Mike Flanagan vuole
portare l’ombra dell’horror anche nel
mondo di Star Wars. Flanagan,
nome affermato nel genere horror, regista e ideatore della serie
Midnight Mass, lancia in rete la sua idea: ”Mi
piacerebbe molto realizzare un film dell’orrore per l’universo
Star
Wars…”
Il
post su Twitter di Mike Flanagan risale a ieri
pomeriggio e già oggi riporta più di 1500 retweet e 24mila like. Il
regista scrive: ”Questa mattina sono stato svegliato dal terremoto,
così ho avuto modo di sedermi per qualche minuto e pensare: mi
piacerebbe molto realizzare un film dell’orrore per l’universo
Star Wars…”.
Ovviamente la rivelazione di
Mike Flanagan ha innescato un’ondata di
speculazioni online: oltre ai fan degli horror di
Flanagan e quelli di Star Wars,
anche alcuni personaggi del settore hanno espresso la loro
sull’idea del regista. Il collega Edgar
Wright (Ultima notte a Soho) ha risposto
scherzosamente con “Don’t Be Afraid Of The Darth”, facendo
riferimento al titolo dato ai Signori dei Sith in Star Wars.
Perfino la star di Midnight MassRahul
Kohli, che ha lavorato con Flanagan anche
in The Haunting Of Bly Manor, ha espresso la sua dicendo
“Ohhhhhhh hai letto il mio diario!”.
Per il momento, non sembra esserci
nessun progetto concreto che veda coinvolto il franchise di
Star Wars e Mike Flanagan.
Certamente, vista la crescente notorietà del regista a livello
internazionale, la possibilità di un horror movie inserito nel
mondo Star Wars non è da escludere. Il
franchise ha in programma il film Rouge Sqadron, la cui uscita è prevista per il 2023.
Data
l’ampiezza delle galassie di Star Wars, forse ci sarà spazio in futuro
anche per Flanagan.
Mike Flanagan: la carriera del
regista
Flanagan nasce a
Salem in Massachusetts nel 1978. Trasferitosi a Los Angeles, inizia
a lavorare come montatore. Nel 2011 arriva a dirigere il suo primo
lungometraggio, Absentia, portando sul grande schermo la
sua passione per il genere horror: seguono Somnia
e Ouija
– l’origine del male. Prima
nel 2016 con Hush – Il terrore del silenzio, poi
nel 2018 con la sua serie horror The Haunting of Hill House, grazie a Netflix il nome di
Flanagan si afferma a livello globale. Oggi il
regista è uno dei principali creativi contemporanei del
genere. La serie di quest’anno
Midnight Mass è il più recente progetto solista del
regista ed è attualmente disponibile su
Netflix.
Una buona notizia per tutti i fan
di Lucca Comics & Games che
non sono riusciti ad acquistare gli 80.000 biglietti
previsti: da stasera, lunedì 25
ottobre, a
partire dalle ore 18 il
portale ufficiale Vivaticket metterà a disposizione altri 2.500
biglietti giornalieri, per un totale di 10.000 nuovi ingressi
complessivi per i quattro giorni di festival.
A partire dalle
ore 18di oggi sarà quindi possibile
acquistare questi nuovi biglietti solo online nel sito
ufficiale Vivaticket. Previa registrazione, ogni
utente potrà comprare un massimo di 2 ingressi per
ogni giorno. Non sono previsti abbonamenti, i biglietti
riguardano solo ingressi giornalieri.
Non saranno presenti
biglietterie fisiche. Resta valido l’invito a recarsi a Lucca nei
giorni del festival solo se in possesso di un biglietto
valido: tutte le attività organizzate nell’ambito della
manifestazione restano infatti accessibili solo previa
presentazione del biglietto e del Green Pass. Sarà
necessario inoltre indossare le mascherine anche fuori dai
padiglioni. Il programma non prevede attività
organizzate negli spazi pubblici cittadini.
La Festa del Cinema di
Roma omaggia Tim Burton con il Premio allacarriera.
Red carpet, foto di rito, con figli e cagnolino al seguito, e poi
il regista è pronto per un incontro ravvicinato, occasione per
ripercorrere le tappe della carriera che lo ha portato dal disegno
per la Disney, dietro a una macchina da presa. Da regista ha
potuto dare corpo ad un immaginario unico e sempre riconoscibile,
con potenti legami al mondo dell’infanzia, ma anche con quella
malinconia, quel senso di inadeguatezza e quelle atmosfere
tipicamente dark che lo hanno sempre contraddistinto.
Riceve il Premio alla
Carriera dalle mani di un maestro della scenografia come Dante
Ferretti – che
vinse l’Oscar con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet
Street – assieme a Francesca Lo Schiavo e alla
costumista Gabriella Pescucci, con cui pure ha collaborato
per La fabbrica di Cioccolato. “Ricevere questo
premio mi riempie di gioia e orgoglio” dice il regista, “E’
un onore riceverlo dalle mani di questi tre grandi artisti. Ho
avuto il piacere di lavorare con loro, ma mai abbastanza, spero di
avere altre occasioni”. A proposito della città che lo ospita e
lo premia afferma: “Roma è una città capace di catturare i
sogni”.
L’esperienza alla
Disney negli anni Ottanta
La carriera di Tim Burton
ebbe inizio proprio come disegnatore alla Disney, in un
momento non proprio favorevole: “Terribile! Si tratta degli anni
più bui alla Disney. C’erano moltissime persone di enorme talento e
creatività, invece si facevano film comeRed e Toby
nemiciamici, che richiedevano dieci anni di lavorazione.
Avevi a disposizione figure geniali comeJohn
Lasseter, che poi hanno creato il mondoPixar, ma non c’erano opportunità per tutti questi
talenti. Sono stato fortunato, perchè ero un pessimo disegnatore di
animazione. Mi dicevano che la volpe che avevo disegnato sembrava
essere stata travolta da un’auto. Per fortuna ero così incapace che
poi sono passato a fare altro!”.
L’omaggio a Mario
Bava
All’interno del panorama
cinematografico italiano, Burton sceglie di omaggiare Mario
Bava. La maschera del demonio e
Diabolik vengono montati in sequenza con il suo
Batman. Le atmosfere oscure e anche una componente
ironica sono elementi cari al regista americano.
Riconoscibile dunque una
ispirazione al maestro dell’horror italiano, anche per quanto
riguarda ambientazioni e scenografie. Burton parla così di Mario
Bava: “Negli anni ’80 a Los Angeles andai ad un festival di
cinema horror, una maratona di 48 ore. […] Normalmente ti
assopisci, mentre io mi ricordo chiaramente il film diMario Bava,La maschera del
demonio, come un sogno. Sapeva catturare questo senso
onirico tendente all’incubo. In pochi sono riusciti a catturarlo.
Oltre aBava,Federico FellinieDario Argento”.
La nascita diEdward mani di forbice
Burton spiega poi
così da dove nasce l’idea di un personaggio come Edward, ovvero
qualcuno che involontariamente ferisce chi ama:
“Sfortunatamente, questa è stata la mia infanzia […] Ho sempre
amato favole e fiabe. Le favole permettono di esplorare veri
sentimenti aumentandone l’intensità. Io mi sentivo così da
ragazzo.”
Allestimento
scenografico, sceneggiatura e ispirazione nei film di Tim
Burton
Scenografie, costumi e
messa in scena
hanno sempre avuto un ruolo importante nei film di Burton: “Ho
avuto la grande fortuna di lavorare con straordinari artisti. Per
me scenografia, musica, costumi fanno parte del film, come dei veri
personaggi. Avendo avuto il privilegio di lavorare conDante FerrettieGabriella
Pescucci, per me la scenografia è fondamentale, penso ad
esempio aSweeney Todd.” Per quanto riguarda la
scenggiatura, prosegue Burton: “Non mi reputo uno
sceneggiatore. Parto dalle idee e cerco di stabilire dei rapporti
di collaborazione con chi sa scrivere.Edward mani di forbice, ad esempio, nasce
dalla mia esperienza. Nel caso diNightmare before Christmasnon era materiale
mio, ma mi riconoscevo in alcuni suoi elementi. Cerco sempre di
trovare qualcosa con cui io possa rapportarmi.”
A proposito poi di
ispirazioni anche non convenzionali, su Mars Attacks!
dice: “Dimenticate grandi romanzi, grandi opere letterarie. Sono
partito dalle carte che avvolgevano le gomme da masticare. La mia è
stata un infanzia un po’ contorta…”.
L’esperienza di lavoro
con gli studios
Burton nella sua
carriera ha sempre lavorato con grandi studi cinematografici. Così
racconta la sua esperienza: “Ho fatto solo film con gli studios,
sono stato in una posizione un po’ insolita perchè, nonostante
questo, sono sempre riuscito a fare ciò che volevo. Ancora non
riesco a capacitarmi. La cosa mi sorprende perchè si tratta di
business. Ancora mi interrogo su come sia stato possibile. Per
fortuna non hanno veramente mai capito cosa stessi facendo”.
“Il cinema è un’opera collettiva. […] L’impegno collettivo è
fonte di gioia. Quando si parla del budget […] non è mai
abbastanza, poco o tanto che sia. È un po’ come cercare di
controllare le condizioni metereologiche: ci sono tanti elementi
intangibili”.
Tim Burton – foto di Fabio Angeloni – Disney Italia
L’incontro con
Stephen Sondheim perSweeney Todd
Uno dei lavori forse più
complessi di Tim Burton è Sweeney Todd – Il diabolico barbiere
di Fleet Street. Un adattamento del musical di Stephen
Sondheim. Racconta Burton: “Fu molto difficile far vedere il
film a Stephen. Per fortuna gli piacque, cosa che mi riempì di
gioia. E’ una combinazione tra horror e musical. L’ha visto solo
alla fine, ed ero molto preoccupato perchè nessuno degli attori era
un cantante. Però lui non lo ritenne un problema, anzi. […] È stato
di grande sostegno.
Fare un musical è
stato molto divertente. So che può sembrare assurdo, ma per me è
stato un po’ come fare un film muto, perchè c’era sempre questa
musica.”
Big eyes, Ed
Wood e il senso dell’arte
Nella carriera di Burton,
alcuni film rimandano in qualche modo alla domanda su quale sia il
senso dell’arte, su cosa si possa definire arte e cosa no. Uno di
questi è senz’altro Big Eyes. Al centro del film la figura
di Kean e i quadri dipinti da sua moglie, contraddistinti da
personaggi dotati apputo di grandi occhi indagatori. “Ricordo
quei quadri di Kean” afferma Burton, “si trovavano in tutte
le case appesi alle mura del salotto. Io li ho sempre trovati un
po’ inquietanti. Mi chiedevo come mai potesse piacere tanto. Questo
ci porta a riflettere sul senso dell’arte. È interessante. Veniamo
toccati in modo diverso da ciò che vediamo. Per me erano
inquietanti. Altri li trovavano così carini da appenderli nelle
camere da letto dei loro bambini. Questo ci fa riflettere sul senso
dell’essere artista”. Una simile riflessione si può fare anche
su Ed Wood, figura su cui Burton ha costruito
l’omonimo film. “E’ straordinario”, dice il regista,
“perchè Ed Wood pensava di stare girandoGuerreStellari. Aveva una passione tale che ritroviamo
anche nei suoi diari. Si reputava tra i più grandi. Questo ci
riporta al discorso che facevamo prima, in sostanza, su cosa è arte
e cosa è merda”.
La sorpresa di una
mostra al MoMA dedicata a Tim Burton
Infine, è interessante
scoprire come ci si sente ad essere annoverati tra gli artisti cui
è stata dedicata una retrospettiva al MoMA. Burton se ne
dice onorato: “Questa retrospettiva è stata una sorpresa
straordinaria. Io sono un pessimo archivista. Si è trattato di
andare a frugare nei cassetti per trovare le oprere. E’ stato
sorprendente e indimenticabile. Sorprese come queste ti riempiono
di gioia. È stata la mostra che ha avuto più successo in assoluto
tra quelle fatte. Non mi reputo un artista, però fa pensare il
fatto che delle opere d’arte riescano in qualche modo ad ispirare
gli altri”.
La presentazione alla
Festa del Cinema di Roma del documentario Frank Miller
– American Genius, diretto da Silenn Thomas,
collaboratrice di lunga data di Miller, diventa l’occasione
per una lunga chiacchierata con uno dei fumettisti più influenti
del mondo contemporaneo.
La regista racconta di
aver conosciuto Miller sul set di 300. “Ero
una piccola produttrice”. E racconta così la genesi del
documentario: “Tanti suoi fan mi chiedevano perchè non ci fosse
un documentario suFrank Miller. Gliel’ho
chiesto, lui è stato d’accordo, così l’ho fatto”. Se però si
chiede a Miller da chi vorrebbe essere interpretato, qualora si
facesse un film di finzione su di lui, il fumettista non ha
dubbi: “DaMeryl Streep. Lei potrebbe fare
qualsiasi cosa. […] E’ impressionante per la sua
capacità.”
Come è nato 300
Molte curiosità
riguardano ciò che ha influenzato l’arte di Frank Miller, a
partire dalle influenze cinematografiche: “Un film che mi ha
ispirato moltissimo è L’eroe di Sparta, del 1962. Lo vidi in una
piccola sala […] Alla fine, morivano tutti. Con la morte degli
eroi, ho modificato la mia visione. […] Fino a quel momento pensavo
che tutti gli eroi dovessero sopravvivere e vincere su tutto e
tutti. […] Giurai che avrei fatto un fumetto su questo tema. È così
che è nato 300”.
A chi gli domanda se i
comics non siano un po’ la mitologia del nostro tempo dice:
“Sì, mi piace pensare che i narratori di storie, chi ha la
fortuna di avere un lavoro come il mio: artisti, fumettisti,
registi, siamo tutti discendenti diretti di uomini delle caverne,
che intorno al fuoco raccontavano ai compagni di una grande caccia,
mentendo dll’inizio alla fine, vantandosi. Qualunque cosa che possa
essere una storia accattivante, vera o meno, è un atto
creativo.” Sulla possibilità di raccontare qualcosa che
riguardi la storia di Roma, Miller argomenta così:
“Roma ha tanta storia. Mi piacerebbe farlo. Quello che mi piace
è la parte della ricerca. Io non ho una conoscenza approfondita
della storia, ma adoro fare ricerche, studiare”.
Jack Kirby, un maestro
Tanti sono gli
artisti, i colleghi e i maestri del mondo del fumetto che lo
hanno ispirato, molti dei quali ha avuto occasione di
conoscere personalmente: “Ci sono stati tanti artisti,
fumettisti, Jack Kirby – creatore tra gli altri de I
fantastici Quattro, Hulk, Thor ndr- in primis. La sua
influenza è costante. Poi ho scoperto Will Eisner – il creatore
di Spirit ndr-. Sono loro le due influenze principali
nella mia carriera”. Poi aggiunge Stan Lee, il primo
creatore di Daredevil: “Incontrai Stan Lee quando iniziai a
lavorare per la Marvel con Daredevil. […] Era
incredibile, pieno di energia. Mi disse che Daredevil era un
personaggio fantastico. Poi semplicemente e in modo eloquente mi
spiegò i suoi punti salienti. Era cieco. Normalmente i supereroi
sono noti per le loro abilità e non per le mancanze. Ma lui mi
spiegò perchè questa era una gran ficata! […] Daredevil è sempre
abbastanza in gamba da trovare delle soluzioni”. Anche
l’incontro con Will Eisner è stato fondamentale nella
carriera di Miller. Così ne parla: “Ero al Comicon a San Diego.
Per me lui era un mito. Dal suo lavoro ho imparato tanti trucchi e
anche il senso di una storia. […] Aveva grande personalità, grande
intelletto. Se vogliamo riassumerlo in una parola, vedeva i fumetti
come una forma nobile. Non erano qualcosa che riguardava solo i
ragazzini. Era un’aspirazione per me. Quando lo conobbi stava per
andare in pensione. […] Mi insegnò tantissimo, ma soprattutto il
senso dell’etica. Non la lealtà verso un’azienda, ma come abbinare
passione per il lavoro e difesa dell’onestà intellettuale.
Professionalmnte è la fonte più preziosa a cui ho attinto.”
Frank Miller e i fumettisti italiani
Ci sono però anche due
italiani che Miller cita: Milo Manara e Hugo Pratt:
“Manara è uno dei più straordinari fumettisiti che abbiamo. Vidi
per la prima volta il suo lavoro a New York. […] In lui c’era
maestria, bellezza, coraggio. Non vedevo l’ora di incontrarlo.
Quando l’ho incontrato, ho scoperato che conosceva il mio lavoro e
lo capiva profondamente. Abbiamo stabilito un rapporto. […] Mi fa
sempre piacere vederlo, quando capita”. Prosegue: “Pratt era
straordinario. […] Lo scoprii e me ne innamorai. Aveva studiato
moltissimo, aveva vissuto intensamente, viaggiato, compreso,
imparato da Milton Caniff, conosceva la realtà internazionale. Si
può capire quando ho scoperto Pratt, perchè stavo disegnando Ronin
e improvvisamente compare questo lavoro a linee molto nette in
bianco e nero. […] Lo incontrai a Lucca. Fu divertentissimo.
Eravamo in hotel a colazione, qualcuno me lo indicò. Io
mi avvicinai. […]
Lui fece un grugnito e mi indicò dicendo: io la conosco, per sei
mesi ho tenuto uno dei suoi fumetti nella mia borsa. […] Era felice
di vedere un americano che imitava degli europei. […] Abbiamo
passato tutta la giornata insieme a chiacchierare. Era un grande
artista”.
Quindi Miller
parla del suoprocesso creativo: “Mi intrufolo
nelle case delle persone, rubo da loro. A volte osservo qualcosa
per strada e scatta la molla. Oppure c’è una questione importante
che riguarda la mia vita. Magari inizio senza rendermi conto di
quale è stata l’ispirazione. Le storie si presentano”. Ciò che
è importante, però, conclude, è che: “raccontare le storie è la
mia funzione, non è qualcosa che coscientemente costruisco, mattone
dopo mattone. È semplicemente il motivo della mia
esistenza”.
Tra i molti suoi lavori,
uno dei più importanti è Sin City. Miller parla così di come è arrivato al
cinema: “Il rapporto fra Sin City e il cinema è molto
divertente. Ho iniziato la mia carriera scrivendo la sceneggiatura
di un film che è stato un flop assordante: RoboCop 2. L’ho
riscritto tante volte. […] Ci sono alcuni film che sono maledetti.
[…] Il caso citato rientra in questa casistica. Ho dato la colpa al
mondo del cinema, dicendomi che sarei tornato a fare il fumettista,
ma avrei fatto un fumetto che non potesse essere trasformato in
film. Feci Sin City. Poi Robert Rodriguez mi disse che voleva farne
un film. […] Gli dissi che non avevo nessuna voglia. Mi richiamò
invitandomi ad andare in Texas e fare una scena di prova con
qualche attore, non potevo rifiutare. Sul set gli attori si
presentarono, erano talentuosi. Fecero la scena in due minuti,
l’apertura del film. Dopo averla girata, ho stretto la mano a
Robert e gli ho detto: ci sto!”. […] Fare Sin City è stato
un sogno che si è realizzato”.
Prosegue poi parlando del
suo approccio alla regia e del suo rapporto con gli attori:
“Forse sono un po’ strano come regista, perché adoro gli attori.
Molti registi li considerano come dei narcisisti incapaci. Sì, sono
narcisisti, ma adoro vedere la loro creatività e come riescono a
dar vita a delle parole scritte.”
Guardando al mondo di
oggi e alla rilevanza che ha assunto l’universo del fumetto nel
cinema, ci si chiede se il giovane Miller, ai suoi inizi con la
Marvel si sarebbe aspettato che
quel cinema sarebbe diventato il vero cinema americano, quello che
fa gli incassi. Il fumettista dice: “Non sono un profeta,
penso che prima devi fare un buon lavoro, poi si vedrà” Ma poi
precisa: “Secondo me doveva essere così, dai tempi di
Superman”.
Frank Miller e il politically corret
Sul politically
correct che oggi rischia di limitare la creatività degli
artisti, così si esprime: “Oggi c’è più pressione per
esercitare un po’ di censura e questo avviene quando le persone
hanno paura. Tendono ad andare verso posizioni più conservatrici.
Vuoi proteggere i tuoi bambini, la tua casa. […] Io non mi sento di
dover seguire degli ordini. […] Ciò che volevo fare l’ho fatto,
senza pronunciarmi contro una cosa o l’laltra. La gente in questi
casi tende a smettere di ascoltare, preferisco esplorare
determinate tematiche.”
A chi gli chiede se abbia
approfittato del lockdown per guardare film e serie tv
risponde: “Ho guardato soprattutto vecchi film. […] Ho passato
il tempo studiando. […] Per rinfrescare le idee e scoprire nuove
cose. Non ho guardato serie tv. Non ne sono appassionato. So
che ci sono anche dei buoni prodotti, ma non so se mi va di andare
a rovistare nell’immondizia per trovare qualcosa di buono”.
Frank Miller sul futuro
Pensando ai progetti
futuri, riguardo a ciò che gli piacerebbe realizzare,
Miller afferma: “Mi piacerebbe fare quello che sto
facendo, in varie forme”, prosegue tranquillo, “sono
fortunato perché ho avuto abbastanza successo. Perciò posso
occuparmi delle storie che mi interessano veramente. […] Come posso
farlo? Con i fumetti sicuramente. […] Nel cinema, ci vogliono tanti
soldi per fare un film ed è una sfida competamente diversa. Vorrei
raccontare storie diverse tra loro, viaggiare contemporaneamente in
tante direzioni diverse. […] Sono come un bambino in un negozio di
dolciumi che ha solo 50 centesimi e può comprarsi a malapena un
dolcetto. Adoro il mio lavoro e le possibilità che mi offre, sono
infinite, vorrei esplorarle tutte e dimostrare al mondo che i
fumetti possono realizzare qualunque cosa.
A proposito di bambini,
sul ricordo che ha di sé bambino e di cosa rappresentasse per
lui disegnare i primi fumettiMiller dice: “Ricordo
un bambino impaurito, non ricordo il motivo della paura, ma ero
sempre un po’ teso. Ricordo che disegnare quegli stupidi fumetti mi
riempiva di gioia e mi dava uno scopo. Adesso, ripensando a quel
bambino, gli voglio un gran bene”.
Nel corso degli anni, Marvel Television ha introdotto numerosi
personaggi di rilievo dei fumetti su Netflix e, dato
che quell’era narrativa è ormai da tempo giunta alla sua
conclusione, facciamo un passo indietro e vediamo quali sono stati
i migliori e peggiori personaggi che abbiamo conosciuto.
La prima stagione di Daredevil è stata lanciata nel 2015 e negli
anni successivi ci hanno fatto compagnia eroi come l’Uomo
Senza Paura, Jessica Jones,
Luke Cage, Iron Fist e The Punisher; tuttavia, una volta che è
diventato chiaro che la Disney aveva intenzione di lanciare il proprio
servizio streaming (con il presidente dei Marvel
StudiosKevin Feige a capo
dell’operazione), Netflix ha abbandonato velocemente questa
tipologia di show.
Ad oggi, si vocifera che almeno le
storie alcuni di questi eroi e cattivi arriveranno ad ottenere dei
reboot per il MCU.
Resta da vedere se questo avverrà con gli stessi attori o con
attori diversi, anche se è probabile che le scelte attoriali
attingeranno da entrambi i lati; guardiamoci un attimo indietro e
analizziamo quindi i 5 personaggi che Marvel Television ha azzeccato… e 5 che ha
davvero rovinato.
Sbagliato: Iron Fist
Finn Jones è un attore di talento, e
apparentemente, sembrava una scelta ideale per il ruolo di
Danny Rand. Purtroppo, la bravura dell’attore è stata sottostimata
fin dall’inizio, nonostante alcuni grandi momenti interpretativi
(il cameo nella seconda stagione di
Luke Cage, per esempio). Nel complesso, la
Marvel Television non ottenne comunque il successo sperato e la
cancellazione della serie non destò particolare scalpore tra i
fan.
Gran parte del disappunto nei
confronti della serie derivava dal fatto che, nella prima stagione,
Danny poteva a malapena usare l‘Iron
Fist e, quando lo show ripartì con una seconda stagione,
il protagonista passò comunque la maggior parte degli episodi
senza, non rendendo ben chiare quindi le scelte creative adottate
in sede di sceneggiatura.
La terza stagione con la presenza di
Orson Randall accanto a Danny
faceva ben sperare, ma lo stile narrativo adottato si rivelò ancora
una volta un’insuccesso ai fini dell’economia narrativa: speriamo
quindi in un reboot di Iron Fist nel MCU con un nuovo
attore protagonista al timone.
Azzeccato: Colleen Wing
Nel caso di Colleen
Wing, invece, è giusto dire che la Marvel Television ha fatto un lavoro
incredibile rendendola un personaggio principale in Iron
Fist. Vi sono molteplici ragioni per cui un gran numero di
fan hanno iniziato una campagna per ottenere una propria serie
spinoff (preferibilmente insieme a Misty Knight,
un altro personaggio fantastico), e anche se ciò non si verificherà
nell’immediato, questa iterazione dell’eroe potrebbe ancora
tornare.
Anche se darle il potere
dell’Iron Fist è stata una decisione controversa
alla fine della seconda stagione, questa scelta narrativa ha posto
le basi per alcune storie emozionanti in corso d’opera… che
purtroppo è improbabile che vengano mai approfondite. Ci piacerebbe
vedere Jessica Henwick alle prese con un nuovo ruolo
all’interno del MCU,
però!
Rovinato: Il Gufo
Mentre Leland
Owlsley era un cattivo secondario abbastanza competente
nella prima stagione di
Daredevil, la
Marvel Television è completamente andata fuori strada nella
presentazione di villain sia nell’Uomo Senza Paura
che con Spider-Man nel corso degli anni.
Dal momento in cui è stato
introdotto, era difficile immaginare che la versione di Bob
Gunton del personaggio prendesse il volo con artigli
affilati come rasoi in grado di fare a pezzi
Matt Murdock. Inoltre, mentre la sua morte per mano di
Wilson Fisk è stata sicuramente inaspettata, ha
anche chiuso la porta alla sua evoluzione in qualcosa di simile a
ciò che abbiamo visto nei fumetti.
In definitiva, questo insuccesso è
stato probabilmente il risultato della
Marvel Television che ha cercato di radicare questi show
nella realtà il più possibile, ma c’è sicuramente ancora del
potenziale per il Gufo nel MCU.
Azzeccato: The Punisher
Quando Jon Bernthal è stato scelto per il ruolo di
Frank Castle, i fan hanno esultato. Dopo tutto,
era difficile immaginare qualcuno migliore dell’ex allievo di
The Walking Dead nel ruolo del Punitore. Anche
se la sfida si preannunciava ardua, l’attore ha superato le
aspettative fin dall’inizio e ha fornito una performance che è
stata senza dubbio degna di un Emmy.
Di conseguenza, non è stata una
sorpresa quando al vigilante è stata concessa una serie tutta sua
dopo essere apparso nella seconda stagione di
Daredevil. Sfortunatamente, nessuna delle due stagioni di
quello spinoff è stata però all’altezza delle aspettative.
La
Marvel Television ha davvero rovinato
The Punisher con l’introduzione di una origin-story alquanto
contorta e una teoria di cospirazione che ruota intorno alla morte
della sua famiglia. Tuttavia, non facendosi influenzare troppo da
questo, i Marvel
Studios potrebbero facilmente reinventare la storia del
vigilante con Bernthal di nuovo nel ruolo. Merita
un’altra chance, e Kevin Feige è la persona giusta
per farlo accadere.
Rovinato: La Mano
Quando è diventato chiaro durante la
prima stagione di
Daredevil che La Mano sarebbe stata il villain
principale legato a quasi tutti gli show televisivi di
Netflix, c’è stata molta eccitazione tra i fan.
Iron Fist e la seconda stagione di
Daredevil hanno tentato di espandere la loro storia, ma presto
è diventato chiaro che la
Marvel Television non sapeva cosa stava facendo con questo
gruppo clandestino di ninja.
Infatti, nel momento in cui The Defenders è arrivato, era evidente che si
era abbandonata la presa sui cattivi, lasciando da parte ciò che li
rendeva intriganti nei fumetti e concentrandosi invece su uomini
d’affari e piani che avevano poco o nessun senso.
Anche la morte e la resurrezione di
Elektra sono state pasticciate, e vedere
Daredevil o uno qualsiasi di questi eroi combattere i ninja non
ha entusiasmato nessuno. La Mano alla fine è stata sconfitta, ma le
anticipazioni su The Chaste e altri personaggi
familiari non hanno portato a nulla. La
Marvel Television ha apparentemente abbandonato l’intera
storyline, ma speriamo che qualcosa possa essere fatto per
redimerla in futuro.
Azeccato: Il Kingpin
Dare a Wilson Fisk
una storia d’origine piuttosto che renderlo un mafioso caricaturale
(spesso il caso della sua controparte nei fumetti) è stata una
mossa audace, anche se ne è stato pagato lo scotto.
La performance di Vincent
D’Onofrio è stata in parti uguali terrificante e
magnetica; che si tratti di attaccare brutalmente un compagno
criminale o di pronunciare un discorso a uno degli eroi che ti fa
venire i brividi lungo la schiena, il suo Kingpin
è una forza da tenere in considerazione. Inutile dire che vederlo
incrociare le sue strade con quelle di Spider-Man
e dei Vendicatori nel MCU sarebbe più che
fantastico.
La trasformazione di
Fisk in Kingpin of Crime è
continuata nella terza stagione di
Daredevil, e da allora si dice che possiamo aspettarci il suo
ritorno in Hawkeye. Che questo sia vero o meno resta da
vedere, ma sarebbe da pazzi lasciare il personaggio di Kingpin da
parte ancora per molto tempo.
Rovinato: Diamondback
La narrazione di Diamondback è
risultata assolutamente un pasticcio; stuzzicato per tutta la prima
metà della prima stagione di Luke Cage prima di
essere smascherato come il grande cattivo dello show, i suoi
tentativi di rendere la vita di suo “fratello” un inferno sono
caduti nel vuoto e sono stati coronati da una sequenza di
combattimento ai limiti del ridicolo che lo ha visto indossare un
costume comico per una scena di lotta più che dimenticabile.
Nel momento in cui la stagione si è
conclusa, è rimasto in stato comatoso e il palcoscenico era
apparentemente pronto per il suo ritorno… qualcosa che la seconda
stagione comprensibilmente non si è nemmeno preoccupata di
menzionare.
Sia Mike Colter che
lo showrunner Cheo Hodari Coker hanno poi
riconosciuto che Luke Cage è andato in discesa con
l’introduzione di Diamondback. Benchè il
personaggio non sia mai stato così grandioso nei fumetti, è stato
comunque un peccato vederlo sprecato così in questa serie.
Azzeccato: L’uomo porpora
I Marvel Studios hanno
un curriculum discontinuo quando si tratta di cattivi ed è stato
solo negli ultimi anni che abbiamo visto una sorta di reale
miglioramento. Il Kilgrave di David Tennant riunisce i pregi di quasi tutti
i cattivi che hanno abbellito il grande schermo, era minaccioso,
contorto e genuinamente spaventoso.
Certo, è stato deludente vederlo
tornare come un personaggio in stile “È tutto un sogno!” nella
seconda stagione di Jessica Jones, ma il modo in
cui l’ha torturata durante la prima stagione ha reso la visione
avvincente. Il ritratto di Tennant ha anche fatto
sì che fosse estremamente soddisfacente vedere il cattivo alla fine
ottenere il suo giusto destino per mano sua.
L’Uomo Porpora è un
grande personaggio, ma non uno che prevediamo di rivedere nel
prossimo futuro. È un peccato, ma ci sarà sicuramente un altro
ruolo nel MCU per un attore di
talento come l’ex studente di Doctor Who.
Rovinato: Foggy Nelson
Elden Henson è stato un buon Foggy
Nelson, ma la
Marvel Television lo ha reso probabilmente uno dei personaggi
più esasperanti di qualsiasi show di Netflix. È un
pessimo amico di
Matt Murdock, non assomiglia per niente alla sua controparte
dei fumetti quando si tratta di sostenere con riluttanza
l’Uomo Senza Paura, ed è un personaggio talmente
cinico e critico con cui è stato molto difficile empatizzare.
Foggy ha avuto i suoi momenti,
comunque, e la terza stagione di
Daredevil è andata in qualche modo a sistemare le cose.
Molti di voi potrebbero prendersela
vedendo Foggy trionfare al posto di Karen Page (o
anche Claire Temple), ma mentre lei è diventata
altrettanto esasperante col passare del tempo, è semplicemente
frustrante vedere Foggy sprecato. Si è parlato del
fatto che i Marvel Studios
riporteranno il cast originale di questa serie quando
l’Uomo Senza Paura sarà riavviato per il MCU, quindi speriamo
in una nuova personalità.
Azzeccato: Daredevil
Mentre il ritratto di Matt Murdock da parte di
Netflix è stato colpito e mancato nel migliore dei
casi, è stato facilmente il personaggio più coerente in ognuno
degli show. Seguire il suo viaggio è sempre stato divertente e
Charlie Cox ha fatto un lavoro così ben
riuscitoche non c’è da meravigliarsi che i fan stiano tenendo le
dita incrociate in attesa di un ritorno in Spider-Man: No Way Home.
Dal suo periodo nella tuta nera
ispirata a L’uomo senza paura di Frank
Miller e John Romita Jr. al momento in
cui ha finalmente indossato il classico costume rosso, la storia di
Daredevil ha sicuramente incontrato qualche ostacolo e
probabilmente aveva bisogno almeno di un po’ più di tempo per
carburare. Tuttavia, questa versione del personaggio è stata
difficile da criticare per la maggior parte.
Che si tratti delle sue interazioni
con Kingpin o del modo in cui si è opposto al
contorto sistema di credenze di
The Punisher, il
Daredevil di Charlie Cox è così buono da
risultare forse l’unico personaggio che meriterebbe effettivamente
un film. Speriamo che i prossimi anni lo vedano apparire
regolarmente sul grande e piccolo schermo.
Sono passati più di vent’anni da
quando Friends è arrivato in televisione, e
siamo ancora qui a bing-watch tutte e dieci le stagioni su Netflix. Sono passati più di vent’anni, e
Jennifer Aniston è ancora altrettanto glam,
altrettanto divertente e altrettanto bella. Da vent’anni, è una
delle attrici più cercate e più interessanti di Hollywood.
Costantemente sotto i riflettori, costantemente al cinema. Ma cosa
non sapete su di lei?
Ecco 10 curiosità su
Jennifer Aniston.
Jennifer Aniston: film e programmi
televisivi
1. Gli inizi di Jennifer
Aniston. L’attrice è nata in California e, figlia di un
padre di origini greche, ha passato un anno della propria infanzia
in Grecia, dove ha vissuto con la propria famiglia. Dopo il
divorzio dei genitori, poi, si trasferì a New York all’età di nove
anni. Fu qui che cominciò a recitare, grazie al club di recitazione
della Rudolf Steiner School. La formazione professionale, poi,
cominciò alla famosissima New York School of Performing Arts. Dopo
la scuola e prima di Friends, Jennifer Aniston fu in
programmi televisivi come Molloy, The
Edge, Ferris Bueller e Ma che ti passa
per la testa?. La svolta avvenne nel 1994 quando lesse un
copione per una serie intitolata Friends Like These.
2. Ha recitato in celebri
serie televisive. Il primo grande successo per la Aniston
arriva grazie alla televisione, quando nel 1994 ottiene un ruolo da
protagonista nel celebre sit-com Friends. Reciterà in
questa fino al 2004, per un totale di oltre 200 episodi.
Successivamente si dedicherà principalmente al cinema, tornando a
recitare occasionalmente in televisione come guest star di alcuni
episodi di serie quali Dirt (2007), 30 Rock
(2008) e Cougar Town (2010). Nel 2019 torna invece ad
essere protagonista in TV della serie The Morning Show,
dove recita nel ruolo di Alex Levy accanto a Reese
Whiterspoon, Steve Carell e Billy
Crudup.
4. Jennifer Aniston doveva
interpretare Monica in Friends. Quando fece il
proprio provino per la serie, inizialmente Jennifer doveva
interpretare Monica, mentre Courtney Cox doveva
inizialmente interpretare Rachel. I creatori della serie,
David Crane e Marta Kauffman,
avevano un’idea ben precisa dei personaggi, ma furono
particolarmente impressionati dalla Rachel della Aniston e dalla
Monica della Cox: fu così che le due attrici ottennero il ruolo che
veramente volevano.
Jennifer Aniston nuda
per Come ammazzare il capo
5. Jennifer Aniston nuda
tra Come ti spaccio la famiglia e Come
ammazzare il capo. La prima apparizione sullo schermo
di Jennifer Aniston nuda è arrivata più tardi di quanto molti si
aspetteranno: ovvero con Come ammazzare il capo e vivere
felici. Nel film, interpreta una dentista ninfomane e
inappropriata che rende la vita di uno dei suoi impiegati
impossibile. In un film successivo, Come ti spaccio la
famiglia, però, sembra che, per la famosissima scena in
lingerie, sia stata utilizzata una controfigura.
Jennifer Aniston è hot
6.Jennifer
Aniston hot: la dieta e il suo segreto. Jennifer
Aniston è hot più che mai: bellissima, spiritosa, interessante e
con un fisico mozzafiato, è ammirata da molte. L’attrice fa
esercizio molto spesso, cosa che ama per la sensazione di benessere
che dona, anche spiritualmente. Inoltre, anche quando non fa sport
perché in viaggio o troppo impegnata, cerca di mantenere
costantemente una dieta sana (anche se, una volta a settimana, si
concede degli sfizi, cibi grassi o salati). Inoltre, sembra che il
suo segreto per avere una pelle così luminosa sia il vapore, un
trattamento al quale si sottopone dopo aver fatto esercizio.
Jennifer Aniston e Brad Pitt
7. La storia con Brad Pitt è
cominciata con un appuntamento al buio. Erano la coppia
d’oro di Hollywood, nei primi anni Duemila. E, a quanto pare,
Jennifer e Brad Pitt si
sono incontrati grazie ad un appuntamento al buio organizzato dai
rispettivi agenti. Furono subito le scintille, e i due si sposarono
il 29 luglio 2000 con una cerimonia a Malibu, con una cerimonia a
dir poco grandiosa. Purtroppo, come sappiamo, la storia finì, e il
loro divorzio fu finalizzato nell’ottobre 2005. Recentemente,
tuttavia, i due attori si sono riavvicinati, affermando di essere
in ottimi rapporti di amicizia.
8. Niente figli per Jennifer
Aniston. L’attrice è stata sposata con alcuni degli uomini
più belli di Hollywood, e molti si chiedono: ha dei figli? La
risposta è no, Jennifer Aniston non ha figli, e l’attrice ha
pubblicamente difeso la propria scelta contro le speculazioni in
un’intervista con la rivista Glamour. Però, si dice
che, dieci anni dopo il divorzio da Brad Pitt, abbia finalmente
incontrato i figli di lui.
Jennifer Aniston: il suo patrimonio
9. È una delle attrici più
pagate di Hollywood. Da anni la Aniston è ormai una delle
attrici più pagate e ricercate di Hollywood. Nel 2007 è stata poi
classificata come “11ª donna più ricca nel settore dello
spettacolo“, con una fortuna stimata di 110 milioni di
dollari. Grazie ai suoi continui lavori di successo, però, il suo
patrimonio ha continuato a crescere fino alla cifra oggi dichiarata
di circa 300 milioni di dollari. Ciò non fa che confermare il suo
status come una delle più influenti personalità dello spettacolo
statunitense.
Jennifer Aniston: età e altezza dell’attrice
10. Jennifer Aniston è nata
a Los Angeles, California, Stati Uniti, l’11 febbraio del
1969. L’attrice è alta complessivamente 1.64
centimetri.
Lo scorso maggio, Audrey
Hepburn avrebbe festeggiato il suo 89esimo
compleanno. Ed è ancora difficile pensare ad un’altra persona con
altrettanto talento, eleganza, e glamour. È stata
una delle star di Hollywood più iconiche della storia, era la musa
di Givenchy, e si è ritirata dalla recitazione per lavorare con
l’UNICEF. Su Audrey Hepburn sappiamo tutto: abbiamo visto tutti i
suoi film, tutte le foto, letto tutto sulla sua carriera.
Che ci sia ancora qualcosa che non sapete su di
lei?
Audrey Hepburn è nata il 4
Maggio 1929, con il nome Audrey Kathleen
Ruston (e non cominciò ad usare il nome Audrey Hepburn
fino al 1948). La madre era una baronessa di discendenze olandesi,
mentre il padre aveva discendenze inglesi e austriache. Era in
vacanza in Olanda con la madre, quando l’esercito di Hitler occupò
la città. Dopo la liberazione, frequentò una scuola di danza a
Londra, e fece la modella finché non fu scoperta da produttori
cinematografici.
Ha avuto una vita intensa e
interessantissima: ecco dieci cose su Audrey Hepburn che
forse non sapevate, e le sue frasi più celebri.
Audrey Hepburn e le sue celebri
frasi
L’eleganza è la sola bellezza che non sfiorisce
mai.
Credo fermamente che il sorriso sia l’accessorio più bello
che una donna possa indossare.
La cosa più importante è quello di godersi la vita – essere
felice – è tutto quello che conta.
Per avere degli occhi belli, cerca la bontà negli altri;
per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili; e per il
portamento, cammina con la consapevolezza che non sei mai
sola.
La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che
indossa né dall’aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi. La
bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché
quella è la porta del suo cuore, il posto nel quale risiede
l’amore.
So di avere più sex appeal sulla punta del mio naso che
molte donne nel loro intero corpo. Non si vede da lontano, ma
c’è.
Ho sentito questa frase, una volta: “La felicità è una
buona salute e una memoria corta!”. Vorrei averla inventata io,
perché è molto vera.
Si dice che l’abito non faccia il monaco. Ma a me la moda
ha dato spesso la sicurezza di cui avevo bisogno. Personalmente
dipendo da Givenchy come le donne americane dipendono dal loro
psichiatra.
Adoro le persone che mi fanno ridere. Penso sinceramente
che ridere sia la cosa che mi piace di più. È la cura per
moltissimi mali.
Parigi è sempre una buona idea.
Audrey Hepburn: i suoi film
1. I film di Audrey
Hepburn. La prima apparizione di Audrey Hepburn in un film
risale al 1948, in una produzione europea. Nel 1951 ebbe il suo
primo ruolo con delle linee di dialogo, in Racconto di
giovani mogli. Era una parte piccola, e decise quindi di
tentare la fortuna in America, dove diventò immediatamente famosa
grazie a Vacanze Romane (1953). Il film
fu un incredibile successo, e Audrey Hepburn vinse un Oscar come
Miglior Attrice Protagonista. Nel 1954, poi recitò
in Sabrina, e il ruolo le valse
un’altra nomination all’Oscar. Il 1957 fu un grande anno
per Audrey Hepburn, con i film Cenerentola a
Parigi e Ariannai, mentre nel 1959
venne nominata di nuovo all’Oscar per l’interpretazione in La
storia di una monaca. La sua carriera arrivò all’apice con il
film del 1961 Colazione da Tiffany, per la quale ricevette
la quarta nomination. Tra i film successivi, ci
furono Sciarada (1963), My Fair
Lady (1964), Due per la strada
(1967) e Gli occhi della notte (1967), per il quale
ricevette un’altra nomination. Nel 1969, all’apice del successo,
decise di abbandonare la recitazione.
2. Audrey Hepburn è membro
dell’EGOT Club. Di cosa stiamo parlando? Di quei rarissimi
individui che hanno vinto un Emmy, un
Grammy, un Oscar e un
Tony Award. E Audrey Hepburn è una delle
quattordici persone che sono riuscite nell’impresa. Vinse il primo
Oscar grazie a Vacanze Romane, il Tony
per Ondine. L’Emmy lo vinse in modo curioso: l’ha
vinto per la serie della PBS dle 1993 Audrey Hepburn’s
Gardens of the World, nel quale la Hepburn, amante del
giardinaggio, esplorava alcuni dei giardini più spettacolari del
mondo. Lo show andò in onda il giorno dopo la sua morte, e l’Emmy
arrivò postumo. Anche il Grammy fu postumo: fu per il Miglior Album
Parlato per bambini (infatti, Audrey Hepburn era considerata una
cantante mediocre: fu doppiata per la performance
in My Fair Lady).
3. Audrey Hepburn ha
cominciato a ballare a cinque anni. Nel 1944, infatti, era
già una ballerina esperta, e ballò in segreto per gruppi di
persone, a scopo benefico: per raccogliere soldi per la
Resistenza olandese. Con coraggio, sostenne quindi
la Resistenza, mentre sia il padre che la madre erano membri della
British Union of Fascists.
4. Audrey Hepburn aveva un
piccolo cerbiatto di nome Pippin. A quanto pare, era
soprannominato Ip, e la Hepburn lo portò a casa con sé dal set
di Verdi Dimore (1959), su suggerimento
dell’addestratore di animali della produzione. Infatti, l’animale
la seguiva ovunque. Anche al supermercato.
Audrey Hepburn in Colazione da
Tiffany
5. Audrey Hepburn non era
la prima scelta di Truman Capote per Holly Golightly.
Difficile immaginare Colazione da Tiffany senza Audrey Hepburn, ma
l’autore del famosissimo romanzo voleva Marilyn
Monroe per la parte, più voluttuosa e sexy e secondo
lui più adatta ad interpretare una call-girl (mentre
la Hepburn era simbolo di eleganza e raffinatezza). Il personaggio
fu cambiato parecchio per l’attrice e, inutile dirlo, il risultato
fu un film iconico.
6. Audrey Hepburn e Marilyn
Monroe hanno un ex in comune. E si tratta del Presidente
degli Stati Uniti John F. Kennedy. Quando JFK era
ancora un celibe senatore, infatti, frequentò la Hepburn, e i due
ebbero una storia né scandalosa, né seria. Più scandalosa fu invece
la relazione con Marilyn Monroe, che diventò la sua amante quando
era già Presidente: diventò famosa per aver cantanto una
sensuale versione di Happy Birthay per il suo
compleanno. L’anno successivo, fu proprio la Hepburn ad essere la
star incaricata di cantare per il Presidente il giorno del suo
compleanno.
Audrey Hepburn in
Sabrina
7. William Holden e Audrey
Hepburn sul set di Sabrina. Quando si
cominciò a girare il film, l’attrice era amata dal popolo
americano. Ma questi non sapeva che la sua relazione con il
coprotagonista William Holden era tutt’altro che
innocente. Infatti, la loro chimica sul set si trasformò presto in
una relazione reale. Holden era famoso per essere un seduttore. La
moglie Ardis tollerava le sue storielle, perché le riteneva essere
infatuazioni di poco conto: Holden era addirittura solito
presentare le proprie amanti alla moglie. Ma con la Hepburn fu
diverso: era colta e sofisticata, e lui era pronto a lasciare la
moglie per lei. Ma lei voleva disperatamente dei figli, e lui aveva
fatto una vasectomia anni prima. Lei lo lasciò e presto si mise con
il futuro marito Mel Ferrer. I due annunciarono pubblicamente il
proprio fidanzamento proprio a casa degli Holden.
8. Audrey Hepburn era molto
introversa. Così si decrisse lei in un’intervista
con LIFE Magazine nel 1953: “Ho spesso bisogno di
stare da sola. Se passassi dal sabato sera al lunedì mattina da
sola nel mio appartamento, sarei piuttosto felice. È così che mi
ricarico.”
Audrey Hepburn: altezza e
fisico
9. Audrey Hepburn aveva i
piedi più grandi di quello che pensate. Aveva una figura
piccolina, ma portava una taglia 10 (la nostra 43/44). Sembrerà
strano, ma c’erano cose del suo corpo che non le piacevano: diceva
di avere le spalle troppo spigolose, i piedi grandi e il naso
grande. L’altezza di Audrey Hepburn? 1,70
metri.
Audrey Hepburn: la morte
10. La morte di Audrey
Hepburn nel 1993. L’attrice aveva solamente 63 anni quando
morì di cancro appendicolare, il 20 gennaio 1993. Non recitava più
da tempo, ed era stata ambasciatrice speciale delle Nazioni Unite
per l’UNICEF, con il quale si era dedicata ad aiutare bambini
dell’America Latina e dell’Africa.
L’attrice americana Hayden
Panettiere è famosa per tantissimi motivi: per i suoi
ruoli negli show
americani Heores e Nashville, per
l’impegno come attivista per gli animali, e per essere diventata
una star da giovanissima. Ha interpretato personaggi diversissimi,
provandosi all’altezza di diversi generi: una cheerleader,
un’assassina, una scandalosa cantante country. Com’è stata la sua
carriera? Di cosa si occupa, oltre alla recitazione?
Ecco dieci curiosità su
Hayden Panettiere.
Hayden Panettiere: i suoi film e le
serie TV
1. Gli inizi di Hayden
Panettiere. Figlia di un’attrice e di un capitano dei
pompieri con origini italiane, l’attrice fu introdotta nel mondo
dello spettacolo da sua madre a soli 11 mesi, quando fu
protagonista di una pubblicità. Poi, all’età di quattro anni e
mezzo, la piccola attrice divenne parte del cast della soap opera
Una vita da vivere, dove rimase fino al 1997. Da allora, è
comparsa in parecchi film e serie televisive.
2. I film e le serie con
Hayden Panettiere. Tra i film in cui ha recitato si
annoverano L’oggetto del mio desiderio (1998), Le
parole che non ti ho detto (1999), Il sapore della
vittoria (2000), Joe Somebody (2001), Striscia,
una zebra alla riscossa (2005), Mr. Gibb (2006),
Ragazze nel pallone – Tutto o niente (2006), Un
segreto tra di noi (2008), con Ryan Reynolds,
Una notte con Beth Cooper (20099), con Paul
Rust, Scream 4 (2011), The Forger (2012)
e Custody – Bambini contesi (2016).
3. È nota per i suoi ruoli
televisivi. La carriera di Hayden Panettiere è cominciata
in televisione, e alla televisione si devono alcuni dei suoi ruoli
più importanti e di maggior successo: dal 1998 al 2000 ha recitato
nella soap opera Sentieri, mentre dal 2002 ha
interpretato regolarmente la figlia di Calista Flockhart in
Ally McBeal. Nel 2006 è diventata famosa grazie al ruolo
di protagonista nella serie Heroes, della quale ha fatto
parte fino al 2010. Nel 2012, poi, fu tempo di cambiamento, e
Hayden tornò in televisione con un’altra serie celebre,
Nashville, dove ha recitato fino al 2018 e nella quale
interpreta una giovane e ambiziosa cantante country.
Hayden Panettiere in
Heroes
4. È comparsa in quasi tutti
gli episodi della serie. Sebbene nessuno appaia in tutti
gli episodi della serie, Hayden Panettiere appare in più episodi di
qualsiasi altro attore (settantadue, più nella terza stagione,
episodio otto, “Villains”, brevemente attraverso filmati di
repertorio, per un totale di settantatre) ed è l’unico membro del
cast ad apparire in ogni episodio di più di una stagione). Gli
unici altri regolari ad apparire durante un’intera stagione sono
Sendhil Ramamurthy (nella seconda stagione) e
Robert Knepper (nella quarta stagione).
Hayden Panettiere e l’attivismo
5. Hayden Panettiere è
un’attivista per i diritti degli animali. Da sempre
l’attrice si schiera in favore dei diritti degli animali e nel 2007
ha viaggiato sulle coste del Giappone per salvare alcuni delfini
catturati. “Molte persone dicono di essere coinvolte in cause e
organizzazioni, ma non fanno davvero qualcosa. È stato bellissimo
essere lì fisicamente, fare la differenza” ha poi dichiarato
l’attrice, affermando anche di non essersi pentita delle sue
azioni, per le quali è stata quasi sottoposta ad arresto, e che se
possibile lo avrebbe rifatto.
Hayden Panettiere: suo marito e sua
figlia
6. È stata sposata con un
noto pugile. Nel 2009, Panettiere ha incontrato l’allora
campione mondiale dei pesi massimi Wladimir
Klitschko. I due hanno poi iniziato a frequentarsi, salvo
poi separarsi due anni dopo nel maggio 2011, citando la natura a
distanza della loro relazione come motivo, ma dichiarandosi pronti
a rimanere amici. Nel 2013, tuttavia, l’attrice ha poi confermato
le voci secondo cui lei e Klitschko avevano ripreso la loro
relazione romantica. Nell’ottobre 2013 i due hanno poi annunciato
il loro fidanzamento, mentre nel dicembre 2014 hanno dato alla luce
la loro figlia. Nell’agosto 2018, tuttavia, è stato riportato che
la coppia si era nuovamente lasciata, rimanendo in rapporti
amichevoli.
7. Ha parlato pubblicamente
anche della propria depressione post partum, per aiutare gli
altri. Nel 2014, Hayden Panettiere e il marito Wladimir
Klitschko hanno avuto una bellissima bambina di nome Kaya.
L’attrice ha raccontato però di aver realizzato, poco dopo la
nascita della figlia, che ci fosse qualcosa che non andava. “È
qualcosa che molte donne provano. Ti viene detto che con la
depressione post partum avrai sentimenti negativi nei confronti di
tuo figlio, che vorrai far del male a tuo figlio. Io non ho mai
provato niente del genere” ha raccontato. Poi ha aggiunto:
“Alcune donne lo provano. Ma non ci si rende conto quanto sia
ampio lo spettro di ciò che si possa provare. È qualcosa di cui
bisognerebbe parlare. Le donne devono sapere che non sono sole, e
che ci si può riprendere.”
Hayden Panettiere: nuda in Una
notte con Beth Cooper
8. Per Una notte con
Beth Cooper, Hayden Panettiere è stata in topless.
Più che topless, come racconta l’attrice stessa, per il film si è
letteralmente messa a nudo. L’attrice ha ricordato di aver
indossato soltanto “quei petali che si mettono cui
capezzoli“. Riguardo all’esperienza, ha raccontato poi di
essersi sentita piuttosto a proprio agio, che questo atteggiamento
ha permesso anche agli altri di sentirsi allo stesso modo, e che
tutti, sul set, sono stati molto professionali e delicati. Inoltre,
le è stato chiesto cosa ne pensa delle battute sexy in Una
notte con Beth Cooper, e lei ha rivelato di non sentirsi
assolutamente a disagio con doppi sensi e battute sconce: ha un
senso dell’umorismo sarcastico e asciutto, e non ha problemi con
questo tipo di cose.
9. Hayden Panettiere ha
parlato pubblicamente della propria dismorfofobia. Oggi
l’attrice non ha problemi ad apparire nuda nei film, ma quando
aveva sedici anni non si sentiva affatto a suo agio con il proprio
corpo. In quegli anni, infatti, un tabloid pubblicò una fotografia
del suo sedere con una scritta che diceva “cellulite”. L’attrice ha
raccontato che la fotografia in questione le causò anni di
dismorfofobia, ovvero la fobia che nasce da una visione distorta
del proprio aspetto esteriore. “Ero mortificata. Ebbi la
dismorfofobia per così tanto tempo. Ma mi dicevo che la bellezza è
un’opinione, non un fatto. E mi sentivo sempre un po’ meglio”
ha poi raccontato a Women’s Health.
Hayden Panettiere: età e altezza dell’attrice
10. Hayden Panettiere è nata
il 21 agosto del 1989 a Palisades, nello stato di
New York, Stati Uniti. L’attrice è alta complessivamente
1.52 centimetri.
La storia riprende da lì
dove aveva lasciato tutti i personaggi o, meglio: li segue una
volta che ognuno è tornato nella propria abitazione, ripartendo
daccapo su alcuni dettagli della trama e approfondendone molti,
ovviamente.
Il cast è completamente
diverso, a partire dai genitori capostipiti della piramide
famigliare: ove nella versione filmica c’erano Stefania
Sandrelli e Ivano Marescotti, qui ci sono
Laura Morante e Francesco Acquaroli; così come per i
loro tre figli che erano interpretati da
Pierfrancesco Favino,
Stefano Accorsi e Sabrina Impacciatore, e ora lo sono
da Francesco Scianna, Simone Liberati e Silvia
D’Amico.
I personaggi di A casa tutti bene – La
serie
La storia è
inesorabilmente corale, e lo diventa con l’innesco della festa di
compleanno indetta per i settant’anni di papà Pietro (Acquaroli,
appunto), quando nel lungometraggio si trattava, invece, dei suoi
cinquant’anni di matrimonio con la moglie Alba (Morante).
Tutto il clan si
riunisce con ogni annesso e connesso: dunque anche i cugini
Riccardo (Alessio Moneta) e Sandro
(Valerio Aprea) con le rispettive mogli Luana
(Emma Marrone) e Beatrice (Milena
Mancini), accompagnati dalla mamma Maria (Paola
Sotgiu, che prende il posto di Sandra
Milo), che sarà l’elemento da cui scaturirà la chiave
narrativa verso un intrigo sanguinario.
E quanto sguazza in
tutto questo marasma, Muccino, quanto è evidente il suo gusto per i
terreni tremanti su cui si muovono i suoi attori e che da un
momento all’altro erutteranno «lapilli e lava», per dirla con
Guccini. Il regista conA casa tutti bene – La
serie aveva provato una certa affezione per il
racconto e i suoi protagonisti, lasciando un interessante sospeso
da cui dedurre come sarebbero poi andate le cose, eventualmente. E
ha così deciso di ritornarci e dipanare i dubbi.
Un
dramma familiare in pieno stile mucciniano
La famiglia è il
mastodontico calderone da cui Muccino ha sempre attinto, anche se la sua
storia registica è notoriamente fatta di momenti talvolta
incomprensibili. Ad ogni modo nella prima puntata di A casa
tutti bene – La serie si vede la ripresa dei temi a
lui cari, con ogni personaggio che è una bomba a orologeria che
cammina, i piani sequenza vorticanti che cingono le scene in cui i
dialoghi sono ansimati e – neanche a dirlo – urlati a squarcia
gola.
Sicuramente rispetto al
film è tutto più mediato, a partire dalla scelta recitativa dei
singoli elementi del cast, che è chiaramente giustificato dalla
tempistica disponibile per sviluppare con calma, nel corso delle
puntate, ogni picco emotivo. Ed è probabilmente un gran vantaggio,
perché l’effetto è molto più realistico, dà la possibilità di
godersi l’attesa e di osservare lo svolgersi dei fatti.
Le infelicità come motore narrativo
L’infelicità, coperta da
ipocrisie, doppie vite, inganno, manipolazione e ricatto, son
sempre il motore che traina, quasi che l’ordinarietà fosse
un’eterna e propulsiva angoscia. Ma è, appunto, più godibile e, tra
l’altro, meno stressante.
Gabriele Muccino firma dunque un’idea buona,
dal punto di vista del prodotto d’intrattenimento in sé, e anche la
confezione pare essere – bene o male – dei bei tempi in cui le cose
per lui andavano meglio. Resta solo da attendere e verificare se
anche sul piano del racconto sia così. Un minimo di curiosità è
stata destata e, per il momento, tanto basta.
L’attesissimo Eternals,
presentato ieri alla
Festa del Cinema di Roma, introdurrà non solo il gruppo
titolare nel sempre più vasto MCU, gli Eterni, ma anche i loro
nemici giurati, i Devianti. Ecco 10 cose che probabilmente solo i
fan dei fumetti conoscono su questi leggendari antagonisti e che
forse bisogna sapere prima di vedere il film di Chloé Zhao.
Le origini dei Devianti
I Devianti sono una propaggine di un
esperimento condotto dai personaggi più potenti dei fumetti
Marvel, i Celestiali. I Celestiali
sperimentarono per la prima volta sui Wanderers, una tribù di
Homo Erectus, ma l’esperimento non andò nel verso giusto,
causando numerose mutazioni nei corpi dei Devianti.
Delusi ma imperterriti, i Celestiali
liberarono i Devianti nella natura, spingendoli a nascondersi nelle
caverne. I Celestiali ripetono poi il loro esperimento, riuscendo
questa volta nel loro intento e creando gli Eterni. Dopo aver
rilasciato anche gli Eterni sulla Terra, i Celestiali crearono un
gene latente (quasi sicuramente il gene X) per sviluppare
ulteriormente il potenziale della razza umana.
I Devianti hanno ispirato il folklore umano
A causa delle loro deformità, i Devianti si
deteriorarono rapidamente. Formavano una società primitiva,
governata da un sacerdozio che scacciava coloro che erano troppo
deformi. Questi esuli, chiamati “Mutati” dagli altri Devianti,
vagavano per le terre selvagge, incontrando occasionalmente degli
umani.
I
Mutati hanno dato origine a miti relativi a troll, orchi, goblin e
altri mostri orribili. Gli umani che li incontravano si
spaventavano, tramandando i loro racconti fino a farli diventare
vere e proprie leggende. I Mutati non sarebbero sopravvissuti a
lungo: o sarebbero morti nel deserto o per mano degli
umani.
I Devianti credono nel Celestiale Dormiente
L’universo Marvel include più divinità, sia
buone che cattive. Divinità come Uatu l’Osservatore e Mefisto hanno
svolto ruoli di primo piano in diverse trame nel corso degli anni,
cementando il loro posto nel pantheon della Marvel. Tuttavia, la Marvel ha anche alcune divinità
meno conosciute, come il cosiddetto Celestiale Dormiente.
I Devianti sono un gruppo molto
religioso e hanno un complesso sistema di fede. Sebbene una volta
adorassero i Celestiali, considerandoli a tutti gli effetti i loro
creatori, presto abbandonarono quella credenza dopo la Seconda
schiera di Celestiali sulla Terra. Da quel momento in poi, i
Devianti avrebbero adorato solo il Celestiale Sognante, un essere
che credevano fosse stato esiliato dai Celestiali proprio per
averli creati.
I Devianti hanno governato la Terra
Nonostante il loro
confinamento nelle caverne, i Devianti alla fine accumularono un
notevole potere. Le mutazioni hanno permesso loro di evolversi più
velocemente degli umani e ben presto hanno sviluppato la
tecnologia, in particolare l’ingegneria genetica.
I
Devianti alla fine costruirono un piccolo impero, governato dalla
capitale, Lemuria, costruendo anche città sotterranee. Durante
questo periodo, i Devianti si fecero guerra l’uno contro l’altro e
contro gli Eterni, portando instabilità nel loro regno. Lemuria
affondò nell’oceano durante il Grande Cataclisma, insieme a un
altro impero, Atlantide.
La tregua con gli Eterni
I fan dei fumetti sanno che gli Eterni e i Devianti sono
nemici giurati. Tuttavia, c’è stato un momento in cui i due gruppi
hanno smesso di combattere. Dopo che la Terza schiera di Celestiali
lasciò la Terra, i Devianti e gli Eterni formarono una sorta di
alleanza, promettendo di smettere di farsi la guerra l’un l’altro
fino all’arrivo della Quarta schiera di Celestiali.
Entrambi i gruppi si ritirarono nei rispettivi domini,
onorando per la maggior parte del tempo la tregua. La loro pace
durò dal 1000 a.C. fino al 1976, quando arrivò la Quarta schiera. I
Devianti quindi attaccarono New York, tentando di mettere gli umani
contro i Celestiali. Hanno anche lanciato un attacco contro
Olympia, la casa degli Eterni, anche se i loro sforzi alla fine
sono falliti.
La Fondazione Damocles
La Fondazione Damocles è un’organizzazione di
Devianti, Eterni e umani stanchi delle loro continue guerre. La
costruzione della bomba atomica ha ispirato tale unione e lo scopo
della fondazione era quello di lavorare per un mondo pacifico in
cui tutte e tre le specie potessero coesistere.
La
Fondazione ha presto dimostrato la sua inutilità quando ha tentato
di creare un gruppo di Super-soldati per “proteggere” la Terra da
qualsiasi guerra futura. Il gruppo ha sperimentato su bambini
mutanti e si è infiltrato in diverse organizzazioni, come lo SHIELD
e Operazione:Zero Tolerance. I loro esperimenti fallirono e tutti i
bambini morirono in giovane età.
Kro, il signore della guerra
Signore della guerra e
dittatore, Kro agisce spesso come generale dei Devianti. Ha 100.000
anni e ha la capacità di cambiare forma, cosa che lo rende più
vicino agli Eterni rispetto ai suoi compagni Devianti. È entrato in
contatto con gli umani nel corso della storia, che spesso lo hanno
confuso con esseri mitologici come Plutone e persino il
Diavolo.
Kro è anche l’amante segreto
dell’Eterna Thena e, a volte, un alleato riluttante della sua
squadra. Tuttavia, il suo rapporto con gli Eterni è per lo più
sprezzante. Kro apparirà in Eternals,
ma per ora il suo ruolo nel film rimane un mistero.
La Rete Delta
Parlando di Kro, il generale è la mente dietro la Rete Delta.
Il team aiuta i Devianti in tutto il mondo, collaborando
occasionalmente con gli Eterni. Il loro scopo è assimilarsi
all’umanità e vivere pacificamente al loro fianco.
Nonostante i loro sforzi, la Rete Delta e la loro squadra
d’attacco, la Delta Force, non sono ancora visti di buon occhio
dagli altri Devianti. Kro reclutò diversi potenti Devianti, tra cui
Enigmo, Dragona, Karkas e Ransak. Il team ha lavorato con Thena e
Sersi ed è stato determinante nel salvare Lemuria dal Deviante
Ghaur.
Il legame con gli Skrull
La razza aliena conosciuta
come Skrull proviene dal pianeta Skrullos, situato nella Galassia
di Andromeda. Nonostante facciano parte dell’universo Marvel da più di 60 anni, gli
Skrull hanno raggiunto l’apice della loro fama grazie alla loro
ormai iconica invasione della Terra, che sarà al centro
dell’attesissima serie Secret
Invasion in arrivo su Disney+.
Nei fumetti, gli Skrull sono in
realtà dei Devianti. I Celestiali hanno condotto gli stessi
esperimenti a Skurllos come hanno fatto sulla Terra, creando Eterni
e Devianti. Tuttavia, i Devianti di Skrullos hanno approfittato
delle loro abilità di mutaforma e hanno ucciso i loro Eterni,
diventando la specie dominante del loro pianeta.
Poteri e abilità dei Devianti
Non tutti i Devianti hanno
abilità, a differenza degli Eterni che possiedono tutti una pletora
di poteri. I Devianti sono anche più deboli dei loro eterni nemici,
cosa che aggiunge un ulteriore livello di risentimento alla già
sgradevole dinamica tra le razze.
Tuttavia, quei Devianti che hanno
poteri, ne hanno davvero in abbondanza. I loro poteri includono:
capacità di mutare forma, guarigione accelerata e velocità, ma
anche forza e resistenza sovrumane. Alcuni Devianti possono persino
sputare fuoco, mentre altri hanno dimostrato abilità ipnotiche. I
Devianti hanno anche una durata di vita insolitamente lunga:
alcuni, infatti, sembrano essere immortali.
Il trailer di The
Batman visto al DC FanDome ha profondamente
emozionato i fan che hanno potuto dare uno sguardo migliore al
tanto anticipato Uomo Pipistrello di
Robert Pattinson, ma anche a Catwoman, al Pinguino e a
Alfred, in questa nuova veste.
Tuttavia, c’è qualcos’altro che
forse non abbiamo ancora notato, ed è il fatto che forse il trailer
ci ha offerto uno sguardo al finale del film. Ovviamente si tratta
di speculazioni, che però potrebbero trovare un fondo di
verità.
Le parole ingannano, le immagini no
Ad un certo punto del
trailer, vediamo Batman e Catwoman in quello che sembra essere un
edificio in costruzione. Questa sequenza sembra essere divisa in
due parti. In un primo momento, Catwoman tocca il braccio di Batman
prima di allontanarsi da lui. Poi, gli accarezza il viso. Questa è
la sequenza che crediamo possa provenire da uno dei momenti finali
di The
Batman.
Non prenderemo in considerazione il
dialogo, dal momento che è normale che i trailer facciano apparire
le battute di una scena come se fossero di un’altra. Infatti, il
momento in cui Catwoman dice a Bruce che può prendersi cura di se
stessa sembra provenire da una scena diversa, dal momento che non
vediamo l’attrice
Zoe Kravitz che pronuncia effettivamente quelle
parole.
Una relazione in evoluzione
Il motivo per cui pensiamo
che questa scena in particolare possa provenire dalla fine del film
ha a che fare con la relazione tra Batman e Catwoman. Il primo
trailer di Batman mostrava i due mentre si combattevano tra loro,
suggerendo che all’inizio del film fossero avversari. Detto questo,
non è irragionevole presumere che il film vedrà svilupparsi la loro
relazione. È qui che entra in gioco il momento ambientato
sull’edificio in costruzione, dal momento che mostra Selina e Bruce
in un rapporto molto più intimo.
Il modo in cui Catwoman si allontana
da Batman sembra significare che si stanno salutando, il che
potrebbe accadere alla fine del film. In primo luogo, a causa
dell’apparente sviluppo della loro relazione e, in secondo luogo, a
causa del ruolo di Selina nella trama, che sembra essere
significativo. In quanto tale, il suo addio al Crociato
Incappucciato sarebbe, in teoria, qualcosa di più adatto alla fine
della storia.
I precedenti
Ci sono stati alcuni casi
in cui i film di supereroi hanno mostrato le loro scene o momenti
finali nei trailer, come capitato con Il Cavaliere Oscuro – Il
Ritorno, The Amazing Spider-Man 2, Spider-Man:
Homecoming e Venom.
Certo, non è un’indicazione che The Batman segua la tendenza, ma
gli esempi mostrano precedenti per alcuni film di fumetti.
“The Batman
esplorerà un caso di detective“, scrivono le fonti.
“Quando alcune persone iniziano a morire in modi strani, Batman
dovrà scendere nelle profondità di Gotham per trovare indizi e
risolvere il mistero di una cospirazione connessa alla storia e ai
criminali di Gotham City. Nel film, tutta la Batman Rogues Gallery
sarà disponibile e attiva, molto simile a quella originale fumetti
e dei film animati. Il film presenterà più villain, poiché sono
tutti sospettati“.
Con un cast completamente nuovo di
attori e personaggi, sembra che questa sarà un’esperienza molto
diversa ambientata nel passato. Pur sapendo che Eggsy e Harry
torneranno, ora è il momento di conoscere i luoghi e i volti che
hanno dato origine a tutto:
Il film è prodotto da
Matthew Vaughn, David Reid e Adam Bohling, mentre
Mark Millar, Dave Gibbons, Stephen Marks, Claudia Vaughn e Ralph
Fiennes sono i produttori esecutivi. The
King’s Man – Le
Originiè basato
sul fumetto “The Secret Service” di Mark Millar e Dave Gibbons, il
soggetto è di Matthew Vaughn e la sceneggiatura è firmata dallo
stesso Vaughn & Karl Gajdusek.
È trapelata dal set di Ant-Man and the Wasp: Quantumania una foto di
una sedia di produzione su cui campeggia il nuovo logo del film con
Paul Rudd eEvangeline
Lilly. Il look di questo logo è decisamente
particolare e ricercato e potrebbe richiamare il personaggio di
Kang il Conquistatore, che comparirà nel film.
Il regista Edgar Wright ha espresso interesse nei
confronti del franchise di James Bond, rivelando di avere addirittura
un’idea per la storia dell’eventuale prossimo capitolo del
franchise.
Ospite del podcast Happy Sad
Confused, Wright ha rivelato di essere assolutamente
disponibile per il prossimo capitolo della saga di Bond. A tal
proposito, il regista di Ultima notte a Soho (che arriverà nelle sale italiane
dal 4 novembre) ha detto di avere già un’idea su come dovrebbe
essere il prossimo film del franchise.
Secondo Wright, i film di Bond
tendono ad essere “o cioccolato fondente o cioccolato al
latte”. Dal momento che il ciclo di film con protagonista
Daniel Craig sono etichettabili come
“cioccolato fondente” secondo il regista, è arrivato il momento di
rilanciare il franchise attraverso nuove avventure classificabili
come “cioccolato al latte”.
“Non credo che continuare nella
stessa direzione dei film con Daniel possa davvero portare a
qualcosa. Sono convinto che sarebbe molto più interessante provare
a fare qualcosa di nuovo”, ha spiegato il regista.
“Ho una mia visione per il
futuro di Bond al cinema, e se mai dovessero contattarmi per
discutere della saga, cogliere l’occasione per proporla allo
studio. Non voglio parlarne pubblicamente, ma quando leggo dei
possibili nuovi attori per il ruolo, mi sembrano tutti la versione
2.0 di Daniel Craig. Penso che sia molto meglio cambiare
direzione.”
In No Time
to Die, Bond si gode una vita tranquilla in Giamaica
dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto vivere
viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un vecchio
amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La
missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si
rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle
tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa
tecnologia.
Creati dal leggendario fumettista
Jack Kirby alla fine degli anni ’70, gli Eterni sono sempre stati
tra gli eroi meno conosciuti del vasto catalogo di personaggi della
Marvel, fino a quando il film
Eternals non
è stato annunciato come parte integrante della Fase 4 del MCU. Nonostante all’inizio il
MCU fosse estremamente coinvolto
nella pianificazione di film riguardanti personaggi come Iron Man,
Thor, Capitan America e i Guardiani della Galassia, pare che
in realtà stesse già pianificando di introdurre, prima o poi, la
razza di immortali superpotenti al cinema.
La conclusione della Saga
dell’Infinito con Avengers:
Endgame ha aperto la strada al decollo di nuovissimi
franchise come Shang-Chi e, appunto, Eternals.
L’uscita di scena di Iron Man e Captain America ha lasciato spazio
all’introduzione di nuovi personaggi che potessero affiancare le
presenze relativamente più giovani della saga, come Doctor Strange e Captain Marvel. Come Shang-Chi, anche Eternals ha
il potenziale necessario per rappresentare l’inizio di un nuovo
franchise del MCU.
Un nuovo libro di recente
pubblicazione, dal titolo: “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic Universe”, fa luce
sul fatto che, in realtà, la Marvel aveva messo gli occhi su
Ikaris, Thena e gli altri Eterni da molto tempo prima che il film
venisse ufficialmente confermato. Secondo Screen
Rant, Joe Robert Cole (sceneggiatore di
Black
Panther e Black
Panther: Wakanda Forever), era stato inserito nel
programma di scrittura
della Marvel nel 2011, per aiutare a
creare storie per alcuni dei nuovi progetti dello studio. Durante i
suoi due anni trascorsi all’interno del programma, Cole ha scritto
le prime sceneggiature per Deathlok, Eternals e
Blade. Alla
fine Deathlok è stato accantonato, mentre le sceneggiature
realizzate per Eternals e
Blade non
sono più state utilizzate dalla Marvel, quando anni dopo
“ricominciò da zero” con entrambi i progetti.
Ciò dimostra che la Marvel ha sempre visto un
grandissimo potenziale nei personaggi degli Eterni, nonostante si
tratti di personaggi che non sono universalmente conosciuti,
soprattutto a chi non ha mai letto i fumetti. Eppure, l’idea che
una squadra di essere immortali potesse condividere la Terra con
gli umani da migliaia di anni ha sempre giocato un ruolo
fondamentale nella progettazione a lungo termine dei Marvel Studios.
Eternals,
il terzo film della Fase Quattro dell’Universo Cinematografico
Marvel diretto dalla regista vincitrice dell’Academy
Award Chloé Zhao, arriverà il 3 novembre
nelle sale italiane. Il film targato Marvel
StudiosEternals presenta
un nuovo team di supereroi dell’Universo Cinematografico
Marvel: l’epica storia, che abbraccia migliaia di anni, mostra
un gruppo di eroi immortali costretti a uscire dall’ombra per
unirsi contro il più antico nemico dell’umanità, The Deviants.
Il cast del film
comprende Richard
Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma
Chan, che interpreta Sersi, amante
dell’umanità; Kumail
Nanjiani, che interpreta Kingo, dotato dei poteri del
cosmo; Lauren Ridloff, che interpreta la
velocissima Makkari; Brian Tyree Henry, che
interpreta l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta il solitario
Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena.Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
Chloè Zhao, regista
premio Oscar per Nomadland, ha chiuso la Festa del Cinema di
Roma 2021 con l’evento più atteso di questa edizione, organizzato
insieme ad Alice nella Città, la prima europea di Eternals,
il film Marvel Studios, che ha portato nella cavea
dell’Auditorium i suoi protagonisti:
Angelina Jolie,
Richard Madden, Gemma Chan e
Kit Harington.
Zhao è stata scelta per dirigere il
film a lavori già cominciati, come ha raccontato in conferenza:
“Quando sono arrivata nel processo di creazione di questo film,
esisteva già un trattamento molto ricco. Quando Jack Kirby ha
creato questi personaggi, ha scelto di porli all’esterno delle
dinamiche del mondo condiviso, sono esterni, ci sono da sempre. Si
tratta di un gruppo di eroi che, proprio perché esterni, gli ha
permesso di aggiungere una prospettiva differente alle sue
storie.”
Secondo Zhao, si tratta di
un’esperienza interessante dopo l’enorme successo e l’incredibile
lavoro che è stato fatto con la Infinity Saga, che
ha davvero cambiato la storia del cinema contemporaneo in termini
di produzione e mercato.
Il film segna l’esordio nel MCU di molti volti noti e amati
dello spettacolo, su tutti
Angelina Jolie, che interpreta la guerriera Thena, ma
nel cast ci sono anche Richard Madden e Kit Harington, che avevano già lavorato
insieme in Game of Thrones e che ora si ritrovano
a condividere, seppur brevemente, un nuovo set molto importante.
Gemma Chan, che interpreta Sersi, si trova invece
nella singolare posizione di “tornare” nel MCU con un ruolo completamente
differente, visto che era già stata Minerva in Captain Marvel.
“Mi sento così fortunata per
essere tornata una seconda volta, oltretutto con un personaggio
così diverso da quello che ho interpretato in precedenza, ero
sorpresa quando sono stata richiamata, mi sento molto
fortunata.” Ha commentato Gemma Chan.
Per Kit Harington è stato come tornare in un
progetto molto lungo, come già gli era capitato con Game Of
Thrones: “Questa è la mia prima volta nel MCU e devo dire che ricevere una
telefonata da loro è proprio una bella chiamata. Non me lo
aspettavo, sono già stato in una lunga serie e questo progetto mi
piace tanto.”
Angelina Jolie aveva già espresso il suo gradimento
per questo franchise e ha confermato che per lei è stato molto
bello arrivare in questo universo proprio con il personaggio di
Thena. “Volevo farne parte e mi sento fortunata a essere
arrivata in questo momento con questo personaggio, amo la famiglia
che è protagonista del film, amo la diversità e l’inclusione di
questo cast. Spero diventi una nuova normalità per ogni tipo di
produzione e sono contenta che in questo modo la gente si veda
finalmente rappresentata al cinema.”
Richard Madden ha invece confessato di essere
un vero e proprio fan del MCU, ed essere dentro a uno dei
film più particolari e complessi di questo universo è stato
incredibile: “Sono sempre stato un grande fan di questi film, e
mi ritrovarmi adesso in una scena a citare Thor o Thanos è stato
davvero strano”.
Da regista premio Oscar che ha
diretto un cinecomic, Zhao sembra rappresentare il perfetto
equilibrio tra il cinema d’autore e quel cinema più rumoroso e ad
alto budget. Secondo la regista però non c’è contrasto tra i due
modi di fare cinema, dal momento che “stiamo danzando sul bordo
di un revisionismo artistico, ed è importante vedere come i
Marvel Studios desiderano sfidare
il loro stesso genere. I concetti di eroismo, di trovare un posto
nel mondo, di dividere il bene dal male, sono argomenti che il
cinema sta cercando di raccontare da sempre eppure nei fumetti c’è
già tutto. Tutto quello che definisce un personaggio moderno è già
presente nelle storie a fumetti Marvel.”
Il cast è d’accordo sugli elementi
fondamentale di Eternals:
la famiglia, la diversità, l’amore e la connessione con il pianeta
Terra. Secondo la regista, il pubblico entrerà subito in sintonia
con il personaggio di Sersi, in particolare, perché è il primo che
si affeziona ai terrestri, e li guarda con affetto e compassione,
ama vivere tra loro e desidera proteggerli più di ogni altra
cosa.
Non solo, Sersi è anche coinvolta
nella storia d’amore che, alla fine dei giochi, deciderà se sorti
della Terra. “L’amicizia che lega Gemma e Richard – ha
commentato Chloè Zhao– è stata un dono
prezioso per tutto il film. Loro ci hanno fatto dono del loro
legame e della loro complicità, così che tutto il film ne
risultasse impreziosito.”
Il cast di Eternals
Eternals
arriva in sala a partire dal 3 novembre, è diretto da Chloè
Zhao e vede protagonisti Richard Madden, che interpreta l’onnipotente
Ikaris; Gemma Chan, che interpreta Sersi,
amante dell’umanità; Kumail Nanjiani, che
interpreta Kingo, dotato dei poteri del cosmo; Lauren
Ridloff, che interpreta la velocissima
Makkari; Brian Tyree Henry, che interpreta
l’intelligente inventore Phastos;Salma
Hayek, che interpreta la leader saggia e spirituale
Ajak; Lia McHugh, che interpreta Sprite,
eternamente giovane e al tempo stesso piena di
saggezza; Don Lee, che interpreta il
potente Gilgamesh; Barry Keoghan, che interpreta
il solitario Druig; e Angelina
Jolie, che veste i panni dell’impetuosa guerriera
Thena. Kit
Harington interpreta Dane Whitman.
C’è ancora molto che non sappiamo su
Spider-Man:
No Way Home, ma secondo il regista Jon
Watts, la portata del threequel sarà più grande di
qualsiasi cosa abbiamo visto fino ad ora. “Di certo, stiamo
cercando di essere particolarmente ambiziosi”, ha anticipato
il regista a
Emprie Magazine. “Sarà l’Endgame del franchise di
Spider-Man”.
Tom
Holland, nel frattempo, ha rivelato che all’inizio era
piuttosto scettico in merito all’idea del film: “Quando mi è
stata lanciata l’idea la prima volta, ho pensato che fosse
semplicemente fantastica”, ha spiegato l’attore.
“Tuttavia, non pensavo che potesse davvero funzionare. Invece
alla fine è successo. Il risultato finale sarà pazzesco.”
Insieme a queste nuove
dichiarazioni, la celebre rivista ha anche svelato due nuove
immagini ufficiali tratte dal film. In una delle due, vediamo il
Doctor Octopus di Alfred Molina che insegue Iron Spider, mentre
nell’altro sembra che Peter Parker, colto nella sua tradizionale
posa di atterraggio, stia affrontando una minaccia sconosciuta.
Il film è diretto
da Jon Watts (già regista
di Homecoming e Far
From Home) e prodotto da Kevin
Feige per i Marvel
Studios e da Amy Pascal per la
Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17
dicembre 2021.
La scena post-credit del primo
Iron Man ha stabilito non solo l’esistenza
dell’Iniziativa Avengers, ma anche il ruolo chiave che Nick Fury avrebbe giocato nel futuro del
MCU in quanto direttore dello
SHIELD. Il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson è stato un vero e proprio
collante all’interno della Fase 1, ma oggi scopriamo che,
all’inizio, non c’erano dei piani per eventuali sue apparizione in
altri film.
A quanto pare, infatti,
l’apparizione di Nick Fury nella scena post-credit di Iron man del
2008 è stata concepita all’inizio come qualcosa di isolato: i
Marvel Studios non avevano alcun piano per il
futuro del personaggio sul grande schermo. Come raccontato nel
libro di recente pubblicazione: “The Story of Marvel Studios: The Making of the
Marvel Cinematic
Universe“, Jackson aveva accettato il ruolo di Fury
dopo aver appreso della somiglianza con il personaggio dei fumetti,
ma all’epoca non esisteva nessun accordo per il suo coinvolgimento
in altri film. La Marvel non aveva pianificato ancora
nulla perché non sapeva se il pubblico si sarebbe realmente
interessato a ciò che quella scena post-credit avrebbe
anticipato.
Come riportato da Screen
Rant: “Jeremy Latchman dice che avevano chiamato Samuel L.
Jackson per chiedergli se fosse ancora interessato alla parte. In
tal caso, si sarebbe trattato di un breve cameo. ‘Non avevamo alcun
accordo con lui per eventuali film futuri'”, chiarisce
Latchman, vicepresidente del settore produzione e sviluppo dei
Marvel Studios. “Forse al
pubblico non sarebbe fregato nulla di quella scena, e se Jackson
fosse stato d’accordo, alla fine l’avremmo tenuta. Nonostante
durasse poco e all’epoca non rappresentava ancora nulla, decidemmo
comunque che doveva rimanere un segreto, in modo da evitare ai fan
dei fumetti di rovinarsi la sorpresa.”
La scena post-credit del primo
Iron Man del 2008 si è rivelata poi l’inizio di un
vero percorso per il personaggio di Nick Fury all’interno del
MCU. In seguito, Samuel L. Jackson ha firmato un contratto per
apparire in ben 9 film dei Marvel Studios, a cominciare da
Iron Man 2, uscito soltanto due anni dopo. Ad oggi sono
state persino raccontate le origini del personaggio in Captain
Marvel, mentre lo stesso si appresta a tornare nella Fase
4 grazie all’attesissima serie in arrivo su Disney+Secret
Invasion.
L’arco narrativo di Tony Stark/Iron Man nel MCU si è concluso in maniera
tragica, nonostante il sacrificio compiuto dall’eroe alla fine di
Avengers:
Endgame abbia assunto un significato davvero
speciale, soprattutto in riferimento a tutta la storia pregressa
del supereroe.
Tuttavia, pare che inizialmente
Robert Downey Jr. non fosse molto d’accordo a
girare l’iconica scena in cui il suo personaggio, poco prima di
schioccare le dita, pronuncia in maniera audace le parole:
“Sono Iron Man”, in risposta a Thanos che, in precedenza,
aveva esclamato di essere “ineluttabile”.
Nel taglio originale di Endgame,
Iron Man non avrebbe dovuto pronunciare alcuna battuta in quel
momento. Tuttavia, mentre i Russo stavano lavorando al montaggio,
hanno ritenuto giusto che l’eroe pronunciasse di nuovo una delle
sue frasi più iconiche (che si ricollega direttamente al primo film
del 2008, quando Tony Stark rivelò la sua identità di supereroe al
mondo intero).
All’epoca, era trascorso già un po’
di tempo dalla conclusione delle riprese principali. Per quanto,
quando Downey Jr. è stato informato delle riprese aggiuntive e
della “nuova” battuta, inizialmente non era intenzionato a
pronunciarla. Il motivo è stato spiegato dal presidente dei
Marvel StudiosKevin Feige e dal co-regista di EndgameAnthony Russo nel libro di recente
pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of the
Marvel Cinematic Universe” (via
ComicBook).
Kevin Feige:
“All’inizio, quando ha scoperto che volevamo tornare sul set e
girare una nuova versione di quello che è probabilmente il momento
più emozionante dell’interno film, Robert era contrario.”
Anthony Russo:
“Non è una cosa sulla quale è facile raggiungere un
compromesso. È stato difficile far orientare di nuovo Robert
all’interno della scena. È stato difficile per lui capire, nello
specifico, a che punto della narrazione eravamo. Quando ti chiudi
in sala di montaggio e lavori giorno e notte al suo film, arriva un
momento in cui il materiale lo conosci a memoria. L’hai davvero
esplorato da ogni punto di vista possibile. Tuttavia, non significa
che non si possano avere nuove idee. A quel punto, eravamo davvero
sicuri di ciò che cui quella scena aveva bisogno.”
Avengers:
Endgame è arrivato nelle nostre sale il 24 aprile
2019, diventando il maggior incasso nella storia del cinema. Nel
cast del film – tra gli altri – figurano Robert
Downey Jr., Chris
Evans, Mark
Ruffalo, Chris
Hemsworth e Scarlett
Johansson. Dopo gli eventi devastanti di Avengers:
Infinity War, l’universo è in rovina a causa
degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati
rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi
ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare
l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle
conseguenze che potrebbero esserci.
Il Doctor Octopus di Alfred Molina e il Green Goblin
di Willem
Dafoe sono già stati confermati, e siamo sicuri
al 99,9% che rivedremo anche il Peter Parker di Tobey
Maguire. Tuttavia, chi abbiamo effettivamente visto in
azione nel primo trailer di No Way
Home è stato proprio il Doc Ock di Molina,
personaggio che l’attore aveva già interpretato in Spider-Man
2 del 2004, diretto appunto da Raimi.
In una recente intervista con
Empire, il presidente dei Marvel StudiosKevin Feige ha parlato di come sono stati
scelti i cattivi che dovevano apparire nei film del MCU dedicati alle avventure
dell’Uomo Ragno. Feige ha specificato che l’intento è sempre stato
quello di far debuttare personaggi che non erano mai apparsi prima
sul grande schermo, come Avvoltoio o Mysterio.
Tuttavia, quando si è parlato del
ritorno di Octopus, il produttore ha confermato che non avrebbe mai
sostituito Alfred Molina, anche se la sceneggiatura
avesse richiesto una rivisitazione del personaggio, dal momento che
considera la sua iterazione di Doc Ock assolutamente perfetta.
“Volevamo davvero rivisitare
cattivi che erano già apparsi in precedenza? No, volevamo portare
Avvoltoio, Mysterio e altri personaggi che non avevamo mai visto al
cinema prima d’ora”, ha spiegato Feige. “Ricordo però di
aver pensato: ‘Come potremmo riproporre Doc Ock con un altro
attore?’. Alfred Molina era perfetto. Quindi alla fine decisi che,
semmai l’avessimo riportato indietro, sarebbe stato comunque lui,
in un modo o nell’altro.”
Il film è diretto
da Jon Watts (già regista
di Homecoming e Far
From Home) e prodotto da Kevin
Feige per i Marvel
Studios e da Amy Pascal per la
Pascal Production. Il film arriverà nelle sale americane il 17
dicembre 2021.
Dal set siciliano di Indiana
Jones 5, arrivano nuove foto della produzione che vede
coinvolto Harrison Ford, ancora nei panni del professor
Jones. Questa volta, al suo fianco, c’è Phoebe Waller-Bridge, attrice e autrice molto
premiata che sta continuando la sua scalata di Hollywood, dopo il
successo di Fleabag, per Amazon Prime Video.
James
Mangold(Logan –
The Wolverine) sarà il regista di Indiana
Jones 5 al posto di Steven
Spielberg, che invece aveva diretto tutti gli altri
capitoli precedenti della saga. A bordo del progetto torna
invece John Williams, già compositore
dell’iconica colonna sonora che accompagna il personaggio da 40
anni. Nel cast, oltre a Harrison
Ford, ci sarà anche Phoebe
Waller-Bridge. Le riprese dovrebbe partire in
primavera.
Prima dell’ingaggio di Mangold, la
sceneggiatura era stata affidata a David
Koepp, he ha poi lasciato il progetto
insieme a Spielberg. Prima di Koepp, anche Jonathan
Kasdan (figlio dello sceneggiatore de I
predatori dell’arca perduta, Lawrence Kasdan) aveva messo le
mani sullo script. L’uscita nelle sale del film è già stata
posticipata diverse volte: inizialmente previsto per il 19 Luglio
2019, il film è stato rinviato prima al 10 Luglio 2020, poi al 9
Luglio 2021 e infine al 29 Luglio 2022.
La trama di Planet
Hulk ha attraversato i fumetti dedicati all’iconico
Gigante di Giada tra l’aprile del 2006 e il giugno del 2007, ideata
dallo scrittore Greg Pak e dagli artisti Carlo Pagulayan e Aaron
Lopresti. Quella storyline si concentra sull’atterraggio di Hulk
sul pianeta alieno di Skaar, con l’alter ego di Bruce Banner che si
ritrova poi a guidare una rivoluzione di gladiatori.
Fin dall’uscita del fumetto,
Planet Hulk è sempre stata considerata una delle migliori
trame legate ad Hulk, con la maggior parte dei fan che ha sempre
chiesto a gran voce che quella storyline venisse adattata in un
lungometraggio. Tuttavia, a causa dei complicati diritti sul
personaggio, ancora non è stato possibile realizzare un nuovo film
da solista interamente dedicato al Gigante Verde (cosa che
probabilmente non accadrà mai). Tuttavia, alcuni elementi della
trama di Planet Hulk sono stati combinati all’interno di
Thor: Ragnarok di
Taika Waititi, come i personaggi di Korg e Miek, ma anche la
versione gladiatore di Hulk.
All’interno del libro di recente
pubblicazione “The Story of Marvel Studios: The Making of the Marvel Cinematic
Universe“, scritto da Tara Bennett e Paul Terry, viene
rivelato che uno dei maggiori ostacoli nell’adattare la trama di
Planet Hulk è stato, in realtà, il piccolo ruolo che ha Bruce
Banner all’interno della storia. Nel libro, il presidente dei
Marvel Studios Kevin Feige ha affermato: “Non abbiamo mai
nemmeno preso in considerazione l’idea di adattare Planet Hulk,
perché, per quanto il fumetto sia fantastico, Bruce Banner non fa
parte di Planet Hulk.”
A quanto pare, a
Joss Whedon venne addirittura chiesto di cambiare il finale di
Avengers: Age of Ultron in modo che i fan non avessero
la sensazione che nel futuro del MCU ci potesse essere proprio un
film basato su Planet Hulk.
ComicBook riporta la dichiarazione completa di Feige contenuta
nel libro: “Ho detto: ‘Joss, non possiamo farlo. La gente
penserà che stiamo cercando di adattare Planet Hulk. Così hanno
chiesto a Whedon di cambiare parte dei dialoghi e dire che
l’avevano perso mentre era ancora sulla Terra, e hanno poi
sostituito il cielo stellato realizzato attraverso i VFX con il blu
dell’atmosfera terrestre.”
Open Arms – La legge del mare
edizione della Festa del Cinema di Roma.
Il film vincitore del “Premio del
Pubblico FS”, in collaborazione con il Gruppo FS Italiane, Official
Sponsor della Festa, è stato votato dagli spettatori della prima
replica dei film della Selezione Ufficiale attraverso l’APP
ufficiale e il sito www.romacinemafest.it.
Luca Torchia, Chief Communication
Officer di FS Italiane, ha consegnato il “Premio del Pubblico FS”
ad Aldo Lemme, Head of Theatrical Distribution di Adler
Entertainment che distribuirà il film in Italia.
Mediterráneo (Open Arms
– La legge del mare) è una produzione spagnola di Lastor
Media, Fasten Films, Arcadia Motion Pictures, Cados Producciones
con la casa di produzione greca Heretic.
MEDITERRÁNEO |
MEDITERRANEO: THE LAW OF THE SEA | OPEN ARMS – LA LEGGE DEL
MARE
di Marcel Barrena, Spagna, Grecia,
2021, 111’
Cast: Eduard
Fernández, Dani Rovira, Anna Castillo, Sergi López, Àlex Monner,
Melika Foroutan
Autunno 2015. Due bagnini spagnoli,
Òscar e Gerard, colpiti dalla straziante fotografia di un bambino
annegato nel Mediterraneo, vanno nell’isola di Lesbo, dove scoprono
una realtà sconvolgente: ogni giorno migliaia di persone rischiano
la vita cercando di solcare il mare con imbarcazioni precarie, per
fuggire dalla miseria e dalle guerre che affliggono i loro Paesi
d’origine. Ma la cosa più sconcertante è che nessuno sta svolgendo
attività di salvataggio. Insieme a Esther, Nico e agli altri membri
della loro squadra, Òscar e Gerard lotteranno per compiere il
lavoro disatteso dalle autorità e per portare a migliaia di persone
l’aiuto di cui hanno estremo bisogno. Dalla storia vera di Òscar
Camps, il fondatore di Open Arms.
NOTE DI REGIA per Open Arms
– La legge del mare
Nel settembre del 2015 il mondo
tremò davanti alla foto di Aylán Kurdi, un bambino senza vita su
una spiaggia del Mediterraneo. A Òscar Camps, bagnino di Badalona,
quell’immagine ha cambiato la vita. Convinse il suo amico Gerard
Canals ad andare a Lesbo per vedere cosa stava accadendo. Quello
che era iniziato come un viaggio di due giorni divenne una missione
che si protrasse per mesi e che, a oggi, ha salvato la vita a più
di 60.000 persone. Dopo aver visto quella foto, Òscar lasciò tutto
per salvare molta gente da morte certa e denunciare quanto stava
avvenendo. Io che cosa potevo fare? Non sono un bagnino, ma potevo
fare un film che desse visibilità a ciò che stava succedendo a sole
due ore di aereo da casa nostra. Per quattro anni abbiamo lavorato
a Lesbo per conoscere in prima persona la situazione e dare forma a
un progetto in cui abbiamo affrontato l’inimmaginabile. Abbiamo
girato nei veri uffici dei soccorritori di Open Arms. Abbiamo
ricostruito il campo profughi di Moria e assunto come comparse
centinaia di rifugiati. Né il film né io abbiamo le risposte per
porre fine a ciò che accade nel Mediterraneo, ma possiamo fare da
megafono perché nessuno dimentichi quel che avviene sulle nostre
coste.
Il XXVI Linea d’Ombra
Festival a Salerno si è aperto con il primo grande
ospite di questa edizione, in presenza finalmente, e che già nel
primo giorno di proiezioni e incontri ha segnato il tutto esaurito
per tutti gli appuntamenti.
Niccolò Ammaniti, scrittore, sceneggiatore, regista,
si è aperto con il pubblico che ha gremito la Sala Pasolini di
Salerno al 100% della capienza, durante la conversazione condotta
dal direttore artistico Boris Sollazzo, introdotta
dal presidente e fondatore del festival Peppe
D’Antonio.
Niccolò Ammaniti ha ripercorso gran
parte della sua carriera, quella letteraria che molto presto si è
intrecciata con il cinema e poi quella da regista, legata a due
serie televisive di grande successo internazionale, Il
miracolo e Anna. E proprio dal romanzo da cui
poi ha tratto la serie parte Ammaniti per raccontarsi.
“Dopo avere finito di
scrivere Anna mi sono accorto che avevo perso interesse
nello scrivere, mi sono chiuso, non vedevo e non sentivo nessuno, e
così per la prima volta in vita mia ho deciso di rivolgermi a uno
psichiatra che semplicemente mi ha detto che dovevo vedere gente,
fare cose nuove, solo che avevo allontanato tutti. Allora mi è
venuta in mente una cosa che mi disse una volta Marco Risi, che
stare sul set è bello perché hai un sacco di amici che paghi per
stare con te. Ed è quello che ho fatto con Il miracolo, ho detto
subito a tutta la troupe che dovevano essere miei amici, la mia
famiglia, decidere di fare il regista è stata una necessità umana
mediata da una sceneggiatura di cui tu racconti a ognuna delle
persone che lavorano con te una verità parziale”.
Parlando di Marco
Risi, Ammaniti ha ricordato l’esperienza de
L’ultimo capodanno, primo film tratto da
un suo racconto. “Fu un’esperienza bellissima, Marco mi permise
di stare sempre sul set e li ho capito l’importanza che nel cinema
hanno i luoghi. Una notte stavamo girando a Corso Francia, una
grande strada di Roma trafficatissima, una strada che non può
chiudere e che invece era stata chiusa per un film. Lì ho capito la
potenza del cinema”.
Purtroppo il film fu un disastro al
box office, “non ci andò veramente nessuno, tanto che con Marco
andammo da una maga, perché eravamo convinti che qualcuno avesse
fatto il malocchio al film. Allora andammo da questa maga della
Maglianella, di cui avevano parlato a Marco dicendogli che era
fenomenale. Ma non funzionò neanche quello”.
Un altro incontro molto importante
per Niccolò Ammaniti fu quello con Bernardo
Bertolucci. “Io
e teè stato il primo romanzo che ho pensato avrei
potuto anche dirigere. Ma quando Bernardo manifestò il suo
interesse ho immediatamente rinunciato”.
Cosa che non fece con Il
miracolo, “la prima volta che non ho avuto il
desiderio di scrivere il romanzo prima di far diventare questa
storia qualcos’altro, perché non sarei stato in grado di rendere il
sangue che sgorga da questa madonna sulla pagina, servivano le
immagini”. Una serie che gli ha insegnato il mestiere della
regia “sbagliando tanto, sin dal primo giorno, quando ho fatto
delle inquadrature bruttissime e poi ho voluto fare una scena alla
Michael Cimino che era una schifezza”.
Tutte cose però che hanno fatto
cresce l’Ammaniti regista, come dimostrato nella serie successiva,
Anna, tratta dal suo romanzo che si è
dimostrato in qualche modo profetico e da cui lo stesso regista è
stato travolto.
“Quando ci hanno detto che
avremmo dovuto interrompere le riprese per il Covid non volevo
accettare la cosa, sulla nave che da Palermo mi riportava a Roma
ero da solo, ho pensato che sarebbe stata una scena clamorosa.
Durante il lockdown la mia preoccupazione era che i bambini
crescessero troppo, quando ci vedevamo su Zoom glielo dicevo ‘non
crescete’”.
Niccolò Ammaniti è ripartito, e dal
pubblico di Linea d’Ombra e da Boris Sollazzo si è
congedato con due grandi notizie. La prima, di cui già si
sapeva qualcosa, è che dopo sette anni è tornato a scrivere
un romanzo.
“Scrivere libri è una cosa
fantastica, ti permette ti stare nella mente dei tuoi personaggi a
lungo, cosa che in una serie e al cinema non puoi fare, perché devi
dare spazio all’azione. Quindi mi sto divertendo, e dopo il gran
culo che mi sono fatto sul set mi sono anche detto adesso me ne sto
a casa, comodo, con i miei cani, a scrivere. Il titolo del romanzo
sarà La vita intima”.
La seconda è che dopo due serie,
è arrivato il momento di fare un film. “Non
subito, voglio prima finire la prima stesura del romanzo, ma il
film è già scritto. Non posso dire niente, se non che si tratterà
diun horror, siciliano, che ruoterà attorno alla
mitologia di quella terra”.
La prima giornata di Linea d’Ombra
ha anche tenuto a battesimo il lungometraggio italiano inserito nel
concorso Passaggi d’Europa, The Grand
Bolero, di Gabriele Fabbro, con protagoniste
Lidia Vitale e Ludovica Mancini, un piccolo grande
film che racconta una passione tra due donne durante il lockdown
attraverso una storia ricca di suggestioni visive e sonore che è
stata molto apprezzata dal pubblico che si è poi intrattenuto con
il regista, le protagoniste, il produttore e la scenografa in un
appassionato Q&A dopo la proiezione.
Linea d’Ombra continua
domenica 24 ottobre con Roberto Andò, che
racconterà al pubblico il suo cinema e le sue storie, a partire da
Il bambino nascosto, il film con
Silvio Orlando, tratto dal romanzo omonimo dello
stesso regista, che è stato presentato fuori concorso all’ultima
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e che
arriverà nei cinema il 4 novembre.
E poi lunedì 25
ottobre grande attesa per l’arrivo di Valeria
Golino, per parlare con l’attrice e regista di un anno per
lei ricco di soddisfazioni, con tanti film e il ritorno negli Stati
Uniti al fianco di due star come Reese Witherspoon e
Jennifer Aniston, nella serie prodotta da Apple
Tv+The Morning Show,
un’interpretazione che potrebbe darle molte soddisfazioni nella
award season.
Petite Maman di Céline
Sciamma vince il Premio come miglior film Alice nella
Città 2021. La giovane giuria, composta da 30 ragazzi provenienti
da tutta Italia, ha scelto di attribuire il riconoscimento al
“delicato, elegante, profondo e poetico” film della regista
francese per la sua “capacità di coinvolgere emotivamente e di
trasportare lo spettatore, all’interno di un viaggio immersivo e
nostalgico, in un mondo che fa della purezza e della semplicità i
suoi punti di forza”.
“Voglio ringraziare la giuria
del festival – dichiara Céline Sciamma –
per aver realizzato il sogno del film: una sala cinematografica
piena di ragazze e ragazzi. A loro voglio dire grazie. Grazie per
l’emozione, per la sensibilità, per la curiosità. Come dicono le
parole della canzone del film: il mio cuore è nei vostri cuori, i
vostri cuori sono nel mio cuore”.
Da sempre attenta al mondo dei
giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma è tornata
con Petite Maman alle atmosfere di
Tomboy, uno dei suoi film più amati,
dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il
film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo
la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna
dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si
imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna
di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si
chiama proprio Marion…
Grazie a una storia che molti
critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman ha saputo gli spettatori
con la sua riflessione commossa sulla memoria, l’amicizia e la
famiglia. Il film, che rappresenta la prima collaborazione tra
Teodora e MUBI, è
uscito al cinema il 21 ottobre e sarà in streaming in esclusiva su
MUBI nel 2022.
Dopo aver visto le prime
tre puntate della miniserie creata da Dan
Futterman (candidato all’Oscar per gli script di A
sangue freddo – Capote e Foxcatcher, entrambi di Bennett
Miller) appare chiaro che lo scopo principale di
AmericanRust sia quello di
mettere in scena le condizioni tutt’altro che agiate in cui versa
oggi una buona parte del Nord Est degli Stati Uniti. Tale
intenzione si sovrappone alla trama principale dello show, cercando
un equilibrio tra melodramma e thriller che pende fin troppo in
favore del primo genere.
American Rust, la trama
Dal momento che
l’ambientazione dello show trasmesso in America da Showtime è
dunque fondamentale, un contesto storico-sociale è del tutto
necessario. Il set principale della storia adattata dal romanzo di
Philipp Meyer è Buell, cittadina del sud della
Pennsylvania. Ovvero nel mezzo della cosiddetta “Rust Belt”
(Cintura di Ruggine), territorio che in particolar modo dopo
la Seconda Guerra Mondiale aveva sviluppato una fiorente economia
basata sull’industria pesante, salvo poi essere stata “abbandonato”
a se stesso a partire dalla fine degli anni ‘70. Il decennio
successivo ha costretto larga parte dei cittadini alla
disoccupazione, causando di conseguenza povertà, abuso di droghe,
criminalità. È in questo clima di desolazione che si muovono i
personaggi di American Rust: protagonista della serie è Del Harris,
uomo di legge che deve catturare l’assassino di un suo ex-collega
dal passato tutt’altro che integerrimo. Il principale indiziato è
il giovane Billy Poe, figlio della donna con cui proprio Harris
vorrebbe costruire il proprio futuro. Il dilemma è quindi semplice:
fare il proprio dovere diretto verso la ricerca incondizionata del
colpevole oppure “pilotare” le indagini in modo da deviare
l’attenzione lontano dal ragazzo?
Il giallo è un pretesto
Fin dall’episodio pilota
si può chiaramente intuire che in American Rust
l’ossatura del giallo è poco più di un pretesto: il solo fatto che
l’episodio venga costruito come un lungo flashback rivela quanto
Futterman e il regista John Dahl – anni fa diresse
il notevole ma sfortunato Il giocatore con
Matt Damon ed
Edward Norton – siano maggiormente interessati alla
rappresentazione del contesto rispetto allo sviluppo della trama.
L’interesse che American Rust suscita nello
spettatore sta principalmente nella rappresentazione dell’umanità
lasciata indietro in cittadine come Buell: la desolazione economica
e soprattutto umana che lo show mette in scena possiede un realismo
malinconico capace di non scivolare mai in atteggiamento
pietistico.
Personaggi e figure in
chiaroscuro, sconfitte dal tempo o dalle vicissitudini di una vita
fatta di stenti, si alternano a momenti in cui la vitalità e la
voglia di affermare il proprio valore colpiscono nel profondo, come
in una bella sequenza di matrimonio nel secondo episodio. La
rappresentazione sentita e partecipe di tale umanità non riesce
però a distogliere l’attenzione dal fatto che il meccanismo di
detection riguardante l’omicidio, ovvero il catalizzatore della
trama, in realtà funziona a stento: le indagini si sviluppano con
un meccanismo narrativo estremamente lento e tutto sommato poco
interessante. I potenziali indiziati del crimine vengono sviluppati
come personaggi stranamente inconsistenti, che nel corso degli
episodi diventano sempre più stereotipati sia nelle azioni che nei
meccanismi psicologici. E tale mancanza di presa emotiva sulla
vicenda della soluzione del puzzle alla lunga mina l’efficacia
degli episodi stessi.
Jeff Daniels merita la visione
Se American
Rust merita comunque uno sguardo è senza dubbio per le
interpretazioni corpose di alcuni attori del cast principale: prima
di tutto il protagonista Jeff Daniels, capace di tratteggiare un Del
Harris piegato dalla stanchezza e da un passato doloroso che tenta
comunque di svolgere il proprio lavoro con la dignità rimasta.
L’attore amato qualche anno fa nella serie The Newsroom creata da Aaron
Sorkin lavora in questo caso con i mezzitoni e le
sfumature del ruolo in maniera magistrale. Accanto a lui un altro
“veterano” come Bill Camp – il quale ha ottenuto la consacrazione
sul piccolo schermo con una miniserie poderosa quale The
Night Of – contribuisce a impreziosire
American Rust insieme alla sempre efficace Maura
Tierney. Insomma, se scoprire il colpevole in questo show non
sembra poi così avvincente o anche necessario, rimane comunque la
soddisfazione di vedere all’opera attori di bravura
consumata.
Con Il silenzio degli
innocentiHannibal Lecter è diventato uno dei
personaggi più iconici del cinema, merito anche
dell’interpretazione da Oscar di Anthony
Hopkins. Protagonista poi anche di diverse opere
successive al film del 1991, Lecter era in realtà già apparso sul
grande schermo nel 1986 con il celebre film Manhunter –
Frammenti di un omicidio (dove il cognome viene però
modificato in Lektor), diretto dal maestro del cinema
d’azione Michael Mann (suoi sono acclamati
film come Heat – La sfida, Insider – Dietro la verità
e Collateral). Questo
film ha così gettato le basi per una vera e propria mitologia,
riadattando i canoni del genere per dar vita a nuove forme di paura
e tensione.
Oltre ciò, Manhunter si
presenta però come un’opera più complessa di quanto potrebbe
sembrare in apparenza. Non si tratta della classica storia di sfida
tra detective e serial killer, poiché questo rapporto è arricchito
da una serie di elementi che rendono i due personaggi a loro modo
speculari, entrambi figli di una società malsana che li circonda.
Caratterizzati dai colori blu e verde, ricorrenti in tutto il film,
i due personaggi anticipano quella sfida tra bene e male
riscontrabile anche in Heat, dove però i confini tra
questi due valori vengono spesso ad essere poco definiti.
Con Manhunter, Mann
suggerisce dunque di come per poter catturare un serial killer,
occorra esserlo a propria volta. Poco apprezzato al momento della
sua uscita, quest’opera è oggi un cult imperdibile e da riscoprire
in ogni suo aspetto, tanto narrativo quanto tecnico e visivo. Prima
di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi al libro, alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il libro da cui è tratto il film
Il film di Mann, di cui egli è anche
sceneggiatore oltre che regista, è tratto dal romanzo del 1981
Red Dragon, scritto da Thomas
Harris. Si tratta del primo libro a contenere il
personaggio di Hannibal Lecter e gli altri divenuti poi popolari
con i film. Harris, da sempre appassionato delle storie dedicate a
serial killer, si documentò molto prima di scrivere la propria,
incontrando agenti dell’FBI e
apprendendo da loro tutto ciò che c’èra da sapere su queste
personalità. Scritto in quasi totale isolamento in un monolocale di
circa 3.5 metri quadrati, il libro divenne poi un successo
straordinario, incontrando da subito l’interesse di Hollywood.
Per il primo adattamento, quello di
Manhunter, si decise tuttavia di modificare il titolo
poiché Red Dragon poteva far pensare ad un film di arti
marziali. Nel 2002, tuttavia, è stato realizzato un nuovo
adattamento del romanzo, stavolta con il titolo di Red
Dragon. Nel tempo trascorso tra i due film, però, Harris aveva
pubblicato anche due sequel del suo romanzo, rispettivamente Il
silenzio degli innocenti e Hannibal. Entrambi furono
poi adattati negli omonimi film, usciti nel 1991 e nel 2001. Con
questa trilogia Harris si concentrò sempre di più sulla figura di
Hannibal Lecter, rendendolo il personaggio iconico che oggi tutti
conosciamo.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: la trama del film
Protagonista del film è l’ex agente
Will Graham, ora andato in pensione anticipata
dopo aver subito gravi ferite fisiche e psichiche in seguito ad uno
scontro con il serial killer cannibale Hannibal
Lektor. Sapendo ora il criminale dietro le sbarre di una
prigione di massima sicurezza, Graham può godersi il suo meritato
riposo insieme alla moglie Molly e al figlio
Kevin, cercando di dimenticare quanto accadutogli.
La comparsa di un nuovo assassino, che si fa chiamare Dente
di Fata, scuote profondamente la sua tranquillità. Il
killer si è infatti affermato per il suo commettere spaventose
stragi durante le notti di plenilunio, dove giovani coppie con
bambini sono sterminate secondo macabri rituali.
Gli ex datori di lavoro di Graham
non tardano a chiedergli di tornare in azione per dedicarsi al
caso, in quanto solo lui conosce talmente bene la mente criminale
da poterla anticipare. Non sapendo resistere all’offerta, Graham
decide infine di dedicarsi a questo nuovo caso. Il suo metodo
investigativo, però, richiede di immedesimarsi nella parte
dell’assassino, il che è ora per lui estremamente gravoso sul piano
emotivo. Per poter riuscire a portare a termine quel caso, l’agente
si vedrà dunque costretto a rivolgersi alla persona di cui più ha
terrore al mondo: Hannibal Lektor. Così facendo, Graham entra però
in una spirale di perdizione, nella quale finirà per essere
coinvolta anche la sua famiglia.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il cast del film
Ad interpretare il protagonista,
Will Graham, vi è l’attore William Petersen, noto
in particolare per il ruolo di Gil Grissom in CSI – Scena del
crimine. Per prepararsi al ruolo l’attore ha lavorato insieme
al dipartimento di polizia di Chicago per apprendere quanto
necessario sul mesterie. Ha poi anche avuto modo di approfondire
l’impatto che i casi più disturbanti hanno sulla psiche degli
agenti. Grazie a queste informazioni ha potuto dare
un’interpretazione credibile del personaggio. Per il ruolo di
Hannibal Lektor è invece stato scelto l’attore Brian Cox. Egli
ha poi dichiarato di essersi ispirato per la propria
interpretazione al serial killer Peter Manuel, evidenziando come
per questo tipo di personaggi non esistano i concetti di giusto e
sbagliato.
L’attrice Kim
Greist è Molly, la moglie del protagonista, mentre
Stephen Lang è Freddy Lounds. La candidata
all’Oscar Joan Allen interpreta Reba McClane, una
donna cieca particolarmente centrale nella storia. Per il suo ruolo
l’attrice si è preparata camminando bendata per le strade di New
York. Infine, nei panni del serial killer Dente di Fata vi è
l’attore Tom Noonan. Per tutto il tempo delle
riprese egli rimase nei panni del personaggio, chiedendo che
nessuno degli attori che interpretavano le sue vittime avesse
contatti con lui e che il resto dei presenti gli si rivolgesse con
il nome del personaggio. Secondo molte testimonianze questo suo
comportamento ha generato una forte tensione sul set, accentuando
la paura nei suoi confronti.
Manhunter – Frammenti di un
omicidio: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
Sfortunatamente
Manhunter – Frammenti di un omicidio non
è presente su nessuna delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Il film è però presente nel palinsesto
televisivo di sabato 23 ottobre alle ore
23:30 sul canale Iris. Parallelamente, si
potrà vederlo sulla piattaforma Mediaset Play, in
modo del tutto gratuito.
Al suo esordio da
regista, lo sceneggiatore e curatore di effetti speciali
Valdimar Jóhannsson sceglie la svedese Noomi Rapace come protagonista di
Lamb. È lei a traghettare lo spettatore in un
universo quasi primordiale nella sua semplicità, a veicolare una
riflessione sulla volontà umana di sottomettere la natura alle
proprie esigenze e l’illusione di poterne uscire indenni. Premio
per l’originalità al Festival
di Cannes 2021.
Lamb, la trama
In mezzo alla natura
islandese vive una coppia di allevatori di ovini, Maria,
NoomiRapace, e Ingvar, Hilmir Snær Guđnason.
Un giorno accade un fatto inaspettato, che ha del soprannaturale:
una delle loro pecore partorisce un agnellino per metà umano. Che
fare col piccolo, anzi, con la piccola? Maria non ha dubbi:
alleverà la creatura come la figlia che non ha potuto crescere. Lei
e Ingvar, infatti, hanno perso la loro figlia Ada in tenera età e
non si sono più ripresi da quel lutto. Per Maria l’arrivo di questa
creatura è un segno del destino, un’opportunità di ritrovare la
felicità, a cui non è disposta a rinunciare. Ma quanto durerà e
quale sarà il suo prezzo?
Lamb, un racconto oscuro sulla volontà
dell’uomo di piegare la natura ai propri scopi
Mai come in questo ultimo
anno e mezzo si è avuta l’occasione di riflettere sul rapporto che
ci lega alla natura di cui siamo parte. Con la pandemia ci si è
resi più che mai conto di quanto l’uomo sia fragile e impotente di
fronte alla natura, nonostante si sforzi continuamente di
governarla e indirizzarla secondo i propri scopi. Si è riflettuto
sui danni che questa manipolazione arreca alla natura stessa e
sulla necessità di tornare a vivere in equilibrio con essa. È
proprio questo il punto nodale di Lamb. Cosa accade quando l’uomo
forza la natura a proprio piacimento, anziché rispettarla?
Come è opportuno guardare ad essa? È una nemica da
sconfiggere, o piuttosto un’alleata da salvaguardare? Verrebbe
spontaneo propendere per la seconda opzione, ma, come dimostra il
film, nella realtà non è così facile come si potrebbe pensare. Le
due spinte opposte sono ancora più evidenti proprio per il tipo di
vita che la coppia di protagonisti conduce.
In quanto allevatori,
infatti, sono tra coloro che più conoscono la natura, gli animali e
i loro ritmi. Vivono a stretto contatto con loro ogni giorno e
sembrano attenti e scrupolosi nel prendersi cura del gregge. Ma
quando Maria intravede la possibilità di soddisfare un suo bisogno
e riparare così, in un certo senso, a un torto subito dalla natura
stessa con la perdita della figlia, non esita a stravolgerne
l’equilibrio. Il tema del lutto è infatti l’altro cardine del film.
la perdita, e in particolare di quella che appare più innaturale
tra tutte: la perdita di un figlio. Così difficile da elaborare che
può essere devastante. Nel caso dei protagonisti, sembra averli
svuotati completamente. Maria è la più battagliera e cerca con
tutte le sue forze qualcosa per aggrapparsi ancora alla vita, lo
trova nella piccola agnellina-umana. Ingvar sembra più rassegnato,
ma la segue.
Maria e Ingvar sono quasi
simbolo dell’umanità intera. Il regista li mostra immersi in un
mondo di cui sembrano i soli abitanti. Colpisce, infatti, l’assenza
di scambi, di relazioni umane, fatta salva l’incursione del
fratello di Ingvar, Petur, interpretato da Björn Hlynur
Haraldsson. Un’assenza che l’ambientazione nella campagna
islandese, tra montagne innevate e ampie distese erbose, non basta
a giustificare, inducendo a pensare a una precisa scelta
stilistica. I protagonisti paiono esemplificare, nella visione di
Jóhannsson, l’atteggiamento umano di fronte al mondo.
Tra thriller, favola
e fumetto, una fusione non riuscita
Volendo parlare di
generi, si potrebbe dire che Lamb sia un thriller che si
mescola con la favola e il fumetto. Il regista afferma di essersi
ispirato ai racconti popolari islandesi e di aver attinto al folklore del
suo paese. L’espediente della creatura metà uomo e metà animale,
però, rimanda più a un fumetto o a una favola, sia concettualmente,
che fisicamente. Anche se il regista ha cercato di usare il più
possibile il vero agnello per rendere realistico il personaggio,
infatti, la bambina-pecorella ha spesso l’aspetto artefatto di un
oggetto animato, specie se deve muoversi. D’altro canto, è il
regista stesso a dire che il film ha iniziato a prendere forma da
una graphic novel.
L’inserimento di questo
elemento in un contesto che vuole essere realistico e anche crudo
per certi versi, stride, non solo per la discrepanza tra gli stili,
ma anche perchè risulta un espediente un po’ troppo semplice per lo
spettatore adulto. Rimanda infatti al mondo infantile, pur
trattandosi di un film duro, drammatico ed evidentemente non
destinato ai più piccoli. Esso allontana chi guarda, non lo
coinvolge, dandogli una sensazione di messinscena, provocando
straniamento. L’idea della creatura soprannaturale avrebbe reso
forse meglio se questa, ad esempio, non fosse stata mostrata, ma
soltanto evocata, lasciando la possibilità di
immaginare.
L’elemento soprannaturale
e il modo in cui viene accolto portano una nota inquietante. Nella
seconda parte del film ci sono diversi indizi che creano suspense,
alimentata anche dall’atmosfera visivamente cupa: nebbie, tempo
grigio, vento, pioggia. Questo però non basta a rendere il lavoro
avvincente.
Delle molte strade
possibili per parlare del complesso rapporto uomo-natura, ivi
compresa quella documentaristica, che negli ultimi anni ha dato più
di una soddisfazione – basti pensare, ad esempio a un lavoro come
Genesis
2.0 di Christian Frei e Maxim Arbugaev –
Jóhannsson sceglie forse la meno adatta, creando un
crossover tra generi troppo azzardato, che non convince,
nonostante il
premio per l’originalità ricevuto a Cannes.
Distribuito da Wanted
Cinema, Lamb arriverà nelle sale a marzo 2022.
Mothering
Sunday è l’ultima opera di Eva Husson. La
regista francese è al suo terzo lungometraggio: passata dal Toronto
International Film Festival con Bang Gang A Modern Love
Story del 2015 e da Cannes nel 2018 con Girls of
the Sun e con il film in questione, in questi giorni
approda anche a Roma alla 16esima Festa del Cinema, facendoci
immergere in atmosfere sospese e fluttuanti direttamente nelle
campagne inglesi del 1924.
Mothering Sunday, la trama
Mothering
Sunday racconta infatti della giovane domestica Jane
Fairchild (Odessa Young) che presta servizio in
casa dei ricchi coniugi Niven: gentili, specialmente il marito
(Colin
Firth), ma anche malinconici e silenziosi,
specialmente la moglie – una Olivia Colman ammusonita quasi come in
La Favorita – i quali hanno un rapporto
d’amicizia molto stretto con altre due coppie, gli Sheringhan e gli
Hobday.
Uno dei figli degli
Sheringham, Paul (Josh O’Connor), ha una relazione
intima ma clandestina con Jane. E sarà parzialmente attorno a
questi attimi, sguardi, tocchi, che tutto il film di Eva
Husson incentrerà i suoi primissimi piani e i suoi
sospiri.
Come in un flusso di
coscienza, che prende il via da una memoria emotiva vivida e ancora
pulsante, traspare da ogni sequenza che l’origine della storia sia
un romanzo (omonimo, scritto nel 2016 da Graham Swift), e sono
molto ricche le impressioni che suscita, la facile capacità con cui
attraverso ogni inquadratura è immediata la sensazione di trovarsi
nella dimensione intima dei ricordi di qualcuno.
Senz’altro, quel che si
può chiaramente ammettere, è che Eva Husson sappia
regalare la soggettività di Jane, anche se non sempre con la dovuta
continuità. A catturare delle immagini che la regista costruisce, è
la fotografia tinta di luci delicate e sognanti, unitamente al
volto ninfeo di Jane, sul quale i piani stringono sempre
tantissimo, così come su quello del suo amante Paul, nei suoi
sorrisi tirati e quasi plastici, proprio come se fossero estratti
da vecchie foto.
È interessante lo
sviluppo narrativo che va avvolgendosi attorno al personaggio di
lei, sempre di più, chiarificando quale sia davvero l’obiettivo
della regista e su chi voglia veramente puntare il riflettore.
Husson ha a cuore la
fisicità della giovinezza, e si compiace nel ritrarre i corpi,
nelle loro linee acerbe ma che si gettano nella vita, con
incoscienza e spudoratezza. Quasi ad invidiarne l’inconsapevole
potenziale, ne racconta l’incontinenza dei desideri, a qualunque
costo.
Mothering
Sunday va alternandosi in tre fasi distinte della vita di
Jane e, da una all’altra, la maturazione della sua femminilità
cambia in maniera evidente, anche se in modo solo accennato.
Probabilmente ciò che
manca di fronte ad un’estetica così curata, è la parte più
semplicemente narrativa, nella quale conoscere ciò che ha davvero
abitato i sentimenti e i pensieri della protagonista.
È sicuramente
affascinante la vaghezza continua del tratto stilistico che,
appunto, scivola anche sul piano della storia e che riesce ad
essere comunque esaustiva nel dire, dopotutto, quale sia il senso
di un cuore più volte spezzato ma che non smette di battere. Ma
l’effetto, d’altra parte, è quello di passare senza lasciare
veramente una traccia, se non un sospiro, il soffio di un vento di
ricordi che scompigliano un po’ i capelli e nulla di più. Nelle
intenzioni sarebbe stata molto più incisiva l’immagine che Husson
avrebbe voluto veicolare sulla crescita di una donna nell’arco
della sua vita, iniziata, tra l’altro, in un orfanotrofio.
Poco male.
Mothering Sunday riesce a salvarsi egregiamente in
tutti i casi per merito della grazia attraverso la quale descrive
le cose. E l’arguzia – consapevole o no – sta nel fatto che l’arte
maneggiata in modo superficiale può, sì, durare il tempo che trova,
ma non per questo ammaliare di meno.
Nella selezione ufficiale della
Festa del
Cinema di Roma arriva il momento del film
Zlatan, il biopic in cui il regista
svedese Jens Sjögren disegna il suo ritratto di
uno dei giocatori più amati del calcio moderno: Zlatan
Ibrahimović. Se lo scorso anno con Mi chiamo Francesco Totti, documentario di
Alex Infascelli, la Festa ha reso omaggio al
talento del capitano giallorosso, oggi lo fa con
Ibrahimovic, portando sul grande schermo un
racconto di formazione e di riscatto.
Zlatan, la
trama
Zlatan, Dominic Andersson
Bajraktati, è un bambino la cui famiglia è immigrata in
Svezia dai Balcani. Vive in periferia con la madre, Merima
Dizdarević, e i due fratelli. È un bambino irrequieto e
problematico, soprattutto a scuola, dove la madre è spesso
convocata dalla preside. È allergico alla disciplina e si mette
spesso nei guai. Quando però i suoi piedi incontrano un pallone,
non lo lasciano più. Inizia a giocare sui campetti vicino casa e
poi entra nelle squadre locali, fino ad arrivare, anni dopo, nelle
giovanili della squadra svedese Malmö FF. Ma il suo problema è
ancora la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole. Zlatan,
Granit Rushiti, vuole solo giocare e fare gol e
mostra scarso spirito di squadra. Perciò viene ripreso spesso
dall’allenatore. Ormai è un adolescente ed è andato a vivere col
padre, Cedomir Glisović, un uomo senza mezzi, che
si lascia andare e non si occupa di lui, lo lascia a sé stesso.
Nonostante la sfiducia altrui e un ambiente familiare problematico,
Zlatan continua il suo percorso, che lo porta sempre più in alto,
fino ad approdare all’Ajax. La sua carriera, però, decollerà
davvero solo quando riuscirà a mettere tutto il suo desiderio di
rivalsa al servizio del gioco e della squadra.
Zlatan, la strada del calciatore
fino al successo senza troppo coinvolgimento
Il regista Jens
Sjögren – con un passato da chef, conduttore tv, attore –
racconta Ibrahimović senza fare un’agiografia e
senza dare alcun giudizio sul giocatore. Compone un classico
racconto di formazione e di riscatto, articolato in un susseguirsi
di flashback e flashforward. Disegna la parabola ascensionale del
giocatore tenendo sempre al centro sia il talento, che il non
essere accettato, il sentirsi sempre additato per il suo
comportamento. Un problema caratteriale che gli viene dalla sua
formazione umana, dalla famiglia, dalle privazioni, dallo spirito
di rivalsa che cova e trasforma in aggressività.
Sjogren sceglie la forma filmica piuttosto che la
documentaristica, dà il suo taglio al lavoro, concentrandosi sui
momenti che lo interessano, ovvero le fasi che precedono il grande
successo, poiché, come si dice nei titoli di coda: “il resto è
storia del calcio”.
I due ragazzi che interpretano
Ibrahimović nelle varie fasi della sua formazione,
prima Dominic Andersson Bajraktati e poi
Granit Rushiti, offrono buone interpretazioni e
nel cast è presente anche l’italiano Emmanuele
Aita, nel ruolo del procuratore sportivo Mino Raiola. Ciò
che manca in Zlatan non è tanto la
tecnica registica, quanto la capacità di creare empatia,
coinvolgimento, di emozionare davvero il pubblico. Forse perché
Sjögren si mantiene troppo a distanza, preoccupato
di mantenere un equilibrio, anzichè andare più a fondo nel
personaggio.
Il racconto procede lineare, come
una classica storia di formazione e riscatto, che parte da una
famiglia disagiata come ce ne sono tante. Una storia in cui la
voglia di riuscire e di essere accettati è più forte delle
difficoltà. Ciò che manca è qualcosa che emozioni davvero, che vada
al di là dell’interesse per il personaggio in sé, della curiosità
di sapere chi è Ibrahimović e da dove viene.
Qualcosa che faccia sentire vicino lo spettatore. Così il film
avrebbe potuto coinvolgere anche i non tifosi, i non appassionati
di calcio e coloro che non amano o non conoscono Zlatan
Ibrahimović. Zlatan sarà nelle
sale dall’11 novembre, distribuito da Lucky Red e Universal
Pictures.