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Venezia 75: presentato La profezia dell’Armadillo, dal fumetto di Zerocalcare

La profezia dell'Armadillo

La profezia dell’Armadillo, film diretto da Emanuele Scaringi e basato sull’omonimo fumetto di Zerocalcare, è stato presentato alla Mostra di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti. A parlarne è intervenuto Domenico Procacci per Fandango, produttore, il regista Emanuele Scaringi, e il cast al completo guidato dall’armadillo Valerio Aprea, con Simone Liberati (Zero) e l’ottimo Pietro Castellitto (Secco).

“Un’elaborazione del lutto con il tono della commedia” così Emanuele Scaringi esordisce, parlando del fumetto e dell’adattamento a cui ha lavorato. Il progetto ha avuto una fase di organizzazione molto complessa: doveva essere l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea, che compare tra gli sceneggiatori del film, insieme a Johnny Palomba, Oscar Glioti e allo stesso Zerocalcare, ma l’attore romano è poi stato risucchiato a un progetto che uscirà in autunno e che rispecchiava di più le sue intenzioni.

Per Simone Liberati, il protagonista, la responsabilità era quella di interpretare Zerocalcare: “Era questa la sfida, l’insidia maggiore, poi però mi sono sentito di svincolarmi da tutte le aspettative derivanti dal fumetto popolare e apprezzatissimo dal pubblico. Non volevamo banalizzare il racconto e alla sua complessità. Quando poi ho comicniato a sentirsi sempre più ansioso, come il personaggio, ho capito che sarebbe stata questa la direzione giusta.”

La profezia dell'ArmadilloValerio Aprea ha indossato l’armatura dell’armadillo, confessando di essersi sentito addosso una responsabilità enorme, facendo un esempio dalla sua esperienza personale: “Io sono grande amante di Asterix e Obelix, e quando vidi per la prima volta un cartone animato di quel fumetto, rimasi turbato anche solo dalla voce dei personaggi. Per cui capisco perfettamente la responsabilità di portare in vita un fumetto così famoso e amato. Spero di non fare la fine dell’attore che ha interpretato Jar-Jar Binks in Star Wars.”

Sulla struttura apparentemente frammentata del film, Emanuele Scaringi ha dichiarato che lo sforzo è andato nella direzione di provare a ottenere una storia più fluida in contrapposizione alle strisce a fumetti, la verità è che la storia è esile e che il film funziona “per associazione emotiva con quello che provano i personaggi, più che per lo svolgersi di azioni”.

La profezia dell’Armadillo uscirà distribuito da Fandango il 13 settembre in circa 150 copie.

 
 

Venezia 75: Saverio Costanzo presenta L’Amica Geniale, la serie tratta da Elena Ferrante

saverio costanzo

La collaborazione tra Hbo-Rai Fiction e Timvision, con a Lorenzo Mieli, produttore con Mario Gianani per Wildside (insieme a Domenico Procacci per Fandango) porta sullo schermo L’Amica Geniale, la serie basata sulla tetralogia di Elena Ferrante, che ha partecipato in prima persona al lavoro di adattamento e di costruzione della serie. Saverio Costanzo , regista della seria, ha parlato del lavoro di adattamento e di cosa ha reso L’Amica Geniale il successo mondiale che l’ha fatta girare in tutto il mondo.

Ma come si lavora con una persona che nasconde la sua identità? Quello di Elena Ferrante è infatti ancora un mistero, un genio della narrativa italiana di cui non si conosce nulla, soltanto un nome, forse fittizio, e la sua incredibile capacità di raccontare. La Ferrante ha portato avanti un fitto scambio di e-mail con Saverio Costanzo, regista che ha diretto la serie ed è “stata molto vicina al progetto e fin dall’inizio è stata una specie di sorvegliante dei libri e di questo tentativo di fare la migliore trasposizione possibile.”

La scrittrice ha quindi collaborato con mente aperta, per il bene dell’adattamento nel rispetto dei suoi romanzi, riponendo grande fiducia nel regista. Il lavoro è stato quello che si fa per un film e il risultato è un insieme di voci, quella dei libri e della grande autrice, ma anche quella dell’autore che era stato chiamato a dirigere.

In merito alle altissime aspettative che tutti ripongono nella serie, Saverio Costanzo ha commentato: “Il mio coinvolgimento in quest’avventura è merito di Elena Ferrante. Avevo letto la tetralogia e non avrei mai pensato di realizzare una serie, ma quando mi è stato proposto non ho avuto nessuna esitazione, perché un regista per riuscire a trovare l’orientamento e decidere se raccontare o meno una storia, deve prima decidere se il nucleo, il cuore di quel racconto somiglia a quello che lui può mettere in scena. Sin dai primi libri di Elena, ho sentito che tra di noi c’era una condivisione di idee e di rappresentazione, un’ostinazione alla ricerca pericolosa di una verità drammaturgica. Il fatto che fosse un progetto molto ampio non mi ha spaventato perché io avevo un nucleo piccolo da salvaguardare e quello non mi avrebbe fatto smarrire. Più che come una responsabilità, ho vissuto il mio lavoro a questo progetto come un privilegio.”

l'amica geniale“Il successo di un’opera è il risultato di tantissimi elementi – ha poi continuato Costanzo, in merito al successo planetario de L’Amica GenialeQuesta è la storia di un’amicizia epica, ma non basta, una storia che dal locale si spinge all’esterno, all’universale, ma nemmeno basta, una storia sull’educazione, ma nemmeno basta questo. Il romanzo di Elena Ferrante riesce a raccogliere una coerenza interna alla storia che le permette di potersi avvicinare al tutto, ovvero raccontare un universo-mondo, ma rimanere molto coerente a quel famoso nucleo. Questo è un miracolo letterario drammaturgico e un’occasione per noi che avevamo questo materiale di partenza. Si potrebbe dire che il successo viene dai sentimenti raccontati. In realtà è anche una storia che trova il suo innesco nel personaggio della maestra di scuola elementare, dunque si può dire che una maestra ti cambia la vita. E in questo concetto si trova la modernità dell’opera, perché L’amica geniale è un’opera profondamente politica e nel momento in cui incontri una maestra, la straordinaria Dora Romano, può cambiare la vita di due bambine ti accorgi sia del valore dell’educazione nella formazione dell’anima di una persona, il valore della conoscenza e ti accorgi attraverso i sentimenti che stai guardando un’opera contemporanea.”

In merito invece alla messa in scena della serie, vista nelle prime due puntate mostrate alla Mostra, Saverio Costanzo ha dichiarato: “Elena Ferrante è molto precisa nelle descrizioni e la soggettività del lettore riempie le facce con la sua storia personale. Ma avendo una matrice così coerente io sapevo esattamente cosa cercare. Cone le quattro attrici protagoniste è stato così, quando le ho viste sapevo che erano loro.”

 
 

Venezia 75: Dragged Across Concrete con Mel Gibson fuori concorso

Sarà presentato fuori concorso a Venezia 75 Dragged Across Concrete, il film di  S. Craig Zahler, e con Mel Gibson, Vince Vaughn, Tory Kittles, Michael Jai White.

Nel film due ispettori di polizia vengono sospesi dal servizio quando viene diffuso dai media un video che mette in luce i loro metodi violenti. Male in arnese economicamente e senza alternative, gli amareggiati poliziotti iniziano la loro discesa nel mondo della criminalità dove, ad attenderli nell’ombra, trovano più di quanto immaginassero.

Il regista ha commentato: Volevo fare un poliziesco carico di suspense interpretato da un cast corale, sull’esempio di Prince of the city (Il principe della città), Taxi driver, Dog day afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani), Sweet smell of success (Piombo rovente). Mel Gibson è Ridgeman, il poliziotto istintivo e amareggiato. Vince Vaughn è il magistrale antagonista. L’acuto e carismatico Tory Kittles e il poliedrico Michael Jai White vestono i panni delle controparti malavitose. La bravissima Jennifer Carpenter è un altra importante tessera del mosaico. La fiducia riposta dal cast nella mia sceneggiatura e regia, insieme all’affidabilità del direttore della fotografia Benji Bakshi, mi hanno aiutato a dirigere questa articolata produzione e a realizzare un film che sono entusiasta di mostrare in anteprima a Venezia.

 
 

House of Cards: Robin Wright racconta come ha salvato la serie

House Of Cards

Come molti sapranno, House of Cards si chiuderà con la sesta stagione composta da soli otto episodi e senza il suo protagonista: Kevin Spacey. Le accuse fatte contro di lui lo scorso anno dall’onda travolgente del #metoo hanno decretato il suo licenziamento e l’allontamento immediato da ogni set. L’ultimo atto della fortunata serie Netflix sarà quindi affidato completamente alla sola protagonista femminile Robin Wright, di cui una recente intervista a Porter rivela il ruolo fondamentale che ha assunto in questi mesi difficili.

La serie è stata molto, molto vicina alla cancellazione per la situazione che si è venuta a creare” ha dichiarato l’attrice “La gente molto spesso diceva: ‘Dobbiamo chiudere altrimenti daremo l’impressione di star esaltando o premiando un comportamento sbagliato!’. Ma io ero convinta che avremo dovuto darle un finale e portare a termine gli impegni presi in questi anni. Lo dovevamo anche alle persone che hanno amato la serie.”.

La Wright racconta quindi di aver incontrato in prima persona i dirigenti di Netflix alla fine del 2017 per trovare una soluzione al fine di non cancellare l’intero show. Oltre al dispiacere artistico di non portare a termine un progetto, l’attrice era seriamente preoccupata del lavoro dei suoi colleghi di set. Secondo alcune stime, riportate da lei stessa, con l’interruzione della lavorazione di House of Cards 600 persone avrebbero perso il posto, senza considerare tutti i collaboratori esterni che ogni giorno lavorano su un set cinematografico. Così, sebbene con un numero di puntate limitato, Claire Underwood cercherà di dare un finale dignitoso ad una delle produzioni televisive che ha cambiato la storia del piccolo schermo.

 
 

Il cavaliere oscuro: quale canzone Nolan non ha voluto per il trailer?

Il cavaliere oscuro, secondo capitolo della trilogia su Batman di Christopher Nolan, sta per compiere dieci anni. E pensando oggi a quel film tra le cose che potrebbero venire in mente a molti c’è sicuramente la grande musica di Hans Zimmer che, come spesso accade, ha fatto un lavoro ineccepibile sulla colonna sonora. Le note del compositore furono usate anche per il trailer del film, ma uno degli sceneggiatori aveva proposto qualcosa di diverso. Si tratta di Jonathan Nolan, fratello del regista, che per la pubblicità al film aveva pensato ad una musica più popolare: Paint it Black dei Rolling Stones.

L’idea, racconta Jonathan in una recente intervista, fu del tutto bocciata dal fratello: “Sono anni che lavoro al cinema con mio fratello e lui non è stato mai entusiasta all’idea di usare musica popolare nei film. Il risultato della musica che produce con Hans era così bella e costruita appositamente per ogni sequenza che non aveva bisogno di altro aiuto, ma gli ho sempre suggerito qualche tipo di canzone che ascoltavo mentre scrivevo. Per esempio per anni ho provato a convincere Chris ad utilizzare Paint it Black per un trailer dei nostri Batman. È una canzone iconica ma è stata già utilizzata prima, capisco perché l’idea non lo ha interessato.”.

L’intera filmografia di Christopher Nolan, infatti, è fatta di musica completamente originale e utilizzare, anche solo per il trailer, una canzone così popolare avrebbe distolto l’attenzione sulle immagine e sulla bellezza della colonna sonora di Zimmer. Alla fine anche Jonathan l’avrà capito.

FONTE: Cinebook

 
 

Joker: ecco quale ruolo avrà l’attore Marc Maron

Le riprese del tanto atteso Joker di Todd Phillips stanno per iniziare ed alcuni dettagli cominciano quindi a diventare più chiari. Come quello riguardante il ruolo di Marc Maron che poche settimane fa aveva annunciato il suo ingresso nel cast del film. Il sempre aggiornato ThatHashtagShow rivela che la star, conosciuta sul piccolo schermo per il suo ruolo in GLOW, interpreterà il produttore di un talk show presentato dal personaggio impersonato da Robert De Niro. L’attore, sempre secondo la fonte, avrà scene esclusivamente legate a questo programma televisivo e quindi non avrà una partecipazione così attiva nella storyline principale del Joker interpretato da Joaquin Phoenix.

Marc Maron aveva annunciato la sua entrata nel cast del film con queste parole entusiaste solo pochi giorni fa: “E’ vero gente, signori e signori è vero, sono stato aggiunto al cast del nuovo film sul Joker diretto da  Todd Phillips e con Joaquin Phoenix e Robert De Niro nel cast. Due dei migliori attori che abbiano mai abbellito uno schermo. Questo è il film di cui farò parte, spero venga apprezzato perché, onestamente, la sceneggiatura  è davvero grande. Ecco, ora lo sapete!”.

Nessun altra rivelazione invece per ciò che riguarda i ruoli ancora da assegnare. Come quello di Thomas Wayne, rimasto vagante dopo l’abbandono del progetto da parte di Alec Baldwin. Altri nomi confermati quello di Bryan Callen, Zazie Beetz, in trattative Frances Conroy per il ruolo della madre di Joker.

 
 

Il Trono di Spade: Nikolaj Coster-Waldau parla del finale

Manca ancora molto alla messa in onda dell’ottava e ultima stagione di Il trono di Spade, che non apparirà sul piccolo schermo prima della primavera 2019. Gli attori però hanno ultimato le riprese e c’è chi parla già della serie in tono malinconico. Si tratta di Nikolaj Coster-Waldau, interprete di Jaime Lannister, che ancora non si riesce a capacitare come il suo personaggio e quello della sorella Cersei (Lena Headey) siano arrivati fino alla stagione conclusiva.

È stata una sorpresa” ha detto l’attore “Ogni volta che ricevevamo la sceneggiatura pensava ‘Ok, probabilmente sarà questa l’ultima’. Ma no. I ragazzi Lannister sono arrivati fino alla fine”. Sull’ultima stagione ha poi dichiarato: “Ho scritto agli autori quando ho finito di leggere la sceneggiatura e ho subito detto loro: ‘Non penso che avreste potuto fare di meglio per porre fine a questa storia’. Per me è stato molto soddisfacente e anche molto sorprendete, tutte cose che speravo. Ha tutto molto senso, non è come in quelle storie in cui l’assassino si rivela all’improvviso all’ultimo atto e tu pensi ‘Oh, non l’ho visto arrivare’. Qui hanno fatto davvero un ottimo lavoro!”.

Da queste parole si potrebbe forse leggere tra le righe che i Lannister sopravvivranno fino alla fine, arriveranno quindi all’episodio finale e magari fino alla conclusione dell’intera serie. Quello che è certo al momento è che l’attore è rimasto davvero soddisfatto del finale, speriamo che lo possano essere anche gli spettatori.

FONTE: Comicbook

 
 

Venezia 75: oggi At eternity’s Gate con Willem Dafoe

At eternity's Gate

Oggi sarà presentato in concorso a Venezia 75 At eternity’s Gate, il film diretto da Julian Schnabel con protagonisti Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Niels Arestrup.
 

Questo film è un insieme di scene ispirate a dipinti di Vincent Van Gogh, eventi della sua vita comunemente accettati come fatti realmente accaduti, dicerie e scene completamente inventate. Il fare arte dà l’opportunità di realizzare qualcosa di concreto, che esprime una ragione di vivere, se esiste una cosa simile. Nonostante tutta la violenza e le tragedie sofferte da Van Gogh nella sua esistenza, non c’è dubbio che abbia vissuto una vita caratterizzata da una magica, profonda comunicazione con la natura e la meraviglia dell’essere. L’opera di Van Gogh è fondamentalmente ottimista. Le convinzioni e la visione alla base del suo singolare punto di vista rendono visibile e fisico ciò che è inesprimibile. Sembra essere andato oltre la morte, incoraggiando gli altri a fare altrettanto.

Questa non è una biografia del pittore realizzata con precisione scientifica. È un film sul significato dell’essere artista. È finzione, e nell’atto di perseguire il nostro obiettivo, se tendiamo verso la luce divina, potremmo addirittura incappare nella verità. L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte. “Riuscire a creare qualcosa di imperfetto, di anomalo, qualcosa che alteri e ricrei la realtà in modo tale che ciò che ne risulta siano anche delle bugie, se si vuole, ma delle bugie più vere della verità letterale”.
(Vincent Van Gogh).

 
 

Aquaman: Zack Snyder nei crediti del film

aquaman

Il rilascio dell’ultimo poster di Aquaman ha rivelato un dettaglio che potrebbe essere molto gradito dai fans: Zack Snyder compare tra i crediti del film. Il regista è stato infatti inserito nella lista dei produttori esecutivi insieme alla moglie Deborah Snyder. Questa presenza non dovrebbe essere del tutto una sorpresa, in quanto gli Snyder in questi ultimi anni sono stati fondamentali nella prosecuzione dell’universo espanso DC. Solo come regista Snyder ha firmato per la casa L’uomo di acciaio, Batman V Superman: Dawn of Justice e Justice League, mentre come produttore compare anche in Suicide Squad e Wonder Woman. Inoltre è stato proprio lui a scegliere Jason Mamoa come protagonista del film.

Zack è qualcuno che veramente mi ha salvato la vita. Questa opportunità è arrivata solo grazie a lui. Quindi se ti piace Aquaman puoi tranquillamente ringraziare Zack Snyder all’istante, perché niente sarebbe accaduto se non fosse stato per lui.” ha detto l’attore. Parole simili sono state pronunciate anche dalla controparte femminile Amber Heard che all’inizio di quest’anno diceva: “Zack mi ha portato ad essere una regina guerriera.”.

Aquaman sarà diretto da James Wan, al suo esordio nel mondo dei cinecomic, ed oltre ai due attori sopracitati vedrà nel cast anche Willem Dafoe, Yahya Abdul-Mateen II, Tamuera Morrison, Nicole Kidman e Patrick Wilson. Il film uscirà nelle sale USA il prossimo 21 Dicembre mentre in Italia bisognerà attendere il 1 Gennaio 2019.

FONTE: Comicbook

 
 

Wonder Woman 1984: Robin Wright ci sarà

Arriva in queste ore, grazie ad un’intervista rilasciata alla stessa attrice a Porter, una notizia davvero inaspettata per chi ha amato la Wonder Woman di Patty Jenkins. Nel prossimo capitolo, Wonder Woman 1984, ci sarà anche Robin Wright nei panni di Antiope. Il primo episodio non si era chiuso affatto bene per questo personaggio e la sua storyline sembrava proprio destinata a chiudersi con un solo film della saga all’attivo, ma la Wright non solo ci sarà, ma anche girato alcune sequenze sul set insieme a Connie Nielsen che interpreta Hippolyta. Questa informazione è già molto importante per i fans, sarebbe stato forse chiedere troppo all’attrice spiegare anche il come ed il perché di un suo ritorno. Forse sarà protagonista di alcuni flashback?

Quel che è certo è che in questo episodio la protagonista Gal Gadot si troverà catapultata negli anni ’80, al centro della Guerra Fredda a combattere Cheetah, una nuova avversaria a cui Kristen Wiig ha prestato il volto. Insieme a lei le new entry del cast sono Pedro Pascal, Natasha Rottwell, Gabriella Wilde e Ravi Patel. Ritornerà a vestire invece i panni di Steve Trevor Chris Pine. Wonder Woman 1984 uscirà nelle sale a fine 2019, una data provvisoria potrebbe essere quella del 1 Novembre.

 
 

Fratelli nemici – Close Enemies: recensione del film di David Oelhoffen

Fratelli nemici - Close Enemies

Altro giorno, altro film. Dopo aver visto commedie brillanti, biopic ‘spaziali’, remake horror e film western, la 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ci propone un thriller, portando sul grande schermo l’ultimo film di David Oelhoffen, dal titolo Fratelli nemici – Close Enemies, presentato in concorso.

In Fratelli nemici – Close Enemies Nati e cresciuti nei sobborghi di Parigi, Manuel (Matthias Schoenaerts) e Driss (Reda Kateb), un tempo quasi fratelli più che semplici amici, hanno poi preso strade diverse, anzi, opposte. Mentre il primo per poter sopravvivere in quel quartiere malfamato ha scelto la strada della criminalità diventando un narcotrafficante, l’altro, al contrario, è diventato un poliziotto. Ma qualcosa di terribile farà incrociare di nuovo le loro vite. In attesa di un grande carico di droga proveniente dal Portogallo da consegnare ad un certo Reyes, il SUV di Manuel viene attaccato e la sua banda sterminata. Costretto a darsi alla macchia per sopravvivere, si troverà a dover chiedere aiuto proprio al suo peggior nemico.

Freres Ennemis

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C’è chi dice che thriller e action movie siano appannaggio esclusivo degli americani. Oelhoffen, invece, con il suo Fratelli nemici – Close Enemies, si diverte a dare del filo da torcere ai suoi colleghi a stelle e strisce. Utilizzando l’ormai collauda struttura di genere, il regista imbastisce un film classico nel senso più stretto del termine. Abbiamo infatti un cattivo ragazzo dal cuore tenero che di giorno gioca a pallone con il figlio e di notte spaccia e un cattivo ragazzo che invece ha cambiato vita; non mancano inoltre droga, poliziotti, inseguimenti e tante sparatorie.

Fratelli nemici - Close Enemies

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Quella di David Oelhoffen sembrerebbe la ricetta per il perfetto thriller/action movie ma in realtà anche Freres Ennemis presenta non pochi problemi. Nonostante il genere cinematografico di appartenenza, il film in alcuni momenti sembra soffrire a causa del suo ritmo altalenante; si alternando, infatti, momenti d’azione davvero avvincenti che tengono lo spettatore incollato allo schermo ad altri invece fin troppo lenti e quasi statici. Ma a risollevare le sorti di un film tutto sommato abbastanza banale, ci pensano i due meravigliosi protagonisti; Matthias Schoenaerts è perfettamente a suo agio nel ruolo nel ruolo del cattivo in cerca di vendetta laddove Reda Kateb invece è il suo perfetto antagonista.

Fratelli nemici – Close Enemies non brilla certo per originalità sia nel contenuto che nella forma ma è un film godibile proprio per la sua semplicità, pieno di interessanti spunti di riflessione e che metterà d’accordo gran parte del pubblico in sala.

 
 

The Sisters Brothers: recensione del film di Jacques Audiard #Venezia75

The Sisters Brothers

Arriva in concorso a Venezia il western poetico The Sisters Brothers del regista francese Jacques Audiard. Una nuova incursione, dopo The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen, nel cuore selvaggio della frontiera americana vista con uno sguardo inusuale, divertente e commovente.

I due fratelli Charlie ed Eli Sisters sono due killer al servizio di un potente chiamato Il Commodoro. Sono molto legati tra loro, soprattutto dopo la morte del padre violento e l’allontanamento da casa. Si proteggono l’uno con l’altro, volendosi un gran bene, ma manifestandolo in modo burbero, tra scherzi, litigi e zuffe. Il loro lavoro consiste nel ritrovare persone scomode o banditi. Non esitano a uccidere, senza porsi troppe domande. Charlie in particolare, il fratello più giovane, ha una vera dote naturale per le carneficine. Eli, invece, anche se altrettanto spietato ed esperto con le armi, ha un’indole tranquilla, sentimentale e anela a una vita normale. La loro nuova missione consiste nel rintracciare e riportare indietro un chimico, detentore di una prodigiosa formula per rivelare la presenza dell’oro nei fiumi. Comincia così una spietata e movimentata caccia all’uomo, attraverso il cuore del selvaggio west, ma soprattutto  attraverso il profondo di se stessi.

The Sisters Brothers è una fiaba tenerissima e struggente, che ruota attorno al legame e ai sentimenti più intimi di due fratelli, magnificamente interpretati da John C. Reilly e Joaquin Phoenix.

È un western, perché ambientato nel selvaggio cuore dell’America dei coloni e popolato di pistoleri, mandriani, cercatori d’oro e tutta la fauna tipica da saloon, ma non è un western classico, perché rifugge tutti i canoni del genere, evitando gli stereotipi e trasformando abilmente ogni elemento di questa tipologia di racconto, per contribuire a scandagliare l’emotività e il bisogno di amore che alberga sul fondo dell’animo di ognuno, anche della canaglia più spietata.

A Reilly e Phoenix si aggiungono anche gli ottimi Jake Gyllenhaal e Riz Ahmed, rispettivamente un collega cacciatore di taglie dei due fratelli e il povero indifeso chimico geniale. Anche loro due sono perfettamente calati nel ruolo e riescono a regalare sfumature indelebili, che rimangono scolpite nel cuore dello spettatore.

Il regista Jacques Audiard, reinventa boschi, praterie, villaggi e città del selvaggio west, nel bel mezzo dell’ Europa, lavorando sapientemente tra boschi e praterie, con colori e luci, assecondando ogni mutamento di stato d’animo dei personaggi e imbastendo un’irresistibile, sanguinaria combriccola di forsennati, bisognosi solo di un briciolo di affetto e tranquillità.

Il film è pieno di invenzioni e situazioni, a volte divertenti, altre volte malinconiche, altre ancora struggenti. Ma è imprevedibile, fuori da ogni schema, scorre veloce di sorpresa in sorpresa, senza mai subire rallentamenti o indurre intuizioni legate a dispositivi narrativi ormai consolidati e stantii. Tutto questo grazie a una magnifica sceneggiatura scritta dallo stesso Jacques Audiard insieme a Thomas Bidegain. Ma il merito è dovuto anche al romanzo omonimo di Patrick de Witt da cui è tratto il film.

I meravigliosi costumi sono dell’italiana Milena Canonero, le scenografie di Michel Barthélémy, che ricostruisce sapientemente anche le strade della vecchia San Francisco e un hotel di gran lusso, fornito dei primi bagni con toilette e vasca privata.  Le musiche sono invece di Alexandre Desplat, che si allontana dagli stereotipi, per regalare una partitura dal sapore fiabesco, perfetta per sottolineare i turbamenti dei quattro protagonisti. Questi sono solamente alcuni dei creatori di questa favola western, frutto di una co-produzione di tanti paesi europei tra cui Francia, Belgio, Romania e Spagna.

The Sisters Brothers potrebbe definirsi un emo-western, che conquisterà e commuoverà anche chi non è avvezzo a tale genere, ma che certamente mostrerà il lato più tenero e nascosto del selvaggio west, finora mai raccontato così delicatamente in un film. E per gli amanti di sparatorie, bordelli e saloon… nulla da temere: tutti accontentati!

Venezia 75: Jacques Audiard presenta The Sisters Brothers

 
 

Venezia 75: Jacques Audiard presenta The Sisters Brothers

Jacques Audiard

Alla conferenza stampa di The Sisters Brothers era presente il regista Jacques Audiard, lo sceneggiatore Thomas Bidegain, il compositore Alexandre Desplat, e solamente uno degli attori, John C. Reilly.

Il regista racconta che la genesi dell’idea del film parte dal libro di Patrick deWitt, da lui letto in precedenza, ma che mai avrebbe pensato di portare sullo schermo, perché ambientato nel far west, cosa della quale non è mai stato un grande appassionato. Ma quando gli è stato proposto il progetto, ha accettato con entusiasmo, con l’idea di uscire dagli schemi e di lavorare in maniera del tutto personale.

È rimasto colpito soprattutto dall’emotività dei personaggi descritti nel libro, intuendo di poter costruire lo script dando risalto soprattutto a questo. Il romanzo conteneva poi invenzioni ed elementi irresistibili, che ha voluto tenere e portare nel film. Lo reputa un romanzo di formazione, incentrato su due fratelli rimasti bloccati all’età di dodici anni e di averlo voluto trasformare in un film basato sui rapporti e sulla continua ricerca della felicità.

Audiard ha escluso nel modo più categorico di non ispirarsi a Sergio Leone o altri maestri del genere western, di non aver cercato riferimenti precisi. Non voleva fare un film western, bensì una fiaba.

Forse l’unico lontano riferimento può essere stato per lui La notte del cacciatore di Charles Laughton, film del 1955 con Robert Mitchum.

Desplat racconta di come ha cercato in tutti modi di comporre una musica da western che non fosse troppo western, cercando una via di fuga senza rimanere in trappola. Mentre Bidegain ha confermato l’impostazione e le idee di Audriard, con il quale ha scritto il film.

John C. Reilly dice di aver letto il manoscritto del libro prima della pubblicazione, rimanendo entusiasta e sognando di portare sullo schermo quel personaggio creato su misura per lui.

Ci si riconosce pienamente e trova vincente la chiave inusuale su cui si costruisce tutta la storia. Spende grandi complimenti per il suo collega Joaquin Phoenix, reputandolo un grandissimo e scrupoloso attore, ossessionato dalla verità.

Reilly ha poi scherzato sui suoi rapporti con i vari animali sul set, lamentandosi del suo cavallo che petava in continuazione e raccomandando che con i ragni bisogna restare fermi e molto calmi, soprattutto quando ti camminano sulla faccia e stanno per entrarti in bocca, come succede al suo personaggio nel film.

 
 

Jason Clarke: intervista all’attore di Il Primo Uomo

Dopo Claire Foy e Damien Chazelle, ecco la nostra esclusiva intervista a Jason Clarke, tra gli interpreti di Il primo Uomo (First Man) presentato in concorso a Venezia 75.

First Man narra l’avvincente storia della missione della NASA per portare un uomo sulla Luna. Il film si concentra sulla figura di Neil Armstrong e gli anni tra il 1961 e il 1969. Resoconto viscerale e in prima persona, basato sul libro di James R. Hansen, il film esplora i sacrifici e il costo, per Armstrong e per l’intera nazione, di una delle missioni più pericolose della storia.

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Il regista ha così commentato il film First Man

Prima di iniziare a lavorare a First Man, conoscevo la storia della missione sulla Luna, la storia di successo di una conquista leggendaria… ma nulla di più. Dopo avere iniziato a esplorare il tema in profondità, sono rimasto sbalordito di fronte alla follia e al pericolo dell’impresa: il numero di volte in cui è stata sull’orlo del fallimento così come il pesante tributo costato a tutte le persone coinvolte. Volevo capire cosa potesse avere spinto quegli uomini a intraprendere un viaggio nella vastità infinita dello spazio, e quale sia stata l’esperienza vissuta, momento dopo momento, passo dopo passo. E per poter capire dovevo necessariamente addentrarmi nella vita privata di Neil. Questa è una storia che doveva essere articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana. Ho deciso di girare il film come un reportage, e di catturare sia la missione nello spazio che i momenti più intimi e privati della famiglia Armstrong come un testimone invisibile. Speravo che questo approccio potesse mettere in luce il tormento, la gioia, i momenti di vita vissuta e perduta in nome di uno dei traguardi più celebri della storia: lo sbarco sulla Luna.

 
 

Il ragazzo più felice del mondo: recensione del film di Gipi

Il ragazzo più felice del mondo

Il ragazzo più felice del mondo potrebbe essere Francesco, un ragazzo che a 14 anni mandò una lettera a Gianni Pacinotti, in arte Gipi, per esternargli la sua devozione di fan e chiedergli un disegno. Se non fosse che Francesco, forse, non esiste, è un’identità fittizia di un amante dei fumetti, probabilmente con disturbi mentali, che per oltre 20 anni ha mandato la stessa lettera da ammiratore a moltissimi fumettisti italiani.

L’incredibile storia vera in cui si è imbattuto l’autore de La mia vita disegnata male è diventata così il pretesto per il film che Gipi ha presentato alla Mostra di Venezia 75 nella sezione Sconfini. Il progetto era quello di un documentario, in cui Pacinotti raccoglieva le testimonianze dei suoi colleghi fumettisti, oltre 50, che avevano ricevuto la stessa lettera nel corso degli anni e con tutti loro andava da “Francesco” per renderlo, appunto, il ragazzo più felice del mondo. Da una parte un’idea geniale, dall’altra il problema di come raccontarla, senza ledere la privacy di questo misterioso fan, e allo stesso tempo senza tradire la storia.

E così l’intuizione è stata quella di trasformare il “problema di come raccontare” la vicenda nel film stesso. Per farlo, Gipi ha chiesto ai suoi amici di aiutarlo, letteralmente, sprofondando finalmente nel metacinema, che tante volte ha accarezzato; il pisano si circonda di persone che sono suoi amici nella vita vera, spingendoli davanti alla macchina da presa, sullo schermo, per metterlo al centro dell’attenzione e per demolire il suo narcisismo senza ferirlo troppo in profondità (sono pur sempre suoi amici).

Gipi: intervista al regista di Il ragazzo più felice del mondo

Con il solito acume auto-critico e analitico, Gipi realizza questa stramba commedia che non manca di diventare territorio di profonda riflessione su quello che è davvero il mestiere del cantastorie, di chi vuole sottoporre il proprio mondo interiore, le proprie fantasie, le proprie storie al giudizio del pubblico e a cosa vuol dire esporre se stessi a questo rischio. Riflessione particolarmente cara a lui che in tutto il suo lavoro ha messo una parte di sé e della sua vita privata. Fama, fan, disegno, storie: il film tocca tutte le sue ossessioni ma non dimentica il gioco, la leggerezza e la risata forte e genuina che esplode dal petto, per un’intuizione brillante, o una battuta politicamente scorretta.

Davide Barbafiera, Gero Arnone e Francesco Daniele sono i coprotagonisti e gli incaricati a demolire l’ego e ad accompagnare l’amico, in quello che, nel finale, diventa un road movie anomalo, che si risolve in un lieto fine inaspettato. Con i tre co-protagonisti, sullo schermo si avvicendano anche molti volti noti del fumetto italiano, qualcuno chiamato a testimone nel ruolo di se stesso, qualcun altro che ha accettato di trasformarsi in attore per un giorno: tutti amici di Pacinotti nella vita vera. Una scanzonata compagnia che mette in scena un film disordinato, che prende tante direzioni, ne segue altre ancora, in nome dell’intuizione, della storia da seguire, e nonostante questo mantiene intatto lo spirito del suo autore, uno spirito da bambino saggio che non ha mai smesso di disegnare.

Il ragazzo più felice del mondo è Gianni stesso, perché nonostante il pericolo di esporre il suo cuore e la sua vita al mondo intero, continua a farlo per amore delle storie. E non c’è forma di devozione più rischiosa e più grande.

 
 

Pearl: recensione del film di Elsa Amiel

Pearl

Nell’epoca delle rivendicazioni femminili arriva, in Concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 75, una storia di una donna che attraverso il suo corpo prova a rinnegare la sua natura di madre e abbraccia completamente la sua volontà: Pearl. Opera prima di Elsa Amiel, è la storia di Lea Pearl, una bodybuilder che ha consacrato la sua vita a questo sport. Ma a che prezzo? Lo scopriamo subito nella storia. Quando era ancora Julia, la protagonista ebbe un bambino dal compagno, ma abbandonò entrambi e adesso la sua vita e soprattutto il suo corpo sono totalmente cambiati. Ma cosa le accadrà quando questo passato le viene sbattuto in faccia inaspettatamente? Alla vigilia di una importantissima competizione, Lea dovrà fare di nuovo i conti con quella che è stata, e con un bambino di quattro anni.

Amiel gira il film in lingua doppia, francese e inglese, dove la prima sembra essere riservata alla componente emotiva, ai dialoghi con il bambino, con l’ex marito, insomma allo scontro dei sentimenti. L’inglese è invece la lingua pragmatica della bodybuilder e del suo allenatore, la lingua delle dosi di ormoni, della dieta ferrea, del divieto di bere acqua e della preparazione atletica.

Il cuore del film però è il corpo di Julia/Lea e il contrasto che vive nel momento in cui ricorda il passato di madre, o meglio di donna che ha dato alla luce un bambino, visto che madre in senso proprio non lo è mai stata. E appena il suo corpo rientra in contatto con il figlio, ricompare del sangue mestruale, che da anni, a causa dei bombardamenti di ormoni, non si manifestava più. Un risveglio del suo corpo d’origine che lei per prima rifiuta ma che imparerà ad accettare nel corso del film, con un esito inaspettato.

La Amiel sceglie una strada poco battuta per raccontare la femminilità e la lotta della donna con e dentro al suo corpo, per sempre prigioniera di un contenitore che può essere plasmato o assecondato.

 
 

Peterloo: recensione del film di Mike Leigh

peterloo

Torna in Concorso alla Mostra di Venezia 75 Mike Leigh, che 15 anni fa conquistò il Leone d’Oro con Il segreto di Vera Drake. Questa volta il regista settantacinquenne sceglie una sanguinosa pagina della storia inglese, il massacro di Manchester, evento poco noto ma decisivo per il percorso della democrazia del Regno Unito.

La trama di Peterloo

I fatti: il 16 agosto 1819 a St. Peter’s Field si svolse un raduno pacifico, a favore della democrazia, che promuoveva il suffragio universale e la rappresentanza politica diretta. Questa pacifica assemblea si tramutò in una strage con decine di morti e centinaia di feriti a causa della decisione dei magistrati locali di far intervenire la guardia nazionale a cavallo, a sciabole sguainate. La decisione scellerata venne presa a seguito del clima di fermento e timore, da parte dei nobili inglese, generato dalla recente Rivoluzione Francese. L’esito fu un massacro, appunto, che generò un’ondata di proteste in tutto il Paese.

Leigh si pone come obbiettivo ambizioso quello di raccontare non solo la strage ma tutto ciò che venne prima, descrivendo con minuzia la situazione sociale, quella dei lavoratori nelle fabbriche, delle donne senza il diritto di voto, dei giovani di ritorno dalle guerre napoleoniche. L’eco di Waterloo non si era ancora spento, e la strage a St. Peter’s Field divenne presto “il massacro di Peterloo” per i giornali dell’epoca. Per costruire il suo affresco storico, il regista scende nei minimi dettagli della ricostruzione storica, dando voce a tutti. Dalla casalinga stanca, al bimbo cencioso, agli operai ridotti alla fame, ai nobili, i magistrati, al re matto e persino alla sua cortigiana. Tutti in Peterloo trovano spazio, parola, inserendosi in un disegno dettagliatissimo.

Peterloo si fa quindi costantemente dialogo tra opposti, tra gli illuminati eredi della Francia rivoluzionaria, ai conservatori al potere, tra gli oratori che infiammavano i cuori degli affamati senza armare le loro mani, ai privilegiati che non esitavano a delegare la violenza alle loro “braccia”.

A pagare le spese di questa coralità così strutturata e dettagliata è il ritmo del film, che si dilata e appesantisce l’affresco storico. Dopotutto non c’era altro modo di raccontare la stessa vicenda, dal momento che l’azione del film culmina negli ultimi 30 minuti, con un saggio di grande perizia tecnica di Leigh, nella regia del caotico e impari scontro.

 
 

Venezia 75: oggi The Sisters Brothers con Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal

The Sisters Brothers

Oggi sarà presentato in concorso a Venezia 75 The Sisters Brothers, commedia wester con protagonisti Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed.

Diretto da Jacques AudiardThe Sisters Brothers racconta di Charlie ed Eli Sisters che vivono in un mondo selvaggio e ostile. Hanno le mani sporche di sangue: sangue di criminali, ma anche di innocenti. Non hanno scrupoli a uccidere. È il loro lavoro. Charlie, il fratello più giovane, è nato per uccidere. Eli, invece, sogna una vita normale. Il Commodoro li ingaggia per scovare un uomo e ucciderlo. Comincia così una spietata caccia dall’Oregon alla California: un viaggio iniziatico che metterà alla prova l’insano legame tra i due fratelli. Un sentiero che condurrà alla loro umanità?

VIDEO CORRELATO _ LE INTERVISTE DA VENEZIA 75

 
 

Doubles Vies: recensione del film con Guillaume Canet Venezia 75

Doubles Vies

Il terzo giorno di festival in laguna finalmente si respira un’aria diversa. Mentre fuori la pioggia continua a cadere, in sala, grazie a Olivier Assayas, l’atmosfera si fa più leggera e frizzante. E’ stato presentato in concorso a Venezia 75 l’ultimo film del regista francese dal titolo Doubles Vies con l’eccezionale coppia Guillaume Canet e Juliette Binoche.

In Doubles Vies, Alain (Guillaume Canet) è un editore parigino di successo che fa fatica ad adattarsi alla rivoluzione digitale che sta investendo il mondo della comunicazione e dell’editoria. Mentre cerca di capire come muoversi all’interno di questo territorio per lui ancora inesplorato, continua il suo lavoro, leggendo e selezionando nuovi manoscritti da pubblicare. Tra questi c’è il nuovo romanzo di Leonard (Vincent Macaigne), suo autore e amico da lungo tempo, libro che Alain non è però intenzionato a mandare in stampa. Il lavoro di Leonard è vecchio e stantio eppure Selena (Juliette Binoche), moglie di Alain e attrice di successo, sembra aver preso molto a cuore il progetto…

Doubles Vies Juliette Binoche

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Dopo ben otto anni di assenza dal suo ultimo Apres Mai ( titolo italiano Qualcosa Nell’Aria), il regista Olivier Assayas torna al festival di Venezia presentando un film dallo stile completamente diverso. Doubles Vies è infatti una commedia brillante, genere quasi del tutto estraneo alla cinematografia di Assayas. Partendo dal mondo dell’editoria, il regista fa una riflessione assai arguta ma non priva di humor e di una buona dose di sarcasmo, sulla tecnologia e su come quest’ultima abbia contribuito negli ultimi anni a trasformare i canali di comunicazione. Dai libri agli ebook, dalle lettere a Whatsapp, ormai ognuno di noi sembra non poter fare a meno di smartphone, computer e tablet per comunicare. Ma se la tecnologia ha reso le interazioni più efficienti e veloci, come mai i protagonisti di Double Vies sembrano fare così tanta fatica a interagire tra loro?

Alle riflessioni di Assayas sulla cultura contemporanea che cambia con l’evolversi della società, si aggiungono anche i problemi di comunicazione delle coppie. Abbiamo infatti un matrimonio in crisi – quello di Alain e Selena – e un rapporto disfunzionale e assai bizzarro anche tra Leonard e la sua compagna Valerie (Nora Hamzawi), molto più preoccupata del suo lavoro che del suo rapporto di coppia. Ma se il regista è molto abile nel costruire scene con i suoi protagonisti che dialogano sul rapporto odierno tra forma e contenuto, risulta meno convincente quando tratta l’argomento sentimentale.

Doubles Vies Venezia 75

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Dopo un inizio un po’ lento Doubles Vies – che in Italia uscirà in sala con il titolo di Non-Fiction – prende pian piano il suo ritmo, mostrando allo spettatore una struttura narrativa abbastanza schematica e ripetitiva. Assayas ricicla quasi in maniera ossessiva sempre gli stessi concetti rendendo il film divertente ma soprattutto ridondante. Tutti i personaggi di Doubles Vies sono sempre pronti a sciorinare pensieri più o meno acuti sui problemi comunicativi della società contemporanea ma molto meno inclini ad affrontare i loro di problemi. Non c’è alcun tipo di introspezione e il film, pur riuscendo a strappare non poche risate allo spettatore, risulta facilmente dimenticabile.

 
 

Suspiria: recensione del film di Luca Guadagnino Venezia75

Suspiria

Arriva in concorso a Venezia 75 uno dei film più attesi,  che certamente aprirà molte discussioni, ovvero Suspiria di Luca Guadagnino, remake del notissimo e omonimo capolavoro di Dario Argento.

La storia, anche se dalla Svizzera si sposta in Germania, è quella che tutti conoscono, relativamente fedele all’originale argentiano, ma con molte aggiunte, arricchimenti e orpelli, soprattutto nella parte finale. Nella Berlino degli anni settanta, prima della caduta del Muro, in una prestigiosa compagnia di danza, che ha sede in un funereo palazzo monumentale, si annida una setta di streghe sanguinarie. Una nuova arrivata si trova a scoprire giorno dopo giorno gli orrori che si nascondono nella scuola, ma la brama di entrare a far parte della compagnia la spingerà a rimanere invischiata in un morboso e crudele meccanismo.

È chiaro che non si dovrebbe mai fare un paragone tra un film originale e un remake, ma alcune volte, come in questo caso, il primo film è così entrato di prepotenza nella memoria collettiva che risulta impossibile veder scorrere le immagini senza far tornare la mente indietro. Quello che immediatamente emerge dal paragone è un differente approccio espressivo e sicuramente anche d’intenti. Oltretutto, quarant’anni di distanza tra i due film hanno visto l’evoluzione di un radicale cambiamento nelle modalità di produzione e realizzazione di un opera cinematografica.

Suspiria di Dario Argento è un film sentito, spontaneo, istintivo, libero, con delle felici intuizioni che si sono aggiunte agli stilemi creati con Profondo Rosso e altri titoli precedenti, da quel momento presi a modello da miriadi di film-maker in ogni parte del mondo; basta pensare ai colori sgargianti, alle luci taglienti, alle geometrie ipnotizzanti, alla musica, alla messinscena dei complicati omicidi. Suspiria di Luca Guadagnino è una pellicola assai ragionata, forse troppo, algida, trattenuta, patinata, che purtroppo non crea coinvolgimento, né tensione. Dal punto di vista visivo, nonostante una grande eleganza e accuratezza, poco o nulla aggiunge al ricchissimo panorama del cinema horror contemporaneo, alla continua ricerca di invenzioni e innovazioni.

La scelta di ambientare la storia a Berlino durante il periodo della divisione delle due Germanie è interessante, visivamente funzionale e molto intrigante. Le ricostruzioni scenografiche sono puntuali e di grande effetto, aiutate anche da una bellissima fotografia.  Ma questo viene subito soffocato da un continuo inserimento forzato di elementi storici reali, come il dirottamento del volo Lufthansa, la Baader Meinhof, tornando indietro nel passato fino all’olocausto. L’inserimento storico, che avrebbe funzionato perfettamente senza fatti storici eclatanti, allontana invece da quel necessario senso di astrazione e di non-luogo che sembra affacciarsi in molti momenti della storia. I continui inserimenti di telegiornali e notizie spezzano una narrazione già intricata e dipanata su una lunghezza eccessiva.

Anche l’uso di continue citazioni visive, in momenti di sogno, allucinazione o visione, aumenta ulteriormente la sensazione di distacco emotivo; per coglierne alcuni si va dagli scatti Francesca Woodman alle performance di Marina Abramović, fino ad arrivare al Pasolini di Salò o le centoventi giornate di Sodoma.

La recitazione appare forzata, a volte eccessiva, anche se la bravura di un cast tutto femminile prova a contenere per quanto possibile la mancanza di spontaneità. In alcune scene particolarmente cruente affiora un velo ironico, probabilmente del tutto involontario. Suspiria di Luca Guadagnino è un film con buoni presupposti, visivamente intrigante, ma che non coinvolge e soprattutto non crea inquietudine o paura. Fa però venire una voglia incontenibile di rivedere l’originale, lasciandosi stordire dai colori e dalle sinistre musiche dei Goblin.

 
 

Venezia 75: Luca Guadagnino e il cast presentano Suspiria

luca guadagnino suspiria cast

All’incontro con la stampa di Suspiria, presentato in Concorso a Venezia 75, erano presenti Luca Guadagnino e le interpreti Tilda Swinton, Dakota Johnson, Chloë Grace Moretz, Mia Goth e Jessica Harper, la protagonista di Suspiria di Dario Argento, qui impegnata in un ruolo diverso, a quaranta anni di distanza.

Il regista spiega che ha scelto di ambientare il film a Berlino negli anni settanta per i colori che rimandano all’Autunno Tedesco, il corrispettivo dei nostri Anni di Piombo e anche perché tali cromatismi gli suggeriscono in senso d’inconscio che trasmettono i dipinti di Balthus. Inoltre una città divisa da un muro gli ha permesso di lavorare nel modo giusto sul concetto di inclusione-esclusione.

Alla domanda immancabile del perché cimentarsi in un remake, risponde che il suo film non è un rifacimento, bensì una espansione del film di Dario Argento, con una componente politica fortemente accentuata. Aggiunge che uno dei suoi maggiori punti di riferimento è stato Rainer Werner Fassbinder, i cui film hanno creato in lui un vero e proprio shock emotivo. Li considera cibo che permette di avere le intuizioni e adora il modo in cui riusciva a descrivere le donne, rendendole tridimensionali.

Tilda Swinton elogia Guadagnino, dicendo che non era affatto facile descrivere così bene dei personaggi femminili, da parte di uno sguardo maschile, ma sente che il film è stato diretto anche da lei e dalle altre interpreti. Il rischio era di banalizzare e di cadere nei luoghi comuni. Sposta poi il discorso sulle donne regista, ricordando Kira Muratova, recentemente scomparsa e dimenticata. Dice che se fosse venuto a mancare un regista uomo, si sarebbe dato molto più peso alla sua scomparsa.

Afferma poi con orgoglio che il cinema è uno stato libero senza connotazioni di genere.

Tutte le attrici hanno sottolineato come sia stato intrigante e riuscito il lavoro con Guadagnino. Hanno raccontato della difficoltà di recitare con una doppia lingua, inglese e tedesco. Jessica Harper si è sentita superfortunata per essere stata coinvolta in entrambi i film, a quarant’anni di differenza. Ha potuto rivivere una sua ossessione che durava da tanti anni, ha visto tecnologie diverse e ha compreso che i due registi sono due grandi visionari.

Mia Goth ha parlato del lavoro di gruppo, della convivenza del grande albergo utilizzato come set, dello spirito di squadra e del comportarsi come una vera compagnia di danza, con tanto di allenamenti durissimi, riscaldamento e coinvolgimento fisico.

Chloë Grace Moretz dice che cercava da tempo insieme a Guadagnino il progetto giusto sul quale poter collaborare e di essere felice di averlo trovato in Suspiria. Ha potuto trasformarsi come mai aveva fatto prima, di aver affrontato una vera e propria sfida recitando in una lingua con un suono così diverso, lavorando come in teatro, portando avanti 15 pagine di sceneggiatura nella stessa ripresa.

Suspiria ha un cast internazionale di grandissimo livello, tra cui Dakota Johnson, Tilda Swinton, Mia Goth, Lutz Ebersdorf, Jessica Harper, Chloë Grace Moretz, Angela Winkler, Sylvie Testud, Renee’ Soutendijk, Ingrid Caven, Malgorzata Bela

 
 

Venezia 75, foto: Tilda Swinton, Dakota Johnson sul red carpet

Dopo il photocall ecco le foto del red carpet di Suspiria, con Tilda Swinton, Dakota Johnson, Luca Guadagnino, Thom Yorke, Jessica Harper, Chloe Grace Moretz, Mia Goth, David Kajganich.

VIDEO CORRELATO _ LE INTERVISTE DA VENEZIA 75

Il regista in merito al film ha commentato “Ogni film che realizzo è come un esordio per me: un nuovo inizio che parte dalle memorie che hanno costruito il mio immaginario. A dieci anni, a Cesenatico, ebbi l’epifania di Suspiria: un poster in un cinema chiuso. Trentasette anni dopo debutto al cinema (dell’orrore) grazie al potere evocativo di Dario Argento, capace di scatenare gli immaginari. Suspiria nasce nel 1976 ed esce nel 1977. Il nostro Suspiria è ambientato nel 1977, un anno fecondo per le rivoluzioni femminili-femministe.

In un’accademia di danza di fama mondiale si muove una presenza oscura, che inghiottirà il direttore artistico della troupe, una ballerina ambiziosa e uno psicoterapeuta in lutto. Qualcuno soccomberà all’incubo. Altri, alla fine, si sveglieranno.

 
 

Gipi: intervista al regista di Il ragazzo più felice del mondo

Guarda la nostra intervista a Gipi, fumettista pisano regista del film Il ragazzo più felice del mondo, presentato a Venezia 75, nella sezione Sconfini.

[brid video=”383708″ player=”15690″ title=”Gipi intervista al regista di Il ragazzo pi felice del mondo”]

È una storia vera. C’è una persona che da più di vent’anni manda lettere a tutti gli autori di fumetti italiani spacciandosi per un ragazzino di quindici anni. Nelle lettere chiede sempre “uno schizzetto” in regalo. C’è un fumettista italiano, Gipi, che inizia a indagare su questa persona. Vuole girare un documentario, trovare questa persona, intervistare gli altri autori che hanno ricevuto la lettera. Per realizzarlo, recluta degli amici. Sono solo degli amici.

Venezia 75: Il ragazzo più felice del mondo, recensione del film di Gipi

Completamente incompetenti. Ma c’è una storia da raccontare e, per Gipi, raccontare storie è la cosa più importante che c’è. Ma questa è anche una storia non scritta, che si adatta alle scoperte del momento. Ma le cose non vanno mai come vorremmo. E durante la lavorazione del documentario tutto si trasforma, sfugge, scappa di mano. Ed è così che Gipi si troverà a dover riflettere sul senso stesso del “raccontare storie” e sulle scelte morali che stanno a monte di questo desiderio. Cercando “il ragazzo più felice del mondo”, in una ricerca maldestra e dai contorni comici e deliranti, Gipi troverà tutt’altro, e lo stesso documentario, alla fine, si trasformerà in un film.

 
 

A Star Is Born: recensione del film di Bradley Cooper

A Star Is Born

Il remake, specie di un grande classico del cinema, è sempre una procedura rischiosa; bisogna stare attenti a non commettere l’errore di violare la sacralità di alcune pellicole cercando allo stesso tempo di produrre qualcosa di originale e non troppo scontato. Citazione ma non imitazione, originalità senza stravolgimento: un compito non facile per il regista di turno. Eppure il coraggio e la dedizione di Bradley Cooper, per la prima volta dietro la macchina da presa, sono stati premiati. Il neo regista ha presentato, infatti, a Venezia 75 la sua prima opera, un remake contemporaneo del classico A Star Is Born con una protagonista d’eccellenza.

Il famoso musicista country rock Jackson Maine (Bradley Cooper) sta vivendo un momento di crisi artistica ed esistenziale quando conosce la vulcanica Ally (Lady Gaga). Lui è una star e lei una semplice cameriera che sogna un giorno di sfondare nel mondo della musica. Il loro incontro del tutto casuale segnerà l’inizio di una nuova e forse migliore vita per entrambi, una vita fatta di opportunità, musica e amore.

A Star Is Born Bradley Cooper

Dopo averlo visto ricoprire i ruoli più svariati come quello del cecchino in American Sniper o del festaiolo impazzito in Una Notte Da Leoni, finalmente Bradley Cooper si gode il suo vero momento di gloria con A Star Is Born. Interprete, co-sceneggiatore e regista, Cooper rende omaggio a uno dei classici del cinema più amati di sempre, realizzando un film che non ha nulla da invidiare alle sue tre versioni precedenti. Pur dovendo, infatti, fare i conti con coppie di attori del calibro di Janet Gaynor e Fredric March per la versione originale del 1937, di Judy Garland e James Mason per quella del 1954 e di Barbra Streisand e Kris Kristofferson per quella più amata del 1976, il duo Cooper/Gaga funziona alla perfezione.

Con barba lunga e incolta, capelli al vento, chitarra elettrica e voce graffiante, Bradley Cooper trasforma il suo Jack Maine in una vera e propria star, un artista maledetto dal fascino irresistibile che trova in Lady Gaga la sua perfetta metà. Già conosciuta e amata dal grande pubblico, Gaga stavolta dà il meglio di se stessa abbandonando la teatralità dei suoi estrosi costumi di scena in favore di un look acqua e sapone, rendendo la sua protagonista un mix quasi perfetto di talento esplosivo e vulnerabilità. Le canzoni struggenti e prepotenti di lui si fondono con la potenza vocale ed emotiva di lei dando vita a performance da brividi.

A Star Is Born Lady Gaga

leggi anche: Venezia 75: Bradley Cooper e Lady Gaga presentano A Star is Born

In A Star Is Born si parla indubbiamente di amore e musica e di come questi due elementi siano l’uno il combustibile dell’altro ma il film di Cooper si spinge molto più in là. Prendendo spunto dalle travagliate vite dei protagonisti, il regista affronta lo scottante ma sempre attuale tema della dipendenza da alcol e droghe e della forza a volte distruttiva della popolarità. Grazie all’incredibile alchimia tra Bradley e Gaga lo spettatore si trova non solo quindi ad assistere a questo melodramma musicale ma a esserne parte integrante.

Tutti gli elementi di questa incredibile opera prima sono in perfetto equilibrio, dalla travolgente colonna sonora, alla sceneggiatura così onesta e diretta, rafforzata dall’interpretazione emotivamente sfacciata dei due protagonisti. Si tratta di un remake contemporaneo un po’ fuori dalle righe, di un piccolo capolavoro di genere che, nella sua forse scontata semplicità, riuscirà a commuovere ed emozionare anche lo spettatore più scettico.

 
 

Damien Chazelle: intervista al regista de Il primo Uomo

Oltre alla protagonista, abbiamo avuto il piacere di intervistare anche il regista Damien Chazelle, acclamato per il suo La La Land e che torna a Venezia con Il primo Uomo. Ecco cosa ci ha detto del suo ultimo film:

[brid video=”383712″ player=”15690″ title=”Damien Chazelle intervista al regista de Il primo Uomo”]

First Man narra l’avvincente storia della missione della NASA per portare un uomo sulla Luna. Il film si concentra sulla figura di Neil Armstrong e gli anni tra il 1961 e il 1969. Resoconto viscerale e in prima persona, basato sul libro di James R. Hansen, il film esplora i sacrifici e il costo, per Armstrong e per l’intera nazione, di una delle missioni più pericolose della storia.

Il regista ha così commentato il film First Man

Prima di iniziare a lavorare a First Man, conoscevo la storia della missione sulla Luna, la storia di successo di una conquista leggendaria… ma nulla di più. Dopo avere iniziato a esplorare il tema in profondità, sono rimasto sbalordito di fronte alla follia e al pericolo dell’impresa: il numero di volte in cui è stata sull’orlo del fallimento così come il pesante tributo costato a tutte le persone coinvolte. Volevo capire cosa potesse avere spinto quegli uomini a intraprendere un viaggio nella vastità infinita dello spazio, e quale sia stata l’esperienza vissuta, momento dopo momento, passo dopo passo. E per poter capire dovevo necessariamente addentrarmi nella vita privata di Neil. Questa è una storia che doveva essere articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana. Ho deciso di girare il film come un reportage, e di catturare sia la missione nello spazio che i momenti più intimi e privati della famiglia Armstrong come un testimone invisibile. Speravo che questo approccio potesse mettere in luce il tormento, la gioia, i momenti di vita vissuta e perduta in nome di uno dei traguardi più celebri della storia: lo sbarco sulla Luna.

 
 

Venezia 75, foto: Tilda Swinton, Dakota Johnson, Chloe Moretz…

Ecco le foto del cast di Suspiria a Venezia 75, in attesa di vederle sfilare questa sera sul red carpet. Presenti Tilda Swinton, Dakota Johnson, Luca Guadagnino, Thom Yorke, Jessica Harper, Chloe Grace Moretz, Mia Goth, David Kajganich.

 

VIDEO CORRELATO _ LE INTERVISTE DA VENEZIA 75

Il regista in merito al film ha commentato “Ogni film che realizzo è come un esordio per me: un nuovo inizio che parte dalle memorie che hanno costruito il mio immaginario. A dieci anni, a Cesenatico, ebbi l’epifania di Suspiria: un poster in un cinema chiuso. Trentasette anni dopo debutto al cinema (dell’orrore) grazie al potere evocativo di Dario Argento, capace di scatenare gli immaginari. Suspiria nasce nel 1976 ed esce nel 1977. Il nostro Suspiria è ambientato nel 1977, un anno fecondo per le rivoluzioni femminili-femministe.

In un’accademia di danza di fama mondiale si muove una presenza oscura, che inghiottirà il direttore artistico della troupe, una ballerina ambiziosa e uno psicoterapeuta in lutto. Qualcuno soccomberà all’incubo. Altri, alla fine, si sveglieranno.

 
 

The Other Side of the Wind: recensione del film di Orson Welles

The Other side of the Wind

Incompiuto per oltre 50 anni, trova la sua strada verso la sala cinematografica grazie ad un’operazione certosina, che sintetizza 96 ore di girato in due ore film film, presentato a Venezia 75, come evento speciale: The Other Side of the Wind, di Orson Welles è stato completato.

Per lungo tempo il film è rimasto “nel cassetto” salvo poi essere preso e portato a compimento per volontà di Peter Bogdanovich, con l’aiuto del montatore Bob Murawski e scelto da Barbera come gioiello all’interno del programma della Mostra del 2018. Il film è dunque prima di tutto un omaggio di un allievo al maestro, che porge omaggio e si presta al gioco di specchi e rimandi che mescola la vita del protagonista del film, Jake Hannaford (John Huston), con quella di Welles stesso.

The Other Side of The Wind può essere letto come una riflessione sul doppio, sulla presenza di vecchio e nuovo che si fronteggiano, nell’arte e nella vita. Le due parti prendono le sembianze di Hannaford / Huston da una parte, e di Otterlake / Bogdanovich, dall’altra, il giovane. La stratificazione dell’opera si arricchisce, oltre alla riflessione sugli opposti, anche del tema del doppio, di echi shakespeariani, di riflessioni derivanti anche dal periodo storico in cui Welles girò. Un miscuglio anarchico che trova la sua forma grazie a un’opera di riorganizzazione monumentale.

Nonostante l’egregio lavoro svolto da Bogdanovich e la compiutezza dell’arco narrativo, il film denuncia la sua produzione travagliata, che ne rende difficile la visione e che gli conferisce prevalentemente un valore simbolico, in quanto riporta al cinema il nome di un dei più grandi della storia della settima arte.

 
 

Avengers 4: molto più spazio a Wakanda

Si sa ancora poco su Avengers 4, quarto capitolo del franchise attualmente ancora senza titolo. Il film in questo momento si dovrebbe trovare in post-produzione ma, come spesso succede nelle grandi produzione hollywoodiane, c’è stato il bisogno di tornare sul set e girare alcune scene aggiuntive. Proprio dalle location e dagli attori richiesti dal casting, Atlanta Filming tramite Twitter ha dedotto che in questo nuovo episodio ci sarà più spazio per Wakanda, il regno di Pantera Nera. Molto probabilmente il voler mettere in primo piano questa location vorrà dire dare maggiore spazio ad alcuni personaggi, come quello di Shuri, la sorella minore di T’Challa in Wakanda, considerata l’essere più intelligente dell’intero universo Marvel.

Proprio qualche giorno fa i fratelli Russo avevano annunciato che il loro lavoro sul montaggio era partito già nei mesi estivi e speravano di poter completare la post-produzione già a Marzo, potendo quindi rispettare l’uscita fissata per il 3 Maggio 2019. “È stato davvero gratificante vedere che un film di questa portata e dimensioni e con un pubblico così vasto sia riuscito a chiudere la storia con un pugno allo stomaco. Nonostante questo abbiamo constatato come l’audience sia rimasta con noi, dando valore a quello che abbiamo fatto e continuando a tornare in sala.” hanno poi dichiarato.

 
 

Le terrificanti avventure di Sabrina: la serie renderà omaggio a L’Esorcista

C’è una grande attesa per la nuova serie TV originale Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina che ripercorrerà le vicende della celebre strega adolescente resa famosa dall’omonima serie televisiva. In un’intervista l’ideatore Aguirre-Sacasa si è sbilanciato su cosa gli spettatori si dovranno aspettare da questo revival e rivela anche un esplicito omaggio: “Amo L’Esorcista di William Friedkin. Stiamo scrivendo un intero episodio omaggio al film in questo momento!”. I fan del classico horror del 1973 potranno dunque finalmente gioire dopo che, solo qualche mese fa, il film TV ispirato al cult è stato cancellato.

Le terrificanti avventure di Sabrina prenderà ispirazione dalla serie di fumetti firmata dallo stesso Aguirre-Sacasa ed illustrata da Robert Hack. Verrà prodotta da Warner Bros. Television in accordo con Archie Comics e Netflix che la distribuirà. Inizialmente sarebbe dovuto essere uno spin-off della serie Riverdale, grande successo di quest’anno, ma attualmente non si hanno avuto conferme di un’eventuale collegamento tra le due. Ad interpretare la giovane strega sarà Kiernan Shipka, che gli appassionati del piccolo schermo hanno imparato a conoscere per il suo ruolo in Mad Man, che sarà affiancata da Ross Lynch, Lucy Davis, Miranda Otto, Jaz Sinclair, Tati Gabrielle, Sorte Perdomo, Michelle Gomez, Ricard Coyle e Bronson Pinchot. La serie esordirà sulla piattaforma il prossimo 26 Ottobre.

FONTE: ComicBook

 
 

Birds of Prey: la Warner vuole ancora Lady Gaga

Lady Gaga in Machete Kills

Mentre l’attrice e cantante Lady Gaga si gode in questi giorni il successo ottenuto alla Mostra di Venezia per il suo ruolo in A Star is Born, c’è chi non si arrende ad un suo rifiuto. La Warner, infatti, continua a farle pressioni per una sua partecipazione a Birds of Prey, il cinecomic tutto al femminile di prossima lavorazione. A lei sarebbero stati riservati i ruoli o della Cacciatrice o di Black Canary, sebbene qualche mese fa l’attrice si era dichiarata estranea al progetto. Secondo il sito Superbromovies, sempre attento ai rumors del settore, la posta in gioca si sarebbe alzata e la Warner avrebbe messo sul piatto molti più soldi rispetto a quelli proposti solo tre mesi fa.

Birds of Prey è un progetto DC ancora in lavorazione e fortemente voluto da Margot Robbie che ha già interpretato Harley Quinn in Suicide Squad e che in questo film apparirebbe nel doppio ruolo di interprete e produttrice. Tutte le eroine al femminile dell’universo DC verranno coinvolte per combattere una minaccia comune che dovrebbe essere quella di Maschera Nera, un personaggio nato come villani di Batman e che ancora deve fare il suo debutto cinematografico. La Warner avrebbe già stilato una lista delle attrice da coinvolgere che, oltre a quello di Lady Gaga, vede i nomi di Vanessa Kirby, Alexandra Daddario e Blake Lively. Vedremo come le trattative si svolgeranno nei prossimi mesi.