Paramount+ ha rivelato il trailer ufficiale del
prossimo film originale Teen
Wolf: Il Film durante il panel congiunto Teen
Wolf: Il Film e WOLF PACK al Comic Con Experience
(CCXP) di San Paolo, in Brasile. L’incontro su Teen Wolf:
Il Film ha visto la partecipazione dei membri del cast del
film, Shelley Hennig e Colton Haynes, moderati dal
socio fondatore di Omelette Group Marcelo Forlani.
Teen
Wolf: Il Film, scritto e prodotto da Jeff
Davis, sarà disponibile in esclusiva su
Paramount+ ad inizio 2023 negli Stati Uniti, in
Canada, nel Regno Unito, in Australia, in America Latina e in
Brasile. Anche in Italia arriverà nei primi mesi del 2023. Le date
delle première per gli altri mercati internazionali di Paramount+
saranno annunciate in seguito.
In Teen
Wolf: Il Film, prodotto da MTV Entertainment Studios e
MGM, la luna piena sorge a Beacon Hills e con essa emerge un male
terrificante. I lupi ululano ancora una volta, invocando il ritorno
di banshee, mannari, segugi infernali, kitsune e ogni altro
mutaforma della notte. Ma solo un licantropo come Scott McCall
(Posey), non più adolescente ma ancora alfa, può raccogliere nuovi
alleati e riunire amici fidati per combattere quello che potrebbe
essere il nemico più potente e letale che abbiano mai
affrontato.
Il cast comprende
Tyler Posey, Crystal Reed, Holland Roden, Shelley Hennig, JR
Bourne, Orny Adams, Colton Haynes, Linden Ashby, Melissa Ponzio,
Ryan Kelley, Seth Gilliam, Ian Bohen, Dylan Sprayberry, Vince
Mattis, Khylin Rhambo, Amy Workman, Nobi Nakanishi e
Tyler Hoechlin.
About
Paramount+
Paramount+ è un servizio globale di
video streaming digitale in abbonamento di Paramount che offre una
montagna di intrattenimento premium per il pubblico di tutte le
età. A livello internazionale, il servizio di streaming offre una
vasta library di serie originali, spettacoli di successo e film
popolari di ogni genere provenienti da marchi e studi di produzione
di fama mondiale, tra cui SHOWTIME, CBS, Comedy Central, MTV,
Nickelodeon, Paramount Pictures e Smithsonian Channel™, oltre a una
importante offerta di contenuti locali di prima qualità. Il
servizio è attualmente attivo negli Stati Uniti, Canada, Regno
Unito, Australia, America Latina, Caraibi, Francia, Italia, Irlanda
e Corea del Sud.
Alessandro
Genovesi dirige la divertentissima commedia con delitto
tutta al femminile 7 Donne e un mistero, in onda domenica
11 dicembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno (e alle 21.45 anche su Sky
Cinema Christmas), in streaming su NOW e disponibile on
demand.
Remake di successo di Otto donne e
un mistero di François Ozon, il film vanta un cast stellare tutto
al femminile, con – in ordine alfabetico – Margherita Buy, Diana Del
Bufalo, Sabrina Impacciatore, Benedetta Porcaroli, Micaela Ramazzotti, Luisa Ranieri e con la partecipazione
straordinaria di Ornella Vanoni. Il film è una
produzione WILDSIDE e WARNER BROS. ENTERTAINMENT ITALIA,
distribuito nelle sale italiane da Warner Bros. Pictures.
La trama
Ambientato nell’Italia degli anni
’30,
7 DONNE E UN MISTERO racconta le concitate ore che seguono
l’inspiegabile omicidio di un imprenditore, nonché marito e padre,
al centro di un variopinto gruppo di donne che, dopo essersi
riunite nella villa di famiglia per celebrare insieme la Vigilia di
Natale, si trovano costrette ad affrontare e rivelare l’un l’altra
segreti e sotterfugi per cercare di risolvere un mistero che in
qualche modo le riguarda tutte. Sono infatti tutte sospettate, chi
sarà l’assassina?
7 DONNE E UN
MISTERO fa parte anche della programmazione di Sky
Cinema Christmas, canale dedicato ai film a tema natalizio
e ai titoli più amati da vedere con tutta la famiglia che
fino al 31 dicembre si accenderà al canale 303 di
Sky. Giunto alla sua dodicesima edizione, conta oltre 50
titoli e tra questi, oltre a 7 DONNE E UN MISTERO, anche le prime
visioni CHI HA INCASTRATO BABBO NATALE? (già
disponibile su Sky e NOW) e A CHRISTMAS STORY
CHRISTMAS (il 6 dicembre alle 21.15 su Sky Cinema
Christmas).
Art Crimes, ideata
e scritta da Stefano Strocchi che ne ha diretto quattro dei sei
episodi, è una docu-serie Sky Originalin
sei puntate, prodotta da DocLab, Unknown Media, Sky e
RBB/Arte, in esclusiva su Sky Arte dal 13 dicembre alle
21.15 e in streaming solo su NOW, disponibile anche on
demand.
Da Berlino ad Amsterdam, da
Budapest ad Atene, un viaggio alla scoperta di quel che si cela
dietro la storia dei più famosi furti d’arte grazie ai ricordi dei
loro protagonisti: i ladri e gli investigatori. Un tentativo di
entrare nella mente di questi criminali che per la prima volta dopo
il loro arresto vengono intervistati insieme ai detective che
seguendo i diversi casi gli diedero la caccia!
Prendendo in prestito la minuziosa
drammaturgia del thriller investigativo, con la guida dei criminali
protagonisti e delle incredibili storie delle loro vite, insieme ai
pubblici ministeri, gli avvocati e i mercanti d’arte, ogni film
ricostruisce la scomparsa, le indagini e il ritrovamento di alcuni
dei capolavori più importanti al mondo, attraverso interviste
intense, archivi ufficiali e le registrazioni dei processi. Dalla
chiesa barocca di San Lorenzo, a Palermo, ai monasteri nascosti in
Grecia, dagli investigatori di Scotland Yard sotto copertura ai
segreti raccolti nei file della STASI, Art Crimes ci
conduce dentro sei storie incredibili, ricche di colpi di scena,
finali imprevedibili e panorami mozzafiato che sembrano usciti dai
film di Hollywood.
Eppure, queste storie sono tutte
vere, proprio come i loro protagonisti! Si va dal furto di due
dipinti di VanGogh dal Van Gogh
Museum di Amsterdam per mano di un famigerato duo di ladri –
OkkieDurham e
HenkBejslein – con il
coinvolgimento della Camorra napoletana alla misteriosa scomparsa
di 5 capolavori olandesi nel Castello di Gotha nell’allora DDR,
dove seguiamo l’incredibile viaggio dell’ispettore
Allonge che risolse il caso nel 2019. Le olimpiadi
invernali di Lillehammer del 1994 sono l’occasione perfetta per
PålEnger per rubare
“L’urlo” di EdwardMunch dalla National Gallery di Oslo, come
sentiamo raccontare proprio da lui nell’episodio “Oslo 1994”. Solo
l’intervento di Scotland Yard permise al mondo di recuperare questa
preziosa icona. Sulla riviera francese, a Marsiglia, una banda
verrà incastrata dall’FBI e da
alcuni agenti francesi sotto copertura per un furto al Museo di
Belle Arti di Nizza, commissionato da un misterioso mercante di
Miami. La serie termina con il più grande colpo della Guerra
Fredda, organizzato dal criminale GiordanoIncerti e dalla sua banda italiana, mentre erano
ufficialmente in vacanza a Budapest nel 1983.
SINOSSI DEGLI
EPISODI
EP.1 VAN GOGH: AMSTERDAM,
2002 Napoli, 2007. Una intercettazione, durante le
indagini su un caso di narcotraffico internazionale, mette il
pubblico ministero Vincenza Marra sulle tracce di due dipinti di
Van Gogh rubati nel 2002 ad Amsterdam. Mentre Octave Durham e Henk
Bijslein ricordano questo incredibile furto, una complessa indagine
della polizia olandese insieme con la polizia italiana porterà al
recupero dei dipinti nel 2016.
EP.2 FRANS HALS: GOTHA,
1979 Gotha, Germania Est, 1979. Cinque capolavori olandesi
scompaiono dalla torre del Castello Friedenstein, che sovrasta la
città medievale. Le indagini della polizia e della Stasi non
portano a niente, nonostante numerose piste e più di 1000
interrogatori. Nel 2019 una misteriosa telefonata al sindaco di
Gotha riaccende le speranze di recuperare i dipinti. Il capo della
Art Squad di Berlino, l’ispettore René Allonge, apre un’indagine
che lo porta quarant’anni indietro nel tempo e gli permette,
finalmente, di risolvere il caso.
EP.3 CARAVAGGIO: PALERMO,
1969 Due ladri di paese rubano l’ultimo dipinto di
Caravaggio, “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” da
un vecchio oratorio in centro a Palermo, in Sicilia, nel 1969. Da
allora, si è persa ogni traccia dell’opera e circolano voci secondo
cui il dipinto è stato bruciato dalla Mafia. Nel 2016 una nuova
indagine condotta dalla procuratrice antimafia Marzia Sabella torna
finalmente sulle tracce dell’opera. Grazie alla collaborazione con
due boss mafiosi, ora nelle mani della giustizia, l’indagine riesce
finalmente a ricostruire cosa accadde all’ultimo Caravaggio.
EP.4 BRUEGEL: NIZZA, 2007
Un criminale francese a Miami si imbatte nell’occasione della sua
vita: un gruppo di Narcos sta cercando di comprare delle opere
d’arte europee. L’uomo commissiona alla propria banda, a Marsiglia,
il furto di due Bruegel, un Monet e un Sisley dal Museo di Belle
Arti di Nizza. Un mese dopo, una motocicletta e un minivan bianco
si fermano davanti al Museo Chéret, sulla riviera francese e
mettono a segno il furto perfetto. Una complessa operazione sotto
copertura dell’FBI e della polizia francese riuscirà a riportare i
dipinti al loro posto.
EP.5 MUNCH: OSLO, 1994
Mentre tutti guardano la cerimonia d’apertura delle olimpiadi
invernali di Lillehammer, Paal Enger entra nella National Gallery
di Oslo e si impossessa dell’iconico dipinto “L’urlo” di Edward
Munch. Un’affascinante operazione sotto copertura di Scotland Yard
e della polizia norvegese incastrerà il ladro e i suoi complici,
con l’aiuto dell’eccentrico gallerista Tore Einar
Ulving
EP.6 RAFFAELLO: BUDAPEST, 1983
1983, nel bel mezzo della Guerra Fredda, sette capolavori dei
maestri del Rinascimento italiano, fra cui la celeberrima Madonna
di Esterhazy, scompaiono dal Budapest Museum. Quando, quasi un anno
più tardi, i dipinti ricompaiono all’interno di un monastero greco,
la polizia italiana e quella ungherese indagano seguendo una pista
che li conduce a Reggio Emilia, dove i criminali Giordano Incerti,
Ivano Scianti e la loro banda avevano pianificato il
furto.
Paramount+ presenta Francesco, Il
cantico, l’esegesi del testo poetico di Francesco
d’Assisi realizzata dal premio Oscar Roberto Benigni – una lode a Dio, al suo
operato per lo splendore del creato, alla vita stessa –
disponibile per la prima volta in streaming, in esclusiva
su Paramount+ dall’8 dicembre.
“Cercherò di raccontarvi un
Francesco vero, dalla vita straordinaria che vi stupirà. Non ci
crederete” Queste le parole di Roberto Benigni. Durante la serata
evento Benigni racconterà la figura di San Francesco d’Assisi,
partendo dalla vita personale dell’uomo, attraverso curiosità e
aneddoti inaspettati, illustrandone i conflitti, le contraddizioni
e le evoluzioni che lo hanno portato a diventare Santo e Patrono
d’Italia.
“E’ il personaggio del medioevo di
cui si conosce di più… era talmente affascinante che tutti
scrivevano di lui… è stato il più grande plasmatore di anime della
storia dell’umanità”, aggiunge Benigni.
“…In mezzo a tanta violenza e
avidità lui dimostra a tutti che un nuovo mondo è possibile:
Francesco opera una vera e propria rivoluzione. Francesco non è il
poverello di Assisi, ha uno sguardo di fuoco sul mondo, Francesco
che svetta su tutti, Francesco che non ha paura, anzi una ce l’ha,
una sola: quella di diventare disumano, indifferente al destino
degli altri, degli ultimi. E tutti lo seguono, questo è il grande
miracolo di Francesco…”
Dopo aver introdotto la figura di
Francesco, l’attore e regista prosegue con un’esegesi de “Il
Cantico delle Creature”, anche noto come “Cantico di Frate Sole”.
Il capolavoro di San Francesco, composto nel 1224, è il primo e più
antico testo poetico della letteratura italiana di cui si conosca
l’autore.
“Il Cantico” è una grandiosa lode
al Creatore e alla bellezza della natura, come racconta
Benigni in Francesco, Il cantico: “È la
prima poesia scritta in italiano e non in latino, l’inizio della
nostra Poesia che diventerà la più importante nel mondo. La Poesia
italiana inizia con Francesco….il Cantico era rivoluzionario,
perché lodava il creato. Era la prima volta, una novità assoluta.
Era un testo in controtendenza. L’incanto di Francesco è che ci fa
capire che non esistono sulla terra creature senz’anima, ci fa
sentire che hanno un’anima anche l’erba, la terra, l’acqua, il
vento, le pietre e i sassi. Ha ridato valore al mistero della
creazione. Un invito a partecipare alla nobiltà del
mondo”.
Francesco, Il
cantico rientra nel progetto di Paramount+ di realizzare
150 contenuti originali internazionali entro il 2025, includendo un
importante portfolio di produzioni italiane.
La star di Black
Panther: Wakanda Forever, Angela Bassett, ha recentemente rivelato di
aver filmato una scena con il figlio di T’Challa. Bassett
interpreta la regina Ramonda, sovrana del Regno di Wakanda dopo la
morte prematura di suo figlio, il re T’Challa/Black Panther
(Chadwick
Boseman).
Il sequel di Black Panther vede
anche il ritorno di Lupita Nyong’o nei panni di
Nakia, la spia Wakanda e interesse amoroso per T’Challa, dopo
essere stata assente sia da Avengers: Infinity War che da
Avengers: Endgame. Abbiamo
scoperto che la sua assenza non era giustificata dallo svolgimento
di una missione segreta per il Wakanda, come abbiamo visto
all’inizio di Black Panther, ma era ad Haiti come
insegnante in un orfanotrofio, dove si prende segretamente cura del
figlio che ha avuto con T’Challa.
In una recente intervista con
Variety, Angela Bassett ha rivelato di aver girato
una scena con il figlio segreto di T’Challa che alla fine è stata
tagliata da Black
Panther: Wakanda Forever. Rivelato nella mid-credits
scene, Nakia ha presentato Shuri (Letitia
Wright) a Toussaint (Divine Love
Konadu-Sun), il figlio di T’Challa, il cui nome wakandiano
è lo stesso di suo padre.
Bassett ha spiegato che la sua scena
tagliata con Toussaint avrebbe introdotto il nuovo personaggio
all’inizio del film. “Sono andato ad Haiti, ovviamente. L’ho
incontrato, mi è stato presentato… ma è finito sul pavimento della
sala montaggio”, dice Bassett. L’attrice ha rivelato che il
ragazzino avrebbe chiamato Ramonda “Nanna” nella scena. Bassett ha
anche spiegato che la scena è stata tagliata per preservare la
rivelazione di Toussaint per la fine del film, quindi sarebbe stata
“una sorpresa per il pubblico e per Shuri”. Bassett ha
aggiunto: “Era la strada giusta da percorrere. Perfetto per
farlo“.
Ricordiamo che Angela Bassett e una
delle principali concorrenti ad ottenere la nomination agli Oscar
come attrice non protagonista, proprio per questo film.
Il sequel del MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever è arrivato nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel StudiosBlack Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
Ambientata nei Sette
Regni, la storia si svolge circa 200 anni prima della nascita di
Daenerys Targaryen e della Rivolta di Robert Baratheon. Siamo in un
mondo governato dai Targaryen e all’inizio della nostra storia, re
Jaehaerys I Targaryen ha preferito suo nipote Viserys Targaryen a
Rhaenys Targaryen come erede al trono di spade, in quanto
successore con la pretesa più forte perché uomo. Non si è mai vista
infatti una regina a guidare Westeros! Tuttavia, molto presto la
storia si ripete e una nuova battaglia per la successione si
avvicina all’orizzonte: la regina Aemma Arryn, prima moglie di Re
Viserys, muore di parto lasciando dietro di sé solo una figlia
femmina, Rhaenyra Targaryen.
Oltre a lei potrebbe
ambire al trono Daemon Targaryen, fratello minore del re, preferito
dal popolo in quanto maschio, cavalca draghi, prode guerriero, ma
allo stesso tempo impulsivo e spregiudicato. Tuttavia, Viserys
nomina in una cerimonia pubblica Rhaenyra sua erede al trono. Nulla
può offuscare la volontà del re, se non fosse che lo stesso si
risposa con Alicent Hightower, molto più giovane di lui, figlia del
Primo Cavaliere Otto Hightower e amica intima della principessa. Da
questo matrimonio nasceranno due figli maschi, con i capelli color
argento e cavalca draghi: due puri Targaryen.
Quanto può
valere la parola di un re, alla sua morte? È di questo che ha paura
la giovane Rhaenyra, erede legittima che però si scontra con tre
uomini che hanno non solo avanzano una pretesa al trono, ma che in
quanto maschi sono tutti favoriti dal popolo rispetto a lei. La
lotta di successione al trono di spade di Re Viserys prenderà il
nome di Danza dei Draghi, evento che per qualcuno ha rappresentato
l’inizio della fine della casata di Daenerys.
Fuoco e Sangue
House of
Dragon è basata su Fuoco e Sangue, il romanzo
scritto da George R.R. Martin che racconta anche
di questa guerra di successione e che si struttura in forma di
annali, come fosse un volume scritto da un maestro della
Cittadella, in cui vengono elencati tutti i re Targaryen, i
principali fatti legati alla dinastia, alla successione e alle
vicende che hanno portato sull’ambìto scranno questo piuttosto che
quell’altro personaggio.
Quindi, per quanto siamo
di fronte a un prequel de
Il Trono di Spade, la sua origine letteraria è profondamente
diversa in quanto a forma e contenuto e questo aspetto viene
riflesso nella narrazione che non si fa scrupoli di fare grandi
balzi temporali in avanti, e di cambiare alcuni degli interpreti,
tra un’ellissi temporale e l’altra, per rappresentare lo stesso
personaggio che cresce o invecchia.
Un cast
perfetto
E c’è da dire che in tutti i casi i
volti e il carisma degli attori scelti per interpretare i
personaggi in gioco si rivelano sempre efficaci, perfettamente
adatti ai loro personaggi, complice anche un importante lavoro del
reparto trucco e costumi, che viene direttamente dalla “serie
madre”.
Paddy
Considine è stato scelto per interpretare Re Viserys,
quinto re di Westeros e primo del suo nome, consigliato sempre con
fedeltà e sincerità da Otto Hightower, che ha il volto familiare e
carismatico di Rhys Ifans. Emma
D’Arcy e Milly Alcock interpretano la
principessa Rhaenyra Targaryen nelle sue diverse età, così come
succede a Olivia Cooke e Emily
Carey, che invece si dividono il personaggio fondamentale
di Alicent Hightower. Tutte e quattro le attrici sono dotate di un
allure che permette loro di mettere in scena una vasta gamma di
sentimenti ed espressioni, che contribuiscono a costruire due
personaggi femminili portentosi, sfaccettati e originali.
Matt
Smith è sublime nei panni dell’instabile Daemon Targaryen,
mentre completano il cast principale Steve
Toussaint e Eve Best (strepitosa) che
interpretano i coniugi Corlys Velaryon e Rhaenys Targaryen, la
“Regina che non fu mai”, ovvero colei che a sua volta vantava
pretese al trono ma alla quale venne preferito il cugino maschio,
Viserys, appunto.
House of the
Dragon è una sontuosa opera televisiva
House of the
Dragon è una sontuosa opera televisiva. La qualità
tecnica, lo spessore della messa in scena, la cura del dettaglio,
la computer grafica, tutto ciò che ha reso grande
Il Trono di Spade, qui è sviluppato all’ennesima potenza, dal
momento che si parte da asset già consolidati, ma con molti
elementi in più: il primo episodio della serie del 2011 non regge
il confronto con lo sfarzo e la potenza scenica del pilota di
House of the Dragon, anche se il secondo è molto
meno potente da un punto di vista narrativo.
Non ci sono buoni o cattivi
La serie creata
da Ryan J. Condal
e George R. R. Martin ci riporta a
Westeros ma si tratta di un prodotto profondamente diverso, siamo
negli stessi posti de
Il Trono di spade e al centro del discorso c’è sempre il
desiderio di
salire su quel trono forgiato dalle spade dei nemici sconfitti di
Aegon il Conquistatore, ma questa volta ci troviamo di fronte a una
guerra civile combattuta a suon di sussurri, esilii, proclamazioni,
nelle stanze della Fortezza Rossa e di Roccia di Drago, non ci sono
battaglie tra famiglie, non c’è un conflitto aperto tra Stark e
Lannister, in cui lo spettatore riesce a schierarsi.
Anche la
costruzione dei personaggi è profondamente diversa: se all’inizio
la storia sembra volerci portare dalla parte della fiera e ribelle
Rhaenyra, poi scopriamo che in fondo la principessa non è poi tanto
ribelle né tanto esente da lati oscuri o crudeli, allo stesso modo
il principe Deamon, che potrebbe sembrare il villain designato, ha
momenti di tenerezza che fanno breccia nel cuore dello spettatore,
così come Alicent Hightower, figura femminile interessantissima mai
chiaramente inquadrata nei suoi desideri e nelle sue ambizioni, o
gli stessi rappresentanti della famiglia Velaryon, scuri di
carnagione e bianchi di capelli, anch’essi discendenti di Valyria
ma da un ramo cadetto e per questo considerati leggermente
inferiori ai Targaryen.
Un moderno racconto di ambizione
House of
Dragon lascia lo spettatore stupefatto e ammirato per lo
sfoggio di una opulenta messa in scena (ci sono i draghi!), e a
sorpresa si rivela narrativamente molto diverso dal suo
predecessore, concentrato su un conflitto interno alla stessa
famiglia: stiamo raccontando una storia in cui è impossibile
prendere la parte dei buoni, perché non ce ne sono, così come non
ci sono cattivi in senso stretto, è meno di una guerra, è più di
una bega familiare. È l’inizio della tremenda Danza dei
Draghi, che segnerà l’inizio della fine per la dinastia
del Drago, ma è anche un racconto moderno su ambizione e senso del
dovere, su ciò che è possibile e su ciò che lo diventa grazie alla
volontà dell’uomo (o della donna, in questo caso).
Nel bene e nel male, il
MCU ha
aumentato in modo massiccio la sua portata anche grazie a Disney+.
Mentre prima uscivano solo una manciata di film all’anno, ora
possiamo goderci anche le serie tv sul piccolo schermo, anche se la
qualità di queste ha fatto dibattere a lungo i fan.
Finora, però, ci sono state
presentate grandi serie, tra cui WandaVision,
Loki e Ms. Marvel. Mentre ci avviciniamo alla fine
del 2022 e all’inizio del 2023, possiamo analizzare cosa dobbiamo
aspettarci il prossimo anno su Disney dal MCU: ecco
tutte le serie tv confermate dai Marvel Studios in arrivo nel 2023,
classificate dalla meno attesa a quella che non vediamo
sinceramente l’ora di vedere.
Secret Invasion (inizio 2023)
Vorremmo davvero
interessarci di più a Secret Invasion ma solo il cast –
Samuel L. Jackson, Ben
Mendelsohn, Emilia Clarke e
Olivia Colman tra gli altri – ci ha davvero
conquistato al momento. I Marvel Studios hanno davvero perso
la palla al balzo con gli Skrull nel
MCU, e il
grande colpo di scena di Captain Marvel, secondo cui non sono in realtà
tutti cattivi, ha diminuito l’impatto del loro debutto (così come
la ridicola scena post-credits di Spider-Man: Far From Home). Quindi, cosa c’è
di veramente entusiasmante in questa rivisitazione in chiave soft
dell’omonimo evento epico dei fumetti?
Siamo sicuramente curiosi di vedere
che tipo di impatto avrà sul futuro del MCU, anche
se nulla di ciò che abbiamo sentito su The
Marvels ci suggerisce che lascerà il segno. In
definitiva, sembra un trampolino di lancio per altri progetti più
importanti, piuttosto che un passo davvero necessario per il
MCU:
speriamo di essere smentiti.
What If…? Stagione 2 (inizio
2023)
Quando la prima stagione di
What If…? ha raggiunto il suo apice, ci ha
regalato qualcosa di davvero molto speciale. Dal debutto del
Capitano Carter all’indimenticabile
interpretazione di Star-Lord da parte di Chadwick Boseman, fino all’epica battaglia
finale contro Infinity Ultron, questa serie
animata aveva molto da offrire.
In vista della seconda stagione, non
sappiamo ancora abbastanza su cosa aspettarci. I dettagli condivisi
al Comic-Con hanno suggerito che ci si concentrerà maggiormente
sulla narrazione delle storyline della Fase 4, il
che potrebbe essere un approccio interessante, anche se non ci fa
venire voglia di saperne di più, visto che sembra che i personaggi
introdotti in Black Widow ed Eternals non abbiano lasciato il segno.
Abbiamo grandi speranze per What If…? quando tornerà, ma tra le voci che
mettono a rischio la Marvel Studios Animation, è
essenziale che la prossima stagione di episodi non ci deluda.
Echo (metà del 2023)
Per il momento non ci preoccupiamo
troppo delle voci che parlano di problemi di produzione con
Echo.
È diventata la norma per i Marvel Studios iniziare a produrre
film senza nemmeno averne chiaro il finale, e sembra che riescano a
fare funzionare le cose, quindi ci fidiamo di Kevin
Feige.
La domanda più importante è: perché
dovrebbe esssere raccontata questa storia? Maya
Lopez è stata un’ottima aggiunta a
Hawkey, ma sarebbe stata sicuramente più adatta a una
presentazione speciale piuttosto che a una serie televisiva
completa di sei episodi. In ogni caso, non vediamo l’ora di vedere
Alaqua Cox in azione e come
Daredevil e Kingpin si
inseriranno nel processo. Questa è una delle cose che ci emoziona
di più sulla serie al momento, anche se speriamo che riesca a far
conoscere Echo e a renderla una parte importante di questo mondo
condiviso.
Agatha: Coven of Chaos (fine
2023/inizio 2024)
È possibile che
Agatha: Coven of Chaos non uscirà prima del 2024, ma
qualora dovesse debuttare nel 2023, vale la pena analizzarla. Per
quanto riguarda il motivo per cui si trova praticamente a metà di
questa lista, è perché la prospettiva che la storia di
Agatha Harkness continui nel MCU
è qualcosa che approviamo molto.
Kathryn Hahn ha rubato la scena in
WandaVision
e Agatha è un personaggio chiaramente in
circolazione da molto tempo. Essendo in grado di illustrare il lato
mistico (e mostruoso!) dell’MCU,
prevediamo che questa serie sarà molto importante per il suo
futuro. Secondo quanto riferito, Aubrey Plaza
interpreterà il grande villain della serie, mentre Joe Locke sembra
destinato a vestire i panni di Billy Kaplan, alias
Billy Maximoff/Wiccan. Abbiamo aspettato di vedere
lui e Speed come veri supereroi, e
Agatha: Coven of Chaos potrebbe anche gettare le basi
per il ritorno della Strega Scarlatta e la
formazione dei Giovani Vendicatori.
Ironheart (Fine 2023)
Riri
Williams ha avuto solo un piccolo ruolo in Black Panther: Wakanda Forever, ma ci ha fatti
divertire molto. Speriamo che la serie Ironheart possa approfondire
come e perché sia arrivata a creare la propria tuta di Iron
Man, anche se crediamo che sia il conflitto al centro di
questo progetto a renderlo particolarmente eccitante.
The Hood sarà il
grande cattivo della serie, il che significa che vedremo scienza e
magia scontrarsi per la prima volta nel MCU,
dando una nuova svolta al concetto di Iron Man
(Tony Stark ha trascorso la maggior parte del tempo a combattere
altri uomini in armatura nei suoi film). Si dice che Ironheart
vedrà anche il debutto di Mefisto, con
Sacha Baron Cohen che potrebbe interpretare
l’iconico cattivo. Se così fosse, si tratterebbe di una delle serie
televisive più importanti dei Marvel Studios, soprattutto perché
prevediamo che i demoni saranno una parte importante del futuro del
MCU.
X-Men ’97 (Fine 2023)
Coloro che non sono
cresciuti guardando X-Men: The Animated Series
potrebbero non attendere così tanto questo titolo, ma se avete
familiarità con la serie, siamo sicuri che state facendo il conto
alla rovescia per X-Men ’97.
Con il ritorno della maggior parte
del cast vocale originale, il seguito riprenderà alcuni punti in
sospeso della trama, racconterà alcune storie che il suo
predecessore non ha mai affrontato e darà una nuova veste a una
serie televisiva classica. Questi sono solo alcuni dei motivi per
attendere con impazienza la serie, e l’anteprima al Comic-Con non
ha fatto altro che aumentare l’attesa. C’è sempre la possibilità
che X-Men ’97 non sia all’altezza delle
aspettative, ma considerando che lo stesso Kevin
Feige ne è un fan dichiarato, non prevediamo che questo
sia il caso.
Loki 2 (Metà 2023)
Loki
rimane una delle migliori serie televisive dei Marvel Studios e l’unica
di cui è stata ordinata una seconda stagione. Dopo aver introdotto
il Multiverso, le Varianti e Colui che resta nella
prima stagione, dobbiamo credere che la prossima stagione sarà
altrettanto importante.
Dopotutto, il Dio dell’Inganno si è
trovato bloccato in una realtà in cui la TVA è governata da
Kang e, nonostante le modifiche del team creativo,
prevediamo che questi episodi costituiranno una storyline chiave
per la preparazione di Avengers: The Kang Dynasty. Con queste
premesse, questa serie ha tutte le carte in regola per essere
assolutamente vista. Sicuramente dovrà dimostrare di essere
all’altezza delle aspettative, ma la seconda stagione di Loki è molto più essenziale rispetto alle
altre di questa lista e, di conseguenza, si aggiudica facilmente il
primo posto. Anche la presenza di Sylvie e
Mobius ci incuriosisce e il trailer mostrato al
D23 promette altri epici viaggi nel tempo nel 2023.
SAINT OMER di
Alice Diopè stato
designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale
Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente
motivazione: “Una infanticida alla sbarra e una scrittrice venuta a
seguire il processo, entrambe di origini senegalesi, per un film
che scava nelle ferite del post-colonialismo con sguardo nuovo e
rara potenza. Se i dialoghi vengono dai verbali autentici del
processo, le immagini stravolgono il nostro rapporto con le culture
“altre”, costringendoci a confrontarci fino in fondo con la loro
ambiguità e complessità. Un viaggio vertiginoso che segna l’esordio
di una promettente regista”.
Dopo essere stato presentato
in concorso all’ultima edizione della
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia, arriva nelle sale italiane Saint
Omer, acclamata opera prima della documentarista
Alice Diop (vincitrice del Premio César per il
miglior cortometraggio con Vers la tendresse). Liberamente
ispirato a un fatto di cronaca che ha sconvolto l’opinione pubblica
francese, nel film la scrittrice Rama, in cerca di spunti per una
rivisitazione del mito di Medea, segue il processo di Laurence,
accusata di aver ucciso la figlioletta abbandonandola di notte su
una spiaggia.
A vestire i panni di queste due
carismatiche protagoniste, Kayije Kagame
(vincitrice del premio Goncourt con Trois femmes
puissants) e Guslagie Malanda (Mon amie
Victoria), affiancate da Valérie Dréville
(Suite Armoricaine) e Xavier Maly (La
ragazza con il braccialetto). Vincitore a Venezia del
Leone d’Argento – Gran premio della giuria e del
Leone del Futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De
Laurentiis” – nonché per la Miglior sceneggiatura al
Chicago International Film Festival, come Miglior
film al Gent International Film Festival, Miglior
film e Miglior sceneggiatura al Sevilla International Film
Festival e come Miglior film al Geneva
International Film Festival – Saint Omer
rappresenterà la Francia agli Oscar 2023, nella
categoria Miglior film internazionale.
Il film arriverà in tutte le sale
cinematografiche italiane l’8 dicembre distribuito
da Medusa Film per Minerva
Pictures.
Saint Omer, la trama
Tribunale di Saint-Omer. La
scrittrice trentenne Rama assiste al processo di Laurence Coly, una
giovane donna accusata di aver ucciso la figlia di 15 mesi dopo
averla abbandonata sulla riva di una spiaggia del nord della
Francia. Rama intende trarre dal caso una rivisitazione
contemporanea del mito di Medea. Ma mentre il processo va avanti,
nulla procede come previsto e la scrittrice, incinta di quattro
mesi, si ritroverà a mettere in discussione ogni certezza sulla
propria maternità.
Il teaser trailer di Guardiani
della Galassia Vol. 3 è stato rilasciato durante
il CCXP Brasile lo scorso giovedì, dandoci il nostro primo sguardo
al ritorno della variante Gamora che è stata introdotta in
Avengers: Endgame in azione.
Zoe
Saldana non era obbligata a tenere nascosto il suo
ruolo nel trequel di James
Gunn (ha persino condiviso foto dietro le quinte su
Instagram durante la produzione), ma la rigida politica di
segretezza dei Marvel Studios spesso rende difficile la
discussione tra gli attori in merito ai progetti imminenti, e
sembra che l’attrice di Star Trek sia stata
frustrata da questa difficoltà.
Durante la sua apparizione
nell’ultimo episodio di Hot Ones, a Saldana è stato chiesto
degli intensi livelli di sicurezza e segretezza dello studio e lei
ha confermato che ci sono “vantaggi e svantaggi” nel
lavorare in quelle circostanze.
“Quando lavori per la Marvel, sembra un culto, tutti
dicono, ‘Cosa sta succedendo? Sono vestita di verde dopo quattro
ore di trucco, dobbiamo girare qualcosa, che cos’è?’ [Ride] Questo
ha vantaggi e svantaggi, il vantaggio è che conservi la sorpresa
per la fine e non la rovini e il pubblico può vivere un’avventura
incredibile quando va al cinema a guardarlo. Ma lo svantaggio è
principalmente per l’attore, perché non sai cosa stai ricevendo,
non sai dove stai andando, non sai cosa stai dicendo, non sai cosa
succederà, e può essere un po’ snervante”.
Anche se alcuni cercano spoiler
prima di vedere un film, la maggior parte delle persone non
vorrebbe che la trama di un film venisse rovinata prima di sedersi
a guardarlo, quindi i Marvel Studios hanno fatto di tutto
per mantenere i loro segreti il più a lungo possibile.
In Guardiani della Galassia Vol.
3, la nostra amata banda di disadattati ha un aspetto un po’
diverso rispetto a quanto visto fino a questo momento. Peter Quill,
ancora sconvolto dalla perdita di Gamora, deve radunare la sua
squadra attorno a sé per difendere l’universo e proteggere uno di
loro. Una missione che, se non completata con successo, potrebbe
portare alla fine dei Guardiani come li conosciamo.
Il prossimo film del regista premio
Oscar Bong
Joon Ho, Mickey
17,
interpretato da Robert Pattinson, uscirà nei cinema nel 2024.
Il film della Warner Bros. è attualmente in produzione e debutterà
sul grande schermo il 29 marzo 2024, negli USA.
La storia di fantascienza è
adattata dal romanzo di Edward Ashton, descritto
dall’editore St. Martin Press come un thriller cerebrale di alto
livello sulla scia di
The Martian e Dark Matter. Pattinson
interpreterà un “sacrificabile” – un impiegato usa e getta in una
spedizione umana inviato a colonizzare il mondo ghiacciato di
Nifheim – che si rifiuta di lasciare che il suo clone sostitutivo
prenda il suo posto. I dettagli della trama del film non sono stati
confermati e non è chiaro quanto Bong intenda attenersi al
materiale originale. Il libro di Ashton è stato pubblicato nel
febbraio 2022.
Oltre a scrivere e dirigere,
Bong
Joon Ho produrrà anche il prossimo film attraverso la
sua società Offscreen. Altri produttori includono
Dede Gardner e Jeremy Kleiner di
Plan B e Dooho Choi di Kate Street Pictures.
Peter Dodd supervisionerà per conto della Warner
Bros.
Mickey
17 è il primo film di Bong Joon Ho
dopo
Parasite, che è diventato il film sudcoreano con il
maggior incasso nella storia, nonché il primo film non in lingua
inglese a vincere il premio al miglior film agli Oscar. Delle sue
sei nomination all’Oscar, la commedia nera ha portato a casa premi
per la sceneggiatura originale, la regia e il lungometraggio
internazionale. Prima che
Parasite diventasse un successo, Bong era noto
per film acclamati come Snowpiercer,The
Host, Okja e Barking Dogs Never
Bite.
C’era una volta in Italia –
Giacarta, il documentario che racconta le tragiche
conseguenze di un Piano di rientro che ha messo ko gli ospedali nel
sud Italia arriva al cinema. Regia di Federico Greco, Mirko
Melchiorre. Un film con Vittorio Agnoletto, Michele Caligiuri,
Adriano Cattaneo, Ivan Cavicchi.
Seguito ideale di “PIIGS”,
documentario del 2017 degli stessi autori Federico Greco e Mirko
Melchiorre, il film parte da Cariati, in Calabria, dove un manipolo
di ribelli di ogni età decide di protestare come nessuno ha mai
osato fare, occupando l’ospedale con l’obiettivo di ottenerne la
riapertura. Nel frattempo alcuni dei più importanti intellettuali,
medici, esperti e attivisti italiani e internazionali svelano le
vere responsabilità locali e globali dell’attacco alla salute
pubblica, e sostengono la lotta di Cariati. La sanità pubblica in
Italia è infatti ridotta al lumicino da decenni di tagli al
bilancio e privatizzazioni. Il “Piano di rientro” che ha decretato
nel giro di una notte la chiusura dell’ospedale di Cariati (e di
altri 18 ospedali soltanto in Calabria) è lo specchio di un’epoca
nella quale il diritto alla salute è sempre meno garantito. In sala
dal 5 dicembre 2022 distribuito da Fil Rouge Media, partendo dalla
Calabria.
Dopo aver rilanciato con successo
il franchise con Ghostbusters: Legacy del 2021, Sony
Pictures sta intensificando la pre-produzione del sequel con lo
sceneggiatore e produttore esecutivo del film Gil
Kenan pronto a prendere le redini della regia. Fonti
dicono a Deadline che Jason
Reitman, che ha diretto il precedente film, passerà al
ruolo di scrittore-produttore insieme al co-sceneggiatore
Kenan e Jason Blumenfeld. Gli addetti ai lavori
aggiungono che l’ensemble Ghostbusters: Legacy che include
Paul Rudd e
Carrie Coon tornerà nel sequel.
“È un vero onore prendere in
mano lo zaino protonico e mettersi dietro la macchina da presa per
il prossimo capitolo della saga della famiglia Spengler”, ha
dichiarato Kenan. “Vorrei solo poter tornare al 1984 e dire al
ragazzo nella sesta fila del Mann Valley West che un giorno avrebbe
diretto un film di Ghostbusters”. Sebbene non si sappia molto
del sequel, le fonti affermano che il piano è di tornare a New York
City e all’iconica caserma dei pompieri resa famosa nei film
originali di Ghostbusters. L’uscita è prevista per
dicembre 2023.
“Alcuni anni fa, mio padre mi
ha consegnato le chiavi di Ecto-1, e insieme abbiamo realizzato
Ghostbusters: Legacy”, ha detto Reitman. “Le parole non
esprimeranno mai quanto sono grato di aver fatto un film con mio
padre al mio fianco. È giunto il momento di consegnare quelle
chiavi al mio partner creativo e collega Ghostbuster Gil Kenan, un
brillante regista che manterrà vivo lo spirito di Spengler. Posso
solo sperare di fornirgli la stessa cura produttiva e il supporto
che mio padre ha mostrato a me”.
È stata una
priorità assoluta per Sony mettere un sequel in produzione dopo
che Ghostbusters: Legacy, l’ultimo sequel
dell’iconico film del 1984, è diventato un successo con la sua
uscita nel novembre 2021. Diretto e co-scritto da Jason
Reitman, e prodotto esecutivamente e co-scritto da Kenan,
il film si è aperto mentre la pandemia si stava esaurendo con
ottimi risultati che includevano un weekend di apertura da 44
milioni di dollari. Il film ha incassato più di 200 milioni di
dollari in tutto il mondo.
Margot Robbie vuole ancora realizzare una
storia d’amore tra Harley Quinn e Poison Ivy nell’Universo DC.
Robbie è apparsa per la prima volta nei panni di Harley Quinn nel
film Suicide
Squad del 2016, e la buona accoglienza del suo
personaggio, nonostante il cattivo esito del film, l’ha portata a
ricomparire nei panni della villain DC in Birds of Prey (e la fantastica emancipazione di Harley
Quinn) del 2020.
Il film ha allontanato la Quinn di
Robbie dal tono più oscuro di Suicide
Squad, e l’ha trasformata in un personaggio più amante
del divertimento, forte e indipendente, come appare spesso nei
fumetti e come poi è apparsa anche in
The Suicide Squad di James
Gunn. Accanto alla controparte a fumetti di Harley c’è
Poison Ivy, un altro cattivo dell’universo di Batman, che alla fine
diventa la fidanzata di Harley sia nei fumetti che nella serie
televisiva animata Harley Quinn. Ad oggi, Poison Ivy non è stato
ancora introdotta nel DCU.
In un’intervista con
ComicBook.com,
Margot Robbie afferma di aver “spinto” per anni
per una storia d’amore tra Harley e Ivy. Robbie dice anche che
quando immagina la sua Harley insieme a Ivy, immagina la Poison Ivy
dei fumetti, piuttosto che una qualsiasi attrice in particolare.
“Ho spinto per questo per anni. Non posso dirti quanto ho
spinto per questo. Lo voglio anch’io. Onestamente, quando l’ho
immaginato, mi immagino sempre una Poison Ivy come nei fumetti. Non
so davvero immaginare un’attrice che possa interpretarla, ma sono
d’accordo, sarebbe così bello”.
Approdato sulla piattaforma
streaming il 14 settembre, Heartbreak high è una
nuova serie australiana, ideata da Hannah Carroll Chapman; si
tratta di un reboot della omonima serie
andata in onda dal 1994 al 1996 sul canale australiano Network ten,
e poi dal 1997 al 1999 su ABC, per un totale di ben sette stagioni.
La sua serie gemella del 2022 è al momento formata da una sola
stagione di otto episodi, da circa 50 minuti l’uno. Nel cast
ritroviamo figure nuove ed emergenti, come l’attrice Ayesha Madon,
Chloe Hayden e James Majoos. La serie è stata da subito accolta in
maniera positiva dalla critica per le tematiche trattate.
Heartbreak high, dalla mappa degli
incesti ai triangoli amorosi
La Hartley sembra essere un liceo
come un altro, con gli stessi gruppi: le ragazze popolari, la
squadra di basket con i ragazzi più affascinanti, gli invisibili.
Con la scoperta della “mappa degli incesti” tutto cambia. Si tratta
di una mappa disegnata da Harper (Asher Yasbincek)
ed Amerie (Ayesha Madon), una coppia di amiche
inseparabili. Questa rappresenta tutte le relazioni amorosi
ed eventuali rapporti sessuali avvenuti nella Hartley high. Tutti
gli studenti presenti sulla mappa sono costretti dalla preside a
seguire un corso di rieducazione alla sessualità. Amerie diventa
l’esclusa, la ragazza più odiata. Senza un apparente motivo, viene
respinta anche dalla sua miglior amica Harper, pur essendosi Amerie
presa tutta la responsabilità della mappa. Le relazioni tra i
ragazzi della Hartley si faranno sempre più confuse. Si creeranno
nuove coppie come Quinni, una ragazza molto stravagante e
autistica, e Sasha, una delle ragazze popolari della scuola. I
pettegolezzi sulle esperienze negative e sulle tresche che dovevano
rimanere segrete non tardano a correre per la Hartley. I rapporti
tra gli studenti si incrineranno ulteriormente, specialmente tra
Harper e Amerie.
Un teen drama con una venatura
comica
Heartbreak high è
una serie molto rilevante come serie per le tematiche che vengono
trattate. Ci si riferisce a tutta una serie di problematiche che
caratterizzano ancora la nostra società. In particolare, vengono
presentati il tema del consenso e della violenza sessuale; delle
discriminazioni perpetrate dagli agenti di polizia nei confronti
delle persone di colore, in questo caso Malakai (Thomas
Weatherall), discendente dai nativi australiani. A questo
proposito, dopo l’episodio di violenza subito, Malakai verrà
appoggiato da alcuni ragazzi per riscoprire le sue origini e
superare al meglio l’accaduto. Centrale diventa anche l’elemento
della violenza domestica, pur non essendo presente chiaramente
nelle prime puntate.
Un fattore fortemente a favore di
Heartbreak High è l’inclusività nella delineazione
dei personaggi. Darren, ad esempio è non binario. Nel seguire le
sue vicende, ci vengono presentate tutte le problematiche, ed a
volte sofferenze, con cui una persona non binaria deve convivere
nella sua vita. Partendo dai problemi con i genitori, i quali, pur
cercando di aiutarlo ed appoggiarlo nelle sue scelte, non lo
comprendono, ad essi si aggiungono anche tutte le varie battute
degli altri ragazzi a scuola.
Un altro personaggio che incarna lo
spirito di inclusività di questa serie è Quinni, ragazza affetta da
un disturbo nello spettro dell’autismo. Pur non dimostrando
all’esterno solamente una certa eccentricità nel trucco e nel
comportamento, ci sono delle situazioni in cui questa sua
differenza è più nota, fino a sembrare a persone come Sasha troppo
ingombrante.
Pur affrontando tutte queste
problematiche sociali, Heartbreak high non cade
nei soliti cliché e, soprattutto, riesce a mantenere una certa vena
di comicità che rende la serie semplice e piacevole da seguire.
Heartbreak High is the new Sex
Education
Un critico più attento non
tarderebbe a trovare una grande pecca in questa serie: la mancanza
di originalità. Molte di queste tematiche trattate, infatti, sono
già approdate e consolidate su Netflix con una ben più nota serie tv: si tratta di
Sex Education. L’educazione alla sessualità,
la presenza di personaggi LGBTQI+, la violenza sessuale sono gli
elementi fulcro della serie britannica.
Ad ogni modo, pur non mantenendosi
nella totale originalità, Heartbreak high ha
ugualmente una sua rilevanza. Quando si tratta di problematiche
così serie ed importanti anche per i giovani, le serie tv possono
essere un abile strumento per trasmettere i giusti messaggi.
Riguardo invece alla “mappa degli
incesti” ed alle liti scaturitesi, questo ricorda molto una scena
di quello che potrebbe essere considerato il cult dei teen movie:
sto parlando di Mean Girls. Verso la fine del
film, infatti Regina George, interpretata da
Rachel McAdams, diffonde tutta una serie di gossip
creando liti e risse, mettendo in subbuglio la scuola proprio come
fa la mappa alla Hartley.
Nel ventaglio di proposte di
Netflix è approdato Dynasty
5, l’ultima stagione del reboot basato sulla serie omonima
degli anni ’80 andata in onda dal 1981 al 1989 su ABC. Complice il
calo di ascolti, e considerato anche il periodo ballerino della The
CW nel periodo di vendita, il 12 maggio del 2022 è stata dichiarata
la cancellazione.
Sull’emittente americana, la
complessa storia della famiglia Carrington si è conclusa prima
dell’estate e ora, su Netflix Italia,
seppur non sia stata rinnovata, si è posizionata nella Top
10 delle serie TV più viste.
Dynasty 5, la trama
La quarta stagione si era conclusa
con Fallon (Elizabeth
Gillies) ferita da un proiettile da arma da fuoco.
Dopo il suo tradimento con Colin, il matrimonio con Liam
(Adam Huber) è sul filo del rasoio. I due cercano
un modo per ritrovarsi e recuperare quel che hanno perso. Nel
frattempo Blake (Grant Show) è impegnato
nell’inaugurazione del Joseph Anders Airport insieme alla moglie
Cristal (Daniella Alonso).
Alexis (Elaine
Hendrix) è sempre più decisa a sostenere la sua nuova
azienda con il figlio Adam (Sam Underwood), mentre
Dominique (Michael Michele) si impegna per
metterle i bastoni fra le ruote. Le dinamiche fra i Carrington
cominciano a farsi sempre più bollenti, provocando una serie di
rotture nella famiglia che culminano nel finale in una grande
sorpresa.
I Carrington: una famiglia dalle
mille sfaccettature
Dynasty 5 presenta
una trama decisamente corale. Tutti i personaggi sono posizionati
sulla scacchiera in maniera ordinata e ognuno di loro ha una trama
specifica ed esaustiva. Seppur siano tutti dotati di una storia e
caratteristica specifica, che si intreccia perfettamente alle altre
sotto-trame, è pur vero che alcune di queste risultino abbastanza
superflue e non aggiungano niente di più a quella principale.
In particolar modo, nella carovana
dei personaggi che devono trovare il loro posto nel mondo, quella
di Michael Culhane è retta da dinamiche molto deboli. Il
personaggio si è già sufficientemente esaurito nelle stagioni
precedenti, e il suo progredire nella storia appesantisce di
parecchio la fluidità della trama.
Dynasty 5 si
attorciglia nella rete dell’amore, del potere, dell’intrigo e della
passione. Sono proprio i continui cliffhanger che costellano tutta
la diegesi della serie che costituiscono la sua carta vincente.
La famiglia Carrington viene rappresentata in tutte le sue
sfaccettature. Si sbriciola man mano che gli eventi
prendono forma, per poi unirsi nuovamente nella risoluzione. Ogni
suo membro è completo, si è snodato nelle difficoltà della vita, le
ha affrontate e ne è riemerso ogni volta con un valore
aggiunto.
Fallon, donna, moglie e madre
Il personaggio meglio delineato e
strutturato è di sicuro Fallon Carrington. Il percorso che lei
affronta, sia dentro di sé che nella società, la rende una persona
realizzata al cento per cento. Fallon è la rappresentazione
della donna che si mette in discussione, che sbaglia,
cerca di risolvere il problema, e combatte sia per
garantirsi il suo posto nel mondo sia per tutelare la sua
famiglia.
Il viaggio che intraprende alla
ricerca di ciò che realmente la appaga, la rende in questa stagione
il personaggio più forte, oltre che quello maggiormente risoluto. È
la prova concreta che nella vita non bisogna mai arrendersi e che
gli ostacoli si possono superare, l’importante è credere realmente
in essi e non perdere di vista l’obiettivo.
Insieme a Fallon vengono
affrontati molti temi attuali: la donna nel matrimonio e
nel lavoro, l’infertilità, la lotta per avere un figlio e la
malattia. Interpretata da una superba Elizabeth Gillies, Fallon,
battaglia dopo battaglia, riesce a trovare la strada che la
riconduce a se stessa, alla sua versione migliore e più adulta, in
un’evoluzione prorompente del suo personaggio. Dynasty
5 è giunto alla fine. Ciò che rimane però è il suo
insegnamento: non importa cosa la vita ti ponga davanti, se si ha
la famiglia accanto tutto si può superare.
Robert Downey Jr. rivela cosa gli manca di più
dell’essere parte del Marvel Cinematic Universe. Downey
Jr. ha recitato nel primo capitolo del MCU, il film
Iron man del 2008, e sarebbe poi apparso in un
totale di 11 film del franchise. Interpretando il genio miliardario
Tony Stark, Downey Jr. ha recitato in tre film di Iron
Man e quattro film di Avengers, rendendo
Tony uno dei personaggi più centrali del MCU.
Dopo 11 anni nel MCU, Downey Jr. è uscito dal
franchise quando Tony si è sacrificato in
Avengers: Endgame del 2019, il film finale di
The Infinity Saga. Anche dopo la morte di Tony, la
sua influenza continua nel MCU, con il suo sacrificio spesso
citato nei successivi film Marvel. Tuttavia,
Robert Downey Jr. non è effettivamente apparso in
un film Marvel dal 2019.
In un’intervista con Deadline, in
occasione della presentazione del suo nuovo film Sr.,
Robert Downey Jr. rivela cosa gli manca di più
dell’MCU: dice che gli manca “essere in
trincea” con il presidente dei Marvel StudiosKevin Feige
per così tanti anni e fare viaggi con ogni regista di Iron
Man. Continua anche a lodare i registi Jon
Favreau, Shane Black e i fratelli Russo,
ognuno dei quali ha reso memorabile il tempo di Downey Jr. nel
MCU e che lo ha aiutato ad
abbracciare Tony Stark dall’inizio alla fine.
“Cosa mi manca di più? Essere in
trincea con Kevin Feige per tutto il tempo; l’inizio, con Jon
Favreau, ora è come un bel sogno; al centro, con Shane Black in
Iron
Man 3, avevamo appena avuto Exton e l’abbiamo girato
principalmente a Wilmington N.C. Era idilliaco e sovversivo. E la
fine, quando mi sono reso conto di aver così tanti amici intimi nel
cast del MCU, e i fratelli Russo che mi
hanno aiutato ad abbracciare l’arco narrativo di Tony.”
Francesco Bruni firma le
sette puntate della
nuova serie italiana che esce dal 14 ottobre in esclusiva su
Netflix. Tutto chiede
salvezza è il titolo, ed è la libera trasposizione del
romanzo di Daniele Mencarelli, grazie al quale nel
2020 è stato vincitore del Premio Strega Giovani.
La storia parla di
Daniele (Federico Cesari) che si ritrova
improvvisamente legato sul lettino di un ospedale accanto a gente
ben poco raccomandabile (Vincenzo Nemolato e
Vincenzo Crea), inizia a dimenarsi ma gli serve a
ben poco. Viene accolto dalla rudezza dell’infermiere Pino (Ricky
Memphis) che gli dice solo che ha ricevuto un trattamento sanitario
obbligatorio. E tanto basta.
Sette sono le puntate di
Tutto chiede salvezza, come i giorni che
Daniele passerà in TSO. Lui non ricorda nulla, è disperato, è
rinchiuso – letteralmente – in una gabbia di matti e i suoi
familiari si negano al telefono. Lentamente inizierà un percorso,
sarà inevitabile e forzato – chiaramente – ma da lì si aprirà una
strada inaspettata che lo porterà dentro le caverne inesplorate
dentro di sé, ma dalle quali scoprirà nuovi fasci di luce che nella
sua vita ordinaria non avrebbe mai scoperto.
È dolce e cadenzato lo
stile delle prime due puntate, si avanza con calma verso il terrore
della contenzione, scendendo sempre più giù, nella disperazione di
dover stare con se stessi, con quelle parti ancora sconosciute. Ma
Francesco Bruni, che ha anche scritto la
sceneggiatura (insieme all’autore del romanzo, a Daniela
Gambaro e a Francesco Cenni), riesce a
risalire subito verso la leggerezza, appena l’aspetto drammatico
inizia a diventare poco sostenibile. Così facendo si è
progressivamente accompagnati nella storia e nella mente di
Daniele, senza un impatto traumatico con l’impotenza davanti a una
malattia apparentemente invisibile. Al contrario, grazie alle
continue note ironiche di sottofondo, l’andamento delle scene è
sempre modulato, e fa affezionare con facilità sia al protagonista
che agli adorabili comprimari (Andrea Pennacchi, Lorenzo
Renzi, Bianca Nappi, Flaure BB Kabore).
Tutto chiede salvezza, la serie
Netflix
Tutto chiede
salvezza è dunque la parabola di una vita e, in tal senso, è
perfetta la coincidenza del numero di puntate con i giorni di cura
del ragazzo. Come per la creazione nel libro della Genesi, e così
per la struttura del viaggio dell’eroe, Daniele arriva informe,
immerso nel caos e nel buio dello scoprirsi sconosciuto a se
stesso, per poi ritrovare una forma e una compiutezza,
nell’incessante scambio con i suoi compagni di stanza e Nina
(Fotinì Peluso). Già, perché non c’è salvezza –
evidentemente – senza amore.
La resa cinematografica
della storia della rinascita del protagonista, mette in scena i
movimenti necessari che sfuggono alla routine quotidiana:
l’interdipendenza naturale tra l’individuo e la collettività. Non
c’è l’uno senza l’altra. Non è possibile inserirsi in contesto
sociale innescando dinamiche sane, quando non si ha la piena
coscienza e stima di sé.
Ma, fortunatamente, la
serie riesce a parlare di tutto restando a debita distanza dalla
pesantezza. In tal senso gli attori hanno un effetto centrale con
l’interpretazione dei ruoli affidatigli. Chi, probabilmente,
subisce di più la fatica del dover assemblare una maggior quantità
di aspetti contraddittori è Federico Cesari. Il suo Daniele è uno
scanzonato romanaccio, ma al contempo un animo sensibile,
grezzo, aggressivo ma impaurito. Una prova attoriale complessa che
talvolta non fa gettare il ragazzo fino in fondo alle viscere del
personaggio.
Ad ogni modo importa
poco. A chiedere la salvezza è ognuno dei personaggi raccontati
nella serie: un microcosmo che svela la trasparenza della verità
che chiunque si porta dietro. Non è possibile sfuggire (d)a se
stessi, e meno male che è così. Questa storia mette in scena
quanto, a volte, è dalla situazione più maledetta che si rinasce
davvero. Dopotutto: “dai diamanti non nasce niente, dal letame
nascono i fior”.
Roma è un cucciolo di lupa, ma
crescerà e divorerà tutto ciò che la circonda. È un monito
quello che apre la seconda stagione di
Romulus (qui la recensione della prima
stagione), la serie ideata da Matteo Rovere a
partire dal suo film Il primo re. Se nella
prima stagione si erano seguiti i processi che hanno portato alla
formazione dei protagonisti e della mitica città, in questa seconda
il cuore narrativo è invece rivolto alla volontà di Roma e i suoi
abitanti di ottenere i giusti riconoscimenti, difendere i propri
confini e prosperare in un territorio quanto mai selvaggio e
brutale. Con Romulus II – La guerra per
Roma, si entra dunque nel vivo dell’epico racconto
concepito da Rovere.
Rincontriamo dunque i protagonisti
lì dove li avevamo lasciati. Wiros e Yemos sono i re di Roma, un
co-reggenza che genera non poche confusioni in chi è abituato a
relazionarsi con un solo sovrano, specialmente considerando che
Yemos è un ex schiavo. La nascita della nuova città, in
particolare, va molto poco a genio a Titos, re dei Sabini, tanto
giovane quanto crudele, il quale non tarderà a lanciare una
violenta sfida per la supremazia. Ora che la guerra sembra dunque
inevitabile, Roma e il suo popolo dovranno dimostrare di essere
all’altezza delle voci sul loro conto.
Aria di guerra a Roma
L’atmosfera su cui si apre
Romulus II è dunque un’atmosfera particolarmente cupa, con
uno scontro che si comprende essere inevitabile e che rappresenterà
il climax della stagione. Con i due episodi mostrati in anteprima
nel corso della Festa del
Cinema di Roma si entra quindi all’interno di una
serie di giochi di potere che rendono i rapporti tra tutti i
personaggi particolarmente tesi. Lo scontro vero e proprio,
infatti, arriverà probabilmente non prima degli ultimi episodi, in
attesa dei quali le due fazioni dovranno però armarsi e prepararsi
alla guerra, ricercando alleati o le giuste strategie per poter
sperare di vincere.
La Roma di Wiros e Yemos è infatti
isolata, essendosi inimicata tutti i popoli circostanti. È una
città appena nata e già apparentemente condannata ad una sconfitta
certa. È dunque compito dei due re trovare il modo per scongiurare
tale esito, dimostrando di non aver dato vita ad un mero fuoco di
paglia. Si parla dunque di onore, di bisogno di superare le
aspettative e affermarsi contro tutto e tutti. I primi due episodi
di otto appaiono particolarmente concentrati nel trasmettere tutto
ciò, densi di eventi realmente significativi allo sviluppo tanto
del racconto quanto della psicologia dei personaggi.
A spiccare in particolare è però il
Titos interpretato dal giovane Emanuele Di
Stefano, attore apparso anche in La scuola
cattolica e Il filo invisibile. Il suo re è un
giovane capriccioso e viziato e che proprio per ciò può rivelarsi
più pericoloso di quanto la sua fisicità esile lascerebbe
immaginare. Bastano due episodi a Titos per ambire dunque ad essere
la vera star di questa stagione. Accanto a lui, degne di nota sono
anche le interpretazioni di Andrea Arcangeli nei
panni di Wiros e di Marianna Fontana in quelli
della guerriera Ilia.
Romulus II e quella
crescente cura per i dettagli
L’impressione, dunque, è che tutti
questi giovani personaggi si troveranno in questa stagione ad un
bivio, che li porterà a crescere e prendere percorsi di vita
tutt’altro che indolori. Le loro interpretazioni sono certamente
aiutate anche da una maggiore cura nelle scenografie, nei costumi e
nel trucco. Ancora una volta Romulus si dimostra una serie
ambiziosa da questo punto di vista, che trova proprio nella sua
estetica un elemento di forte vanto. Tutti questi elementi
combinati insieme sono poi ovviamente funzionali per trasmettere
quel senso di arcaicità che tanto contribuisce al fascino della
serie.
Tra riti pagani, messe
propiziatorie e sacrifici agli dèi, Romulus II si
preannuncia ancor più violenta, barbarica, con sequenze d’azione
che non si risparmiano neanche sui dettagli più crudi. Matteo
Rovere, che dirige i primi due episodi, sembra dunque aver voluto
puntare ancor più in alto rispetto a quanto fatto con la prima
stagione. D’altronde, per quanto la meta di questa serie possa
essere tutto sommato anticipabile, è il percorso nel mezzo che può
regalare sorprese interessanti. Tra affascinanti descrizioni del
contesto e personaggi sempre più carichi di emotività, ci sono
tutte le premesse per poter assistere a qualcosa di molto
forte.
Django – La
serie, con la direzione artistica di
Francesca Comencini, regista dei primi quattro
episodi, è un progetto internazionale ambizioso, coproduzione
Italia – Francia e Sky Original, cast stellare e
variegato, che un primo risultato lo ha già prodotto. In occasione
della presentazione al pubblico, infatti, la direttrice artistica
della Festa del
Cinema, Paola Malanga, unitamente
alla presidente della giuria del concorso principale,
Marjan Satrapi, hanno consegnato a Noomi Rapace, che di Django è l’antagonista,
il Premio alla Carriera – Progressive Lifetime
Achievement Award, dedicato alle figure che, “pur
avendo iniziato la loro carriera non da molti anni, hanno già
lasciato il segno”, ha spiegato Malanga. Nel ringraziare per
il premio ricevuto, di cui si è detta onorata, Noomi Rapace ha voluto così lanciare il
proprio messaggio di solidarietà alle donne iraniane che stanno
dando vita alle proteste di questi giorni: “Ho solo tre parole
da dire: donna, vita, libertà”.
La trama di Django –
La serie
New Babylon è una città americana, nata in un cratere nel
1872. Accoglie tutti, affinché tutti siano liberi e uguali. John
Ellis, Nicholas Pinnock, ne è la guida. Qui arriva
Django, Matthias Schoenaerts, in cerca degli assassini
della sua famiglia. Vi trova sua figlia Sarah, Lisa Vicari, che credeva morta. Poco lontano
da New Babylon si trova Elmdale City. Le due città sono rivali,
quanto lo sono le concezioni di chi le guida. John Ellis accoglie
chi ne ha bisogno, senza giudizi morali. Così trovano rifugio a New
Babylon prostitute, galeotti e soprattutto neri, altrove
discriminati. A Elmdale, invece, tutti obbediscono alla signora
Thurman, Noomi Rapace, acerrima nemica di Ellis,
fervente cattolica con zelo moralizzatore, che per le sue
convinzioni non esita a mettersi a capo di una confraternita. Una
sorta di corpo speciale di giustizieri, che si propongono di far
rispettare i principi in cui credono, con qualunque mezzo. Django
si troverà al centro della lotta fra le due città e troverà il modo
di farsi accogliere a New Babylon, per stare vicino a sua figlia e
tentare di recuperare il rapporto con lei, che ritiene il padre
responsabile dello sterminio della loro famiglia.
Da Gomorra a
Django con un cast internazionale
Dopo aver diretto con successo
alcuni episodi di Gomorra
– La serie, Francesca Comencini
torna a lavorare sulla
serialità. Stavolta, ispirandosi liberamente al western di
Sergio Corbucci, Django,
che fu un vero cult. Per quest’avventura, che la regista ha pensato
come omaggio al western, ma anche rivolta all’oggi, Comencini fa
certamente tesoro dell’esperienza di
Gomorra e porta con sé parte di quel
team. La serie in dieci episodi è infatti creata e scritta da
Leonardo Fasoli e Maddalena
Ravagli. Con loro, Francesco Cenni, Michele
Pellegrini e Max Hurwitz. Alla regia –
Comencini dirige i primi quattro episodi – anche
David Evans – Downtown Abbey – e Enrico
Maria Artale – Romulus – La
serie. Per quel che riguarda gli attori, oltre ai
nomi succitati, troviamo Jyuddah James,
Benny O. Arthur ed Eric Kole, che
interpretano i figli di John Ellis, ma vi sono anche diverse
presenze italiane: da Vinicio Marchioni, a
Franco Nero, che compare in un cameo, a
Manuel Agnelli.
Stile e ritmo in
Django – La serie
È stata certo una bella sfida
adattare uno spaghetti western degli anni Sessanta, già oggetto di
rifacimenti e omaggi, al linguaggio moderno della serialità.
Comencini l’ha condotta con grande perizia,
dandogli una veste nuova, adatta ad un pubblico giovane e
internazionale. Come per altre grandi produzioni seriali nostrane
della storia recente – basti pensare a Gomorra e Romulus
– la spettacolarizzazione è un aspetto molto presente. Serve a
portare quel tipo di pubblico dentro la storia, per poi
fidelizzarlo grazie all’approfondimento delle vicende dei singoli
personaggi. Dunque, sfide, sparatorie, scene cruente non mancano.
Si privilegiano i primi piani molto stretti e c’è molta attenzione
ai dettagli. L’ambientazione americana è ricreata in Romania in
modo molto accurato e con un efficace lavoro di scenografie e
costumi, per rendere tutto il più verosimile possibile. La regista
sa destreggiarsi bene in questo campo, dominando anche le scene
d’azione, cui riesce a conferire il giusto ritmo.
La forza delle
donne
A sorpresa, ma forse non troppo,
visto che dietro la macchina da presa e alla direzione artistica
del progetto c’è una donna, la vera forza di Django –
La serie, sono proprio le figure femminili.
Comencini punta convintamente su di loro. I
personaggi femminili sono quelli che colpiscono, lasciando il segno
nello spettatore, restando impressi per coraggio, forza d’animo,
anche spietatezza, come nel caso della Signora Thurman interpretata
da Noomi Rapace, ma non senza le loro fragilità.
Così anche per la talentuosa Lisa Vicari, che interpreta Sarah, la figlia
di Django. Sono loro, più che Matthias Schoenaers
o Nicholas Pinnock, le vere protagoniste di questa
storia, simboli dell’eterna lotta tra bene e male, sebbene non vi
sia una visione così rigidamente manichea. Il Django di
Schoenaers – Un sapore di ruggine e ossa, The Mustang – sbiadisce al confronto.
Anche questo, forse, un segno dei tempi.
Dopo il
Django di Corbucci e quel tributo
eccentrico e appassionato che è stato Djangounchained di Quentin Tarantino, un film culto dell’era
western italiana si rinnova ancora, assumendo una forma più
congeniale a questi tempi. Prodotto da
Cattleya, Atlantique, Sky
Studios e Canal+, Django – La
serie, sarà visibile in esclusiva su
Sky dal 2023 e in streaming solo su
NOW.
Ryan Murphy
continua a galoppare verso il successo della serialità e lo fa con
The Watcher, mini-serie true crime basata sulla
reale storia della famiglia Broaddus, che nel 2014 acquistò una
casa nel New Jersey iniziando a ricevere strane lettere da una
persona che si firmava “L’Osservatore”.
Dopo il successo di
Dahmer, che aveva conquistato il podio di Netflix, anche
The Watcher riesce ad ottenere un punteggio da
capogiro e si piazza immediatamente, come il suo “predecessore”,
fra le serie più viste sulla piattaforma streaming. Indice che la
firma di Murphy, insieme a Ian Brennan, lascia
sempre il segno.
The Watcher, la trama
Dean (Bobby
Cannavale) e Nora (Naomi
Watts) Brannock si trasferiscono insieme ai figli nel
New Jersey a seguito di un investimento dell’uomo per l’acquisto di
una suggestiva e antica casa: la 657 Boulevard. Sin dal loro arrivo
nella cittadina, i coniugi sono oggetto di giudizio e osservazione
da parte dei loro singolari vicini, i quali non apprezzano molto la
loro presenza in quell’abitazione.
Non appena la famiglia Brannock
inizia a prendere confidenza con la casa, alcune lettere sinistre
iniziano ad arrivare nella cassetta della posta, infrangendo come
un vaso di vetro la loro placida quotidianità. Il mittente è
sconosciuto, si fa chiamare l’Osservatore. La disperata ricerca
della sua identità inonderà di disperazione e paranoie la vita dei
Brannock, rompendo anche il precario equilibrio che hanno con gli
abitanti del loro vicinato.
Ossessione e avidità, il vero
baricentro del true crime
The Watcher a
primo impatto può sembrare una serie tv ibrida: un thriller che si
modella con l’aggiunta di componenti horror. Seppur la trama abbia
dettagli simili al genere, l’orrore non si riscontra nei jump
scare o nella presenza di elementi sovrannaturali, bensì
nell’avidità e nell’ossessione insita nei
personaggi. Sono queste caratteristiche a costituire la
cifra dominante della trama, e a muovere i protagonisti all’interno
della scacchiera nell’incessante tentativo di farli cadere. Di
fargli compiere quella mossa sbagliata che decreterà la conclusione
di ogni cosa. Quello che l’Osservatore sottolinea spesso, sin dalla
prima lettera, è proprio l’avidità, una costante di tutti i
proprietari della 657 Boulevard. E questa avidità è madre
dell’ossessione di tenere a tutti i costi una casa problematica, ma
talmente bella e costosa da non potervi rinunciare.
Partendo dall’Osservatore,
ci si addentra in una profondità molto più oscura, il vero
abisso, che è quello della finzione. Colui che guarda la
famiglia Brannock è un occhio che diventa Lo sguardo di una società
improntata sull’apparenza della ricchezza, nonostante questa non
sia supportata da un’economia familiare stabile. Dean Brannock è la
rappresentazione massima di un uomo che vuole essere ciò che non
può, e che sprofonda nella dissennatezza non appena cerca di farlo.
Eccole lì, quindi, avidità e ossessione. Due facce della stessa
medaglia che portano su un piatto il fulcro di The
Watcher: la doppiezza del genere umano.
Una struttura narrativa
fragile
Murphy ha impiegato ben poco a
sistemare l’incidente scatenante nello sceneggiato, tanto da
fondersi con l’incipit. L‘arrivo delle lettere,
infatti, aggancia immediatamente lo spettatore, sia in
termini di emotività che di razionalità. Subito si chiede:
cosa farà ora la famiglia Brannock? Un espediente narrativo
costruito in maniera semplice ma efficace, che provoca una scissione in chi osserva: vuole sapere, ma ha
l’ansia di saperlo. La spina dorsale impiantata nella storia –
ossia il desiderio profondo e lo sforzo del protagonista per
ripristinare l’equilibrio nella propria vita – è affidata quasi in
toto a Dean. È lui il primo a venire inghiottito dai misteri della
casa e dalle inquietanti lettere che ogni giorno trova nella
cassetta della posta. Beat dopo beat il protagonista si consuma nel
vano tentativo di rincorrere una verità che viene continuamente
nutrita di indizi volti a depistarlo.
In un découpage molto classico,
la macchina da presa inizia progressivamente ad essere
quell’osservatore non desiderato che si infila non solo
nella vita del personaggio, ma anche nella sua mente. Ne capta i
pensieri, le ossessioni, le follie. Quasi quanto Dean, anche Nora
comincia a brancolare nel buio e nella disperata ricerca di stanare
il colpevole. I figli rimangono presenze marginali nell’evolversi
della trama, privi di personalità ma anche di parti cruciali nella
sceneggiatura. Un elemento di troppo, ma di cui alla fine non ci si
accorge neppure se non per quelle poche volte che il padre mostra
una morbosa gelosia nei confronti della figlia. Il problema però
arriva dopo.
I primi episodi sono, in termini
narrativi, strutturalmente furbi, e riescono a far progredire la
storia con un ritmo incalzante e veloce. La tensione è palpabile.
Murphy la scatena facendo credere allo spettatore di aver risolto
lui stesso il caso, deve solo aspettare di vederlo. E seppur
vengano inserite sequenze e sotto-trame fatue che annichiliscono i
personaggi, l’attenzione rimane alta fino alla fine poiché la
tecnica del mostrare è ipnotizzante. Ma quando i titoli di coda
compaiono, e si riavvolge il nastro per ripercorrere tutta la
trama, quello che resta è il vuoto totale. La “chiusura” di
The Watcher è indecifrabile. Ciò che disturba è
aver dato troppi elementi inutili e pochi indispensabili per poter
davvero apprenderne l’intreccio. I protagonisti sono stati
trascinati con forza all’episodio conclusivo, e sono stati
sgonfiati di qualsiasi loro caratteristica e motivazione. Quando la
carne si lascia per troppo tempo sulla brace, rischia di
carbonizzarsi.
Lo “sbriciolamento di trama” di
The Watcher si nasconde fino all’ultimo. Murphy è
stato maestro nel non permettere di abbandonare la storia, perché
stregati dal suo stile, facendo credere che il “bello dovesse
ancora arrivare”. E non arriva mai. Ma è proprio questa la bravura
dei registi di un certo spessore: continuare a tenere incollato lo
spettatore seppur il prodotto non stia più eccellendo. È pur vero
però che sarebbe stato meglio fermarsi qualche puntata prima.
A colmare almeno in
parte tale lacuna arriva INVERSO – The
Peripheral, serie prodotta da Amazon Prime Video che vede protagonisti Chloë Grace Moretz e Jack Reynor, con il supporto prezioso di
Eli Goree, Gary Carr,
Chris Coy e soprattutto T’Nia
Miller.
Difficile, quasi
impossibile riassumere la storia dello show, tanto complessa e
articolata si rivela la trama dell’adattamento da Gibson. Al centro
della storia ci sono i due fratelli Flynne (Moretz)
e Burton Fisher (Reynor),
i quali attraverso un meccanismo di (presunta) realtà virtuale si
trovano coinvolti in un intrigo più grande di loro, un gioco di
potere che coinvolge criminali, assassini, marchingegni che posseggono il potere di
trasferire la mente di una persona non soltanto in un corpo
diverso, ma anche in un altro tempo.
Diviso in due
ambientazioni molto precise e antitetiche tra loro,
INVERSO – The Peripheral possiede almeno
in parte quello che la fantascienza e in generale ogni prodotto
fantastico dovrebbe avere, ovvero una messa in scena che si fa
metafora capace di diventare specchio del nostro tempo. Da una
parte c’è l’America rurale, che stenta a sbarcare il lunario, dove
le uniche soluzioni per tenere lontana la fame della povertà sono
l’esercito o il crimine; dall’altra invece la Londra elegante e
ricca dove si muovono coloro che controllano denaro e potere, e di
conseguenza la vita degli altri. Molti altri.
Un’America rurale nello scenario sci-fi
Se quest’ultimo setting
serve principalmente a fornire a INVERSO – The
Peripheral l’estetica del prodotto sci-fi e l’azione
più spettacolare, è la prima a costituire il cuore pulsante
dell’operazione. I giovani personaggi che hanno dato tutto o quasi
alla patria, usciti dall’ennesima guerra devastati nell’anima
quanto nel corpo, rappresentano in filigrana piuttosto chiaramente
quello che è successo negli Stati Uniti negli ultimi vent’anni, a
partire dall’invasione di Afghanistan e successivamente Iraq. Anche
se alla lontana, e ovviamente con le dovute proporzioni, lo show si
riallaccia a quella rappresentazione del Paese rurale e sull’orlo
del baratro che molto bene è stata esposta negli ultimi anni da
alcuni film indipendenti, primo tra tutti Un gelido inverno di
Debra Granik.
INVERSO – The
Peripheral racconta gli stenti, la durezza della
vita, le decisioni prese perché non se ne possono scegliere altre
di strade: dietro la confezione sci-fi, la serie lo espone in
maniera sorprendentemente profonda. Peccato che tale lucidità nello
sguardo traslato sul presente non sia purtroppo supportata dalla
parte “virtuale” che vede Londra come teatro principale: in questo
caso il divertimento propriamente legato al genere è garantito, ma
al tempo stesso proprio tale conformità rende lo spettacolo più
lieve, forse addirittura superficiale. Tale dualità incide sulla
riuscita complessiva del progetto che vede coinvolti Jonathan Nolan
e Lisa Joy, anche se bisogna ammettere che il contrasto creato dai
due universi si sviluppa con discreta energia propositiva.
I protagonisti sono il punto forte
Il punto però veramente
forte di INVERSO – The Peripheral sono i
due protagonisti, sorprendentemente affiatati e capaci di mostrare
tutte le pieghe di un rapporto fratello/sorella profondo anche se
contrastato, cementato dal dolore e dalle difficoltà. La
Moretz fornisce la prova migliore da anni a questa parte,
mentre Reynor conferisce al suo personaggio un carisma e una
stringatezza a tratti davvero impressionanti.
Buon prodotto di
fantascienza, sviluppato con intelligenza e attenzione all’estetica
della confezione, INVERSO – The
Peripheral offre uno spettacolo perfetto per chi
cerca intrattenimento adulto e non scontato. E per coloro che
cercano un prodotto capace di gettare uno sguardo non preconcetto
al mondo che stiamo vivendo dietro la lente del genere, questo show
può riservare più di una sorpresa.
Quanto erano mancate le
pareti rosa shocking del resort più amato del Messico e quanto è
confortante tornare a Las Collinas per Acapulco
2, la seconda stagione della serie Apple TV+ che, dopo
una
prima stagione travolgente in cui ha sfoggiato location,
personaggi e storie semplici ma genuine, arriva sulla piattaforma
con un secondo ciclo in cui non solo rivediamo i personaggi che
abbiamo amato, ma ne continua le vicende con un piglio energico,
andando in profondità e mantenendo allo stesso tempo quello spirito
di leggerezza e di “vacanza” che è diventato marchio distintivo
della serie creata da Austin Winsberg, Eduardo
Cisneros e Jason Shuman.
Acapulco 2, dove eravamo rimasti?
Le storie raccontate in
Acapulco 2 prendono le mosse esattamente da dove
si era conclusa la prima stagione: è il primo giorno dell’anno 1985
e tutti si stanno riprendendo da una notte folle. Maximo ha
litigato con Don Pablo e ha scoperto che, Julia, la donna che ama è
ora promessa sposa di Chad, figlio della sua datrice di lavoro e
per questo, per certi versi, suo superiore. Inoltre, l’atmosfera a
casa non è delle più distese tra la madre, Nora, e la sorella,
Sara, che faticano a gestire il loro rapporto e un grande segreto
che la seconda tenta di nascondere alla prima. L’ambizione di
Maximo lo spingerà a fare cose impensate, mentre intorno a lui
tutti i suoi amici e conoscenti sembrano attraversare dei momenti
di cambiamento e presa di coscienza, eventi che cambieranno per
sempre le sorti di tutti.
Mai cambiare una formula
vincente. Questo deve essere stato il criterio guida degli
showrunner di Acapulco 2 che ripropone lo stesso schema della prima
stagione, arricchendo però la portata con qualche nuovo personaggio
e dando profondità agli archi narrativi dei personaggi. E se Maximo
è il carattere più “in vista” e più soggetto a contrastare le maree
avverse, anche gli altri personaggi si addentrano in territori
sconosciuti e acque ignote che rischiano di agitarsi
moltissimo.
Più in profondità, più lontano
Ogni personaggio, in
Acapulco 2, avrà la sua piccola tempesta da affrontare, anche con
discrete difficoltà. Sara dovrà imparare a lottare per se stessa e
per la consapevolezza di sé, mentre Nora dovrà imparare ad
accettare il cambiamento e la diversità, scegliendo l’amore sopra
ogni altra cosa. Julia si troverà a compiere una scelta imprevista
mentre Chad scoprirà che il cammino davanti a sé è tutto da
scoprire. Insomma, nessuno viene lasciato indietro, e mentre Maximo
è comunque il nostro narratore onnisciente, che conduce la storia
dal presente, gli altri personaggi acquistano sempre più spazio e
spessore, con il protagonista che spesso resta in secondo piano per
dare precedenza a tutti gli altri.
Questa alternanza al
timone della serie arricchisce i punti di vista e rende la
narrazione ancora più briosa e avvincente. Così come Las
Collinas è un rifugio di pace e tranquillità, anche
Acapulco 2 si conferma una serie confortevole,
quasi, un prodotto feeling good che ci concede una piccola fuga
dalla realtà, un luogo popolato da personaggi simpatici e da
situazioni tragicomiche che non ci spaventa affrontare. Una fuga,
senza pretese e senza troppe ambizioni, ma proprio per questo
onesta, da una quotidianità monotona.
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022 nella sezione
Un Certain Regard, da qualche mese Il
corsetto dell’imperatrice mantiene alta la sua reputazione
nel circuito dei Festival di cinema, soprattutto per quanto
riguarda l’interpretazione della splendida Vicky
Krieps, qui nei panni dell’Imperatrice Elisabetta
d’Austria, moglie di Francesco Giuseppe
I, conosciuta ai più semplicemente come
Sissi.
Il corsetto dell’imperatrice: una vita “ristretta”
Il destino da cui
Sissi avrebbe voluto sfuggire – era stata scelta
come propria sposa dall’imperatore Francesco Giuseppe, che avrebbe
dovuto sposare la sorella Nenè – è il fulcro tematico del film di
Marie Kreutzer, regista austriaca che guarda con
occhio disincantato dal punto di vista storico, ma non esente da
rielaborazioni favolistiche, la storia del suo Paese.
Il titolo del film si ispira a uno
degli accessori più infelicemente utilizzati da
Sissi soprattutto negli ultimi anni di vita: il
corsetto, rigorosamente strettissimo a sottolinearne il
punto vita, il fisico scolpito dai rigidi allenamenti e dalla dieta
pressante cui si sottoponeva l’Imperatrice, cercando di
riposizionare il suo esercizio del potere dalla sfera sociale a
quella privata. Il film della Kreutzer è forse il
primo in assoluto a togliere vita al personaggio di
Sissi, a volerne mostrare le pieghe nell’animo,
quelle che gli studi storici hanno sempre messo in evidenza ma i
prodotti audiovisivi hanno voluto accuratamente non considerare,
scegliendo di romanticizzare la relazione tra Elisabetta e
Francesco Giuseppe.
La Sissi de
Il corsetto dell’imperatrice non si perde nella
lettura, non impara, sa già le lingue, non si entusiasma per
niente; non ha più un ruolo – ma riflette nella sua persona la
decadenza di un Impero – non si reca più in Ungheria, non è stimata
dal popolo.
Uno sguardo che è prigione ma anche desiderio
Nelle nuove idee audiovisive di
biopic, quali i recenti Blonde e Spencer, c’è sempre un eccesso di emozione,
che sia paura, ribellione, angoscia, depressione: nella
rielaborazione di Kreutzer, c’è solo apatia. Tutti
i personaggi parlano allo stesso modo, non vi è colonna sonora – se
non qualche aggiunta musicale lontana da ogni caratterista sulla
scena – e che intima agli spettatori di andarsene via, di non
fermarsi ad ascoltare la storia di una donna che non voleva essere
più guardata – a dispetto del culto della bellezza da cui
Sissi era diventata ossessionata e del suo
desiderio inconscio di bramare lo sguardo altrui su di sè, piegando
il concetto di vanità esteriore alla necessità di sentirsi
compresi.
La Hofburg –
residenza della coppia imperiale per gran parte dell’anno e che
Sissi considerò sempre una prigione – assume ne
Il corsetto dell’imperatrice i connotati
dell’ospedale psichiatrico: quelli a cui fa visita spesso, che
cerca di sostenere anche economicamente; c’è qualcosa che la attira
nella condizione di isolamento dei pazienti, che le ricorda
l’anomia dei palazzi che abita, in cui le aspirazioni e gli
obiettivi tanto privati quanto sociali rimangono indeterminati e
l’ormai limitatissimo vigore del potere imperiale assume
concretezza.
Una storia che non esiste
Quella di Marie
Kreutzer è una Sissi che non viene mai
chiamata così: è una “semplice” Imperatrice, il cui ruolo
socio-politico è stato ridotto a mera performance; mancano i tratti
tipici della sua persona, la vitalità e l’ardore con cui studiava e
imparava. Non è mai in un posto fisso, eppure non visita mai quelli
che erano notoriamente il suo rifugio o, se vi si reca, ne calpesta
il suolo in punta di piedi, senza essere effettivamente presente
dal punto di vista psicologico.
Siamo di fronte a un personaggio
totalmente scollegato da ogni affetto e location che le è stata
imposta: non riesce mai a stabilizzarsi sul minimo livello di
contatto affettivo, neanche con i figli, appena con le damigelle –
che piegherà a sua immagine e volontà. Nella sceneggiatura de
Il corsetto dell’imperatrice, non verranno mai
espressamente dichiarati i disturbi alimentari e psichici di cui
Elisabetta soffriva e le violenze che imponeva a
se stessa: sono flagelli che rimangono paradossalmente suggeriti,
che lo spettatore deve silenziosamente cogliere, arrivando ad
accettare che Sissi non riuscirà mai a
esplicitarli nè ai personaggi sulla scena nè a noi fruitori della
storia che vorrebbe solo fosse sua, senza nessun disturbatore
esterno.
Un corsetto che, a dispetto delle
piaghe sul corpo, più viene stretto meno dolore provoca: essere
Imperatrice non è un compito per tutti e chi non lo hai mai
desiderato in primo luogo decide di disfarsene così. Sissi stringe,
si autoflagella, rende pressante ogni circostanza per lasciare
andare tutto; si butta a capofitto nel mare dell’anonimato, dove
può mimetizzarsi e delegare la scrittura della sua storia a noi
spettatori, senza indicazioni chiare. Inventiamo, prendiamo in
giro, riscriviamo: questo è ciò che avrebbe voluto
Sissi e che a
Elisabetta è sempre stato negato.
Attesa sulla piattaforma streaming
per l’11 novembre, Mammals è una breve serie tv
formata da una sola stagione di sei episodi da venti minuti l’uno:
breve ma intensa. Scritta dall’inglese Jez Butterworth
(Le
Mans ’66) e diretta da Stephanie Laing (Love
life), la serie è una commedia dai tratti drammatici,
tendenti al paradosso. Nel cast ritroviamo James
Corden (Into
the woods) nel ruolo di Jamie, Melia
Kreiling (Tyrant,
i guardiani della galassia) come Amandine, Sally
Hawkins (La
forma dell’acqua,
Spencer) e
Colin Morgan (Merlin) nei panni di Lue e
Jeff.
Mammals: la storia di una coppia
(im)perfetta
Jamie ed Amandine sono una normale
coppia sposata: vivono una esistenza normale a Londra con una
figlia, Greta, e sono in dolce attesa. Tutto però inizia a
precipitare quando Amandine perde il bambino: nell’organizzare una
piccola cerimonia per il piccolo mai nato, Jamie si ritrova il
cellulare della moglie, e qui inizia a scoprire tutti i segreti
della sua amata. Prima il misterioso Paul, poi Dave, ed infine
Jason: Jamie scopre tutta una fitta rete di tradimenti di Amandine,
grazie all’aiuto di Jeff, suo cognato. Il rapporto tra i due
diventa sempre più teso fino a rompersi definitivamente.
Parallelamente, anche Jeff vive dei
problemi di coppia con Lue, sua moglie e sorella di Jamie.
Quest’ultima, in una situazione di insoddisfazione, si rifugia in
un mondo di fantasia: scoperta una biografia di Coco Chanel,
finisce per calarsi completamente nella vita della stilista,
arrivando ad immaginarsi al suo fianco. Vivendo questa illusione,
trascura totalmente Jeff arrivando a considerarlo solo un “muppet”,
ovvero una sorta di pupazzo, di stupido. La realtà problematica di
queste due relazioni finirà per intrecciarsi.
Jamie e Jeff che discutono su una panchina
Mammals: l’amore impossibile
Serie come Mammals
ci permettono di vedere dall’interno tutti i complicati meccanismi
che regolano un rapporto di coppia, con tutta la sua serie di bugie
e tradimenti, reali o solamente immaginati. Arrivati all’ultimo
episodio, con il discorso di Amandine, si finirà per mettere in
discussione l’idea stessa di relazione monogama: la dimensione
amorosa, familiare finisce per distaccarsi dalla sfera prettamente
sessuale. Delle relazioni extraconiugali prettamente fisiche
possono essere considerati come tradimento? Alla fine, anche
il più moralista finisce per macchiarsi di questo “peccato”, che si
tratti della vita reale o semplicemente di fantasie.
Analizzando le vicende, è facile
riscontrare un classico cliché culturale: Amandine, colei che
tradisce e professa un amore più libero, è francese. Uno spettatore
poco attento potrà considerare questa come una semplice
coincidenza, ma se ci si riflette questo elemento deriva dal
pregiudizio per cui i francesi vengono considerati poco fedeli e
molto liberi dal punto di vista sessuale ed amoroso.
Mammals nel totale
è una serie con un ritmo molto spedito, breve e facile da seguire;
anche la presenza di un sottofondo musicale teso ed incalzante
aiuta a creare uno stato di suspense e di mistero in tutta la
storia.
Nei primi episodi si ritrovano anche
alcune scene molto forti ed espressive: la prima rappresenta Lue
nel bosco, dove trova un cervo morente e con una sola mossa da fine
alle sue agonie. La seconda scena, invece, riguarda sempre Lue,
questa volta intenta a fare il bagno in un lago nel bosco, con il
suo vecchio vestito da sposa indosso. Questa particolare scena è
molto affascinante perché richiama un po’ l’immagine di locandina
del film di Lars Von Trier Melancholia,
in cui è raffigurata la protagonista interpretata da Kirsten Dunst
nell’acqua con l’abito da sposa.
Quattro personaggi a confronto
Mammals ruota tutta
attorno a quattro personaggi principali: Jamie ed Amandine da una
parte, e Jeff e Lue dall’altra. Tutti e quattro si rivelano essere
ben diversi da ciò che sembravano ad un primo sguardo.
Jamie dal primo episodio ci viene
mostrato come un marito molto innamorato e fedele, così da essere
profondamente sconvolto dal comportamento della moglie; Amandine è
dipinta fondamentalmente come uno spirito libero, una donna che
svolge praticamente una doppia vita, quella della madre di famiglia
e quella senza limiti della persona indipendente che è.
Anche Jeff sembra essere un uomo
molto interessato alla propria famiglia, preoccupato per il
progressivo allontanamento della moglie da lui e dalla realtà
familiare in generale. Lue invece è l’unica protagonista per cui è
reso chiaro dal primo episodio il suo stato d’animo: si tratta di
una sorta di insoddisfazione per la realtà, per il marito, che la
porta a chiudersi in sé stessa. In tutti e quattro i
personaggi si rivelerà una parte oscura, segreta.
Di origini italiane, l’attrice
Marina Squerciati si sta facendo notare per i suoi
ruoli televisivi, dove ha già dato prova di buone capacità
nell’adattarsi a ruoli e contesti diversi. Apparsa anche al cinema,
l’attrice si è dimostrata pronta nel fare il grande salto, in
attesa di un ruolo che possa consacrarne la carriera.
Ecco 10 cose che non sai su
Marina Squerciati.
Marina Squerciati carriera
1. I film. Il
debutto cinematografico dell’attrice avviene nel 2006 con il film
Hold. Successivamente prende parte al film E’
complicato, dove recita accanto a Meryl
Streep e Alec Baldwin. Prende poi
parte a Frances Ha (2012), Sparks (2013), La
preda perfetta (2014) e Central Park (2016).
2. Le serie TV.
Particolarmente ricca è invece la sua carriera televisiva, che
vanta partecipazioni alle serie Criminal Intent (2009),
The Good Wife (2010), Blue Bloods (2011),
Gossip Girl (2011-2012), The Americans (2013),
Law & Order: Unità Speciale (2011-2015), Chicago
Fire (2014), Chicago Med (2015), Chicago
Justice (2017) e Chicago P.D., dove dal 2014 ricopre
il ruolo di Kim Burgess.
Marina Squerciati social
network
3. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un profilo personale verificato, seguito da 481 mila
persone. All’interno di questo è possibile trovare fotografie
scattate in momenti di svago o durante le pause sui set a cui
l’attrice prende parte.
4. Ha un profilo su
Twitter. L’attrice è inoltre attiva anche sul social
network Twitter, dove ha oltre 120 mila followers. Qui la
Squerciati è solita condividere aggiornamenti sui propri progetti,
ma anche rilasciare notizie sulla propria vita privata o esprimere
la propria opinione su notizie di attualità.
Marina Squerciati vita
privata
5. E’ sposata.
L’attrice è sposata con Eli Kay-Oliphant, che non ha a che fare con
il mondo dello spettacolo. Verso la fine del 2016 l’attrice prende
una pausa dalla serie Chicago P.D. per via della
maternità, e nel febbraio 2017 la coppia dal alla luce la loro
prima figlia. La nascita viene annunciata dall’attrice sul suo
profilo Twitter.
Marina Squerciati Chicago
P.D.
6. Ha interpretato il ruolo
in più occasioni. L’attrice è celebre per il ruolo
dell’agente Kim Burgess, tra i protagonista della
serie Chicago P.D., dove recita accanto all’attore
Jason Beghe. L’attrice ha poi ripreso il ruolo
anche in altre serie ambientate nello stesso universo narrativo,
ovvero Law & Order: Unità Speciale, Chicago Fire,
Chicago Med e Chicago Justice.
7. All’inizio le era più
facile ricoprire il ruolo. Nelle prime stagioni della
serie l’agente Kim Burgess ha un carattere più mite, che si
indurisce con il progredire della sua carriera nella polizia di
Chicago. Per l’attrice risulta complesso calarsi nel nuovo
carattere del personaggio, mentre si trovava più in sintonia con il
modo di fare gentile delle prime puntate, poiché è quello che ha
anche lei nella vita di tutti i giorni.
8. Non sa come evolverà il
suo personaggio. L’attrice si è dichiarata stupita ed
entusiasta dell’arco narrativo del suo personaggio, affermando
tuttavia che non sa quali ulteriori strade questo intraprenderà.
Gli sceneggiatori infatti tengono in gran segreto i futuri risvolti
della serie, affinché anche gli attori possano vivere di volta in
volta questa crescita.
Marina Squerciati patrimonio
9. Chicago P.D. è
stata la sua fortuna. L’attrice ha ormai raggiunto un
buono status grazie ai suoi ruoli cinematografici e televisivi, ma
è con la serie Chicago P.D. che ha raggiunto degli ottimi
guadagni, raggiungendo un patrimonio stimato di circa 2,5 milioni
di dollari.
Marina Squerciati età e
altezza
10. Marina Squerciati è
nata a New York, Stati Uniti, il 30 aprile 1984. L’altezza
complessiva dell’attrice è di circa 170 centimetri.
Noto principalmente per i suoi
ruoli televisivi, l’attore Jesse Lee Soffer si è
nel corso degli anni costruito una solida carriera, che gli ha
permesso di diventare un volto noto e di misurarsi con ruoli e
contesti sempre diversi. In attesa della consacrazione definitiva,
il grande pubblico può apprezzarlo nelle diverse serie di successo
dove figura tra i protagonisti.
Ecco 10 cose che non sai di
Jesse Lee Soffer.
Jesse Lee Soffer carriera
1. I film. La
carriera cinematografica dell’attore ha inizio a soli otto anni,
nel 1993, con il film Matinée. Successivamente ottiene
ruoli di rilievo in Ritrovarsi (1994), La famiglia
Brady (1995), e Il ritorno della famiglia Brady
(1996), dove interpreta il ruolo di Bobby Brady. Dopo una pausa di
circa dieci anni, in cui si è dedicato a terminare gli studi,
l’attore torna al cinema con Il mio sogno più grande
(2007) e In Time (2011), dove recita al fianco di Justin
Timberlake.
2. Le serie Tv.
Parallelamente l’attore porta avanti la sua carriera televisiva,
comparendo nelle serie Due gemelle e una tata (1998),
Sentieri (1999), Così gira il mondo (2004-2010),
The Mentalist (2011), The Mob Doctor (2012-2013),
Chicago Fire (2013), Chicago P.D. (2014-in
corso), Law & Order – Unità vittime speciali (2014-2015),
Chicago Med (2015).
Jesse Lee Soffer social
network
3. Ha un account su
Instagram. L’attore è presente sul social network
Instagram con un profilo verificato, seguito da 828 mila persone.
All’interno di questo l’attore è solito condividere fotografie
scattate in momenti di svago, ma numerose sono anche le foto
promozionali dei progetti a cui l’attore prende parte.
4. E’ attivo anche su
Twitter. L’attore è inoltre molto attivo sul suo profilo
Twitter, dove è seguito da oltre 200 mila persone. Qui Soffer è
solito condividere news riguardo i suoi progetti, ma anche
esprimere il suo parere riguardo notizie di attualità. Molto
spesso, inoltre, risponde alle domande dei fan circa le loro
curiosità.
Jesse Lee Soffer vita privata
5. Ha frequentato sue
colleghe. Dal 2014 al 2016 l’attore ha avuto una relazione
con la collega Sophia Bush, conosciuta sul set di Chicago
P.D., terminata poi in modo amichevole. Dal 2018 al 2019 ha
invece frequentato l’attrice Torrey DeVitto, conosciuta sul set di
Chicago Med.
Jesse Lee Soffer Chicago P.D.
6. Ha interpretato il ruolo
in più occasioni. Nella serie l’attore interpreta il ruolo
del detective Jay Halstead. Soffer ha poi ripreso tale personaggio
per apparire anche in alcune puntate delle serie Chicago Fire,
Chicago Med e Law & Order – Unità vittime speciali,
tutte appartenenti allo stesso universo narrativo.
7. Non ha usato
controfigure. Stando a quanto dichiarato dall’attore, per
le scene d’azione presenti nella serie non ha fatto ricorso ad una
controfigura, ma le ha affrontate egli stesso. Tale notizia è stata
poi confermata dai produttori dello show, i quali hanno aggiunto
che l’attore si allena ogni giorno per mantere un’ottima forma
fisica proprio per affrontare le sfide del set.
Jesse Lee Soffer premi e
nomination
8. E’ stato nominato agli
Emmy. Per il suo ruolo nella soap opera Così gira il
mondo, l’attore è stato nominato come miglior giovane attore
in una serie drammatica rispettivamente negli anni 2006, 2007 e
2008, tuttavia non ha mai riportato vittorie.
Jesse Lee Soffer patrimonio
9. Il suo patrimonio è
cresciuto negli anni. Grazie ai suoi numerosi ruoli
televisivi, l’attore ha ad oggi affermato il proprio status,
ottenendo ottimi guadagni. In particolare la serie Chicago
P.D. ha segnato la sua fortuna, facendogli raggiungere un
patrimonio stimato di circa 6 milioni di dollari.
Jesse Lee Soffer età e
altezza
10. Jesse Lee Soffer è nato
a Ossining, nello Stato di New York, Stati Uniti, il 23
aprile 1984. L’altezza complessiva dell’attore è di 178
centimetri.
Ancora poco nota al grande
pubblico, l’attrice Missy Peregrym ha comunque
negli anni costruito una carriera televisiva degna di nota, con
partecipazioni a serie di successo che le hanno permesso di
misurarsi con ruoli e generi sempre diversi. L’attrice è oggi uno
dei nomi su cui puntare, in attesa di un ruolo che possa
consacrarne le qualità.
Ecco 10 cose che non sai
sull’attrice.
Missy Peregrym carriera
1. I film. La
carriera cinematografica dell’attrice si compone per ora di soli
due ruoli, essendo lei attiva principalmente in televisione. Il suo
debutto avviene ad ogni modo nel 2006, con il film Stick It –
Sfida e conquista, dove interpreta la protagonista Haley
Graham. Successivament prende parte al film Backcountry
(2014).
2. Le serie TV.
Negli anni l’attrice ha preso parte a numerose serie di successo, e
tra queste si annoverano Dark Angel (2002), Black
Sash (2003), Smalville (2004), Life as We Know
It (2004-2005), Heroes (2007), Reaper – In
missione per il Diavolo (2007-2009), Rookie Blue (2010-2015), Law & Order – Unità
vittime speciali (2017), Van
Helsing (2017-2018) e FBI,
dove dal 2018 interpreta l’agente Maggie Bell.
Missy Peregrym vita privata
3. Ha sposato Zachary
Levi. Nel 2014, l’attrice sposa alle Hawaii il
protagonista del film Shazam!. La
notizia sorprende in quanto la loro relazione era stata tenuta
segreta. Tuttavia i due divorziano l’anno seguente.
4. Si è sposata una seconda
volta. Dopo aver divorziato da Levi, l’attrice ha sposato
in seconde nozze l’attore australiano Tom Oakley. La cerimeonia si
è svolta a Los Angeles nel 2018.
Missy Peregrym Instagram
5. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un proprio profilo verificato, seguito da 140 mila
persone. All’interno di questo l’attrice è solita condividere
fotografie scattate in momenti di svago con amici o colleghi. Non
mancano anche foto tratte dal dietro le quinte dei set a cui
l’attrice partecipa.
Missy Peregrym FBI
6. Il ruolo le ha permesso
di mostrare nuove qualità. L’attrice si è dichiarata
entusiasta del ruolo, il quale le ha permesso di mettersi in mostra
come protagonista e di mostrare aspetti di sé che ancora non si
erano rivelati. La sua presenza diventa così il vero cuore e motore
della serie, e l’attrice ha modo di mostrare tanto il lato emotivo
quanto quello più battagliero del personaggio.
7. Cerca di calarsi il più
possibile nel ruolo. L’attrice ha dichiarato che quello di
FBI
è il set più fatico su cui si sia mai trovata. Le lunghe giornate
di riprese e le numerose sequenze d’azione mettono a dura prova la
sopportazione dell’attrice, che ha tuttavia trovato il modo di
riutilizzare questo stress per rendere meglio la sua
interpretazione del personaggio. Ciò le permette infatti di
trasmettere in modo ancor più realistico la fatica e la tensione
provate da un agente dell’FBI in uno qualunque dei propri giorni di
lavoro.
Missy Peregrym Stick It
8. Ha dovuto allenarsi per
il ruolo. In Stick It, il suo debutto
cinematografico, l’attrice interpreta una teenager ribelle forzata
a prendere parte al competitivo mondo della ginnastica. L’attrice
tuttavia non aveva mai praticato tale sport, e ha dovuto passare
diverse settimane ad allenarsi duramente per ottenere la forma
fisica richiesta per le riprese.
Missy Peregrym patrimonio
9. Ha raggiunto ottimi
guadagni. Grazie ai suoi numerosi ruoli televisivi, e in
particolar modo grazie alla serie FBI, l’attrice ha
consolidato i propri guadagni, raggiungendo un patrimonio stimato
di circa tre milioni di dollari.
Missy Peregrym età e altezza
10. Missy Peregrym è nata a
Montreal, in Canada, il 16 giugno 1982. L’altezza
complessiva dell’attrice è di 166 centimetri.
Noto in particolare per la sua
partecipazione a celebri serie TV, Billy Brown è
negli anni divenuto un volto noto del piccolo schermo, affermandosi
anche grazie alla versatilità dimostrata nel tempo. Con una buona
parte di pubblico ormai sua fan, è lecito aspettarsi una continua
scalata al successo per l’attore, che vive attualmente un momento
particolarmente prolifico. Ecco 10 cose che non sai su
Billy Brown.
Billy Brown: le serie TV e i
film
10. Ha recitato in celebri
serie televisive. L’attore debutta sul piccolo schermo con
un ruolo marginale in As Told by Ginger (2000-2003), e
dopo essere comparso in titoli come E-Ring (2005-2006),
Dirt (2007-2008), Californication (2009) e
Criminal Minds (2007-2010), recita in un ruolo di maggior
rilievo in Lights Out (2011). Negli anni successivi
conferma la propria popolarità partecipando a serie come Dexter
(2011-2012), con Michael
C.Hall, The Following
(2013), Hostages (2013-2014), Sons of Anarchy
(2012-2014), con Charlie
Hunnam, per poi divenire celebre con il ruolo di Nate
Lahey in Le regole del delitto
perfetto (2014-2020), con Viola
Davis.
9. Ha recitato anche per il
cinema. Meno ricca, la filmografia per il cinema
dell’attore vanta comunque diversi titoli significativi, come
Geronimo (1993), che segna il debutto sul grande schermo
dell’attore, Il Mondo Perduto – Jurassic Park (1997), con
Jeff
Goldblum, Cloverfield (2008), La terrazza
sul lago (2008), Corsa a Witch Mountain (2009) e
Star Trek
(2009) di J. J.
Abrams, con protagonista Chris
Pine.
8. Si è distinto come
doppiatore. Grande appassionato di videogiochi, l’attore
ha in diverse occasioni ricoperto il ruolo di doppiatore per titoli
come Jet Set Radio (2000), Terminator 3: Rise of the
Machines (2003), Star
Wars: Knights of the Old Republic II – The Sith Lords
(2004), The Matrix: Path of Neo (2005), e Star Wars:
The Force Unleashed (2008). Ha inoltre partecipato alla serie
animata Adventure Time, doppiando il ruolo del Re
Vampiro.
Billy Brown è su Instagram
7. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram, anche se il suo account risulta piuttosto inattivo. Con
soli 1.382 followers, questo presenta soltanto 6 post, di cui
l’ultimo risale al settembre del 2019. Brown non sembra per tanto
intenzionato ad usufruire della piattaforma per condividere proprie
novità personali o lavorative.
Billy Brown è sposato?
6. È molto
riservato. Nonostante negli ultimi anni sia diventato
sempre più celebre in ambito televisivo, l’attore è riuscito a
mantenere un velo di mistero sulla sua vita privata e sentimentale.
Sembra certo che egli non sia sposato, ma non è possibile stabilire
se viva attualmente una relazione o meno, e il suo silenzio sui
social network non aiuta ad avere informazioni a riguardo.
Billy Brown in Dexter
5. Ha recitato nella sesta
stagione della celebre serie. Nel 2011 l’attore entra a
far parte della serie Dexter, apparendo per la prima volta nel ruolo
del detective Mike Anderson nell’episodio Smokey and the
Bandit. Ha recitato in un totale di 12 episodi, comparendo per
l’ultima volta in Are You…?. Il suo personaggio, detective
della omicidi, viene trasferito da Chicago a Miami, dove si troverà
ad interagire con il protagonista.
Billy Brown: il suo fisico
4. Si è fatto notare per la
sua forma fisica. Nella serie Le regole del delitto
perfetto l’attore si è in più occasioni fatto notare per
essere apparso a torso nudo, sfoggiando un fisico ai limiti dello
scultoreo. Brown è infatti sempre stato attento alla propria forma
fisica, allenandosi duramente per poter soddisfare i ruoli da lui
ricoperti.
Billy Brown: il suo workout
3. Per i suoi allenamenti
si ispira ad un noto attore. L’attore ha dichiarato che
durante i propri allenamenti è solito concentrarsi molto sul lavoro
da svolgere. Il suo modello a tal riguardo è l’attore ed ex
wrestler Dwayne
Johnson, noto per la sua devozione all’allenamento
fisico.
Billy Brown: il suo
patrimonio
2. È un attore molto
pagato. Grazie ai suoi ruoli in celebri serie TV, l’attore
ha avuto modo di raggiungere un patrimonio di tutto rispetto,
stimato intorno ai 2 milioni di dollari. Data la presenza sempre
più fissa di Brown in televisione, è lecito aspettarsi un
incremento di tale somma.
Billy Brown: età e altezza
1. Billy Brown è nato a
Inglewood, in California, Stati Uniti, il 30 ottobre 1970.
L’attore è alto complessivamente 189 centimetri.
Nota per i suoi ruoli televisivi,
l’attrice Aja Naomi King ha nel giro di pochi anni
dimostrato un talento degno di nota, tanto da fa scommettere in
molti su di un suo roseo futuro. Apparsa anche al cinema in alcuni
noti lungometraggi, l’attrice continua a guadagnare apprezzamenti
da parte della critica e del pubblico. Ecco 10 cose che non
sai di Aja Naomi King.
Aja Naomi King: i suoi film e le
serie TV
10. Ha recitato in noti
lungometraggi. L’attrice debutta al cinema nel 2011 con un
ruolo nel film Damsels in Distress – Ragazze allo sbando,
per poi apparire in Four (2012), 36 Saints (2013)
e Professore per amore (2014), dove recita accanto agli
attori Hugh Grant, Bella
Heathcote e J. K.
Simmons. Si fa poi notare grazie al suo ruolo nel film
The Birth of a
Nation (2016), e di nuovo nel film Sempre amici
(2017) con gli attori Bryan
Cranston e Kevin
Hart.
9. Ha preso parte a note
produzioni televisive. Maggiormente nota per i suoi ruoli
televisivi, l’attrice inizia a farsi notare recitando in alcuni
episodi delle serie Blue Bloods (2010), Person of
Interest (2012), The Blacklist (2013), con James
Spader, Emily Owens, M.D. (2012-2013),
Deadbeat (2014) e Black Box (2014). Conquista poi
fama internazionale grazie al ruolo di Michaela Pratt nella serie
Le regole del delitto
perfetto (2014-2019), con protagonista Viola
Davis.
Aja Naomi King è su Instagram
8. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da un milione di persone.
All’interno di questo l’attrice è solita condividere diverse
tipologie di foto ritraenti momenti di svago, luoghi visitati o le
cerimonie di gala a cui ha preso parte. Non mancano inoltre anche
immagini promozionali dei suoi progetti da interprete.
Aja Naomi King e Alfred Enoch
7. Si vocifera di una
relazione con il collega. Da anni si parla di una storia
d’amore nata sul set della serie Le regole del delitto
perfetto, ovvero quella tra l’attrice e il collega
Alfred Enoch. Particolarmente riservati, i due non
hanno mai confermato tali voci, ma non hanno neanche smentito una
loro relazione. In più occasioni sono stati infatti visti comparire
insieme ad eventi di gala.
6. I loro personaggi non
hanno avuto storie d’amore. Di solito quando si sente
parlare di possibili amori nati sul set, è perché spesso anche i
personaggi interpretati dagli attori coinvolti hanno una relazione
presente in sceneggiatura. Nel caso della King e di Enoch, invece,
i rispettivi personaggi compiono percorsi separati, ognuno con le
proprie storie e vicissitudini.
Aja Naomi King: le sue
origini
5. È cresciuta in
America. Nonostante siano ignote le origini dei genitori o
dei nonni dell’attrice, è certo che la King possiede pure radici
americane, essendo nata e cresciuta a Los Angeles. Alcuni tratti
somatici, così come anche il suo primo nome, hanno tuttavia tratto
più volte in inganno i suoi fan.
Aja Naomi King in The Birth of a
Nation
4. Era favorita per i premi
Oscar. Per la sua interpretazione del personaggio Cherry
in The Birth of a Nation, l’attrice ha ricevuto alcune
delle lodi più lusinghiere della sua carriera. In molti
scommettevano su una sua sicura nomination agli Oscar, ma con il
film caduto nell’ombra anche la performance dell’attrice è stata in
breve oscurata da quella di altre interpreti.
Aja Naomi King in Le regole del
delitto perfetto
3. Lo considera il ruolo
della sua vita. Per l’attrice ottenere una parte di
rilievo nella serie è stata la vera occasione per lanciare la
propria carriera. Il suo provino è avvenuto tramite Skype, con la
qualità audio e video non sempre ottima, ma ciò non le ha impedito
di convincere i produttori ad assegnarle la parte.
2. Ha ricevuto preziosi
insegnamenti da Viola Davis. La King ha affermato che tra
le cose che più le rimarranno impresse della serie vi è il lavoro
svolto con l’attrice Viola Davis. Questa è era
solita raccontare le proprie esperienze, così da fornire alla
giovane attrice degli esempi da poter seguire nella sua
carriera.
Aja Naomi King: età e altezza
1. Aja Naomi King è nata a
Los Angeles, in California, Stati Uniti, l’11 gennaio
1985. L’attrice è alta complessivamente 165 centimetri.
L’attore Jack
Falahee ha all’attivo ancora pochi titoli nella sua
filmografia, eppure grazie ad alcuni titoli televisivi di successo
è riuscito ad affermarsi come volto ormai riconoscibile. Con la
serie
Le regole del delitto perfetto, dove recita tra i
protagonisti, ormai alle porte, l’attore sembra essere pronto per
farsi scoprire in ruoli che possano portare alla luce nuovi aspetti
del suo talento. Ecco 10 cose che non sai di Jack
Falahee.
Jack Falahee: i film e le serie TV
dove ha recitato
10. Ha recitato in una
popolare serie televisiva. La carriera dell’attore ha
inizio in televisione nel 2012, quando prende parte ad un episodio
della serie Submissions Only. Successivamente recita in
The Carrie Diaries (2013) e nel film televisivo In
fuga per amore (2013). Ottiene maggior popolarità grazie al
ruolo di Charlie McBride in Twisted (2014), e con la
visibilità raggiunta ottiene il ruolo di Connor Walsh in
Le regole del delitto
perfetto (2014-2020), dove recita accanto agli attori
Viola Davis, Billy Brown
e Aja Naomi
King. Recita inoltre anche nella serie Mercy
Street (2016-2017).
9. Ha preso parte ad alcuni
film per il cinema. Ancora volto sconosciuto per il
pubblico della sala cinematografica, l’attore ha negli avuto modo
di prendere parte a piccoli film, per lo più non distribuiti in
Italia, come Hunter (2013), Tokarev (2014), dove
recita accanto a Nicolas
Cage, Blood and Circumstance (2014),
Slider (2014), Lily & Kat (2015), Campus
Code (2015), Cardboard Boxer (2016), We Are
Boats (2018), The Song of Sway Lake (2018) e
Berserk (2019).
Jack Falahee è su Instagram
8. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 1,4 milioni di persone.
All’interno di questo, con oltre duemila post, Falahee è solito
condividere fotografie varie, ritraenti momenti di svago, luoghi
visitati, curiosità dai set frequentati o ancora immagini
promozionali dei suoi progetti da interprete.
7. Condivide sul social le
sue esibizioni da musicista. Sul suo account Instagram
l’attore è inoltre solito condividere gli ultimi aggiornamenti
riguardanti il suo duo musicale, chiamato Diplomacy, del quale è il
cantante. Diversi sono infatti i video e le immagini dove è
possibile ascoltare le loro prove o le loro esibizioni.
Jack Falahee: le GIF a lui
dedicate
6. I fan gli hanno dedicato
numerose GIF. Divenuto ormai una celebrità del piccolo
schermo, l’attore ne ha acquisita ulteriore sul Web, dove numerosi
spettatori hanno realizzato e pubblicato GIF con lui protagonista.
Queste vengono usate principalmente per descrivere stati d’animo e
per rivedere in loop alcune delle espressioni più celebri
dell’attore all’interno della serie. È infatti possibile trovarne
una gran quantità, anche da poter scaricare.
Jack Falahee in Le regole del
delitto perfetto
5. Inizialmente era stato
scartato. Spinto da un suo amico, l’attore si presentò
all’audizione dei casting di Le regole del delitto
perfetto, ma non superò la prima fase di selezione. Tuttavia,
i produttori decisero in seguito di apportare delle modifiche al
personaggio di Connor, riaprendo così i casting. L’attore si
presentò nuovamente, e stavolta riuscì a convincere i produttori di
poter incarnare i nuovi aspetti del personaggio che essi
cercavano.
4. Ha una sua precisa scena
preferita. L’attore ha dichiarato di essere
particolarmente fiero del lavoro svolto nella serie, ma che la sua
scena preferita non è una che lo vede coinvolto. Si tratta invece
di quando Annalise, interpretata da Viola Davis, è
davanti allo specchio a togliersi il trucco, le ciglia e la
parrucca. Una scena intensa che ha particolarmente colpito
l’emotività dell’attore.
3. Ha dichiarato di essere
etero. Nella serie, il personaggio ricoperto dall’attore è
di orientamento omosessuale. Falahee si è detto stupito di quanti
si preoccupassero di sapere se anche lui fosse o meno gay,
affermando che queste non dovrebbero essere le vere domande da
porsi. L’attore si è comunque dichiarato etero, affermando però di
essere un convinto sostenitore dei diritti LGBT.
Jack Falahee e l’Italia
2. Ha origini
italiane. L’attore ha dichiarato essere particolarmente
affascinato dai modi di fare italiani, ritrovandovi una certa
teatralità a cui si ispira per la sua recitazione. Falahee ha
inoltre due nonni nati e tutt’ora residenti in Italia, il che
conferisce anche a lui delle origini legate al Bel Paese.
Nonostante abbia ammesso di non esservi ancora mai stato, l’attore
ha promesso di compiere quanto prima un viaggio alla scoperta delle
meraviglie della penisola.
Jack Falahee: età e altezza
1. Jack Falahee è nato a
Ann Arbor, in Michigan, Stati Uniti, il 20 febbraio 1989.
L’attore è alto complessivamente 173 centimetri.