I romanzi di Giorgio Faletti sono ancora oggi degli assoluti best seller, che hanno consegnato al panorama letterario italiano un talento unico per il genere giallo. Eppure, nonostante la loro evidente predisposizione per il cinema, a causa della complessità delle sue storie e le ambientazioni prevalentemente estere, questi non sono mai stati adattati per il grande schermo. Con Appunti di un venditore di donne, finalmente ciò viene a non essere più vero. Il film diretto da Fabio Resinaro (Mine, Dolceroma) dà infatti vita all’omonimo romanzo dello scrittore, un’opera particolarmente cupa ambientata nella Milano da bere della fine degli anni Settanta.
Con questa pellicola, prodotta da Luca Barbareschi, si viene catapultati in un storia che si svolge nel pieno degli scontri tra lo Stato e le Brigate Rosse. Il rapimento di Aldo Moro è una questione ancora aperta e la tensione è quanto mai viva nel Paese. Qui, in una Milano cupa e fredda, si muove Bravo (Mario Sgueglia), un venditore di donne segnato nell’anima da una vergognosa mutilazione. La sua storia ha inizio una mattina come un’altra, quando dopo essere uscito dall’Ascot Club, dove ha fatto nottata giocando d’azzardo e facendo uso di droghe, conosce Carla. Nutrendo un conturbante sentimento per lei, decide di introdurla nel suo giro, non immaginando che quello sarà il principio della sua rovina.
Nella Milano da bere, tra neon e nebbia
Il racconto scritto da Faletti nel 2010 è uno dei suoi più complessi, dove vicende e personaggi diversi si intrecciano in modi spesso insospettabili. Dar vita ad un adattamento che si propone di essere il più fedele possibile a tutto ciò è dunque un’impresa non da poco. Risulta però da subito chiaro che l’elemento da cui partire è la ricostruzione al dettaglio del periodo protagonista. Quello che si mostra nel film è un lavoro sbalorditivo, che attraverso luoghi, abiti, automobili, oggetti, luci e volti costruisce un’atmosfera particolarmente autentica. Resinaro comprende bene l’importanza di tale elemento, che diventa un vero e proprio protagonista.
Ancor di più, egli decide di girare il film proprio come si sarebbe fatto negli anni Settanta. Per portarci nel mondo di Bravo e dei personaggi, il regista dà vita ad una composizione delle inquadrature e del ritmo che trae ispirazione dai grandi film noir di quel periodo. Grazie a ciò si esalta la natura malsana e scabrosa di certe situazioni e figure, che risultano ancor più affascinanti proprio per il loro essere circondate da un ambiente tanto seducente quanto letale. Qui è impossibile fidarsi degli altri e ognuno sembra fare ben più che il doppio gioco.
Particolarmente accattivanti a tal riguardo sono una serie di determinati personaggi. Dal protagonista Bravo alla femme fatale Carla interpretata da Miriam Dalmazio, dal bizzarro Daytona di Paolo Rossi al cieco Lucio di Francesco Montanari. Unica pecca, per loro, è una parlata sin troppo pulita in un mondo assai sporco. Fortunatamente, Resinaro rinuncia invece agli eccessi di forma del suo precedente film, concentrando tutte le sue attenzioni sul raccontare ciò che serve attraverso le immagini, consapevole della forza di cui la storia di Appunti di un venditore di donne è già dotata di suo.

Appunti di un venditore di donne: la recensione
Confezionando un noir come se ne vedono pochi oggigiorno in Italia, Resinaro unisce grande gusto visivo ad una riflessione sul confine tra la legalità e l’illegalità. Temi particolarmente vivi nel cinema politico italiano degli anni Settanta e che trovarono in capolavori come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Cadaveri eccellenti la loro massima espressione. L’intento non è ovviamente rifare quei film, quanto unire ad un grande racconto il ricordo di un periodo storico ancora oggi particolarmente taciuto, violento, complesso, dove qualcosa di orribile è stato fatto all’Italia, cambiandola per sempre.
Tale volontà risulta chiara anche nel momento in cui il racconto si fa più intricato, portando in scena una serie di eventi e dinamiche che, qui compresse nel tempo cinematografico, potrebbero risultare un po’ caotiche. Bisogna però dare fiducia fino all’ultimo al film, poiché nel momento in cui ogni tassello del puzzle andrà al suo posto, ci si potrà ritenere soddisfatti sotto più punti di vista: per aver visto un film fedele nel modo giusto al romanzo, per aver goduto di un’opera visivamente ed esteticamente ricca e per aver ritrovato un mondo e dei personaggi che ormai non esistono più.





Abbiamo già menzionato “Sylvie” diverse volte, ed infatti nel terzo episodio apprendiamo che si tratta dell’alias che la versione femminile di Loki ha deciso di darsi. È sicuramente una variante, ma una chiara mancanza di volontà da parte della serie di approfondire il suo passato ci fa pensare che ci sia ancora dell’altro da scoprire…
Uno dei momenti più importanti del terzo episodio arriva quando Loki rivela di essere bisessuale, qualcosa che molti fan speravano di vedere nel MCU da diversi anni. Non abbiamo mai visto il Dio dell’Inganno avere un interesse amoroso in questo universo condiviso, ma se una seconda stagione della serie si farà, allora le cose potrebbero ambiare.
Una delle più grandi rivelazioni in questo terzo episodio arriva quando Sylvie menziona casualmente che gli agenti della TVA sono tutti Varianti. Mentre Mobius è stato chiaramente portato a credere di essere stato creato dai Custodi del Tempo, la verità è molto più oscura: sembra che a queste varianti siano stati tolti i ricordi e, in seguito, che siano stati sottoposti al lavaggio del cervello per lavorare al servizio della compagnia.
Stiamo iniziando a ricevere qualche informazione in più su cosa significa essere una variante nel MCU, e poiché la TVA ne è piena… beh, questo spiegherebbe perché ci sia un Multiverso pieno di versioni alternative degli eroi e dei cattivi con cui abbiamo familiarizzato negli ultimi anni.
Quando Sylvie tenta di incantare Loki, c’è un momento stranamente toccante che molti fan hanno già ipotizzato potrebbe portare a una storia d’amore tra le varianti. È una bella idea e sarebbe divertente da esplorare nei prossimi episodi. Tuttavia, non possiamo fare a meno di chiederci se in quella scena ci sia qualcosa di più…

Nei fumetti, il personaggio di Lady Loki è stato creato come parte della run seminale “Thor” di J. Michael Straczynski e Olivier Coipel, iniziata nel 2007. In quella serie, Thor ripristinò gli Asgardiani dopo l’ultimo Ragnarok, scoprendo che gli dei non potevano veramente morire finché vivevano nei cuori, nelle menti e nelle anime dei mortali. Sfortunatamente per il Dio del Tuono, lo spirito di Loki è stato in grado di creare alcune contorte circostanze in cui si è impossessato del corpo dell’amante di Thor, Sif. Questa nuova incarnazione di Loki affermò di essersi lasciata alle spalle le sue intenzioni malvagie, diventando nota, appunto, come Lady Loki.
Nei fumetti, l’origine di Sylvie Lushton è rimasta un mistero per parecchio tempo. Lei stessa credeva di essere semplicemente una normale ragazza umana che si era svegliata un giorno con poteri magici, decidendo di usarli per diventare un supereroe e definendosi la seconda Incantatrice. In realtà, però, era un essere magico che era stato creato da Loki come parte dei suoi piani per tendere trappole a tutte le squadre che si chiamavano “Avengers”.
Tutto ciò solleva naturalmente una domanda lecita: perché i Marvel Studios hanno deciso di “combinare” Lady Loki e la seconda Incantatrice, Sylvie Lushton, per creare il personaggio di Sophia Di Martino? La decisione è sorprendente, perché alla Marvel, in genere, piace usare un cattivo speculare: i poteri e il background di Sylvie sono molto diversi da quelli del primo Loki, cosa che potrebbe farla apparire come non adatta al ruolo di principale villain. La verità è che Sylvie non dovrebbe essere il vero cattivo di



A Quiet Place 2, la trama
Un film delicato e claustrofobiche