Una vicenda produttiva
turbolenta, riprese interrotte dallo scoppio della pandemia, pause,
dubbi sul cast: il fatto che il 3 marzo in
sala arrivi The Batman sembra già un
piccolo miracolo. Un thriller cupo, duro, completamente ambientato
di notte e sotto la pioggia, una detective story all’altezza di
Seven, un lavoro di rielaborazione di un
immaginario forte e persistente, dopo più di ottanta’anni di
racconti sulle pagine a fumetti e oltre 30 sul grande schermo.
Un’operazione così intelligente e riuscita, così solida e in
controtendenza in un mercato saturo di adattamenti dai fumetti, che
la sensazione di trovarsi davanti a un miracolo si replica dopo la
visione.
The Batman, nessuna icona
Dopo tanti film, tante
letture e interpretazioni del
Cavaliere Oscuro era difficile fare qualcosa di originale o
iconico, e Matt Reeves, con The
Batman, non fa né l’una né l’altra cosa. Si allontana
dalle icone della mitologia del personaggio, farcisce il suo film,
lunghissimo, di citazioni, rimandi, sapori e visioni.
Tra cinema fumetto
musica e videogiochi crea un universo unico che ha per sfondo
Gotham, una città sudicia e marcia, battuta da una pioggia
costante, che vediamo soltanto di notte, piena di spazzatura e
criminalità, una città perduta in cui i bassifondi si popolano di
criminali, sorvegliati dalle torri gotiche che svettano contro un
cielo nuvoloso e livido, che riflette costantemente un bat-segnale
rudimentale, ancora una volta non l’icona che conosciamo, ma un
adattamento, un grosso faro rimediato, uno strumento di
comunicazione che diventa utile, funzionale e perde la sua
solennità. Come succede alla Batmobile, alla Bat-caverna, al
costume, sporco graffiato e macchiato di fango e sangue.
Rinuncia alle icone,
quindi, ma anche all’originalità, impastando Fincher con i fumetti
e i videogiochi e con quanto realizzato da
Todd Phillips in
Joker, allontanandosi da Nolan e da Burton,
eppure utilizzandoli come paradigma per cosa non essere, e trovare
così la sua strada.
Batman e Enigmista,
lo scontro
In The
Batman, Bruce Wayne è l’alter ego di Batman, è lui che si
nasconde, mentre l’Uomo Pipistrello sorge fiero dall’ombra per
perpetrare la sua generica vendetta contro una città che ha
commesso il peccato di non essere pura e perfetta. Se l’Enigmista
è il cattivo, che si erge a giustiziere contro i vertici della
città, che hanno fatto affari con la malavita, contribuendo a farla
marcire, Batman non è troppo diverso da lui.
Le due figure si
specchiano l’una nell’altra ma, a differenza dei Batman e
Joker di Nolan, che erano nettamente separati dalla granitica
consapevolezza del Cavaliere Oscuro contro la volontà caotica del
Clown Principe del Crimine, qui arrivano a confondersi e a
sovrapporsi, fino a che uno dei due non si rende conto della
differenza, della distanza che separa la vendetta dalla
consapevolezza. Il Batman di
Robert Pattinson non vuole diventare un simbolo, né un
eroe, né un riferimento, lui vuole la vendetta a tutti i costi in
nome di una purezza che non esiste, nemmeno nelle persone che
idolatriamo e a cui vogliamo bene. Ma come un ragazzino idealista
si renderà conto che la sua città ha bisogno di una mano tesa e di
qualcuno che le dia speranza, non un vendicatore ma un
soccorritore.
I prodotti di una città
marcia
Gloriosi contro la Gotham livida di
Matt Reeves si stagliano Bruce Wayne/Batman e
Edward Nashton/Enigmista, lo Yin e
lo Yang, due opposti che hanno un punto di contatto e che
da una condizione comune scelgono di percorrere strade diverse.
Sono entrambi prodotti della città, entrambi orfani e cresciuti
senza l’amore dei genitori, entrambi alla ricerca di vendetta.
Robert Pattinson è un Batman sottile, rispetto alle
sue precedenti iterazioni, tormentato, immaturo, segnato, è in un
limbo in cui non è più ragazzo e non è ancora uomo, si pone tante
domande sulla sua identità, sul suo scopo, sulla sua eredità, si
mette in discussione.
Paul Dano è invece un Enigmista molto a fuoco,
concentrato sul suo proposito, incrollabile nella sua convinzione,
dedito al piano che ha messo meticolosamente a punto, un pazzo
perfettamente in possesso delle sue capacità. E i due interpreti
infondono in entrambi un’anima, delle vibrazioni emotive potenti,
una costruzione dei personaggi ineccepibile.
The Batman ha un cast
perfetto
Niente sembra fuori
posto in The
Batman, a partire dai tanti personaggi messi in
scena. Ogni componente della mitologia del Cavaliere Oscuro
si inserisce alla perfezione nella storia: Pinguino di
Colin Farrell che tanto ha del gangster e che
incontriamo quando non è ancora sbocciato a pieno come boss del
crimine; la sensualissima Catwoman di
Zoë Kravitz, che nonostante strizzi l’occhio a
Michelle Pfeiffer, porta con sé una profondità
e delle sfumature inaspettate; il raffinatissimo Carmine
Falcone/John
Turturro, il faro della giustizia di Gotham Jim
Gordon/Jeffrey
Wright, l’inedito Alfred Pennyworth/Andy
Serkis.
Come la storia che
racconta, anche lo stile di The Batman è ricco,
misto di influenze, di echi e di suggestioni, in cui l’azione, la
padrona della scena nel genere supereroistico, è relegata a qualche
scena (indimenticabile è l’inseguimento del
Pinguino), mentre prevalgono i tempi dell’attesa,
dell’indagine, della riflessione, della scoperta del prossimo
indizio che condurrà ad un altro e un altro ancora, fino alla
risoluzione del caso. The Batman è un frutto della
lezione di Joker,
la conferma che se vuole far fruttare le sue IP DC Comics, la
Warner Bros deve accantonare il “modello Marvel” e affidarsi alla potenza
dei personaggi e ai filemaker che li rispettano ma che non hanno
paura di trasformarli per raccontarli al pubblico
contemporaneo.
The
Batman è una discesa nelle fogne di Gotham, un
tortuoso percorso ad ostacoli nella mente di un ragazzo disturbato
che esce di notte a picchiare i criminali e che ha bisogno del suo
tempo, del suo rito di passaggio, della sua quota di botte, per
diventare davvero e con consapevolezza il Crociato Incappucciato di
una città per la quale non smetterà mai di lottare.
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