Esiste una sola occasione, nell’arco
di un intero anno lavorativo, in cui mi concedo di usare la prima
persona: il momento della Top 10 dell’anno. E
infatti, eccomi qui a proporvi la mia lista dei migliori
film del 2020. Lo faccio con la mia voce perché, per loro
natura, le classifiche di questo tipo contengono una componente
discrezionale troppo importante per attribuirle ad una impersonale
terza persona, ma anche perché mi diverte molto.
Intanto specifico che ho tenuto
conto, nella classifica, di quelle che sono state le difficoltà
logistiche di questi ultimi dodici mesi, durante i quali, a causa
della ormai ben nota pandemia di coronavirus in corso, le sale sono
state aperte a pieno regime soltanto a Gennaio e Febbraio,
rimanendo poi chiuse, aperte a mezzo servizio (nel periodo estivo
fino all’inizio dell’autunno) e poi ancora chiuse, come in questo
momento.
Alla luce di questa difficoltà nel
vedere i film in sala e considerato che in genere la mia classifica
comprende solo i film usciti al cinema, la lista che ho compilato
quest’anno comprenderà non solo i titoli che rispettano il
requisito classico, ma anche quelli distribuiti direttamente sulle
piattaforme di streaming on line, in abbonamento o acquisto e
noleggio.
Partiamo però dagli illustri
esclusi, che per una decisione puramente istintiva, sono i primi
esclusi tra le cose che ho visto quest’anno. Dall’intelligentissimo
remake de L’uomo Invisibile, diretto da
Leigh Whannell con Elizabeth
Moss, al divertente
Palm Springs, diretto da Max
Barbakow, che gioca con gli archetipi della commedia
romantica e dei loop temporali, passando per
Emma, esordio di Autumn de
Wilde che ci ricorda che i classici di Jane
Austen non sono ancora esausti e hanno ancora cose da dire
al pubblico di oggi, fino allo show di Adam Sandler, Diamanti
Grezzi, dei Fratelli Safdie,
all’allucinato e romantico
Undine di Christian Petzold,
fino al ritorno di David Fincher con l’ambizioso
Mank.
Già solo a leggere l’elenco degli
esclusi, mi rendo conto che stilare la classifica dei
migliori film del 2020 non è affatto semplice come
si può immaginare, data la chiusura delle sale e la scarsità di
film visti al cinema. Ma proprio questa sventura si è trasformata
in un elemento di ricchezza, perché l’assenza di blockbuster (con
l’eccezione di
Tenet, che non è finito in classifica) ha dato
maggiore visibilità a titoli meno “rumorosi”. Così, alla luce di
queste considerazioni e queste rinunce, ecco la mia personalissima
lista dei migliori film del 2020.
I migliori film del 2020 –
parte 1
10.Sto pensando di finirla qui
Capita raramente di
trovarsi di fronte a film che mettono in discussione lo spettatore
e rendono il giudizio difficilmente “polarizzabile”. In un periodo
storico invero molto triste per la critica cinematografica e il
giudizio critico sull’opera cinematografica, in cui tutto è bianco
o nero, netto e diretto, in genere riportabile in poche righe di un
commento incazzato su qualche social, il film di Charlie
Kaufman è sfuggente, perturbante, difficile da
comprendere, lascia aperte piste, tracce, indizi per farsi leggere
senza mai lasciarsi afferrare, anche molto tempo dopo la fine della
visione.
Quando sembra che ti stia
accogliendo alla sua comprensione, Sto pensando di finirla
qui sterza, cambia direzione, deraglia sul finale, ma la
visione rimane sempre rapita e disorientata, allo stesso tempo. Non
si tratta di un film di facile fruizione, ma è sicuramente un modo
di fare cinema, di raccontare stati d’animo e situazioni, più che
storie, che fanno discutere e mantengono allenato il muscolo dello
spirito critico (che dovrebbe essere sempre in forma in ogni
spettatore, sia esso addetto ai lavori o no).

Tra le cose più interessanti ma
anche emotivamente devastanti che ho visto quest’anno, un posto
d’onore spetta al bellissimo documentario di Garrett
Bradley presentato al Sundance e poi nella Selezione
Ufficiale della Festa di Roma. Oltre ad essere un forte atto di
condanna al sistema carcerario statunitense, il film racconta una
storia d’amore travolgente.
Proprio nell’equilibro tra pubblico
e privato risiede la potenza di
Time. Il suo bianco e nero morbido, i filmati
casalinghi mossi o fuori fuoco, il coraggio di una donna che per
amore ha sfidato un sistema e che, magari all’inizio
involontariamente, si è resa voce di una vera e propria piaga
sociale e portavoce di chi non poteva parlare. Un vero e proprio
terremoto d’amore, che il racconto cinematografico ha
glorificato.
Arrivato all’inizio
dell’anno su Netflix, il documentario di Jeff
Orlowski è innanzitutto interessante per la forma che
unisce una componente più corposa documentaristica a una parte
dimostrativa di fiction, che mette in scena quanto documentato. Il
film informa, spaventa, apre gli occhi, eppure la sua natura lo
rende un Giano Bifronte, pronto a svelarsi come un oggetto ideale
di quel meccanismo produttivo che lui stesso denuncia.
Oltre ogni teoria complottista,
The Social Dilemma è un film che dà
consapevolezza di un sistema all’interno del quale ci troviamo
tutti e dal quale appare impossibile uscire. Lo fa con un
linguaggio semplice, diretto forse poco inventivo ma sicuramente
funzionale.
Mentre scrivo, le ore
alla Casa Bianca di Donald Trump sono contate e il
prossimo 21 gennaio cederà la sua poltrona nella Stanza Ovale a
Joe Biden. Tuttavia, gli anni di Trump sono stati
caratterizzati da scontri e lotte tutt’altro che pacifiche per le
strade degli Stati Uniti. Non è un caso che negli ultimi 4 anni,
Spike Lee abbia diretto due film, e che questi
siano proprio
BlackkKlansman e
Da 5 Bloods.
Del primo si è parlato giustamente
in abbondanza e con grandi lodi. Uscito direttamente su
piattaforma, il secondo ha avuto meno visibilità (BlackkKlansman
ha vinto il Gran Prinx a Cannes 2018 e l’Oscar 2019 alla
sceneggiatura), ma è un film che sembra sia stato scritto domani.
Il regista racconta l’America di oggi, attraverso storie di ieri.
La ferocia e la lucidità di Lee si sentono ad ogni passo e il film
è un potente atto d’accusa verso una società che non ha ancora
trovato la forza di fare pace con la sua bellissima e inevitabile
varietà razziale.
I
Fratelli D’Innocenzo colpiscono
ancora. Hanno vinto l’Orso d’argento a Berlino per la migliore
sceneggiatura e hanno stregato il pubblico, prima in streaming e
poi al cinema, quando quest’estate il loro film è stato quello più
visto nelle sparute sale aperte in poche città italiane. La
bellezza tribale del film ne fa un oggetto preziosissimo. La
lucidità con cui questi due giovani autori raccontano il mondo è un
tesoro da custodire e alimentare, da parte mia con il sostegno e i
soldi ben spesi per andare a vederli sempre in sala.
Storiacce di piccole bestie alle
prese con un mondo popolato di lupi, il film è un atto d’amore
verso un mondo emarginato, tanto geolocalizzato e raccontato con un
occhio più affettuoso che imparziale quanto indefinibile nel tempo
e nello spazio e per questo universale. Un’opera con una grande
finezza narrativa e un ottimo gusto cinematografico, che stride
meravigliosamente con la cattiveria e la bruttura che mette in
scena.
I migliori film del 2020 –
parte 2
Seconda opera prima in
classifica (la prima era il documentario Time), il
film d’esordio di Pietro Castellitto è
interessante sotto molti punti di vista. Per prima cosa concilia
con equilibrio e garbo i registri comici e drammatici che di volta
in volta sembra abbracciare, senza mai propendere troppo da una
parte o dall’altra. Certo, c’è una strana discrepanza tra il fatto
che il film condanna chiaramente una fascia alto borghese a cui il
regista stesso appartiene e dal quale proviene e trae le
possibilità per fare cinema. Ma i ribelli “dall’interno”,
soprattutto se arguti e dotati, fanno simpatia.
In secondo luogo, e forse è la cosa
più interessante del film,
I Predatori ha una sceneggiatura molto
complessa, rischiosa per una prima volta dietro la macchina da
presa. La ricchezza di personaggi e di eventi, gli intrecci e le
varie facce di ogni carattere hanno messo in luce una scrittura
matura, che sembra vada oltre il dato anagrafico e l’effettiva
esperienza del suo autore.
L’idea che Aaron
Sorkin realizzi una sceneggiatura e poi un film da uno dei
processi più discussi della storia d’America è semplicemente
elettrizzante. E infatti il suo nuovo film da regista finisce alto
alto in classifica perché è effettivamente uno dei migliori
prodotti cinematografici usciti quest’anno (purtroppo direttamente
in piattaforma). La precisione delle battute e il ritmo incalzante
rendono il film avvincente, il racconto eroico che si fa dei
protagonisti è trascinante, persino la forma classica della regia
assume nuovo spessore di fronte ad una storia scritta con tale
perizia.
Aaron Sorkin è il
più grande sceneggiatore vivente e il suo nuovo film ci dà la
dimostrazione che, qualche volta, anche solo una grande
sceneggiatura può fare un grande film. Poi, in questo caso, lo
scrittore si appoggia ad uno squadrone di attori sublimi, e il
gioco è fatto.
Arrivati in zona podio,
sembra strano trovare questo titolo, visto che è stato trai
protagonisti della scorsa stagione dei premi e sembra uscito una
vita fa, nel mondo pre-pandemia. In effetti, il film di Sam
Mendes è arrivato in sala all’inizio di Gennaio e rientra
a tutti gli effetti nel cinema di questo sfortunato 2020. Apoteosi
della tecnica al servizio della drammaturgia, il film è un esempio
di ingegno registico, visione, organizzazione, grandezza e
ambizione.
Fotografia, suono, recitazione,
regia sono raramente così devote allo scopo di raccontare
un’avventura e offrire un viaggio, senza mai dimenticare che il
viaggio stesso è un’esperienza umana che trasuda orrore e paura,
dalla prima all’ultima inquadratura, nella quale, finalmente,
si trova un briciolo di distensione e ristoro. 1917 è
meraviglioso.
In silenzio, in
pochissime sale, con una distribuzione assolutamente ingiusta e
crudele, quest’anno è arrivato in sala anche A Hidden Life
– La vita nascosta, il film di Terrence
Malick visto e amato tantissimo a Cannes 2019. Reduce da
anni difficili, in cui sembrava aver annacquato la sua potenza
narrativa in tanti film “minori”, il maestro texano torna ai fasti
del suo cinema migliore, con la rielaborazione di una storia vera.
E naturalmente incanta e ammalia.
Quello che Malick ci ricorda con
questo film è la sua grandezza, non solo per la capacità di
infondere uno spessore unico e distintivo ad ogni inquadratura, ma
anche per la freschezza con cui muove la macchina da presa,
inventando punti di vista e offrendo momenti di altissimo cinema,
per contenuto, forma e intenzione. The master is back.
Prima posizione scelta più
con le viscere che con la testa. Il film di Pablo
Larrain, anch’esso penalizzato da un’uscita in sala che
gli ha dato poca visibilità (ma almeno mi ha permesso di metterlo
sulla cima alla classifica dei migliori film del
2020), è un colpo di fulmine che mi porto dentro da
Venezia 2019. Un inno travolgente e sensuale alla vita, alla madre
terra, agli elementi e alla voglia, ferina, di trovare un posto nel
mondo, plasmandolo a propria misura.
Ema è fuoco, è danza tribale e
selvaggia, è quel ritmo di reggaeton che smuove i lombi e innesca
desideri sessuali, ossessivi, ripetitivi, che però, in mezzo al
circolo di streghe di cui la protagonista è Strega Suprema,
diventano istinti vitali, guizzi di passione, desiderio bruciante
di vita e spazio. Il film di Larrain è un’esplosione di energia
sessuale che travolge lo spettatore, sfruttando lo sguardo furbo e
puro allo stesso tempo di Mariana De Girolamo/Ema,
forza creatrice, che pota via i rami morti per dare nuova vita, una
strega, un folletto. Larrian risveglia i sensi con il suo ritmo,
riempie gli occhi con i suoi colori, travolge e irretisce, ti fa
innamorare della sua protagonista. Non fa prigionieri.