A cinquant’anni
dall’uscita di Morte a Venezia di Luchino
Visconti, Il ragazzo più bello del mondo esplora
la dimensione privata di Björn Andrésen, che fu Tadzio nel
film. In sala dal 13 settembre, distribuito da Wanted
Cinema, con Films Boutique, Juno Films,
Mantaray Film, il documentario diretto da Kristina
Lindström e Kristian Petri ha partecipato al Sundance
Film Festival 2021.
La storia di
Björn Andrésen
Il ragazzo più bello
del mondo è la storia di un quindicenne svedese che incontra
improvvisamente il successo sulla sua strada, un giorno del 1970,
quando Visconti arriva a Stoccolma per cercare l’interprete
di Tadzio nel suo prossimo film, Morte a Venezia. Cerca un
ragazzo biondo dallo sguardo enigmatico e quando Bjorn appare di
fronte a lui, capisce di aver trovato la persona giusta. Da allora
la vita del giovane Björn Andrésen cambia
completamente. È destinato a diventare un idolo dell’occidente e
non solo. Ma chi era Björn prima del successo? Un ragazzo
introverso e amante della musica, voleva suonare. Dopo la morte
della madre, frequenta il collegio. Poi, cresce con la nonna, che
vuole farne una celebrità ad ogni costo. L’incontro con Visconti e
il successo precoce travolgono un ragazzino ancora adolescente.
L’industria del cinema lo sfrutta finché può e lui diventa quasi un
oggetto in mani altrui. Gira il mondo: Parigi, Londra e perfino il
Giappone. È una vera star e la sua bellezza diventa iconica.
Infine, l’oggi. Dopo un matrimonio, una figlia, Robine, e
un’altra tragica perdita, Björn vive in un piccolo appartamento in
affitto a Stoccolma e alterna periodi di buio a periodi più sereni.
Ha una compagna, Jessica, che lo sostiene, e ha recuperato
il rapporto con Robine. Questo viaggio a ritroso nei luoghi della
sua giovinezza, lo aiuterà forse a riconciliarsi con sé stesso e
con quel turbolento periodo della sua vita.
Il ragazzo più bello
del mondo illumina ciò che è sconosciuto
Alzi la mano chi non si è
chiesto almeno una volta nella vita: come mai i protagonisti dei
manga giapponesi anni ’70 sono spesso biondi, con gli occhi
azzurri? Cioè, hanno lineamenti marcatamente occidentali, anziché
nipponici? Il ragazzo più bello del mondo ha la
risposta. Il volto angelico e diafano di Björn Andrésen, che
ebbe un successo clamoroso in Giappone, ha ispirato un’intera
generazione di disegnatori di manga. Parola di Riyoko Ikeda,
creatrice di Lady Oscar. Vedere per credere. Questa chicca è
solo un esempio dell’approccio adottato ne Il ragazzo più
bello del mondo. Se un documentario può dirsi pienamente
riuscito è proprio perché fa luce su qualcosa di misconosciuto.
Adotta una prospettiva nuova. È ciò che fa il lavoro di
Lindström e Petri: si muove dalla superficie
all’essenza, lascia il personaggio per raccontare l’uomo Björn
Andrésen. È un’operazione di restituzione quella che i registi
fanno nei confronti di Bjorn. Dal documentario emerge infatti come
il ragazzo sia stato trattato alla stregua di un oggetto da
sfruttare, spremuto dall’industria cinematografica e dai manager di
mezzo mondo, che hanno visto in lui, giovane, bello e inquieto, la
gallina dalle uova d’oro.
Un uso sapiente delle
fonti visive e dei mezzi espressivi
Dal punto di vista
stilistico, il lavoro è un interessante mix di fonti e formati: le
riprese di oggi, i filmati in super 8 con la cinepresa della nonna
sul set di Morte a Venezia, i filmati ufficiali dal
set, le interviste a Visconti, la
premiere del film a Londra, a marzo 1971, in cui il regista
dichiara per la prima volta che Björn è “il ragazzo più bello
del mondo”, definizione che lo avrebbe accompagnato per
sempre. Due mesi dopo, Cannes. Accanto a questo, la dimensione più
intima: le poesie della madre e vecchi audio di Björn e
della sorella Annike bambini, con la madre. Quest’alternanza
vivacizza la narrazione, la rende varia e compone un mosaico che
restituisce un quadro per la prima volta completo dell’uomo. La
fotografia di Erik Vallsten contribuisce in modo
determinante a delineare l’atmosfera del racconto e attraverso il
contrasto tra luce e ombra si fa metafora dell’interiorità del
protagonista. Anche le musiche di Anna Von Hausswolff e
Filip Leyman accompagnano bene questo viaggio intimo. Il
film mostra lo stesso Björn, che è musicista oltre che
attore, suonare e cantare.
Un viaggio concreto e
intimo assieme al protagonista
Il ragazzo più
bello del mondo è un viaggio nel senso letterale del
termine, perché Björn torna nei luoghi della sua giovinezza, ma è
anche metaforico, interiore, estremamente sentito, dal valore forse
catartico. Andrésen torna ad incontrare chi fu con lui protagonista
di quel periodo, vecchi conoscenti e amici, ma finalmente ha spazio
per raccontare alla telecamera come si sentiva, cosa ha vissuto
realmente, al di là delle apparenze. Frasi come “Ero
dannatamente solo”, oppure, in riferimento al periodo che seguì
la presentazione del film a Cannes: “Lì tutta la baraonda ha
avuto il sopravvento. Il circo ha avuto inizio”. “Era come se
avessi uno stormo di pipistrelli attorno a me tutto il tempo. Un
incubo!” non possono non restare impresse e far
riflettere.
Traumi e lutti non
elaborati
Ciò che colpisce, poi, è
scoprire una famiglia i cui componenti tendono a nascondere sé
stessi agli altri, soprattutto il loro malessere. Dove i problemi
non vengono affrontati, ma taciuti e gli eventi traumatici restano
tali perché mai elaborati. Nella vita di Björn il primo grande
trauma è la scomparsa e la morte della madre, che lui definisce:
“una cercatrice, una bohemien con un’anima artistica”.
Fotografa, poetessa, pittrice, giornalista, con una galleria
d’arte, modella per Dior. Il suo allontanamento e la sua morte
restano misteriosi. E in famiglia, come lui steso afferma, non se
ne parlò mai. Stessa scelta era stata fatta riguardo al padre di
Björn, e ancora oggi lui non conosce la sua identità. Una famiglia,
insomma piena di segreti e di non detti, dove nascondere e
rimuovere sembra essere un’abitudine. Lo spettatore può solo
immaginare quanta sofferenza questo abbia provocato al giovane
protagonista. A ciò si aggiunge, in età adulta, il dolore per la
morte del secondo figlio, Elvin, che lo ha portato alla depressione
e all’alcolismo.
Il ragazzo più
bello del mondo, però, non punta al facile pietismo, ma è
avvincente e spontaneo, proprio come il suo protagonista, che oggi
di sé semplicemente dice: “Non mi sono mai considerato un
attore. È andata così e basta”.
Non una celebrazione
di Visconti
Quel che nel film non si
trova, e chi se lo aspetta resterà deluso, è una celebrazione di
Luchino
Visconti a 50 anni dall’uscita di Morte a
Venezia, che viene sì descritto come una figura
carismatica: “Forte, severo, austero, spietato”, ma è
lasciato sullo sfondo, per lasciare spazio alla figura di Andrésen.
I due registi svedesi propongono un viaggio nel dietro le quinte di
Morte a Venezia, nella vita del giovane protagonista,
restituendo a Björn uno spazio d’espressione libera e alla sua
storia un po’ di verità.