La regista Rebecca
Zlotowski porta in concorso a
Venezia 79 I figli degli altri, film
basato su un’esperienza autobiografica e che mira a raccontare il
tema della maternità da una prospettiva differente.
La trama de I figli degli
altri ruota attorno a Rachel è una donna
di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del
liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra.
Quando si innamora di Ali, stringe un legame profondo anche con
Leila, la figlia di quattro anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte
prima di dormire, se ne prende cura, le vuole bene come se fosse
sua. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.
Proprio partendo dal nucleo della
sceneggiatura, la regista ha parlato del suo approccio a una storia
tanto personale ma che riflette preoccupazioni e sentimenti
universali. “Quando si parla di maternità, spesso si creano due
fazioni: c’è chi ha fatto questa esperienza e dice che non si può
vivere senza. Ma io volevo trasmettere il messaggio che puoi
comunque voler sempre dire qualcosa come donna, puoi tracciare il
tuo cammino anche senza avere figli. Ho cercato di trovare un
equilibrio in termini di storytelling tra le diverse ideologie, che
oggigiorno sono anche politiche. Il mio film ha comunque
un’ideologia, e sta nel fatto che una donna può esistere anche
senza dei figli, c’è una presa di posizione rispetto al fatto che
una donna può realizzarsi anche senza figli. La scrittura è sempre
un lavoro che cerca di mescolare elementi della quotidianità ed
emozioni che potremmo provare: io ho voluto raccontare come sarebbe
potuta essere la mia vita, se non fossi stata una
regista“.
Abbiamo poi potuto sentire il parere
degli attori protagonisti su una questione tanto dedicata,
confrontando il punto di vista femminile a quello maschile. La
protagonista Virginie Efira ha dichiarato:
“Quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca ho colto
immediatamente la descrizione che voleva fare del momento di una
vita della donna che non ho mai visto rappresentato al cinema e che
corrisponde a una riflessione che ho fatto a livello personale.
Stiamo parlando di qualcosa che appartiene a tutte le donne, fa
parte di una sorte di desideri da parte di una donna che spesso si
scontrano con l’impotenza e che si può anche esprimere senza avere
figli, ma tramite un personaggio che è matrigna della figlia di un
compagno. Ci sono tante domande nella sceneggiatura e non abbiamo
bisogno di risposte: a me bastava riconoscermi in quelle
domande“.
Ha poi proseguito Roschdy
Zem: “Voglio condividere con voi l’emozione di
sentirmi privilegiato di portare sullo schermo una storia così
tipica del 21esimo secolo. Il fatto che una regista abbia avuto
l’idea di questo progetto apre la porta a una nuova era della
tradizione cinematografica. Ci sono una serie di soggetti e
tematiche nuove nel cinema, mai state affrontate prima d’ora nel
linguaggio cinematografico. Per me il futuro del cinema è
femminile: o sarà donna o non sarà“.
Un aspetto interessante de I
figli degli altri è l’indagine interiore anche di
Leila, la bambina cui la nostra protagonista
stringe un legame inedito. “É sicuramente difficile riuscire a
tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza
all’interno di una storia. Da un lato sono una benedizione,
dall’altro possono anche essere un peso nella vita, anche se sono
degli esseri nei confronti dei quali noi proviamo un bene immenso.
Alla base del fare un figlio c’è questo conflitto e io volevo
mostrarlo. Può anche accadere che non piacciano i figli del
compagno che ci scegliamo. Nel cinema siamo cresciuti vedendo
rapporti idilliaci tra famiglie e figli. All’inizio del film io ho
semplicemente tratteggiato l’innamoramento, volevo più che altro
dare una caratterizzazione ai singoli personaggi, non soffermarmi
sulla storia d’amore. Virginie è un’insegnante, ha un rapporto
molto intimo con la figura infantile. Alla base, è una storia
semplice ma arriviamo a coglierne tutte le sfumature“.
Nel film, incontriamo anche il
regista Frederick Wiseman in un
cameo inedito e Rebecca Zlotowski ha parlato del
rapporto che si è instaurato nel corso degli anni tra i due:
“Ci siamo incontrati su un ascensore a Venezia, io ero giudice
di Orizzonti. Io avevo scarpe brillantinate, lui giganti e
sportive. ‘Scarpe da regista’, mi dice lui, ‘Scarpe da regista’,
ribatto io riferendomi alle mie. Ci siamo poi incontrati più volte,
lui vive a Parigi. Mi è venuto in mente che lui ama recitare ed è
una persona scherzosa, con un grande senso dell’umorismo. Gli è
piaciuto moltissimo fare questo cameo assolutamente comico. Prima
di fare la regista, sono stata insegnante di cinema, in particolare
di documentari e mi piace pensare che questa figura possa essere
definita come un ricercatore nel museo dell’uomo, mi piaceva l’idea
che Wiseman rispecchiasse questo interpretando un
ginecologo“.
Rebecca Zlotowski
ha poi concluso con una riflessione molto profonda sul ruolo delle
donne nella società odierna. “La posizione delle donne è
cambiata lentamente ma negli ultimi sessant’anni abbiamo visto che
ha assunto anche un importantissimo ruolo sociale, oltre che
privato. Riusciamo a definirci in modo differente rispetto al ruolo
materno che ci è stato tradizionalmente assegnato. Sicuramente, è
ancora fin troppo diffusa l’idea dell’orologio biologico che
scadrà, ma dobbiamo chiederci come vogliamo definirci rispetto alla
vita che vogliamo fare. É il momento in cui dobbiamo dire che
possiamo non volere figli, che l’aborto deve essere un diritto,
anche se c’è tanto dolore in tutto ciò. Forse mi sento legittimata
a dire questo perchè sono una donna francese e abbiamo solidi
diritti. Ma voglio fare sentire la mia voce, questo film è una vera
e propria lettera d’amore per tutte le persone che erano come me
qualche anno fa“.