPS UNISA. Alle 21 il Piccolo Teatro di
Porta Catena ospiterà la sezione CortoEuropa con
film che arrivano dall’Inghilterra, dalla Germania, dall’Ungheria,
dalla Francia e dalla Finlandia. A chiudere la prima giornata di
proiezioni alle 21.30 nella Sala Pasolini per la sezione Passaggi
d’Europa sarà “The Grand Bolero”. Sarà presente l’attrice
Ludovica Mancini. Interverranno da remoto il
regista Gabriele Fabbro e l’attrice Lidia
Vitale.
Sono più di 100 i film in concorso
per questa edizione 2021 di Linea d’Ombra Festival, selezionati tra
i circa 1500 iscritti giunti da 77 paesi. Tra i film in
concorso, 34 sono diretti da registe donne. Il festival è dedicato
a Patrick Zaki.
LINEA D’OMBRA 2021, IL
FESTIVAL È ANCHE ON LINE. Quest’anno sarà possibile
seguire il festival sia in presenza che online, attraverso la
piattaforma streaming www.netfest.org/ldo che consentirà
di visionare i film delle sezioni CortoEuropa, VedoAnimato e
VedoVerticale, disponibili gratuitamente per 48 ore a partire
dall’orario indicato in programma, nel limite dei posti virtuali
disponibili. I film delle sezioni Passaggi d’Europa e LineaDoc
saranno disponibili gratuitamente ed in modalità streaming, nel
limite dei posti disponibili. Ciascun titolo sarà trasmesso solo
all’orario indicato in programma. Tutte le opere sono
presentate in versione originale con sottotitoli in
italiano. Gli incontri con gli autori delle opere in
concorso e con gli ospiti saranno trasmessi in streaming sulla
piattaforma web e sulla pagina Fb ufficiale del festival.
Registrandosi alla piattaforma si potrà entrare a far parte della
Giuria Open del festival.
Linea d’Ombra Festival XXVI edizione
è un’iniziativa promossa dall’Associazione
SalernoInFestival e realizzata con il contributo e il
patrocinio della Direzione generale Cinema e audiovisivo –
Ministero della Cultura, della Regione
Campania con la Film Commission Regione
Campania, del Comune di Salerno. Main
Sponsor: Fondazione Cassa Rurale Battipaglia – Banca
Campania Centro, Nexsoft S.p.A. Altro
ente sostenitore: Fondazione Cassa di Risparmio
Salernitana. Altri sponsor: Allianz Salerno Mare –
Mario Parrilli srl, Rotary Salerno Rotary Salerno
1949 a.f.
Cosa succederebbe se ci si trovasse
a dover dire di sì ad offerta, richiesta e situazione più varia? È
ciò che accade in Yes
Man, commedia del 2008 diretta da Peyton
Reed, oggi noto per essere il regista di Ant-Man.
Interpretato dall’iconico Jim
Carrey, il film in questione si concentra sulla vita
di un uomo particolarmente scontento e scontroso che si ritrova a
dover dire di sì ad ogni situazione che gli si presenta, generando
eventi sempre più imprevedibili, sia nel bene che nel male. Con
questo lungometraggio, inoltre, Carrey si è riconfermato uno dei
maestri della comicità americana, capace di divertire spettatori di
ogni età.
La storia qui narrata è liberamente
ispirata all’omonimo romanzo pubblicato dal comico Danny
Wallace nel 2006. Questi aveva infatti deciso di assumere
come sfida personale quella di dire più sì nel corso della sua
quotidianità. Egli ha così dato vita ad un esperimento lungo un
anno, durante il quale ha pronunciato la magica affermazione ogni
volta che gli si presentava l’occasione. Il risultato di ciò è poi
confluito nel succitato romanzo, divenuto in breve un vero e
proprio successo editoriale. Non passò infatti molto prima che gli
studios cinematografici si interessassero alla cosa, ritrovando in
tale vicenda il potenziale per una grande commedia.
Arrivato infine in sala, il film si
è affermato a sua volta per gli ottimi risultati ottenuti. A fronte
di un budget di circa 70 milioni di dollari, Yes Men è
arrivato a guadagnarne ben 223 in tutto il mondo. Apprezzato dalla
critica e dal pubblico, il quale ha permesso al film di ottenere
anche diversi riconoscimenti durante la stagione dei premi, il film
è ancora oggi un brillante esempio di commedia ricca di buoni
valori e profonde riflessioni. Prima di lanciarsi in una visione di
tale titolo può però essere opportuno approfondire ulteriormente
alcune curiosità relative alla trama e al cast. Proseguendo qui
nella lettura sarà possibile scoprire tutto ciò e molto altro.
Yes Men: la trama del film
Protagonista del film è l’agente di
prestito bancario Carl Allen, il quale è da poco
stato lasciato da sua moglie. Tale vicenda lo ha portato ad avere
una visione sempre più negativa della vita, non trovando più in
questa nuovi stimoli per andare avanti. Carl, inoltre, è arrivato
al punto di rifuggire intenzionalmente tutti i tentativi che i suoi
amici Pete e Rooney fanno per
cercare di tirarlo in mezzo a situazioni strampalate. La spenta
routine dell’uomo cambia però improvvisamente nel momento in cui il
suo collega Nick Lane gli suggerisce di andare a
seguire un seminario sull’autostima, dove si incoraggia a dire “sì”
ad ogni cosa.
Inizialmente scettico, Carl decide
tuttavia di seguire quanto appreso durante l’incontro, con
inaspettate conseguenze. Ben presto, infatti, egli riscopre le
gioie della vita, spendendo più tempo insieme ai suoi amici,
praticando nuove attività e conoscendo nuove persone. Tra queste vi
è Allison, una giovane cantante con la passione
per la fotografia in movimento. Incantato dalla personalità
bizzarra della ragazza, Carl inizia a sviluppare un certo
sentimento nei suoi confronti, ma non sa se a spingerlo verso di
lei sia un reale desiderio o il dover dire di sì a tutto. I guai
non tarderanno così ad arrivare, e Carl si troverà a comprendere
che non si può sempre di sì.
Yes Man: il cast del film
Grande protagonista del film è
l’attore Jim Carrey, tornato a recitare in una
commedia dopo il thriller Number 23. Nell’imbattersi nella
sceneggiatura di Yes Man, egli si dichiarò da subito
particolarmente interessato al progetto, convinto del suo
potenziale comico. Carrey spese così diverso tempo insieme al
regista per costruire il giusto tono, che includesse sia il
divertimento ma anche momenti più seri e riflessivi. Totalmente
devoto al ruolo, l’attore decise a sua volta di dire sì a tutto
durante la realizzazione del film, prendendo realmente lezioni di
chitarra e di coreano. Egli decise inoltre di interpretare
personalmente alcune scene particolarmente complesse, come quella
del bungee jumping. Nella scena in cui in un bar si scontra con una
cameriera, invece, Carrey cadde male a terra, finendo con il
rompersi tre costole.
Accanto a lui nel film si ritrova
poi l’attrice Zooey
Deschanel nei panni di Allison. A sua volta nota per
diverse commedie romantiche come anche per la serie New
Girl, l’attrice si trovò qui a dover prendere parte ad una
sequenza in moto. La sua controfigura era infatti impossibilitata a
partecipare, e l’attrice dovette salire realmente sul mezzo. Sono
poi presenti gli attori Bradley
Cooper e Danny Masterson
interpretano rispettivamente Peter e Rooney, i due migliori amici
di Carl. Il celebre Terence Stamp è invece
Terrence Bundley, l’uomo che introdurrà Carl al concetto dello “yes
man”. John Michael Higgins è invece Nick, il
collega del protagonista che gli suggerirà di seguire tale
seminario. Infine, il noto caratterista Rhys Darby
è presente nei panni di Norman, strampalato capo di Carl.
Yes Man: il significato del film,
le sue frasi, il trailer e dove vederlo in streaming e in TV
Oltre ad essere una brillante
commedia, Yes Men spinge attraverso il suo protagonista e
quanto gli capita a riflettere su sé stessi e il modo in cui si
conduce la propria vita. Carl, che all’inizio della storia è un
uomo chiuso in sé stesso, si preclude ogni possibile novità che la
vita potrebbe ancora riservargli. Ci vorrà una terapia d’urto per
poterlo far uscire dalla sua condizione e permettergli di
comprendere che non è mai troppo tardi per concedersi qualcosa di
nuovo e inaspettato. Naturalmente il film non manca di mostrare
come un’eccessiva tendenza all’apertura verso il mondo circostante
può allo stesso modo comportare seri rischi e pericoli. Occorre
dunque trovare il giusto equilibrio, variabile da persona a
persona, per potersi godere con positività tutto ciò che la vita
offre.
È possibile vedere o rivedere tale
film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari
piattaforme streaming presenti oggi in rete. Yes
Man è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV,
Chili Cinema, Google Play, Infinity, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno venerdì 22
ottobre alle ore 21:00 sul canale
20 Mediaset.
Un film come Yes Man,
infine, possiede della frasi davvero indimenticabili che aiutano a
riflettere sul senso della vita. Tra una risata e un’emozione, è
infatti possibile fermarsi a riflettere su quanto raccontato e
chiedersi quanto di ciò che si è visto e sentito si rispecchia
nella propria vita. Ecco, dunque, qualche esempio:
Io voglio che voi invitiate il “sì” nella vostra vita,
perché il “sì”, a sua volta, vi risponderà sì! Quando voi dire sì,
entrate nella sfera del possibile! (Terrence
Bundley)
Il “sì” porta sempre a qualcosa di buono!
(Carl Allen)
Senti ma chi se ne frega, il mondo è un parco giochi. Uno
lo sa da ragazzino, ma poi strada facendo tutti se lo
scordano. (Allison Renee)
Tu dici no alla vita, quindi non stai vivendo.
(Terrence Bundley)
Il direttore artistico della
Festa del Cinema di Roma, Antonio
Monda, nel presentarlo lo ha definito “un maestro del
cinema contemporaneo” e il regista messicano Alfonso
Cuarón – autore di capolavori come Gravity e
Roma -ha ricambiato con un sentito
omaggio al nostro cinema, sia classico, che contemporaneo, con
qualche sorpresa. Il format degli incontri è ormai è collaudato.
L’ospite è chiamato a scegliere una serie di film che ritiene
significativi e a commentarne brevi sequenze. In questo caso, i
film scelti sono tutti italiani perché, dice
Monda: “Alfonso ama il nostro cinema. […] Gli
avevo chiesto di selezionare cinque film. […] Alla fine sono
diventati dodici” dedicati sia al cinema contemporaneo che al
cinema classico italiano. Cuarón conferma: “Il
cinema italiano è fertile, vastissimo, diversissimo. ,[…] Fuori
dall’Italia tanti registi sono quasi dimenticati. A Londra, dove
vivo, si ha accesso solo ai grandi maestri:
Fellini, Antonioni,
Pasolini, Visconti”. Il
regista aggiunge: “Da che ho memoria, ho sempre amato il
cinema”. E rivela il suo primo incontro col grande schermo:
“E’ stato il film Disney La spada nella
roccia. […] Mi piacciono ancora i fim
Disney, ma ora c’è una nuova sensibilità e il
nuovo mondo Pixar ha rinnovato il modo di fare
animazione, perciò è diffcile”.
Segue una carrellata che parte dal
ricordo del primo incontro col cinema italiano,
con Ladri di biciclette : “Avevo otto
anni, una sera ero con mio cugino, i genitori erano fuori e in tv
guardavamo i programmi per adulti. Annunciarono Ladri di
biciclette e pensai fosse un film d’azione. Ma quando l’ho
visto, è stata una esperienza diversa. […] È stato il punto di
partenza verso la curiosità per un altro tipo di cinema rispetto a
quello d’avventura a cui ero abituato”.
Poi vengono proposte le clip scelte
e commentate da Alfonso Cuarón. Si parte con
Padre padrone dei fratelli
Taviani:e per Cuaron non poteva essere altrimenti.
Il regista spiega perché: “Questo nella mia vita è un film
fondamentale. Lo vidi in Messico quando uscì. Conoscevo già tanto
cinema italiano. Ma Padre padrone ha una qualità
specifica e con questa scelta voglio onorare i fratelli
Taviani” Segue un lungo applauso a
Paolo Taviani, presente in sala, che
Cuarón definisce “il maestrissimo”. Poi
il regista messicano prosegue: “C’è una tradizione enorme al
cinema che per me è un mistero. Non ho capito il processo di
creazione di questo tipo di film. […] Nei film dei fratelli Taviani
c’è un’umanità profonda, ma anche un apporccio mitico, e anche una
disciplina marxista, ma senza retorica”.
La seconda clip è tratta da
I Nuovi Mostri, con il grande
Alberto Sordi. “Questa scelta è una scusa per
parlare dei grandi registi italiani di commedia:
Monicelli, Risi,Scola, Lattuada in un certo qual
modo. In quel periodo c’erano tanti film a episodi. La specificità
della commedia all’italiana è che parla di tante cose. C’è la gioia
della commedia, ma anche un’osservazione sociale, con
Monicelli, c’è la malinconia della vita, una
critica al carattere italiano, fortissima. […] Inoltre, il cast
di comici qui è impressionante. Questi cast sono unici al
mondo. […] Poi, questo tipo di commedia è diventata una
celebrazione di questi personaggi, piuttosto che una critica”.
Qui arriva la rivelazione che non ti aspetti: “Oggi, ad
esempio, un regista di commedia che mi piace è Checco Zalone, è un maestro, peccato non sia
qui!”
E’ poi la volta di un altro grande
regista italiano, purtroppo spesso dimenticato, afferma Cuarón. Si
tratta di Marco Ferreri con il suo
Dillinger è morto, del 1969. Cuaron lo
definisce “Uno dei registi più sovversivi del cinema.
Sovversivo come Godard, ma con l’assurdo di
Bunuel, con una diagnosi così precisa della
società, del maschio. La sua osservazione è assolutamente attuale.
Ha lavorato in Italia, Spagna, Francia. Però c’è gente che non
conosce Ferreri. Le sue due prime commedie erano
accademiche. Con questo film, invece, ha deciso di essere un
amateur, e si è permesso tutto. Da lì in poi ha sempre continuato
in questo percorso. In Ciao maschio […] come
in molti altri film di Ferreri, è tutto un casino. Però è
divertente”. E alla domanda se oggi un cinema commerciale, ma
sovversivo allo stesso tempo, sia possibile risponde così:
“Credo che oggi tutto sia possibile, anche un cinema così. È
una questione di chi lo fa. Quando ti imbatti in un lavoro di
Ferreri è impossibile non guardarlo. È come un
incidente nel traffico, non riesci a girarti dall’altra parte, è
provocatorio”.
Si passa poi a
Salvatore Giuliano di Francesco
Rosi. Antonio Monda ricorda come Martin Scorsese tre anni fa scelse la stessa
scena del film selezionata oggi da Cuarón,
emblematica del dolore della madre di Giuliano di fronte al
cadavere del figlio, e Cuaron sottolinea: “E’ l’unico momento
in cui si vede in faccia il protagonista. Per il resto, il film è
una mitologia di Salvatore Giuliano e dell’impatto di una vita. Non
è solo sua madre, ma La madre. Rappresenta tutte le madri del mondo
che piangono. E’ la Pietà”. Coglie poi l’occasione per parlare
di quelli che definisce “gli eroi del cinema italiano. Quelli
che lavorano al di là della telecamera. Qui, ad esempio, il
direttore della fotografia era Gianni Di Venanzo,
ma ce ne sono tanti, è una lista vastissima. […] E’ una costante
nel cinema italiano”. E ricorda lo sceneggiatore
Tonino Guerra, il montatore Ruggero
Mastroianni, definendoli “grandi artisti del
cinema”.
L’uomo
meccanico di André Deed, del 1921, a
Cuarón interessa perchè gli permette di parlare
del cinema muto italiano e in particolare di quello
futurista, anche se, dice, “questo non ne è proprio un
esempio preciso, ma ha quel sapore. Il regista è francese, ma
lavorava in Italia. E’ interessante perchè è il primo esempio del
robot nel cinema. […] è un precursore, un robot che diventa un
pericolo per la gente. È Terminator 70 anni prima […] Inoltre, è un
film divertente, d’azione.” Quando gli si chiede come si ponga
di fronte agli artisti e ai cineasti che, come i Futuristi, vicini
alle idee del Fascismo che si sarebbe di lì a poco affermato, hanno
idee anche molto lontane dalle sue, così risponde: “Anche se le
idee di tanti artisti sono opposte alle mie, non per questo non
posso ammirare il loro lavoro. È diverso quando l’arte è un elmento
propagandistico, allora non è più arte, è propaganda. L’artista
deve essere un riflesso delle sue convinzioni”.
Della produzione di un regista come
Monicelli, maestro della commedia all’italiana,
Cuarón sceglie invece un film drammatico, forse il
meno noto del regista, che non ebbe grande fortuna al botteghino:
I compagni, del 1963. “È uno dei film
più belli di Monicelli. C’è la malinconia verso la
vita, […] poi c’è il passaggio del tempo che pure è importante in
Monicelli. E’ un film politico intelligente e non propagandistico,
perchè il centro del film è l’umnità, non il discorso ideologico,
ma quello umanitario”. La scelta diventa l’occasione
per parlare di Marcello Mastroianni, protagonista insieme
a Renato Salvatori. “Il bello di
Mastroianni come attore è che sembra che tutto sia
facile per lui. È uno di quegli attori che senti amico, lo conosci
subito. Ecco perchè può rischiare di fare anche personaggi un po’
ambigui, perchè lo spettatore non lo giudica mai”. “E’uno
dei miei attori preferiti di tutta la storia del cinema. In
spagnolo si dice “delicioso” […]Per
Mastroianni era importante il processo del fare il
cinema. Non guardava al film. […] L’importante era la gioia di
lavorare nel cinema. Questo mi dicono di lui. Ecco perchè tutto in
lui è pieno di vita, ogni suo personaggio”.
Si passa poi a
C’eravamo tanto amati , capolavoro
di Ettore Scola,
regista, ma anche grande sceneggiatore.
“Scolaè un cineasta che amo, con una
carriera molto varia. Il suo primo film è più vicino alla commedia.
Mentre qui ha cominciato a combinare melodramma e commedia. Questo
è un film in cui il passaggio del tempo è importante. È il più
bello su questo tema. […] E’ un film sulla disillusione e la caduta
degli ideali”. Sul passaggio del tempo,
Cuarón cita anche è La meglio
Gioventù di Marco Tullio Giordana :
“Un altro film che mi piace molto”.
Parlare di Scola
non può che essere l’occasione per parlare di sceneggiatura
in Italia e delle sue specificità rispetto ad esempio alla
sceneggiatura americana: “Quello italiano è un
melodramma più realista rispetto a quello americano, un melodramma
il cui cemento è la relatà, il contesto sociale. Credo anche che
quella di Scola fosse un’epoca troppo
ideologizzata. È chiaro che quasi tutti i registi dell’epoca si
sono schierati da una parte in questo dialogo ideologico. Ma non
per questo hanno fatto film ideologici. […] Il centro della
sceneggiatura italiana è l’umanità. Anche la ricerca formale di
Scola è interessante. La transizione al colore ne
fa parte. Poi ha fatto film quasi musicali, più
stilizzati”.
Il regista messicano non poteva poi
non scegliere La dolce vita di
Federico Fellini, a seguito del quale, per
omaggiare Cuarón, è stata montata una clip dal suo
film Roma. É l’occasione per rivelare:
“Ho utilizzato in tutta la sequenza della spiaggia in
Roma, il vento di Fellini. Il
vento che c’è in Amarcord, La dolce
vita, La nave va, è quello che c’è in
questa sequenza di Roma. Per me e per tutti i
registi che veramente sono tali Fellini è fondante
del cinema moderno. […] E’ un maestro di forma, di tecnica, con una
preoccupazione particolare rivolta alla donna, quasi un
ossessione”.
Si passa poi a cineasti
contemporanei, il primo dei quali è Michelangelo
Frammartino con Le quattro
volte. A chi chiede che idea di narrazione ci sia in
un film come questo, Cuaron risponde con una provocazione: “La
narrativa è il veleno del cinema. Il cinema può esistere senza
musica, senza attori, senza colore, suono, storia, ma non senza la
macchina da presa e il tempo. Frammartino è un
maestro dell’osservazione del tempo e del flusso dell’esistenza in
questo tempo. Questo mi sembra uno dei film più importanti del
secolo. È un film misterioso per me, come Padre
padrone. Non capisco come si possa fare un film di questo
tipo. Qual è l’approccio creativo, come lo ha costruito. La
narrativa si può trovare dappertutto, […] ma non è questo
l’importante. A volte la storia è come il filo per stendere i
panni: il filo li sostiene, ma l’importante sono i panni, il
personaggio, il tempo, un tema”.
Cuarón sceglie
anche Emanuele Crialese, presente in salsa, con
Respiro:“Emanuele è grande. Ha preso
la lezione del cinema itlaiano degli anni ’40, ’50 e ’60 e poi ha
fatto qualcosa di suo. Se guardi la prima parte della scena,
potrebbe sembrare il primo Visconti, o
Rossellini. […] Poi diventa un’esplosione di
Crialese puro. È un cinema più moderno, astratto,
ma funziona perchè è ancorato a una realtà, non solo di contesto,
ma emozionale. Ho una profonda ammirazione pr il suo
cinema”.
Anche Valeria Golino presente in sala, è apprezzata
da Cuarón, sia come attrice che come regista.
“Una delle registe moderne più importanti” la definisce il
cineasta messicano, che sceglie il suo
Miele: “Questo film è stato una
sorpresa per me. Ha una sicurezza come regista, si fida del
momento, della sua onestà. … Ciò che lo spettatore guarda sembra
quasi succedere realmente. […] Qui la tecnica c’è, ma non si
vede, non è ostruttiva. La tecnica è parte del linguaggio del
cinema, ma qui, pur essendo perfetta, sparisce. Il personaggio è in
primo piano. Il film è senza sentimentalismo, senza
retorica.”
Infine, ultima scelta del regista è
un’altra donna: Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice, in cui
Cuaron riconosce l’impronta dei fratelli
Taviani. Ma la capacità di
Rohrwacher è stata quella di riuscire a
metabolizzare la lezione dei maestri e poi esprimersi con la
propria voce: “È quella che lo rende importante. […] Cerca la
bontà dell’umanità con una preoccupazione riguardo al dolore
sociale”
Così si conclude l’incontro con
Alfonso Cuarón, un regista che ha saputo mostrarsi
umile e riconoscente della lezione che egli stesso ha appreso da
tanto cinema italiano, all’interno del quale ha operato scelte
interessanti, spesso non consuete, per illuminare aspetti per lui
fondamentali, ricordando non solo grandi registi e attori, ma anche
coloro che lavorano dietro le quinte: dagli sceneggiatori, ai
montatori, ai direttori della fotografia, ai costumisti e
riconoscendo all’Italia la sua grande tradizione anche in questo
campo.