Il direttore artistico della
Festa del Cinema di Roma, Antonio
Monda, nel presentarlo lo ha definito “un maestro del
cinema contemporaneo” e il regista messicano Alfonso
Cuarón – autore di capolavori come
Gravity e
Roma -ha ricambiato con un sentito
omaggio al nostro cinema, sia classico, che contemporaneo, con
qualche sorpresa. Il format degli incontri è ormai è collaudato.
L’ospite è chiamato a scegliere una serie di film che ritiene
significativi e a commentarne brevi sequenze. In questo caso, i
film scelti sono tutti italiani perché, dice
Monda: “Alfonso ama il nostro cinema. […] Gli
avevo chiesto di selezionare cinque film. […] Alla fine sono
diventati dodici” dedicati sia al cinema contemporaneo che al
cinema classico italiano. Cuarón conferma: “Il
cinema italiano è fertile, vastissimo, diversissimo. ,[…] Fuori
dall’Italia tanti registi sono quasi dimenticati. A Londra, dove
vivo, si ha accesso solo ai grandi maestri:
Fellini, Antonioni,
Pasolini, Visconti”. Il
regista aggiunge: “Da che ho memoria, ho sempre amato il
cinema”. E rivela il suo primo incontro col grande schermo:
“E’ stato il film Disney La spada nella
roccia. […] Mi piacciono ancora i fim
Disney, ma ora c’è una nuova sensibilità e il
nuovo mondo Pixar ha rinnovato il modo di fare
animazione, perciò è diffcile”.
Segue una carrellata che parte dal
ricordo del primo incontro col cinema italiano,
con Ladri di biciclette : “Avevo otto
anni, una sera ero con mio cugino, i genitori erano fuori e in tv
guardavamo i programmi per adulti. Annunciarono Ladri di
biciclette e pensai fosse un film d’azione. Ma quando l’ho
visto, è stata una esperienza diversa. […] È stato il punto di
partenza verso la curiosità per un altro tipo di cinema rispetto a
quello d’avventura a cui ero abituato”.
Poi vengono proposte le clip scelte
e commentate da Alfonso Cuarón. Si parte con
Padre padrone dei fratelli
Taviani:e per Cuaron non poteva essere altrimenti.
Il regista spiega perché: “Questo nella mia vita è un film
fondamentale. Lo vidi in Messico quando uscì. Conoscevo già tanto
cinema italiano. Ma Padre padrone ha una qualità
specifica e con questa scelta voglio onorare i fratelli
Taviani” Segue un lungo applauso a
Paolo Taviani, presente in sala, che
Cuarón definisce “il maestrissimo”. Poi
il regista messicano prosegue: “C’è una tradizione enorme al
cinema che per me è un mistero. Non ho capito il processo di
creazione di questo tipo di film. […] Nei film dei fratelli Taviani
c’è un’umanità profonda, ma anche un apporccio mitico, e anche una
disciplina marxista, ma senza retorica”.
La seconda clip è tratta da
I Nuovi Mostri, con il grande
Alberto Sordi. “Questa scelta è una scusa per
parlare dei grandi registi italiani di commedia:
Monicelli, Risi,
Scola, Lattuada in un certo qual
modo. In quel periodo c’erano tanti film a episodi. La specificità
della commedia all’italiana è che parla di tante cose. C’è la gioia
della commedia, ma anche un’osservazione sociale, con
Monicelli, c’è la malinconia della vita, una
critica al carattere italiano, fortissima. […] Inoltre, il cast
di comici qui è impressionante. Questi cast sono unici al
mondo. […] Poi, questo tipo di commedia è diventata una
celebrazione di questi personaggi, piuttosto che una critica”.
Qui arriva la rivelazione che non ti aspetti: “Oggi, ad
esempio, un regista di commedia che mi piace è
Checco Zalone, è un maestro, peccato non sia
qui!”
E’ poi la volta di un altro grande
regista italiano, purtroppo spesso dimenticato, afferma Cuarón. Si
tratta di Marco Ferreri con il suo
Dillinger è morto, del 1969. Cuaron lo
definisce “Uno dei registi più sovversivi del cinema.
Sovversivo come Godard, ma con l’assurdo di
Bunuel, con una diagnosi così precisa della
società, del maschio. La sua osservazione è assolutamente attuale.
Ha lavorato in Italia, Spagna, Francia. Però c’è gente che non
conosce Ferreri. Le sue due prime commedie erano
accademiche. Con questo film, invece, ha deciso di essere un
amateur, e si è permesso tutto. Da lì in poi ha sempre continuato
in questo percorso. In Ciao maschio […] come
in molti altri film di Ferreri, è tutto un casino. Però è
divertente”. E alla domanda se oggi un cinema commerciale, ma
sovversivo allo stesso tempo, sia possibile risponde così:
“Credo che oggi tutto sia possibile, anche un cinema così. È
una questione di chi lo fa. Quando ti imbatti in un lavoro di
Ferreri è impossibile non guardarlo. È come un
incidente nel traffico, non riesci a girarti dall’altra parte, è
provocatorio”.
Si passa poi a
Salvatore Giuliano di Francesco
Rosi. Antonio Monda ricorda come
Martin Scorsese tre anni fa scelse la stessa
scena del film selezionata oggi da Cuarón,
emblematica del dolore della madre di Giuliano di fronte al
cadavere del figlio, e Cuaron sottolinea: “E’ l’unico momento
in cui si vede in faccia il protagonista. Per il resto, il film è
una mitologia di Salvatore Giuliano e dell’impatto di una vita. Non
è solo sua madre, ma La madre. Rappresenta tutte le madri del mondo
che piangono. E’ la Pietà”. Coglie poi l’occasione per parlare
di quelli che definisce “gli eroi del cinema italiano. Quelli
che lavorano al di là della telecamera. Qui, ad esempio, il
direttore della fotografia era Gianni Di Venanzo,
ma ce ne sono tanti, è una lista vastissima. […] E’ una costante
nel cinema italiano”. E ricorda lo sceneggiatore
Tonino Guerra, il montatore Ruggero
Mastroianni, definendoli “grandi artisti del
cinema”.
L’uomo
meccanico di André Deed, del 1921, a
Cuarón interessa perchè gli permette di parlare
del cinema muto italiano e in particolare di quello
futurista, anche se, dice, “questo non ne è proprio un
esempio preciso, ma ha quel sapore. Il regista è francese, ma
lavorava in Italia. E’ interessante perchè è il primo esempio del
robot nel cinema. […] è un precursore, un robot che diventa un
pericolo per la gente. È Terminator 70 anni prima […] Inoltre, è un
film divertente, d’azione.” Quando gli si chiede come si ponga
di fronte agli artisti e ai cineasti che, come i Futuristi, vicini
alle idee del Fascismo che si sarebbe di lì a poco affermato, hanno
idee anche molto lontane dalle sue, così risponde: “Anche se le
idee di tanti artisti sono opposte alle mie, non per questo non
posso ammirare il loro lavoro. È diverso quando l’arte è un elmento
propagandistico, allora non è più arte, è propaganda. L’artista
deve essere un riflesso delle sue convinzioni”.
Della produzione di un regista come
Monicelli, maestro della commedia all’italiana,
Cuarón sceglie invece un film drammatico, forse il
meno noto del regista, che non ebbe grande fortuna al botteghino:
I compagni, del 1963. “È uno dei film
più belli di Monicelli. C’è la malinconia verso la
vita, […] poi c’è il passaggio del tempo che pure è importante in
Monicelli. E’ un film politico intelligente e non propagandistico,
perchè il centro del film è l’umnità, non il discorso ideologico,
ma quello umanitario”. La scelta diventa l’occasione
per parlare di Marcello Mastroianni, protagonista insieme
a Renato Salvatori. “Il bello di
Mastroianni come attore è che sembra che tutto sia
facile per lui. È uno di quegli attori che senti amico, lo conosci
subito. Ecco perchè può rischiare di fare anche personaggi un po’
ambigui, perchè lo spettatore non lo giudica mai”. “E’uno
dei miei attori preferiti di tutta la storia del cinema. In
spagnolo si dice “delicioso” […] Per
Mastroianni era importante il processo del fare il
cinema. Non guardava al film. […] L’importante era la gioia di
lavorare nel cinema. Questo mi dicono di lui. Ecco perchè tutto in
lui è pieno di vita, ogni suo personaggio”.
Si passa poi a
C’eravamo tanto amati , capolavoro
di Ettore Scola,
regista, ma anche grande sceneggiatore.
“Scola è un cineasta che amo, con una
carriera molto varia. Il suo primo film è più vicino alla commedia.
Mentre qui ha cominciato a combinare melodramma e commedia. Questo
è un film in cui il passaggio del tempo è importante. È il più
bello su questo tema. […] E’ un film sulla disillusione e la caduta
degli ideali”. Sul passaggio del tempo,
Cuarón cita anche è La meglio
Gioventù di Marco Tullio Giordana :
“Un altro film che mi piace molto”.
Parlare di Scola
non può che essere l’occasione per parlare di sceneggiatura
in Italia e delle sue specificità rispetto ad esempio alla
sceneggiatura americana: “Quello italiano è un
melodramma più realista rispetto a quello americano, un melodramma
il cui cemento è la relatà, il contesto sociale. Credo anche che
quella di Scola fosse un’epoca troppo
ideologizzata. È chiaro che quasi tutti i registi dell’epoca si
sono schierati da una parte in questo dialogo ideologico. Ma non
per questo hanno fatto film ideologici. […] Il centro della
sceneggiatura italiana è l’umanità. Anche la ricerca formale di
Scola è interessante. La transizione al colore ne
fa parte. Poi ha fatto film quasi musicali, più
stilizzati”.
Il regista messicano non poteva poi
non scegliere La dolce vita di
Federico Fellini, a seguito del quale, per
omaggiare Cuarón, è stata montata una clip dal suo
film Roma. É l’occasione per rivelare:
“Ho utilizzato in tutta la sequenza della spiaggia in
Roma, il vento di Fellini. Il
vento che c’è in Amarcord, La dolce
vita, La nave va, è quello che c’è in
questa sequenza di Roma. Per me e per tutti i
registi che veramente sono tali Fellini è fondante
del cinema moderno. […] E’ un maestro di forma, di tecnica, con una
preoccupazione particolare rivolta alla donna, quasi un
ossessione”.
Si passa poi a cineasti
contemporanei, il primo dei quali è Michelangelo
Frammartino con Le quattro
volte. A chi chiede che idea di narrazione ci sia in
un film come questo, Cuaron risponde con una provocazione: “La
narrativa è il veleno del cinema. Il cinema può esistere senza
musica, senza attori, senza colore, suono, storia, ma non senza la
macchina da presa e il tempo. Frammartino è un
maestro dell’osservazione del tempo e del flusso dell’esistenza in
questo tempo. Questo mi sembra uno dei film più importanti del
secolo. È un film misterioso per me, come Padre
padrone. Non capisco come si possa fare un film di questo
tipo. Qual è l’approccio creativo, come lo ha costruito. La
narrativa si può trovare dappertutto, […] ma non è questo
l’importante. A volte la storia è come il filo per stendere i
panni: il filo li sostiene, ma l’importante sono i panni, il
personaggio, il tempo, un tema”.
Cuarón sceglie
anche Emanuele Crialese, presente in salsa, con
Respiro: “Emanuele è grande. Ha preso
la lezione del cinema itlaiano degli anni ’40, ’50 e ’60 e poi ha
fatto qualcosa di suo. Se guardi la prima parte della scena,
potrebbe sembrare il primo Visconti, o
Rossellini. […] Poi diventa un’esplosione di
Crialese puro. È un cinema più moderno, astratto,
ma funziona perchè è ancorato a una realtà, non solo di contesto,
ma emozionale. Ho una profonda ammirazione pr il suo
cinema”.
Anche
Valeria Golino presente in sala, è apprezzata
da Cuarón, sia come attrice che come regista.
“Una delle registe moderne più importanti” la definisce il
cineasta messicano, che sceglie il suo
Miele: “Questo film è stato una
sorpresa per me. Ha una sicurezza come regista, si fida del
momento, della sua onestà. … Ciò che lo spettatore guarda sembra
quasi succedere realmente. […] Qui la tecnica c’è, ma non si
vede, non è ostruttiva. La tecnica è parte del linguaggio del
cinema, ma qui, pur essendo perfetta, sparisce. Il personaggio è in
primo piano. Il film è senza sentimentalismo, senza
retorica.”
Infine, ultima scelta del regista è
un’altra donna:
Alice Rohrwacher con
Lazzaro Felice, in cui
Cuaron riconosce l’impronta dei fratelli
Taviani. Ma la capacità di
Rohrwacher è stata quella di riuscire a
metabolizzare la lezione dei maestri e poi esprimersi con la
propria voce: “È quella che lo rende importante. […] Cerca la
bontà dell’umanità con una preoccupazione riguardo al dolore
sociale”
Così si conclude l’incontro con
Alfonso Cuarón, un regista che ha saputo mostrarsi
umile e riconoscente della lezione che egli stesso ha appreso da
tanto cinema italiano, all’interno del quale ha operato scelte
interessanti, spesso non consuete, per illuminare aspetti per lui
fondamentali, ricordando non solo grandi registi e attori, ma anche
coloro che lavorano dietro le quinte: dagli sceneggiatori, ai
montatori, ai direttori della fotografia, ai costumisti e
riconoscendo all’Italia la sua grande tradizione anche in questo
campo.