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Star Wars si trasforma in horror? L’ideatore di Midnight Mass rivela il suo desiderio

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Mike Flanagan vuole portare l’ombra dell’horror anche nel mondo di Star Wars. Flanagan, nome affermato nel genere horror, regista e ideatore della serie Midnight Mass, lancia in rete la sua idea: ”Mi piacerebbe molto realizzare un film dell’orrore per l’universo Star Wars…”

Il post su Twitter di Mike Flanagan risale a ieri pomeriggio e già oggi riporta più di 1500 retweet e 24mila like. Il regista scrive: ”Questa mattina sono stato svegliato dal terremoto, così ho avuto modo di sedermi per qualche minuto e pensare: mi piacerebbe molto realizzare un film dell’orrore per l’universo Star Wars…”.

Ovviamente la rivelazione di Mike Flanagan ha innescato un’ondata di speculazioni online: oltre ai fan degli horror di Flanagan e quelli di Star Wars, anche alcuni personaggi del settore hanno espresso la loro sull’idea del regista. Il collega Edgar Wright (Ultima notte a Soho) ha risposto scherzosamente con “Don’t Be Afraid Of The Darth”, facendo riferimento al titolo dato ai Signori dei Sith in Star Wars. Perfino la star di Midnight Mass Rahul Kohli, che ha lavorato con Flanagan anche in The Haunting Of Bly Manor, ha espresso la sua dicendo “Ohhhhhhh hai letto il mio diario!”.

Per il momento, non sembra esserci nessun progetto concreto che veda coinvolto il franchise di Star Wars e Mike Flanagan. Certamente, vista la crescente notorietà del regista a livello internazionale, la possibilità di un horror movie inserito nel mondo Star Wars non è da escludere. Il franchise ha in programma il film Rouge Sqadron, la cui uscita è prevista per il 2023. Data l’ampiezza delle galassie di Star Wars, forse ci sarà spazio in futuro anche per Flanagan.

Mike Flanagan: la carriera del regista

Flanagan nasce a Salem in Massachusetts nel 1978. Trasferitosi a Los Angeles, inizia a lavorare come montatore. Nel 2011 arriva a dirigere il suo primo lungometraggio, Absentia, portando sul grande schermo la sua passione per il genere horror: seguono SomniaOuija – l’origine del male. Prima nel 2016 con Hush – Il terrore del silenzio, poi nel 2018 con la sua serie horror The Haunting of Hill House, grazie a Netflix il nome di Flanagan si afferma a livello globale. Oggi il regista è uno dei principali creativi contemporanei del genere. La serie di quest’anno Midnight Mass è il più recente progetto solista del regista ed è attualmente disponibile su Netflix.

Lucca Comics & Games: nuovi biglietti disponibili

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Lucca Comics & Games: nuovi biglietti disponibili

Una buona notizia per tutti i fan di Lucca Comics & Games che non sono riusciti ad acquistare gli 80.000 biglietti previsti: da stasera, lunedì 25 ottobre, a partire dalle ore 18 il portale ufficiale Vivaticket metterà a disposizione altri 2.500 biglietti giornalieri, per un totale di 10.000 nuovi ingressi complessivi per i quattro giorni di festival. 

A partire dalle ore 18 di oggi sarà quindi possibile acquistare questi nuovi biglietti solo online nel sito ufficiale Vivaticket. Previa registrazione, ogni utente potrà comprare un massimo di 2 ingressi per ogni giorno. Non sono previsti abbonamenti, i biglietti riguardano solo ingressi giornalieri.

Non saranno presenti biglietterie fisiche. Resta valido l’invito a recarsi a Lucca nei giorni del festival solo se in possesso di un biglietto valido: tutte le attività organizzate nell’ambito della manifestazione restano infatti accessibili solo previa presentazione del biglietto e del Green Pass. Sarà necessario inoltre indossare le mascherine anche fuori dai padiglioni. Il programma non prevede attività organizzate negli spazi pubblici cittadini.

Incontro ravvicinato con Tim Burton #RFF16

Incontro ravvicinato con Tim Burton #RFF16

La Festa del Cinema di Roma omaggia Tim Burton con il Premio alla carriera. Red carpet, foto di rito, con figli e cagnolino al seguito, e poi il regista è pronto per un incontro ravvicinato, occasione per ripercorrere le tappe della carriera che lo ha portato dal disegno per la Disney, dietro a una macchina da presa. Da regista ha potuto dare corpo ad un immaginario unico e sempre riconoscibile, con potenti legami al mondo dell’infanzia, ma anche con quella malinconia, quel senso di inadeguatezza e quelle atmosfere tipicamente dark che lo hanno sempre contraddistinto.

Riceve il Premio alla Carriera dalle mani di un maestro della scenografia come Dante Ferretti  – che vinse l’Oscar con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street – assieme a Francesca Lo Schiavo e alla costumista Gabriella Pescucci, con cui pure ha collaborato per La fabbrica di Cioccolato. “Ricevere questo premio mi riempie di gioia e orgoglio” dice il regista, “E’ un onore riceverlo dalle mani di questi tre grandi artisti. Ho avuto il piacere di lavorare con loro, ma mai abbastanza, spero di avere altre occasioni”. A proposito della città che lo ospita e lo premia afferma: “Roma è una città capace di catturare i sogni”.

L’esperienza alla Disney negli anni Ottanta

La carriera di Tim Burton ebbe inizio proprio come disegnatore alla Disney, in un momento non proprio favorevole: “Terribile! Si tratta degli anni più bui alla Disney. C’erano moltissime persone di enorme talento e creatività, invece si facevano film come Red e Toby nemiciamici, che richiedevano dieci anni di lavorazione. Avevi a disposizione figure geniali come John Lasseter, che poi hanno creato il mondo Pixar, ma non c’erano opportunità per tutti questi talenti. Sono stato fortunato, perchè ero un pessimo disegnatore di animazione. Mi dicevano che la volpe che avevo disegnato sembrava essere stata travolta da un’auto. Per fortuna ero così incapace che poi sono passato a fare altro!”.

L’omaggio a Mario Bava

All’interno del panorama cinematografico italiano, Burton sceglie di omaggiare Mario Bava. La maschera del demonio e Diabolik vengono montati in sequenza con il suo Batman. Le atmosfere oscure e anche una componente ironica sono elementi cari al regista americano.

Riconoscibile dunque una ispirazione al maestro dell’horror italiano, anche per quanto riguarda ambientazioni e scenografie. Burton parla così di Mario Bava: “Negli anni ’80 a Los Angeles andai ad un festival di cinema horror, una maratona di 48 ore. […] Normalmente ti assopisci, mentre io mi ricordo chiaramente il film di Mario Bava, La maschera del demonio, come un sogno. Sapeva catturare questo senso onirico tendente all’incubo. In pochi sono riusciti a catturarlo. Oltre a Bava, Federico  Fellini e Dario Argento”.  

La nascita di Edward mani di forbice

Burton spiega poi così da dove nasce l’idea di un personaggio come Edward, ovvero qualcuno che involontariamente ferisce chi ama: “Sfortunatamente, questa è stata la mia infanzia […] Ho sempre amato favole e fiabe. Le favole permettono di esplorare veri sentimenti aumentandone l’intensità. Io mi sentivo così da ragazzo.”

Allestimento scenografico, sceneggiatura e ispirazione nei film di Tim Burton 

Scenografie, costumi e messa in  scena hanno sempre avuto un ruolo importante nei film di Burton: “Ho avuto la grande fortuna di lavorare con straordinari artisti. Per me scenografia, musica, costumi fanno parte del film, come dei veri personaggi. Avendo avuto il privilegio di lavorare con Dante Ferretti e Gabriella Pescucci, per me la scenografia è fondamentale, penso ad esempio a Sweeney Todd.” Per quanto riguarda la scenggiatura, prosegue Burton: “Non mi reputo uno sceneggiatore. Parto dalle idee e cerco di stabilire dei rapporti di collaborazione con chi sa scrivere. Edward mani di forbice, ad esempio, nasce dalla mia esperienza. Nel caso di Nightmare before Christmas non era materiale mio, ma mi riconoscevo in alcuni suoi elementi. Cerco sempre di trovare qualcosa con cui io possa rapportarmi. 

A proposito poi di ispirazioni anche non convenzionali, su Mars Attacks! dice: “Dimenticate grandi romanzi, grandi opere letterarie. Sono partito dalle carte che avvolgevano le gomme da masticare. La mia è stata un infanzia un po’ contorta…”.

L’esperienza di lavoro con gli studios

Burton nella sua carriera ha sempre lavorato con grandi studi cinematografici. Così racconta la sua esperienza: “Ho fatto solo film con gli studios, sono stato in una posizione un po’ insolita perchè, nonostante questo, sono sempre riuscito a fare ciò che volevo. Ancora non riesco a capacitarmi. La cosa mi sorprende perchè si tratta di business. Ancora mi interrogo su come sia stato possibile. Per fortuna non hanno veramente mai capito cosa stessi facendo”. “Il cinema è un’opera collettiva. […] L’impegno collettivo è fonte di gioia. Quando si parla del budget […] non è mai abbastanza, poco o tanto che sia. È un po’ come cercare di controllare le condizioni metereologiche: ci sono tanti elementi intangibili”.

Tim Burton
Tim Burton – foto di Fabio Angeloni – Disney Italia

L’incontro con Stephen Sondheim per Sweeney Todd

Uno dei lavori forse più complessi di Tim Burton è Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street. Un adattamento del musical di Stephen Sondheim. Racconta Burton: “Fu molto difficile far vedere il film a Stephen. Per fortuna gli piacque, cosa che mi riempì di gioia. E’ una combinazione tra horror e musical. L’ha visto solo alla fine, ed ero molto preoccupato perchè nessuno degli attori era un cantante. Però lui non lo ritenne un problema, anzi. […] È stato di grande sostegno. 

Fare un musical è stato molto divertente. So che può sembrare assurdo, ma per me è stato un po’ come fare un film muto, perchè c’era sempre questa musica.”

 Big eyes, Ed Wood e il senso dell’arte

Nella carriera di Burton, alcuni film rimandano in qualche modo alla domanda su quale sia il senso dell’arte, su cosa si possa definire arte e cosa no. Uno di questi è senz’altro Big Eyes. Al centro del film la figura di Kean e i quadri dipinti da sua moglie, contraddistinti da personaggi dotati apputo di grandi occhi indagatori. “Ricordo quei quadri di Kean” afferma Burton, “si trovavano in tutte le case appesi alle mura del salotto. Io li ho sempre trovati un po’ inquietanti. Mi chiedevo come mai potesse piacere tanto. Questo ci porta a riflettere sul senso dell’arte. È interessante. Veniamo toccati in modo diverso da ciò che vediamo. Per me erano inquietanti. Altri li trovavano così carini da appenderli nelle camere da letto dei loro bambini. Questo ci fa riflettere sul senso dell’essere artista”. Una simile riflessione si può fare anche su Ed Wood, figura su cui Burton ha costruito l’omonimo film. “E’ straordinario”, dice il regista, “perchè Ed Wood pensava di stare girando Guerre Stellari. Aveva una passione tale che ritroviamo anche nei suoi diari. Si reputava tra i più grandi. Questo ci riporta al discorso che facevamo prima, in sostanza, su cosa è arte e cosa è merda”.

La sorpresa di una mostra al MoMA dedicata a Tim Burton

Infine, è interessante scoprire come ci si sente ad essere annoverati tra gli artisti cui è stata dedicata una retrospettiva al MoMA. Burton se ne dice onorato: “Questa retrospettiva è stata una sorpresa straordinaria. Io sono un pessimo archivista. Si è trattato di andare a frugare nei cassetti per trovare le oprere. E’ stato sorprendente e indimenticabile. Sorprese come queste ti riempiono di gioia. È stata la mostra che ha avuto più successo in assoluto tra quelle fatte. Non mi reputo un artista, però fa pensare il fatto che delle opere d’arte riescano in qualche modo ad ispirare gli altri”.

Incontro ravvicinato con Frank Miller #RFF16

Incontro ravvicinato con Frank Miller #RFF16

La presentazione alla Festa del Cinema di Roma del documentario Frank Miller – American Genius, diretto da Silenn Thomas, collaboratrice di lunga data di Miller, diventa l’occasione per una lunga chiacchierata con uno dei fumettisti più influenti del mondo contemporaneo. 

La regista racconta di aver conosciuto Miller sul set di 300. “Ero una piccola produttrice”. E racconta così la genesi del documentario: “Tanti suoi fan mi chiedevano perchè non ci fosse un documentario su Frank Miller. Gliel’ho chiesto, lui è stato d’accordo, così l’ho fatto”. Se però si chiede a Miller da chi vorrebbe essere interpretato, qualora si facesse un film di finzione su di lui, il fumettista non ha dubbi: “Da Meryl Streep. Lei potrebbe fare qualsiasi cosa. […] E’ impressionante per la sua capacità.” 

Come è nato 300

Molte curiosità riguardano ciò che ha influenzato l’arte di Frank Miller, a partire dalle influenze cinematografiche: “Un film che mi ha ispirato moltissimo è L’eroe di Sparta, del 1962. Lo vidi in una piccola sala […] Alla fine, morivano tutti. Con la morte degli eroi, ho modificato la mia visione. […] Fino a quel momento pensavo che tutti gli eroi dovessero sopravvivere e vincere su tutto e tutti. […] Giurai che avrei fatto un fumetto su questo tema. È così che è nato 300”. 

A chi gli domanda se i comics non siano un po’ la mitologia del nostro tempo dice: “Sì, mi piace pensare che i narratori di storie, chi ha la fortuna di avere un lavoro come il mio: artisti, fumettisti, registi, siamo tutti discendenti diretti di uomini delle caverne, che intorno al fuoco raccontavano ai compagni di una grande caccia, mentendo dll’inizio alla fine, vantandosi. Qualunque cosa che possa essere una storia accattivante, vera o meno, è un atto creativo.” Sulla possibilità di raccontare qualcosa che riguardi la storia di Roma, Miller argomenta così: “Roma ha tanta storia. Mi piacerebbe farlo. Quello che mi piace è la parte della ricerca. Io non ho una conoscenza approfondita della storia, ma adoro fare ricerche, studiare”. 

Jack Kirby, un maestro

Tanti sono gli artisti, i colleghi e i maestri del mondo del fumetto che lo hanno ispirato, molti dei quali ha avuto occasione di conoscere personalmente: “Ci sono stati tanti artisti, fumettisti, Jack Kirby – creatore tra gli altri de I fantastici Quattro, Hulk, Thor ndr- in primis. La sua influenza è costante. Poi ho scoperto Will Eisner – il creatore di Spirit ndr-. Sono loro le due influenze principali nella mia carriera”. Poi aggiunge Stan Lee, il primo creatore di Daredevil: “Incontrai Stan Lee quando iniziai a lavorare per la Marvel con Daredevil. […] Era incredibile, pieno di energia. Mi disse che Daredevil era un personaggio fantastico. Poi semplicemente e in modo eloquente mi spiegò i suoi punti salienti. Era cieco. Normalmente i supereroi sono noti per le loro abilità e non per le mancanze. Ma lui mi spiegò perchè questa era una gran ficata! […] Daredevil è sempre abbastanza in gamba da trovare delle soluzioni”. Anche l’incontro con Will Eisner è stato fondamentale nella carriera di Miller. Così ne parla: “Ero al Comicon a San Diego. Per me lui era un mito. Dal suo lavoro ho imparato tanti trucchi e anche il senso di una storia. […] Aveva grande personalità, grande intelletto. Se vogliamo riassumerlo in una parola, vedeva i fumetti come una forma nobile. Non erano qualcosa che riguardava solo i ragazzini. Era un’aspirazione per me. Quando lo conobbi stava per andare in pensione. […] Mi insegnò tantissimo, ma soprattutto il senso dell’etica. Non la lealtà verso un’azienda, ma come abbinare passione per il lavoro e difesa dell’onestà intellettuale. Professionalmnte è la fonte più preziosa a cui ho attinto.”

Frank Miller e i fumettisti italiani

Ci sono però anche due italiani che Miller cita: Milo Manara e Hugo Pratt: “Manara è uno dei più straordinari fumettisiti che abbiamo. Vidi per la prima volta il suo lavoro a New York. […] In lui c’era maestria, bellezza, coraggio. Non vedevo l’ora di incontrarlo. Quando l’ho incontrato, ho scoperato che conosceva il mio lavoro e lo capiva profondamente. Abbiamo stabilito un rapporto. […] Mi fa sempre piacere vederlo, quando capita”. Prosegue: “Pratt era straordinario. […] Lo scoprii e me ne innamorai. Aveva studiato moltissimo, aveva vissuto intensamente, viaggiato, compreso, imparato da Milton Caniff, conosceva la realtà internazionale. Si può capire quando ho scoperto Pratt, perchè stavo disegnando Ronin e improvvisamente compare questo lavoro a linee molto nette in bianco e nero. […] Lo incontrai a Lucca. Fu divertentissimo. Eravamo in hotel a colazione, qualcuno me lo indicò. Io mi  avvicinai. […] Lui fece un grugnito e mi indicò dicendo: io la conosco, per sei mesi ho tenuto uno dei suoi fumetti nella mia borsa. […] Era felice di vedere un americano che imitava degli europei. […] Abbiamo passato tutta la giornata insieme a chiacchierare. Era un grande artista”. 

Quindi Miller parla del suo processo creativo: “Mi intrufolo nelle case delle persone, rubo da loro. A volte osservo qualcosa per strada e scatta la molla. Oppure c’è una questione importante che riguarda la mia vita. Magari inizio senza rendermi conto di quale è stata l’ispirazione. Le storie si presentano”. Ciò che è importante, però, conclude, è che: “raccontare le storie è la mia funzione, non è qualcosa che coscientemente costruisco, mattone dopo mattone. È semplicemente il motivo della mia esistenza”. 

Tra i molti suoi lavori, uno dei più importanti è Sin City. Miller parla così di come è arrivato al cinema: “Il rapporto fra Sin City e il cinema è molto divertente. Ho iniziato la mia carriera scrivendo la sceneggiatura di un film che è stato un flop assordante: RoboCop 2. L’ho riscritto tante volte. […] Ci sono alcuni film che sono maledetti. […] Il caso citato rientra in questa casistica. Ho dato la colpa al mondo del cinema, dicendomi che sarei tornato a fare il fumettista, ma avrei fatto un fumetto che non potesse essere trasformato in film. Feci Sin City. Poi Robert Rodriguez mi disse che voleva farne un film. […] Gli dissi che non avevo nessuna voglia. Mi richiamò invitandomi ad andare in Texas e fare una scena di prova con qualche attore, non potevo rifiutare. Sul set gli attori si presentarono, erano talentuosi. Fecero la scena in due minuti, l’apertura del film. Dopo averla girata, ho stretto la mano a Robert e gli ho detto: ci sto!”. […] Fare Sin City è stato un sogno che si è realizzato”. 

Prosegue poi parlando del suo approccio alla regia e del suo rapporto con gli attori: “Forse sono un po’ strano come regista, perché adoro gli attori. Molti registi li considerano come dei narcisisti incapaci. Sì, sono narcisisti, ma adoro vedere la loro creatività e come riescono a dar vita a delle parole scritte.” 

Guardando al mondo di oggi e alla rilevanza che ha assunto l’universo del fumetto nel cinema, ci si chiede se il giovane Miller, ai suoi inizi con la Marvel si sarebbe aspettato che quel cinema sarebbe diventato il vero cinema americano, quello che fa gli incassi. Il fumettista dice: “Non sono un profeta, penso che prima devi fare un buon lavoro, poi si vedrà” Ma poi precisa: “Secondo me doveva essere così, dai tempi di Superman”. 

Frank Miller e il politically corret

Sul politically correct che oggi rischia di limitare la creatività degli artisti, così si esprime: “Oggi c’è più pressione per esercitare un po’ di censura e questo avviene quando le persone hanno paura. Tendono ad andare verso posizioni più conservatrici. Vuoi proteggere i tuoi bambini, la tua casa. […] Io non mi sento di dover seguire degli ordini. […] Ciò che volevo fare l’ho fatto, senza pronunciarmi contro una cosa o l’laltra. La gente in questi casi tende a smettere di ascoltare, preferisco esplorare determinate tematiche.” 

A chi gli chiede se abbia approfittato del lockdown per guardare film e serie tv risponde: “Ho guardato soprattutto vecchi film. […] Ho passato il tempo studiando. […] Per rinfrescare le idee e scoprire nuove cose. Non ho guardato serie tv.  Non ne sono appassionato. So che ci sono anche dei buoni prodotti, ma non so se mi va di andare a rovistare nell’immondizia per trovare qualcosa di buono”.  

Frank Miller sul futuro

Pensando ai progetti futuri, riguardo a ciò che gli piacerebbe realizzare, Miller afferma: “Mi piacerebbe fare quello che sto facendo, in varie forme”, prosegue tranquillo, “sono fortunato perché ho avuto abbastanza successo. Perciò posso occuparmi delle storie che mi interessano veramente. […] Come posso farlo? Con i fumetti sicuramente. […] Nel cinema, ci vogliono tanti soldi per fare un film ed è una sfida competamente diversa. Vorrei raccontare storie diverse tra loro, viaggiare contemporaneamente in tante direzioni diverse. […] Sono come un bambino in un negozio di dolciumi che ha solo 50 centesimi e può comprarsi a malapena un dolcetto. Adoro il mio lavoro e le possibilità che mi offre, sono infinite, vorrei esplorarle tutte e dimostrare al mondo che i fumetti possono realizzare qualunque cosa. 

A proposito di bambini, sul ricordo che ha di sé bambino e di cosa rappresentasse per lui disegnare i primi fumetti Miller dice: “Ricordo un bambino impaurito, non ricordo il motivo della paura, ma ero sempre un po’ teso. Ricordo che disegnare quegli stupidi fumetti mi riempiva di gioia e mi dava uno scopo. Adesso, ripensando a quel bambino, gli voglio un gran bene”. 

Marvel Television: i personaggi ben riusciti e quelli completamente sbagliati

Nel corso degli anni, Marvel Television ha introdotto numerosi personaggi di rilievo dei fumetti su Netflix e, dato che quell’era narrativa è ormai da tempo giunta alla sua conclusione, facciamo un passo indietro e vediamo quali sono stati i migliori e peggiori personaggi che abbiamo conosciuto.

La prima stagione di Daredevil è stata lanciata nel 2015 e negli anni successivi ci hanno fatto compagnia eroi come l’Uomo Senza Paura, Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist e The Punisher; tuttavia, una volta che è diventato chiaro che la Disney aveva intenzione di lanciare il proprio servizio streaming (con il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige a capo dell’operazione), Netflix ha abbandonato velocemente questa tipologia di show.

Ad oggi, si vocifera che almeno le storie alcuni di questi eroi e cattivi arriveranno ad ottenere dei reboot per il MCU. Resta da vedere se questo avverrà con gli stessi attori o con attori diversi, anche se è probabile che le scelte attoriali attingeranno da entrambi i lati; guardiamoci un attimo indietro e analizziamo quindi i 5 personaggi che Marvel Television ha azzeccato… e 5 che ha davvero rovinato.

Sbagliato: Iron Fist

eroi marvel tv iron fist

Finn Jones è un attore di talento, e apparentemente, sembrava una scelta ideale per  il ruolo di Danny Rand. Purtroppo, la bravura dell’attore è stata sottostimata fin dall’inizio, nonostante alcuni grandi momenti interpretativi (il cameo nella seconda stagione di Luke Cage, per esempio). Nel complesso, la Marvel Television non ottenne comunque il successo sperato e la cancellazione della serie non destò particolare scalpore tra i fan.

Gran parte del disappunto nei confronti della serie derivava dal fatto che, nella prima stagione, Danny poteva a malapena usare l‘Iron Fist e, quando lo show ripartì con una seconda stagione, il protagonista passò comunque la maggior parte degli episodi senza, non rendendo ben chiare quindi le scelte creative adottate in sede di sceneggiatura.

La terza stagione con la presenza di Orson Randall accanto a Danny faceva ben sperare, ma lo stile narrativo adottato si rivelò ancora una volta un’insuccesso ai fini dell’economia narrativa: speriamo quindi in un reboot di Iron Fist nel MCU con un nuovo attore protagonista al timone.

Azzeccato: Colleen Wing

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Nel caso di Colleen Wing, invece, è giusto dire che la Marvel Television ha fatto un lavoro incredibile rendendola un personaggio principale in Iron Fist. Vi sono molteplici ragioni per cui un gran numero di fan hanno iniziato una campagna per ottenere una propria serie spinoff (preferibilmente insieme a Misty Knight, un altro personaggio fantastico), e anche se ciò non si verificherà nell’immediato, questa iterazione dell’eroe potrebbe ancora tornare.

Anche se darle il potere dell’Iron Fist è stata una decisione controversa alla fine della seconda stagione, questa scelta narrativa ha posto le basi per alcune storie emozionanti in corso d’opera… che purtroppo è improbabile che vengano mai approfondite. Ci piacerebbe vedere Jessica Henwick alle prese con un nuovo ruolo all’interno del MCU, però!

Rovinato: Il Gufo

eroi marvel tv il gufo

Mentre Leland Owlsley era un cattivo secondario abbastanza competente nella prima stagione di Daredevil, la Marvel Television è completamente andata fuori strada nella presentazione di villain sia nell’Uomo Senza Paura che con Spider-Man nel corso degli anni.

Dal momento in cui è stato introdotto, era difficile immaginare che la versione di Bob Gunton del personaggio prendesse il volo con artigli affilati come rasoi in grado di fare a pezzi Matt Murdock. Inoltre, mentre la sua morte per mano di Wilson Fisk è stata sicuramente inaspettata, ha anche chiuso la porta alla sua evoluzione in qualcosa di simile a ciò che abbiamo visto nei fumetti.

In definitiva, questo insuccesso è stato probabilmente il risultato della Marvel Television che ha cercato di radicare questi show nella realtà il più possibile, ma c’è sicuramente ancora del potenziale per il Gufo nel MCU.

Azzeccato: The Punisher

eroi marvel tv the punisher

Quando Jon Bernthal è stato scelto per il ruolo di Frank Castle, i fan hanno esultato. Dopo tutto, era difficile immaginare qualcuno migliore dell’ex allievo di The Walking Dead nel ruolo del Punitore. Anche se la sfida si preannunciava ardua, l’attore ha superato le aspettative fin dall’inizio e ha fornito una performance che è stata senza dubbio degna di un Emmy.

Di conseguenza, non è stata una sorpresa quando al vigilante è stata concessa una serie tutta sua dopo essere apparso nella seconda stagione di Daredevil. Sfortunatamente, nessuna delle due stagioni di quello spinoff è stata però all’altezza delle aspettative.

La Marvel Television ha davvero rovinato The Punisher con l’introduzione di una origin-story alquanto contorta e una teoria di cospirazione che ruota intorno alla morte della sua famiglia. Tuttavia, non facendosi influenzare troppo da questo, i Marvel Studios potrebbero facilmente reinventare la storia del vigilante con Bernthal di nuovo nel ruolo. Merita un’altra chance, e Kevin Feige è la persona giusta per farlo accadere.

Rovinato: La Mano

eroi marvel tv la mano

Quando è diventato chiaro durante la prima stagione di Daredevil che La Mano sarebbe stata il villain principale legato a quasi tutti gli show televisivi di Netflix, c’è stata molta eccitazione tra i fan. Iron Fist e la seconda stagione di Daredevil hanno tentato di espandere la loro storia, ma presto è diventato chiaro che la Marvel Television non sapeva cosa stava facendo con questo gruppo clandestino di ninja.

Infatti, nel momento in cui The Defenders è arrivato, era evidente che si era abbandonata la presa sui cattivi, lasciando da parte ciò che li rendeva intriganti nei fumetti e concentrandosi invece su uomini d’affari e piani che avevano poco o nessun senso.

Anche la morte e la resurrezione di Elektra sono state pasticciate, e vedere Daredevil o uno qualsiasi di questi eroi combattere i ninja non ha entusiasmato nessuno. La Mano alla fine è stata sconfitta, ma le anticipazioni su The Chaste e altri personaggi familiari non hanno portato a nulla. La Marvel Television ha apparentemente abbandonato l’intera storyline, ma speriamo che qualcosa possa essere fatto per redimerla in futuro.

Azeccato: Il Kingpin

eroi marvel tv il kingpin

Dare a Wilson Fisk una storia d’origine piuttosto che renderlo un mafioso caricaturale (spesso il caso della sua controparte nei fumetti) è stata una mossa audace, anche se ne è stato pagato lo scotto.

La performance di Vincent D’Onofrio è stata in parti uguali terrificante e magnetica; che si tratti di attaccare brutalmente un compagno criminale o di pronunciare un discorso a uno degli eroi che ti fa venire i brividi lungo la schiena, il suo Kingpin è una forza da tenere in considerazione. Inutile dire che vederlo incrociare le sue strade con quelle di Spider-Man e dei Vendicatori nel MCU sarebbe più che fantastico.

La trasformazione di Fisk in Kingpin of Crime è continuata nella terza stagione di Daredevil, e da allora si dice che possiamo aspettarci il suo ritorno in Hawkeye. Che questo sia vero o meno resta da vedere, ma sarebbe da pazzi lasciare il personaggio di Kingpin da parte ancora per molto tempo.

Rovinato: Diamondback

eroi marvel diamond back

La narrazione di Diamondback è risultata assolutamente un pasticcio; stuzzicato per tutta la prima metà della prima stagione di Luke Cage prima di essere smascherato come il grande cattivo dello show, i suoi tentativi di rendere la vita di suo “fratello” un inferno sono caduti nel vuoto e sono stati coronati da una sequenza di combattimento ai limiti del ridicolo che lo ha visto indossare un costume comico per una scena di lotta più che dimenticabile.

Nel momento in cui la stagione si è conclusa, è rimasto in stato comatoso e il palcoscenico era apparentemente pronto per il suo ritorno… qualcosa che la seconda stagione comprensibilmente non si è nemmeno preoccupata di menzionare.

Sia Mike Colter che lo showrunner Cheo Hodari Coker hanno poi riconosciuto che Luke Cage è andato in discesa con l’introduzione di Diamondback. Benchè il personaggio non sia mai stato così grandioso nei fumetti, è stato comunque un peccato vederlo sprecato così in questa serie.

Azzeccato: L’uomo porpora

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I Marvel Studios hanno un curriculum discontinuo quando si tratta di cattivi ed è stato solo negli ultimi anni che abbiamo visto una sorta di reale miglioramento. Il Kilgrave di David Tennant riunisce i pregi di quasi tutti i cattivi che hanno abbellito il grande schermo, era minaccioso, contorto e genuinamente spaventoso.

Certo, è stato deludente vederlo tornare come un personaggio in stile “È tutto un sogno!” nella seconda stagione di Jessica Jones, ma il modo in cui l’ha torturata durante la prima stagione ha reso la visione avvincente. Il ritratto di Tennant ha anche fatto sì che fosse estremamente soddisfacente vedere il cattivo alla fine ottenere il suo giusto destino per mano sua.

L’Uomo Porpora è un grande personaggio, ma non uno che prevediamo di rivedere nel prossimo futuro. È un peccato, ma ci sarà sicuramente un altro ruolo nel MCU per un attore di talento come l’ex studente di Doctor Who.

Rovinato: Foggy Nelson

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Elden Henson è stato un buon Foggy Nelson, ma la Marvel Television lo ha reso probabilmente uno dei personaggi più esasperanti di qualsiasi show di Netflix. È un pessimo amico di Matt Murdock, non assomiglia per niente alla sua controparte dei fumetti quando si tratta di sostenere con riluttanza l’Uomo Senza Paura, ed è un personaggio talmente cinico e critico con cui è stato molto difficile empatizzare.

Foggy ha avuto i suoi momenti, comunque, e la terza stagione di Daredevil è andata in qualche modo a sistemare le cose.

Molti di voi potrebbero prendersela vedendo Foggy trionfare al posto di Karen Page (o anche Claire Temple), ma mentre lei è diventata altrettanto esasperante col passare del tempo, è semplicemente frustrante vedere Foggy sprecato. Si è parlato del fatto che i Marvel Studios riporteranno il cast originale di questa serie quando l’Uomo Senza Paura sarà riavviato per il MCU, quindi speriamo in una nuova personalità.

Azzeccato: Daredevil

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Mentre il ritratto di Matt Murdock da parte di Netflix è stato colpito e mancato nel migliore dei casi, è stato facilmente il personaggio più coerente in ognuno degli show. Seguire il suo viaggio è sempre stato divertente e Charlie Cox ha fatto un lavoro così ben riuscitoche non c’è da meravigliarsi che i fan stiano tenendo le dita incrociate in attesa di un ritorno in Spider-Man: No Way Home.

Dal suo periodo nella tuta nera ispirata a L’uomo senza paura di Frank Miller e John Romita Jr. al momento in cui ha finalmente indossato il classico costume rosso, la storia di Daredevil ha sicuramente incontrato qualche ostacolo e probabilmente aveva bisogno almeno di un po’ più di tempo per carburare. Tuttavia, questa versione del personaggio è stata difficile da criticare per la maggior parte.

Che si tratti delle sue interazioni con Kingpin o del modo in cui si è opposto al contorto sistema di credenze di The Punisher, il Daredevil di Charlie Cox è così buono da risultare forse l’unico personaggio che meriterebbe effettivamente un film. Speriamo che i prossimi anni lo vedano apparire regolarmente sul grande e piccolo schermo.

Jennifer Aniston: 10 cose che non sai sull’attrice

Jennifer Aniston: 10 cose che non sai sull’attrice

Sono passati più di vent’anni da quando Friends è arrivato in televisione, e siamo ancora qui a bing-watch tutte e dieci le stagioni su Netflix. Sono passati più di vent’anni, e Jennifer Aniston è ancora altrettanto glam, altrettanto divertente e altrettanto bella. Da vent’anni, è una delle attrici più cercate e più interessanti di Hollywood. Costantemente sotto i riflettori, costantemente al cinema. Ma cosa non sapete su di lei?

Ecco 10 curiosità su Jennifer Aniston.

Jennifer Aniston: film e programmi televisivi

1. Gli inizi di Jennifer Aniston. L’attrice è nata in California e, figlia di un padre di origini greche, ha passato un anno della propria infanzia in Grecia, dove ha vissuto con la propria famiglia. Dopo il divorzio dei genitori, poi, si trasferì a New York all’età di nove anni. Fu qui che cominciò a recitare, grazie al club di recitazione della Rudolf Steiner School. La formazione professionale, poi, cominciò alla famosissima New York School of Performing Arts. Dopo la scuola e prima di Friends, Jennifer Aniston fu in programmi televisivi come MolloyThe EdgeFerris BuellerMa che ti passa per la testa?. La svolta avvenne nel 1994 quando lesse un copione per una serie intitolata Friends Like These.

2. Ha recitato in celebri serie televisive. Il primo grande successo per la Aniston arriva grazie alla televisione, quando nel 1994 ottiene un ruolo da protagonista nel celebre sit-com Friends. Reciterà in questa fino al 2004, per un totale di oltre 200 episodi. Successivamente si dedicherà principalmente al cinema, tornando a recitare occasionalmente in televisione come guest star di alcuni episodi di serie quali Dirt (2007), 30 Rock (2008) e Cougar Town (2010). Nel 2019 torna invece ad essere protagonista in TV della serie The Morning Show, dove recita nel ruolo di Alex Levy accanto a Reese Whiterspoon, Steve Carell e Billy Crudup.

3. Ha recitato in celebri film. La carriera di Jennifer Aniston è decollata dopo Friends. Nei primi anni Duemila, infatti, i film con Jennifer Aniston sono apparsi uno dopo l’altro, tra cui Una settimana da Dio (2003), con Jim Carrey, … e alla fine arriva Polly (2004), con Ben Stiller, Vizi di famiglia (2005), Friends with Money (2006), Ti odio, ti lascio, ti… (2006), Io & Marley (2008), con Owen Wilson, La verità è che non gli piaci abbastanza (2009), Il cacciatore di ex (2010), Due cuori e una provetta (2010), Mia moglie per finta (2011), Come ammazzare il capo… e vivere felici (2011), Come ti spaccio la famiglia (2013), Cake (2014), Come ammazzare il capo 2 (2014), Mother’s Day (2016), con Julia Roberts, La festa prima delle feste (2016) e Il destino di un soldato (2017). Tra isuoi film più recenti si annoverano invece Voglio una vita a forma di me (2018) e Murder Mistery (2019), con Adam Sandler.

Jennifer Aniston in Friends

4. Jennifer Aniston doveva interpretare Monica in Friends. Quando fece il proprio provino per la serie, inizialmente Jennifer doveva interpretare Monica, mentre Courtney Cox doveva inizialmente interpretare Rachel. I creatori della serie, David Crane e Marta Kauffman, avevano un’idea ben precisa dei personaggi, ma furono particolarmente impressionati dalla Rachel della Aniston e dalla Monica della Cox: fu così che le due attrici ottennero il ruolo che veramente volevano.

Jennifer Aniston nuda per Come ammazzare il capo

5. Jennifer Aniston nuda tra Come ti spaccio la famiglia Come ammazzare il capo. La prima apparizione sullo schermo di Jennifer Aniston nuda è arrivata più tardi di quanto molti si aspetteranno: ovvero con Come ammazzare il capo e vivere felici. Nel film, interpreta una dentista ninfomane e inappropriata che rende la vita di uno dei suoi impiegati impossibile. In un film successivo, Come ti spaccio la famiglia, però, sembra che, per la famosissima scena in lingerie, sia stata utilizzata una controfigura.

jennifer aniston

Jennifer Aniston è hot

6. Jennifer Aniston hot: la dieta e il suo segreto. Jennifer Aniston è hot più che mai: bellissima, spiritosa, interessante e con un fisico mozzafiato, è ammirata da molte. L’attrice fa esercizio molto spesso, cosa che ama per la sensazione di benessere che dona, anche spiritualmente. Inoltre, anche quando non fa sport perché in viaggio o troppo impegnata, cerca di mantenere costantemente una dieta sana (anche se, una volta a settimana, si concede degli sfizi, cibi grassi o salati). Inoltre, sembra che il suo segreto per avere una pelle così luminosa sia il vapore, un trattamento al quale si sottopone dopo aver fatto esercizio.

Jennifer Aniston e Brad Pitt

7. La storia con Brad Pitt è cominciata con un appuntamento al buio. Erano la coppia d’oro di Hollywood, nei primi anni Duemila. E, a quanto pare, Jennifer e Brad Pitt si sono incontrati grazie ad un appuntamento al buio organizzato dai rispettivi agenti. Furono subito le scintille, e i due si sposarono il 29 luglio 2000 con una cerimonia a Malibu, con una cerimonia a dir poco grandiosa. Purtroppo, come sappiamo, la storia finì, e il loro divorzio fu finalizzato nell’ottobre 2005. Recentemente, tuttavia, i due attori si sono riavvicinati, affermando di essere in ottimi rapporti di amicizia.

8. Niente figli per Jennifer Aniston. L’attrice è stata sposata con alcuni degli uomini più belli di Hollywood, e molti si chiedono: ha dei figli? La risposta è no, Jennifer Aniston non ha figli, e l’attrice ha pubblicamente difeso la propria scelta contro le speculazioni in un’intervista con la rivista Glamour. Però, si dice che, dieci anni dopo il divorzio da Brad Pitt, abbia finalmente incontrato i figli di lui.

Jennifer Aniston: il suo patrimonio

9. È una delle attrici più pagate di Hollywood. Da anni la Aniston è ormai una delle attrici più pagate e ricercate di Hollywood. Nel 2007 è stata poi classificata come “11ª donna più ricca nel settore dello spettacolo“, con una fortuna stimata di 110 milioni di dollari. Grazie ai suoi continui lavori di successo, però, il suo patrimonio ha continuato a crescere fino alla cifra oggi dichiarata di circa 300 milioni di dollari. Ciò non fa che confermare il suo status come una delle più influenti personalità dello spettacolo statunitense.

Jennifer Aniston: età e altezza dell’attrice

10. Jennifer Aniston è nata a Los Angeles, California, Stati Uniti, l’11 febbraio del 1969. L’attrice è alta complessivamente 1.64 centimetri.

Fonti: Vogue, Sky Mag, IMDb, E! News

Audrey Hepburn: frasi famose e dieci curiosità su di lei

Audrey Hepburn: frasi famose e dieci curiosità su di lei

Lo scorso maggio, Audrey Hepburn avrebbe festeggiato il suo 89esimo compleanno. Ed è ancora difficile pensare ad un’altra persona con altrettanto talento, eleganza, e glamour. È stata una delle star di Hollywood più iconiche della storia, era la musa di Givenchy, e si è ritirata dalla recitazione per lavorare con l’UNICEF. Su Audrey Hepburn sappiamo tutto: abbiamo visto tutti i suoi film, tutte le foto, letto tutto sulla sua carriera. Che ci sia ancora qualcosa che non sapete su di lei?

Audrey Hepburn è nata il 4 Maggio 1929, con il nome Audrey Kathleen Ruston (e non cominciò ad usare il nome Audrey Hepburn fino al 1948). La madre era una baronessa di discendenze olandesi, mentre il padre aveva discendenze inglesi e austriache. Era in vacanza in Olanda con la madre, quando l’esercito di Hitler occupò la città. Dopo la liberazione, frequentò una scuola di danza a Londra, e fece la modella finché non fu scoperta da produttori cinematografici.

Ha avuto una vita intensa e interessantissima: ecco dieci cose su Audrey Hepburn che forse non sapevate, e le sue frasi più celebri.

Audrey Hepburn e le sue celebri frasi

Audrey Hepburn frasi celebri

  • L’eleganza è la sola bellezza che non sfiorisce mai.
  • Credo fermamente che il sorriso sia l’accessorio più bello che una donna possa indossare.
  • La cosa più importante è quello di godersi la vita – essere felice – è tutto quello che conta.
  • Per avere degli occhi belli, cerca la bontà negli altri; per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili; e per il portamento, cammina con la consapevolezza che non sei mai sola.
  • La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa né dall’aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi. La bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché quella è la porta del suo cuore, il posto nel quale risiede l’amore.
  • So di avere più sex appeal sulla punta del mio naso che molte donne nel loro intero corpo. Non si vede da lontano, ma c’è.
  • Ho sentito questa frase, una volta: “La felicità è una buona salute e una memoria corta!”. Vorrei averla inventata io, perché è molto vera.
  • Si dice che l’abito non faccia il monaco. Ma a me la moda ha dato spesso la sicurezza di cui avevo bisogno. Personalmente dipendo da Givenchy come le donne americane dipendono dal loro psichiatra.
  • Adoro le persone che mi fanno ridere. Penso sinceramente che ridere sia la cosa che mi piace di più. È la cura per moltissimi mali.
  • Parigi è sempre una buona idea.

Audrey Hepburn: i suoi film

 

1. I film di Audrey Hepburn. La prima apparizione di Audrey Hepburn in un film risale al 1948, in una produzione europea. Nel 1951 ebbe il suo primo ruolo con delle linee di dialogo, in Racconto di giovani mogli. Era una parte piccola, e decise quindi di tentare la fortuna in America, dove diventò immediatamente famosa grazie a Vacanze Romane (1953). Il film fu un incredibile successo, e Audrey Hepburn vinse un Oscar come Miglior Attrice Protagonista. Nel 1954, poi recitò in Sabrina, e il ruolo le valse un’altra nomination all’Oscar. Il 1957 fu un grande anno per Audrey Hepburn, con i film Cenerentola a Parigi Ariannai, mentre nel 1959 venne nominata di nuovo all’Oscar per l’interpretazione in La storia di una monaca. La sua carriera arrivò all’apice con il film del 1961 Colazione da Tiffany, per la quale ricevette la quarta nomination. Tra i film successivi, ci furono Sciarada (1963), My Fair Lady (1964), Due per la strada (1967) e Gli occhi della notte (1967), per il quale ricevette un’altra nomination. Nel 1969, all’apice del successo, decise di abbandonare la recitazione.

2. Audrey Hepburn è membro dell’EGOT Club. Di cosa stiamo parlando? Di quei rarissimi individui che hanno vinto un Emmy, un Grammy, un Oscar e un Tony Award. E Audrey Hepburn è una delle quattordici persone che sono riuscite nell’impresa. Vinse il primo Oscar grazie a Vacanze Romane, il Tony per Ondine. L’Emmy lo vinse in modo curioso: l’ha vinto per la serie della PBS dle 1993 Audrey Hepburn’s Gardens of the World, nel quale la Hepburn, amante del giardinaggio, esplorava alcuni dei giardini più spettacolari del mondo. Lo show andò in onda il giorno dopo la sua morte, e l’Emmy arrivò postumo. Anche il Grammy fu postumo: fu per il Miglior Album Parlato per bambini (infatti, Audrey Hepburn era considerata una cantante mediocre: fu doppiata per la performance  in My Fair Lady).

3. Audrey Hepburn ha cominciato a ballare a cinque anni. Nel 1944, infatti, era già una ballerina esperta, e ballò in segreto per gruppi di persone, a scopo benefico: per raccogliere soldi per la Resistenza olandese. Con coraggio, sostenne quindi la Resistenza, mentre sia il padre che la madre erano membri della British Union of Fascists.

4. Audrey Hepburn aveva un piccolo cerbiatto di nome Pippin. A quanto pare, era soprannominato Ip, e la Hepburn lo portò a casa con sé dal set di Verdi Dimore (1959), su suggerimento dell’addestratore di animali della produzione. Infatti, l’animale la seguiva ovunque. Anche al supermercato.

Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany

Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany

5. Audrey Hepburn non era la prima scelta di Truman Capote per Holly Golightly. Difficile immaginare Colazione da Tiffany senza Audrey Hepburn, ma l’autore del famosissimo romanzo voleva Marilyn Monroe per la parte, più voluttuosa e sexy e secondo lui più adatta ad interpretare una call-girl (mentre la Hepburn era simbolo di eleganza e raffinatezza). Il personaggio fu cambiato parecchio per l’attrice e, inutile dirlo, il risultato fu un film iconico.

6. Audrey Hepburn e Marilyn Monroe hanno un ex in comune. E si tratta del Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy. Quando JFK era ancora un celibe senatore, infatti, frequentò la Hepburn, e i due ebbero una storia né scandalosa, né seria. Più scandalosa fu invece la relazione con Marilyn Monroe, che diventò la sua amante quando era già Presidente: diventò famosa per aver cantanto una  sensuale versione di Happy Birthay per il suo compleanno. L’anno successivo, fu proprio la Hepburn ad essere la star incaricata di cantare per il Presidente il giorno del suo compleanno.

Audrey Hepburn in Sabrina

 

7. William Holden e Audrey Hepburn sul set di Sabrina. Quando si cominciò a girare il film, l’attrice era amata dal popolo americano. Ma questi non sapeva che la sua relazione con il coprotagonista William Holden era tutt’altro che innocente. Infatti, la loro chimica sul set si trasformò presto in una relazione reale. Holden era famoso per essere un seduttore. La moglie Ardis tollerava le sue storielle, perché le riteneva essere infatuazioni di poco conto: Holden era addirittura solito presentare le proprie amanti alla moglie. Ma con la Hepburn fu diverso: era colta e sofisticata, e lui era pronto a lasciare la moglie per lei. Ma lei voleva disperatamente dei figli, e lui aveva fatto una vasectomia anni prima. Lei lo lasciò e presto si mise con il futuro marito Mel Ferrer. I due annunciarono pubblicamente il proprio fidanzamento proprio a casa degli Holden.

8. Audrey Hepburn era molto introversa. Così si decrisse lei in un’intervista con LIFE Magazine nel 1953: “Ho spesso bisogno di stare da sola. Se passassi dal sabato sera al lunedì mattina da sola nel mio appartamento, sarei piuttosto felice. È così che mi ricarico.”

Audrey Hepburn: altezza e fisico

9. Audrey Hepburn aveva i piedi più grandi di quello che pensate. Aveva una figura piccolina, ma portava una taglia 10 (la nostra 43/44). Sembrerà strano, ma c’erano cose del suo corpo che non le piacevano: diceva di avere le spalle troppo spigolose, i piedi grandi e il naso grande. L’altezza di Audrey Hepburn? 1,70 metri.

Audrey Hepburn: la morte

10. La morte di Audrey Hepburn nel 1993. L’attrice aveva solamente 63 anni quando morì di cancro appendicolare, il 20 gennaio 1993. Non recitava più da tempo, ed era stata ambasciatrice speciale delle Nazioni Unite per l’UNICEF, con il quale si era dedicata ad aiutare bambini dell’America Latina e dell’Africa.

Fonti: Aforisticamente, IMDb, Biography, Marie Claire 

Hayden Panettiere: 10 cose che non sai su di lei

L’attrice americana Hayden Panettiere è famosa per tantissimi motivi: per i suoi ruoli negli show americani Heores Nashville, per l’impegno come attivista per gli animali, e per essere diventata una star da giovanissima. Ha interpretato personaggi diversissimi, provandosi all’altezza di diversi generi: una cheerleader, un’assassina, una scandalosa cantante country. Com’è stata la sua carriera? Di cosa si occupa, oltre alla recitazione?

Ecco dieci curiosità su Hayden Panettiere.

Hayden Panettiere: i suoi film e le serie TV

1. Gli inizi di Hayden Panettiere. Figlia di un’attrice e di un capitano dei pompieri con origini italiane, l’attrice fu introdotta nel mondo dello spettacolo da sua madre a soli 11 mesi, quando fu protagonista di una pubblicità. Poi, all’età di quattro anni e mezzo, la piccola attrice divenne parte del cast della soap opera Una vita da vivere, dove rimase fino al 1997. Da allora, è comparsa in parecchi film e serie televisive.

2. I film e le serie con Hayden Panettiere. Tra i film in cui ha recitato si annoverano L’oggetto del mio desiderio (1998), Le parole che non ti ho detto (1999), Il sapore della vittoria (2000), Joe Somebody (2001), Striscia, una zebra alla riscossa (2005), Mr. Gibb (2006), Ragazze nel pallone – Tutto o niente (2006), Un segreto tra di noi (2008), con Ryan Reynolds, Una notte con Beth Cooper (20099), con Paul Rust, Scream 4 (2011), The Forger (2012) e Custody – Bambini contesi (2016).

3. È nota per i suoi ruoli televisivi. La carriera di Hayden Panettiere è cominciata in televisione, e alla televisione si devono alcuni dei suoi ruoli più importanti e di maggior successo: dal 1998 al 2000 ha recitato nella soap opera Sentieri, mentre dal 2002 ha interpretato regolarmente la figlia di Calista Flockhart in Ally McBeal. Nel 2006 è diventata famosa grazie al ruolo di protagonista nella serie Heroes, della quale ha fatto parte fino al 2010. Nel 2012, poi, fu tempo di cambiamento, e Hayden tornò in televisione con un’altra serie celebre, Nashville, dove ha recitato fino al 2018 e nella quale interpreta una giovane e ambiziosa cantante country.

Hayden Panettiere in Heroes

4. È comparsa in quasi tutti gli episodi della serie. Sebbene nessuno appaia in tutti gli episodi della serie, Hayden Panettiere appare in più episodi di qualsiasi altro attore (settantadue, più nella terza stagione, episodio otto, “Villains”, brevemente attraverso filmati di repertorio, per un totale di settantatre) ed è l’unico membro del cast ad apparire in ogni episodio di più di una stagione). Gli unici altri regolari ad apparire durante un’intera stagione sono Sendhil Ramamurthy (nella seconda stagione) e Robert Knepper (nella quarta stagione).

Hayden Panettiere e l’attivismo

5. Hayden Panettiere è un’attivista per i diritti degli animali. Da sempre l’attrice si schiera in favore dei diritti degli animali e nel 2007 ha viaggiato sulle coste del Giappone per salvare alcuni delfini catturati. “Molte persone dicono di essere coinvolte in cause e organizzazioni, ma non fanno davvero qualcosa. È stato bellissimo essere lì fisicamente, fare la differenza” ha poi dichiarato l’attrice, affermando anche di non essersi pentita delle sue azioni, per le quali è stata quasi sottoposta ad arresto, e che se possibile lo avrebbe rifatto.

Hayden Panettiere marito

Hayden Panettiere: suo marito e sua figlia

6. È stata sposata con un noto pugile. Nel 2009, Panettiere ha incontrato l’allora campione mondiale dei pesi massimi Wladimir Klitschko. I due hanno poi iniziato a frequentarsi, salvo poi separarsi due anni dopo nel maggio 2011, citando la natura a distanza della loro relazione come motivo, ma dichiarandosi pronti a rimanere amici. Nel 2013, tuttavia, l’attrice ha poi confermato le voci secondo cui lei e Klitschko avevano ripreso la loro relazione romantica. Nell’ottobre 2013 i due hanno poi annunciato il loro fidanzamento, mentre nel dicembre 2014 hanno dato alla luce la loro figlia. Nell’agosto 2018, tuttavia, è stato riportato che la coppia si era nuovamente lasciata, rimanendo in rapporti amichevoli.

7. Ha parlato pubblicamente anche della propria depressione post partum, per aiutare gli altri. Nel 2014, Hayden Panettiere e il marito Wladimir Klitschko hanno avuto una bellissima bambina di nome Kaya. L’attrice ha raccontato però di aver realizzato, poco dopo la nascita della figlia, che ci fosse qualcosa che non andava. “È qualcosa che molte donne provano. Ti viene detto che con la depressione post partum avrai sentimenti negativi nei confronti di tuo figlio, che vorrai far del male a tuo figlio. Io non ho mai provato niente del genere” ha raccontato. Poi ha aggiunto: “Alcune donne lo provano. Ma non ci si rende conto quanto sia ampio lo spettro di ciò che si possa provare. È qualcosa di cui bisognerebbe parlare. Le donne devono sapere che non sono sole, e che ci si può riprendere.”

Hayden Panettiere: nuda in Una notte con Beth Cooper

8. Per Una notte con Beth Cooper, Hayden Panettiere è stata in topless. Più che topless, come racconta l’attrice stessa, per il film si è letteralmente messa a nudo. L’attrice ha ricordato di aver indossato soltanto “quei petali che si mettono cui capezzoli“. Riguardo all’esperienza, ha raccontato poi di essersi sentita piuttosto a proprio agio, che questo atteggiamento ha permesso anche agli altri di sentirsi allo stesso modo, e che tutti, sul set, sono stati molto professionali e delicati. Inoltre, le è stato chiesto cosa ne pensa delle battute sexy in Una notte con Beth Cooper, e lei ha rivelato di non sentirsi assolutamente a disagio con doppi sensi e battute sconce: ha un senso dell’umorismo sarcastico e asciutto, e non ha problemi con questo tipo di cose.

9. Hayden Panettiere ha parlato pubblicamente della propria dismorfofobia. Oggi l’attrice non ha problemi ad apparire nuda nei film, ma quando aveva sedici anni non si sentiva affatto a suo agio con il proprio corpo. In quegli anni, infatti, un tabloid pubblicò una fotografia del suo sedere con una scritta che diceva “cellulite”. L’attrice ha raccontato che la fotografia in questione le causò anni di dismorfofobia, ovvero la fobia che nasce da una visione distorta del proprio aspetto esteriore. “Ero mortificata. Ebbi la dismorfofobia per così tanto tempo. Ma mi dicevo che la bellezza è un’opinione, non un fatto. E mi sentivo sempre un po’ meglio” ha poi raccontato a Women’s Health.

Hayden Panettiere: età e altezza dell’attrice

10. Hayden Panettiere è nata il 21 agosto del 1989 a Palisades, nello stato di New York, Stati Uniti. L’attrice è alta complessivamente 1.52 centimetri.

Fonti: Entity, IoDonna, Biography, IMDB

A casa tutti bene – La serie: recensione della serie di Gabriele Muccino #RFF16

Alla 16esima Festa del Cinema a Roma, viene presentata la prima delle otto puntate della serie A casa tutti bene – La serie che Gabriele Muccino ha deciso di trarre dal suo A casa tutti bene del 2018, e che a dicembre uscirà su Sky e NOW.

A casa tutti bene – La serie, un sequel del film

La storia riprende da lì dove aveva lasciato tutti i personaggi o, meglio: li segue una volta che ognuno è tornato nella propria abitazione, ripartendo daccapo su alcuni dettagli della trama e approfondendone molti, ovviamente.

Il cast è completamente diverso, a partire dai genitori capostipiti della piramide famigliare: ove nella versione filmica c’erano Stefania Sandrelli e Ivano Marescotti, qui ci sono Laura Morante e Francesco Acquaroli; così come per i loro tre figli che erano interpretati da Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi e Sabrina Impacciatore, e ora lo sono da Francesco Scianna, Simone Liberati e Silvia D’Amico.

I personaggi di A casa tutti bene – La serie

La storia è inesorabilmente corale, e lo diventa con l’innesco della festa di compleanno indetta per i settant’anni di papà Pietro (Acquaroli, appunto), quando nel lungometraggio si trattava, invece, dei suoi cinquant’anni di matrimonio con la moglie Alba (Morante).

Tutto il clan si riunisce con ogni annesso e connesso: dunque anche i cugini Riccardo (Alessio Moneta) e Sandro (Valerio Aprea) con le rispettive mogli Luana (Emma Marrone) e Beatrice (Milena Mancini), accompagnati dalla mamma Maria (Paola Sotgiu, che prende il posto di Sandra Milo), che sarà l’elemento da cui scaturirà la chiave narrativa verso un intrigo sanguinario.

E quanto sguazza in tutto questo marasma, Muccino, quanto è evidente il suo gusto per i terreni tremanti su cui si muovono i suoi attori e che da un momento all’altro erutteranno «lapilli e lava», per dirla con Guccini. Il regista conA casa tutti bene – La serie aveva provato una certa affezione per il racconto e i suoi protagonisti, lasciando un interessante sospeso da cui dedurre come sarebbero poi andate le cose, eventualmente. E ha così deciso di ritornarci e dipanare i dubbi.

A casa tutti bene serie tvUn dramma familiare in pieno stile mucciniano

La famiglia è il mastodontico calderone da cui Muccino ha sempre attinto, anche se la sua storia registica è notoriamente fatta di momenti talvolta incomprensibili. Ad ogni modo nella prima puntata di A casa tutti bene – La serie si vede la ripresa dei temi a lui cari, con ogni personaggio che è una bomba a orologeria che cammina, i piani sequenza vorticanti che cingono le scene in cui i dialoghi sono ansimati e – neanche a dirlo – urlati a squarcia gola.

Sicuramente rispetto al film è tutto più mediato, a partire dalla scelta recitativa dei singoli elementi del cast, che è chiaramente giustificato dalla tempistica disponibile per sviluppare con calma, nel corso delle puntate, ogni picco emotivo. Ed è probabilmente un gran vantaggio, perché l’effetto è molto più realistico, dà la possibilità di godersi l’attesa e di osservare lo svolgersi dei fatti.

Le infelicità come motore narrativo

L’infelicità, coperta da ipocrisie, doppie vite, inganno, manipolazione e ricatto, son sempre il motore che traina, quasi che l’ordinarietà fosse un’eterna e propulsiva angoscia. Ma è, appunto, più godibile e, tra l’altro, meno stressante.

Gabriele Muccino firma dunque un’idea buona, dal punto di vista del prodotto d’intrattenimento in sé, e anche la confezione pare essere – bene o male – dei bei tempi in cui le cose per lui andavano meglio. Resta solo da attendere e verificare se anche sul piano del racconto sia così. Un minimo di curiosità è stata destata e, per il momento, tanto basta.

Eternals: 10 cose che solo i fan dei fumetti conoscono sui Devianti

L’attesissimo Eternals, presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma, introdurrà non solo il gruppo titolare nel sempre più vasto MCU, gli Eterni, ma anche i loro nemici giurati, i Devianti. Ecco 10 cose che probabilmente solo i fan dei fumetti conoscono su questi leggendari antagonisti e che forse bisogna sapere prima di vedere il film di Chloé Zhao.

Le origini dei Devianti

I Devianti sono una propaggine di un esperimento condotto dai personaggi più potenti dei fumetti Marvel, i Celestiali. I Celestiali sperimentarono per la prima volta sui Wanderers, una tribù di Homo Erectus, ma l’esperimento non andò nel verso giusto, causando numerose mutazioni nei corpi dei Devianti.

Delusi ma imperterriti, i Celestiali liberarono i Devianti nella natura, spingendoli a nascondersi nelle caverne. I Celestiali ripetono poi il loro esperimento, riuscendo questa volta nel loro intento e creando gli Eterni. Dopo aver rilasciato anche gli Eterni sulla Terra, i Celestiali crearono un gene latente (quasi sicuramente il gene X) per sviluppare ulteriormente il potenziale della razza umana.

I Devianti hanno ispirato il folklore umano

A causa delle loro deformità, i Devianti si deteriorarono rapidamente. Formavano una società primitiva, governata da un sacerdozio che scacciava coloro che erano troppo deformi. Questi esuli, chiamati “Mutati” dagli altri Devianti, vagavano per le terre selvagge, incontrando occasionalmente degli umani.

I Mutati hanno dato origine a miti relativi a troll, orchi, goblin e altri mostri orribili. Gli umani che li incontravano si spaventavano, tramandando i loro racconti fino a farli diventare vere e proprie leggende. I Mutati non sarebbero sopravvissuti a lungo: o sarebbero morti nel deserto o per mano degli umani.

I Devianti credono nel Celestiale Dormiente

L’universo Marvel include più divinità, sia buone che cattive. Divinità come Uatu l’Osservatore e Mefisto hanno svolto ruoli di primo piano in diverse trame nel corso degli anni, cementando il loro posto nel pantheon della Marvel. Tuttavia, la Marvel ha anche alcune divinità meno conosciute, come il cosiddetto Celestiale Dormiente.

I Devianti sono un gruppo molto religioso e hanno un complesso sistema di fede. Sebbene una volta adorassero i Celestiali, considerandoli a tutti gli effetti i loro creatori, presto abbandonarono quella credenza dopo la Seconda schiera di Celestiali sulla Terra. Da quel momento in poi, i Devianti avrebbero adorato solo il Celestiale Sognante, un essere che credevano fosse stato esiliato dai Celestiali proprio per averli creati.

I Devianti hanno governato la Terra

Nonostante il loro confinamento nelle caverne, i Devianti alla fine accumularono un notevole potere. Le mutazioni hanno permesso loro di evolversi più velocemente degli umani e ben presto hanno sviluppato la tecnologia, in particolare l’ingegneria genetica.

I Devianti alla fine costruirono un piccolo impero, governato dalla capitale, Lemuria, costruendo anche città sotterranee. Durante questo periodo, i Devianti si fecero guerra l’uno contro l’altro e contro gli Eterni, portando instabilità nel loro regno. Lemuria affondò nell’oceano durante il Grande Cataclisma, insieme a un altro impero, Atlantide.

La tregua con gli Eterni

I fan dei fumetti sanno che gli Eterni e i Devianti sono nemici giurati. Tuttavia, c’è stato un momento in cui i due gruppi hanno smesso di combattere. Dopo che la Terza schiera di Celestiali lasciò la Terra, i Devianti e gli Eterni formarono una sorta di alleanza, promettendo di smettere di farsi la guerra l’un l’altro fino all’arrivo della Quarta schiera di Celestiali.

Entrambi i gruppi si ritirarono nei rispettivi domini, onorando per la maggior parte del tempo la tregua. La loro pace durò dal 1000 a.C. fino al 1976, quando arrivò la Quarta schiera. I Devianti quindi attaccarono New York, tentando di mettere gli umani contro i Celestiali. Hanno anche lanciato un attacco contro Olympia, la casa degli Eterni, anche se i loro sforzi alla fine sono falliti.

La Fondazione Damocles

La Fondazione Damocles è un’organizzazione di Devianti, Eterni e umani stanchi delle loro continue guerre. La costruzione della bomba atomica ha ispirato tale unione e lo scopo della fondazione era quello di lavorare per un mondo pacifico in cui tutte e tre le specie potessero coesistere.

La Fondazione ha presto dimostrato la sua inutilità quando ha tentato di creare un gruppo di Super-soldati per “proteggere” la Terra da qualsiasi guerra futura. Il gruppo ha sperimentato su bambini mutanti e si è infiltrato in diverse organizzazioni, come lo SHIELD e Operazione:Zero Tolerance. I loro esperimenti fallirono e tutti i bambini morirono in giovane età.

Kro, il signore della guerra

Signore della guerra e dittatore, Kro agisce spesso come generale dei Devianti. Ha 100.000 anni e ha la capacità di cambiare forma, cosa che lo rende più vicino agli Eterni rispetto ai suoi compagni Devianti. È entrato in contatto con gli umani nel corso della storia, che spesso lo hanno confuso con esseri mitologici come Plutone e persino il Diavolo.

Kro è anche l’amante segreto dell’Eterna Thena e, a volte, un alleato riluttante della sua squadra. Tuttavia, il suo rapporto con gli Eterni è per lo più sprezzante. Kro apparirà in Eternals, ma per ora il suo ruolo nel film rimane un mistero.

La Rete Delta

Parlando di Kro, il generale è la mente dietro la Rete Delta. Il team aiuta i Devianti in tutto il mondo, collaborando occasionalmente con gli Eterni. Il loro scopo è assimilarsi all’umanità e vivere pacificamente al loro fianco.

Nonostante i loro sforzi, la Rete Delta e la loro squadra d’attacco, la Delta Force, non sono ancora visti di buon occhio dagli altri Devianti. Kro reclutò diversi potenti Devianti, tra cui Enigmo, Dragona, Karkas e Ransak. Il team ha lavorato con Thena e Sersi ed è stato determinante nel salvare Lemuria dal Deviante Ghaur.

Il legame con gli Skrull

La razza aliena conosciuta come Skrull proviene dal pianeta Skrullos, situato nella Galassia di Andromeda. Nonostante facciano parte dell’universo Marvel da più di 60 anni, gli Skrull hanno raggiunto l’apice della loro fama grazie alla loro ormai iconica invasione della Terra, che sarà al centro dell’attesissima serie Secret Invasion in arrivo su Disney+.

Nei fumetti, gli Skrull sono in realtà dei Devianti. I Celestiali hanno condotto gli stessi esperimenti a Skurllos come hanno fatto sulla Terra, creando Eterni e Devianti. Tuttavia, i Devianti di Skrullos hanno approfittato delle loro abilità di mutaforma e hanno ucciso i loro Eterni, diventando la specie dominante del loro pianeta.

Poteri e abilità dei Devianti

Non tutti i Devianti hanno abilità, a differenza degli Eterni che possiedono tutti una pletora di poteri. I Devianti sono anche più deboli dei loro eterni nemici, cosa che aggiunge un ulteriore livello di risentimento alla già sgradevole dinamica tra le razze.

Tuttavia, quei Devianti che hanno poteri, ne hanno davvero in abbondanza. I loro poteri includono: capacità di mutare forma, guarigione accelerata e velocità, ma anche forza e resistenza sovrumane. Alcuni Devianti possono persino sputare fuoco, mentre altri hanno dimostrato abilità ipnotiche. I Devianti hanno anche una durata di vita insolitamente lunga: alcuni, infatti, sembrano essere immortali.

The Batman: e se il trailer ci avesse mostrato la fine del film?

The Batman: e se il trailer ci avesse mostrato la fine del film?

Il trailer di The Batman visto al DC FanDome ha profondamente emozionato i fan che hanno potuto dare uno sguardo migliore al tanto anticipato Uomo Pipistrello di Robert Pattinson, ma anche a Catwoman, al Pinguino e a Alfred, in questa nuova veste.

Tuttavia, c’è qualcos’altro che forse non abbiamo ancora notato, ed è il fatto che forse il trailer ci ha offerto uno sguardo al finale del film. Ovviamente si tratta di speculazioni, che però potrebbero trovare un fondo di verità.

Le parole ingannano, le immagini no

the batmanAd un certo punto del trailer, vediamo Batman e Catwoman in quello che sembra essere un edificio in costruzione. Questa sequenza sembra essere divisa in due parti. In un primo momento, Catwoman tocca il braccio di Batman prima di allontanarsi da lui. Poi, gli accarezza il viso. Questa è la sequenza che crediamo possa provenire da uno dei momenti finali di The Batman.

Non prenderemo in considerazione il dialogo, dal momento che è normale che i trailer facciano apparire le battute di una scena come se fossero di un’altra. Infatti, il momento in cui Catwoman dice a Bruce che può prendersi cura di se stessa sembra provenire da una scena diversa, dal momento che non vediamo l’attrice Zoe Kravitz che pronuncia effettivamente quelle parole.

Una relazione in evoluzione

Il motivo per cui pensiamo che questa scena in particolare possa provenire dalla fine del film ha a che fare con la relazione tra Batman e Catwoman. Il primo trailer di Batman mostrava i due mentre si combattevano tra loro, suggerendo che all’inizio del film fossero avversari. Detto questo, non è irragionevole presumere che il film vedrà svilupparsi la loro relazione. È qui che entra in gioco il momento ambientato sull’edificio in costruzione, dal momento che mostra Selina e Bruce in un rapporto molto più intimo.

Il modo in cui Catwoman si allontana da Batman sembra significare che si stanno salutando, il che potrebbe accadere alla fine del film. In primo luogo, a causa dell’apparente sviluppo della loro relazione e, in secondo luogo, a causa del ruolo di Selina nella trama, che sembra essere significativo. In quanto tale, il suo addio al Crociato Incappucciato sarebbe, in teoria, qualcosa di più adatto alla fine della storia.

I precedenti

venomCi sono stati alcuni casi in cui i film di supereroi hanno mostrato le loro scene o momenti finali nei trailer, come capitato con Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, The Amazing Spider-Man 2, Spider-Man: Homecoming e Venom. Certo, non è un’indicazione che The Batman segua la tendenza, ma gli esempi mostrano precedenti per alcuni film di fumetti.

The Batman: trailer ufficiale del film con Robert Pattinson

The Batman uscirà nei cinema il 4 marzo 2022, in Italia sarà disponibile dal 3 marzo. Il cast di The Batman è formato da molti volti noti: insieme a Robert Pattinson nei panni di Bruce Wayne, ci saranno anche Colin Farrell (Oswald Chesterfield/Pinguino), Zoe Kravitz (Catwoman), Jeffrey Wright (Jim Gordon), Paul Dano (Enigmista) e Andy Serkis (Alfred). Infine, John Turturro sarà il boss Carmine Falcone. Nel cast anche Peter Sarsgaard che sarà Gil Colson, il Procuratore Distrettuale di Gotham.

La trama di The Batman

The Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più villain, poiché sono tutti sospettati“.

The King’s Man – Le Origini: nuovi poster e uno spot, in attesa dell’arrivo il sala

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I primi due film, Kingsman: The Secret Service e Kingsman: The Golden Circle, hanno generato un forte seguito per le storie a fumetti di Matthew Vaughn, tanto che adesso siamo pronti a conoscere il passato di questa organizzazione. Si tratta proprio di quello che si prefigge di raccontare The King’s Man – Le Origini.

Con un cast completamente nuovo di attori e personaggi, sembra che questa sarà un’esperienza molto diversa ambientata nel passato. Pur sapendo che Eggsy e Harry torneranno, ora è il momento di conoscere i luoghi e i volti che hanno dato origine a tutto:

The King’s Man – Le Origini, i character poster

The King’s Man – Le Origini è diretto da Matthew Vaughn ed è interpretato da  Ralph Fiennes, Gemma Arterton, Rhys Ifans, Matthew Goode, Tom Hollander, Harris Dickinson, Daniel Brühl, con Djimon Hounsou e Charles Dance. 

Il film è prodotto da Matthew Vaughn, David Reid e Adam Bohling, mentre Mark Millar, Dave Gibbons, Stephen Marks, Claudia Vaughn e Ralph Fiennes sono i produttori esecutivi. The King’s Man – Le Origini  è basato sul fumetto “The Secret Service” di Mark Millar e Dave Gibbons, il soggetto è di Matthew Vaughn e la sceneggiatura è firmata dallo stesso Vaughn & Karl Gajdusek.

Ant-Man and the Wasp: Quantumania, ecco il nuovo bizzarro logo del film

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È trapelata dal set di Ant-Man and the Wasp: Quantumania una foto di una sedia di produzione su cui campeggia il nuovo logo del film con Paul Rudd e Evangeline Lilly. Il look di questo logo è decisamente particolare e ricercato e potrebbe richiamare il personaggio di Kang il Conquistatore, che comparirà nel film.

Ant-Man and the Wasp: Quantumania

Ant-Man and the Wasp: Quantumania sarà diretto ancora una volta da Peyton Reed, che già aveva diretto i primi due film. Nel cast tornano Paul RuddEvangeline LillyMichael Douglas Michelle Pfeiffer. In più Kathryn Newton sarà Cassie Lang e Jonathan Majors sarà Kang il Conquistatore. 

Edgar Wright ha un’idea per la saga di Bond dopo No Time to Die

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Edgar Wright ha un’idea per la saga di Bond dopo No Time to Die

Il regista Edgar Wright ha espresso interesse nei confronti del franchise di James Bond, rivelando di avere addirittura un’idea per la storia dell’eventuale prossimo capitolo del franchise.

Ospite del podcast Happy Sad Confused, Wright ha rivelato di essere assolutamente disponibile per il prossimo capitolo della saga di Bond. A tal proposito, il regista di Ultima notte a Soho (che arriverà nelle sale italiane dal 4 novembre) ha detto di avere già un’idea su come dovrebbe essere il prossimo film del franchise.

Secondo Wright, i film di Bond tendono ad essere “o cioccolato fondente o cioccolato al latte”. Dal momento che il ciclo di film con protagonista Daniel Craig sono etichettabili come “cioccolato fondente” secondo il regista, è arrivato il momento di rilanciare il franchise attraverso nuove avventure classificabili come “cioccolato al latte”.

“Non credo che continuare nella stessa direzione dei film con Daniel possa davvero portare a qualcosa. Sono convinto che sarebbe molto più interessante provare a fare qualcosa di nuovo”, ha spiegato il regista.

“Ho una mia visione per il futuro di Bond al cinema, e se mai dovessero contattarmi per discutere della saga, cogliere l’occasione per proporla allo studio. Non voglio parlarne pubblicamente, ma quando leggo dei possibili nuovi attori per il ruolo, mi sembrano tutti la versione 2.0 di Daniel Craig. Penso che sia molto meglio cambiare direzione.”

Tutto quello che sappiamo su No Time to Die

No Time to Die, atteso nelle sale italiane il 30 settembre 2021, vede nel cast Daniel Craig (James Bond), Léa Seydoux (Madeleine Swann), Ralph Fiennes (M), Naomie Harris (Eve Moneypenny), Ben Whishaw (Q), Rory Kinnear (Bill Tanner) e Jeffrey Wrigh (Felix Leiter). Le new entry del cast sono invece Rami Malek, Billy Magnussen, Lashana Lynch Ana de Armas.

In No Time to Die, Bond si gode una vita tranquilla in Giamaica dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto vivere viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un vecchio amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa tecnologia.

Eternals: la Marvel ha iniziato a lavorare al film prima del 2013

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Creati dal leggendario fumettista Jack Kirby alla fine degli anni ’70, gli Eterni sono sempre stati tra gli eroi meno conosciuti del vasto catalogo di personaggi della Marvel, fino a quando il film Eternals non è stato annunciato come parte integrante della Fase 4 del MCU. Nonostante all’inizio il MCU fosse estremamente coinvolto nella pianificazione di film riguardanti personaggi come Iron Man, Thor, Capitan America e i Guardiani della Galassia, pare che in realtà stesse già pianificando di introdurre, prima o poi, la razza di immortali superpotenti al cinema.

La conclusione della Saga dell’Infinito con Avengers: Endgame ha aperto la strada al decollo di nuovissimi franchise come Shang-Chi e, appunto, Eternals. L’uscita di scena di Iron Man e Captain America ha lasciato spazio all’introduzione di nuovi personaggi che potessero affiancare le presenze relativamente più giovani della saga, come Doctor Strange e Captain Marvel. Come Shang-Chi, anche Eternals ha il potenziale necessario per rappresentare l’inizio di un nuovo franchise del MCU.

Un nuovo libro di recente pubblicazione, dal titolo: “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic Universe”, fa luce sul fatto che, in realtà, la Marvel aveva messo gli occhi su Ikaris, Thena e gli altri Eterni da molto tempo prima che il film venisse ufficialmente confermato. Secondo Screen Rant, Joe Robert Cole (sceneggiatore di Black Panther e Black Panther: Wakanda Forever), era stato inserito nel programma di scrittura

della Marvel nel 2011, per aiutare a creare storie per alcuni dei nuovi progetti dello studio. Durante i suoi due anni trascorsi all’interno del programma, Cole ha scritto le prime sceneggiature per Deathlok, Eternals e Blade. Alla fine Deathlok è stato accantonato, mentre le sceneggiature realizzate per Eternals e Blade non sono più state utilizzate dalla Marvel, quando anni dopo “ricominciò da zero” con entrambi i progetti.

Ciò dimostra che la Marvel ha sempre visto un grandissimo potenziale nei personaggi degli Eterni, nonostante si tratti di personaggi che non sono universalmente conosciuti, soprattutto a chi non ha mai letto i fumetti. Eppure, l’idea che una squadra di essere immortali potesse condividere la Terra con gli umani da migliaia di anni ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella progettazione a lungo termine dei Marvel Studios.

Eternals, il terzo film della Fase Quattro dell’Universo Cinematografico Marvel diretto dalla regista vincitrice dell’Academy Award Chloé Zhao, arriverà il 3 novembre nelle sale italiane. Il film targato Marvel Studios Eternals presenta un nuovo team di supereroi dell’Universo Cinematografico Marvel: l’epica storia, che abbraccia migliaia di anni, mostra un gruppo di eroi immortali costretti a uscire dall’ombra per unirsi contro il più antico nemico dell’umanità, The Deviants.

Il cast del film comprende Richard Madden, che interpreta l’onnipotente Ikaris; Gemma Chan, che interpreta Sersi, amante dell’umanità; Kumail Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che interpreta l’intelligente inventore Phastos; Salma Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite, eternamente giovane e al tempo stesso piena di saggezza; Don Lee, che interpreta il potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario Druig; e Angelina Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera Thena. Kit Harington interpreta Dane Whitman.

Chloè Zhao presenta Eternals a Roma, con lei i suoi protagonisti #RFF16

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Chloè Zhao, regista premio Oscar per Nomadland, ha chiuso la Festa del Cinema di Roma 2021 con l’evento più atteso di questa edizione, organizzato insieme ad Alice nella Città, la prima europea di Eternals, il film Marvel Studios, che ha portato nella cavea dell’Auditorium i suoi protagonisti: Angelina Jolie, Richard Madden, Gemma Chan e Kit Harington.

Zhao è stata scelta per dirigere il film a lavori già cominciati, come ha raccontato in conferenza: “Quando sono arrivata nel processo di creazione di questo film, esisteva già un trattamento molto ricco. Quando Jack Kirby ha creato questi personaggi, ha scelto di porli all’esterno delle dinamiche del mondo condiviso, sono esterni, ci sono da sempre. Si tratta di un gruppo di eroi che, proprio perché esterni, gli ha permesso di aggiungere una prospettiva differente alle sue storie.” 

Secondo Zhao, si tratta di un’esperienza interessante dopo l’enorme successo e l’incredibile lavoro che è stato fatto con la Infinity Saga, che ha davvero cambiato la storia del cinema contemporaneo in termini di produzione e mercato.

Il film segna l’esordio nel MCU di molti volti noti e amati dello spettacolo, su tutti Angelina Jolie, che interpreta la guerriera Thena, ma nel cast ci sono anche Richard Madden e Kit Harington, che avevano già lavorato insieme in Game of Thrones e che ora si ritrovano a condividere, seppur brevemente, un nuovo set molto importante. Gemma Chan, che interpreta Sersi, si trova invece nella singolare posizione di “tornare” nel MCU con un ruolo completamente differente, visto che era già stata Minerva in Captain Marvel.

“Mi sento così fortunata per essere tornata una seconda volta, oltretutto con un personaggio così diverso da quello che ho interpretato in precedenza, ero sorpresa quando sono stata richiamata, mi sento molto fortunata.” Ha commentato Gemma Chan.

Per Kit Harington è stato come tornare in un progetto molto lungo, come già gli era capitato con Game Of Thrones: “Questa è la mia prima volta nel MCU e devo dire che ricevere una telefonata da loro è proprio una bella chiamata. Non me lo aspettavo, sono già stato in una lunga serie e questo progetto mi piace tanto.”

Angelina Jolie aveva già espresso il suo gradimento per questo franchise e ha confermato che per lei è stato molto bello arrivare in questo universo proprio con il personaggio di Thena. “Volevo farne parte e mi sento fortunata a essere arrivata in questo momento con questo personaggio, amo la famiglia che è protagonista del film, amo la diversità e l’inclusione di questo cast. Spero diventi una nuova normalità per ogni tipo di produzione e sono contenta che in questo modo la gente si veda finalmente rappresentata al cinema.”

Richard Madden ha invece confessato di essere un vero e proprio fan del MCU, ed essere dentro a uno dei film più particolari e complessi di questo universo è stato incredibile: “Sono sempre stato un grande fan di questi film, e mi ritrovarmi adesso in una scena a citare Thor o Thanos è stato davvero strano”.

Da regista premio Oscar che ha diretto un cinecomic, Zhao sembra rappresentare il perfetto equilibrio tra il cinema d’autore e quel cinema più rumoroso e ad alto budget. Secondo la regista però non c’è contrasto tra i due modi di fare cinema, dal momento che “stiamo danzando sul bordo di un revisionismo artistico, ed è importante vedere come i Marvel Studios desiderano sfidare il loro stesso genere. I concetti di eroismo, di trovare un posto nel mondo, di dividere il bene dal male, sono argomenti che il cinema sta cercando di raccontare da sempre eppure nei fumetti c’è già tutto. Tutto quello che definisce un personaggio moderno è già presente nelle storie a fumetti Marvel.”

Il cast è d’accordo sugli elementi fondamentale di Eternals: la famiglia, la diversità, l’amore e la connessione con il pianeta Terra. Secondo la regista, il pubblico entrerà subito in sintonia con il personaggio di Sersi, in particolare, perché è il primo che si affeziona ai terrestri, e li guarda con affetto e compassione, ama vivere tra loro e desidera proteggerli più di ogni altra cosa.

Non solo, Sersi è anche coinvolta nella storia d’amore che, alla fine dei giochi, deciderà se sorti della Terra. “L’amicizia che lega Gemma e Richard – ha commentato Chloè Zhao – è stata un dono prezioso per tutto il film. Loro ci hanno fatto dono del loro legame e della loro complicità, così che tutto il film ne risultasse impreziosito.”

Il cast di Eternals

Eternals arriva in sala a partire dal 3 novembre, è diretto da Chloè Zhao e vede protagonisti Richard Madden, che interpreta l’onnipotente Ikaris; Gemma Chan, che interpreta Sersi, amante dell’umanità; Kumail Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che interpreta l’intelligente inventore Phastos; Salma Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite, eternamente giovane e al tempo stesso piena di saggezza; Don Lee, che interpreta il potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario Druig; e Angelina Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera Thena. Kit Harington interpreta Dane Whitman.

Spider-Man: No Way Home, secondo il regista sarà l’Endgame del franchise

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C’è ancora molto che non sappiamo su Spider-Man: No Way Home, ma secondo il regista Jon Watts, la portata del threequel sarà più grande di qualsiasi cosa abbiamo visto fino ad ora. “Di certo, stiamo cercando di essere particolarmente ambiziosi”, ha anticipato il regista a Emprie Magazine. “Sarà l’Endgame del franchise di Spider-Man”.

Tom Holland, nel frattempo, ha rivelato che all’inizio era piuttosto scettico in merito all’idea del film: “Quando mi è stata lanciata l’idea la prima volta, ho pensato che fosse semplicemente fantastica”, ha spiegato l’attore. “Tuttavia, non pensavo che potesse davvero funzionare. Invece alla fine è successo. Il risultato finale sarà pazzesco.”

Insieme a queste nuove dichiarazioni, la celebre rivista ha anche svelato due nuove immagini ufficiali tratte dal film. In una delle due, vediamo il Doctor Octopus di Alfred Molina che insegue Iron Spider, mentre nell’altro sembra che Peter Parker, colto nella sua tradizionale posa di atterraggio, stia affrontando una minaccia sconosciuta.

Le riprese di Spider-Man: No Way Home si sono svolte ad Atlanta. Nel film vedremo Tom HollandZendaya, Jacob Batalon, Tony Revolori Marisa Tomei tornare nei loro personaggi del francise. Inoltre, il film vedrà, trai suoi interpreti, anche Benedict Cumberbatch nei panni di Doctor Strange, che poi vedremo in Doctor Strange in the Multiverse of Madness, diretto da Sam RaimiJamie Foxx che tornerà a vestire i panni di Electro, come in The Amazing Spider-Man 2, e infine Alfred Molina, che sarà di nuovo Doctor Octopus di Spiderman 2.

Il film è diretto da Jon Watts (già regista di Homecoming e Far From Home) e prodotto da Kevin Feige per i Marvel Studios e da Amy Pascal per la Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17 dicembre 2021.

MCU: all’inizio non c’erano piani per Nick Fury dopo il primo Iron Man

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La scena post-credit del primo Iron Man ha stabilito non solo l’esistenza dell’Iniziativa Avengers, ma anche il ruolo chiave che Nick Fury avrebbe giocato nel futuro del MCU in quanto direttore dello SHIELD. Il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson è stato un vero e proprio collante all’interno della Fase 1, ma oggi scopriamo che, all’inizio, non c’erano dei piani per eventuali sue apparizione in altri film.

A quanto pare, infatti, l’apparizione di Nick Fury nella scena post-credit di Iron man del 2008 è stata concepita all’inizio come qualcosa di isolato: i Marvel Studios non avevano alcun piano per il futuro del personaggio sul grande schermo. Come raccontato nel libro di recente pubblicazione: “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic Universe“, Jackson aveva accettato il ruolo di Fury dopo aver appreso della somiglianza con il personaggio dei fumetti, ma all’epoca non esisteva nessun accordo per il suo coinvolgimento in altri film. La Marvel non aveva pianificato ancora nulla perché non sapeva se il pubblico si sarebbe realmente interessato a ciò che quella scena post-credit avrebbe anticipato.

Come riportato da Screen Rant: “Jeremy Latchman dice che avevano chiamato Samuel L. Jackson per chiedergli se fosse ancora interessato alla parte. In tal caso, si sarebbe trattato di un breve cameo. ‘Non avevamo alcun accordo con lui per eventuali film futuri'”, chiarisce Latchman, vicepresidente del settore produzione e sviluppo dei Marvel Studios. “Forse al pubblico non sarebbe fregato nulla di quella scena, e se Jackson fosse stato d’accordo, alla fine l’avremmo tenuta. Nonostante durasse poco e all’epoca non rappresentava ancora nulla, decidemmo comunque che doveva rimanere un segreto, in modo da evitare ai fan dei fumetti di rovinarsi la sorpresa.”

La scena post-credit del primo Iron Man del 2008 si è rivelata poi l’inizio di un vero percorso per il personaggio di Nick Fury all’interno del MCU. In seguito, Samuel L. Jackson ha firmato un contratto per apparire in ben 9 film dei Marvel Studios, a cominciare da Iron Man 2, uscito soltanto due anni dopo. Ad oggi sono state persino raccontate le origini del personaggio in Captain Marvel, mentre lo stesso si appresta a tornare nella Fase 4 grazie all’attesissima serie in arrivo su Disney+ Secret Invasion.

Avengers: Endgame, Robert Downey Jr. non voleva girare l’iconico finale di Iron Man

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L’arco narrativo di Tony Stark/Iron Man nel MCU si è concluso in maniera tragica, nonostante il sacrificio compiuto dall’eroe alla fine di Avengers: Endgame abbia assunto un significato davvero speciale, soprattutto in riferimento a tutta la storia pregressa del supereroe.

Tuttavia, pare che inizialmente Robert Downey Jr. non fosse molto d’accordo a girare l’iconica scena in cui il suo personaggio, poco prima di schioccare le dita, pronuncia in maniera audace le parole: “Sono Iron Man”, in risposta a Thanos che, in precedenza, aveva esclamato di essere “ineluttabile”.

Nel taglio originale di Endgame, Iron Man non avrebbe dovuto pronunciare alcuna battuta in quel momento. Tuttavia, mentre i Russo stavano lavorando al montaggio, hanno ritenuto giusto che l’eroe pronunciasse di nuovo una delle sue frasi più iconiche (che si ricollega direttamente al primo film del 2008, quando Tony Stark rivelò la sua identità di supereroe al mondo intero).

All’epoca, era trascorso già un po’ di tempo dalla conclusione delle riprese principali. Per quanto, quando Downey Jr. è stato informato delle riprese aggiuntive e della “nuova” battuta, inizialmente non era intenzionato a pronunciarla. Il motivo è stato spiegato dal presidente dei Marvel Studios Kevin Feige e dal co-regista di Endgame Anthony Russo nel libro di recente pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic Universe” (via ComicBook).

Kevin Feige: “All’inizio, quando ha scoperto che volevamo tornare sul set e girare una nuova versione di quello che è probabilmente il momento più emozionante dell’interno film, Robert era contrario.”

Anthony Russo: “Non è una cosa sulla quale è facile raggiungere un compromesso. È stato difficile far orientare di nuovo Robert all’interno della scena. È stato difficile per lui capire, nello specifico, a che punto della narrazione eravamo. Quando ti chiudi in sala di montaggio e lavori giorno e notte al suo film, arriva un momento in cui il materiale lo conosci a memoria. L’hai davvero esplorato da ogni punto di vista possibile. Tuttavia, non significa che non si possano avere nuove idee. A quel punto, eravamo davvero sicuri di ciò che cui quella scena aveva bisogno.”

Avengers: Endgame è arrivato nelle nostre sale il 24 aprile 2019, diventando il maggior incasso nella storia del cinema. Nel cast del film – tra gli altri – figurano Robert Downey Jr.Chris EvansMark RuffaloChris Hemsworth e Scarlett Johansson. Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War, l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Kevin Feige non ha mai avuto dubbi sul ritorno di Alfred Molina nel MCU

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Il leggendario regista Sam Raimi farà il suo ritorno nell’Universo Marvel il prossimo anno grazie a Doctor Strange in the Multiverse of Madness, con alcuni dei personaggi che aveva già portato sul grande schermo nella sua trilogia di Spider-Man che faranno il loro ingresso nel MCU grazie all’attesissimo Spider-Man: No Way Home.

Il Doctor Octopus di Alfred Molina e il Green Goblin di Willem Dafoe sono già stati confermati, e siamo sicuri al 99,9% che rivedremo anche il Peter Parker di Tobey Maguire. Tuttavia, chi abbiamo effettivamente visto in azione nel primo trailer di No Way Home è stato proprio il Doc Ock di Molina, personaggio che l’attore aveva già interpretato in Spider-Man 2 del 2004, diretto appunto da Raimi.

In una recente intervista con Empire, il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige ha parlato di come sono stati scelti i cattivi che dovevano apparire nei film del MCU dedicati alle avventure dell’Uomo Ragno. Feige ha specificato che l’intento è sempre stato quello di far debuttare personaggi che non erano mai apparsi prima sul grande schermo, come Avvoltoio o Mysterio.

Tuttavia, quando si è parlato del ritorno di Octopus, il produttore ha confermato che non avrebbe mai sostituito Alfred Molina, anche se la sceneggiatura avesse richiesto una rivisitazione del personaggio, dal momento che considera la sua iterazione di Doc Ock assolutamente perfetta.

“Volevamo davvero rivisitare cattivi che erano già apparsi in precedenza? No, volevamo portare Avvoltoio, Mysterio e altri personaggi che non avevamo mai visto al cinema prima d’ora”, ha spiegato Feige. “Ricordo però di aver pensato: ‘Come potremmo riproporre Doc Ock con un altro attore?’. Alfred Molina era perfetto. Quindi alla fine decisi che, semmai l’avessimo riportato indietro, sarebbe stato comunque lui, in un modo o nell’altro.”

Le riprese di Spider-Man: No Way Home si sono svolte ad Atlanta. Nel film vedremo Tom HollandZendaya, Jacob Batalon, Tony Revolori Marisa Tomei tornare nei loro personaggi del francise. Inoltre, il film vedrà, trai suoi interpreti, anche Benedict Cumberbatch nei panni di Doctor Strange, che poi vedremo in Doctor Strange in the Multiverse of Madness, diretto da Sam RaimiJamie Foxx che tornerà a vestire i panni di Electro, come in The Amazing Spider-Man 2, e infine Alfred Molina, che sarà di nuovo Doctor Octopus di Spiderman 2.

Il film è diretto da Jon Watts (già regista di Homecoming e Far From Home) e prodotto da Kevin Feige per i Marvel Studios e da Amy Pascal per la Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17 dicembre 2021.

Indiana Jones 5, foto dal set: ecco Phoebe Waller-Bridge e Harrison Ford

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Dal set siciliano di Indiana Jones 5, arrivano nuove foto della produzione che vede coinvolto Harrison Ford, ancora nei panni del professor Jones. Questa volta, al suo fianco, c’è Phoebe Waller-Bridge, attrice e autrice molto premiata che sta continuando la sua scalata di Hollywood, dopo il successo di Fleabag, per Amazon Prime Video.

Ecco di seguito gli scatti:

ECCO INVECE UN VIDEO

Cosa sappiamo di Indiana Jones 5

James Mangold (Logan – The Wolverine) sarà il regista di Indiana Jones 5 al posto di Steven Spielberg, che invece aveva diretto tutti gli altri capitoli precedenti della saga. A bordo del progetto torna invece John Williams, già compositore dell’iconica colonna sonora che accompagna il personaggio da 40 anni. Nel cast, oltre a Harrison Ford, ci sarà anche Phoebe Waller-Bridge. Le riprese dovrebbe partire in primavera.

Prima dell’ingaggio di Mangold, la sceneggiatura era stata affidata a David Koepp,  he ha poi lasciato il progetto insieme a Spielberg. Prima di Koepp, anche Jonathan Kasdan (figlio dello sceneggiatore de I predatori dell’arca perduta, Lawrence Kasdan) aveva messo le mani sullo script. L’uscita nelle sale del film è già stata posticipata diverse volte: inizialmente previsto per il 19 Luglio 2019, il film è stato rinviato prima al 10 Luglio 2020, poi al 9 Luglio 2021 e infine al 29 Luglio 2022.

Planet Hulk: perché la Marvel non ha mai pensato a un film?

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Planet Hulk: perché la Marvel non ha mai pensato a un film?

La trama di Planet Hulk ha attraversato i fumetti dedicati all’iconico Gigante di Giada tra l’aprile del 2006 e il giugno del 2007, ideata dallo scrittore Greg Pak e dagli artisti Carlo Pagulayan e Aaron Lopresti. Quella storyline si concentra sull’atterraggio di Hulk sul pianeta alieno di Skaar, con l’alter ego di Bruce Banner che si ritrova poi a guidare una rivoluzione di gladiatori.

Fin dall’uscita del fumetto, Planet Hulk è sempre stata considerata una delle migliori trame legate ad Hulk, con la maggior parte dei fan che ha sempre chiesto a gran voce che quella storyline venisse adattata in un lungometraggio. Tuttavia, a causa dei complicati diritti sul personaggio, ancora non è stato possibile realizzare un nuovo film da solista interamente dedicato al Gigante Verde (cosa che probabilmente non accadrà mai). Tuttavia, alcuni elementi della trama di Planet Hulk sono stati combinati all’interno di Thor: Ragnarok di Taika Waititi, come i personaggi di Korg e Miek, ma anche la versione gladiatore di Hulk.

All’interno del libro di recente pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic Universe“, scritto da Tara Bennett e Paul Terry, viene rivelato che uno dei maggiori ostacoli nell’adattare la trama di Planet Hulk è stato, in realtà, il piccolo ruolo che ha Bruce Banner all’interno della storia. Nel libro, il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige ha affermato: “Non abbiamo mai nemmeno preso in considerazione l’idea di adattare Planet Hulk, perché, per quanto il fumetto sia fantastico, Bruce Banner non fa parte di Planet Hulk.”

A quanto pare, a Joss Whedon venne addirittura chiesto di cambiare il finale di Avengers: Age of Ultron in modo che i fan non avessero la sensazione che nel futuro del MCU ci potesse essere proprio un film basato su Planet Hulk. ComicBook riporta la dichiarazione completa di Feige contenuta nel libro: “Ho detto: ‘Joss, non possiamo farlo. La gente penserà che stiamo cercando di adattare Planet Hulk. Così hanno chiesto a Whedon di cambiare parte dei dialoghi e dire che l’avevano perso mentre era ancora sulla Terra, e hanno poi sostituito il cielo stellato realizzato attraverso i VFX con il blu dell’atmosfera terrestre.”

Roma FF 16: Open Arms – La legge del mare vince il Premio del Pubblico FS

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Open Arms – La legge del mare edizione della Festa del Cinema di Roma.

Il film vincitore del “Premio del Pubblico FS”, in collaborazione con il Gruppo FS Italiane, Official Sponsor della Festa, è stato votato dagli spettatori della prima replica dei film della Selezione Ufficiale attraverso l’APP ufficiale e il sito www.romacinemafest.it.

Luca Torchia, Chief Communication Officer di FS Italiane, ha consegnato il “Premio del Pubblico FS” ad Aldo Lemme, Head of Theatrical Distribution di Adler Entertainment che distribuirà il film in Italia.

Mediterráneo (Open Arms – La legge del mare) è una produzione spagnola di Lastor Media, Fasten Films, Arcadia Motion Pictures, Cados Producciones con la casa di produzione greca Heretic.

MEDITERRÁNEO | MEDITERRANEO: THE LAW OF THE SEA | OPEN ARMS – LA LEGGE DEL MARE

di Marcel Barrena, Spagna, Grecia, 2021, 111’

Cast: Eduard Fernández, Dani Rovira, Anna Castillo, Sergi López, Àlex Monner, Melika Foroutan

Autunno 2015. Due bagnini spagnoli, Òscar e Gerard, colpiti dalla straziante fotografia di un bambino annegato nel Mediterraneo, vanno nell’isola di Lesbo, dove scoprono una realtà sconvolgente: ogni giorno migliaia di persone rischiano la vita cercando di solcare il mare con imbarcazioni precarie, per fuggire dalla miseria e dalle guerre che affliggono i loro Paesi d’origine. Ma la cosa più sconcertante è che nessuno sta svolgendo attività di salvataggio. Insieme a Esther, Nico e agli altri membri della loro squadra, Òscar e Gerard lotteranno per compiere il lavoro disatteso dalle autorità e per portare a migliaia di persone l’aiuto di cui hanno estremo bisogno. Dalla storia vera di Òscar Camps, il fondatore di Open Arms.

NOTE DI REGIA per Open Arms – La legge del mare

Nel settembre del 2015 il mondo tremò davanti alla foto di Aylán Kurdi, un bambino senza vita su una spiaggia del Mediterraneo. A Òscar Camps, bagnino di Badalona, quell’immagine ha cambiato la vita. Convinse il suo amico Gerard Canals ad andare a Lesbo per vedere cosa stava accadendo. Quello che era iniziato come un viaggio di due giorni divenne una missione che si protrasse per mesi e che, a oggi, ha salvato la vita a più di 60.000 persone. Dopo aver visto quella foto, Òscar lasciò tutto per salvare molta gente da morte certa e denunciare quanto stava avvenendo. Io che cosa potevo fare? Non sono un bagnino, ma potevo fare un film che desse visibilità a ciò che stava succedendo a sole due ore di aereo da casa nostra. Per quattro anni abbiamo lavorato a Lesbo per conoscere in prima persona la situazione e dare forma a un progetto in cui abbiamo affrontato l’inimmaginabile. Abbiamo girato nei veri uffici dei soccorritori di Open Arms. Abbiamo ricostruito il campo profughi di Moria e assunto come comparse centinaia di rifugiati. Né il film né io abbiamo le risposte per porre fine a ciò che accade nel Mediterraneo, ma possiamo fare da megafono perché nessuno dimentichi quel che avviene sulle nostre coste.

Niccolò Ammaniti al Linea d’Ombra Festival: “Il mio primo film sarà un horror siciliano”

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Il XXVI Linea d’Ombra Festival a Salerno si è aperto con il primo grande ospite di questa edizione, in presenza finalmente, e che già nel primo giorno di proiezioni e incontri ha segnato il tutto esaurito per tutti gli appuntamenti. 

Niccolò Ammaniti, scrittore, sceneggiatore, regista, si è aperto con il pubblico che ha gremito la Sala Pasolini di Salerno al 100% della capienza, durante la conversazione condotta dal direttore artistico Boris Sollazzo, introdotta dal presidente e fondatore del festival Peppe D’Antonio.

Niccolò Ammaniti ha ripercorso gran parte della sua carriera, quella letteraria che molto presto si è intrecciata con il cinema e poi quella da regista, legata a due serie televisive di grande successo internazionale, Il miracolo e Anna. E proprio dal romanzo da cui poi ha tratto la serie parte Ammaniti per raccontarsi.

Dopo avere finito di scrivere Anna mi sono accorto che avevo perso interesse nello scrivere, mi sono chiuso, non vedevo e non sentivo nessuno, e così per la prima volta in vita mia ho deciso di rivolgermi a uno psichiatra che semplicemente mi ha detto che dovevo vedere gente, fare cose nuove, solo che avevo allontanato tutti. Allora mi è venuta in mente una cosa che mi disse una volta Marco Risi, che stare sul set è bello perché hai un sacco di amici che paghi per stare con te. Ed è quello che ho fatto con Il miracolo, ho detto subito a tutta la troupe che dovevano essere miei amici, la mia famiglia, decidere di fare il regista è stata una necessità umana mediata da una sceneggiatura di cui tu racconti a ognuna delle persone che lavorano con te una verità parziale”.

Parlando di Marco Risi, Ammaniti ha ricordato l’esperienza de L’ultimo capodanno, primo film tratto da un suo racconto. “Fu un’esperienza bellissima, Marco mi permise di stare sempre sul set e li ho capito l’importanza che nel cinema hanno i luoghi. Una notte stavamo girando a Corso Francia, una grande strada di Roma trafficatissima, una strada che non può chiudere e che invece era stata chiusa per un film. Lì ho capito la potenza del cinema”.

Purtroppo il film fu un disastro al box office, “non ci andò veramente nessuno, tanto che con Marco andammo da una maga, perché eravamo convinti che qualcuno avesse fatto il malocchio al film. Allora andammo da questa maga della Maglianella, di cui avevano parlato a Marco dicendogli che era fenomenale. Ma non funzionò neanche quello”.

Un altro incontro molto importante per Niccolò Ammaniti fu quello con Bernardo Bertolucci. “Io e te è stato il primo romanzo che ho pensato avrei potuto anche dirigere. Ma quando Bernardo manifestò il suo interesse ho immediatamente rinunciato”.

Cosa che non fece con Il miracolo, “la prima volta che non ho avuto il desiderio di scrivere il romanzo prima di far diventare questa storia qualcos’altro, perché non sarei stato in grado di rendere il sangue che sgorga da questa madonna sulla pagina, servivano le immagini”. Una serie che gli ha insegnato il mestiere della regia “sbagliando tanto, sin dal primo giorno, quando ho fatto delle inquadrature bruttissime e poi ho voluto fare una scena alla Michael Cimino che era una schifezza”.

Tutte cose però che hanno fatto cresce l’Ammaniti regista, come dimostrato nella serie successiva, Anna, tratta dal suo romanzo che si è dimostrato in qualche modo profetico e da cui lo stesso regista è stato travolto.

Quando ci hanno detto che avremmo dovuto interrompere le riprese per il Covid non volevo accettare la cosa, sulla nave che da Palermo mi riportava a Roma ero da solo, ho pensato che sarebbe stata una scena clamorosa. Durante il lockdown la mia preoccupazione era che i bambini crescessero troppo, quando ci vedevamo su Zoom glielo dicevo ‘non crescete’”.

Niccolò Ammaniti è ripartito, e dal pubblico di Linea d’Ombra e da Boris Sollazzo si è congedato con due grandi notizie. La prima, di cui già si sapeva qualcosa, è che dopo sette anni è tornato a scrivere un romanzo.

Scrivere libri è una cosa fantastica, ti permette ti stare nella mente dei tuoi personaggi a lungo, cosa che in una serie e al cinema non puoi fare, perché devi dare spazio all’azione. Quindi mi sto divertendo, e dopo il gran culo che mi sono fatto sul set mi sono anche detto adesso me ne sto a casa, comodo, con i miei cani, a scrivere. Il titolo del romanzo sarà La vita intima”.

La seconda è che dopo due serie, è arrivato il momento di fare un film. “Non subito, voglio prima finire la prima stesura del romanzo, ma il film è già scritto. Non posso dire niente, se non che si tratterà di un horror, siciliano, che ruoterà attorno alla mitologia di quella terra”.

La prima giornata di Linea d’Ombra ha anche tenuto a battesimo il lungometraggio italiano inserito nel concorso Passaggi d’Europa, The Grand Bolero, di Gabriele Fabbro, con protagoniste Lidia Vitale e Ludovica Mancini, un piccolo grande film che racconta una passione tra due donne durante il lockdown attraverso una storia ricca di suggestioni visive e sonore che è stata molto apprezzata dal pubblico che si è poi intrattenuto con il regista, le protagoniste, il produttore e la scenografa in un appassionato Q&A dopo la proiezione.

Linea d’Ombra continua domenica 24 ottobre con Roberto Andò, che racconterà al pubblico il suo cinema e le sue storie, a partire da Il bambino nascosto, il film con Silvio Orlando, tratto dal romanzo omonimo dello stesso regista, che è stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e che arriverà nei cinema il 4 novembre.

E poi lunedì 25 ottobre grande attesa per l’arrivo di Valeria Golino, per parlare con l’attrice e regista di un anno per lei ricco di soddisfazioni, con tanti film e il ritorno negli Stati Uniti al fianco di due star come Reese Witherspoon e Jennifer Aniston, nella serie prodotta da Apple Tv+ The Morning Show, un’interpretazione che potrebbe darle molte soddisfazioni nella award season.

Petite Maman vince il premio di Alice nella Città 2021 #RFF16

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Petite Maman vince il premio di Alice nella Città 2021 #RFF16

Petite Maman di Céline Sciamma vince il Premio come miglior film Alice nella Città 2021. La giovane giuria, composta da 30 ragazzi provenienti da tutta Italia, ha scelto di attribuire il riconoscimento al “delicato, elegante, profondo e poetico” film della regista francese per la sua “capacità di coinvolgere emotivamente e di trasportare lo spettatore, all’interno di un viaggio immersivo e nostalgico, in un mondo che fa della purezza e della semplicità i suoi punti di forza”.

“Voglio ringraziare la giuria del festival – dichiara Céline Sciammaper aver realizzato il sogno del film: una sala cinematografica piena di ragazze e ragazzi. A loro voglio dire grazie. Grazie per l’emozione, per la sensibilità, per la curiosità. Come dicono le parole della canzone del film: il mio cuore è nei vostri cuori, i vostri cuori sono nel mio cuore”.

Da sempre attenta al mondo dei giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma è tornata con Petite Maman alle atmosfere di Tomboy, uno dei suoi film più amati, dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si chiama proprio Marion…

Grazie a una storia che molti critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman ha saputo gli spettatori con la sua riflessione commossa sulla memoria, l’amicizia e la famiglia. Il film, che rappresenta la prima collaborazione tra Teodora e MUBI, è uscito al cinema il 21 ottobre e sarà in streaming in esclusiva su MUBI nel 2022.

American Rust: recensione della serie creata da Dan Futterman

American Rust: recensione della serie creata da Dan Futterman

Dopo aver visto le prime tre puntate della miniserie creata da Dan Futterman (candidato all’Oscar per gli script di A sangue freddo – Capote e Foxcatcher, entrambi di Bennett Miller) appare chiaro che lo scopo principale di American Rust sia quello di mettere in scena le condizioni tutt’altro che agiate in cui versa oggi una buona parte del Nord Est degli Stati Uniti. Tale intenzione si sovrappone alla trama principale dello show, cercando un equilibrio tra melodramma e thriller che pende fin troppo in favore del primo genere.

American Rust, la trama

Dal momento che l’ambientazione dello show trasmesso in America da Showtime è dunque fondamentale, un contesto storico-sociale è del tutto necessario. Il set principale della storia adattata dal romanzo di Philipp Meyer è Buell, cittadina del sud della Pennsylvania. Ovvero nel mezzo della cosiddetta “Rust Belt” (Cintura di Ruggine), territorio che in particolar modo dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva sviluppato una fiorente economia basata sull’industria pesante, salvo poi essere stata “abbandonato” a se stesso a partire dalla fine degli anni ‘70. Il decennio successivo ha costretto larga parte dei cittadini alla disoccupazione, causando di conseguenza povertà, abuso di droghe, criminalità. È in questo clima di desolazione che si muovono i personaggi di American Rust: protagonista della serie è Del Harris, uomo di legge che deve catturare l’assassino di un suo ex-collega dal passato tutt’altro che integerrimo. Il principale indiziato è il giovane Billy Poe, figlio della donna con cui proprio Harris vorrebbe costruire il proprio futuro. Il dilemma è quindi semplice: fare il proprio dovere diretto verso la ricerca incondizionata del colpevole oppure “pilotare” le indagini in modo da deviare l’attenzione lontano dal ragazzo?

American Rust - Ruggine Americana

Il giallo è un pretesto

Fin dall’episodio pilota si può chiaramente intuire che in American Rust l’ossatura del giallo è poco più di un pretesto: il solo fatto che l’episodio venga costruito come un lungo flashback rivela quanto Futterman e il regista John Dahl – anni fa diresse il notevole ma sfortunato Il giocatore con Matt Damon ed Edward Norton – siano maggiormente interessati alla rappresentazione del contesto rispetto allo sviluppo della trama. L’interesse che American Rust suscita nello spettatore sta principalmente nella rappresentazione dell’umanità lasciata indietro in cittadine come Buell: la desolazione economica e soprattutto umana che lo show mette in scena possiede un realismo malinconico capace di non scivolare mai in atteggiamento pietistico.

Personaggi e figure in chiaroscuro, sconfitte dal tempo o dalle vicissitudini di una vita fatta di stenti, si alternano a momenti in cui la vitalità e la voglia di affermare il proprio valore colpiscono nel profondo, come in una bella sequenza di matrimonio nel secondo episodio. La rappresentazione sentita e partecipe di tale umanità non riesce però a distogliere l’attenzione dal fatto che il meccanismo di detection riguardante l’omicidio, ovvero il catalizzatore della trama, in realtà funziona a stento: le indagini si sviluppano con un meccanismo narrativo estremamente lento e tutto sommato poco interessante. I potenziali indiziati del crimine vengono sviluppati come personaggi stranamente inconsistenti, che nel corso degli episodi diventano sempre più stereotipati sia nelle azioni che nei meccanismi psicologici. E tale mancanza di presa emotiva sulla vicenda della soluzione del puzzle alla lunga mina l’efficacia degli episodi stessi.

American Rust - Ruggine Americana Jeff Daniels

Jeff Daniels merita la visione

Se American Rust merita comunque uno sguardo è senza dubbio per le interpretazioni corpose di alcuni attori del cast principale: prima di tutto il protagonista Jeff Daniels, capace di tratteggiare un Del Harris piegato dalla stanchezza e da un passato doloroso che tenta comunque di svolgere il proprio lavoro con la dignità rimasta. L’attore amato qualche anno fa nella serie The Newsroom creata da Aaron Sorkin lavora in questo caso con i mezzitoni e le sfumature del ruolo in maniera magistrale. Accanto a lui un altro “veterano” come Bill Camp – il quale ha ottenuto la consacrazione sul piccolo schermo con una miniserie poderosa quale The Night Of – contribuisce a impreziosire American Rust insieme alla sempre efficace Maura Tierney. Insomma, se scoprire il colpevole in questo show non sembra poi così avvincente o anche necessario, rimane comunque la soddisfazione di vedere all’opera attori di bravura consumata. 

Manhunter – Frammenti di un omicidio: trama, cast e curiosità sul film

Con Il silenzio degli innocenti Hannibal Lecter è diventato uno dei personaggi più iconici del cinema, merito anche dell’interpretazione da Oscar di Anthony Hopkins. Protagonista poi anche di diverse opere successive al film del 1991, Lecter era in realtà già apparso sul grande schermo nel 1986 con il celebre film Manhunter – Frammenti di un omicidio (dove il cognome viene però modificato in Lektor), diretto dal maestro del cinema d’azione Michael Mann (suoi sono acclamati film come Heat – La sfida, Insider – Dietro la verità e Collateral). Questo film ha così gettato le basi per una vera e propria mitologia, riadattando i canoni del genere per dar vita a nuove forme di paura e tensione.

Oltre ciò, Manhunter si presenta però come un’opera più complessa di quanto potrebbe sembrare in apparenza. Non si tratta della classica storia di sfida tra detective e serial killer, poiché questo rapporto è arricchito da una serie di elementi che rendono i due personaggi a loro modo speculari, entrambi figli di una società malsana che li circonda. Caratterizzati dai colori blu e verde, ricorrenti in tutto il film, i due personaggi anticipano quella sfida tra bene e male riscontrabile anche in Heat, dove però i confini tra questi due valori vengono spesso ad essere poco definiti.

Con Manhunter, Mann suggerisce dunque di come per poter catturare un serial killer, occorra esserlo a propria volta. Poco apprezzato al momento della sua uscita, quest’opera è oggi un cult imperdibile e da riscoprire in ogni suo aspetto, tanto narrativo quanto tecnico e visivo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi al libro, alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Manhunter – Frammenti di un omicidio: il libro da cui è tratto il film

Il film di Mann, di cui egli è anche sceneggiatore oltre che regista, è tratto dal romanzo del 1981 Red Dragon, scritto da Thomas Harris. Si tratta del primo libro a contenere il personaggio di Hannibal Lecter e gli altri divenuti poi popolari con i film. Harris, da sempre appassionato delle storie dedicate a serial killer, si documentò molto prima di scrivere la propria, incontrando agenti dell’FBI e apprendendo da loro tutto ciò che c’èra da sapere su queste personalità. Scritto in quasi totale isolamento in un monolocale di circa 3.5 metri quadrati, il libro divenne poi un successo straordinario, incontrando da subito l’interesse di Hollywood.

Per il primo adattamento, quello di Manhunter, si decise tuttavia di modificare il titolo poiché Red Dragon poteva far pensare ad un film di arti marziali. Nel 2002, tuttavia, è stato realizzato un nuovo adattamento del romanzo, stavolta con il titolo di Red Dragon. Nel tempo trascorso tra i due film, però, Harris aveva pubblicato anche due sequel del suo romanzo, rispettivamente Il silenzio degli innocenti e Hannibal. Entrambi furono poi adattati negli omonimi film, usciti nel 1991 e nel 2001. Con questa trilogia Harris si concentrò sempre di più sulla figura di Hannibal Lecter, rendendolo il personaggio iconico che oggi tutti conosciamo.

Manhunter – Frammenti di un omicidio: la trama del film

Protagonista del film è l’ex agente Will Graham, ora andato in pensione anticipata dopo aver subito gravi ferite fisiche e psichiche in seguito ad uno scontro con il serial killer cannibale Hannibal Lektor. Sapendo ora il criminale dietro le sbarre di una prigione di massima sicurezza, Graham può godersi il suo meritato riposo insieme alla moglie Molly e al figlio Kevin, cercando di dimenticare quanto accadutogli. La comparsa di un nuovo assassino, che si fa chiamare Dente di Fata, scuote profondamente la sua tranquillità. Il killer si è infatti affermato per il suo commettere spaventose stragi durante le notti di plenilunio, dove giovani coppie con bambini sono sterminate secondo macabri rituali.

Gli ex datori di lavoro di Graham non tardano a chiedergli di tornare in azione per dedicarsi al caso, in quanto solo lui conosce talmente bene la mente criminale da poterla anticipare. Non sapendo resistere all’offerta, Graham decide infine di dedicarsi a questo nuovo caso. Il suo metodo investigativo, però, richiede di immedesimarsi nella parte dell’assassino, il che è ora per lui estremamente gravoso sul piano emotivo. Per poter riuscire a portare a termine quel caso, l’agente si vedrà dunque costretto a rivolgersi alla persona di cui più ha terrore al mondo: Hannibal Lektor. Così facendo, Graham entra però in una spirale di perdizione, nella quale finirà per essere coinvolta anche la sua famiglia.

Manhunter - Frammenti di un omicidio cast

Manhunter – Frammenti di un omicidio: il cast del film

Ad interpretare il protagonista, Will Graham, vi è l’attore William Petersen, noto in particolare per il ruolo di Gil Grissom in CSI – Scena del crimine. Per prepararsi al ruolo l’attore ha lavorato insieme al dipartimento di polizia di Chicago per apprendere quanto necessario sul mesterie. Ha poi anche avuto modo di approfondire l’impatto che i casi più disturbanti hanno sulla psiche degli agenti. Grazie a queste informazioni ha potuto dare un’interpretazione credibile del personaggio. Per il ruolo di Hannibal Lektor è invece stato scelto l’attore Brian Cox. Egli ha poi dichiarato di essersi ispirato per la propria interpretazione al serial killer Peter Manuel, evidenziando come per questo tipo di personaggi non esistano i concetti di giusto e sbagliato.

L’attrice Kim Greist è Molly, la moglie del protagonista, mentre Stephen Lang è Freddy Lounds. La candidata all’Oscar Joan Allen interpreta Reba McClane, una donna cieca particolarmente centrale nella storia. Per il suo ruolo l’attrice si è preparata camminando bendata per le strade di New York. Infine, nei panni del serial killer Dente di Fata vi è l’attore Tom Noonan. Per tutto il tempo delle riprese egli rimase nei panni del personaggio, chiedendo che nessuno degli attori che interpretavano le sue vittime avesse contatti con lui e che il resto dei presenti gli si rivolgesse con il nome del personaggio. Secondo molte testimonianze questo suo comportamento ha generato una forte tensione sul set, accentuando la paura nei suoi confronti.

Manhunter – Frammenti di un omicidio: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Sfortunatamente Manhunter – Frammenti di un omicidio non è presente su nessuna delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il film è però presente nel palinsesto televisivo di sabato 23 ottobre alle ore 23:30 sul canale Iris. Parallelamente, si potrà vederlo sulla piattaforma Mediaset Play, in modo del tutto gratuito.

Fonte: IMDb

Lamb – recensione del film con Noomi Rapace #RFF16

Lamb – recensione del film con Noomi Rapace #RFF16

Al suo esordio da regista, lo sceneggiatore e curatore di effetti speciali Valdimar Jóhannsson sceglie la svedese Noomi Rapace come protagonista di Lamb. È lei a traghettare lo spettatore in un universo quasi primordiale nella sua semplicità, a veicolare una riflessione sulla volontà umana di sottomettere la natura alle proprie esigenze e l’illusione di poterne uscire indenni. Premio per l’originalità al Festival di Cannes 2021.

Lamb, la trama 

In mezzo alla natura islandese vive una coppia di allevatori di ovini, Maria, Noomi Rapace, e Ingvar, Hilmir Snær Guđnason. Un giorno accade un fatto inaspettato, che ha del soprannaturale: una delle loro pecore partorisce un agnellino per metà umano. Che fare col piccolo, anzi, con la piccola? Maria non ha dubbi: alleverà la creatura come la figlia che non ha potuto crescere. Lei e Ingvar, infatti, hanno perso la loro figlia Ada in tenera età e non si sono più ripresi da quel lutto. Per Maria l’arrivo di questa creatura è un segno del destino, un’opportunità di ritrovare la felicità, a cui non è disposta a rinunciare. Ma quanto durerà e quale sarà il suo prezzo? 

Lamb, un racconto oscuro sulla volontà dell’uomo di piegare la natura ai propri scopi

Mai come in questo ultimo anno e mezzo si è avuta l’occasione di riflettere sul rapporto che ci lega alla natura di cui siamo parte. Con la pandemia ci si è resi più che mai conto di quanto l’uomo sia fragile e impotente di fronte alla natura, nonostante si sforzi continuamente di governarla e indirizzarla secondo i propri scopi. Si è riflettuto sui danni che questa manipolazione arreca alla natura stessa e sulla necessità di tornare a vivere in equilibrio con essa. È proprio questo il punto nodale di Lamb.  Cosa accade quando l’uomo forza la natura a proprio piacimento, anziché rispettarla? Come è opportuno guardare ad essa? È una nemica da sconfiggere, o piuttosto un’alleata da salvaguardare? Verrebbe spontaneo propendere per la seconda opzione, ma, come dimostra il film, nella realtà non è così facile come si potrebbe pensare. Le due spinte opposte sono ancora più evidenti proprio per il tipo di vita che la coppia di protagonisti conduce.

In quanto allevatori, infatti, sono tra coloro che più conoscono la natura, gli animali e i loro ritmi. Vivono a stretto contatto con loro ogni giorno e sembrano attenti e scrupolosi nel prendersi cura del gregge. Ma quando Maria intravede la possibilità di soddisfare un suo bisogno e riparare così, in un certo senso, a un torto subito dalla natura stessa con la perdita della figlia, non esita a stravolgerne l’equilibrio. Il tema del lutto è infatti l’altro cardine del film. la perdita, e in particolare di quella che appare più innaturale tra tutte: la perdita di un figlio. Così difficile da elaborare che può essere devastante. Nel caso dei protagonisti, sembra averli svuotati completamente. Maria è la più battagliera e cerca con tutte le sue forze qualcosa per aggrapparsi ancora alla vita, lo trova nella piccola agnellina-umana. Ingvar sembra più rassegnato, ma la segue.

Maria e Ingvar sono quasi simbolo dell’umanità intera. Il regista li mostra immersi in un mondo di cui sembrano i soli abitanti. Colpisce, infatti, l’assenza di scambi, di relazioni umane, fatta salva l’incursione del fratello di Ingvar, Petur, interpretato da Björn Hlynur Haraldsson. Un’assenza che l’ambientazione nella campagna islandese, tra montagne innevate e ampie distese erbose, non basta a giustificare, inducendo a pensare a una precisa scelta stilistica. I protagonisti paiono esemplificare, nella visione di Jóhannsson, l’atteggiamento umano di fronte al mondo.

Tra thriller, favola e fumetto, una fusione non riuscita

Volendo parlare di generi, si potrebbe dire che Lamb sia un thriller che si mescola con la favola e il fumetto. Il regista afferma di essersi ispirato ai racconti popolari islandesi e di  aver attinto al folklore del suo paese. L’espediente della creatura metà uomo e metà animale, però, rimanda più a un fumetto o a una favola, sia concettualmente, che fisicamente. Anche se il regista ha cercato di usare il più possibile il vero agnello per rendere realistico il personaggio, infatti, la bambina-pecorella ha spesso l’aspetto artefatto di un oggetto animato, specie se deve muoversi. D’altro canto, è il regista stesso a dire che il film ha iniziato a prendere forma da una graphic novel.

L’inserimento di questo elemento in un contesto che vuole essere realistico e anche crudo per certi versi, stride, non solo per la discrepanza tra gli stili, ma anche perchè risulta un espediente un po’ troppo semplice per lo spettatore adulto. Rimanda infatti al mondo infantile, pur trattandosi di un film duro, drammatico ed evidentemente non destinato ai più piccoli. Esso allontana chi guarda, non lo coinvolge, dandogli una sensazione di messinscena, provocando straniamento. L’idea della creatura soprannaturale avrebbe reso forse meglio se questa, ad esempio, non fosse stata mostrata, ma soltanto evocata, lasciando la possibilità di immaginare. 

L’elemento soprannaturale e il modo in cui viene accolto portano una nota inquietante. Nella seconda parte del film ci sono diversi indizi che creano suspense, alimentata anche dall’atmosfera visivamente cupa: nebbie, tempo grigio, vento, pioggia. Questo però non basta a rendere il lavoro avvincente. 

Delle molte strade possibili per parlare del complesso rapporto uomo-natura, ivi compresa quella documentaristica, che negli ultimi anni ha dato più di una soddisfazione – basti pensare, ad esempio a un lavoro come Genesis 2.0 di Christian Frei e Maxim ArbugaevJóhannsson sceglie forse la meno adatta, creando un crossover tra generi troppo azzardato, che non convince, nonostante il  premio per l’originalità ricevuto a Cannes. 

Distribuito da Wanted Cinema, Lamb arriverà nelle sale a marzo 2022.

Mothering Sunday, recensione del film con Josh O’Connor #RFF16

Mothering Sunday, recensione del film con Josh O’Connor #RFF16

Mothering Sunday è l’ultima opera di Eva Husson. La regista francese è al suo terzo lungometraggio: passata dal Toronto International Film Festival con Bang Gang A Modern Love Story del 2015 e da Cannes nel 2018 con Girls of the Sun e con il film in questione, in questi giorni approda anche a Roma alla 16esima Festa del Cinema, facendoci immergere in atmosfere sospese e fluttuanti direttamente nelle campagne inglesi del 1924.

Mothering Sunday, la trama

Mothering Sunday racconta infatti della giovane domestica Jane Fairchild (Odessa Young) che presta servizio in casa dei ricchi coniugi Niven: gentili, specialmente il marito (Colin Firth), ma anche malinconici e silenziosi, specialmente la moglie – una Olivia Colman ammusonita quasi come in La Favorita – i quali hanno un rapporto d’amicizia molto stretto con altre due coppie, gli Sheringhan e gli Hobday.

Uno dei figli degli Sheringham, Paul (Josh O’Connor), ha una relazione intima ma clandestina con Jane. E sarà parzialmente attorno a questi attimi, sguardi, tocchi, che tutto il film di Eva Husson incentrerà i suoi primissimi piani e i suoi sospiri.

Come in un flusso di coscienza, che prende il via da una memoria emotiva vivida e ancora pulsante, traspare da ogni sequenza che l’origine della storia sia un romanzo (omonimo, scritto nel 2016 da Graham Swift), e sono molto ricche le impressioni che suscita, la facile capacità con cui attraverso ogni inquadratura è immediata la sensazione di trovarsi nella dimensione intima dei ricordi di qualcuno.

Senz’altro, quel che si può chiaramente ammettere, è che Eva Husson sappia regalare la soggettività di Jane, anche se non sempre con la dovuta continuità. A catturare delle immagini che la regista costruisce, è la fotografia tinta di luci delicate e sognanti, unitamente al volto ninfeo di Jane, sul quale i piani stringono sempre tantissimo, così come su quello del suo amante Paul, nei suoi sorrisi tirati e quasi plastici, proprio come se fossero estratti da vecchie foto.

È interessante lo sviluppo narrativo che va avvolgendosi attorno al personaggio di lei, sempre di più, chiarificando quale sia davvero l’obiettivo della regista e su chi voglia veramente puntare il riflettore.

Husson ha a cuore la fisicità della giovinezza, e si compiace nel ritrarre i corpi, nelle loro linee acerbe ma che si gettano nella vita, con incoscienza e spudoratezza. Quasi ad invidiarne l’inconsapevole potenziale, ne racconta l’incontinenza dei desideri, a qualunque costo.

Mothering Sunday va alternandosi in tre fasi distinte della vita di Jane e, da una all’altra, la maturazione della sua femminilità cambia in maniera evidente, anche se in modo solo accennato.

Probabilmente ciò che manca di fronte ad un’estetica così curata, è la parte più semplicemente narrativa, nella quale conoscere ciò che ha davvero abitato i sentimenti e i pensieri della protagonista.

È sicuramente affascinante la vaghezza continua del tratto stilistico che, appunto, scivola anche sul piano della storia e che riesce ad essere comunque esaustiva nel dire, dopotutto, quale sia il senso di un cuore più volte spezzato ma che non smette di battere. Ma l’effetto, d’altra parte, è quello di passare senza lasciare veramente una traccia, se non un sospiro, il soffio di un vento di ricordi che scompigliano un po’ i capelli e nulla di più. Nelle intenzioni sarebbe stata molto più incisiva l’immagine che Husson avrebbe voluto veicolare sulla crescita di una donna nell’arco della sua vita, iniziata, tra l’altro, in un orfanotrofio.

Poco male. Mothering Sunday riesce a salvarsi egregiamente in tutti i casi per merito della grazia attraverso la quale descrive le cose. E l’arguzia – consapevole o no – sta nel fatto che l’arte maneggiata in modo superficiale può, sì, durare il tempo che trova, ma non per questo ammaliare di meno.

Zlatan: recensione del film su Zlatan Ibrahimović #RFF16

Zlatan: recensione del film su Zlatan Ibrahimović #RFF16

Nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma arriva il momento del film Zlatan, il biopic in cui il regista svedese Jens Sjögren disegna il suo ritratto di uno dei giocatori più amati del calcio moderno: Zlatan Ibrahimović. Se lo scorso anno con  Mi chiamo Francesco Totti, documentario di Alex Infascelli, la Festa ha reso omaggio al talento del capitano giallorosso, oggi lo fa con Ibrahimovic, portando sul grande schermo un racconto di formazione e di riscatto.

Zlatan, la trama 

Zlatan, Dominic Andersson Bajraktati, è un bambino la cui famiglia è immigrata in Svezia dai Balcani. Vive in periferia con la madre, Merima Dizdarević, e i due fratelli. È un bambino irrequieto e problematico, soprattutto a scuola, dove la madre è spesso convocata dalla preside. È allergico alla disciplina e si mette spesso nei guai. Quando però i suoi piedi incontrano un pallone, non lo lasciano più. Inizia a giocare sui campetti vicino casa e poi entra nelle squadre locali, fino ad arrivare, anni dopo, nelle giovanili della squadra svedese Malmö FF. Ma il suo problema è ancora la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole. Zlatan, Granit Rushiti, vuole solo giocare e fare gol e mostra scarso spirito di squadra. Perciò viene ripreso spesso dall’allenatore. Ormai è un adolescente ed è andato a vivere col padre, Cedomir Glisović, un uomo senza mezzi, che si lascia andare e non si occupa di lui, lo lascia a sé stesso. Nonostante la sfiducia altrui e un ambiente familiare problematico, Zlatan continua il suo percorso, che lo porta sempre più in alto, fino ad approdare all’Ajax. La sua carriera, però, decollerà davvero solo quando riuscirà a mettere tutto il suo desiderio di rivalsa al servizio del gioco e della squadra.

Zlatan, la strada del calciatore fino al successo senza troppo coinvolgimento

zlatan granit rushitiIl regista Jens Sjögren – con un passato da chef, conduttore tv, attore – racconta Ibrahimović senza fare un’agiografia e senza dare alcun giudizio sul giocatore. Compone un classico racconto di formazione e di riscatto, articolato in un susseguirsi di flashback e flashforward. Disegna la parabola ascensionale del giocatore tenendo sempre al centro sia il talento, che il non essere accettato, il sentirsi sempre additato per il suo comportamento. Un problema caratteriale che gli viene dalla sua formazione umana, dalla famiglia, dalle privazioni, dallo spirito di rivalsa che cova e trasforma in aggressività. Sjogren sceglie la forma filmica piuttosto che la documentaristica, dà il suo taglio al lavoro, concentrandosi sui momenti che lo interessano, ovvero le fasi che precedono il grande successo, poiché, come si dice nei titoli di coda: “il resto è storia del calcio”.

I due ragazzi che interpretano Ibrahimović nelle varie fasi della sua formazione, prima Dominic Andersson Bajraktati e poi Granit Rushiti, offrono buone interpretazioni e nel cast è presente anche l’italiano Emmanuele Aita, nel ruolo del procuratore sportivo Mino Raiola. Ciò che manca in Zlatan non è tanto la tecnica registica, quanto la capacità di creare empatia, coinvolgimento, di emozionare davvero il pubblico. Forse perché Sjögren si mantiene troppo a distanza, preoccupato di mantenere un equilibrio, anzichè andare più a fondo nel personaggio.

Il racconto procede lineare, come una classica storia di formazione e riscatto, che parte da una famiglia disagiata come ce ne sono tante. Una storia in cui la voglia di riuscire e di essere accettati è più forte delle difficoltà. Ciò che manca è qualcosa che emozioni davvero, che vada al di là dell’interesse per il personaggio in sé, della curiosità di sapere chi è Ibrahimović e da dove viene. Qualcosa che faccia sentire vicino lo spettatore. Così il film avrebbe potuto coinvolgere anche i non tifosi, i non appassionati di calcio e coloro che non amano o non conoscono Zlatan Ibrahimović. Zlatan sarà nelle sale dall’11 novembre, distribuito da Lucky Red e Universal Pictures.

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