Il occasione del D-23, Disney ha
diffuso il primo trailer de La
Sirenetta, il suo prossimo live action che vedrà
protagonista, nella pinna verde di Ariel, Halle Bailey, giovane pop-star molto nota
negli Stati Uniti.
“Sono sicura che tutti voi qui
dentro possiate relazionarvi con Ariel e quanto sia speciale per
tutti noi”, ha detto Halle Bailey dal palco del D-23 “Essendo
una bambina che nuotava in piscina, immaginando di essere una
sirena, non avrei mai immaginato che questo sogno potesse prendere
vita [in questo modo]… I tre giorni di riprese di “Part of Your
World” sono state l’esperienza più bella della mia vita: sentire
tutti i sentimenti che prova, la sua passione, il suo disagio,
tutto ciò che sta vivendo. È stato così eccitante per me
interpretare quelle emozioni e avere Rob
(Marshall) che mi dirigeva ed essere una forza
così commovente in questo film è stato davvero un onore”.
La
Sirenettavedrà nel cast Halle
Bailey (nei panni di Ariel), Jonah
Hauer-King (nei panni del Principe
Eric), Javier
Bardem (in trattative per interpretare Re
Tritone), Melissa
McCarthy (nei panni di Ursula, la perfida strega
del mare), Daveed
Diggs (Sebastian), Jacob Tremblay (Flounder) e Awkwafina (Scuttle).
Questa versione del classico sarà diretta dal regista
di Il Ritorno di Mary
Poppins e Into The
Woods,Rob Marshall, e includerà sia
i brani dell’originale d’animazione del 1989, sia canzoni inedite a
cui lavoreranno Alan
Menken e Lin-Manuel Miranda. Il
film arriverà il 26 maggio 2023 al cinema.
Un sequel di Inside
Out (attualmente intitolato solo Inside Out
2), il grande successo della Pixar
del 2015, è in arrivo! La notizia ha iniziato a circolare già
ultime ore e il progetto è poi stato annunciato ufficialmente al
panel di animazione del D23 Expo. Inside Out racconta la
vita di cinque emozioni antropomorfe che lavorano nella mente di
una giovane ragazza di nome Riley, aiutandola a crescere. Il film
originale vedeva Amy Poehler nei panni di Gioia,
Phyllis Smith nei panni di Tristezza, Bill
Hader nei panni di Paura, Lewis Black nei
panni di Rabbia, Mindy Kaling nei panni di
Disgusto e Richard Kind in quelli di Bing
Bong.
Con il sequel ora essere confermato,
Inside Out si unisce a Toy Story, Cars, Gli
Incredibili, Monster & Co. e Alla ricerca di Dory
come uno dei film Pixar ad ottenere un seguito. Come noto, lo
studios preferisce focalizzarsi su progetti sempre nuovi,
sviluppando dei sequel solo se si presentano idee estremamente
buone. Lo stesso regista di Inside Out, Pete
Docter, affermò nel 2015 di non avere idee per altre
storie che potessero dunque configurarsi come dei sequel,
preferendo invece concentrarsi su quello che sarebbe poi diventato
nel 2020 un altro grande successo della Pixar, ovvero Soul.
L’ufficialità di un Inside Out
2 porta con sé anche alcuni ulteriori dettagli. Sappiamo
infatti che a dirigere il film sarà Kelsey Mann,
mentre della sceneggiatura si occuperà Meg
LeFauve. Il film è inoltre atteso in sala per
l’estate 2024. Stando a quanto riportato da alcune
testate, però, sembra che non tutti gli attori del primo film
torneranno a doppiare gli iconici personaggi. Hader e la Kaling
sembra infatti che non riprenderanno i loro ruoli di Paura e
Disgusto, apparentemente per mancati accordi di natura economica.
Alcuni dettagli di trama sono infine stati rivelati e sappiamo che
non solo il tutto si svolgerà nella mente di una Riley adolescente,
ma che ci saranno anche nuove emozioni protagoniste.
Tutti conosciamo Santa Chiara da
Assisi, ma sappiamo molto poco della ragazza di 18 anni che si
è spogliata dei suoi abiti nobiliari per ”stare insieme agli
umili”. Con Chiara,
la regista Susanna
Nicchiarelli continua il suo lavoro sulle figure
femminili che hanno vissuto accanto, o spesso nell’ombra, di uomini
potenti. Margherita Mazzucco (L’amica
geniale) è la giovane Chiara,
mentre Andrea Carpenzano (La
Terra dell’Abbastanza, Calcinculo) è San Francesco. Il film è
stato presentato in Concorso alla
79ª Mostra
internazionale di Venezia ed è una produzione
Vivo film con Rai Cinema e
Tarantula.
La storia di
Chiara d’Assisi
Dopo
Nico, 1988 e Miss
Marx, Susanna
Nicchiarelli torna a raccontare di una donna in
grado di segnare la storia. Agli inizi del Duecento, una giovane
ragazza nobile di nome Chiara
(Margherita Mazzucco) scappa con una cara amica
dalla casa paterna per seguire le orme di Francesco
(Andrea
Carpenzano). Francesco ha fondato un ordine
di frati basato sulla vita in povertà che prontamente accoglie le
ragazze. Chiara, spogliata delle sue nobili vesti,
non avrà però vita semplice: le opposizioni paterne, quelle del
pontificato e infine anche gli scontri con Francesco,
ostacoleranno il desiderio della ragazza di servire il popolo.
D’altronde, ricordiamolo, a vivere tutto ciò è una donna
diciottenne del XIII Secolo.
L’Umbria protagonista
A livello paesaggistico, la
protagonista del film è l’Umbria. La terra d’origine non solo di
Santa Chiara, ma anche di
Nicchiarelli. La location principale è la Chiesa
di San Pietro a Tuscania (ambientazione di film
come Uccellacci e Uccellini), ampia pietra immersa
nel verde che è luminosa di giorno e angosciante di notte, ma
sempre credibile. Infine, una nota di merito va alle scene
conviviali: in Chiara i banchetti non mancano e, a
seconda della situazione e dei personaggi, sono ricchi, scarni o
esotici.
La musicalità
di Chiara
Chiara è un film
che viaggia indietro nel tempo ma che porta con se il presente,
soprattutto a livello sonoro. La lingua in cui i personaggi parlano
è un volgare dialettale dalle cadenze umbre, che si alterna al
latino dei testi e al francese delle canzoni che pervadono le
scene. L’utilizzo di queste tre lingue collabora a trasmettere
l’atmosfera del XIII Secolo: Chiara parlava
in volgare, predicava in volgare perché era la lingua del popolo,
un parlato distante dal latino ecclesiastico. Francesco
inoltre amava il francese, il suo nome deriva proprio da quella
lingua, quella delle chanson.
La modernità
di Chiara non è tanto nelle parole
utilizzate, quanto nel montaggio sonoro: pur non essendo un
musical, nel film i personaggi ballano e cantano interrompendo
l’azione e venendo pervasi dalla musica. Nel film si scorgono le
tracce gioiose di Jesus Christ Superstar come di
tanti altri musical ”laici”. In questo senso, si coglie la volontà
della regista di realizzare un film che possa parlare dei giovani
di allora – nel 1211 Chiara è una diciottenne e
Francesco ha solo trent’anni – e che sia allo stesso tempo
in grado di comunicare ai giovani di oggi. Gli accostamenti tra
sequenze d’azione e sequenze musicali possono apparire kitsch o
incoerenti, ma denotano uno stile registico forte e riconoscibile
che, ovviamente, può piacere o non piacere.
Il duo Mazzucco – Carpenzano
Le scene più belle sono quelle in
cui Chiara e Francesco sono fianco a
fianco. La forza dei personaggi nella storia è resa dal potente duo
attoriale Mazzuccco e Carpenzano.
Lei, una ragazza di diciotto anni reduce dalla serie di
successo L’amica geniale. Lui, un attore
promettente del cinema indipendente italiano (soprattutto con
i Fratelli
D’Innocenzo).
I volti di pietra, gli sguardi persi
che hanno contraddistinto i personaggi precedentemente interpretati
dalla coppia di attori, questa volta vengono adattati allo scenario
religioso e pittorico
di Chiara. Mazzucco e Carpenzano sanno
alternare spiritualità e pathos religiosi ai tipici sentimenti dei
giovani: l’entusiasmo, l’idealismo, la voglia di cambiare il
mondo.
In concorso a Venezia 79 c’è anche
Khers Nist di Jafar Panahi (Il
palloncino bianco, Il Cerchio). Sul red carpet
della 79ª
Mostra internazionale di Venezia manca però il
realizzatore, nonché l’attore principale del film: da
luglio, Panahi è
nuovamente sotto arresto. Tuttavia, il cineasta non demorde e
porta sulla scena un’altra storia meta-cinematografica e critica
nei confronti del regime iraniano.
Di cosa parla Gli orsi
non esistono
Un regista (Jafar
Panahi) è costretto a seguire a distanza le riprese del
suo film, girato a Teheran. Da una piccola casa in un
paesino rurale a pochi chilometri dalla città e dal
confine, Panahi dirige la sua troupe nella
realizzazione di un film su una coppia di innamorati che tenta di
fuggire dall’Iran.
Allo stesso tempo, un’ipotetica foto
scattata da Panahi nel villaggio contadino
diventa la prova intangibile di un amore clandestino. Il
regista segue da vicino queste due storie d’amore: in entrambi
casi, è lui a tenere le fila dei rapporti.
Conflittualità diffusa
Gli orsi non
esistono è attraversato da una tensione perenne che,
assumendo varie forme, cresce scena dopo scena. Nel film che il
regista sta girando in città, i personaggi sono visibilmente
preoccupati. Ma la situazione nel villaggio non è molto diversa: un
luogo apparentemente tranquillo, legato alle tradizioni e fatto di
persone semplici, si rivela ugualmente carico di conflitti.
Anche se Gli orsi non
esistono non può definirsi un film violento,
guardandolo si ha la disturbante sensazione che basti davvero poco,
anche una fotografia, per scatenare gli animi. Il film è
quindi critico, ma non è privo di ironia.
Panahi usa la metafora degli orsi per parlare
di mentalità, di tradizioni, di regole e abitudini che, sulla base
del nulla, sono in grado di generare paure reali.
Una celebrazione dei mezzi
cinematografici
Al di là delle tematiche politiche
tanto care a Panahi, Gli
orsi non esistono è una celebrazione
dell’arte cinematografica. Cineprese, hard disk, video amatoriali,
montaggi meta-narrativi, sequenze notturne: tutto rimanda al lavoro
della macchina cinematografica in ogni suo fase. I commenti
tecnici, il lavoro con gli attori, la voglia di catturare la vita
del villaggio, tutti questi elementi esprimono l’amore
di Panahi per la settima arte.
La figura demiurgica di Panahi
Panahi è il
demiurgo de Gli orsi non esistono: né è il
regista, lo sceneggiatore e l’attore principale. Non solo
nella realtà, ma anche nella meta-narrazione. È lui che muove
l’azione, sul set-verità di Teheran e nella dinamiche del
villaggio. Tuttavia, sembra che gli avvenimenti cadano addosso
a Panahi: tutti si muovono, si agitano,
cercano la fuga, l’amore, la felicità e la vendetta, mentre lui non
fa altro che riprendere, suggerire e osservare.
Sicuramente, Panahi ha
voluto inserire molto della sua condizione di cineasta indipendente
in un paese come l’Iran. Stoico e silenzioso, il regista indossa
sempre la stessa espressione ed emette pochissime parole. La sua
figura, in parte dà sicurezza, in parte appare stanca e svogliata a
combattere l’ennesima battaglia. Guardando Gli orsi non
esistono si ha come la sensazione che il
dovere di raccontare una storia simile alle
precedenti (vedi
Taxi Teheran) sia maggiore della voglia
di realizzare il film.
Sbilanciarsi di fronte a tematiche
come la migrazione, la libertà e i confini è rischioso. Tuttavia,
va detto che quello che davvero si apprezza di un film
come Gli orsi non esistono è il gioco
narrativo: il mescolamento di cinematografico e
meta-cinematografico, il parallelismo delle due storie d’amore. E
alla fine il confine veramente interessante è quello, molto labile,
tra finzione e realtà.
On the Fringe,
esordio dell’attore ispano-argentino Juan Diego
Botto al lungometraggio, dopo una serie di corti
all’attivo, ci immerge in una serie di storie intersecate tra di
loro che si svolgono nell’arco di una giornata e con protagonisti
personaggi, appunto, ai margini, che vengono sfrattati dai loro
appartamenti, o bambini che vengono portati via dai servizi sociali
perchè abbandonati dai genitori. Nel cast, Penélope Cruz, Luis Tosar,
Christian Checa, Adelfa Calvo,
Juan Diego Botto, Aixa
Villagrán, Font García.
Il primo dramma sociale di Juan Diego Botto
Presentato in anteprima mondiale
nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra del Cinema di Venezia, On
the Fringe ci presenta le storie di quei membri della
società che sono stati privati del diritto ad avere un tetto sopra
la propria testa. Nel bel mezzo della crisi immobiliare e della
recessione spagnola, questi personaggi si trovano a dover fare i
conti con l’essere sfrattati e l’andare incontro a un futuro
incerto in cui non c’è nessun aiuto se non la loro resistenza
collettiva.
La storyline che dà il via a questo
groviglio di esistenze da risolvere è quella di
Selma, una bambina che viene prelevata a casa sua
dai servizi sociali perché rimasta apparentemente da sola,
abbandonata dalla madre. A rendersi conto della situazione è
Rafa (Luis Tosar), un avvocato
che si occupa di casi sociali e che è a conoscenza dei alcune
problematiche interne a questa famiglia di immigrati.
Sorge però una sorta di conflitto
parallelo a quello professionale di Rafael che,
trascorrendo così tanto tempo ad aiutare gli altri, si allontana
progressivamente alla moglie Helena (Aixa
Villagrán), che ha problemi di salute, e dal figlio (o
“figliastro”, come il ragazzo chiarisce più volte), un adolescente
di nome Raúl (Cristian Checa)
che, a causa del ritardo di Rafa, si perde una
gita scolastica ed è costretto ad accompagnarlo in una giornata di
lavoro. Proprio nel corso di queste 24 ore, tra i fastidi e
l’irritazione che subentrano tra i due, Rafa dovrà
rendersi conto del disequilibrio che sta nascendo tra il suo
impegno pubblico e quello che ci mette nella sfera privata.
Facciamo poi la conoscenza di
un’altra esistenza che si incrocerà con Rafa,
quella di Azucena (Penélope
Cruz), che ha un bambino piccolo e che sta per essere
sfrattata dalla sua casa non riuscendo a pagare l’affitto.
Attraverso incontri di gruppo organizzati con altri individui che
stanno cercando di sistemare situazioni simili, e ripresi con un
tono quasi documentaristico, gli sfortunati “clienti” di
Rafa si organizzano per mettere insieme piani
d’azione e fermare gli sfratti, ma sconfiggere le banche – e la
polizia che agisce in difesa dei loro interessi – è tutt’altro che
semplice; così, la militanza sembra funzionare più come un gruppo
di sostegno emotivo che altro.
Il quadro dei personaggi di
On the Fringe è completato da
Manuel (lo stesso Botto), un
immigrato argentino che ha perso il lavoro e da un suo amico
(Font García), che ha fatto un investimento
costoso con i soldi della madre (Adelfa Calvo) e
non solo ha perso tutto ma non osa dirglielo.
On the Fringe: una corsa contro il tempo
Come vediamo in On the
Fringe, gli effetti dell’eccessiva speculazione, dei
costosi rimborsi e delle privatizzazioni possono colpire tutte le
classi sociali, che si tratti dell’immigrata araba
Badia, della povera Azucena o
dell’apparentemente benestante pensionata Teodora.
Come afferma Botto, in Spagna ci sono 41.000
sfratti all’anno, più di 100 al giorno. Il film si addentra nelle
loro storie e mostra come questa paura influisca sulle loro
relazioni, sia in famiglia che tra amici.
Botto trova umanità
e forza di ciascuno dei personaggi di On the
Fringe, uniti dal dolore e da un senso di fallimento, ma
prima di tutto individui, protagonisti di un dramma che assume
connotazioni personali, le quali vengono intercettate da
Rafa, a costo di mettere a repentaglio la sua di
vita.
Le lancette dell’orologio scorrono
inesorabilmente in questa corsa contro il tempo orchestrata da
Azucena, che vuole organizzare una manifestazione
per osteggiare il suo sfratto. On the Fringe, a
tratti, assume le sembianze di un thriller, in cui tutti i pezzi
devono combaciare per poter far ottenere la propria ricompensa a
ogni giocatore. Solo che in questo caso – un esordio deciso da
parte di Juan Diego Botto – sembra che tale premio
sia irraggiungibile fin dall’inizio. Il sistema non lo
permette.
Paolo Virzìtorna allaMostra internazionale d’arte
cinematografica. DopoNotti Magiche(2018),
quest’annopresenta aVenezia 79Siccità,
un film corale, satirico e calato nel reale. Il lungometraggio è
nato durante il periodo delle zone rosse e dei lock-down e si basa
sulla sceneggiatura scritta dal regista insieme ai suoi
co-sceneggiatori storici, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. Al team si aggiunge come ”alter-ego del
gruppo” Paolo
Giordano, autore del
celebre saggio sulla pandemia Nel Contagio (2020).
Siccità è ambientato
in una Roma totalmente prosciugata dove non piove da tre anni.
L’erogazione contingentata dell’acqua e gli scarafaggi che
pervadono la città danno del filo da torcere ai personaggi del
film. Nessun protagonista, ma tante personalità che incarnano i
lati drammatici e ironici degli italiani messi a contatto con un
problema globale. La dottoressa angosciata(Claudia
Pandolfi), il ”professore” onnipresente in televisione
(Diego Ribon), le vittime dei tagli sul lavoro
(Max Tortora,
Valerio Mastandrea), i ricchi (Vinicio
Marchioni,
Monica Bellucci), gli acculturati (Elena
Lietti, Tommaso Ragno), i giovani
(Sara Serraiocco), tutte le categorie tendono ad
assomigliarsi nei momenti di crisi.
L’attualità raccontata in tempo
reale
Il regista ha scelto di raccontare
subito, non appena ha potuto, un periodo assurdo e reale, quello
della pandemia globale, attraverso una storia paradossale ma
plausibile. ”Siccità era un film ambizioso e anche molto
pazzo da realizzare nel momento in cui citrovavamo”, esordisce Paolo Virzì.
”Era doveroso affrontare questo tema
subito. Noi, come cineasti sentiamo di avere un piccolo ruolo:
raccontare il nostro tempo, le nostre vite. Ci siamo
tuffati a sognare. Attraverso una visione quasi fantascientifica,
abbiamo immaginato una Roma deldopodomani.”
In realtà, il film
di Virzì è ancora più attuale di quanto
il regista potesse programmare. Accanto al tema dell’epidemia,
viene affrontato quello del cambiamento climatico. Il
lungometraggio esce in sala il 29 settembre, dopo
un’estate di siccità, caldo torrido e fiumi in secca. Un’epidemia
scatenata dalle blatte, un virus legato ai pipistrelli. Ma anche il
Tevere prosciugato nella finzione e il Po nella realtà.
La necessità di fare un film
collettivo
Virzì ripercorre le prime tappe della
scrittura di Siccità, quando durante il lock-down
fantasticava insieme agli sceneggiatori. ”In un’epoca in
cui le strade erano vuote, sognavamo unaRoma caotica,
sognavamo di affollare le strade davanti alla macchina da presa
con vicende e esseri umani, con angosce nuove e
indecifrabili, infelicità, frustrazione.”
Il regista evidenzia la volontà di
fare un film sì corale e affollato, ma dotato di senso.
Siccità parla di
connessioni: tutti i suoi personaggi sono in
qualche modo legati tra loro. La scommessa del
film era quella di ”Prendere temi globali come quello della
pandemia e dell’estinzione e comporreun grande mosaico
narrativo che avesse in sé la potenza
dell’arte cinematografica e del grande schermo, un film dotato
di forza emozionale e dell’ambizione di sfidare il futuro, la
speranza di tornare in sala”.
Riguardo al tono emotivo di
Siccità, lo sceneggiatore Paolo
Giordano aggiunge ”Il periodo della pandemia darà
frutto a molte narrazioni esangui, di personaggi soli e
abbandonati. Al contrario, da questo team io ho tratto la forza e
la voglia di un mondo affollato, caotico, a volte un po’ nevrotico
ma pieno di convialità e voglia di stare insieme”.
Riguardo ai ruoli creati,
anche nei precedenti film scritto
con Virzì e Archibugi, Francesco
Piccolo confessa: ”Noi non abbiamo mai voluto
fare troppe distinzioni tra buoni e cattivi, essi non sono
troppo diversi tra di loro e tutti meritano di essere
amati.” Continua: ”Abbiamo sempre creato personaggi
da amare molto anche nelle loro meschinità. E, in essi, abbiamo
voluto costruire una speranza. Tutti in
Siccità hanno la sensazione di essersi
staccati dal mondo e di volersi ricongiungere con esso.”
Uno zoom sul cast
di Siccità
Virzì ha poi
giustificato le sue scelte in termini di casting. Gli interpreti
sono tanti nomi importanti del cinema italiano e ognuno di loro
incarna un diverso modo di essere. Il regista parla del cast come
parlerebbe dei membri di una grande famiglia, raccontandone
aneddoti e qualità: da Elena Lietti, che ha
iniziato come comparsa sul set de La
pazza gioia, alla difficoltà fisica nel riuscire a far
entrare l’altissimo Max Tortora in
un’inquadratura orizzontale. ”Claudia
Pandolfi è mia sorella, è come se
avessimo un DNA livornese in comune. Ho voluto usare il suo colare
per portarlo in un personaggio gelido.” Continua:
‘‘Agli inizi della sua carriera,
Silvio Orlando era un clown puro, sapevo che
avrebbe potuto riprendere quel personaggio buffo simile a Charlot e
portalo in Siccità.”
C’è una prospettiva salvifica
in Siccità?
Nonostante lo scenario apocalittico,
nonostante la frenesia del film, alla base
di Siccità c’è una visione ottimista. Ci si
chiede se il film voglia offrire una prospettiva salvifica.
Virzì afferma: ”C’è una speranza nel
film, che emerge raccontando il naturale, il destino dell’uomo
sulla terra. Non aspettatevi da noi [del cinema] risposte, ma
sicuramente è un invito ad alzare lo sguardo.”
Il regista conclude: ”Perché, in
fondo, l’arte di raccontare è la vera medicina. Se
parli di grandi temi e non tieni conto di una persona, dei suoi
amori e delle infelicità, rischi di non capir nulla. Solo se ti
avvicini alle persone ne cogli tutta la forza.”
Dopo Notti Magiche
(2018), un film che ruota attorno alle acque del Tevere, con
Siccitàil regista Paolo
Virzì racconta di una Roma totalmente
prosciugata. Presentato fuori concorso alla 79ª
Mostra Internazionale di Venezia, il film arriverà
nelle sale il 29 settembre2022.
Siccità è un film corale che mescola scenari
apocalittici e personaggi strampalati, con l’efficace ricetta dello
”strano ma vero” che
contraddistingue Virzì.
Siccità: la
trama
Prendiamo un’ipotesi assurda: Roma
caput mundi, città dall’antichissimo sistema idrico, è a
corto di acqua. Non piove da tre anni e l’erogazione pubblica viene
contingentata. Il Tevere è in secca e gli scarafaggi – le blatte –
invadono strade e case. Uno scenario apocalittico, ma non troppo
distante da quello attuale. In questo contesto, si muovono una
serie di personaggi. Gli individui sembrano dapprima scollegati, ma
nel corso del film inciampano tutti l’uno nella vita
dell’altro.
Tra gli altri, c’è una
dottoressa che scopre una nuova epidemia (Claudia
Pandolfi), un carcerato che evade per sbaglio
(Silvio Orlando), un ex-commerciante che vive in
mezzo alla strada (Max Tortora), un tassista
sonnolente (Valerio Mastandrea). Tutti questi
personaggi, buffi e veri, si trovano a dover fare i conti con una
città troppo calda, troppo sporca e troppo diseguale, che non
sembra aver nulla a che fare con la nostra capitale.
Riflessioni post-pandemiche
Siccitàpotrebbe
sembrare un film a episodi, ma in realtà è un’unica grande
narrazione che ruota attorno ad un solo tema: il rapporto
tra l’individuo di oggi e l’ambiente. Dopo la pandemia
globale scoppiata nel 2020 e vista la minaccia della crisi
climatica, l’argomento è spaventosamente attuale.
Virzì ci mostra una Roma dai toni seppia. Una
città in cui l’arido Tevere in secca sembra il deserto dei Sinai e
in cui la sporcizia, le blatte e la polvere contribuiscono a creare
uno scenario da fine del mondo.
Un cast simpatico e decisamente
ampio
Foto di Greta De Lazzaris
In questo contesto vengono calati
una serie di personaggi curiosi. Esattamente come accadrebbe – o
forse è meglio dire com’è accaduto e come accadrà – in un momento
di crisi, in Siccità vediamo il modo in cui
reagiscono al cambiamento climatico individui molto diversi tra
loro.
Silvio Orlando, un evaso di prigione, vaga come
Charlot con la sua piccola tanica d’acqua.
Valerio Mastandrea, in preda ad un malessere costante,
continua a fare il tassista pur in preda ai deliri febbrili. C’è
poi chi decide di iniziare una nuova avventura (Elena
Lietti,
Vinicio Marchioni), chi prova ad adottare un punto di
vista pragmatico e razionale (Claudia
Pandolfi, Sara Serraiocco) e chi
preferisce non cedere allo sconforto (Monica
Bellucci). In tutto questo, non può mancare un
”professore” che invade i salotti e i telegiornali (Diego
Ribon).
La bravura degli attori, unita alla
sceneggiatura – scritta dal mitico team Francesca
Archibugi, Francesco Piccolo,
Paolo Virzì a cui si
aggiunge Paolo Giordano – portano il film ad
essere coinvolgente, ironico e profondo. I tratti più marcati, le
discussioni più profonde, si alternano alle battute italianissime e
divertenti.
Il peso invalidante della
responsabilità
Lo stile
di Virzì e l’abilità del cast sono la linfa
di un film che potrebbe funzionare ma fatica a prendere il volo.
Nonostante anche in altri casi Virzì abbia
affrontato temi tristissimi attraverso racconti dolce-amari
(Ella e John – The Leisure
Seeker, La pazza gioia, ma anche Tutti i santi giorni) questa volta la pesantezza
dello scenario del film impedisce alla narrazione di prendere il
volo.
Siccità parte
lento, si carica di tanti personaggi e di altrettante tematiche –
l’ambiente, l’epidemia, il confronto generazionale – e avanza
a fatica. Sicuramente, il film è un riflesso della società odierna,
dell’Italia mal governata, impari, perennemente in crisi. Tuttavia,
mescolare così tanto materiale, avendo a disposizione così poca
acqua è alquanto
impegnativo. Siccità presenta diversi
livelli di lettura. Da un lato, osa toccando una serie di questioni
moderne e difficili, dall’altro tutta questa densità ostacola
quella sensazione di leggerezza realistica e palpabile che
tipicamente lascia un film di Virzì.
Sarà trasmessa da Sky e andrà in
streaming su NOW, in esclusiva per l’Italia, la diretta della 74°
edizione degli Emmy Awards, gli
ambitissimi premi al meglio della TV
americana. La cerimonia di consegna delle prestigiose
statuette, considerate gli Oscar della TV, sarà
visibile su Sky Atlantic e in
simulcast su Sky Uno a partire dalle
00.30 della notte tra lunedì 12 e martedì 13 settembre.
La notte degli Emmy Awards 2022
verrà commentata dagli studi Sky a partire dalle 00.30 dal
giornalista Federico Chiarini, volto di Sky
Atlantic padrone di casa anche quest’anno, e dai suoi ospiti:
il giornalista Mattia Carzaniga (Rolling Stone,
Vanity Fair, Il Sole 24 Ore), la nota content creator e volto di
Sky Serie Giulia Valentina e, collegata
da Los Angeles, Alessandra Venezia, che
intervisterà i protagonisti di questa edizione dei premi. Alle
00.30 avrà inizio il pre-show che condurrà al red carpet, dove
le star sfileranno nei loro sfavillanti outfit, commentati dallo
studio da Costantino Della Gherardesca, volto di
Pechino Express e Quattro Matrimoni. Seguirà poi
la cerimonia di premiazione, in onda dalle 2 di notte fra
lunedì e martedì.
Fra i titoli in
lizza, candidati per i premi principali, molti sono
disponibili on demand su Sky e in streaming su NOW, a partire dalle
due serie cult HBO che quest’anno detengono il record di
nomination. La prima è SUCCESSION,
il cult firmato Jesse Armstrong la cui terza stagione ha
conquistato ben 25 nomination, compresa quella come miglior serie
drammatica, quelle ai suoi attori protagonisti Brian Cox e Jeremy
Strong, alla scrittura, alla regia e a pressoché tutto il suo
straordinario cast (tutte le tre stagioni sono disponibili su Sky e
in streaming su NOW, mentre la quarta arriverà nella prossima
stagione televisiva). La seconda è THE WHITE LOTUS, la raffinata satira di Mike
White candidata a ben 20 statuette, compresa quella per la miglior
miniserie, quelle per buona parte del suo cast, la regia e la
sceneggiatura, entrambe di White (la serie è già disponibile su Sky
e NOW, mentre prossimamente sarà disponibile anche il secondo
atteso capitolo ambientato in Sicilia).
Su Sky e in streaming su NOW anche
l’apprezzatissima EUPHORIA di Sam Levinson, che tra le numerose
nomination ha reso
Zendaya la donna più giovane ad avere ottenuto due
candidature consecutive come miglior attrice, nonché quella come
miglior produttrice.
Colin Firth e
Toni Collette, invece, corrono come miglior attore e attrice
protagonisti in una miniserie nell’inquietante THE
STAIRCASE – UNA MORTE SOSPETTA, il true crime targato HBO
Max diretto da Antonio Campos. Firth se la vedrà, fra gli
altri, con Oscar Isaac, grande co-protagonista di un altro titolo
HBO amatissimo e disponibile su Sky e NOW: SCENE DA UN MATRIMONIO, rilettura firmata
Hagai Levi del classico di Ingmar Bergman.
Infine, emergono dal catalogo di
Sky e NOW una delle migliori sorprese dell’annata televisiva,
YELLOWJACKETS,
survival drama SHOWTIME candidato come miglior
serie drammatica e per le performance dell’attrice protagonista
Melanie Lynskey e della non protagonista
Christina Ricci, e una lieta riconferma,
L’ASSISTENTE DI VOLO– THE FLIGHT
ATTENDANT, amata comedy-thriller che ha fruttato a
Kaley Cuoco la candidatura a miglior attrice per il secondo anno
consecutivo.
La morte di Elisabetta II, avvenuta
nel pomeriggio di giovedì 8 settembre nella residenza scozzese di
Balmoral, è stata accolta con profonda tristezza in tutto il
pianeta. La sovrana più longeva nella storia millenaria del Regno
Unito, con i suoi straordinari 70 anni di trono, e più amata al
mondo verrà ricordata anche da Sky con una programmazione speciale
nella giornata di oggi, venerdì 9 settembre. Su Sky Documentaries
in simulcast su Sky Uno e in streaming su NOW, alle 21.15 ci sarà
Elizabeth – A Portrait In Parts, film del regista
premio Oscar Roger Michell che, utilizzando
immagini di repertorio che attraversano decenni, dagli anni ’30 al
2020, regala un ritratto celebrativo e irriverente di
Elisabetta.
Con filmati d’archivio del “dietro
le quinte” della vita della grande Regina, il film racconta gli
incontri con Nixon per il tè con, accanto a sé, un giovanissimo
principe Carlo; il momento successivo all’Incoronazione in cui,
giovane ed euforica, scendendo dalla carrozza fa quasi cadere la
corona; o ancora un momento in cui lei, adolescente, balla libera e
felice prima di assumersi la responsabilità che la consegnerà alla
storia. Un vero e proprio tour cinematografico su e giù per i
decenni per una donna che ha scritto la storia del Regno Unito e
non solo.
Su Sky Uno il ricordo della Regina
oggi inizierà alle 17:20 con alcuni episodi di The
Royals: il primo dedicato al rapporto tra la Regina e i
tantissimi Primi Ministri che si sono succeduti durante il suo
Regno: ben 14, da Winston Churchill a Margaret Thatcher a Tony
Blair, fino a Boris Johnson, l’ultimo con cui ha avuto modo di
lavorare prima della proclamazione, appena due giorni fa, del nuovo
PM Liz Truss; a seguire, alle 18:20, un focus sul rapporto tra
Elisabetta e suo figlio Carlo, figlio maggiore e primo erede al
trono.
E ancora, alle 19:15, The
Coronation, uno speciale risalente al 65° anniversario
dell’incoronazione in cui la stessa “Lilibeth” – come
affettuosamente veniva chiamata dal popolo britannico – raccontava
davanti alla telecamera, guardando anche filmati rarissimi, i suoi
ricordi della cerimonia; un racconto di quella giornata, nel cuore
del secondo Dopoguerra, che passa anche attraverso gli straordinari
gioielli della Corona.
Quindi, alle 20:15, The
Queen Unseen, in cui viene mostrato il lato più intimo e
nascosto della Regina attraverso filmati privati, archivi informali
o materiale proveniente da tutto il mondo.
Infine, su Sky Cinema Due sempre
venerdì 9, alle 23:00 sarà proposto il film The Queen – La
Regina, disponibile anche on demand, dove sarà
eccezionalmente visibile per tutti gli abbonati Sky. La pellicola
del 2006, diretta da Stephen Frears, vede
protagonista
Helen Mirren nei panni di Elisabetta che, dopo la
morte di Lady Diana, cerca di proteggere la privacy della corte
dall’invasione dei media. Un’interpretazione straordinaria che è
valsa all’attrice un premio Oscar, un Golden Globe e la Coppa Volpi
alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del
2006.
Il personaggio di
Eternità, un’incarnazione vivente dell’universo
infinito, è sempre stato tra le entità più affascinanti e
misteriose della Marvel. Tale personaggio è noto in
particolare per il suo aspetto unico nei fumetti e molto spesso ci
si è chiesti come l’MCU avrebbe potuto dargli vita sul grande
schermo. Con Thor: Love and Thunder si ha
finalmente avuto la risposta a questa domanda. Una rappresentazione
sorprendentemente accurata di Eternità fa infatti la sua comparsa
nel film, divenendo dunque ora ufficialmente parte dell’MCU.
L’aspetto del personaggio che si può ritrovare nel film è però
stato solo uno dei tanti ideati dal team creativo.
Dopo il debutto in streaming
su Disney+ di Thor: Love and Thunder, il
concept artist Jeremy Love ha mostrato sul suo
profilo Instagram alcune idee delle diverse idee valutate per il
look di Eternità. Alcune queste prevedevano una fiamma che vedeva
l’Eternità sollevarsi dal fumo, mentre altre coinvolgevano enormi
strutture ai margini dell’universo. La versione finita nel film è
invece molto più semplice, nonché fedele a come il personaggio si
presenta nei fumetti. L’Eternità presente in Love and
Thunder si trova infatti seduta in una pozza d’acqua poco
profonda che si estende in ogni direzione in modo infinito.
Ora che il film è disponibile agli
abbonati sulla piattaforma, sempre più contenuti extra o scene
tagliate vengono rivelate. I fan possono così scoprire ulteriori
curiosità dietro uno dei titoli Marvel più apprezzati tra quelli
recentemente usciti. Come noto, Thor: Love and
Thunderè diretto da Taika Waititi,
mentre Chris Hemsworth
riprende i panni di Thor. Natalie Portman
torna ad interpretare Jane Foster, che diventa qui Mighty Thor,
mentre Tessa Thompson è Valchiria. Russell Crowe
fa la sua comparsa nei panni di Zeus, mentre Christian Bale
interpreta il villain, Gorr il macellatore di dei. Di seguito, ecco
il post di Instagram con i look alternativi di Eternità.
Il film tedesco in lingua inglese
La storia
infinita, diretto dal recentemente scomparso
Wolfgang Petersen, segue Bastian, un ragazzo
vittima di bullismo che trova un libro misterioso che lo trasporta
in un luogo magico chiamato Fantasia. Mentre procede con il
racconto, Bastian capirà di dover impedire a una forza oscura
chiamata Il Niente di conquistare quel luogo magico. Distribuito
nel 1984 con grande successo e un guadagno di oltre 100 milioni di
dollari in tutto il mondo, La storia infinita è
ancora oggi un cult del cinema mondiale e rimane rilevante nella
cultura pop odierna.
La popolarità ottenuta dal film ha
poi permesso di dar vita a due sequel negli anni ’90: La storia
infinita 2 e La storia infinita 3. Tuttavia, questi
due sequel non hanno eguagliato il successo o il plauso del primo e
sebbene ci siano stati alcuni tentativi nel corso dei decenni di
riavviare la saga, non ne è venuto fuori nulla a causa di problemi
con i diritti. Ora, tuttavia, sembra che i tempi siano maturi per
un vero e proprio ritorno di La storia infinita. Secondo
Deadline diverse piattaforme streaming e studios stanno facendo
offerte multimilionarie per acquistare i diritti del romanzo di
Michael Ende, su cui si basava il film del
1984.
Secondo quanto riferito, gli eredi
dell’autore sarebbero aperti a delle trattative, le quali sarebbero
però ancora soltanto a delle fasi iniziali e dunque poco c’è di
certo al momento. Con la recente ritorno in auge del fantasy anni
’80, omaggiato in modo più o meno evidente, ha dunque perfettamente
senso che diverse aziende produttrici siano interessate a dar vita
ad una nuova versione del film. Come sempre, però, un’operazione di
questo tipo può rivelarsi rischiosa, specialmente considerando il
valore che La storia infinita ha presso gli spettatori di
ogni età e ogni dove.
Il genere horror ha goduto di
un’importante rinascita negli ultimi dieci anni, con film che ne
hanno aggiornato canoni e temi per rendere questo genere ancor più
popolare e attuale. Tra questi vi è anche The Conjuring di
James Wan, uscito nel 2013 e diventato rapidamente
uno dei franchise più in voga nella storia del genere. Il suo primo
sequel principale, The Conjuring 2 (qui la recensione), è
considerato da molti uno dei migliori sequel horror di tutti i
tempi. Quel film ha inoltre il merito di aver introdotto la suora
malvagia Valak che da allora è diventata un’icona
nonché tra i principali antagonisti dell’intera saga. Tale
personaggio, come noto, è inoltre ispirato alle vere leggende sul demone chiamato
Valak.
Questo particolare demone, tuttavia,
era inizialmente stato pensato con un aspetto particolarmente
lontano da quello della suora che oggi tutti conoscono. Ora, grazie
a Wan, ora sappiamo che aspetto doveva avere il design originale
del terrificante Valak. Wan ha infatti condiviso un nuovo video sul
suo Instagram che mostra come Valak doveva avere le sembianze di un
mostruoso demone nero con corna e ali. Il regista ha inoltre
rivelato che la creatura, realizzata dal truccatore Justin
Raleigh, presentava una testa animatronica e un corpo
indossabile, cosa che dunque avrebbe reso concreta la presenza del
demone sul set.
Wan ha però anche rivelato perché il
design alla fine è stato modificato: “Penso di avere solo uno
scatto completamente finito con le ali CGI in posizione. È stato
davvero grandioso ed epico. Ma per quanto fosse bello, sembrava
fuori posto nel mondo di Conjuring che avevamo costruito“. Il
regista continuava dicendo: “E così, durante la post
produzione, ho ripensato al cattivo, sentendo che doveva essere
qualcosa di più radicato, più personale e più inquietante. E così è
nata la suora demoniaca”. Sul profilo di Wan è dunque
possibile ritrovare il video dove viene mostrato il costume
inizialmente previsto per The Conjuring 2 e il suo
funzionamento.
Uno dei più importanti e noti film
degli anni ’90 è senza ombra di dubbio Forrest
Gump, vincitore di ben 6 premi Oscar tra cui
quello per il miglior film e il miglior attore protagonista, ovvero
Tom Hanks.
Questo è stato infatti uno dei film che più di altri ha contribuito
alla definitiva consacrazione dell’interprete nel panorama
mondiale. Nonostante quello che Forrest Gump rappresenti
per lui, o forse proprio per via di ciò, Hanks ha di recente
affermato di aver respinto l’idea di realizzare un sequel del
film.
Ospite di una puntata del podcast
Happy Sad Confused, l’attore ha infatti confermato di come
in seguito al successo del film si è effettivamente discusso della
possibilità di realizzare un seguito: Abbiamo parlato per circa
40 minuti riguardo l’ipotesi di dar vita ad un altro Forrest Gump,
ma dopo un po’ ci siamo detti “ragazzi, andiamo…”. Una cosa
intelligente che ho fatto è che non ho mai firmato un contratto che
presentasse anche un obbligo contrattuale per un sequel. Ho sempre
detto “ragazzi, se c’è un motivo per farlo, facciamolo. Ma non
potete costringermi”.
L’attore ritiene infatti che non c’è
era motivo per dar vita ad un sequel, poiché tutto ciò che contava
era stato già raccontato con quel film. Un seguito di quel
racconto, in realtà, esiste ma non è cinematografico bensì
letterario. Come noto, il film con Hanks è tratto dall’omonimo
romanzo di Winston Groom, il quale nel 1995, in
seguito al successo del lungometraggio, ha scritto il libro
Gump & Co., che racconta nuove vicende vissute
dall’omonimo protagonista. Sembra però che tale nuovo romanzo non
avrà mai un adattamento per il grande schermo.
Matrix Resurrections, l’attesissimo nuovo
capitolo dell’innovativo franchise che ha ridefinito un genere,
arrivain prima tv su Sky: lunedì 12 settembre alle
21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K (e alle 21.45 anche su Sky
Cinema Sci-Fi), in streaming su NOW e disponibile on demand, anche
in qualità 4K.
Dopo la trilogia cult, la
regista visionaria Lana Wachowski ha riunito
nuovamente Keanu
Reeves e
Carrie-Anne Moss negli iconici ruoli di Neo e Trinity.
Con loro nel cast Yahya Abdul-Mateen II (Morpheus),
Jessica Henwick (Bugs), Jonathan Groff (Smith), Neil
Patrick Harris (The Analyst), Priyanka Chopra Jonas (Sati),
Jada Pinkett Smith (Niobe).Matrix
Resurrections è stato distribuito nelle sale italiane
da Warner Bros. Pictures.
La trama del film
Per scoprire se la sua realtà è
vera o solo immaginazione e per conoscere realmente se stesso,
Thomas Anderson dovrà scegliere di seguire ancora una volta il
Bianconiglio. E se Thomas… Neo… ha imparato qualcosa, è che
scegliere, sebbene sia un’illusione, è tuttora l’unica via
d’uscita, o d’entrata, per Matrix. Ovviamente Neo sa già cosa deve
fare, ma cosa ancora non sa è che Matrix è più forte, più sicura e
più pericolosa che mai. Déjà vu.
E in occasione della prima visione
di MATRIX RESURRECTIONS, da lunedì 5 a venerdì 16 settembre Sky
Cinema Collection diventa Sky Cinema Sci-Fi, il
canale dedicato al genere letterario e cinematografico che ha
contribuito a ridefinire il nostro immaginario culturale e che ci
ha aiutati a sognare il futuro, con 70 titoli in
programmazione.
MATRIX RESURRECTIONS–
lunedì 12 settembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K (e
alle 21.45 anche su Sky Cinema Sci-Fi), in streaming su NOW e
disponibile on demand, anche in qualità 4K.
Non molto tempo dopo aver vinto un
Oscar per la sua interpretazione in Room del 2015,
l’attrice BrieLarson è stata scelta per interpretare la
pilota di caccia dell’Air Force Carol Danvers nel
MCU, la quale acquisisce poi i
superpoteri che la portano a diventare Captain
Marvel. Il suo debutto è dunque avvenuto nel film da
solista Captain Marvel, che,
nonostante le reazioni contrastanti del pubblico, è stato accolto
con recensioni ampiamente positive da parte della critica e ha
incassato oltre 1 miliardo al botteghino, spingendo i Marvel
Studios a sviluppare un sequel intitolato The Marvels,
atteso in sala per il 28 luglio 2023.
Sal suo debutto con il film nel
2019, la Larson è stata poi regolarmente presente nel MCU,
presentandosi due volte nel corso di Avengers: Endgame e una
volta durante la scena post-crediti di Shang-Chi e la Leggenda dei
Dieci Anelli. La sua apparizione più recente nel MCU è
stata quella nella scena dei titoli di coda di Ms. Marvel,
che vede la vede interagire cone la Kamala Khan di Iman Vellani,
anticipando dunque alcuni aspetti di The Marvels. Lo
status della Larson è dunque particolarmente solido all’interno
dell’MCU, eppure l’attrice ha rivelato in una recente intervista di
aver avuto molta paura all’idea di far parte del film.
“Quando mi hanno scelto io ero
tipo: “non capiscono che sono un’introversa con l’asma, hanno
commesso un errore”. – ha raccontato la Larson – Poi ho
iniziato ad allenarmi e ho imparato che in realtà ero molto più
forte di quanto pensassi e che le mie allergie erano la causa della
mia asma. Quindi ho preso medicine per l’allergia e in breve potevo
sollevare pesi molto pesanti e questo ha davvero trasformato la mia
vita. Captain Marvel mi ha cambiato come persona molto più di
quanto avrei mai immaginato”. L’esperienza dell’attrice sembra
dunque confermare una volta di più quanto questo tipo di film
possano essere fonte di ispirazione, tanto per gli spettatori
quanto per gli attori coinvolti.
La Warner Bros. ha
rilasciato il secondo trailer completo di Black
Adam, a meno di due mesi del debutto nelle sale del
film. Questo nuovo trailer offre ai fan uno sguardo più accurato al
film, che come noto avrà il celebre Dwayne Johnson nei
panni dell’antieroe DC Comics del titolo. Ad unirsi a lui nel film
ci saranno più membri della Justice Society of
America, la prima squadra di supereroi della DC. Questi, dopo
che Black Adam viene risvegliato da oltre cinquemila anni di sonno,
tenteranno di avvicinare il potentissimo supereroe per cercare di
fermare la sua furia, insegnandogli ad essere un eroe più che un
cattivo.
Il nuovo trailer, inoltre,
presenta anche la minacca di una forza più potente dello stesso
Adam, motivo per il quale egli dovrà unire le sue forze con la
Justice Society per salvare il mondo. Il vero villain del film
sembra infatti essere Sabbac, le cui forze oscure
dell’Inferno gli conferiscono il potere di diventare un essere
supremo, senza limiti, provvisto di super forza, super velocità, e
le abilità di volo, respiro infuocato e l’emissione di palle
infuocate dalle mani. Un nemico all’altezza del protagonista,
dunque, che sembra promettere scontri particolarmente intensi
all’interno del film.
Le sorprese regalate dal trailer
non finiscono però qui, poiché nel trailer fa la sua comparsa anche
la Amanda Waller di Viola Davis,
già vista in Suicide Squad e nel
reboot/sequel del 2021
The Suicide Squad. La sua presenza permette dunque di
collocare in modo definitivo le vicende di Black Adam
nell’universo condiviso della DC. Lo stesso Johnson aveva
precedentemente dichiarato che Black Adam segna l’inizio
di una nuova era per il DC
Extended Universe. Per scoprire quale sarà l’impatto del film,
bisognerà attendere il 21 ottobre, potendo però
intanto godere del trailer qui di seguito riportato.
Glass Onion – Knives
Out, il sequel di Cena con delitto –
Knives Out diretto nuovamente da Ryan
Johnson e sempre con Daniel Craig
protagonista, arriverà prossimamente al cinema e poi su
Netflix dal 23 dicembre. La trama di questo seguito, come
rivelato di recente, si concentra sul magnate della tecnologia
Miles Bron che invita alcuni dei suoi più cari amici in vacanza
sulla sua isola privata in Grecia. Ben presto, tuttavia, quell’oasi
di pace si macchia di sangue e mistero, un mistero che solo il
detective Benoit Blanc può risolvere.
Dopo essersi mostrato grazie ad
alcune prime immagini ufficiali, il
film concede un’ulteriore assaggio di sé attraverso il primo
trailer. In questo vengono presentati i personaggi principali,
interpretati da un cast di attori del calibro di Edward
Norton, Janelle Monáe,Jessica
Henwick, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr, Madelyn
Cline,Kate HudsoneDave
Bautista. Poco viene invece svelato
del mistero alla base del film, anche se il regista ha rivelato che
Glass Onion sarà diverso rispetto a Knives Out in
quanto a tono, ambizioni e ragion d’essere.
Johnson ha inoltre spiegato che la
sua tecnica per la scelta del cast è come “organizzare una cena
per gli ospiti.Inviti sempre le persone che ti
piacciono, ma è difficile sapere davvero come andrà e alla
fine puoi solo cercare di scegliere i migliori attori per una
parte, quelli che sembrano più adatti a un ruolo specifico. A quel
punto ti tuffi e trattieni il respiro. Per fortuna abbiamo messo
insieme un gruppo stupendo e davvero coeso”. Non resta dunque che
attendere che il film diventi disponibile per la visione, potendo
intanto godere del suo elettrizzante trailer.
Dopo dieci lunghi anni di assenza
dal grande schermo, Andrew Dominik torna al cinema
con l’attesissimo Blonde, rielaborazione favolistica del romanzo
di Joyce Carol Oates della struggente storia di
Marilyn Monroe, qui interpretata da una
meravigliosa Ana de Armas. Da bambina indesiderata a icona
idolatrata da milioni di persone, passata di mano in mano cercando
disperatamente qualcuno da chiamare “papà”, Norma
Jean è caduta nell’abisso dell’autodistruzione, uccisa,
forse, dal nostro stesso sguardo. Nel cast, anche Adrien Brody, Bobby
Cannavale, Xavier
Samuel, Julianne
Nicholson e Lily Fisher.
Norma Jean: la fatica
dell’autoritratto
Norma Jean gioca a
nascondino fin da piccola. Vittima dei comportamenti di una madre
instabile, inconsapevole di ciò che il diventare donna porta con
sè, Norma trova nell’inquadratura da pin-up e nel
cinema un appiglio per procedere a un’involuzione necessaria, per
poter stringere la mano a una bambina che avrebbe ancora tanto da
capire. Luci e ombre rimescolano le fila di una narrazione
ellittica, in cui seguiamo Norma Jean sobbalzare
in apnea tra le quinte del palcoscenico di una vita per cui non è
stata educata e il desiderio di rinchiudersi nel cassetto che le ha
fatto da culla da piccina, vestigia primigenia e unica di un
ritratto famigliare incompiuto, in cui la potenza di ciò che
sarebbe potuto essere non è mai diventata atto compiuto.
Blonde è, soprattutto, un film di prospettiva,
che abbraccia completamente l’occhio della sua protagonista, alla
ricerca disperata di un legame da poter stringere con qualcuno
oltre lo schermo, con lo spettatore alieno alle dinamiche che ne
hanno consumato lo spirito, chi è al di là dello spettro fittizio
in cui Norma Jean è stata intrappolata.
Marilyn è insieme armatura e minaccia, è l’estrema
conseguenza di traumi irrisolti, uno sdoppiamento esperienziale in
cui ogni ribaltamento di significati già conosciuti ci avvicina
sempre di più alla demistificazione, a ciò che Norma avrebbe sempre
desiderato: la comprensione.
Tra la carne e le pieghe di un
esistenza lacerante
Blonde vive di una relazione biunivoca tra il
soggetto della storia e lo spettatore, ricevente unico di stimoli e
punti di svolta che gli altri protagonisti sullo schermo non
intercettano, favorendo implicitamente quella scissione tra un sè
pubblico e privato endogena all’arte attoriale, ma portata alle
estreme conseguenze nel caso di Marilyn. La voce
di Norma rimane inascoltata, oppressa dalle proiezioni degli altri
sulla sua persona, che stridono con gli unici
legami affettivi di cui vorrebbe poter godere: l’amore di un padre
e l’attesa di un figlio. Questa rielaborazione favolistica, nera e
crudele, ma in cui c’è tanta verità ed emerge tutto l’amore che
Norma avrebbe voluto diffondere, lontana dagli schemi del biopic e
vicina solo a quello che la protagonista veramente sente, si fa
metaforicamente successore spirituale del viaggio di
Alexia in Titane, film vincitore
della Palma d’Oro a Cannes 2021. Con la stessa
audacia e sfrontatezza visionaria di Julia
Ducournau, Andrew Dominik riesce
finalmente a portare su schermo la storia che custodiva gelosamente
da quasi 15 anni, in attesa di trovare la sua “bionda”.
In Blonde è il contenuto che si adatta alla forma
e alla grammatica cinematografica, mai il contrario. L’occhio – o
il corpo di Marilyn, un “pezzo di carne” agognato
e preteso – ci indica dove guardare, come raggiungere Norma anche
quando la stessa non riesce a farla risalire dalle profondità di
una psiche che è in realtà bambina, che vuole guardare indietro ma
al tempo stesso dimenticare. Mutano i formati, il modo di
inquadrare Norma/Marilyn, si adatta la gradazione
cromatica in base all’eloquente filtro visivo della protagonista.
Storicamente, ci sono note tante cose della sua vita e carriera, ma
Norma ve le racconterà dal suo punto di vista.
Blonde: il cerchio di luce oltre
Marilyn
Come analizza accuratamente
Richard Dyer nel suo saggio sul divismo
Star, e il regista Andrew Dominik
traspone su schermo, l’immagine di Marilyn Monroe
è da collocarsi nella corrente di idee sulla moralità e sessualità
degli anni Cinquanta americani: anni dell’affermazione di star
“ribelli” come Marlon Brando, James
Dean ed Elvis Preasley; periodo di
diffusione dei concetti freudiani nel dopoguerra e di attenuazione
della censura cinematografica di fronte alla competizione con la
televisione; ma anche anni di tensioni sociali, sessuali ed
economiche. L’icona, il personaggio di Marilyn,
riusciva a condensare sessualità e innocenza tramite un carisma
unico, e sembrava personificare le tensioni che attraversavano la
vita ideologica dell’epoca: un’eroica sopravvivenza alle tensioni o
una loro dolorosa esposizione? L’opera di Andrew
Dominik cerca di coniugare entrambi i quesiti.
Seppur Andrew
Dominik ci abbia abituati a un’esposizione sempre molto
elegante del dolore, qui il regista lascia le redini della storia
in mano a Norma, facendola sognare e urlare al
tempo stesso, lasciandole scegliere i colori che più preferisce per
poter dipingere o rivedere alcuni ricordi. Un cerchio di luce
che contiene un sè alternativo da portarsi accanto ovunque si vada:
non stiamo parlando solo di un esercizio dell’Actors Studio
insegnato a Norma, ma di una vera e propria luce
che tenderà a inseguire sempre – qualche volta la sovrasterà anche
nell’immaginario – per ricordarle la terribile condanna con cui
dovrà sempre fare i conti: essere altro per chi non ci conosce,
assumere su di sè significati che non sentiamo nostri, rifugiarsi
in una maschera spaventosa perchè è ciò che viene richiesto.
In Blonde, non saremo mai noi spettatori a vedere
Marilyn, a visionare i frammenti di sequenze
iconiche prelevate dai sui film più di successo: di questo,
Andrew Dominik, rende partecipe solo il pubblico
delle sale di quegli anni, masse di ammiratori folgorati da
un’inscindibile e sofferente patto tra il riflesso cinematografico
e la caratura drammatica che ogni esistenza debilitata porta con
sè. A noi, resta il privilegio di tendere la mano a Norma
Jean, ricordarla oltre il mito, l’icona. Oltre le barriere
che Andrew Dominik scavalca in nome della finzione
rimaneggiata, per ricordarci che il biondo è una maschera ma,
tavolta, può anche essere luce: per salvare
Norma.
Si è tenuta questa sera la premiere
alla 79esima Mostra d’Arte Internazionale del cinema di Venezia di
Blonde,
il nuovo film del regista Andrew Dominik che vede
Ana de Armas nei panni della leggendaria icona Marilyn Monroe.
Sul red carpet tutto il cast e il produttore del film,
Brad Pitt.
Il film
Tratto dal bestseller di Joyce
Carol Oates, Blonde reinventa con audacia la vita di una delle
icone più leggendarie di Hollywood: Marilyn
Monroe. Dalla sua infanzia imprevedibile come Norma Jeane,
attraverso l’ascesa alla fama e i legami sentimentali, Blonde
mescola realtà e finzione per esplorare la sempre più vasta
differenza tra l’immagine pubblica e quella privata dell’attrice.
Scritto e diretto da Andrew Dominik, il film vanta un cast
straordinario con Ana de Armas al fianco di Bobby
Cannavale,
Adrien Brody, Julianne Nicholson, Xavier Samuel ed Evan
Williams.
È possibile vedere il mondo al di fuori dei nostri traumi, al
di fuori delle nostre paure e desideri? E se si incarna un oggetto
del desiderio, quello che il mondo vede è il tuo vero io o una
proiezione dei propri bisogni? Marilyn Monroe una volta disse:
“Quando si è famosi, ci si imbatte sempre nell’inconscio delle
persone”. Come si pone una bambina indesiderata di fronte
all’essere diventata la donna più desiderata del mondo? Deve
dividersi a metà? Proporre un’immagine sfolgorante al mondo,
mentre l’io indesiderato soffoca all’interno. E non è forse il
cinema stesso una macchina del desiderio? L’abbiamo in qualche modo
uccisa noi stessi con il nostro sguardo? Lei ora esiste, come la
polvere di una stella esplosa, sotto forma di migliaia di immagini
che fluttuano nel nostro inconscio collettivo, nei film, nelle
fotografie, sui muri, nelle pubblicità, sulle fiancate dei furgoni
dell’aria condizionata e la sua luce – come quella di una stella –
viaggia ancora verso di noi, anche se lei si è spenta da
tempo.
Ad oggi considerato un punto di
riferimento del sottogenere survival thriller film,
Un tranquillo weekend di paura (il cui
titolo originale è Deliverance) è stato sin dal momento
della sua uscita in sala un vero e proprio caso cinematografico.
Diretto nel 1972 da John Boorman, il film affronta
in modo quantomai controverso e brutale il tema della socialità e
dei comportamenti selvaggi insiti nell’uomo “civile”, presentando
caratteristiche e riflessioni che lo posero in una categoria a sé
stante rispetto al suo genere di riferimento. Grande successo di
critica e pubblico, il film ottenne poi tre nomination all’Oscar,
compresa quella per il miglior film.
Sceneggiato da James
Dickey, Un tranquillo weekend di paura è
l’adattamento del romanzo del 1970 dello stesso Dickey. Ancora oggi
considerato tra i romanzi più importanti scritti dai primi del
Novecento in poi, è questo un racconto cupo e violento che indaga i
rapporti umani portando alla luce anche gli aspetti meno piacevoli,
che si tendono normalmente a nascondere sotto la maschera della
civiltà. Il tutto si svolge prevelentemente presso il fiume
Cahulawassee, luogo immaginario e che nel film viene “interpretato”
dal vero fiume Chattooga, in Georgia.
Noto per alcune sue scene in
particolare, alcune delle quali anche molto brutali e poco
ortodosse, Un tranquillo weekend di paura è un titolo
imperdibile per gli amanti del thriller e delle emozioni forti,
capace ancora oggi di suscitare tanta attrazione quanta repulsione.
Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente
utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a
questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e
al cast di attori. Infine, si elencheranno anche
le principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Un tranquillo weekend di
paura: la trama e il cast del film
Protagonisti del film sono quattro
amici di Atlanta: Ed Gentry,
LewisMedlock, Bobby
Trippe e Drew Ballinger. Questi decidono
di passare un fine settimana nei boschi dei monti Appalachi,
discendendo poi a valle seguendo il fiume Cahulawassee.
L’avventura, tuttavia, viene bruscamente interrotta dall’incontro
con due cacciatori, che si rivelano particolarmente ostili nei
confronti dei quattro. Nel momento in cui anche l’ambiente
selvaggio presenta loro una serie di pericoli e difficoltà, i
quattro si ritrovano a dover compiere alcune scelte morali che li
divideranno profondamente. Con il progressivo peggiorare della loro
situazione, quella che doveva essere un’escursione spensierata si
trasforma in un vero e proprio weekend di terrore.
Ad interpretare i quattro
protagonisti vi sono rispettivamente gli attori Jon
Voight, Burt Reynolds,
Ned Beatty e Ronny Cox. È noto
che, poiché la produzione non possedeva i fondi necessari, i
quattro attori non ebbero modo di poter contare su delle loro
controfigure per le scene più pericolose. Furono dunque addestrati
affinché potessero interpretare personalmente ogni scena prevista,
il tutto senza possedere un’assicurazione sulla vita. Accanto a
loro, nei ruoli dei due sadici cacciatori, vi sono gli attori
Bill McKinney e Herbert Coward,
divenuti celebri proprio per questo film. L’attore James
Dickey interpreta invece lo sceriffo Bullard, mentre
Billy Redden è il ragazzo che suona il banjo.
Un tranquillo weekend di
paura: la scena del banjo e la colonna sonora
Una delle scene più iconiche del
film si trova già all’inizio e vede il personaggio di Drew
imbattersi in un ragazzino autistico, che stringe un banjo. Drew,
non trovando altro modo per comunicare con lui, comincia a
improvvisare una melodia con la sua chitarra, a cui il giovane
risponde col suo strumento. Il brano eseguito dai due è il celebre
Dueling Banjos, inciso numerose volte sin dal 1955.
Proprio l’utilizzo di questo portò ad una disputa legale
riguardante la colonna sonora del film. I crediti sullo schermo affermano che la
canzone è un arrangiamento della canzone “Feudin’ Banjos“,
indicando la Combine Music Corp come titolare del
copyright.
Ad essere accreditati come autori
dell’arrangiamento furono Eric Weissberg e
Steve Mandell. Il cantautore e produttore
Arthur “Guitar Boogie” Smith, che aveva scritto
“Feudin ‘Banjos” nel 1955 e l’aveva registrato con il
suonatore di banjo a cinque corde Don Reno, ha in
seguito intentato una causa per i crediti di scrittura della
canzone e una percentuale sui diritti d’autore. Il brano, infatti,
sembra essere stato utilizzato senza il suo permesso e il suo nome
non era stato mai citato. Smith vinse poi la causa e ottenne quanto
gli spettava. Non volle però che il suo nome comparisse nei titoli
di coda del film, in quanto lo trovava troppo violento e
offensivo.
Un tranquillo weekend di
paura: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire di Un
tranquillo weekend di paura grazie alla sua presenza
su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili
Cinema, Rai Play, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di giovedì 8settembre alle ore
23:00 sul canale Rai 4.
Ritenuta una delle più brillanti
commedie statunitensi del nuovo millennio, 2 single a
nozze si è affermato non solo grazie ad una serie di
scene e gag memorabili, ma anche grazie alla grande chimica che
intercorre tra i protagonisti. Il risultato è un folle viaggio che
dal piacere sfrenato conduce all’amore vero. Non mancano però
situazioni al limite, e difatti il film venne presentato come
vietato ai minori per via di contenuti sessualmente espliciti o
contenenti una spiccata volgarità. A dirigere tutto ciò, nel 2005.
è stato David Dobkin, autore anche del recente
Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga.
L’idea alla base del film appartiene
però al produttore Andrew Panay, il quale da tempo
desiderava realizzare un film ispirato ai suoi anni giovanili da
seduttore ai matrimoni altrui. Assunti gli sceneggiatori
Steve Faber e Bob Fisher, la
storia si è poi arricchita di una storia d’amore che cambia la vita
del protagonista, come anche di un forte legame d’amicizia che lega
i due personaggi maschili. Le preoccupazioni nel realizzare un
simile progetto non furono poche, specialmente considerando che ad
un primo impatto i due protagonisti potrebbero sembrare dei
misogini in cerca solo di avventure. I buoni sentimenti introdotti,
però, hanno evitato ogni possibile fraintendimento.
2 single a nozze venne
infatti accolto da un grande favore di critica e pubblico. Al box
office guadagnò un totale di oltre 288 milioni di dollari a fronte
di un budget di circa 40. Ottenne anche 3 MTV Movie Award, compreso
quello per il miglior film. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
2 single a nozze: la trama
del film
Protagonisti del film sono
John e Jeremy, amici sin
dall’adolescenza e di professione avvocati divorzisti. Al di fuori
del lavoro, il loro passatempo preferito è entrare di straforo nei
ricevimenti di nozze di gente che non conoscono per mangiare gratis
e rimorchiare le ragazze. Passando da un evento all’altro, i due
solidificano la loro amicizia e la rispettiva fama di seduttori. Un
giorno i due si introducono al matrimonio della figlia maggiore del
segretario WilliamCleary, senza
immaginare che quelle nozze saranno in grado di modificare per
sempre la loro vita e la loro amicizia.
Jeremy si lega alla figlia più
piccola del politico, Gloria, mentre John si
innamora quasi a prima vista di Claire, la quale è
però già impegnata con Zachary Lodge, rampollo
dell’alta società che si rivela però essere un uomo particolarmente
sleale e traditore. Complice la capacità di John e Jeremy di
invitare bugie, i due vengono invitati in un weekend alla casa al
lago dei Cleary dopo il ricevimento di nozze. Le loro menzogne,
però, entreranno in conflitto con i nuovi sentimenti per le due
donne, creando situazioni a dir poco complesse. Ben presto,
capiranno che i sentimenti d’amore non possono essere ignorati, e
dovranno fare i conti con quanto seminato lungo il percorso.
2 single a nozze: il cast
del film
Ad interpretare i due incalliti
seduttori vi è la coppia formata da Owen Wilson,
nei panni di John, e Vince Vaughn,
in quelli di Jeremy. I due attori vennero sin da subito scelti dal
regista, il quale li riteneva una perfetta coppia comica. Ai due
venne lasciato ampio margine di improvvisazione, ed è così che sono
nate alcune delle battute più celebri del film, come quella
pronunciata da Wilson che recita “io credo che usiamo solo il
10% del nostro cuore!“. Nel film è poi presente, in un cameo
divenuto iconico, l’attore Will Ferrell. A
questi era stato offerto il ruolo di John, ma egli preferì
interpretare un ruolo più piccolo, e assunse così i panni di Chazz,
il mentore di Jeremy e possessore dei grandi segreti dell’arte di
imbucarsi ai matrimoni.
Ad interpretare Claire è invece
l’attrice Rachel McAdams.
Questa ha raccontato di essersi preparata a lungo per il ruolo, che
le ha richiesto un notevole trasporto emotivo. Per prepararsi alle
scene più forti era solita ascoltare il
brano Landslide dei Fleetwood Mac, il quale la
portava subito alle lacrime. Isla Fisher,
invece, è Gloria, sorella di Claire. Il suo personaggio avrebbe
dovuto dar vita a ben 5 scene di nudo, ma l’attrice convinse il
regista a ridurle ad una sola. La Fisher era convinta che mostrare
il corpo di Gloria l’avrebbe resa seducente e non più divertente.
Bradley Cooper
è invece il fedifrago Zachary, ruolo per il quale è stato assunto
non appena terminato il suo provino, con il quale si era affermato
su tutti gli altri candidati. Il premio Oscar Christopher
Walken è invece il segretario al Tesoro William
Cleary.
2 single a nozze: il
sequel, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Nel 2014 hanno iniziato a circolare
alcune voci relative ad un sequel del film. Dobkin, il regista,
aveva infatti fatto sapere di aver avuto insieme a Wilson e Vaughn
una buona idea per riportare i personaggi al cinema. Questa
sembrava prevedere lo scontro di John e Jeremy contro un ancora più
esperta personalità nell’imbucarsi ai matrimoni altrui per sedurre
le invitate. Tale progetto, però, sembra essere rimasto ad un
livello di mera proposta. Nel 2016, l’attrice Isla Fisher ha però
fatto sapere che Vaughn l’aveva avvertita circa nuovi sviluppi del
progetto relativo al sequel. Nel novembre del 2020, infine, i due
attori protagonisti, Wilson e Vaughn, hanno aperto un dialogo con i
produttori per riprendere i loro ruoli.
In attesa di tale sequel, è
possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
2 single a nozze è infatti disponibile nel
catalogo di Google Play e Apple
iTunes. Per vederlo, basterà semplicemente iscriversi, in
modo del tutto gratuito alla piattaforma. Si avrà così modo di
guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà a disposizione
un determinato limite temporale entro cui effettuare la visione. Il
film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno
giovedì 8 settembre alle ore
21:10 sul canale TwentySeven.
Il regista premio
Oscar Robert Zemeckis ha nel corso della sua
carriera realizzato film di vario genere, dal fantascientifico
Ritorno al futuro al
drammatico Forrest Gump, dal
biografico The Walk fino al recente
fantasy Lestreghe.
Ogni suo titolo si è affermato come un’opera di valore, capace di
emozionare grandi e piccoli. Nella sua filmografia si ritrovano
però anche titoli più cupi, che sfociano spesso e volentieri
nell’orrore. Uno di questi è Le verità
nascoste, uscito in sala nel 2000 e basato su una
sceneggiatura di Clark Gregg (meglio noto come
attore nel ruolo dell’agente Phil Coulson del Marvel Cinematic Universe).
Il film venne girato da Zemeckis
mentre era in corso l’intervallo dalle riprese di Cast Away, dovuto alla
necessità del protagonista Tom Hanks di perdere
una notevole quantità di peso. In quel lasso di tempo il regista si
interessò alla sceneggiatura di Le verità nascoste,
propostagli dall’amico Steven Spielberg e basata
su un vecchio soggetto della documentarista Sarah
Kernochan, nel quale raccontava un’esperienza personale.
Affascinato dall’idea di girare un thriller, Zemeckis fece partire
in tutta rapidità la produzione del progetto. In particolare, il
film si è affermato per l’atmosfera di costante inquietudine, vero
e proprio elemento di orrore primario. Non a caso, questo è stato
definito un film di forte stampo hitchcockiano.
Con un incasso di circa 290 milioni
di dollari, Le verità nascoste si è affermato come il
decimo maggiore incasso del suo anno. Pur ricevendo pareri critici
contrastanti, è ancora oggi uno dei film più ambigui e affascinanti
del regista. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Le verità nascoste: la trama del film
Protagonisti del film sono i coniugi
Norman e Claire Spencer. Lui
famoso scienziato e ricercatore universitario, lei ex
violoncellista di successo, decidono di trasferirsi a vivere in una
lussuosa casa sul lago nel Vermont. Per i due ha così inizio
una nuova fase della loro vita, essendo rimasti soli dopo che la
figlia Caitlin si è trasferita per frequentare il
college. Tutto sembra procedere per il meglio nella nuova
abitazione e gli attacchi di ansia di Claire, dovuti ad un recente
incidente d’auto, sembrano lì acquietarsi quasi del tutto. Nel
momento in cui la donna inizia a sentire delle strane voci a vedere
degli strani fenomeni, il panico sembra rimpossessarsi di lei.
Ben presto, Claire sprofonda nella
paranoia più totale, convintasi che quella casa sia infestata da
fantasmi e luogo di antichi orrori. Sempre più preoccupato per la
salute della moglie, Norman chiederà aiuto ad uno psichiatra, ma
dovrà a sua volta scontrarsi con inaspettati risvolti. Nel momento
in cui anche lui inizia a notare ciò che la moglie da tempo
denuncia, i due coniugi capiranno di essere finiti in un luogo
tutt’altro che pacifico, dove antichi segreti e scheletri
nell’armadio stanno per uscire allo scoperto, portando con sé
conseguenze terribili.
Le verità nascoste: il cast del film
Per il ruolo dei coniugi Norman e
Claire Spencer, i primi attori scelti da Zemeckis sono stati
Harrison Ford e
Michelle
Pfeiffer. Quando Ford lesse la sceneggiatura del film
si interessò così tanto al progetto da accettare subito di
parteciparvi, declinando numerose altre proposte lavorative così da
far spazio a questo progetto. Ad oggi, è l’unico film horror a cui
l’attore ha preso parte nella sua lunga carriera. Michele Pfeiffer,
allo stesso modo, si disse estremamente attratta dalla storia e dal
suo complesso personaggio. Per prepararsi al ruolo, l’attrice seguì
il metodo della collega DrewBarrymore, proiettando le proprie paure su ciò che
la circonda, potendole così percepire come più reali e
immedesimarsi di più nel ruolo.
L’attrice ha in seguito dichiarato
in alcune interviste di essere stata inizialmente scoraggiata da
tutti gli aspetti tecnici del film, che sembravano limitare la sua
libertà recitatativa. Alla fine ha però imparato ad adattarsi a
questi, trovando l’esperienza sia educativa che divertente. Nel
ruolo della figlia dei due, Caitlin, vi è invece Katharine
Towne. Miranda Otto, nota per il ruolo
della principessa Éowyn nella trilogia de Il Signore degli
Anelli, è Mary, la nuova vicina di casa dei protagonisti e
James Remar è suo marito Warren. Diana
Scarwid è Jody, amica di Claire di professione mistica,
mentre Joe Morton è lo psichiatra da cui Norman
porta Claire in visita. Il film segna poi il debutto sul grande
schermo dell’attrice e supermodella Amber
Valletta, qui nel ruolo di Madison Elizabeth Frank.
Le verità nascoste: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Le verità
nascoste è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple iTunes e Disney+. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 8
settembre alle ore 23:40 sul canale
Rai Movie.
Hugh Jackman, Laura Dern e il
regista parlano di The Son
Ancora una
volta, Zeller attinge a una sua
pièce teatrale, l’ultimo capitolo di una trilogia dedicata
ai rapporti familiari, e, accompagnato da un cast impeccabile,
mette in scena un film profondo e straziante. Gli interpreti
di The Son sono nomi celebri: Hugh Jackman,
Laura Dern, VanessaKirby, Anthony Hopkinsa cui si
aggiunge il giovane e talentoso Zen
Mcgrath.
Il regista Florian
Zeller e i due interpreti principali, Hugh
Jackman e Laura
Dern, rivelano qualche dettaglio sul casting fatto
via Zoom e sulla lavorazione di The Son.
Jackman e Dern, nei panni
di Peter e Kate, sono i genitori
divorziati dell’adolescente infelice
Nicholas (Zen Mcgrath) e
cercano, a loro modo, di aiutare il figlio a guarire dalla
depressione.
La scelta degli attori
Zeller evidenzia le dinamiche di casting e
cosa l’ha portato a scegliere i suoi personaggi principali. Il suo
scopo era quello di trovare attori in grado di creare connessioni
emotive sullo schermo ”non imitando o mostrando, ma
semplicemente essendo presenti davanti alla macchina da
presa”.
Gia al primo incontro via Zoom,
Zeller ha capito che con Dern
poteva fare qualcosa di speciale ”Adoro
Laura, come adoro tantissimo David Lynch e credo che Laura
sia la sua musa.” Sull’espressività di Dern,
il regista di The Son aggiunge: ”Noi
conosciamo molto poco della storia pregressa di questi due
personaggi[Peter e Kate], di quando erano insieme.
Tuttavia, le espressioni di Laura, il suo volto,
riescono a svelarti i segreti e le cose più nascoste. Sono grato a
per la sua intelligenza emotiva, la sua grazia e la
generosità nei confronti del regista.”
Per quanto riguarda la scelta
di Jackman, Zeller dice
di aver apprezzato l’empatia dell’attore e la sua disponibilità a
immergersi appieno nell’esplorazione di sé e
delle emozioni per poi offrirle all’altro. ”La scelta di
Hugh è stata immediata. Quello che volevamo fare
non era raccontare una storia di cattivi genitori, ma mostrare un
padre che ci prova, che fa del suo meglio nei confronti del
figlio.”
Zeller ha chiesto
al cast di The Son di creare connessioni emotive senza paure. Il lavoro
sull’interiorità non è stato semplice da parte degli attori ma,
come precisa Laura Dern, il
regista li ha accompagnati durante tutto il
processo. ‘‘Florian è tutto quello che vuoi
trovare in un regista, perché si fida del comportamento umano.
Quello che lui ti chiede è di guardarti negli occhi e di trovare la
verità, essere sincera. Noi ci siamo fidati delle sue parole, lui
si è fidato di noi.”
Dal canto
suo, Jackman precisa che, non appena ha letto
il copione, ha sentito di essere adatto alla parte di
Peters. ”Mi ci sono
subito rivisto, avevo trovato una parte in cui mettermi alla prova
ed essere me stesso.”
Inoltre, l’attore riflette
sulla nuova mascolinità, una mascolinità diversa
da quella di quando lui era adolescente. ”Quando ero ragazzo c’era l’idea che i maschi dovessero
essere trasformati, fatti diventare uomini. Questa cosa metteva
pressione e oggi viene messa in dubbio.” Attraverso
The
Son, Jackman confessa di aver
fatto un grande lavoro su se stesso e di essere cresciuto non solo
come attore, ma anche come uomo e come padre. ”Ho trovato un
collegamento a livello viscerale con questa storia e questo film:
ciò che ci ha chiesto Florian è stato esplorare la nostra
vulnerabilità. Non abbiamo praticamente fatto
prove, ogni giorno ci buttavamo in qualcosa di
nuovo.” E conclude ”Ora come uomo mi mostro più
vulnerabile, anche con i miei figli, che hanno 17 e 22 anni, e ogni
volta che lo faccio noto da parte loro c’è un profondo sollievo
quando lo faccio.”
Con The
Son Zeller ha voluto sognare
Infine, Zeller
torna a parlare della sceneggiatura e del lavoro fatto sulla pièce
teatrale. Questa volta, a differenza di The Father, il
processo è stato più lineare, scelta che si è rivelata semplice e
difficile allo stesso tempo. Il testo drammaturgico è stato
affrontato in maniera più diretta e The Son
risulta molto fedele a Il figlio. ”Con
The Son volevo consentirmi di sognare, e questo
sogno mi ha portato a New York. Volevo rappresentare qualcosa
che non avesse a che fare con me direttamente, come Parigi o Londra
che conosco molto bene. Anche perché volevo che il film fosse
qualcosa di universale e, in fondo, New York è una città che
accoglie persone da tutto il mondo. E il cinema fa questo: porta
sullo schermo temi universali.”
Tra gli ultimi film attesi alla
Mostra del Cinema di Venezia 2022 c’è Blonde,
che sarà presentato in anteprima questa sera, prima che il Leone
d’oro venga assegnato il 10 settembre, data conclusiva del
festival. Girato da Andrew Dominik e con
protagonisti Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby
Cannavale, Xavier Samuel,
Julianne Nicholson e Lily Fisher,
Blonde riadatta l’omonimo best-seller di
Joyce Carol Oates, che ripercorre audacemente la
vita di una delle icone intramontabili di Hollywood,
Marilyn Monroe. Dalla sua infanzia precaria come
Norma Jeane, fino alla sua ascesa alla fama e agli
intrecci sentimentali, Blonde
confonde i confini tra realtà e finzione per esplorare la
crescente divisione tra il suo io pubblico e quello privato.
Proprio il regista del film
Andrew Dominik e Ana de Armas assieme al cast di Blonde,
approdato oggi al Lido, ci hanno parlato di questo impegnativo
progetto, a lungo in cantiere e che si propone come una
rielaborazione audace e fittizia di una delle biografie divistiche
più struggenti di sempre.
Ana de Armas ha raccontato il suo viaggio in
Blonde attraverso
le due “facce” della diva, persona e personaggio,
Norma e Marilyn. “Per la
maggior parte del tempo, sono Norma, la storia è innanzitutto sua.
Poi, ovviamente, Marilyn inizia a prendere il sopravvento. Hanno
entrambe bisogno l’una dell’altra, sono complementari. Grazie a
questo progetto ho imparato a mostrare ancora più empatia e
rispetto nei confronti degli attori che si trovano costantemente
sotto i riflettori, ho capito quanto questa situazione possa farci
male, nessuno è preparato a gestire tutta questa pressione, al
fatto che la gente proietti su di te quello che vuole. Ho imparato
anche a proteggermi ancora di più. Lei ha fatto tutto ciò che ha
potuto”.
Adrian Brody, che
nel film interpreta una rielaborazione del dramamturgo
Arthur Miller, ha poi affermato di essersi sentito
onorato di poter prendere parte a questo progetto, che denuncia
“tutto quello che hanno dovuto sopportare le donne per lungo
tempo. Sono molto consapevole della netta divisione tra
l’adulazione del pubblico nei confronti di Marilyn e di ciò che lei
voleva essere veramente, anche dal punto di vista creativo e
attoriale. Tanti artisti si sentono così, in un certo senso. Questo
tormento interiore e i traumi irrisolti del suo passato non l’hanno
mai abbandonata“.
Andrew Dominik ha
spiegato in maniera concisa quali sono stati i punti cruciali di
questo progetto, primo fra tutti la sensazione che
Marilyn fosse fisicamente presente attorno a loro
sul set di Blonde
e che anche la sua aura potesse, in qualche modo, prendere parte a
questa fantasia. “Marilyn era sul set con noi. Abbiamo girato
proprio nella stanza da letto in cui è morta, è stato così
difficile riuscire ad avervi accesso. Quando abbiamo terminato le
riprese, tutti se ne sono andati e io mi sono sdraiato sul suo
letto per dieci minuti. Ho avvertito una disperazione assoluta
nella stanza, riuscivo a sentire sia la persona, Norma, che il
personaggio, Marilyn, tutto unito in una sorta di comunicazione
psichica”.
“Non penso che il mio film sia
originale. La maggior parte del materiale (libri, ecc) che hanno
rielaborato la storia di Marilyn sono sempre fantasie rischiose.
Anche il mio film è una fantasia rischiosa. Marilyn è un
personaggio verso cui proviamo tanti sentimenti, specialmente le
donne: rappresenta la femminilità, ma anche il sentirsi incomprese,
chiamate pazze…c’é un sentimento di sorellanza tra noi e Marilyn.
Era l’Afrodite del 20esimo secolo. Aveva tutto ciò che la società
ci impartisce di desiderare, perciò nella parabola di Marilyn
possiamo capire che in realtà c’è qualcosa di sbagliato in quello
che vorremmo”.
Ma cosa significa
Marilyn per Andrew Dominik?
Perchè il regista ha avuto in mente il progetto di Blonde
da tantissimi anni? “Marilyn rappresenta la mia fantasia, la
donna che porto dentro di me, quella che Freud chiamava anima,
qualcosa di totalmente diverso da quello che lei è effettivamente
stata. Io la amo, amo la vera persona che era. Ma la vera persona è
stata la Marilyn gioiosa, quella preoccupata….una miscela di tutti
questi stati d’animo che mi fa credere, a volte, di
conoscerla”.
L’accento è stato poi posto
sull’utilizzo dei colori e del bianco e nero in base a sequenze
specifiche, proiezioni o meno di ciò che
Norma/Marilyn immagina. “Abbiamo ricreato a
colori specialmente le immagini di lei che abbiamo in mente e che
esistono. La verità è che l’uso del bianco e nero segue un’idea
precisa: il voler creare un’associazione tra ciò che conosciamo di
lei, cambiandone però il significato. Così, un ricordo romantico
che abbiamo di Marilyn, qui può non essere un’immagine romantica.
Il film è sempre dalla sua parte, gli unici sentimenti che gli
interessano sono i suoi”.
Anche il concetto e il rapporto di
Marilyn con la maternità sono parte fondante del
viaggio di Blonde
nella psiche di Marilyn: “Marilyn deve
dialogare con questa maternità mai raggiunta. Il bambino è per lei
vero tanto quanto ogni altra persona nel film, per questo dovevamo
rappresentarlo. Si muovono due forze opposte nei confronti della
maternità: da una parte, vuole rielaborare il trauma della sua
infanzia e infondere amore a una nuova creatura, dall’altro,
l’unica esperienza della maternità che ha conosciuto è stata quella
terribile di sua mamma, quindi, ha paura”.
Andrew Dominik ha
inoltre dichiarato che Blonde
non sarebbe mai potuto esistere senza Brad Pitt,
che figura come produttore del film con la sua casa di produzione
Plan B. “Brad è il migliore amico che un
regista potrebbe desiderare, è una delle ragioni fondamentali per
cui questo film esiste. Ha messo più impegno nella realizzazione di
Blonde, rispetto a tutti i film in cui ha lavorato con
me”.
Blonde
sarà disponibile su Netflix
dal 29 settembre 2022.
Nonostante un
titolo fuorviante, Love Life di Koji
Fukada, in concorso a Venezia 79, è un racconto di dolore
e di lutto, profondamente ancorato nel tessuto e nella cultura
sociale giapponese, lì dove tutto, troppo spesso, deve essere detto
ed espresso con uno sguardo.
Love Life, la
trama
Taeko (Fumino
Kimura) e Jiro (Kento Nagayama) sono
sposati da circa un anno, si sono conosciuti diversi anni prima
nell’ufficio di assistenza sociale dove ora lavorano entrambi.
Taeko aveva già un figlio, Keita (Tetta Shimada),
da un precedente matrimonio con un uomo che li aveva abbandonati
quando il bimbo era molto piccolo, un immigrato coreano sordo che a
mala pena riusciva a prendersi cura di sé. Dopo averlo cercato per
anni, Taeko di rifà una vita con Jiro, cosa che però non fa piacere
alla famiglia di lui. I genitori, in particolare, non sono contenti
che il loro unico figlio abbia sposato una donna più grande, con un
figlio che non ha il loro sangue. E, quando una tragedia improvvisa
si abbatte sulla famiglia, questi legami affettivi verranno messo a
dura prova e un intervento esterno continuerà a minare un
equilibrio apparente molto più precario di quanto non sia sembrato
a prima vista.
Fukada presenta queste
vicende con un occhio fermo e glaciale, resta a distanza da
emozioni forti e tragedie, quasi a emulare l’atteggiamento di
apparente distacco con cui i protagonisti affrontano delle
questioni anche molto dolorose che per una cultura occidentale
sarebbero tutte esternate con reazioni animate e rumorose.
Forse il principale
ostacolo che Love Life presenta per il pubblico è proprio
questo gap culturale che non permette l’identificazione non tanto
in ciò che accade agli sventurati protagonisti, quanto nelle
maniera algida con cui tentano di gestire questi
avvenimenti.
Un melodramma normalizzato
Tutto quello che succede
nella storia appartiene al genere del melodramma, tuttavia il film
non diventa mai tale. La musica, la fotografia, la formula di messa
in scena, tutto prova a indicare allo spettatore che non si sta
guardando una storia drammatica. Fukada quindi opera una
normalizzazione del melodramma, che se da una parte si presenta
come un’operazione linguisticamente interessante, dall’altra fa
crollare tutto l’impianto drammatico della storia, annullando il
coinvolgimento dello spettatore. Ci si potrebbe sentire, alla fine,
come se non fosse accaduto nulla di così doloroso come invece si
verifica.
Love Life è un dramma familiare che ricorda il
cinema muto, quasi, dove ogni piccolo gesto assume un significato
profondo e altro, che dovrebbe essere decodificato da una
sensibilità affine a quella dell’autore e che, in mancanza di un
dialogo tra chi racconta e chi riceve il racconto, potrebbe
risultare troppo ostico per essere apprezzato.
All the Beauty and the
Bloodshed, unico documentario in concorso a
Venezia 79, esplora la lotta dell’artista Nan
Goldin contro la famiglia Sackler,
arricchitasi dalla vendita di oppiodi e che ha riciclato la propria
immagine pubblica vendendosi come mecenati d’arte. Questo progetto,
diretto da Laura Poitras, ha come protagonista
proprio Goldin, che ha condotto una dura campagna
contro la Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica di
proprietà della famiglia Sackler, produttrice dell’antidolorifico
Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che
ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel
mentre, alla “facoltosa” famiglia sono state intitolate fino a
sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo
del Louvre di Parigi.
La battaglia privata e collettiva di Nan Goldin
Considerata una delle più
prestigiose fotografe contemporanee, nota per la sua fervida
aderenza ad importanti cause e tematiche, tra cui sessualità e
dipendenza – in particolare per la serie The Ballad of
Sexual Dependency – che documenta le comunità queer della
New York degli anni ’70 e ’80, in All the Beauty and the
Bloodshed Goldin ripercorre le proprie vicissitudini
famigliari e professionali e il tortuoso viaggio che l’ha condotta
alla dipendenza da questi antidolorifici oppioidi. Nel corso di
quasi due anni, Poitras ha visitato la
Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie
di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie
della stessa Goldin, costituiscono l’ossatura del film.
Dopo essere sopravvissuta a
un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017
Goldin ha fondato il gruppo di difesa
P.A.I.N (Prescription Addiction Intervention Now)
per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché
interrompano le collaborazioni con la famiglia
Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le
arti. “Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in
ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i
miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di
persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E,
per ora, ne abbiamo abbattuto uno“, ha dichiarato Nan
Goldin a Venezia.
Al centro del film ci sono le opere
d’arte di Goldin “La ballata della dipendenza
sessuale“, “L’altro lato“, “Sorelle e
sibille” e “La memoria perduta“, tramite cui
Goldin cerca di catturare tutta la bellezza e la
cruda tenerezza che vuole identificarsi come l’eredità della
sorella Barbara e delle amicizie più vere strette
nel corso degli anni, alla base di tutto il percorso artistico di
Goldin.
La bellezza e lo spargimento di sangue degli affetti
personali
Anche i precedenti documentari di
Poitras si concentravano sulle personali storie di
individui che combattono per un senso di giustizia o
responsabilità. Se è vero, dunque, che l’associazione
P.A.I.N rimane il nucleo fondante di All
the Beauty and the Bloodshed, questa nuova incursione nel
documentario di Poitras si rivela l’occasione
ideale per esplorare l’intrinseca connessione tra l’attivismo di
Goldin e il suo lavoro come punto di riferimento
nell’ambito della fotografia.
In All the Beauty and the
Bloodshed emerge chiaramente come per
Goldin sia stato essenziale toccare parallelismi
economici, sociali ed istituzionali tra la crisi dell’HIV/AIDS e
l’attuale crisi degli oppioidi nel Paese. Cercando di far emergere
a più riprese il concetto che le crisi sociali non esistono in un
unico contesto e che è necessario catturare le relazioni tra
comunità per poterne sondare le profondità, il documentario di
Laura Poitras riesce a coniugare ottimamente la
sovversività politica del suo lavoro artistico e l’emotività –
spesso anche lacerante – delle storie personali che sono state e
continuano ad essere l’ispirazione primaria per i suoi lavori.
Filtrando il concetto di stigma
tramite le sue più comuni derivazioni, il suicidio, la malattia
mentale, il genere, Goldin ha progressivamente
compreso la forte valenza politica che il suo impegno artistico
stava assumendo. Intrecciando la storia della sua infanzia, delle
sue profonde amicizie nelle comunità di artisti che continuano a
dimostrare slancio creativo e resilienza di fronte alle indicibili
perdite subite durante l’epidemia di AIDS, All the Beauty
and the Bloodshed cattura la storia non solo di
Nan, ma anche di Barbara Goldin:
la sorella perduta, ma mai dimenticata, la cui esistenza sofferente
– che diventa un ricordo quasi etereo – racchiude perfettamente la
storia di un’artista che ha raccontato la sua vita anche attraverso
l’impegno socio-politico.
L’attrice Anna Kendrick,
celebre per film come Pitch Perfect, Tra le nuvole e Un piccolo favore,
debutterà alla regia con il thriller The Dating
Game, per il quale sarà anche produttrice e
protagonista. Il progetto è basato sulla storia incredibilmente
vera di Cheryl Bradshaw. Nel 1978, la donna è
apparsa nel popolare programma televisivo The Dating Game
scegliendo inizialmente di avere un’appuntamento con Rodney
Alcala, salvo cambiare idea all’ultimo. L’uomo è poi stato
arrestato circa un anno in quanto serial killer con diversi omicidi
a carico.
Non è ancora noto in che modo il
film tratterà la vicenda, se vi sarà totalmente fedele o se la
Kendrick sceglierà di prendersi alcune libertà. Ad oggi l’attrice
ha solo confermato che ricoprirà per la prima volta il ruolo di
regista, affermando che “ho adorato questa sceneggiatura dal
momento in cui l’ho letta. E mentre ero ovviamente entusiasta di
interpretare il personaggio di Cheryl, mi sono sentita così
connessa alla storia, al tono e ai temi intorno al genere, che
quando si è presentata l’opportunità di dirigere il film, l’ho
colta al volo. Il supporto che ho già ricevuto da Stuart Ford e da
tutti in AGC, Vertigo e BoulderLight è stato fonte di ispirazione e
incoraggiamento“.
Le riprese del film, scritto da
Ian MacAllister McDonald, dovrebbero iniziare
nell’ottobre di quest’anno e prossimamente potrebbero dunque essere
annunciati anche nuovi nomi facenti parte del cast come anche
ulteriori dettagli relativi alla trama. Per la Kendrick si tratta
ovviamente di una grande opportunità, che potrebbe portarle
ulteriore popolarità oltre che a farle guadagnare un posto accanto
ad altre attrici come Greta Gerwig e Olivia Wilde
poi passate con successo alla regia di film come Lady Bird e Don’t Worry
Darling.
Il cast del prossimo
Joker 2, ufficialmente intitolato
Joker: Folie à Deux, continua a crescere
con l’aggiunta della candidata all’Oscar Catherine
Keener in un ruolo ad oggi tenuto segreto. L’attrice è
nota principalmente per i suoi ruoli in Essere John Malkovich e
Truman Capote – A sangue freddo, mentre di recente ha
recitato in Scappa – Get Out, Soldado e The Adam Project.
Joaquin
Phoenix, vincitore dell’Oscar come miglior attore
proprio per Joker, tornerà per il
sequel, riprendendo il ruolo di Arthur Fleck. Phoenix guiderà un
cast che include anche la co-protagonista Zazie Beetz e
il nuovo arrivato Brendan Gleeson. Anche
Lady Gaga apparirà nel film, interpretando una
nuova versione di Harley Quinn.
Anche se non è dunque ancora chiaro
chi interpreterà la Keener, considerando che il film sembra essere
ambientato per buona parte all’interno dell’Arkham Asylum, è
ipotizzabile che l’attrice possa vestire i panni di un medico del
posto o, altra ipotesi non da escludere, uno dei pazienti lì
rinchiusi. In generale, però, si sa ancora molto poco di questo
sequel, il quale stando a quanto mostrato da un primo breve teaser,
includerà anche elementi musicali.
Le riprese dovrebbero incominciare a
dicembre, con Todd Phillips
che torna in cabina di regia, avendo anche scritto la sceneggiatura
insieme a Scott Silver. Con una data di uscita
attualmente fissata al 4 ottobre 2024, bisognerà
attendere ancora un po’ prima di poter sperare di avere maggiori
informazioni sul film. Per il precedente Joker, tuttavia,
diverse immagini del film hanno iniziato a circolare con ancora le
riprese in corso. È dunque possibile che già nei prossimi mesi si
possa avere un assaggio in più su ciò che questo Joker: Folie à
Deux ha da offrire.
In merito al film Bill Pohlad ha
rivelato, “La storia di Donnie Emerson intreccia amore,
lealtà, seconde occasioni e la possibilità di vedere i propri
sogni avverarsi. Al contempo è anche una storia di dolore, di
rimpianto e delle complicazioni che i sogni possono portare con
sé. Dreamin’ Wild possiede una tranquilla semplicità. Esplora la
fede e la famiglia, il senso di colpa e la responsabilità. In
definitiva, parla di guarigione: ed è ciò di cui oggi abbiamo
più che mai bisogno nel mondo. Ecco perché sono stato attratto da
questa storia. Il nucleo centrale del film è la musica: Baby
girava nella mia testa mentre scrivevo, e l’anima e la passione di
questa canzone permeano il film. Vi è un senso di magia che
attraversa questa storia. Lo si può sentire riecheggiare in Baby.
E lo percepirete in Dreamin’ Wild.”
Cosa succederebbe se un sogno
d’infanzia si avverasse all’improvviso – ma trent’anni più tardi?
È quanto accade al cantautore Donnie Emerson. Il sogno di avere
successo si realizza improvvisamente – e inaspettatamente – quando
si sta avvicinando ai cinquant’anni. E se ciò da un lato porta con
sé la speranza di seconde occasioni, dall’altro lato evoca anche i
fantasmi del passato frammisti a emozioni a lungo sepolte, mentre
Donnie, il fratello Joe e l’intera famiglia si ritrovano a fare i
conti con la fama recentemente conquistata. Dreamin’ Wild è
un’incredibile storia vera di amore, speranza, famiglia, senso di
colpa e responsabilità.
A soli due mesi dall’uscita in sala,
sarebbero attualmente in corso alcune riprese aggiuntive per il
film Black Panther: Wakanda
Forever, il prossimo film targato Marvel nonché sequel del
pluripremiato Black Panther. Alcune
fonti hanno infatti riportato la notizia che il regista
Ryan Coogler sta svolgendo alcune ulteriori
riprese nello Stato della Georgia. È molto raro che un film vada
incontro a riprese aggiuntive così vicine alla data di uscita in
sala. Proprio per questo, alcuni fan ipotizzano che il team
creativo stia in realtà girando nuove scene post-credits. Non ci
sono però conferme o smentite da parte dei Marvel Studios ed è
dunque difficile stabilire il contenuto effettivo di queste nuove
riprese.
Molti fan, ad esempio, hanno
lanciato su Twitter l’hashtag #RecastTChalla, chiedendo che nel
film venga inserita una variante del personaggio. Tale richiesta è
però difficile che venga accontentata, in quanto i Marvel Studios
hanno affermato di non aver intenzione di operare un recasting,
rimanendo fedeli alla memoria di Chadwick
Boseman, l’originale interprete del personaggio
prematuramente scomparso nel 2020. Il film si è dunque costruito
sulla difficoltà e necessità di andare avanti senza il suo
protagonista effettivo. Appare dunque improbabile che lo studios
abbia ora cambiato idea all’ultimo, inserendo una variante di
TChalla come richiesto dai fan.
In attesa di chiarimenti ufficiali,
rimane dunque ignota la natura di queste riprese aggiuntive, da
svolgersi certamente in modo quantomai rapido per evitare rinvii
nella data di uscita del film. Questo è infatti atteso in sala per
il 9 novembre e vanta un cast composto da
Letitia Wright,Lupita
Nyong’o, Dominique Thorne, Danai Gurira,
Angela Bassett
e Tenoch Huerta nei panni del villain Namor.