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Asteroid City, recensione del film di Wes Anderson – Cannes 76

Asteroid City, recensione del film di Wes Anderson – Cannes 76

Per qualcuno il suo ultimo The French Dispatch è stato il film più emozionante del Festival di Cannes del 2021, e il più deludente, e a distanza di due anni il nuovo film di Wes Anderson sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda. Di nuovo sulla Croisette per Asteroid City, di nuovo in concorso per la Palma d’Oro con un affresco dei suoi, costruito su diversi livelli e sceneggiato insieme a Roman Coppola, ma soprattutto nel quale – con Jason Schwartzman e Scarlett Johansson (la cui “breve nudità” ha causato problemi con la censura) – appaiono in ruoli diversissimi tra loro Tom Hanks, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Bryan Cranston, Adrien Brody, Margot Robbie e Steve Carell.

Benvenuti ad Asteroid City

Nulla è reale ad Asteroid City, come vediamo sin dalla prima scena, nella quale un autore (Edward Norton) sta scrivendo la storia di una occasionale e variegata comunità, raccolta nel deserto del SouthWest statunitense – forse tra Arizona e Nevada – per il raduno di “giovani astronomi e cadetti spaziali” che riunisce studenti dotati e i loro genitori in una località caratterizzata dalla caduta di un piccolo meteorite ormai circa 3.000 anni prima.

L’ambientazione e – soprattutto – gli eventi eccezionali che vi si svolgono e che vediamo mentre vengono letteralmente messi in scena sono quelli della fantascienza di una volta, ma le relazioni che si stabiliscono tra gli 87 abitanti e i suddetti visitatori sono quanto di più umano ci sia. E di coerente con i precedenti del regista, tra militari pomposi, scienziati alienati, attori famosi e meno famosi, cantanti country e famiglie disfunzionali di ogni tipo.

Wes Anderson sci-fi contro l’Intelligenza Artificiale

Non è detto che Wes Anderson apprezzerebbe di veder definito il suo film “delizioso”, come in molti hanno fatto. Soprattutto dopo tanti precedenti nei quali però il gusto estetico e il talento decorativo del regista texano erano sicuramente più funzionali alla storia narrata. Che qui, al contrario, e come nel precedente The French Dispatch, sembra più finalizzata a permettergli di sfogare il suo estro e regalare al suo pubblico più appassionato quei ‘dettagli’ che tanto ce lo hanno fatto amare.

Nei tableaux che compone ognuno può trovare quel che vuole, da Billy Wilder a Steven Spielberg, dalle tragedie esistenziali e familiari di frontiera ai B-movie di fantascienza anni 50, con i quali il film ha in comune un narratore (Bryan Cranston) da dramma radiofonico. Tra set televisivo e teatro, dal bianco e nero alla solita palette di colori caldi e pastello, il fine settimana intorno al cratere nel deserto si sviluppa gradualmente, come gli intrecci tra i suoi protagonisti.

Su tutti il vedovo fotografo di guerra Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), diviso tra figli, suocero (Tom Hanks) e la star Midge Campbell (Scarlett Johansson), fotografata in bagno in pose che vanno dalle Pin Up dell’epoca al Marat di Jacques-Louis David. Grandi nomi, che difficilmente potranno ambire a una nomination agli Oscar per la mancanza della possibilità di offrire una vera interpretazione, a differenza di quanto accaduto in passato per le candidature raccolte dai suoi film – non a caso per animazione, colonna sonora e sceneggiatura – o i premi andati ai costumi, la scenografia e il trucco ottenuti di Grand Budapest Hotel nel 2012.

Nella vita, “non puoi sapere cosa succederà”

Ma non importa. Come dice Bryan Cranston è come nella vita, “non puoi sapere cosa succederà, quanto durerà o chi incontrerai, devi solo andare avanti”. E, incurante di renderla comprensibile, Wes continua a raccontare la storia che ha dovuto girare approfittando persino della pandemia e della vera quarantena che stavamo vivendo nel mondo reale, prima che in quello rappresentato sullo schermo. Nel quale tutto viene sublimato, non è una novità, ma dove le cose spesso assumono contorni e significati diversi, o addirittura mai sottesi al significante.

Ma non importa nemmeno questo, dove sia il confine – o dove lo si superi – tra la creazione originale dell’artista o quella rielaborata dallo spettatore. Tanto più in una pièce così strutturata, che cambia continuamente di piano – dalla Asteroid City rappresentata al backstage dove i suoi interpreti tornano attori (che interpretano attori) – in un gioco di scatole cinesi. In ciascuna delle quali c’è un pezzetto del cuore del regista, una sua paura, un trauma irrisolto, o trasformato in topos.

Meno slegato e inutilmente denso dell’ultimo, con qualche – apprezzatissimo – inserto animato, ovviamente nella stop motion più artigianale possibile, qui l’unità di luogo aiuta sicuramente a non perdersi tra tante divagazioni e intermezzi. Forse non del tutto giustificate o necessarie, per una volta. Una volta di più, purtroppo, ché l’analisi del mondo del teatro e della televisione, dopo quello del giornalismo di The French Dispatch, offre sì uno smascheramento della realtà, ma fa sentire la mancanza di storie tanto articolate quanto riuscite, nelle quali l’accumulo di situazioni, battute, fotografie, personaggi, rendesse la sensazione di un film e non di una striscia domenicale.

Valerio Mastandrea e Alessandro Borghi, il cinema attraverso Claudio Caligari – SALTO 2023

Dal 18 al 22 maggio, al Lingotto Fiere di Torino, tanti sono stati gli ospiti che hanno attraversato lo specchio al Salone Internazionale del Libro 2023. Fra questi, Valerio MastandreaAlessandro Borghi, che nella Sala Azzurra al Padiglione 3, moderati da Francesca Serafini, hanno incontrato il pubblico per parlare di Claudio Caligari, in un bell’omaggio al maestro e al modo di fare cinema. Per l’occasione i due attori hanno ripercorso alcune tappe salienti della loro carriera, regalando aneddoti e momenti toccanti. Del regista, scomparso per una malattia nel 2015, Valerio Mastandrea ricorda subito L’odore della notte del 1998, film facente parte di una trilogia apertasi con Amore tossico e conclusasi con Non essere cattivo, ultimo lavoro di Caligari prima di morire.

Il primo a prendere la parola, con la sua ironia, è proprio Mastandrea che in L’odore della notte interpreta Remo, il protagonista: “Io ho fatto Remo solo alla fine”, inizia, “ero stato chiamato per interpretare uno dei compagni del protagonista, tutt’altro personaggio, e ho conosciuto Claudio in quella occasione. Non lo avevo mai visto per intero, quindi quando l’ho incontrato pensavo fosse uno di Ostia e invece mi sono ritrovato davanti un uomo di Arona. E ho detto: Oh cavolo! Era la seconda volta che mi capitava perché avevo visto un altro film, Un’altra vita, di un altro grande maestro, Carlo Mazzacurati, ambientato in una Roma che soltanto un romano poteva conoscere, e quando scoprii che era di Padova mi prese un colpo.

Eppure in queste occasioni capii una cosa importante: come il cinema poteva essere strumento per conoscere le cose, raccontarle anche non essendoci nato dentro.”, prosegue l’attore, “Questo è un grande insegnamento: bisogna immergersi tanto prima di poter raccontare qualsiasi cosa. Tornando al film di Caligari, a venti giorni dalle riprese venni richiamato ed esaminato, e alla fine lui mi voleva chiedere se volevo fare Remo, il protagonista. Ci volevo pensare perché la proposta mi aveva emozionato. Alla fine ho accettato e da lì in poi con Claudio è nato un sodalizio così, come nascono le amicizie tra coetanei, che non sai quando ti sei conosciuto, perché ti sembra che nella tua vita avete sempre camminato insieme. E secondo me quelli sono gli amici con cui riesci a camminare nel presente.”

Claudio Caligari, il suo cinema con Alessandro Borghi e Luca Marinelli

Mastandrea, che con Claudio Caligari ha instaurato un rapporto di amicizia, è stato poi produttore della sua ultima opera, Non essere cattivo, diventato un cult. Proprio come ricorda Serafini, Caligari apprezzava molto Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che nel film interpretano rispettivamente Vittorio e Cesare. Ed è proprio il primo a ricordare commosso il suo maestro, che come conferma lo stesso Borghi è stato fra quelli che più gli hanno insegnato la materia cinematografica. “Io sono stato molto travolto dall’aver conosciuto Claudio Caligari. Mi ha dato tanti insegnamenti senza rendersene neanche conto, e questa è una cosa molto bella. Era sempre uno scambio continuo di qualcosa che aveva a che fare con il racconto, con la grande passione di raccontare una storia.”

Valerio Mastandrea
Valerio Mastandrea – Crediti: Musacchio, Pasqualini, Fucilla/Musa

La prima cosa che ho imparato era la necessità di raccontare delle storie, a prescindere da tutto, al di fuori della dinamica del commercio, dei soldi, del tax credit. Io ho fatto dieci anni di televisione brutta e non mi rendeva felice. Facevo delle cose che quando le riguardavo mi vergognavo e non mi facevano stare bene. Poi ad un certo punto sono arrivati prima Stefano Sollima che mi ha fatto fare Suburra e subito dopo il film di Claudio Caligari, Non essere cattivo, una svolta. Ogni volta che ho un nuovo progetto, penso sempre a quello che mi ha insegnato, e lo applico. Io ho un prima e un dopo Claudio”, come “esiste un prima e un dopo Cristo”, gli fa eco il collega accanto.

Mastandrea ricorda anche le parole di Fabrizio Gifuni ai David di Donatello 2023, in memoria di Caligari e del suo saper “stare dentro le storie”: “Per lui doveva essere tutto credibile. Doveva filtrarlo prima lui, verificarne la credibilità.” Subito dopo, per rafforzare le parole del collega Borghi, è stato mostrato un video-saluto di Luca Marinelli, il quale ha omaggiato il regista con un aneddoto divertente ma profondo: “Un giorno, in una scena di Non essere cattivo, andai da Claudio preso da un dubbio sull’atteggiamento del mio personaggio (Cesare ndr). Arrivai da lui spiegandogli le sensazioni che secondo me il personaggio sentiva e tutti i ragionamenti che faceva nei confronti della madre. Ad un certo punto lo guardo, lui mi guarda e mi dice: se Cesare ragionasse così sarebbe un idiota.”

All’inizio pensavo si riferisse proprio a me, ma poi lui mi disse che non dovevo mai giudicare il personaggio che stavo interpretando, perché lui è un pianeta che fa parte di un sistema e sicuramente vuole entrare in comunicazione con un altro pianeta in orbita (che sono gli altri personaggi, in questo caso la madre di Cesare ndr). Questo mi aiutò molto e fu una grande lezione di cinema, molto diretta. E poi, se Valerio Mastandrea, Alessandro Borghi e io siamo diventati una grande famiglia è proprio grazie a Claudio.”

Alessandro Borghi
Alessandro Borghi- Crediti: Musacchio, Pasqualini, Fucilla/Musa

Da Non essere cattivo a Le otto montagne

Inevitabile, verso la fine, il pensiero a Le otto montagne, film di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che ai David di Donatello 2023 si è portato a casa quattro premi, fra cui quello a Miglior film, oltre a vincere l’anno prima il Premio della giuria al Festival di Cannes. In realtà, Le otto montagne è debitore a Non essere cattivo di Caligari per il rapporto d’amicizia che si è creato fra i due protagonisti. “Ho ragionato molto su questa cosa mentre stavamo facendo il film (Le otto montagne ndr).”, ha detto Borghi, “Lì (in Non essere cattivo ndr), Luca ed io ci siamo uniti, siamo diventati fratelli, e la cosa è rimasta immutata nel tempo. Però poi è successa una cosa molto bella: su quelle montagne è come se avessimo riscoperto la nostra capacità di essere amici. Fino a che punto riuscivamo ad esserlo stando da soli a fare una pausa pranzo in mezzo a un prato. Abbiamo messo a disposizione dei personaggi la nostra amicizia e sarebbe stato stupido non farlo. Abbiamo parlato molto del fatto che Pietro e Bruno sono come noi, lontani, se si considera che io vivo a Roma e lui a Berlino e che, come me e Luca, si vedono una volta l’anno e che hanno, sempre come noi, due visioni completamente diverse della vita.”

Queste differenze enormi ci hanno uniti, e io non riuscirei ad immaginare più la mia vita senza Luca, professionalmente e umanamente. L’altro giorno ho fatto incorniciare una foto emblematica, io, Luca Marinelli e Valerio Mastandrea seduti su un divano a Los Angeles, per promuovere Non essere cattivo di Claudio Caligari, e quando la guardo è incredibile come lì ci siano tre universi diversi, e come questi tre universi riescano ad essere uno soltanto, più grande, quando sono insieme. Ed è la bellezza dell’unione di questo lavoro ma anche dell’amicizia nella sua essenza. Di essere liberi di parlarsi apertamente e dirsi quando le cose vanno bene o male e nell’applicazione del lavoro, prendere tutti quegli elementi e poterli mischiare e mixare, per metterli a disposizione di un’altra storia, è un grande regalo.

May December, recensione del film di Todd Haynes – Cannes 76

May December, recensione del film di Todd Haynes – Cannes 76

Con una sferzata di comicità inquietante, interrogandosi sui ruoli e gli spazi che occupiamo nella vita, arriva in concorso al Festival di Cannes 2023 May December, il nuovo film di Todd Haynes (Io non sono qui, Carol), con protagoniste Natalie Portman, Julianne Moore e la star di Riverdale Charles Melton. Nel film, vent’anni dopo che la loro famigerata storia d’amore sui giornali scandalistici aveva attanagliato la nazione, la coppia con una grande differenza d’età formata da Joe e Gracie (Melton e Moore) inizia a vacillare quando un’attrice, Elizabeth (Portman), trascorre un periodo a casa loro per prepararsi al suo prossimo film, in cui interpreterà proprio Gracie.

May December: amore suburbano

In May December, Julianne Moore si riunisce con Haynes per interpretare Gracie Atherton-Yoo, un’ex insegnante svampita che è diventata famosa nel 1992 quando ha lasciato l’ex marito per uno dei suoi studenti tredicenni. Ora siamo nel 2015, la situazione si è in qualche modo normalizzata, e Gracie e Joe stanno insieme da abbastanza tempo che i loro figli più piccoli stanno per diplomarsi. Nella villa in riva al mare di Savannah, che Gracie e Joe hanno pagato con le loro apparizioni nel reality show “Inside Edition“, arrivano ancora occasionalmente pacchi pieni di escrementi, ma queste consegne – “regali” di estranei casuali che non riescono a digerire la storia d’amore della coppia – sono diventate meno comuni ora che la loro storia d’amore scandalosa si è stabilizzata nella realtà suburbana. O almeno così sembra.

Ma il passato non è ancora pronto a mollare la presa su questi folli ragazzi e Gracie non ha il buon senso di tenerlo a distanza di sicurezza. Nonostante il suo scetticismo nei confronti delle celebrità, Gracie decide di stendere il tappeto di benvenuto all’attrice televisiva Elizabeth Berry, interpretata da Natalie Portman. Elizabeth ha la stessa età di Gracie quando ha fatto sesso con Joe per la prima volta nel retro di un negozio di animali – un ricordo che è diventato di dominio pubblico – ed è destinata a interpretarla in un prossimo film indipendente sullo scandalo.

Natalie Portman e Julianne Moore in May December

Percezioni doppie e distorte

In May December, lo studio dei doppi significa mettere letteralmente in scena un film nel film per caratterizzare i suoi personaggi: solo analizzando a fondo le parvenze di chi ci sta accanto, i loro modi di fare, provando a ricalcarli e a capire che ruolo giocano nella nostra esistenza, riusciamo ad addentrarci nella psicologia di Joe, Gracie ed Elizabeth. Come per un’attrice che si è calata troppo nel personaggio, uscire dalla bolla domestica di Joe e Gracie non sarà facile, e neanche riuscire a stabilire effettivamente con certezza cosa ci stanno raccontando di vero e quanto alcune informazioni che stiamo collezionando siano falsate dalla percezione distorta che vogliono avere della realtà.

Tutto nella relazione e nella quotidianità di questa improbabile coppia è ribaltato: valori, ruoli, vita di coppia. Joe è un ragazzo cresciuto troppo in fretta, con non troppa differenza di età rispetto ai suoi figli, ma che deve prendersi cura della personalità fragile di Gracie e, dunque, adempiere a molti più compiti e ruoli: contemporaneamente è marito, padre e amico. Il personaggio della Moore, dall’altro lato, ha fermato l’attimo nel momento in cui ha conosciuto Joe: ha disintegrato il suo precedente matrimonio per un ragazzino che allora andava alle medie e, senza pensare a conseguenza alcuna, ha deciso di rifondare una propria idea di nucleo famigliare. Gracie pensa che riempiendosi la casa di gente, affetti, cimeli e futili ricette di torte e pasticceria varia che i suoi vicini le commissionano per pietà, possa colmare il vuoto che una relazione così sproporzionata sotto ogni punto di vista ha lasciato in lei. In realtà, mentalmente è regredita a uno stato pressochè adolescenziale e vede in Joe un principe salvatore, solerte nel proteggere contemporaneamente lei e tutta la famiglia allargata che si porta dietro.

Un case study tra realtà e finzione

L’Elizabeth di Natalie Portman è il jolly che corrisponde al punto di vista spettatoriale in May December e che tenta di discernere il vero dal falso, ciò che è successo e le percezioni amplificate dal presente e dalla manipolazione dei tabloid, tra Gracie e Joe. Pur avvicinandosi e toccando con mano la vita di Gracie, facendo alcune delle sue esperienze quotidiane, Elizabeth mantiene un’imperturbabilità di fondo. All’esterno, si ridicolizza al massimo tentando di carpire il segreto di un’esistenza grottesca e con lei Natalie Portman, che accetta di mettersi nei panni di un’attrice forse ancora più macchietta del personaggio reale che dovrà interpretare. Mentalmente, invece, non siamo mai sullo stesso livello di Elizabeth: è vero che fa esperienza assieme a noi pubblico, che ci conduce passo a passo nella vita di Gracie e Joe nella loro villa in Maine, ma diventa illeggibile tanto quanto i suoi “case study“.

Tra le tre performance, forse quella che emerge di più e che sorprende proprio perchè viene da un giovanissimo della recitazione, è quella di Melton. L’attore di Riverdale riesce a catturare in toto le sfaccettature del suo personaggio, conferendogli un’aria da belloccio dei tanto popolari young adult ma affibbiandogli anche un’aria costantemente desolata e malinconica, incerta nel suo trovarsi costantemente in bilico tra l’essere adulto e il tornare bambino. Il suo Joe è contemporaneamente appetibile e tenero, solare e angoscioso. Un personaggio vincente che si è auto-confinato in un terreno di isolamento totale, lontano dal tono camp della pellicola, dai colori vivi della sua fotografia e lussureggianti della natura che lo circonda. Forse è proprio attraverso il personaggio di Joe che Haynes riesce a sbugiardare i suoi personaggi, l’artificiosità dei loro comportamenti e del finto paradiso che si sono creati. Melodramma camp fino al midollo, l’ironia disturbante di Todd Haynes fa luce con May December sulle (s)proporzioni dei ruoli e dei valori famigliari di una realtà pervasa dalla finzione.

Francesca Scorsese terrorizzata all’idea di mostrare il suo film presentato a Cannes 2023 alla madre

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E’ facile immaginare che per Francesca Scorsese il mondo del Festival di Cannes non sia del tutto nuovo, ma è chiaro che partecipare al Festival con un cortometraggio in concorso è sicuramente un’esperienza differente. Scorsese, che al festival del 2023 presenta Fish Out of Water, ha parlato anche delle sue passate esperienze a Cannes: “Ricordo solo il tappeto quando ero più piccola e ricordo di aver guardato tutti perché avevo probabilmente 10 anni o addirittura di meno”.

Fish Out of Water segue la storia di una figlia che si riconnette con il padre separato e la madre sempre più malata, e Francesca Scorsese ha approfondito il concetto per la sua tesi di laurea alla New York University. Sebbene la relazione padre-figlia nel film non abbia, dice, alcuna relazione con la vita reale, c’erano aspetti in linea con le esperienze di sua madre.

“Penso che volevo principalmente raccontare una storia di legame familiare attraverso la malattia e momenti davvero difficili, così come la cura di un membro della famiglia, perché è qualcosa che ho fatto per la maggior parte della mia vita con mia madre che ha il Parkinson. Quindi, è stato un po’ il mio modo di affrontare quei ricordi.”

Suo padre, Martin Scorsese, ha sostenuto enormemente i suoi sogni di regista e questo film, ha detto. “L’ho mostrato a mio padre. Mio padre lo ha inviato ai suoi amici. Sono abbastanza sicuro che Ari Aster l’abbia visto. Ero tipo, ‘Oh mio dio.'”

Ma ha poi spiegato che a causa della rappresentazione della malattia del personaggio della madre, era estremamente nervosa all’idea di mostrare il film a sua madre. “È stato assolutamente terrificante mostrarlo a mia madre, più che a tutte le altre persone”, ha detto. “Lei diceva sempre, ‘Oh, voglio vederlo.’ E io dicevo, ‘OK, ma potresti non essere davvero felice.’ Ovviamente è un argomento molto delicato. Ma mostrandoglielo, mi sono seduta nella stanza e mio padre mi ha detto che dovevo restare nella stanza. Ero tipo, ‘Vado, andiamo’. E lui, ‘Siediti in quella stanza, resta nella stanza. Devi essere lì con lei, basta tenerle la mano.’ E e poi gli ho detto, ‘Hai ragione. Davvero.’”

Fonte: Deadline

Oppenheimer: ecco com’è stata creata una finta esplosione nucleare senza CGI

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Il supervisore degli effetti speciali di Oppenheimer, Scott R. Fisher, spiega come ha creato una finta esplosione nucleare senza l’uso di CGI. Diretto da Christopher Nolan, Oppenheimer racconta la vita e la carriera del fisico teorico J. Robert Oppenheimer, che fu una delle figure chiave responsabili della creazione della bomba atomica. L’epopea storica vede Cillian Murphy nel ruolo del protagonista dopo che per molti anni ha lavorato con Nolan sempre in ruoli secondari.

Fisher fa un tuffo profondo negli effetti speciali del film in una nuova intervista con Total Film (tramite Slash Film). Il supervisore degli effetti speciali entra nei dettagli su come è riuscito a creare un’esplosione di una bomba nucleare senza CGI, rivelando che si sono affidati ad alcune tecniche di ripresa “vecchia scuola” per farlo sembrare reale.

“È come una tecnica della vecchia scuola. Non le chiamiamo miniature; le chiamiamo big-ature. Le facciamo più grandi che possiamo, ma riduciamo la scala in modo che sia gestibile. Si avvicina la fotocamera e lo si fa nell’ambiente il più grande possibile.

Si tratta principalmente di benzina, propano, cose del genere. Ma poi introduciamo anche cose come polvere di alluminio e magnesio per migliorare davvero la luminosità e dargli un certo aspetto. Abbiamo fatto un po’ di esperimenti, perché volevamo davvero che tutti parlassero di quel lampo, quella luminosità. Quindi abbiamo cercato di replicarlo il più possibile”.

È stato rivelato per la prima volta l’anno scorso che l’esplosione nucleare di Oppenheimer è stata creata senza CGI, il che è emblematico dell’atteggiamento generale di Nolan verso gli effetti pratici. Sebbene i film di Nolan presentino certamente CGI, è quasi sempre per abbellire o migliorare le scene che sono state catturate dalla telecamera. È la dedizione del regista alle tecniche cinematografiche della vecchia scuola che fa davvero risaltare i suoi film nel panorama del cinema moderno, con il suo uso di effetti pratici che conferiscono all’azione una sensazione tattile e realistica che la CGI non può proprio replicare.

Il film, che la Universal distribuirà dal 21 luglio, è una delle uscite estive più ambiziose degli ultimi anni. Quella estiva è una stagione che di solito è riservata ai film di evasione e ai film sui supereroi, ma Oppenheimer è alle prese con alcuni temi pesanti, per non parlare del fatto che racconta di uno sviluppo scientifico che ha rimodellato il corso della storia. Oppenheimer ha guidato il Progetto Manhattan come capo del Los Alamos Laboratory, prima di diventare un critico delle armi di distruzione di massa. “La sua storia è sia un sogno che un incubo”, ha detto Nolan.

Il film è stato girato in 70 mm con telecamere Imax e il trailer che Nolan ha condiviso alternava scene in bianco e nero e scene a colori con un design di produzione impeccabile. Un Cillian Murphy dall’aspetto scarno e con in testa un fedora è un duplicato esatto di Oppenheimer, e ha l’aria di un distruttore di mondi.

Con a capo Murphy, che è un fedelissimo di Christopher Nolan, il cast del film si presenta davvero ricchissimo di star. Ci sono anche Matt Damon nei panni del generale Leslie Groves, Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss, un membro della Commissione per l’energia atomica, ed Emily Blunt nei panni della moglie di Oppenheimer, Katherine. Il cast include anche Rami Malek e Florence Pugh.

Oppenheimer uscirà al cinema in Italia il 23 agosto 2023. Distribuito da Universal Pictures.

Land Man: Ali Larter e altri due attori nel cast della serie di Taylor Sheridan

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Michelle Randolph e Jacob Lofland si sono uniti a Billy Bob Thornton nella prossima serie di Taylor Sheridan Land Man alla Paramount+. A darne la notizia è stato il noto sito americano Variety che ha appreso in esclusiva che anche Ali Larter reciterà nella serie. Secondo il logline ufficiale, la serie “è ambientata nelle proverbiali città del boom del Texas occidentale ed è una moderna storia di persone in cerca di fortuna nel mondo delle piattaforme petrolifere. La serie racconterà la storia sia ai piani alti che ai piani bassi che alimentano un boom così grande che sta rimodellando il nostro clima, la nostra economia e la nostra geopolitica”. La serie è basata sul podcast “Boomtown“.

Michelle Randolph interpreterà Ainsley Norris, descritta come “la selvaggia e volitiva figlia diciassettenne di Tommy Norris (Billy Bob Thornton)”. Lofland interpreterà Cooper Norris, “il figlio di Tommy, che è nuovo al lavoro impegnativo nei giacimenti di petrolio e gas del Texas occidentale”. Ali Larter interpreterà Angela, l’ex moglie di Tommy. La serie vedrà riunirsi Sheridan e Randolph, dopo aver recitato insieme nella serie prequel di Yellowstone1923. È anche nota per ruoli in film come “The Resort” e “5 Years Apart”.  Lofland è esploso con il suo ruolo di debutto nei panni di Neckbone nel film del 2012 Mud con Matthew McConaughey e Tye Sheridan. Da allora ha continuato a recitare nel franchise cinematografico “Maze Runner” e in spettacoli come “Justified”, “Texas Rising” e “The Son”. Apparirà anche nel sequel “Joker: Folie à Deux”. 

Land Man è co-creato e prodotto da Taylor Sheridan e Christian Wallace. Sheridan è produttore esecutivo sotto la sua società Bosque Ranch Productions, che è attualmente impegnata con un ricco accordo generale con Paramount Global. Billy Bob Thornton è anche produttore esecutivo oltre a recitare. David Glasser, David Hutkin, Ron Burkle e Bob Yari sono anche produttori esecutivi tramite 101 Studios. Geyer Kosinski è produttore esecutivo insieme a Dan Friedkin e Jason Hoch per Imperative Development LLC, e Scott Brown e Megan Creydt per Texas Monthly. Peter Feldman è il co-produttore esecutivo. MTV Entertainment Studios sta producendo la serie.

Thunderbolts: il film mostrerà “molto di più” di Val, promette l’attrice del MCU

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Dopo una manciata di apparizioni secondarie, Julia Louis-Dreyfus, che nel Marvel Cinematic Universe interpreta Valentina Allegra de Fontaine, promette che il suo ruolo in Thunderbolts avrà molto più spazio.

Introdotto nell’universo cinematografico Marvel in The Falcon and the Winter Soldier, l’attrice di Seinfeld e Veep interpreta una losca figura del governo che convince il John Walker di Wyatt Russell a diventare US Agent e assume Yelena Belova (Florence Pugh) per uccidere Clint Barton in Hawkeye. È stata vista l’ultima volta in Black Panther: Wakanda Forever, dove è stato rivelato che è l’ex moglie di Everett Ross (Martin Freeman) e che ha recentemente ottenuto la posizione di direttore della CIA.

Mentre parlava in esclusiva con Screen Rant per promuover eil suo nuovo film You Hurt My Feelings, a Julia Louis-Dreyfus è stato chiesto del suo imminente ritorno nel MCU con Thunderbolts. Pur mantenendo il segreto sui dettagli della sua parte nel film, Julia Louis-Dreyfus ha assicurato che il film collettivo avrebbe esplorato di più il personaggio di Val rispetto a quanto è stato fatto fino a questo momento. “Non posso dirti niente! [Ride] Sì, te lo posso dire, si vedrà molto di più di lei. Ecco il tuo scoop!”.

Il roster di Thunderbolts il cast è attualmente composto da Red Guardian (David Harbour), Ghost (Hannah John-Kamen), Yelena Belova (Florence Pugh), Bucky Barnes/The Winter Soldier (Sebastian Stan), John Walker/ Agente statunitense (Wyatt Russell) e Taskmaster (Olga Kurylenko). Secondo quanto abbiamo appreso la contessa Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus) metterà insieme la squadra e potrebbe anche essere parzialmente responsabile della creazione di Sentry.

Harrison Ford sostituirà il defunto William Hurt nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross, che potrebbe finire per trasformarsi in Red Hulk. Nel cast sono stati annunciati anche Ayo Edebiri, in un ruolo ancora non stato rivelato. Thunderbolts uscirà nelle sale il 26 luglio 2024. Jake Schreier (Robot and Frank, Dave) dirigerà Thunderbolts, che si baserà su una  sceneggiatore scritta dallo sceneggiatore di Black Widow Eric Pearson.

Beetlejuice 2: le foto dal set mostrano un cimitero spettrale

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Beetlejuice 2: le foto dal set mostrano un cimitero spettrale

Dopo le immagini della contemporanea Lydia Deetz (Wynona Rider), nuove foto dal dietro le quinte di Beetlejuice 2 anticipano un set particolarmente adeguato al tema del film: si tratta delle foto di un vecchio e spettrale cimitero.

Il sequel del classico Beetlejuice di Tim Burton del 1988 ha richiesto diversi decenni di conversazioni e accordi per potersi mettere in moto. Nel febbraio 2022 è stato riferito che il progetto era in fase di sviluppo e le riprese sono iniziate ufficialmente questo mese. Beetlejuice 2 dovrebbe uscire il 6 settembre 2024 nelle sale USA.

Nelle foto dietro le quinte pubblicate su Twitter da Mad Monster, le nuove immagini di Beetlejuice 2 mostrano una cripta inquietante e una chiesa solitaria.

https://twitter.com/MadMonsterMag/status/1661120529292754944?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1661120529292754944%7Ctwgr%5E7f1f682e674630e318f8d27fec8b429942ba4bc0%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fscreenrant.com%2Fbeetlejuice-2-set-photos-graveyard-church%2F

Beetlejuice 2, un sequel a lungo atteso

Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara riprenderanno i loro ruoli dal primo film, insieme a new entry di serie A nel cast del film che sarà diretto da Tim Burton. Jenna Ortega (Mercoledì) in particolare è stata scelta per interpretare la figlia di Lydia Deetz. Justin Theroux e William Dafoe sono stati scelti per il film, con quest’ultimo destinato a interpretare un agente delle forze dell’ordine nell’aldilà. Successivamente, è stato annunciato che Monica Bellucci si era unita al cast e interpreterà la moglie dello spiritello dispettoso protagonista. Anche il compositore Danny Elfman, sodale di Burton, è tornato nel team creativo. Beetlejuice 2 dovrebbe uscire il 6 settembre 2024 nelle sale USA.

Renfield: recensione del film con Nicolas Cage

Renfield: recensione del film con Nicolas Cage

Si muove a partire da una premessa interessante il film Renfield, diretto da Chris McKay (Lego Batman, The Tomorrow War), ovvero quella secondo la quale il rapporto esistente tra il Conte Dracula e il suo assistente R. M. Renfield non è altro che, usando l’odierno modo di dire, una relazione tossica. Che le dinamiche esistenti tra questi due personaggi siano tutt’altro che sane non è certo un’invenzione di Robert Kirkman, autore della storia, né dello sceneggiatore Ryan Ridley, bensì di colui che questi personaggi li ha inventati nel lontano 1897, ovvero Bram Stoker. Tale chiave di lettura viene però qui ulteriormente esaltata, specialmente grazie al fatto di avere, per una volta, Renfield come assoluto protagonista.

Interpretato da Nicholas Hoult, egli continua a servire il leggendario vampiro sin dagli eventi del Dracula del 1931, di cui Renfield è un “quasi-sequel“, secondo la definizione di McKay. Dopo aver attraverso gli oceani del tempo ed essere arrivati nel mondo contemporaneo, i due continuano indisturbati le loro attività, con Renfield che procura nuove vittime al suo padrone e questi che se ne ciba per diventare sempre più forte. La vita di Dracula sembra però non avere né uno scopo né una direzione precisa, ed ecco allora che il potente vampiro decide che è giunto il momento di conquistare il mondo. Renfield inizia però ad assaporare una vita diversa da quella, con la consapevolezza che intraprenderla significherebbe tradire il suo maestro.

Un film pulp per il più famoso dei vampiri

Sin dai primi materiali pubblicitari rilasciati, Renfield lasciava intendere di essere un progetto pensato con il piede schiacciato sul pedale della follia. Con questa premessa, non ci si poteva dunque aspettare qualcosa di particolarmente elaborato da un punto di vista del racconto e l’aspettativa puntualmente non viene smentita. L’intreccio è quantomai esile e quando le varie linee narrative iniziano a convergere verso il finale ecco che diventa anche noiosamente prevedibile. Il principale interesse di Kirkman, Ridley e McKay risulta piuttosto essere quello di confezionare una serie di scene, gag o anche solo battute che possano risultare memorabili nella loro follia, intrattenendo e possibilmente reggendo l’intero film.

Naturalmente affidare un intero lungometraggio a tali elementi raramente è una buona idea. Renfield riesce però ad offrire un numero tale di momenti pulp, tra combattimenti estremamente sanguinolenti e interazioni effettivamente divertenti tra i personaggi, da riuscire a risultare – complice la sua adeguata durata di 93 minuti – un prodotto godibile e divertente, che trova il suo giusto tono tra horror, commedia ed azione splatter. Il che probabilmente è ciò che conta di più. Innegabile però che anche il citato pedale della follia appare ben presto non essere premuto fino in fondo, lasciando dunque la sensazione che se proprio doveva essere questo l’elemento su cui fondare il film, tanto valeva crederci un po’ di più.

Renfield e la sua relazione tossica

La vera arma a doppio taglio, che probabilmente farà però storcere il naso solo ai più smaliziati, è proprio la sua chiave di lettura riguardante le relazioni tossiche. Questa risulta inizialmente interessante applicata ai due protagonisti, mostrando in particolare gli effetti che ha sulla psiche di Renfield (con tanto di sua partecipazione a gruppi di sostegno). È un elemento che rimane “sullo sfondo”, che giustamente si fa percepire più per immagini che non per parole pronunciate dai protagonisti. Nel momento in cui sul finale il concetto viene però ribadito in maniera ancora più esplicita, a mo’ di lezione di vita, ecco che diventa didascalico, svuotato di valore. Un di più che spezza non solo il momento in cui è aggiunto ma fa acquisire all’intero film un che di furbo poco gradevole.

Renfield-recensione

Nicolas Cage: un magnifico Dracula

Innegabile che ad aver reso degno di particolari attenzioni questo progetto, rimasto a lungo in stand by per via dei problemi del Dark Universe, ci sia la presenza del premio Oscar Nicolas Cage nei panni del conte Dracula. L’attore, che negli ultimi anni sta vivendo una seconda vita artistica grazie a film bizzarri come Mandy, Pig o Il talento di Mr. C, aggiunge così alla sua collezione di personaggi anche l’iconico vampiro, che interpreta come suo solito con un fare sopra le righe che però, dato il personaggio, risulta particolarmente appropriato. Ancor di più, l’interprete riesce a rendere il proprio Dracula simpatico (nella sua crudeltà) ed effettivamente minaccioso quando occorre.

Non sfigurano tuttavia neanche Nicholas Hoult nei panni del protagonista del titolo e, in particolare, Awkwafina – qui nel ruolo dell’intransigente poliziotta Rebecca Quincy – dotata di una verve comica e una presenza scenica che non si smentiscono mai. Sono decisamente loro, con la notorietà ed esperienza di cui godono, la principale attrattiva del film, che può comunque vantare anche delle affascinanti scenografie ed un buon trucco per quanto riguarda le trasformazioni fisiche di Dracula. I tre reggono sulle loro spalle il film, contribuendo indubbiamente alla sua generale riuscita nonostante le pecche più su evidenziate.

Rapito: recensione del film di Marco Bellocchio – Cannes 76

Rapito: recensione del film di Marco Bellocchio – Cannes 76

Dopo la Palma d’oro alla carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il Festival di Cannes per presentare la sua ultima opera. E Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta nella sezione più importante con il Rapito che 01 Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.

Rapito: la storia vera di tanti ebrei italiani

Il piccolo Enea Sala e Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si sono liberamente ispirati il regista e Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro.

Rapito film recensioneTutto inizia nel quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’ l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la conquista di Roma del 20 settembre 1870.

Il racconto unico e potente di Marco Bellocchio

La componente tecnica è importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo. Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi, narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente, grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto non secondario.

L’alternarsi delle ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara, una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere – aiutare lui.

Qualcosa che lo accomuna al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).

Nell’opera Rapito di Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte della famiglia.

La scoperta delle reali motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da missionario.

Marco Bellocchio su come il suo “Rapito” sia diverso dal film che aveva in mente Steven Spielberg

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Il noto regista italiano Marco Bellocchio torna al Festival di Cannes con “Rapito”, un dramma che ricostruisce la vera storia di Edgardo Mortara, un giovane ebreo rapito dalla Chiesa e cresciuto con la forza come cristiano nell’Italia del XIX secolo. Questa è una storia su cui Steven Spielberg aveva messo gli occhi da molto tempo, avendo annunciato nel 2016 che avrebbe realizzato un dramma su Mortara per il quale aveva già iniziato a cercare location nel nostro paese.

L’anno scorso, Marco Bellocchio era a Cannes con un altro dramma sui rapimenti, la miniserie TV Esterno Notte, sul rapimento e l’assassinio dell’ex premier italiano Aldo Moro da parte dei terroristi delle Brigate Rosse. La prima incursione televisiva del regista ha ottenuto un discreto successo e una versione cinematografica è andata bene nei cinema italiani – in due puntate – prima di andare in onda sulla RAI e vendere in tutto il mondo. In un’intervista esclusiva sul sito Variety il regista ha parlato del nuovo film di come ha fatto a portare questo atto di violenza e le sue complesse conseguenze sul grande schermo e perché il Vaticano dovrebbe chiedere perdono.

Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala e Marco Bellocchio
Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala e Marco Bellocchio al Festival di Cannes – Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Cosa l’ha spinta a voler ricostruire la storia di questo sequestro perpetrato in nome di Dio? Mi ha colpito questa storia dopo aver letto un libro su Edgardo Mortara scritto da un cattolico piuttosto conservatore. Il libro ripercorre il cammino della conversione al cattolicesimo di questo bambino che viene rapito dopo aver iniziato il suo cammino religioso da ebreo ortodosso. È una conversione, inizialmente forzata. Ma Edgardo non cambia idea dopo che Roma è stata liberata dal dominio papale, a quel punto è libero di fare ciò che vuole. Diventa invece sacerdote e poi missionario fino alla fine dei suoi giorni.

Era da tanto che desideravi fare questo film? SÌ. Ma subito dopo aver letto il libro ho scoperto che Steven Spielberg stava preparando questo film. Una casa di produzione era venuta in Italia per cercare location e fare dei provini, quindi ho smesso di pensarci. Poi, diversi anni dopo, mentre ero negli Stati Uniti a promuovere “Il traditore” [che è stato presentato al Festival di Cannes nel 2019] ho chiesto in giro e ho sentito che Spielberg non aveva portato avanti il ​​progetto. Quindi lo abbiamo verificato e siamo tornati a lavoraresul film. La storia è ricca di elementi che hanno stimolato la mia immaginazione. È come un grande romanzo del XIX secolo. Nel film i personaggi della madre e del padre sono molto importanti e altrettanto importante è la figura del Papa violento e intollerante ma allo stesso tempo coerente [con le credenze cattoliche di allora].

Pensi che Steven Spielberg avrebbe adottato un approccio diversoLavorando con [la sceneggiatrice/regista] Susanna Nicchiarelli [che ha diretto i film storici “Nico, 1988”, “Miss Marx” e “Chiara”] abbiamo utilizzato diversi libri come fonti, ma anche molti documenti. Siccome si tratta di un’Italia che non esiste più, abbiamo fatto un sacco di effetti digitali per ricostruire quel mondo. Ma volevamo anche dare al pubblico un senso reale di ciò che è accaduto. Molto lavoro è stato dedicato alla scenografia e ai costumi. Abbiamo cercato di ricostruire il mondo delle province italiane. Siamo stati molto attenti nell’assicurarci che i tipi di italiano volgare che i personaggi parlano fossero molto accurati. L’accuratezza dell’aspetto linguistico è stato fondamentale per me per renderlo reale. È probabile che il progetto di Spielberg sarebbe stato completamente diverso. Per noi, volevamo davvero difendere il fatto che questa famiglia ebrea vivesse sul suolo italiano.

Firebrand: recensione del film con Alicia Vikander – Cannes 76

Firebrand: recensione del film con Alicia Vikander – Cannes 76

In concorso al Festival di Cannes 2023 c’è anche un film a sfondo storico: si tratta di Firebrand, nuova prova registica di Karim Aïnouz (La vita invisibile di Euridice Gusmao). Basato sul romanzo Queen’s Gambit del 2013 di Elizabeth Fremantle, il film è incentrato sulla figura di Katherine Parr, la sesta e ultima moglie di Enrico VIII e interpretato da Alicia Vikander, Jude Law, Sam Riley, Eddie Marsan, Simon Russell Beale ed Erin Doherty.

Firebrand, la trama

Nell’Inghilterra dei Tudor intrisa di sangue, Katherine Parr, sesta e ultima moglie di Enrico VIII, viene nominata reggente mentre il tiranno Enrico sta combattendo oltreoceano. Katherine ha fatto tutto il possibile per promuovere un nuovo futuro basato sulle sue convinzioni protestanti radicali. Quando il re torna, sempre più malato e paranoico, si accanisce contro i radicali, accusando di tradimento l’amica d’infanzia di Katherine e mettendola al rogo. Inorridita e addolorata, ma costretta a negarlo, Katherine si ritrova a lottare per la propria sopravvivenza. La cospirazione si ripercuote nel palazzo. Tutti trattengono il fiato: che la regina faccia un passo falso, che Enrico la voglia decapitare come le le mogli precedenti. Con la speranza di un futuro libero dalla tirannia a rischio, Katherine si sottometterà all’inevitabile per il bene del re e del Paese?

Eresia a corte?

Nell’anno 1546, in cui Firebrand è ambientato, il re era ancora percepito come una figura divina. Enrico VIII aveva chiuso ogni rapporto con la Chiesa cattolica romana per il rifiuto di quest’ultima di concedere l’annullamento del suo primo matrimonio, e lui e i suoi consiglieri religiosi temevano che i riformatori protestanti potessero minare l’intero sistema.

La storia di Firebrand inizia mentre Enrico è all’estero e Katherine lo sostituisce come reggente. Sfidando l’autorità ecclesiastica, Katherine si allontana di nascosto per andare a trovare Anne Askew (Erin Doherty), una controversa predicatrice protestante e amica di lunga data. In seguito, assumendosi un grande rischio, Katherine insiste affinché Anne accetti una preziosa collana che Henry le aveva regalato, sostenendo di fatto la sua causa eretica.

Una scena di Firebrand (2023)

Ritratti femminili

Quella di Aïnouz è una Katherine Parr carismatica, dai numerosi interessi e con uno sguardo più vasto del mondo di corte. Alicia Vikander la interpreta anzitutto con compostezza, prima qualità che ci si sarebbe aspettati da una regina dell’epoca, ma riesce a offrirci un ritratto sfaccettato dell’ultima moglie di Enrico VIII. Katherine è consapevole del suo ruolo a corte e anche delle sue conoscenze: non è un caso che la giovanissima Elisabetta, figlia di Enrico e Anna Bolena e futura sovrana di Inghilterra, la ammiri, le faccia spesso domande e non la perda mai di vista.

Anche se Alicia Vikander interpreta il personaggio principale della pellicola, la voce femminile che risuona con più potenza è, forse, proprio quella indesiderata e tanto temuta: quella di Anne. Dalle prime sequenze in cui vediamo Anne e Katherine incontrarsi nei boschi dove la prima tiene delle sorti di comizi con gli altri eretici, ci viene illustrato il rapporto che intercorre dalle due: Katherine tenta di avvisarla, vuole che Anne scappi. Con Enrico VIII al governo, il suo destino è segnato.

Jude Law è Enrico VIII

Inizialmente, almeno per quanto riguarda la presenza su schermo, siamo di fronte a un film di donne: da Katherine ad Anne, passando per Elizabeth, abbiamo un ritratto di quello che l’Inghilterra era al momento, di quello che voleva abbattere e di ciò che il Paese sarebbe diventato. Come l’Enrico VIII di Jude Law irrompe sulla scena, capiamo che la minaccia in tutte le sue variazioni, domestica, politica e anche fisica – il sovrano ha la gotta ed è continuamente circondato da medici – sarà la parola d’ordine della narrazione di Firebrand.

Jude Law dà vita al ritratto forse più verosimile del sovrano inglese che sia mai stato rappresentato al cinema. Burbero, malato, violento, ma anche ironico, compositore – alcune delle canzoni che sentiremo nel film sono state veramente composte da Enrico VIII – il sovrano fiuta la minaccia e se la carica anche sul corpo, sempre meno curato, abnorme, facendone volutamente percepire la pesantezza a Katherine.

Con una messa in scena dettagliata e precisa, costumi curatissimi e performance convincenti, Firebrand riesce a distinguersi come dramma storico e prima prova del brasiliano Aïnouz in lingua inglese. Qualche revisione storica potrebbe forse non conquistare l’ammirazione di troppi spettatori, ma il calore con cui abbraccia e cuce addosso ad Alicia Vikander questo ruolo femminile è assolutamente degno di nota.

Disney+ ha rimandato la decisione di eliminare alcuni titoli

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Disney+ ha rimandato la decisione di eliminare alcuni titoli

Dopo la rivelazione di quali titoli avrebbero fatto parte dell’imminente rimozione di contenuti da Disney+ alla fine di questo mese, la Disney ha deciso di annullare la sua decisione di rimuovere i titoli precedentemente annunciati. A seguito del contraccolpo che ha travolto la società sulla decisione di attivare un programma di rimozione pianificata, Deadline riporta che la Disney ha affermato che il documentario Howard rimarrà sul servizio. Il documentario racconta la vita del famoso paroliere gay Disney Howard Ashman e il suo ruolo principale nella creazione di alcune delle canzoni più memorabili della compagnia degli anni ’90.

La tempistica della rimozione pianificata è stata accolta con un certo dissenso, poiché il remake live-action de La sirenetta di questo mese presenta molti dei testi di Ashman, mentre il mese del Pride LGBTQ+ inizierà il 1° giugno. L’elenco dei titoli in uscita da Hulu e Disney+ la prossima settimana è ancora in fase di definizione“, ha detto un rappresentante della Disney. Questa risposta suggerisce che altri contenuti potrebbero essere aggiunti o rimossi dall’elenco prima che le cose inizino a essere tolte dallo streamer il 26 maggio.

Durante la stessa discussione  in cui sono state inizialmente annunciate le rimozioni, la società ha annunciato che avrebbe  aggiunto i contenuti di Hulu a Disney+ entro la fine dell’anno per creare una “esperienza con un’unica app“. Questo vale solo per gli USA, perché in alcuni paese come ad esempio l’Italia in cui Hulu non è disponibile, la programmazione di Hulu è già disponibile su Disney+ sotto il marchio per adulti di Star.

Mortal Kombat 2: la produzione del sequel pronta a partire

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Mortal Kombat 2: la produzione del sequel pronta a partire

Mortal Kombat 2 seguirà l’esempio del suo predecessore e film di successo del 2021 e la produzione sarà ancora in Australia. Le riprese si svolgeranno nel Gold Coast, nel Queensland, da Adelaide nel South Australia. Il titolo New Line Cinema e Warner Bros. Pictures è basato sull’iconico videogioco di Ed Boon e John Tobias. Le riprese inizieranno ai Village Roadshow Studios a partire da giugno.

Mortal Kombat 2 è scritto da Jeremy Slater e sarà nuovamente diretto dall’australiano Simon McQuoid. Il film sarà prodotto da Atomic Monster di James Wan e Broken Road Productions di Todd Garner. La produzione è stata attirata dal governo del Queensland grazie alla strategia di attrazione della produzione di Screen Queensland. La produzione sarà inoltre elegibile per il regime di compensazione recentemente rivisto del governo federale australiano.

Con una spesa locale stimata di oltre $ 68 milioni, Mortal Kombat 2 è un grande successo per l’economia dello stato, creando almeno 560 posti di lavoro per il cast e la troupe del Queensland“, ha dichiarato Annastacia Palaszczuk, premier del Queensland.  “Sono così orgoglioso che Atomic Monster sia in grado di portare le riprese di ‘Mortal Kombat 2‘ in Australia“, ha dichiarato James Wan, produttore. “Girare il primo film in Australia è stata un’esperienza fantastica, sono entusiasta che con l’aiuto di Screen Australia e Screen Queensland, possiamo mostrare le maestose location del Queensland e lavorare con i talenti artistici di prim’ordine che vivono lì.”

Mortal Kombat 2 è prodotto da Wan e Michael Clear per Atomic Monster, Todd Garner, Simon McQuoid e E. Bennett Walsh. Il film, An Atomic Monster/A Broken Road Production, sarà distribuito dalla Warner Bros. Pictures.

The Mother guida la Top 10 di Netflix mentre “XO, Kitty” debutta con 72 milioni di ore

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The Mother continua a guidare tutti i titoli Netflix per la seconda settimana consecutiva con 92 milioni di ore visualizzate durante la finestra di visualizzazione dal 15 al 21 maggio. Pertanto, porta il film a raggiungere più di 90 milioni di visualizzazioni. Netflix calcola le visualizzazioni totali dividendo le ore totali guardate (178,1 milioni di ore) per la durata totale (1,96 ore).

Gli spin-off hanno regnato sovrani nella classifica della TV in lingua inglese. Al primo posto della lista c’è “Queen Charlotte: A Bridgerton Story“, che ha registrato ulteriori 82,39 milioni di ore di visualizzazione. Nella sua terza settimana nella classifica dei titoli popolari, anche il racconto dell’era georgiana di Shonda Rhimes è apparso nella Top 10 in 89 paesi. Anche le stagioni 1 e 2 di “Bridgerton” sono rientrate nelle classifiche di questa settimana al n. 6 e al n. 7, rispettivamente, quando gli spettatori hanno rivisitato o scoperto la serie originale. La prima stagione del dramma in costume ha registrato 19,46 milioni di ore visualizzate, mentre la seconda stagione ha registrato 18,17 milioni di ore visualizzate.

Appena sotto c’è la serie sequel di “To All the Boys“, “XO, Kitty“, che ha aperto a 72,08 milioni di ore visualizzate dopo il suo debutto il 18 maggio. Con Anna Cathcart (Kitty Song Covey) e Minyeong Choi (Dae), la commedia romantica di YA ha avuto oltre 14 visualizzazioni totali ed è apparsa nella Top 10 in 90 paesi. La sesta stagione di “Selling Sunset” ha scalato la classifica con una solida apertura dopo il suo debutto il 19 maggio. Con i nuovi membri del cast Bre Tiesi e Nicole Young, la serie ha guadagnato 22,78 milioni di ore visualizzate nei primi tre giorni di disponibilità e si sono piazzati al quarto posto nella lista.

Florence Pugh: “Tante persone dal cinema indipendenti” erano “davvero incazzate” per essermi unita ai film Marvel

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Florence Pugh ha rivelato alla rivista Time che molte persone nella comunità cinematografica indipendente erano “incazzate” con lei quando ha deciso di unirsi al Marvel Cinematic Universe. Florence Pugh si è fatta un nome con ruoli acclamati in film indipendenti come “Lady Macbeth” e “Midsommar” prima di ottenere una nomination all’Oscar per “Piccole donne” di Greta Gerwig. Si è unita al MCU come Yelena Belova in “Black Widow” e ha ripreso il ruolo nella serie Disney+Hawkeye“. Yelena tornerà nel prossimo film tentpole della MarvelThunderbolts“.

Così tante persone nel mondo del cinema indipendente erano davvero incazzate con me“, ha detto Pugh. “Erano tipo, ‘Fantastico, ora se n’è andata per sempre.’ E io sono tipo, no, sto lavorando sodo come lavoravo prima. Ho sempre fatto film back-to-back. È solo che le persone li stanno guardando ora. Devi solo essere un po ‘più organizzato con il tuo programma”. Mentre Florence Pugh ha raggiunto il mainstream con il suo ruolo Marvel, non ha voltato le spalle ai film indipendenti. Tra un film e l’altro della Marvel, ha girato il dramma sostenuto da Netflix di Sebastian Lelio “The Wonder” e si è guadagnata il plauso della critica per il suo ruolo. Di recente è stata la protagonista dell’ultimo lavoro di regia indipendente di Zach Braff, “A Good Person“.

A marzo, Florence Pugh ha dichiarato alla rivista Total Film che alcune persone del settore le avevano detto che “non sarebbe mai più tornata ai piccoli film” dopo aver fatto il salto nel Marvel Cinematic Universe. Mi ha sempre in qualche modo ferito“, ha detto. “Perché penso che ci sia bellezza in tutti i tipi di quei film. C’è bellezza nelle trame enormi ed epiche come “Dune“, come la Marvel, come anche “Oppenheimer” che ho fatto. Sono fantastici, mega film. E poi c’è anche la bellezza in tutti questi piccoli che non tutti vedranno, ma influenzeranno la persona giusta al momento giusto. Non ho mai, mai pensato che avrei fatto solo un tipo di film. Ho sempre saputo che voglio dilettarmi in tutte le aree”. 

Thunderbolts arriverà nelle sale nel luglio 2024. Prima di allora, Pugh reciterà in Oppenheimer di Christopher Nolan e farà il suo debutto in un altro grande franchise di studio: interpreterà la principessa Irulan in “Dune: Part Two” di Denis Villeneuve, ” entrando a far parte di un cast che include artisti del calibro di Timothée Chalamet, Zendaya e Austin Butler. Avevo bisogno di persone che avessero il carisma necessario“, ha detto Villeneuve alla rivista Time riguardo all’assemblaggio del cast per il sequel di “Dune“. “Penso che Florence, Zendaya, Timothée [Chalamet] e Austin [Butler] saranno il nuovo potere di Hollywood. Queste figure forti e carismatiche riporteranno le persone a teatro”.

Festival di Cannes, debutta l’Italia con Marco Bellocchio e il suo Rapito

Un anno dopo Esterno Notte, la sua serie sul rapimento e l’assassinio nel 1978 dell’ex capo del governo italiano Aldo Moro, il regista italiano Marco Bellocchio cattura un altro rapimento che ha fatto notizia nell’Italia dell’Ottocento. Rapito racconta la storia di Edgardo Mortara, un bambino nato in una famiglia ebrea, rapito dalla Chiesa per ordine del Papa per essere cristianizzato. Il film è concorso per la Palma d’Oro al Festival di Cannes.

Cosa sapevi della vicenda Mortara prima di iniziare a scrivere questo lungometraggio? Non lo sapevo. L’ho scoperto in un libro di Vittorio Messori, un autore molto cattolico e conservatore che ha sviluppato la vita di Edgardo Mortara e ha difeso le ragioni che hanno portato il Papa a separarlo dalla sua famiglia. Il suo libro svela le contraddizioni esistenziali di Mortara. Pare che oltre al suo rapimento – sul quale Messori passa sotto silenzio -, Mortara non abbia goduto di una vita molto serena. Ma ha rivendicato la sua libertà e la sua conversione spontanea per diventare cattolico. Inoltre, il film originariamente doveva intitolarsi The Conversion . La storia che Messori ne racconta tradisce una sofferenza permanente a causa delle contraddizioni che lo abitavano.

Come ti sei avvicinato alla sceneggiatura con Susanna Nicchiarelli? Oltre a quello di Messori, abbiamo essenzialmente basato il nostro lavoro sui libri: quello di Daniele Scalise, che evoca anche questo caso, o anche quello di David Kertzer, che Steven Spielberg ha voluto adattare prima di cambiare idea. Come per Esterno Notte, abbiamo cercato di basare il nostro racconto su fatti storicamente indiscutibili, per poi lasciare che la nostra immaginazione si inserisse negli spazi che la Storia ha lasciato vacanti. Ad esempio, avevamo pochissime informazioni sulle personalità dei personaggi. Abbiamo rispettato alcuni capisaldi storici per costruire la struttura del film: il rapimento nel 1858, il processo nel 1860 e la presa di Roma nel 1870.

Festival di Cannes: foto dal red carpet all star di Asteroid City

All star sulla croisette del Festival di Cannes per l’anteprima mondiale di Asteroid City, il nuovo film dell’acclamato regista Wes Anderson che porta sulla scala rosso un cast incredibile, in gran parte presente: Scarlett JohanssonTom HanksJeffrey Wright, Jason Schwartzman, Bryan CranstonAdrien Brody, Hope Davis, Rupert Friend, Maya HawkeSteve Carell e Matt Dillon.

Ci sono voluti solo due anni perché Wes Anderson tornasse alle competizioni per la Palma d’Oro dopo The French Dispatch, il suo mosaico di storie francesi nel XX secolo. Il regista dallo stile così particolare torna indietro nel tempo presentando in Asteroid City il ritratto di una città degli anni ’50 e dei suoi abitanti.

Nel mezzo del deserto, nel sud-ovest degli Stati Uniti, si trova Asteroid City. Questa minuscola città, caratterizzata dal suo cratere meteoritico e dal suo osservatorio astronomico, ospita questo fine settimana del 1955 il convegno Junior Stargazer. Militari, scienziati e genitori di tutto il paese si riuniscono per scoprire le spettacolari invenzioni di bambini dotati. Mentre Augie Steenbeck (Jason Schwartzman) incontra l’attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson), gli alieni vengono alla festa…

Inquadrature simmetriche, fotografia pastello e recitazione minimalista: il tocco del regista texano si avverte fin dalle prime inquadrature di Asteroid City. Dopo il mondo degli scout, degli hotel di lusso o del giornalismo, Wes Anderson affronta l’ovniologia attraverso questa storia di fantascienza pensata come una storia d’amore. Il film dall’estetica retrò è musicato dal pluripremiato compositore Alexandre Desplat, che ha collaborato con Anderson sin da Fantastic Mr. Fox (2009). Asteroid City uscirà al cinema il 23 giugno 2023.

Godzilla: il cast e le curiosità del film di Roland Emmerich

Godzilla: il cast e le curiosità del film di Roland Emmerich

Considerato uno dei mostri cinematografici per eccellenza, Godzilla ha fatto la sua prima comparsa al cinema nel 1954, e da quel momento una lunga serie di film a lui dedicati gli hanno permesso di acquisire fama mondiale. Inevitabile dunque che anche l’industria hollywoodiana si interessasse al personaggio, acquisendone i diritti per un film. Godzilla (qui la recensione), distribuito al cinema nel 1998, è così divenuto il primo film dedicato alla creatura realizzato interamente da uno studio cinematografico. A dirigerlo vi è il regista Roland Emmerich, celebre per i suoi film catastrofici come Independence Day e The Day After Tomorrow.

La produzione del film si rivelò però lunga e complessa. Le maggiori divergenze si ebbero sull’aspetto del celebre kaijū. Lo studio di produzione giapponese Toho, celebre per aver prodotto tutti i film di Godzilla fino a quel momento realizzati, suggerì infatti delle linee guida per il design della creatura. Emmerich, però, preferì non seguire tali direttive, giudicando stupida la figura originale del personaggio. Egli, quindi, diede ordine di stravolgere Godzilla, che finì per perdere molte delle proprie caratteristiche antropomorfe per assomigliare maggiormente ad un’iguana gigante. Per il regista l’importante era che Godzilla fosse in grado di correre, così da poter contribuire ad un ulteriore dinamismo nel film.

L’aver stravolto in modo tanto radicale il personaggio, però, si rivelò una mossa sbagliata. Nonostante l’ottimo guadagno di circa 380 milioni a livello globale, il film venne infatti pesantemente criticato dai fan del personaggio. Questi non ritrovarono nulla dell’originale Godzilla nella nuova creatura realizzata. La stessa Toho finì con il prendere le distanze da esso, rinominando la nuova versione con il solo nome di “zilla”, volendo distinguerlo dall’originale. Nonostante ciò, con gli anni il film è diventato un classico dei grandi blockbuster hollywoodiani degli anni Novanta, e molte delle sue scene sono oggi particolarmente celebri e apprezzate per la loro forza comunicativa.

Godzilla: la trama del film

Alla base della storia del film vi sono una serie di esperimenti nucleari condotti su disabitati atolli nell’oceano. Su di essi, in realtà, si trovavano gruppi di iguane. Colpite dalle radiazioni, queste hanno iniziato trasformarsi in una nuova specie di mostri giganteschi. L’unico sopravvissuto di questi si manifesta inizialmente affondando un peschereccio giapponese, e in seguito uscendo allo scoperto tra le strade di New York. Rinominato “Godzilla“, il mostro è estremamente minaccioso, violento e inarrestabile, tanto che le armi dell’esercito sembrano non potere nulla contro di lui. Per cercare di trovare una soluzione, entra nella squadra il biologo esperto di radiazioni Nick Tatopoulos.

Collaborando con l’esercito americano, egli inizia a studiare la creatura e le sue abitudini, ricercando un modo per fermarla. Godzilla però sembra inarrestabile e ogni piano proposto finisce con un nulla di fatto. Ci sono però verità di cui Tatopoulos non è al corrente. Nel momento l’esercito lo allontana con l’accusa di fuga di notizie, si ritroverà coinvolto nei servizi segreti francesi. Questi, capitanati da Philippe Roaché, dimostrano di saperne molto di più sulla creatura. Conducendo il biologo nella New York sotterranea, scopriranno infatti il tesoro che Godzilla custodisce gelosamente, e che potrebbe rivelarsi la loro arma migliore contro di lui.

Godzilla: il cast del film

A capitanare il variegato cast, comprendente anche diversi attori francesi, vi è Matthew Broderick. Il ruolo di Nick Tatopoulos è stato scritto proprio pensando all’attore, che negli anni precedenti aveva ottenuto notorietà per diverse commedie. I produttori, infatti, ritennero che la sua presenza avrebbe permesso di alleggerire il tono cupo del film. Affascinato dal progetto, Broderick accettò la parte senza neanche leggere la sceneggiatura, che in quel momento era ancora in fase di scrittura. Tuttavia, a progetto ultimato, l’attore affermò di non aver gradito l’esperienza sul set, e di non aver apprezzato il risultato finale del film. Ancora oggi Broderick lo considera una grande macchia nella sua carriera da interprete.

Allo stesso tempo, per il ruolo di Phillipe Roaché venne scelto l’attore francese Jean Reno. Egli si era reso celebre per film come Léon e Mission: Impossible, e sembrava essere il volto giusto per un film di questo genere. L’attore accettò di partecipare, essendosi dichiarato un fan di Godzilla, ma finì anche lui con il disprezzare il film per il suo risultato poco convincente. Nel cast vi è poi l’attrice Maria Pitillo nei panni della giornalista Audrey Timmonds, ex fidanzata di Tatopoulos. Originariamente il ruolo era stato pensato per l’attrice Sarah Jessica Parker, in seguito divenuta moglie di Broderick, ma questa rifiutò.

Per la carriera della Pitillo il film si rivelò un brutto colpo. L’attrice vinse infatti il Razzie Awards come peggior attrice non protagonista, e pochi anni dopo decise di ritirarsi dalla recitazione. Infine, nel cast si ritrova anche la presenza di Hank Azaria, nel ruolo del video-reporter Victor Palotti. Azaria è meglio noto come doppiatore, e in particolare nella serie animata I Simpson ha dato voce a numerosi dei personaggi principali, come il commissario Winchester, Apu e Boe Szyslak.

I sequel di Godzilla, il trailer e dove vedere il film completo in streaming

Quando la casa di produzione TriStar acquisì i diritti sul personaggio, l’intenzione era quella di realizzare un’intera trilogia dedicata a Godzilla. Ancor prima di iniziare le riprese del primo film, Emmerich aveva infatti già commissionato la scrittura del sequel. Stando a quanto riportato, questo avrebbe dovuto narrare dell’ultimo figlio di Godzilla, sopravvissuto alle esplosioni del precedente film, e ora intento a lottare contro un insetto gigante nella città di Sydney. A causa dello scarso entusiasmo nei confronti del film del 1998, però, lo studios decise di abbandonare definitivamente il progetto. Venne tuttavia realizzato Godzilla: The Series, serie animata che, riprendendo personaggi ed eventi del primo film, funge da suo sequel diretto.

Per gli amanti del film, o per chi volesse vederlo per la prima volta, è possibile fruirne grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Godzilla è infatti presente nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple Tv+, Amazon Prime Video e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale, avendo così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Con l’abbonamento generale, inoltre, non si avranno limiti temporali entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di martedì 23 marzo alle ore 21:15 sul canale Cielo.

Fonte: IMDb

Asteroid City: secondo trailer e poster del film di Wes Anderson

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Asteroid City: secondo trailer e poster del film di Wes Anderson

Ecco il secondo trailer di Asteroid City dall’imminente commedia drammatica romantica di Wes Anderson, la cui premiere è prevista per il 16 giugno in sale selezionate. Seguirà un’ampia distribuzione il 23 giugno. I primi due video danno entrambi un’anteprima del personaggio di Scarlett Johansson, una famosa attrice con una figlia. Un terzo presenta un piccolo sguardo ai personaggi di Tom Hanks, Liev Schreiber e Hope Davis, mentre discutono dei piani dell’esercito.

Asteroid City aveva originariamente ricevuto una valutazione R dalla Motion Pictures Association of America per “breve nudità”. Tuttavia, Anderson e Focus Features sono stati in grado di appellarsi con successo contro la decisione. La sua attuale valutazione ufficiale è PG-13 per “per brevi nudità esplicite, fumo e materiale suggestivo”.

Asteroid City si svolge in un’immaginaria città americana nel deserto nel 1955. Sinossi: L’itinerario di una convention di giovani astronomi e cadetti spaziali (organizzata per riunire studenti e genitori di tutto il paese per una competizione accademica e di affiatamento) viene spettacolarmente sconvolto da eventi che cambiano il mondo.

Asteroid City, il poster

Chi c’è nel cast di Asteroid City?

Asteroid City è scritto e diretto da Wes Anderson. Il cast dell’ensemble includerà collaboratori di lunga data di Wes Anderson, come Adrien Brody, Tilda Swinton, Bill Murray, Jason Schwartzman, Bryan Cranston, Jeffrey Wright, Liev Schreiber, Willem Dafoe, Tony Revolori, Jeff Goldblum e Jack Ryan.

Fast X, la spiegazione della scena post-credits

Fast X, la spiegazione della scena post-credits

Fast X – ATTENZIONE SPOILER SUL FILM

Come accade nella maggior parte dei blockbuster – per non dire in tutti – anche Fast X presenta una scena post-credits dopo i titoli di coda. Al cinema, perciò, è bene rimanere seduti sulla poltroncina fino a quando le luci in sala non si accendono, al fine di non perdersi una scena molto interessante, che segna un grande – e attesissimo ritorno – nella saga.

È un volto familiare, uno di quelli che il fanbase di Fast & Furious ha sperato di rivedere per anni, quello presente nelle immagini del post-credits e che segue lo spiazzante cliffhanger finale. Ma di cosa si tratta e, soprattutto, di chi stiamo parlando? Di seguito, lo svelamento del personaggio e la spiegazione del post-credits.

La scena post-credit

Per suscitare stupore ed entusiasmo, Fast X si affida a una sola scena dopo i titoli di coda, talmente potente da bastare per due. Iniziamo subito col dire che questa si allontana dal cliffhanger conclusivo, focalizzandosi invece su una missione che vede come protagonista il tanto amato Luke Hobbs impersonato dall’indimenticabile Dwayne Johnson. Il quale era stato visto per l’ultima volta nello spin-off Hobbs & Shaw.

Hobbs, insieme alla sua squadra, fa irruzione in un magazzino abbandonato, nel quale trova una serie di monitor che mostrano Dominic Toretto e tutta la Fast Family nel corso degli anni. Ad un certo punto, il telefono squilla, e dall’altra parte del telefono c’è Dante, che gli confessa di star cercando Toretto per quello che è successo al padre anni prima, ma che in realtà a premere il grilletto e ucciderlo è stato proprio lui, Hobbs, che è perciò presente nel piano di vendetta del villain.

Il ritorno di Hobbs prepara il terreno di Fast & Furious 11

L’aver fatto tornare un personaggio che può essere etichettato come storico, segna un cambiamento imminente per l’evoluzione della storia che si concluderà con l’undicesimo capitolo. È chiaro che, la presenza di Hobbs, rimescola le carte e definisce meglio la trama della seconda parte di Fast X, che a questo punto si rivelerà molto più esplosiva. Il suo ritorno potrebbe portare a un livello successivo l’energia del film, se questo avesse come nuovo punto di riferimento la vendetta di Dante contro Hobbs.

Nel decimo capitolo, il villain si è concentrato totalmente su Dom e la sua famiglia, e quindi l’incursione del personaggio di The Rock potrebbe portare un’aria più fresca e nuova, non facendo spegnere così l’adrenalina. Ma non solo: il fatto che Dante sia anche contro Hobbs, potrebbe segnare un’alleanza fra quest’ultimo e Dominic, avendo entrambi un nemico comune che vuole sconfiggerli. Una cosa che, tutto il pubblico, si aspettava da tempo.

Con il ritorno di Hobbs finisce la faida fra The Rock e Vin Diesel?

La presenza di Dwayne Johnson in Fast X e – sicuramente – in Fast & Furious 11, potrebbe essere il segnale concreto della fine della faida fra lui e Vin Diesel, di cui se ne è parlato per diversi anni. Fra i due “alfa” – così li definì Diesel in un’intervista a GQ – non scorreva buon sangue dietro le quinte, proprio per questa loro natura di leader. In realtà, Diesel e The Rock hanno sempre avuto due approcci diversi a lavoro, e anche questo ha influenzato – e alimentato – la loro disputa. Johnson, dopo averlo visto per l’ultima volta in The Fate and the Furious, aveva dichiarato che non sarebbe più tornato nel franchise ma, con la scena post-credits, le cose sembrano cambiate.

Questo induce a pensare che il rapporto con Diesel sia più disteso rispetto a prima, presumibilmente per permettere alla saga di avere il suo epico finale. Quello che infatti ci si aspetta dall’ultimo capitolo è l’unione fra Hobbs e Dominic, un lavorare insieme per poter eliminare Dante. Il materiale narrativo presente suggerisce che si potrebbe procedere in questa direzione, seppur ci siano alcuni dubbi sull’inserimento di scene in cui Vin Diesel e Dwayne Johnson sono insieme. Questo, però, sarebbe il miglior modo per dare a Fast & Furious un epilogo indimenticabile. Dom e Hobbs dovrebbero, per l’ultima volta, combattere fianco a fianco.

Guardiani della Galassia Vol. 3: 10 modi in cui il film avrà impatto sul futuro del MCU

Come gli altri film dei Guardiani della Galassia, anche Guardiani della Galassia Vol. 3 riesce a funzionare da solo senza trascurare il fatto che fa parte di un universo più ampio. Il terzo capitolo di questa saga capitanata da James Gunn si concentra sul passato, approfondendo la storia di Rocket Raccoon, ma getta anche le basi per il futuro della squadra nel MCU, cambiandone persino il tono.

Guardiani della Galassia Vol. 3 è l’ultimo lavoro di Gunn nel MCU prima di passare alla direzione di DCU. Il film ha funzionato come epilogo per la squadra originaria dei Guardiani ma ha fatto anche da trampolino per il futuro. Ciò significa che questo Vol. 3 è pieno di riferimenti a ciò che potrebbe accadere nel MCU.

Il ritorno di Howard il Papero

Howard il Papero

Howard il Papero ha debuttato per la prima volta nel MCU durante Guardiani della Galassia come parte del Museo del Collezionista, ma ha avuto altri camei nei film una volta che i Guardiani lo hanno salvato. In Guardiani della Galassia Vol. 3 non si fa eccezione. Il film lo vede in un piccolo cameo mentre gioca a poker con i Ravagers.

I fan erano preoccupati per la breve permanenza di Howard il Papero nel MCU. Il nuovo film di Gunn ha riportato questo personaggio per la gioia di tutti. Questo apre la porta ai Marvel Studios per dare a Howard una serie tutta sua o una futura presentazione speciale su Disney+.

MCU non più per bambini

Lylla la lontra

Da Guardiani della Galassia, Gunn ha dimostrato di essere in grado di mescolare un incredibile senso dell’umorismo e alcune delle emozioni più profonde di sempre. Guardiani della Galassia Vol. 3 è il suo film più crudo del MCU. Tra le morti strazianti di Lylla, Floor e Teefs e il volto dell’Alto Evoluzionario dopo l’attacco di Rocket, è difficile credere che questo film sia adatto ai bambini.

I fan sperano che la natura più matura del Vol. 3, unita all’imminente film di Deadpool nel MCU, sia il primo segno di un cambiamento di classificazione in questo universo. Finora, l’atmosfera orientata ai bambini è una delle maggiori critiche mosse al MCU.

Linguaggio (cit. Capitan America)

Nebula Guardiani della Galassia Vol 3

Quando i Guardiani arrivano per la prima volta sulla Contro-Terra, una famiglia di antropomorfi li aiuta e presta loro la macchina. In un momento umoristico prima dell’epico climax, Star-Lord cerca di spiegare a Nebula come aprire la portiera dell’auto, finendo per sentirsi frustrato e urlare: “Apri la porta del ca**o!“.

Questa battuta segna un primato del MCU: la prima parolaccia. Considerando che Deadpool 3 sarà sicuramente ricco di umorismo maturo, questo dialogo apre la porta a un cambiamento del rating del MCU, ma non solo per quanto riguarda la violenza sullo schermo.

Gamora

Guardiani della Galassia Vol. 3 ha finalmente risolto la storia di Gamora nel MCU. Dopo che la Gamora originale è morta a Vormir e la sua versione alternativa dal passato ha viaggiato nel presente, molti fan credevano che lei e Peter avrebbero trovato un modo per ravvivare la loro relazione. Non è stato così.

Il film ha stabilito che la Gamora del 2014 è diventata una Ravager. Anche se si affeziona a Peter e alla squadra, è ovvio che ha trovato la sua famiglia con la banda. È improbabile che sia di nuovo un Guardiano della Galassia del MCU.

Phyla-Vell

phyla-vell Guardiani della Galassia Vol 3

Quando hanno salvato tutti i ragazzi dalla nave dell’Alto Evoluzionario hanno chiesto l’aiuto di una delle ragazze per comunicare con l’intera comunità. Questa ragazza è riapparsa nelle scene post-credit come membro del nuovo roster dei Guardiani della Galassia. Rocket Raccoon ha sorpreso i fan Marvel più accaniti rivolgendosi a lei come Phyla, come Phyla-Vell, la creazione di Captain Marvel.

Il MCU ha introdotto molti giovani eroi potenti in progetti precedenti, come Kate Bishop in Hawkeye o America Chavez in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Ora Phyla si aggiunge alla schiera dei possibili membri di un futuro superteam di adolescenti del MCU.

La squadra si scioglie dopo Guardiani della Galassia Vol 3

Guardiani della Galassia Vol. 3
Photo courtesy of Marvel Studios. © 2023 MARVEL.

Guardiani della Galassia Vol 3 è il canto del cigno di Gunn nel MCU, è logico che segni la fine di un’era. Questo film segue l’ultima avventura del roster originale dei Guardiani. Per esempio, alla fine del film, Mantis parte per ritrovare se stessa e Nebula e Drax rimangono a Knowhere per crescere i bambini salvati.

Questi addii costituiscono alcuni dei finali più tristi del MCU. Tuttavia, aprono anche la porta a nuovi inizi. I fan amano Nebula, Drax e Mantis. Anche se Dave Bautista ha già detto addio al ruolo, questi tre personaggi potrebbero tornare in futuro per un altro progetto.

L’Alto Evoluzionario potrebbe ritornare

Guardiani della Galassia Vol. 3
Photo by Jessica Miglio. © 2023 MARVEL.

Alla fine del film, i Guardiani della Galassia riescono a sfuggire all’Alto Evoluzionario e a salvare tutte le sue vittime umane e animali. Tuttavia, il film è piuttosto ambiguo riguardo al destino finale del cattivo. Dal momento che i Guardiani lo hanno abbandonato, potrebbe essere ancora vivo.

Guardiani della Galassia Vol 3 ha consacrato l’Alto Evoluzionario come uno dei peggiori cattivi del MCU. I fan hanno immediatamente odiato il suo atteggiamento narcisistico e le sue tendenze alla crudeltà verso gli animali. È perfetto per una trama più lunga. Sarebbe deludente se i Marvel Studios non sfruttassero questo personaggio.

Adam Warlock

Adam Warlock Guardiani della Galassia

I Marvel Studios hanno fatto diverse anticipazioni su Adam Warlock prima del suo debutto il Guardiani della Galassia Vol 3. Questa creazione artificiale dell’Alto Evoluzionario funge da cattivo secondario e ingenuo che sta ancora trovando il suo posto nel mondo. Alla fine del film, Warlock è un membro ufficiale dei Guardiani della Galassia.

Data l’importanza di Warlock nell’Universo Marvel, sarebbe deludente sapere che il film di James Gunn sarà la sua unica apparizione nel MCU. Che si tratti di un membro dei Guardiani o di un’avventura in solitaria, Will Poulter dovrebbe riprendere presto questo ruolo.

Rocket è il nuovo leader

Guardiani della Galassia Vol. 3 rocket
Photo courtesy of Marvel Studios. © 2023 MARVEL.

Alla fine del Vol. 3, dopo la battaglia finale, Star-Lord annuncia che tornerà sulla Terra per trascorrere del tempo con suo nonno. Dopodiché, affida la guida del gruppo a Rocket Raccoon. Guardiani della Galassia Vol 3 si concentra molto sulla storia e sullo sviluppo del personaggio di Rocket, questo ha perfettamente senso.

Ora che Rocket guida la squadra, ogni futura apparizione di Guardiani della Galassia sarà diversa da quella che i fan già conoscono. Il cambiamento nel roster e nella leadership apre un regno di nuove possibilità per la squadra e offre ai Marvel Studios la possibilità di un rinfrescante cambiamento.

Il leggendario Star-Lord dopo Guardiani della Galassia Vol. 3

Il leggendario Star-Lord Guardiani della Galassia Vol 3

Dopo l’addio di Peter Quill ai Guardiani, la seconda scena post-credit lo vede fare colazione con il nonno in un momento esilarante e domestico. Tuttavia, questa potrebbe non essere la fine per Star-Lord nel MCU. Il film si conclude con un avvertimento: Il leggendario Star-Lord tornerà.

Finora i fan non hanno idea di cosa significhi. Il lato di Peter come eroe senza i Guardiani non è ancora stato esplorato, ma tutti sono entusiasti della possibilità che Chris Pratt riprenda il suo ruolo in una futura avventura tutta sua.

Adam Warlock: 10 teorie sul futuro del personaggio dopo Guardiani della Galassia Vol. 3

Diverse teorie offrono possibili strade che la Marvel potrebbe intraprendere con Adam Warlock dopo la sua introduzione in Guardiani della Galassia Vol. 3. Dopo essere stato inizialmente presentato in una delle scene post-credits di Guardiani della Galassia Vol. 2, il Gladiatore d’Oro ha fatto il suo atteso debutto nel MCU nel sequel del 2023 di James Gunn. Le notevoli abilità del personaggio sono state messe in mostra in modo significativo nei fumetti Marvel, ma Will Poulter ha fornito una versione molto diversa dell’eroe in Guardiani della Galassia Vol. 3.

Nonostante il debutto di Adam Warlock nel MCU fosse molto atteso, Guardiani della Galassia Vol. 3 ha dato al pubblico solo un assaggio di ciò che è in grado di fare. Il film si è concentrato principalmente sulla missione dei Guardiani per sconfiggere l’Alto Evoluzionario e salvare la vita di Rocket. Adam Warlock ha interpretato un antagonista minore come galoppino dell’Alto Evoluzionario. Prima dell’uscita di Guardiani della Galassia Vol. 3, il regista James Gunn ha confermato che Adam Warlock avrà molto spazio per crescere nel MCU e molte altre storie da raccontare. Ecco dieci teorie su quale potrebbe essere il futuro di Adam dopo il film.

Adam Warlock dopo Guardiani della Galassia Vol. 3

Sebbene sia stato introdotto come presenza antagonista in Guardiani della Galassia Vol. 3 – causando addirittura le gravi ferite di Rocket nei momenti iniziali del film – Adam Warlock si è unito ai ranghi della squadra dei Guardiani. Questo ha portato il personaggio interpretato da Will Poulter a diventare un membro ufficiale dei nuovi Guardiani della Galassia del MCU nella scena dei titoli di coda del film.

Dopo lo scioglimento della formazione ufficiale dei Guardiani, il nuovo gruppo si compone da Rocket, Groot, Kraglin, Cosmo e il nuovo arrivato nel MCU Phyla, interpretato da Kai Zen. Questo significa che, se i Guardiani della Galassia dovessero vedere ulteriori progetti nel MCU, Adam Warlock dovrebbe essere presente come membro cruciale della squadra, dando ai Marvel Studios ampie opportunità di sviluppare ulteriormente la sua storia.

The Magus nei fumetti

Uno degli sviluppi più interessanti della storia di Adam Warlock nei fumetti è stata l’introduzione del Magus, una versione futura e malvagia di Adam, resa folle dall’uso prolungato della Gemma dell’Anima. Il Magus ha conferito al personaggio di Adam un certo livello di complessità ed è diventato uno degli avversari più formidabili di Adam, grazie alla loro parità di forza.

Se la storyline del Magus di Adam Warlock verrà esplorata nei futuri progetti del MCU, il franchise potrebbe vedere il debutto di uno dei suoi cattivi più potenti e scatenati, creando forse alcuni dei momenti più drammatici e intensi nel futuro cosmico del MCU.

La Chiesa Universale della Verità

L’introduzione del Magus nel MCU potrebbe aprire la strada al debutto della Chiesa Universale della Verità, un impero cosmico religioso e corrotto i cui seguaci venerano il Magus. La Chiesa Universale della Verità predica la pace e l’armonia, ma se le civiltà si rifiutano di inchinarsi al suo dogma, la Chiesa le “purifica”, costringendole a sottomettersi o sradicando quelle che non lo fanno.

La Chiesa Universale della Verità potrebbe essere un brillante cattivo unico per un futuro capitolo di Guardiani della Galassia, in particolare ora che Adam Warlock fa parte della squadra, poiché rappresenta una minaccia simile a quella di Ego o dell’Alto Evoluzionario di Guardiani della Galassia Vol. 3.

Adam Warlock in Annihilation

Adam Warlock della Marvel Comics ha avuto un ruolo importante nel fumetto del 2007 di Annihilation: Conquest, seguito dell’epico evento crossover Annihilation dell’anno precedente. Il principale cattivo della storyline di Annihilation era Annihilus, di cui si vociferava l’ingresso nel MCU in un progetto futuro.

James Gunn ha persino rivelato su Twitter che Annihilus era stato preso in considerazione per il cattivo di Guardiani della Galassia Vol. 3. Anche se questo non è avvenuto, il fatto che Adam Warlock sia ora nel MCU significa che la trama di Annihilation può essere sviluppata, il che potrebbe espandere le trame cosmiche del MCU e permettere ai nuovi membri della squadra dei Guardiani di ottenere uno sviluppo necessario.

Silver Surfer e Adam Warlock

Si dice che Silver Surfer debutterà presto nel MCU, potenzialmente in una presentazione speciale o nel prossimo progetto della Fase 6 sui Fantastici Quattro. Ora che Adam Warlock è ufficialmente nel MCU, l’introduzione di Silver Surfer potrebbe essere un passo più vicina.

I due condividono un legame intrinseco nei fumetti Marvel, poiché non solo si sono scontrati più volte, ma hanno anche condiviso le loro anime. Adam Warlock e Silver Surfer sono forse due degli eroi cosmici più equilibrati dell’Universo Marvel, quindi la loro presenza sullo schermo nel MCU potrebbe portare a un team-up di proporzioni epiche.

Cosmic Avengers

I Cosmic Avengers sono una delle squadre vendicatrici meno conosciute della Marvel Comics, formata da Loki in Infinity Wars #4 del 2018 nel tentativo di impedire a Gamora di distruggere l’universo. Dopo aver reclutato la mutante Emma Frost, Ms. Marvel, Kang il Conquistatore, Ant-Man e Hulk, Loki si rivolse ad Adam Warlock affinché si unisse alla squadra.

Ogni membro poteva resistere brandendo una Pietra dell’Infinito, con Adam collegato alla Gemma dell’Anima. Mentre l’Adam dei fumetti ha rifiutato di unirsi alla squadra, il personaggio del MCU potrebbe andare nella direzione opposta. Se ciò dovesse accadere, Adam potrebbe avere una propria squadra di Vendicatori da guidare nel futuro del MCU.

Contro-Terra

Contro-Terra

Durante la storyline Infinity War del 1992 nei fumetti Marvel, Adam Warlock ha impugnato il Guanto dell’Infinito e ha espulso le forze del bene e del male dal suo corpo. Il lato malvagio formò il Magus, mentre il bene creò l’entità nota come Dea. In seguito, la Dea raccoglierà una serie di Cubi Cosmici e li userà per ricostruire la Contro-Terra.

Gli esperimenti dell’Alto Evoluzionario vengono uccisi in Guardiani della Galassia Vol 3 quando distrugge la sua versione della Contro-Terra, ma questo crea l’opportunità per qualcuno – potenzialmente una versione di Adam Warlock – di ricostruirla.

Adam Warlock era un agente del Tribunale Vivente

Tribunale Vivente

I Marvel Studios hanno annunciato l’introduzione del Tribunale Vivente durante la Fase 4 del MCU, in particolare in Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Thor: Love and Thunder, entrambi con statue incombenti dell’entità cosmica. In una realtà alternativa dell’Universo Marvel, Adam Warlock ha involontariamente distrutto l’universo e, nel trovare un accordo per ricostruirlo, è diventato il nuovo Tribunale Vivente, dato che l’originale era stato ucciso dai Beyonders.

La funzione del Tribunale Vivente era quella di salvaguardare il multiverso, quindi il debutto di questa entità nella Saga del Multiverso avrebbe perfettamente senso e potrebbe rappresentare un futuro interessante per l’Adam Warlock del MCU.

Eternals

Eternals post-credits

Harry Styles e Patton Oswalt hanno debuttato nei panni di Eros e Pip il Troll nella scena post-credits di Eternals, causando una certa confusione sul futuro degli Eternals nel MCU. L’introduzione di Adam Warlock in Guardiani della Galassia Vol. 3 potrebbe rappresentare l’occasione perfetta per sviluppare ulteriormente questa narrazione, dato che Adam e Pip hanno vissuto molte avventure insieme nelle pagine dei fumetti Marvel.

Pip ha debuttato in Strange Tales #179 del 1975 come spalla del più serio Adam Warlock, quindi è possibile che Adam e Pip facciano squadra nel MCU, permettendo ad Adam Warlock di essere il veicolo per espandere le trame cosmiche del MCU.

Adam Warlock combatterà con gli Avengers?

Adam Warlock Avengers

Anche se il futuro di Adam Warlock nel MCU dopo Guardiani della Galassia Vol. 3 non è stato confermato, è probabile che la sua prossima apparizione sia negli eventi crossover della Fase 6, Avengers: La dinastia Kang e Avengers: Secret Wars. Durante Avengers: Infinity War e Endgame, i Guardiani della Galassia si sono uniti agli Avengers per combattere Thanos.

È probabile che questo accada di nuovo, soprattutto ora che Rocket è a capo della squadra e ha già dei legami con gli Avengers sulla Terra. Questo sarebbe un ottimo modo per i Marvel Studios di consolidare Adam Warlock come una presenza fissa nel futuro del MCU.

Lily-Rose Depp e The Weeknd presentano The Idol al Festival di Cannes

Non è raro che il Festival di Cannes ospiti in anteprima una serie molto attesa dal pubblico. Un anno dopo Irma Vep di Olivier Assayas, quest’anno è la volta di The Idol dell’acclamatissimo Sam Levinson, presentato Fuori Concorso. The Idol si preannuncia come una serie decisamente pop e sulfurea, come Euphoria, anch’essa scritta da Sam Levinson, una delle serie più seguite degli ultimi anni.

Dopo che un esaurimento nervoso ha fatto deragliare il suo ultimo tour, Jocelyn (Lily-Rose Depp) è decisa a riconquistare lo status che le spetta, quello di più grande e sexy popstar d’America. A riaccendere le sue passioni è Tedros (Abel “The Weeknd” Tesfaye), impresario di nightclub dal passato sordido. Il suo risveglio romantico la porterà a nuove gloriose vette o la farà precipitare nelle profondità più oscure della sua anima?

Il cast include Abel “The Weeknd” Tesfaye, Lily-Rose Depp, Troye Sivan. E con Dan Levy, Da’Vine Joy Randolph, Eli Roth, Hari Nef, Jane Adams, Jennie Ruby Jane, Mike Dean, Moses Sumney, Rachel Sennott, Ramsey, Suzanna Son e Hank Azaria.

Sam Levinson, Abel “The Weeknd” Tesfaye, Reza Fahim sono i co-creatori della serie; produttori esecutivi Sam Levinson, Abel “The Weeknd” Tesfaye, Reza Fahim, Kevin Turen, Ashley Levinson, Joseph Epstein, Aaron L. Gilbert per BRON e Sara E. White; diretta da Sam Levinson; scritta da Sam Levinson, Abel “The Weeknd” Tesfaye, Reza Fahim. Prodotta in partnership con A24.

Charlize Theron fornisce un deludente aggiornamento sul suo ritorno nell’MCU

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Ci sono voluti solo due film della serie di Doctor Strange e finalmente Clea è entrata a far parte del Marvel Cinematic Universe. Introdotta nei momenti finali di Doctor Strange nel Multiverso della Follia, la versione dell’MCU dell’amato personaggio secondario del Maestro delle arti mistiche è stata interpretata da Charlize Theron, la quale però, a quanto pare, non sa cosa le riserverà il suo futuro nell’MCU. Durante un’intervista con Josh Horowitz di MTV, in occasione delle premiere a Roma di Fast X, l’attrice premio Oscar ha rivelato che la Marvel deve ancora chiamarla per apparire in un altro progetto.

Io non ho ancora ricevuto una chiamata… è un brutto segno? Lo è ?“, ha risposto la Theron quando Horowitz le ha chiesto aggiornamenti a riguardo. Sappiamo che attualmente c’è molta confusione e agitazione presso i Marvel Studios e che il futuro di molti personaggi e linee narrative è difficilmente prevedibile. Data però l’importanza che Clea, ora introdotta, sembra ricoprire ai fini della protezione del Multiverso, è lecito immaginare che prima o poi la si vedrà ricomparire sul grande schermo.

La Charlize Theron, entrata ufficialmente nell’MCU con questo cameo, non ha ancora avuto la possibilità di fare un tuffo più approfondito nella storia del personaggio. Idealmente potrebbe comparire in un ancora non annunciato Doctor Strange 3, ma sia lei che lo Stregone interpretato da Benedict Cumberbatch potrebbero prima apparire altrove, probabilmente in uno dei prossimi film di Avengers. Data la loro conoscenza del Multiverso, si riveleranno certamente personaggi fondamentali all’interno della saga. Di seguito, ecco il video dell’intervista all’attrice, dove scherza riguardo il suo futuro nell’MCU.

https://twitter.com/joshuahorowitz/status/1660662414898069504?s=20

Fonte: Twitter

Fallen Leaves, recensione del film di Aki Kaurismäki – Cannes 76

Fallen Leaves, recensione del film di Aki Kaurismäki – Cannes 76

Risale a più di un quarto di secolo fa la prima volta di Aki Kaurismäki al Festival di Cannes, dove il suo Kuolleet Lehdet (il Fallen Leaves che prossimamente vedremo anche in Italia, distribuito da Lucky Red in associazione con Bim) concorre per la Palma d’Oro della 76° edizione dopo quattro precedenti, tra il Nuvole in viaggio del 1996 e l’ultimo Miracolo a Le Havre del 2011. Un grande ritorno per un vecchio amico, non sempre interessato a sperimentare un cinema nuovo e diverso, quanto piuttosto a raccontare le storie che ama e nel modo che amiamo. Senza per questo rinunciare a restare legato all’attualità, che permea tutta la storia, a partire dalle condizioni di lavoro del mondo in cui viviamo fino all’attenzione riservata alla guerra tra Russia e Ucraina che ancora infuria.

Fallen Leaves: L’amore e le foglie morte

Ansa e Holappa (Alma Pöysti, Jussi Vatanen) vivono a Helsinki, da soli. Lei impiegata in un supermercato, dal quale viene licenziata per aver permesso a dei senza tetto di mangiare il cibo destinato alla discarica, lui in un cantiere, dove però viene scoperto a bere sul lavoro, una notte i due si incontrano, per caso.

La speranza di trovare il vero amore li avvicina, per poi svanire tra numeri di telefono persi e l’impossibilità di riuscire a rintracciare la misteriosa Ansa. Quando l’esito della reciproca ricerca sembra ormai scontato, i due si ritrovano, salvo separarsi di nuovo a causa dei problemi di alcolismo di Holappa. L’ennesimo – e forse definitivo – ostacolo che una vita sempre più difficile sembra opporre a chi cerca la felicità.

La classe operaia nel Paradiso di Kaurismäki

Dopo Ombre nel paradiso (1986), Ariel (1988) e La fiammiferaia (1990), un ulteriore capitolo prolunga la cosiddetta trilogia della classe operaia di Aki Kaurismäki, che – come detto – conferma qui l’attenzione per quanti vivono ai margini del mondo che ci piace vedere. Un umanista gentile, tanto misurato quanto austero, soprattutto nelle scelte formali. La geometria, l’uso degli spazi, di colori netti ma non accesi e del silenzio sono quelle che da sempre caratterizzano il suo cinema, come anche le speranze e la lotta quotidiana della classe operaia.

Alla quale appartengono i due protagonisti, senza nome per quasi tutto il film e ostinatamente all’inseguimento di una speranza. Di un amore. Che li risarcisca di tutte le delusioni e i dolori accumulati. Una critica del capitalismo e una ricerca che il regista finlandese orchestra con i suoi tempi, scelte musicali oculate, costruendole intorno un contesto solo all’apparenza povero nel quale sono pochi – ma fondamentali – gli elementi di spicco.

Quelli che segnano l’avventura romantica dei suoi protagonisti, anche quelli secondari, e di  Kaurismäki stesso, che qui e lì si diverte a fare il sentimentale. Con le citazioni della prima volta di Superman, sulla copertina di Action Comics, e quelle cinematografiche di Il continente scomparso, Breve incontro e Il disprezzo (nelle locandine sullo sfondo), del Jarmusch di I morti non muoiono (il film scelto per il primo appuntamento di Ansa e Holappa) e per i riferimenti diretti a Il diario di un curato di campagna di Robert Bresson e al Bande à part di Jean-Luc Godard che chiudono uno dei tanti dialoghi surreali e divertenti di cui è fatto Fallen Leaves.

Che ogni tanto ci riporta alla realtà, soprattutto con le notizie che sentiamo alla radio – in tutte le case, dove nessuno ha la televisione, ma si usa il telefono a disco – e che raccontano l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. Un indizio evidente che il mondo che stiamo vedendo non è così lontano da poter essere affrontato con nostalgia, che il dramma non svanisce con i sorrisi e la dolcezza di una tragicommedia che sembrava perduta, ma che nonostante tutto c’è sempre spazio per l’amore, la redenzione, la felicità.

Chris Hemsworth mette in dubbio il suo ritorno come Thor nel MCU

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Chris Hemsworth mette in dubbio il suo ritorno come Thor nel MCU

Nonostante al termine di Thor: Love and Thunder una scritta conferma che “Thor ritornerà“,  Chris Hemsworth sembra incerto riguardo il suo interpretare di nuovo Thor nel Marvel Cinematic Universe, in un possibile Thor 5 o altrove. Nell’attuale MCU, ora impegnato con la Multiverse Saga e nella formazione della prossima generazione di Vendicatori, non vi sono infatti piani ufficiali per il ritorno di Thor, annunciato sì ma senza ulteriori specificazioni. Proprio questa mancanza di notizie starebbe ora facendo dubitare lo stesso Hemsworth, che nel mentre ha girato Tyler Rake 2, sequel del fortunato Tyler Rake disponibile su Netflix.

Proprio parlando con Total Film Magazine dell’esperienza vissuta sul set di questo sequel, Chris Hemsworth ha detto di aver affrontato alcune degli stunt più impegnativi della sua carriera, esprimendo poi appunto il desiderio di poter fare qualcosa del genere anche per un film Marvel, se mai ci sarà l’occasione. “È stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Non sto esagerando. Alla fine di una ripresa, risucchi aria come non hai mai fatto prima e tutti cadono in ginocchio per la stanchezza. Ma è molto più gratificante. Mi piacerebbe prendere questo stile e integrarlo in un film Marvel, se mai dovessi farne un altro”.

Sebbene Chris Hemsworth non stia dando certezze riguardo il suo aver finito di interpretare Thor, egli non conferma nemmeno un ritorno, lasciandolo solo come una potenziale possibilità. Ciò solleva alcune domande su quando potrebbe effettivamente tornare Thor. Love and Thunder ha lasciato la porta aperta al ritorno del supereroe. La scena post-crediti del film ha persino gettato l’idea per un Thor 5 con una sfida tra il dio nordico e il semidio greco Hercules, interpretato da Brett Goldstein. I commenti di Hemsworth potrebbero indicare solamente che al momento non c’è alcun accordo tra l’attore e i Marvel Studios, ma è lecito aspettarsi la presenza di Thor in Avengers: The Kang Dynasty o Avengers: Secret Wars.

Four Daughters, recensione del film di Kaouther Ben Hania – Cannes 76

Una delle proposte più interessanti del concorso del Festival di Cannes 2023 arriva direttamente dalla Tunisia e corrisponde al titolo di Four Daughters (Les Filles d’Olfa), della regista Kaouther Ben Hania. Istinto protettivo e ribellione sono le forze oppositive che attraversano la quotidianità di tante famiglie arabe con figli. Un’educazione all’insegna del rigore e che vieta la discussione di argomenti tabù è ciò che ha segnato la crescita di chi è genitore ancora oggi e che ha impartito alla prole. Un retaggio che connota profondamente un sistema sociale, politico ed educativo e che, se perpetuato, può portare a conseguenze irreversibili, come nel caso della famiglia di Olfa.

Four Daughters, un esperimento inedito di racconto

La vita di Olfa, donna tunisina e madre di 4 figlie, oscilla tra luci e ombre. Un giorno, le due figlie maggiori scompaiono. Per colmare la loro assenza, la regista Kaouther Ben Hania arruola due attrici professioniste e mette in piedi uno straordinario spettacolo cinematografico per svelare la storia di Olfa e delle sue figlie. Un viaggio intimo pieno di speranza, ribellione, violenza, trasmissione intergenerazionale e sorellanza, che metterà in discussione le fondamenta stesse delle nostre società.

Four Daughters riflette sul concetto di mancanza giocando con la presenza. Siamo di fronte a un esperimento di dialogo interattivo, in cui la direzione artistica si fonde con il ricordo e il regista non è più solo chi si pone fuori dal quadro ma anche, e soprattutto, chi dentro a quel quadro vi ha vissuto. La regista Ben Hania trasfigura l’assenza nei corpi di attrici che sono, anzittutto, donne arabe. La recitazione e, dunque, la comprensione vanno di pari passo nella riconsiderazione di un quadro familiare, di una storia di vita che è anche la storia di innumerevoli famiglie arabe, almeno nelle sue radici.

Four Daughters diventa così anche un dialogo sul linguaggio cinematografico, sul modo in cui le immagini possono raccontare qualcosa di vero servendosi degli espedienti della finzione. Le ragazze diventano attrici, le attrici sono figlie. Olfa è un doppio: è la madre che è stata nel passato, ha un’attrice che la aiuta nel presente e interviene nelle scene emotivamente più impegnative, ma è anche un’Olfa che deve comprendere una nuova forma di racconto per la sua storia, istruire le maschere che interpreteranno i ruoli. Al contempo, la stessa attrice a cui è stato affidato il ruolo di Olfa interviene, fa considerazioni sul suo modo di educare le figlie, dà voce anche ai pensieri dello spettatore.

Essere figlie della Tunisia

Le figlie di Olfa sono figlie della Tunisia, figlie di un paese che ha avuto una rivoluzione, ma che queste non hanno vissuto in quanto troppo piccole. La loro rivoluzione arriverà col tempo, seguendo il regolare corso dell’adolescenza e al contempo distruggendola, pur di andare contro all’essere una figlia di Olfa. Eya, Tayssir le “finte” Rahma e Ghofrane, forse, compiono la loro rivoluzione prestandosi al progetto di Ben Hania, avvicinandosi all’idea di due sorelle che se ne sono andate tramite i loro doppi. A volte è doloroso, altre si tramuta in un gioco, in più di un istante ci perdiamo anche noi nella finzione. Sono quattro sorelle solo nella messa in scena, eppure Rahma e Ghofrane per noi rimangono loro – nonostante l’inserimento di alcune foto e materiale video delle stesse.

Four Daughters riesce ad arrivare al cuore di un problema formativo e mettere in bocca questa verità alle persone effettivamente coinvolte. Una consapevolezza che diventa parola e che, unendo i margini della realtà con quelli del racconto filmico, non ha paura di scavare nella crepe e nelle zone più buie di un nucleo familiare distrutto per riportare una dura verità sul come si viene educati in questi paesi, sul tipo di confronto che c’è tra genitori e figli, su come ogni piccolo atto di ribellione possa definire un percorso di vita e allontanarlo non solo dagli affetti ma anche dalla ragione.

Il film di Ben Hania è anche un racconto sul concetto di femminilità, su come questa possa essere nascosta o esaltata nei paesi arabi, su quanto l’aspetto estetico sia uno dei primi tramiti per dare voce a una ribellione. Truccarsi, diventare goth, scegliere di indossare l’hijab: qualsiasi cosa pur di non appartenere, di svincolarsi da un territorio già battuto. Da questo punto di vista, è ancora più interessante il fatto che Four Daughters renda le vere Olfa, Eya e Tayssir delle attrici e che giochi consapevolmente, sfruttando soprattutto la fotografia, con la loro bellezza, i tratti fisionomici, messi ancora più in risalto dall’abbigliamento total black che indossano per gran parte del girato, per confondere ancora di più i confini tra realtà e finzione, persona e personaggio. Il nero del niqāb viene tagliato e ricucito per adattarsi ai corpi di giovani donne che, raccontando una storia dolorosa, stanno anche crescendo. Sono divise tra passato e presente, tra sorelle perdute e ritrovate sulla scena, tra la Tunisia che hanno conosciuto e quella che verrà. Ma di una cosa sono certe: sono figlie di Olfa.

Spider-Man: Across the Spider-Verse: Miles e Gwen discutono della loro relazione in una nuova clip

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Per celebrare l’arrivo dell’attesissimo sequel, Spider-Man: Across the Spider-Verse, in sala dal 1 giugno, ecco una nuovissima clip con Miles Morales e Gwen Stacy intenti a discutere del destino della loro relazione. La clip presenta i due personaggi mentre siedono a testa in giù sullo sfondo dello skyline di New York City, dove discutono delle loro potenziali difficoltà relazionali, con Gwen che solleva un po’ di dubbi. “In ogni altro universo, Gwen Stacy si innamora di Spider-Man, e in ogni altro universo, non finisce bene“, dice lei a Miles.

Per tutti i fan di Spider-Man, i commenti di Gwen sono ragionevolmente accurati, con le precedenti interpretazioni del personaggio che in genere portano verso risvolti piuttosto negativi. L’esempio più notevole è il destino del personaggio alla fine di The Amazing Spider-Man 2, dove è interpretato da Emma Stone. Tuttavia, Miles contrasta la sua affermazione con una visione più ottimistica, affermando: “Beh, c’è una prima volta per tutto, giusto?“. Di seguito, ecco la clip in questione:

Resta da vedere se la loro relazione avrà qui un lieto fine o cadrà nello stesso destino di altre interpretazioni dei personaggi, ma è certo che Spider-Man: Across the Spider-Verse continuerà ad espandere la loro dinamica e aggiungere anche qualche conflitto in più con l’introduzione di Spider-Punk, doppiato da Daniel Kaluuya. Dato che il personaggio è un musicista, lo Spider-Punk stringerà un’amicizia con Gwen, il che creerà un po’ di gelosia da parte di Miles Morales e potrebbe servire come interessante punto di conflitto tra il personaggio e i tanti Spider-Men che saranno introdotto nel film.

Tutto quello che c’è da sapere su Spider-Man: Across the Spider-Verse

“Miles Morales ritorna per il nuovo capitolo della saga di Spider-Verse, Spider-Man: Across the Spider-Verse, si legge nella sinossi. “Dopo essersi riunito con Gwen Stacy, l’amichevole Spider-Man di quartiere di Brooklyn viene catapultato attraverso il Multiverso, dove incontra una squadra di Spider-People incaricata di proteggere la sua stessa esistenza. Ma quando gli eroi si scontrano su come gestire una nuova minaccia, Miles si ritrova a confrontarsi con gli altri Spider e deve ridefinire cosa significa essere un eroe in modo da poter salvare le persone che ama di più”.

Il film è diretto da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson. Nel cast Shameik Moore nei panni di Miles Morales, Hailee Steinfeld nei panni di Gwen Stacy. Spider-Man: Across the Spider-Verse introdurrà poi non solo l’anticipato villain La Macchia, doppiato da Jason Schwartzman, ma anche oltre 200 varie iterazioni dell’eroe titolare. Chris Miller, uno dei produttori del film ha dichiarato nell’aprile 2022 che “in mezzo a questo multiverso ci sono 240 personaggi unici … ma sono per lo più personaggi minori o secondari“. Vedremo allora Jake Johnson nei panni di Peter B. Parker, Issa Rae nei panni di Spider-Woman, Daniel Kaluuya Spider-Punk, Karan Soni nei panni di Spider-Man India, Oscar Isaac nei panni di Spider-Man 2099, Brian Tyree Henry nei panni di Jefferson Davis, Luna Lauren Velez nei panni di Rio Morales, Greta Lee nei panni di Lyla. Nel cast vocale originale anche Andy Samberg , Rachel Dratch, Jorma Taccone, Shea Whigham e altri.

Spider-Man: Across the Spider-Verse è prodotto da Phil Lord, Chris Miller, Amy Pascal, Avi Arad e Christina Steinberg con Alonzo Ruvalcaba. Aditya Sood e il regista del primo film, Peter Ramsey, sono i produttori esecutivi.

La Marvel “ha cambiato tutti i suoi piani” per via della performance di Jonathan Majors in Loki

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Mentre si attendono novità riguardo Jonathan Majors e il suo futuro nell’MCU, un insider ha fornito quello che, se confermato, sarebbe una sorprendente cambiamento nella politica dei Marvel Studios. Questi, infatti, avrebbe completamente cambiato i propri progetti a lungo termine per la Multiverse Saga dopo aver visto la performance di Majors nei panni di Colui che rimane nel finale della prima stagione di LOKI. L’attore, che ha poi interpretato Kang il Conquistatore in Ant-Man and the Wasp: Quantumania, avrebbe dunque convinto tutti a fare di lui il nuovo elemento centrale dell’MCU.

Parlando al podcast The Big Picture, la scrittrice e autrice del libro in uscita MCU: The Reign of Marvel Studios Joanna Robinson ha affermato che durante il suo lavoro le è stato detto che non era mai stata intenzione dei Marvel Studios fare di Kang il centro dell’MCU, ma quella performance di Majors ha fatto cambiare idea a tutti. “Mi è stato detto da qualcuno che lavora per la Marvel che non era nei piani fare di Kang il centro di tutto fino a quando non hanno visto la sua performance in LOKI e Quantumania, la quale era così forte che hanno detto, “Eccola qui. Questa è la strada da percorrere. Abbiamo perso la nostra squadra di eroi, ma mettiamoci attorno a questo ragazzo e a questo personaggio a cui così tante persone stanno reagendo”

“È una cosa senza precedenti per la Marvel, non hanno mai affidato così tanto di un franchise a un attore, come hanno cercato di farlo con Jonathan Majors. Di solito non si attaccano così tanto a una persona come hanno fatto in questo caso. E questo li ha messi in difficoltà. Non sappiamo cosa faranno. Ho sentito storie contrastanti sul fatto se lo sostituiranno o meno”, ha concluso poi la Robinson. Come confermato dalle sue parole, dunque, Kang è davvero il centro di questa nuova fase dell’MCU e i suoi problemi legali rappresentano ora un grosso problema per i Marvel Studios. C’è di certo che rivedremo Major in Loki 2 e forse questa seconda stagione fornirà maggiori indizi sul suo futuro, in attesa di un verdetto al suo processo.

Fonte: Collider

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