Noah Hawley, showrunner della serie Alien: Pianeta Terra, ha spiegato
durante un’intervista con Deadline come l’episodio 5,
intitolato “In Space, No One…”, rappresenti un vero e
proprio omaggio al film
originale del 1979 di Ridley Scott.
“Abbiamo utilizzato i blueprint originali del Nostromo. La
maggior parte delle stanze, il ponte di comando, la mensa e i
corridoi sono copie esatte. Solo la criocamera e la sala
comunicazioni sono più grandi”, ha dichiarato Hawley. Secondo
il regista, l’obiettivo principale era restituire un senso di
autenticità e far percepire al pubblico che si tratta non solo di
Alien, ma del
Alien di Scott e
dell’Aliens
di James Cameron.
Hawley ha anche rivelato qualche dettaglio sulle nuove creature
introdotte nella serie. Tra queste, un piccolo organismo
soprannominato “eye midge” e le cosiddette
“ticks”, che non solo bevono il sangue ma depongono le
uova nell’acqua potabile. “Questi nuovi esseri servono a creare
la stessa tensione e il senso di scoperta dell’Xenomorfo. Ci sono
ancora tantissime cose da esplorare su di loro”, ha spiegato
il regista.
Sulla psicologia dei personaggi, Hawley ha invece chiarito le
motivazioni di Petrovich e Morrow: “Petrovich vuole tornare a
casa e ottenere una ricompensa, il che introduce un elemento di
avidità coerente con l’originale. Morrow è un cyborg con appendici
prostetiche e un collegamento neurale: non è amico degli alieni, ha
una missione da portare a termine per i suoi superiori”.
Infine, il regista ha commentato la gestione della mitologia
aziendale nell’universo di Alien: “Dopo sette film, c’è pochissima mitologia
su come l’umanità sia organizzata”.“Ho scelto di
concentrarmi su una compagnia concorrente a Weyland-Yutani, ma
volevo comunque dare al pubblico la sensazione di vedere chi
gestisce realmente queste operazioni”. Con queste premesse,
l’episodio 5 si conferma un ponte fondamentale tra la serie e il
film che ha dato origine a tutto, unendo fedeltà estetica e nuovi
sviluppi narrativi.
La trama di Alien: Pianeta Terra
Ambientata nell’anno 2120, appena
due anni prima degli eventi dell’Alien originale
di Ridley Scott, la serie TV Alien: Pianeta
Terra porta l’orrore sulla Terra per la prima volta
nella storia del franchise. La storia si svolge in un futuro noto
come “Corporate Era”, in cui cinque mega-corporazioni, Prodigy,
Weyland-Yutani, Lynch, Dynamic e Threshold, esercitano la loro
influenza su scala globale, funzionando più come nazioni sovrane
che come aziende.
In questo mondo dominato dalla
tecnologia avanzata, sintetici e cyborg sono parte integrante della
vita quotidiana. Ma ora è arrivato un nuovo balzo evolutivo: gli
ibridi, esseri che fondono la coscienza umana con la forma
robotica. Wendy, la prima della sua specie, è al centro di questa
trasformazione.
La tensione esplode in Alien: Pianeta
Terra quando una misteriosa nave da ricerca spaziale,
la USCSS Maginot, ritenuta legata alla Weyland-Yutani Corporation,
atterra inaspettatamente sulla Terra.
Wendy, una sintetica rivoluzionaria
interpretata da Sydney Chandler, viene schierata
insieme a una squadra tattica eterogenea per indagare. Quella che
inizia come una normale operazione di recupero si trasforma
rapidamente in un incubo, quando l’equipaggio scopre il mortale
carico della nave: terrificanti forme di vita aliene, tra cui i
famigerati Xenomorfi. Improvvisamente, la missione si trasforma in
una disperata lotta per la sopravvivenza, mentre una nuova ondata
di orrore emerge, questa volta sulla Terra stessa.
Il tre volte candidato agli
Emmy Jason
Segel e la vincitrice del Bafta Aimee Lou
Wood si uniscono alla vincitrice dell’Oscar Angelina Jolie nell’adattamento
cinematografico del romanzo di Fredrik Backman dal
titolo Anxious People. Come già rivelato, il
regista di Non così
vicino e World War
ZMarc Forster è alla regia di una
sceneggiatura scritta dallo sceneggiatore candidato all’Oscar
David Magee.
In Anxious People,
“alla vigilia di Natale, l’investitrice bancaria Zara si
ritrova suo malgrado a socializzare con un gruppo di sconosciuti
durante un open house. Quando Grace, una rapinatrice di banca
riluttante, prende inavvertitamente in ostaggio il gruppo, ne
consegue il caos e la condivisione eccessiva di informazioni, i
segreti vengono svelati e letteralmente nulla va secondo i
piani”.
Al momento non è noto quali
ruoli Jason Segel e Aimee
Lou Wood andranno a ricoprire nel film, ma si tratta
per entrambi di un nuovo intrigante progetto dopo il successo
ottenuto rispettivamente per la serie
Shrinking (Segel) eThe
White Lotus (Wood). Deadline riporta inoltre che le
riprese del film dovrebbero iniziare a breve e che Anxious
People sarà la prima produzione a utilizzare il Pinewood
Indie Film Hub, una struttura dedicata alla produzione
cinematografica indipendente presso i Pinewood Studios.
In una recente intervista, Jeffrey Wright ha condiviso le sue opinioni
sulla controversia generata dai puristi dei fumetti che hanno
criticato la sua scelta per un ruolo che in precedenza era stato
interpretato da attori bianchi. Wright, infatti, è stato il primo
attore di colore a interpretare il commissario di polizia di Gotham
City, dopo J. K. Simmons in Justice League, Gary Oldman nella trilogia Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, Pat Hingle
nei film di Tim Burton e Joel Schumacher
e Ben McKenzie nella serie TV Gotham.
“Trovo davvero affascinante il
modo in cui si discute, e penso che ora se ne discuta ancora di
più, dei personaggi di colore in questi ruoli”, ha detto
Wright a Collider. “È semplicemente
fottutamente razzista e stupido”. Ha continuato: “È così
stupido che trovo rivelatore non riconoscere che l’evoluzione di
questi film riflette l’evoluzione della società, che in qualche
modo non mantiene questo franchise ancorato alla realtà culturale
del 1939, quando i fumetti furono pubblicati per la prima volta. È
semplicemente la cosa più stupida che ci sia. È privo di ogni
logica”.
L’attore ha sottolineato che voleva
che il suo Gordon fosse “ancorato alle caratteristiche
interiori di Gordon che abbiamo trovato nei fumetti, ma che fosse
allo stesso tempo il Gordon del XXI secolo”. “Quello che
amo del nostro Batman è quanto sia crudo, dettagliato e
accessibile. Il nostro è un Gotham che nasce dal noir degli anni
’70 in termini di estetica cinematografica, il noir newyorkese
degli anni ’70. Ovviamente, New York City è il modello per Gotham,
e se si guarda alla New York City degli anni ’70, o se si guarda
alla New York City di oggi, ovviamente, è un luogo
multiculturale“, ha detto.
“Quindi, qualsiasi Gotham
all’interno di un film contemporaneo della serie Batman che voglia
essere autentico deve riflettere una metropoli americana moderna. È
così e basta. Basta prendere la metropolitana a New York City per
capire com’è. Non sembra più il 1939”. L’attore, come noto,
riprenderà ora il ruolo per l’atteso The
Batman – Parte II, le cui riprese – dopo numerosi
ritardi e rinvii – sono ora fissate ai primi mesi del 2026.
Tutto quello che sappiamo su
The Batman – Parte II
The
Batman – Parte II è uno dei film più attesi del nuovo
panorama DC, ma il suo percorso produttivo non è stato privo di
ostacoli. Inizialmente previsto per ottobre 2025, il sequel diretto
da Matt Reeves è stato rinviato al 1°
ottobre 2027. I ritardi sono stati giustificati da
esigenze legate alla scrittura della sceneggiatura e al calendario
riorganizzato della DC sotto la nuova guida di James Gunn e Peter Safran,
che stanno ristrutturando l’intero universo narrativo. Nonostante
ciò, Reeves ha confermato che
le riprese inizieranno nella primavera
2026 e Gunn ha recentemente letto la
sceneggiatura, definendola “grandiosa”, un segnale incoraggiante
per i fan.
Sul fronte del cast, è confermato il
ritorno di Robert Pattinson nei panni di Bruce
Wayne/Batman, all’interno dell’universo narrativo alternativo noto
come “Elseworlds”, separato dal DCU principale. Dovrebbero tornare anche Jeffrey Wright come il commissario Gordon e
Andy Serkis nel ruolo di Alfred. I rumor più
insistenti ruotano attorno alla possibile introduzione di
Harvey Dent/Due Facce e Clayface (che avrà inoltre un film tutto suo)
come villain principali, anche se nulla è stato ancora
ufficializzato. C’è chi ipotizza un ampliamento del focus sulla
corruzione sistemica di Gotham, riprendendo i toni noir e
investigativi del primo capitolo, con Batman sempre più immerso in
un mondo in cui la linea tra giustizia e vendetta si fa
sottile.
Per quanto riguarda la
trama, le indiscrezioni suggeriscono un’evoluzione
psicologica per Bruce Wayne, alle prese con le conseguenze delle
sue azioni e un Gotham sempre più caotica, anche dopo gli eventi
della serie spin-off The Penguin con Colin Farrell (anche lui probabile membro del
cast). Alcune fonti parlano di un possibile scontro morale con
Harvey Dent, figura ambigua per eccellenza, o di un Batman
costretto a confrontarsi con i limiti del suo metodo. Al momento,
tutto è però ancora avvolto nel riserbo, ma la conferma della
sceneggiatura completa e approvata lascia ben sperare per l’inizio
delle riprese entro l’autunno e per un sequel che promette di
essere ancora più cupo, ambizioso e introspettivo.
Reeves spera naturalmente che il suo
prossimo film su Batman abbia lo stesso successo del primo.
The Batman del 2022 ha avuto un’ottima performance
al botteghino, incassando oltre 772 milioni di dollari in tutto il
mondo e ottenendo un ampio consenso da parte della critica. Queste
recensioni entusiastiche sono state portate avanti nella stagione
dei premi, visto che il film ha ottenuto quattro nomination agli
Oscar. Nel frattempo, Reeves ha espanso la serie DC
Elseworld con la già citata serie spin-off di Batman,
The Penguin, disponibile su Sky e NOW, per
l’Italia.
Tom Holland torna a parlare di Odisseadi
Christopher Nolan dopo aver concluso la produzione del film.
Nel prossimo progetto del regista premio Oscar per Oppenheimer, Holland
interpreta Telemaco, il figlio del protagonista Odisseo
interpretato invece da Matt Damon. “La sceneggiatura è la
migliore che abbia mai letto”, ha ora dichiarato Holland
all’Agence France-Presse. Riguardo
alla collaborazione con Nolan, l’attore ha affermato che il regista
“è un vero collaboratore”, aggiungendo: “Sa quello che
vuole… ma non è un ambiente in cui non si possono proporre idee o
costruire personaggi in determinati modi”.
Non è la prima volta che Holland
elogia il suo lavoro con Nolan. In un’intervista con GQ pubblicata
a luglio, Holland ha definito la sua esperienza
“fantastica” e “il lavoro di una vita”. “La
migliore esperienza che abbia mai avuto sul set di un film.
Incredibile”, ha detto Holland in quell’occasione a GQ. “È
stato emozionante. È stato diverso. E penso che il film sarà
diverso da qualsiasi cosa abbiamo mai visto”.
Ha continuato: “Lavorare con
Chris, conoscere lui ed Emma Thomas è stato assolutamente
fantastico. Non ho mai visto nessuno lavorare come loro, e c’è un
motivo se sono i migliori del settore. Avere un posto in prima
fila, partecipare al processo, collaborare con un vero maestro del
suo mestiere e imparare da lui è stata la migliore esperienza che
abbia mai avuto”.
Quello che sappiamo sul
film Odissea di Christopher
Nolan
Il film vanta un ricco cast composto
da Matt Damon, Tom Holland, Anne Hathaway, Zendaya, Lupita Nyong’o, Robert Pattinson, Charlize Theron, Jon Bernthal, Benny Safdie,
John Leguizamo, Elliot Page, Himesh Patel,
Mia Goth e Corey Hawkins. Per
quanto riguarda la trama, questa segue Odisseo, il leggendario re
greco di Itaca, nel suo pericoloso viaggio di ritorno a casa dopo
la guerra di Troia. La narrazione descrive i suoi incontri con
esseri mitici come il ciclope Polifemo, le sirene e la maga Circe,
culminando nel suo tanto atteso ricongiungimento con la moglie
Penelope.
Ad oggi sappiamo unicamente che
Matt Damon interpreta Odisseo, mentre Tom Holland è suo figlio Telemaco e Charlize Theron è la Maga Circe. L’identità
dei personaggi degli altri interpreti è ad oggi segreta. Sappiamo
inoltre che Nolan ha girato il film interamente in formato IMAX,
avvalendosi di nuove tecnologie realizzate appositamente
per Odissea. Il regista ha inoltre limitato
quanto più possibile l’uso di CGI, con l’obiettivo di ricreare
quanto più possibile in modo pratico l’epico mondo descritto da
Omero con il suo poema epico.
Il film sarà distribuito al cinema
da Universal Pictures dal 16
luglio 2026.
Tra gli eventi più attesi della 82ª Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il red carpet
di Ammazzare stanca –
Autobiografia di un assassino ha attirato l’attenzione di
fotografi, stampa e pubblico. Il film, diretto da Daniele Vicari e
tratto dalla vera storia di Antonio Zagari, è stato presentato
nella sezione Spotlight del festival, portando sul tappeto rosso
un cast d’eccezione e un carico emotivo profondo.
Protagonisti della serata Gabriel Montesi,
Vinicio Marchioni e Selene Caramazza, accompagnati dal regista
Daniele Vicari. I volti intensi e gli abiti eleganti hanno
raccontato, già visivamente, l’anima forte del film: sobrietà,
forza e introspezione.
Ammazzare stanca. Autobiografia di un assassino è
l’autobiografia di un ragazzo che si ribella al suo destino
criminale. Si chiama Antonio Zagari e la sua è una storia vera.
Siamo nei primi anni Settanta e la ’ndrangheta calabrese dilaga e
impera, dal sud al nord. Antonio, figlio di Giacomo, un boss
calabrese trapiantato in Lombardia, dopo aver ucciso più e più
volte, capisce di non essere adatto a quella vita: per lui uccidere
diventa un peso insostenibile, fino alla ripulsa per il sangue: una
ribellione del corpo prima che della coscienza, che però mette in
pericolo le persone che ama e la sua stessa vita. Mentre i suoi
coetanei si ribellano nelle fabbriche, nelle università, nelle
piazze, in lui cresce il rifiuto per l’esercizio del potere e per
la ferocia del genitore. Deve trovare il coraggio di andare contro
il padre e tramare contro di lui una vendetta peggiore della
morte.
Il film ha avuto i suoi colpi di
scena, ma ecco spiegato il finale di Amsterdam.
Scritto e diretto da David O. Russell, che ha
diretto film come American Hustle e Silver Linings
Playbook, Amsterdam segue un trio di amici che indagano
sull’omicidio di un senatore statunitense negli anni ’30.
Interpretato da Christian Bale, Margot Robbie e John David Washington, la
trama di Amsterdam è ricca di colpi di scena e richiede
un’analisi più approfondita. In Amsterdam, dopo che Burt, Harold e
Valerie hanno contattato il generale Gil Dillenbeck, lo convincono
a parlare alla riunione dei veterani di Burt e Harold nel tentativo
di smascherare il Comitato dei Cinque.
Il trio crede che il Comitato dei
Cinque sia coinvolto nella morte di Bill Meekins. Durante la
riunione, Gil viene affrontato dal Comitato dei Cinque, di cui fa
parte Tom Voze, fratello di Valerie, e tiene il discorso che
desidera invece di quello preparato per lui. Il trio del cast di
Amsterdam, con l’aiuto fondamentale di Gil, riesce a
sventare i piani del Comitato dei Cinque di rovesciare il
presidente Franklin D. Roosevelt e insediare un dittatore. Ecco la
spiegazione del finale di Amsterdam, compresa la trama
completa del Comitato dei Cinque e il motivo per cui Tom e Libby
hanno somministrato farmaci a Valerie nel corso degli anni, quando
non ne aveva bisogno.
Il Comitato dei Cinque
spiegato: sono davvero esistiti?
Come spiegato nel finale di
Amsterdam, il Comitato dei Cinque è un’organizzazione di
ricchi uomini d’affari d’élite che, seguendo le orme della Germania
e dell’Italia dell’epoca, volevano insediare un dittatore fascista
a capo del governo degli Stati Uniti. Questa impresa doveva essere
guidata dal generale Gil Dillenbeck, il cui discorso alla riunione
di Burt e Harold avrebbe scatenato un colpo di stato guidato dai
veterani che avrebbe cambiato il corso della storia, posizionando
gli Stati Uniti al fianco di Adolf Hitler e Benito Mussolini nella
seconda guerra mondiale. Inoltre, il Comitato dei Cinque finanziava
anche cliniche di sterilizzazione nel tentativo di sostenere la
supremazia bianca.
Amsterdam gioca con i fatti della storia vera. Il
Comitato dei Cinque del film prende il nome dall’omonimo comitato
del Secondo Congresso Continentale: John Adams, Benjamin Franklin,
Thomas Jefferson, Robert Livingston e Roger Sherman, come parte del
Secondo Congresso Continentale, redassero la Dichiarazione di
Indipendenza. Per quanto ne sa la storia, questa è l’unica versione
del Comitato dei Cinque che sia mai esistita, e Russell
probabilmente ha usato il nome in Amsterdam per contrastare
la versione reale del comitato.
Perché Burt, Valerie e Howard
hanno stretto un patto ad Amsterdam (e perché se ne sono
andati)
Burt, Valerie e Howard erano tutti
emarginati nella loro società, come spiega il finale di
Amsterdam. Burt era deriso dalla famiglia di sua moglie
perché era per metà ebreo, Howard subiva molte discriminazioni
razziali perché era nero e Valerie conduceva uno stile di vita
bohémien che non andava a genio alla sua ricca famiglia. Vivere ad
Amsterdam permetteva loro di essere liberi di essere se stessi
senza essere frenati dalla pressione o dal razzismo sistemico. Il
loro patto è nato così dalla loro stretta amicizia: era una
promessa di essere sempre lì l’uno per l’altro, qualunque cosa
accadesse.
Come spiegato nel finale di
Amsterdam, il patto era una questione di fiducia totale e
assoluta tra Christian Bale nei panni del capellone Burt, Howard e
Valerie, che giurarono di sostenersi sempre a vicenda. La
partecipazione alla prima guerra mondiale e la libertà che
provavano quando erano insieme è ciò che alla fine ha cementato il
loro patto e la loro amicizia. L’unico motivo per cui alla fine
hanno infranto il loro patto è stato che Burt pensava che fosse ora
di tornare negli Stati Uniti per riaccendere la sua relazione con
Beatrice. Burt si rese conto che, se poteva provare questa felicità
e libertà con i suoi amici, allora poteva provarla anche con sua
moglie.
Perché il trio di Amsterdam
canta la canzone senza senso (cosa significa?)
Come spiegato nel finale di
Amsterdam, Burt, Harold e Valerie hanno un’amicizia unica. È
per questo che hanno persino una loro canzone, diversa da tutte le
altre. Il trio la chiama la canzone “senza senso” perché è
esattamente questo: senza senso. È composta da tre parole
principali che tutti cantano con la propria melodia, ma la melodia
non è particolarmente coerente per chi la ascolta la prima volta.
Tuttavia, c’è un significato più profondo nella canzone senza
senso.
Il finale di Amsterdam
spiega che la canzone nasce dal dare, con ogni personaggio che
porta qualcosa al tavolo come offerta di qualcosa di significativo.
La canzone senza senso ha consolidato l’amicizia tra Burt, Harold e
Valerie ad Amsterdam, che è il cuore del film; era qualcosa di
esclusivamente loro, una canzone che li univa e che nessun altro
poteva portare via dal tempo trascorso insieme. Burt, Harold e
Valerie la cantano perché definisce la loro amicizia e li rende
felici.
Cosa ha visto realmente Bill
Meekins prima di morire?
Bill Meekins è apparso sullo
schermo solo per poco tempo (insieme a Elizabeth Meekins
interpretata da Taylor Swift), ma il suo omicidio è al centro della
trama di Amsterdam. Sebbene la sua morte sia avvolta nel
mistero per tutto il film, il finale di Amsterdam spiega che
forse il segreto più grande è il motivo per cui è stato ucciso.
Meekins era in macchina quando Mussolini ha investito qualcuno con
la sua auto. Meekins sapeva anche cosa stava tramando Mussolini, e
il senatore avrebbe rivelato ciò che sapeva alla riunione dei
veterani di Burt e Harold. Con tutte le informazioni che Meekins
aveva raccolto, Mussolini non poteva lasciarlo andare così
facilmente.
Perché Tom e Libby hanno finto
la malattia nervosa di Valerie
Christian Bale, Margot Robbie and John David Washington in
“Amsterdam”
Disney
All’inizio, Tom e Libby sembravano
prendersi cura di Valerie a causa della sua malattia nervosa, ma in
realtà erano loro la causa del deterioramento della sua salute,
come spiega il finale di Amsterdam. Per Tom e Libby, che
sembravano godersi la loro ricchezza smisurata e l’appartenenza al
Comitato dei Cinque, Valerie era un ostacolo ai loro piani. Valerie
era più uno spirito libero che voleva allontanarsi dall’influenza
della sua famiglia.
Fuggire ad Amsterdam e vivere una
vita bohémienne significava che Tom e Libby avevano perso il
controllo su di lei e sulle sue decisioni. Una volta tornati negli
Stati Uniti, però, la coppia poteva tenere Valerie sotto controllo.
Somministrarle farmaci, che alla fine hanno causato la comparsa
delle vertigini, l’avrebbe fatta sembrare instabile, privandola
della sua autonomia fisica e facendo sì che nessuno potesse
prenderla sul serio perché malata. I disturbi di Valerie nel film
con Margot Robbie le avrebbero anche impedito di approfondire ciò
che Tom e Libby stavano tramando in Amsterdam.
Perché Burt non si unisce a
Harold e Valerie quando tornano ad Amsterdam
Come spiegato nel finale di
Amsterdam, Harold e Valerie si resero conto che l’unico modo
per stare insieme, ed essere liberi di essere se stessi senza
restrizioni, era tornare proprio nella città che aveva aiutato la
loro relazione a sbocciare. Burt, d’altra parte, avrebbe potuto
andare con loro, ma ha scelto di non farlo a causa dell’ascesa dei
nazisti. È per metà ebreo e sarebbe stato in pericolo se fosse
andato in Europa in quel momento. Considerando che il trio aveva un
patto, tuttavia, c’è la speranza che tutti e tre siano riusciti a
incontrarsi di nuovo (e in sicurezza) in un momento futuro, anche
se non ad Amsterdam come avevano sperato.
Il finale di Amsterdam
suggerisce che avrebbe dovuto essere una miniserie
Sebbene Amsterdam sia un
buon film, le critiche principali riguardavano il fatto che la
storia fosse intrecciata con troppe sottotrame e personaggi diversi
per avere senso. Pertanto, l’intera vicenda avrebbe potuto
funzionare meglio come miniserie. Critici e pubblico hanno
convenuto che, sebbene David O. Russell sia noto per le sue
illustri storie incentrate sui personaggi, è possibile che
Amsterdam fosse un’impresa troppo ardua da realizzare in un limite
di tempo di due ore. Alla fine, Amsterdam era pieno zeppo di troppi
personaggi, sottotrame e troppe spiegazioni. Tuttavia, la trama
avrebbe potuto essere migliore se fosse stata in formato
miniserie.
Il finale di Amsterdam ha spiegato
tutto il possibile nel tempo a disposizione, ma non è stato
sufficiente. Una miniserie o un formato episodico in generale
avrebbero potuto dare a tutte queste sottotrame, come il periodo di
Burt in guerra o la fuga del trio ad Amsterdam, più spazio per
respirare. Amsterdam è stato probabilmente appesantito dalla
quantità di informazioni che il regista David O. Russell ha cercato
di inserire in un lungometraggio. Le scene ricche di esposizione
non servono al pubblico e in genere sminuiscono la storia invece di
arricchirla. Una miniserie su Amsterdam
avrebbe potuto aiutare Russell ad attenersi alla regola
“mostra, non raccontare” e avrebbe mitigato facilmente questo
problema.
La famosa battuta finale del film
Will Hunting – Genio ribelle (Good
Will Hunting) è ancora più memorabile grazie a un fattore
chiave. Alla fine del film, Sean (Robin
Williams) legge una lettera di Will (Matt
Damon) in cui gli dice che deve “andare a trovare
una ragazza”, un fenomenale richiamo a una precedente
conversazione tra Will e Sean all’inizio del film che ha creato un
momento unico e profondo, chiudendo il cerchio. Il finale perfetto
di Will Hunting – Genio
ribelleè stato uno dei tanti
contributi creativi di Williams, la cui genialità ha brillato per
tutto il film nel ruolo del saggio mentore del genio tormentato
Will Hunting.
Sebbene ci siano molte citazioni
eccezionali di Will Hunting – Genio
ribelle, la frase di Williams “Figlio di puttana.
Mi ha rubato la battuta” è un modo rapido e completo per
concludere il rapporto tra Will e Sean, ma anche per indicare
l’impatto che Sean ha avuto su Will durante tutto il film. Will era
stato così riluttante ad affrontare il suo trauma emotivo, che
aveva influenzato i suoi rapporti interpersonali. Sean era l’unica
persona in grado di abbattere con successo le formidabili barriere
di Will e insegnargli preziose lezioni di vita che non poteva
leggere in nessun libro, nonostante la sua innata intelligenza.
Cosa succede nel finale di
Will Hunting – Genio ribelle
Il finale di Will
Hunting – Genio ribelle vede il giovane
protagonista a un bivio riguardo al suo futuro e mentre prende una
decisione fondamentale. Accettando finalmente di avere un futuro
più brillante dei suoi amici grazie alla sua intelligenza, Will ha
l’opportunità di accettare un lavoro redditizio che gli è stato
offerto dal professor Gerald Lambeau (Stellan Skarsgård). Tuttavia, è combattuto
tra quel futuro brillante e il desiderio di ricucire il rapporto
con la sua ragazza Skylar (Minnie Driver), che aveva allontanato a
causa delle sue ansie.
Nella scena finale, Will realizza
il sogno che il suo migliore amico Chuckie (Ben
Affleck) aveva per lui, ovvero lasciare il loro quartiere senza
nemmeno salutare. Will si ferma anche a lasciare un biglietto a
Sean in cui spiega che non accetterà il lavoro e offre le sue scuse
a Lambeau, spiegando semplicemente “Devo andare a trovare una
ragazza”, suggerendo che sta per ricongiungersi con Skylar e
abbracciare l’amore per la prima volta nella sua vita.
Il significato più profondo
dell’ultima battuta di Will Hunting – Genio
ribelle
Will mostra a Sean che ha
imparato da lui
La genialità dell’ultima battuta di
Sean in Will Hunting – Genio
ribellesta nel fatto che è un perfetto
richiamo a una scena precedente in cui Sean racconta a Will una
storia che lo sconvolge e cambia la sua prospettiva sulle relazioni
significative. Sean spiega a Will che aveva un biglietto per la
partita 6 delle World Series del 1975, che è diventata una delle
partite di playoff più famose nella storia dei Red Sox.
Essendo sia Sean che Will
appassionati tifosi delle squadre di Boston, Will ascolta con
stupore il ricordo di Sean del memorabile home run walk-off al 12°
inning battuto dalla leggenda dei Red Sox Carlton Fisk.
Sean in realtà non andò alla partita perché proprio quel
giorno incontrò la sua futura moglie. Rinunciò al biglietto per
“andare a trovare una ragazza”, una ragazza
che si rivelò essere l’amore della sua vita, di cui parla con
grande affetto durante tutto il film.
Will è scioccato nel sentire del
sacrificio di Sean, inizialmente credendo che Sean fosse un pazzo a
rinunciare alla possibilità di vedere quella partita leggendaria
dal vivo al Fenway Park. Questo, tuttavia, è uno dei modi in cui
Sean riesce a dimostrare a Will ciò che conta davvero nella vita.
Sean ha visto l’opportunità di stare con la sua futura moglie e ha
colto l’occasione mentre la porta era ancora aperta, ispirando Will
a seguire il suo cuore e ad abbracciare l’amore quando gli viene
offerto, come fa alla fine del film.
Come Robin Williams ha reso
ancora migliore il finale di Will Hunting
Quel momento non è stata
l’unica improvvisazione di Williams nel film
Williams ha ispirato gran parte dei
dialoghi originali e dei momenti commoventi di Will Hunting,
compresa l’ultima battuta del film. Damon è rimasto sbalordito
dalla battuta improvvisata di Williams, che non era affatto
prevista dal copione ed è nata durante una delle decine di riprese
che Williams ha fatto per la scena finale.
Williams aveva anche
improvvisato la divertente storia di sua moglie che scoreggiava nel
sonno, che è diventata uno degli aneddoti più memorabili e
divertenti che Sean racconta a Will nel film. La brillantezza di
Williams e la sua comprensione della dinamica tra i personaggi di
Will e Sean hanno portato alla sua famosa battuta finale e hanno
reso il finale di Will Hunting – Genio
ribelleancora più bello.
Come è stato accolto il finale
di Will Hunting – Genio ribelle
La battuta finale consolida il
finale soddisfacente
Will Hunting è stato un
successo di critica ed è stato nominato per nove Oscar, vincendone
due per la migliore sceneggiatura originale per Ben Affleck e Matt
Damon, nonché per il miglior attore non protagonista per Robin Williams. Allo stesso modo, le
recensioni del film hanno elogiato la sceneggiatura e la
performance di Williams. Rogert
Ebert nella sua recensione del film l’ha definito una delle
migliori performance di Williams, sottolineando quanto la sua
improvvisazione finale aggiunga valore al film. Ebert ha trovato
che il finale fosse una conclusione prevedibile, ma elevata da
momenti speciali come quello:
Il risultato
del film è abbastanza prevedibile, così come lo è l’intera storia,
in realtà. Sono i singoli momenti, non il risultato finale, a
renderlo così efficace.
Il film è stato discusso su Reddit
dai fan come uno dei finali più soddisfacenti di tutti i tempi.
Un
utente di Reddit ha sottolineato la decisione finale di Will
come un aspetto particolarmente commovente dei momenti finali e
come essa mostri la crescita del giovane tormentato.
Will Hunting – Genio ribelle collega questo
aspetto in particolare alla crescita del personaggio di Will, che
mette in atto la propria volontà (heh) e va a “vedere una ragazza”
invece di accettare il lavoro alla NSA.
WhatCulture ha incluso Will Hunting – Genio
ribelle e il suo finale tra le migliori battute
finali di tutti i tempi, sottolineando quanto sia efficace la
battuta improvvisata per lasciare il pubblico con una conclusione
completa e felice:
È un finale
semplice e commovente, reso ancora più toccante dal fatto che
Williams lo ha improvvisato e, con la sua interpretazione, ha
regalato al film uno dei suoi momenti più belli. Se guardandolo non
sorridi da un orecchio all’altro, probabilmente non sei
umano.
French
Girl, una commedia romantica indipendente ambientata
nel mondo dell’alta cucina del Quebec, offre una generosa porzione
di risate, ma proprio come i piatti pretenziosi e poco abbondanti
che prende in giro, potrebbe lasciarvi insoddisfatti.
Il debutto cinematografico del team
di sceneggiatori e registi canadesi James A. Woods e
Nicolas Wright segue un percorso ben battuto dalle commedie
romantiche: una ragazza porta a casa il fidanzato desideroso di
chiederle di sposarlo per presentarlo alla sua famiglia, dove si
susseguono una serie di vicissitudini, alimentate in gran parte
dalla ricomparsa di un ex. La ragazza in questione è Sophie
(una straordinaria interpretazione bilingue dell’attrice
quebecchese Evelyne Brochu), che ricorda Julie Delpy
nel suo stile chic da ragazza francese (beh, da ragazza del Quebec)
senza sforzo. È una chef acclamata dalla critica che vive a
Brooklyn con il suo fidanzato, Gordon (Zach
Braff), un insegnante di scuola media di mezza età e un po’
goffo. È immediatamente ovvio il motivo per cui Gordon vuole
sposare Sophie: la sua goffaggine ha il suo fascino, ma lei è fuori
dalla sua portata sotto ogni aspetto.
La città natale in questione è
Quebec City, dove Sophie viene convocata per l’opportunità di
lavorare per Ruby (Vanessa
Hudgens), una ristoratrice famosa, splendida ma odiosa, che
è anche la sua ex capo e ex fidanzata. Gordon accompagna Sophie nel
suo viaggio e, mentre lei degusta vini e crea schiume commestibili
nella speranza di diventare chef executive nella nuova impresa di
Ruby, lui cerca di fare colpo sulla famiglia scettica e volubile di
Sophie, cercando di non farsi prendere dal panico per il passato
appassionato della sua ragazza con il suo potenziale futuro
capo.
Con i suoi panorami mozzafiato e la
pittoresca campagna, French Girl sembra una cartolina del
Quebec. I registi Woods e Wright sono nati e cresciuti nella
provincia canadese e attingono alla loro terra natale per creare
commedie basate sullo scontro culturale, come un bacio sulla
guancia andato storto o l’ammissione di Gordon di non essere un
grande appassionato di hockey, che interrompe bruscamente una
rumorosa cena in famiglia.
Woods e Wright non disdegnano le
battute facili, inserendo numerose battute prevedibili
sull’ignoranza degli americani, come quando Gordon guida
disastrosamente un’auto con il cambio manuale dopo aver dichiarato
esplicitamente di non saperlo fare. Ma offrono anche molte battute
spiritose. “Sembra il futuro della razza umana!”, esclama Gordon in
un impeto di gelosia nei confronti di Ruby (ed è vero). Hudgens,
nel frattempo, si diverte un mondo con il personaggio caricaturale
di Ruby e il suo incessante nome-dropping: “Ho parlato molto con
Brené Brown della responsabilità”, dice con espressione
impassibile nel bel mezzo di una sincera scusa.
Dietro Braff, Brochu e Hudgens c’è
un forte ensemble quebecchese che compone la caotica famiglia di
Sophie. C’è suo padre difficile da accontentare, Alphonse
(Luc Picard); sua madre più comprensiva, Ginette
(Isabelle Vincent); sua sorella ficcanaso, Juliette
(Charlotte Aubin); suo fratello protettivo, Junior
(un divertentissimo Antoine Olivier Pilon), che abbassa le
sue difese mentre stringe un legame con Gordon, uno dei momenti
salienti del film; e sua nonna, Mammie (Murielle
Dutil), la cui demenza getta le basi per una serie di
situazioni ridicole. C’è anche il padre di Gordon, Peter
(William Fichtner), uno scrittore burbero le cui brevi
apparizioni sono una fonte sicura di risate. Questo colorato cast
di personaggi offre a Braff molto su cui lavorare e, nei suoi
momenti migliori, il suo tempismo comico non è molto diverso da
quello di protagonisti del calibro di Billy Crystal o
Hugh Grant.
Da un ispirato intermezzo musicale
in cui la Hudgens torna alle sue origini in High School
Musical, a un cigno di famiglia di nome Cou Cou che
terrorizza continuamente Gordon, French Girlnon esita a
ricorrere a un divertimento esagerato e profondamente frivolo. Per
la maggior parte della sua durata, il film mantiene uno spirito
spensierato, oltre a una visione empatica sia di Gordon che di
Sophie, anche quando la loro relazione crolla sotto il peso delle
ambizioni professionali e dei bagagli sentimentali.
Il fatto che French Girl sia
così divertente per la maggior parte della sua durata non fa che
sottolineare quanto siano poco divertenti i suoi ultimi 30 minuti.
A partire da uno sfogo da ubriaco di Gordon che trasuda una
crudeltà insolita, French Girl prende una piega frustrante
nel suo atto finale, durante il quale i protagonisti compiono
scelte bizzarre che non corrispondono alle persone che abbiamo
imparato a conoscere sullo schermo nel corso di un’ora. Gordon
diventa sempre più sospettoso che il successo professionale di
Sophie sia dovuto al nepotismo di Ruby, e il modo in cui French
Girl conclude quella particolare trama è offensivo per entrambe
le donne in carriera. In un altro colpo di scena sconcertante,
mentre il nostro protagonista si trasforma nel cattivo del film, la
famiglia di Sophie, prima dubbiosa, si affretta improvvisamente a
difenderlo.
È un peccato che French Girl
perda il controllo dei suoi personaggi e della sua trama così
vicino al finale, lasciando un retrogusto sgradevole a quella che
altrimenti sarebbe stata una commedia romantica dolce e
perfettamente funzionante. Gli appassionati di commedie romantiche
troveranno sicuramente qualcosa di cui godere in French
Girl, ma per essere davvero soddisfacente, avrebbe avuto
bisogno di più tempo di cottura.
Il film Priscilla di
Sofia Coppola documenta la vita che Priscilla Presley
ha condiviso con Elvis Presley e si conclude con Priscilla che
chiede il divorzio al marito. Interpretato da Cailee Spaeny e Jacob Elordi nei panni rispettivamente
di Priscilla ed Elvis, il finale di Priscilla vede i due
piccioncini allontanarsi sempre più l’uno dall’altra. Per molto
tempo Priscilla era rimasta rinchiusa a Graceland, con solo qualche
visita occasionale a Los Angeles o Las Vegas con Elvis. Dopo la
nascita della loro figlia, Lisa Marie, Priscilla ha cercato di
avere rapporti sessuali con Elvis, ma è stata respinta. Nel
frattempo, le voci sulle sue relazioni con le co-protagoniste
continuavano a crescere.
L’assenza di Elvis, impegnato a Las
Vegas e in tour, continuava a incidere negativamente sul suo
rapporto con Priscilla. Lei non era soddisfatta sotto diversi
aspetti e questo stava minando il loro matrimonio. Consapevole che
stavano vivendo vite separate e con le continue voci che
circondavano le relazioni di Elvis con altre donne, Priscilla lo
affronta per l’ultima volta come sua moglie. Gli dice che vuole il
divorzio e che Elvis la sta perdendo a causa della sua vita.
Priscilla ed Elvis si separarono in modo amichevole e Priscilla
continuò a vivere una vita separata, mentre Elvis continuò a fare
tour e a comporre musica.
Perché Elvis rifiutò di andare
a letto con Priscilla fino al loro matrimonio
Priscilla incontrò Elvis quando
aveva solo 14 anni e si trasferì a Graceland durante l’ultimo anno
di liceo. Durante il loro corteggiamento, Priscilla era frustrata
dal fatto che Elvis non volesse fare sesso con lei. Elvis, d’altra
parte, vedeva Priscilla come pura. Secondo il memoir di Priscilla
Presley, Elvis and Me, Elvis credeva che “la ragazza
‘giusta’ dovesse essere conservata per il matrimonio”. La
relazione tra Elvis e Priscilla non era esattamente tradizionale,
ma mentre lei desiderava avere rapporti intimi con il suo partner,
Elvis non voleva oltrepassare quel limite a causa del modo in cui
percepiva Priscilla e la loro relazione.
Un altro motivo era che Elvis
credeva che Priscilla fosse troppo giovane per consumare il loro
amore. Elvis aveva dieci anni più di lei, quindi vedeva Priscilla
in un certo modo che andava oltre la sua età. Mentre Elvis
continuava ad andare a letto con altre donne, il suo trattamento
nei confronti di Priscilla era influenzato dalla cultura della
purezza, astenendosi dal sesso fino a quando non lo riteneva
appropriato (all’interno del matrimonio). Per Elvis, Priscilla non
era come le altre donne e la trattava come una persona fragile e
ingenua. Questo si rifletteva anche nella camera da letto, anche se
ciò non impediva alla coppia di fare altre cose legate al sesso
prima di sposarsi.
Il vero motivo per cui Elvis
non voleva che Priscilla lasciasse Graceland
Priscilla sottolinea che
c’era un forte controllo sul soggetto del film durante tutta la
loro relazione. La loro situazione era unica per l’epoca, Elvis non
sembrava volere che Priscilla uscisse di casa per paura che la
stampa venisse a sapere della loro relazione. Ma soprattutto, Elvis
sembrava non volere che Priscilla sapesse delle sue relazioni
extraconiugali o fosse coinvolta in altri aspetti della sua vita al
di fuori di Graceland. Il fatto che Priscilla rimanesse rinchiusa a
Graceland permetteva a Elvis di vivere liberamente la sua vita da
celebrità senza domande. Per ammissione della stessa Priscilla
Presley, lei era la “bambola vivente” di Elvis, che le
sceglieva i vestiti e le diceva che gli piaceva che si truccasse di
più.
Questo dimostrava il controllo che
lui aveva su di lei e il modo in cui plasmava la vita e l’aspetto
di Priscilla. Se Priscilla avesse lasciato Graceland, Elvis non
avrebbe potuto influenzarla allo stesso modo. Lei era rinchiusa e
isolata, il che permetteva a Elvis di tenerla sotto controllo per
tutta la durata della loro relazione, mentre lui poteva vivere una
vita al di fuori di essa. Priscilla era abbastanza giovane da non
mettere troppo in discussione le cose, e rimanere a Graceland la
teneva all’oscuro di ciò che stava realmente accadendo con Elvis e
del modo in cui veniva percepita la loro relazione.
Quali pillole Elvis dava a
Priscilla durante la loro relazione?
Jacob Elordi e Cailee Spaeny in una scena di Priscilla
Priscilla mostra Elvis
Presley che dà delle pillole a sua moglie nel corso degli anni. In
un caso, le pillole che ha dato a Priscilla l’hanno fatta svenire
per due giorni. In altri casi, Elvis diceva che le pillole
l’avrebbero aiutata a rimanere sveglia durante le lezioni dopo
essere rimasta sveglia fino alle quattro del mattino con Elvis e i
suoi amici. Ciò che Elvis dava a Priscilla per aiutarla a dormire
erano due pillole da 500 milligrammi di Placidyl (tramite Express), un farmaco in capsule rosse spesso causa di
dipendenza che veniva usato come sedativo. Priscilla ha anche
assunto anfetamine durante tutta la relazione della coppia per
rimanere vigile.
Il significato più profondo
dell’ultimo momento di Priscilla con Elvis
Cailee Spaeny e Jacob Elordi in Priscilla
La relazione tra Elvis e Priscilla
si fece sempre più tesa col passare del tempo e alla fine i due
vivevano praticamente separati. Quando Priscilla affronta Elvis per
chiedergli il divorzio, lui le dice che non vuole perderla e lei
gli risponde che la sta perdendo perché lei sta costruendo una vita
tutta sua, sottolineando il fatto che finalmente ha trovato se
stessa e vuole vivere la sua vita secondo i propri termini, lontano
dal controllo e dall’infelicità. L’ultimo momento di Priscilla con
Elvis fu un momento di emancipazione; nonostante l’amore che
provava ancora per Elvis, Priscilla voleva lasciarsi alle spalle il
matrimonio per poter esplorare la vita nel modo in cui desiderava
viverla.
Priscilla Presley non aveva ancora
avuto l’esperienza per farlo perché aveva vissuto con Elvis per
così tanto tempo. E doveva ancora rivelare questa verità a Elvis.
Uscire finalmente dall’ombra di Elvis era una cosa importante per
Priscilla, che era diventata insoddisfatta della sua vita e della
sua situazione abitativa. Dire a Elvis che voleva vivere una vita
tutta sua è stato il passo più grande che Priscilla avesse mai
fatto. Quel momento ha confermato la scelta che aveva fatto, quella
di vivere una vita indipendente, libera dalla solitudine, dalle
bugie e dall’indifferenza sessuale.
Come Priscilla si confronta con
altre rappresentazioni di Elvis
Cailee Spaeny e Jacob Elordi in Priscilla
La rappresentazione di
Priscilla di Elvis Presley è un po’ più sinistra e meno
romantica rispetto al modo in cui è stato ritratto in altri media.
Il cantante era noto per la sua musica e il suo fascino, ed è
spesso così che veniva rappresentato anche nei film. Mentre
l’Elvis
Presley di Austin Butler era carismatico e percepito come
vittima del controllo e dell’avidità finanziaria del suo manager,
il colonnello Tom Parker, la versione di Elvis di Jacob Elordi è
sensibile ma distaccata, silenziosamente controllante e sprezzante.
È una percezione di Elvis diversa da quella a cui la maggior parte
delle persone è abituata, soprattutto perché gran parte dei media
che ritraggono il cantante si concentrano su di lui e
sulla sua storia, mentre Priscilla passa in secondo piano.
Cosa è successo a Priscilla
dopo la fine del film
Dopo che Priscilla Presley ed Elvis
si sono separati ufficialmente, Elvis ha chiesto il divorzio nel
gennaio 1973. Priscilla è andata a vivere con l’istruttore di
karate Mike Stone, che frequentava già verso la fine del suo
matrimonio con Elvis. Subito dopo il divorzio, Priscilla ha aperto
un negozio di abbigliamento di successo con un’amica, ha
trasformato Graceland in un’attrazione turistica pochi anni dopo la
morte di Elvis nel 1977 ed è diventata presidente della Elvis
Presley Enterprises.
Priscilla Presley si è anche fatta
un nome come attrice, recitando nei film The Naked Gun al
fianco di Leslie Nielsen e nella serie TV di successo
Dallas, dove ha interpretato Jenna Wade per cinque stagioni.
Fuori dallo schermo, Priscilla ha prodotto film come Finding
Graceland e la serie animata di NetflixAgent Elvis. Tutto questo oltre a
crescere Lisa Marie, e anche se Priscilla non si è mai
risposata dopo Elvis, ha avuto una relazione con lo sceneggiatore
brasiliano Marco Antonio Garcia per poco più di due decenni. La
coppia ha avuto un figlio, Navarone Garibaldi.
Il prossimo film di Jordan
Peele ha ricevuto un aggiornamento deludente. I tre
precedenti film horror diretti – Scappa –
Get Out,
Noi e Nope – sono stati tutti un successo di critica, con il
primo ampiamente considerato il migliore finora. Il prossimo film
di Peele, il primo che dirige dal 2022, era originariamente
previsto per dicembre 2024. A causa degli scioperi della WGA e
della SAG-AFTRA nel 2023, il progetto è stato riprogrammato per
ottobre 2026.
Oltre al fatto che si tratta di un
thriller horror, tutti gli altri dettagli sul film rimangono ad
oggi segreti. Ora, Variety riporta che la Universal
Pictures ha rimosso il prossimo film di Jordan Peele dalla finestra
di ottobre 2026 sul proprio calendario delle uscite. Evidentemente,
Peele sta ancora lavorando al film, che si trova dunque in uno
stato di sviluppo che non gli consente di rispettare il periodo di
uscita inizialmente previsto.
Cosa significa questo per il prossimo film di Jordan Peele
Il prossimo film di Peele non sembra
dunque essere in stato così avanzato come previsto, data la
precedente finestra di uscita di ottobre 2026. La stagione di
Halloween sarebbe stata il momento perfetto per il debutto nelle
sale del thriller horror, ma ci sarà un’attesa più lunga, con il
2027 che ora è la data più vicina in cui il film potrebbe essere
distribuito.
Tra Scappa –
Get Out uscito nel 2017,
Noi nel 2019 e Nope nel 2022, la prima nel 2026 sarebbe già stata
l’intervallo più lungo tra i film diretti da Jordan Peele. Ora
l’intervallo sarà ancora più lungo, dato che tra il precedente e il
film in fase di sviluppo passeranno almeno cinque anni.
A volte, quando un film viene
rimosso dal calendario delle uscite di uno studio, non è un buon
segno per la sua realizzazione finale. Tuttavia, visti i successi
passati di Peele e avendo lavorato con la Universal in tutti i suoi
film precedenti, questo non dovrebbe essere un motivo di
preoccupazione per il suo nuovo film. Ci vorrà più tempo del
previsto, ma sicuramente verrà realizzato.
Prizefighter: The Life Of
Jem Belcher racconta la vita del campione inglese di
pugilato a mani nude dell’inizio del XIX secolo. Il film illustra
come è nato il pugilato moderno e come Jem Belcher ne sia stato un
pioniere. Si ritiene che il pugilato con i guantoni che conosciamo
oggi sia stato praticato per la prima volta da Belcher, o almeno
questo è ciò che sostiene il film. Belcher era nato per essere un
pugile: fin da bambino aveva visto combattere suo nonno, Jack
Slack, un famoso campione di pugilato a mani nude. Anche se suo
nonno aveva i suoi difetti, Jem lo ammirava per il suo talento. Da
Jack imparò l’importanza di essere veloce e di usare entrambe le
mani durante un combattimento. La madre di Jem non ha mai voluto
che suo figlio seguisse le orme del nonno, e così Jem è cresciuto
diventando un fabbro, anche se ha sempre avuto la propensione al
combattimento.
Spoiler in arrivo
La Trama: di cosa parla il film
Prizefighter: The Life Of Jem Belcher?
Jem era molto legato a suo nonno,
anche se sua madre disapprovava il loro rapporto. Credeva che fosse
una cattiva influenza per Jem. Jack Slack era famoso per spendere
tutti i soldi che guadagnava in divertimenti. Prendeva persino i
pochi soldi che aveva sua figlia per soddisfare i propri bisogni.
Ma l’unica lezione che Jem imparò da Jack fu che doveva decidere
che tipo di uomo voleva essere nella sua vita, perché dopo la morte
di un uomo, la gente ricorda solo il suo nome e non le sue cattive
abitudini. Jem Belcher era famoso per la sciarpa blu e bianca che
indossava, e il film mostra che era stato Jack Slack a
regalargliela quando era ragazzo. Anche se suo nonno era un
ubriacone, era ricordato per la sua bravura nello sport.
Jem lavorava come fabbro, ma quando
vide i soldi che poteva guadagnare con la boxe, accettò di
combattere un incontro con Bob “Barbanera” Britton. Sebbene
Blackbeard fosse considerato imbattibile, il magro ragazzo di
Bristol riuscì a metterlo KO. Bill Warr lo vide combattere quel
giorno e capì che il ragazzo aveva un talento naturale. Bill Warr
era un pugile veterano e, consapevole del suo potenziale, si offrì
di allenare Jem. Jem non aveva fiducia in se stesso. Pensava di
essere stato fortunato con Blackbeard, ma Bill sapeva che per
combattere come lui ci voleva più della fortuna. Bill credeva che
con un allenamento adeguato Jem sarebbe stato in grado di
combattere in modo intelligente. Anche suo nonno, prima di morire,
gli consigliò di allenarsi con Bill. Jem iniziò ad allenarsi e Bill
gli insegnò l’arte della boxe, che richiedeva la coordinazione
della mente e del corpo. Jem seguì uno stile di vita disciplinato e
si guadagnò la reputazione di pugile di spicco dell’epoca.
Ricevette un invito a combattere per il campionato di boxe inglese
contro Andrew Gamble, il campione irlandese.
Jem annunciò di essere pronto a
combattere per il campionato. L’annuncio dell’incontro fu
pubblicato sul giornale e Jem godette della sua nuova popolarità.
Mentre suo fratello e sua sorella erano entusiasti del suo percorso
nella boxe, Mary, sua madre, non la pensava allo stesso modo.
Credeva che avrebbe fatto la stessa fine di suo nonno. Aggiunse che
solo chi scommetteva sulla partita era vincitore, mentre i pugili
erano sempre dalla parte dei perdenti, a prescindere dal risultato.
Ma Jem non era d’accordo con la convinzione di sua madre e voleva
combattere a tutti i costi. Arrivò a Londra e rimase affascinato
dalla città.
Uomini e donne si radunarono
intorno al ring per vedere i due uomini combattere per il titolo di
campione d’Inghilterra. La presenza dei reali indicava come la boxe
avesse guadagnato una reputazione tale da non essere più
considerata uno sport per la classe operaia. In cinque round, Jem
riuscì a sconfiggere il campione irlandese e fu dichiarato campione
d’Inghilterra. Fu così che Jem Belcher acquisì popolarità nella
cerchia dell’élite londinese. La ricchezza lo distolse dal suo
percorso, ma alla fine ritrovò la strada per essere ricordato come
il più grande di tutti i campioni.
Cosa portò alla perdita della
vista di Jem Belcher?
Belcher fu presentato a Lord
Rushworth alla tenuta di Ashford dopo aver vinto il titolo.
Quest’ultimo era noto per scommettere sui match di pugilato e perse
una notevole somma di denaro a causa della vittoria di Jem.
Rushworth voleva familiarizzare con Belcher, sapendo che il talento
che possedeva lo avrebbe aiutato a fare soldi. Belcher fu avvertito
che Rushworth considerava i giocatori nient’altro che un mezzo per
fare soldi, ma Rushworth smentì questa affermazione sostenendo che
voleva semplicemente stare sempre dalla parte del vincitore. Lord
Ashford e Lord Rushworth avevano opinioni diverse sul pugilato. Per
Ashford era un’arte che meritava di essere riportata in auge,
mentre per Rushworth era più importante guadagnare denaro da questo
sport. Rushworth voleva truccare gli incontri di Belcher per trarne
profitto, ma Bill non era molto entusiasta dell’idea. A Jem non
importava nulla, poiché era distratto dalla bellezza delle donne
dell’élite londinese.
Combatteva gli incontri organizzati
da Lord Rushworth e si abbandonava all’alcol e alle donne. Stava
vivendo la vita che Mary aveva sempre temuto che avrebbe vissuto.
Anche se guadagnava abbastanza soldi per mantenere la sua famiglia,
stava perdendo se stesso nel processo. Lo stile di vita
disciplinato che Bill gli aveva insegnato era ben lontano dalla
vita che Jem stava vivendo in quel periodo. Sapeva di essere il
miglior pugile di tutta l’Inghilterra e spesso arrivava in ritardo
agli allenamenti a causa della sua eccessiva sicurezza. I lord
discutevano dei dettagli tecnici di questo sport che sarebbe stato
introdotto, mentre giocavano a carte. Belcher vinse il round e
Rushworth perse la scommessa; il suo consigliere lo esortò a
limitare le scommesse, considerando le sue continue perdite
finanziarie, ma Rushworth rifiutò di essere messo in imbarazzo.
Quando Lord Rushworth organizzò una
festa segreta, presentò Jem Belcher a Henry Pearce, una stella
nascente della boxe. Fu durante quella festa che Rushworth sfidò
Jem a una partita di pallamano. Chiese ai suoi ospiti di
scommettere sui giocatori. Durante la partita, la palla lanciata da
Lord Rushworth colpì Jem all’occhio, ferendolo in modo permanente.
Anche se aveva perso quasi completamente la vista da un occhio, Jem
si rifiutò di accettare che i suoi giorni da pugile fossero finiti.
A causa dell’infortunio, non poté combattere per tre settimane, e
questo cominciò a dare fastidio a Rushworth, poiché il suo reddito
dipendeva da Jem. Secondo Rushworth, la gente di Londra non era più
interessata a vedere Jem combattere.
La sua storia di lotta e successo
aveva fatto vendere i biglietti, ma ora temeva che la gente avesse
bisogno di un nuovo campione da celebrare. Consapevole di stare
perdendo il suo status, Jem affogò il suo dolore nell’alcol. In
seguito, litigò con due guardie in giubba rossa, il che lo portò in
prigione. Le condizioni del suo occhio erano peggiorate, ma il
tempo trascorso in prigione fu illuminante perché lì incontrò un
uomo di nome Walter. Walter aiutò Jem a superare la tristezza che
provava. Ripeteva sempre a Jem che dopo il buio c’era la luce.
Consigliò a Jem di vivere una vita disciplinata per superare l’odio
verso se stesso che lo consumava. Quando arrivò il momento per Jem
di lasciare la prigione, notò che Walter non era più nella sua
cella. Gli fu detto che il vecchio era morto. Tornò quindi a casa a
Bristol per vivere con la sua famiglia e dedicò la sua vita
all’allenamento per diventare il campione che era sempre stato.
Spiegazione del finale di
“Prizefighter”: perché l’incontro tra Jem Belcher e Henry Pearce è
stato memorabile?
Jem Belcher si allenò giorno e
notte per combattere per il titolo di campione d’Inghilterra, che
ora apparteneva a Henry Pearce. Anche se Jem aveva subito una
lesione all’occhio, Bill Warr gli insegnò a superare i suoi limiti
e a mantenere la sua posizione. I giornali annunciarono che Jem
Belcher sarebbe tornato con l’occhio ferito per sfidare Henry “The
Game Chicken” Pearce e combattere per il titolo di campione
d’Inghilterra. Fu dichiarato “il combattimento del secolo”. Il film
indica che fu il primo incontro in cui i pugili indossarono i
guantoni durante il match. Era destinato a creare una nuova ondata
di pugilato scientifico e intelligente. Lord Rushworth ora gestiva
Henry Pearce, ma fece visita a Jem per augurargli buona fortuna per
la sfida e lo avvertì anche di prestare particolare attenzione al
suo occhio, indicando che non avrebbero lasciato nulla di intentato
per vincere la sfida.
L’arbitro spiegò ai giocatori le
regole dello sport e l’incontro iniziò con Pearce che dominava il
ring. Anche se Jem non si arrese, combatté come un campione, anche
quando veniva costantemente colpito al viso. Jem alla fine riuscì a
prendere il controllo del ring e riuscì a mettere al tappeto Pearce
per alcuni secondi. Pearce era un avversario agguerrito. Si rialzò
da terra ed era pronto a spingere ancora più forte. Ha colpito Jem
all’occhio ferito e Bill ha dovuto sistemare il danno durante un
time-out. Anche dopo dodici round, entrambi i pugili si sono
rifiutati di arrendersi. Il ring era sporco di sangue e anche
l’altro occhio di Jem era ferito. Ha chiesto a Bill di aprirgli
l’occhio in qualche modo, ma Bill sapeva che Jem non vedeva quasi
nulla in quel momento. Ciononostante, ha visto la grinta di Jem e
lo ha aiutato ad aprire gli occhi per combattere un’ultima volta.
Jem notò che anche sua madre era presente tra il pubblico e questo
lo aiutò a ritrovare la fiducia. Mentre Jem lottava, Bill notò che
Lord Rushworth stava scegliendo un mezzo sleale per vincere
l’incontro, anche se Henry si era rifiutato di optare per una
scorciatoia. Rushworth aveva paura di perdere i suoi soldi e per
questo era disposto a fare qualsiasi cosa. Bill era furioso, diede
un pugno in faccia a Rushworth e chiese a Pearce di combattere
lealmente. L’ultimo round del titolo, il round 18, fu l’incontro
decisivo in cui Jem combatté con tutte le sue forze con il poco che
riusciva a vedere. Ma Pearce riuscì a sopraffarlo e a metterlo KO
per oltre dieci secondi. Fu dichiarato campione in carica
d’Inghilterra.
Anche dopo essere stato sbattuto a
terra, Jem si rialzò con grande sorpresa del pubblico. Tutti fuori
dal ring lo acclamarono. Anche se aveva perso, si era guadagnato il
rispetto della gente. Ai loro occhi era ancora un campione. Anche
se Pearce aveva vinto il titolo, anche lui nutriva un immenso
rispetto per Jem. Gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi. La
solidarietà dimostrata dai due pugili subito dopo un incontro
sanguinoso rappresentava l’essenza di questo sport. Anche se erano
avversari sul ring, si ammiravano a vicenda per il loro talento. Il
loro amore per la boxe era ciò che li univa, e il fatto che Jem
fosse un maestro in questo sport era innegabile. Jem riuscì a
realizzare ciò che suo nonno gli aveva detto, guadagnandosi
abbastanza rispetto da far sì che la gente ricordasse il suo nome.
“Prizefighter: The Life of Jem Belcher”, alla fine, afferma che Jem
Belcher continua ad essere il campione più giovane di sempre. Morì
all’età di 30 anni a causa del suo stile di vita difficile. Sebbene
fosse interessante conoscere la vita di Jem Belcher e la storia
della boxe, il film in sé era mediocre e non particolarmente
sorprendente nella sua realizzazione.
È una verità, riconosciuta dal
cinema, che non si scherza con Liam Neeson. È una lezione che due poliziotti
corrotti imparano troppo tardi quando tradiscono il personaggio di
Neeson in Honest Thief (2020), un film d’azione
con la star del genere uscito nel 2020.
Diretto da Mark Williams (il
creatore di Ozark di Netflix), Honest Thief ruota
attorno al personaggio omonimo, interpretato da Neeson,
che decide di allontanarsi dalla sua vecchia vita ma presto si
rende conto che la redenzione dal passato non è facile. Sebbene il
film presenti una narrazione fin troppo familiare, prevalente nelle
precedenti avventure di Neeson, riesce comunque a essere
un thriller d’azione con una sceneggiatura ben strutturata e ricca
di emozioni tipiche del genere.
Questo articolo si sofferma sul
finale del film, affrontando alcuni dei principali filoni narrativi
della trama. Come al solito, SPOILER ALERT per chi non ha ancora
visto il film.
Cosa succede nel film
Honest Thief
Honest Thief ruota attorno a Tom
(Liam
Neeson), un abile ladro che ha rapinato dodici banche
in sette stati del paese, portando via la cifra astronomica di nove
milioni di dollari. Etichettato dai media come il “bandito che
entra ed esce” (a causa del suo stile di rapina che non lascia
tracce), Tom vaga da uno stato all’altro, sfuggendo agli occhi
della legge.
Un giorno, mentre si trova in un
magazzino, Tom incontra Annie Wilkins (Kate
Walsh), la receptionist della struttura e aspirante
psicologa. Tra i due sboccia l’amore, anche se Tom nasconde ad
Annie il suo passato di criminale e le dice di lavorare come
riparatore di serrature di sicurezza. Dopo un anno di
frequentazione, Tom capisce che Annie è l’amore della sua vita e le
chiede di trasferirsi con lui nella loro nuova casa.
Quando lei accetta, Tom capisce che
deve lavarsi via il suo passato oscuro se vuole ricominciare da
capo con Annie. Dopo molte riflessioni, Tom prenota una stanza in
un hotel e chiama l’FBI, confessando loro di essere davvero il
“bandito In-and-Out”. Accetta di costituirsi e promette di
restituire ogni centesimo che ha rubato, ma pone una condizione.
Dato che si è consegnato volontariamente all’FBI, Tom desidera una
riduzione della pena a due anni a Boston e il pieno diritto di
visita (in modo che Annie possa venire a trovarlo
regolarmente).
Gli agenti dell’FBI Sam Baker
(Robert Patrick) e Sean Meyers (Jeffrey
Donovan), che sono dall’altra parte del telefono, prendono
le sue affermazioni con le pinze. Già fuorviati da falsi chiamanti
che sostenevano di essere il “bandito In-and-Out”, Baker e Meyers
credono che Tom sia un altro falso chiamante. Nonostante ciò, Baker
ordina a due giovani agenti, John Nivens (Jai
Courtney) e Ramon Hall (Anthony
Ramos), di andare a incontrare Tom all’hotel. Nivens e
Ramon interrogano Tom e fingono di essere sospettosi riguardo alle
sue affermazioni grandiose, soprattutto perché il denaro non si
vede da nessuna parte.
Tom dà loro la chiave del magazzino
dove tiene il denaro. Nivens e Ramon vanno a indagare nel magazzino
e rimangono sorpresi nel trovare il denaro nella stanza.
Tentato dalla somma incredibile,
Nivens suggerisce a Ramon di rubare il denaro, poiché nessuno
crederebbe alle parole di Tom piuttosto che alle loro. Ramon è
titubante, ma alla fine accetta l’offerta per garantire il futuro
dei suoi figli. Proprio mentre i due agenti stanno andando via,
Annie riesce a riprendere le loro immagini con le telecamere di
sicurezza, ma entrambi riescono a eludere i suoi sospetti
sostenendo di essere amici di Tom.
Nivens e Ramon tornano quindi
all’hotel dove alloggia Tom. Con un colpo di scena, Nivens rivela
le sue vere intenzioni di uccidere Tom facendo sembrare che si
tratti di un incontro con la polizia. Proprio mentre sta per
sparare a Tom, appare l’agente Sam, che sventa il suo piano. Prima
che Tom possa denunciare Nivens e Ramon a Sam, Nivens spara a Sam
uccidendolo. Tom riesce a sopraffare i due e fugge con Annie, che
arriva all’hotel nello stesso momento.
Quando l’agente Meyers arriva sulla
scena con la sua squadra, Nivens e Ramon inventano una falsa storia
secondo cui Tom avrebbe sparato a Sam. Questo rende Tom un
fuggitivo, mettendo a rischio la sua vita e quella di Annie, che
vengono violentemente inseguiti da Nivens, Meyers e il resto delle
forze di polizia.
Perché Tom è diventato un
ladro?
Sebbene il film riveli fin
dall’inizio la professione di Tom, il motivo che lo ha spinto a
scegliere una vita criminale viene svelato solo più avanti nella
narrazione. Mentre stanno scappando dalla polizia, Annie affronta
Tom per averle mentito sul fatto di essere un ladro di alto
profilo. È qui che Tom rivela il suo passato oscuro che lo ha reso
un cleptomane rapinatore di banche. Tom rivela che durante il
periodo in cui era marine in guerra, sua madre morì di
polmonite.
Dopo la morte della madre, il padre
di Tom cadde in depressione, il che alla fine lo portò a essere
licenziato dal suo lavoro di saldatore in un’azienda produttrice di
tubi. A peggiorare le cose, l’amministratore delegato dell’azienda
negò a suo padre la pensione. Già depresso e non disposto a
contestare legalmente l’azienda, il padre di Tom si suicidò
schiantando la sua auto contro una quercia. Arrabbiato per la morte
di suo padre, Tom rapinò la banca dove il direttore generale teneva
i suoi soldi.
Dopo questa impresa, Tom si rese
conto che provare il brivido di queste rapine gli dava una scarica
di adrenalina e lo faceva sentire vivo. Tuttavia, l’incontro con
Annie gli fece provare la stessa sensazione di vivacità, portando
Tom a smettere le sue avventure alla ricerca di emozioni forti.
Come riesce Tom a sconfiggere
Nivens e Ramon?
Ben consapevole del fatto che la
legge non gli avrebbe mai creduto rispetto alle parole di due
agenti dell’FBI, Tom si nasconde e mette Annie su un autobus per
New York. Tuttavia, il giorno dopo, Tom ha una sorpresa quando
Annie rivela di non essere mai partita per New York, ma di essere
invece nel magazzino per recuperare il filmato di Nivens e Ramon
che prendono i soldi.
Poco prima che Annie riesca a
fuggire con la scheda di memoria contenente il filmato, viene messa
alle strette da Nivens, che dopo una colluttazione le sbatte
violentemente la testa contro la scrivania. Ramon è sconcertato
dalla brutalità del suo partner e riesce a infilare silenziosamente
la scheda di memoria nella sua tasca senza che Nivens se ne
accorga.
Pensando che Annie sia morta,
Nivens e Ramon decidono di lasciare la scena. Tom arriva pochi
istanti dopo e porta Annie in ospedale. Inorridito dalla violenza
inflitta alla sua partner, Tom decide di prendere in mano la
situazione e di dare la caccia a Nivens e Ramon.
Perché Ramon cambia
idea?
L’agente Ramon, che fin dall’inizio
era riluttante ad aderire al piano, inizia ad avere dei
ripensamenti sulla sua collaborazione con il freddo Nivens. Poco
dopo, Ramon viene violentemente aggredito da Tom a casa sua, che lo
blocca a terra. Ramon crolla e rivela di aver ceduto all’avidità di
ottenere nove milioni di dollari, ma che non era mai stata sua
intenzione fare del male a nessuno durante il processo. Ramon
menziona inoltre il filmato della telecamera di sicurezza e lo
consegna a Tom.
Come fa Tom a smascherare
Nivens?
Nonostante abbia il filmato, Tom è
consapevole che il semplice fatto di avere un filmato di Nivens che
sposta una scatola non convincerà l’FBI. Decide invece di
minacciare Nivens affinché confessi, facendo esplodere la sua casa
con bombe artigianali. Nivens, testardo, rifiuta e si dirige verso
la casa abbandonata dove ha accumulato il denaro.
Nivens chiama Ramon per chiedere
aiuto e quest’ultimo si presenta alla casa, ma con Tom. Nivens è
esasperato dal tradimento del suo socio e lo uccide a colpi di
pistola. Dopo una serie di spari, Nivens ferisce Tom all’addome con
un proiettile e fugge con il denaro.
Pensando di avercela fatta, Nivens
se ne va felice in auto. Ma in un colpo di scena finale, Tom chiama
Nivens, informandolo di aver piazzato una seconda bomba sotto il
sedile della sua auto.
La bomba, sensibile alla pressione,
esploderebbe se Nivens provasse a uscire dall’auto. Nivens,
terrorizzato, non ha altra scelta che aspettare che arrivino gli
artificieri per disinnescare la bomba di Tom. Smascherato come
l’assassino responsabile della morte di Baker e Ramon, Nivens viene
finalmente arrestato dall’agente Meyers.
Cosa succede a Tom alla
fine?
Nel momento culminante del film,
Annie fa visita all’agente Meyers al distretto di polizia,
chiedendogli di andarci piano con Tom, dato che non solo ha
confessato le sue rapine, ma ha anche aiutato l’FBI a smascherare
Nivens.
Meyers accetta di mettere una buona
parola per Tom. Improvvisamente, Meyers riceve una telefonata da
Tom, che si presenta alla stazione di polizia per costituirsi,
proprio come aveva inizialmente previsto. Si deduce che Tom
sconterà la pena prevista per le rapine in banca, mentre Annie
aspetterà il suo rilascio.
Il regista Mark Williams ha
dichiarato di aver sempre voluto realizzare un film sulle “seconde
possibilità”. Anche se Honest Thief mostra che la redenzione non è
sempre un percorso facile, è sicuramente una strada che vale la
pena intraprendere, e il finale ottimista del film è una
testimonianza della visione del titolo di essere “onesti”, anche se
si è ladri!
Con Il
Gladiatore II che ricorda al pubblico che Ridley Scott non ha alcuna intenzione di
rallentare il ritmo, il leggendario regista sta già guardando al
futuro. Scott è noto per passare con disinvoltura da un genere
all’altro, dai film storici epici alla fantascienza, dai thriller
ai film biografici, e ora, dopo il successo di Il Gladiatore
II, ha rivelato quali saranno i suoi prossimi tre film.
In un’intervista a Dazed Digital, Scott ha
confermato: “Ho scritto tre film, pronti per essere girati.
Quello che spero sarà il prossimo è un film biografico sui Bee
Gees. Poi ho un grande western intitolato Freewalkers. E poi ho un
film sulla prima guerra mondiale basato su Covenant with Death di
John Harris. È una narrazione meravigliosa che non ho mai visto
prima in un film di guerra. È divertente e attento alle differenze
di classe, perché ci sono minatori che si mescolano a uomini della
classe media. Si scopre che un uomo muore, proprio come chiunque
altro”.
Cosa significa questo aggiornamento per Ridley Scott
Questa rivelazione dà ai fan e agli
studios un’idea chiara di quale saranno le prossime mosse di
Ridley Scott, e si tratta di una
line-up che abbraccia ancora una volta generi e generazioni
diverse. Il film biografico sui Bee Gees segna l’ingresso di Scott
nel mondo della narrazione musicale, una prima volta degna di nota
per il regista. Data la sua propensione per le storie su larga
scala e basate sulle emozioni, potrebbe essere un film di prestigio
se realizzato bene.
Anche il “grande western”
Freewalkers si allinea con la crescente rinascita del
genere negli ultimi anni. Considerando il suo precedente successo
in epopee storiche con progetti come Il gladiatore e The Last
Duel, è facile immaginare una visione realistica e brutale
della frontiera americana guidata dal famoso regista, e un film
western si adatta sicuramente allo stile di Ridley
Scott.
Tuttavia, forse il più intrigante è
Covenant with Death, un dramma sulla prima guerra mondiale
incentrato sulle classi sociali che potrebbe offrire una nuova
prospettiva sul genere. L’attenzione di Scott per l’esperienza
della classe operaia durante la guerra suggerisce un film con
profondità emotiva e intuizione storica. Inoltre, se è un libro
così amato da Scott, ci sarà sicuramente molta passione dietro al
progetto.
Dopo le
prime immagini pubblicate nella giornata di ieri, Sony ha ora
diffuso il primo trailer di 28 anni dopo – Il Tempio
delle Ossa, insieme ad una sinossi ufficiale che
recita:
“Ampliando il mondo creato da
Danny Boyle e Alex Garland in 28 Years Later, ma ribaltandolo
completamente, Nia DaCosta dirige 28 anni dopo: The Bone Temple.
Nel seguito di questa epica storia, il dottor Kelson (Ralph
Fiennes) si ritrova coinvolto in una nuova relazione scioccante,
con conseguenze che potrebbero cambiare il mondo così come lo
conoscono, mentre l’incontro di Spike (Alfie Williams) con Jimmy
Crystal (Jack O’Connell) diventa un incubo dal quale non può
fuggire. Nel mondo di The Bone Temple, gli infetti non sono più la
minaccia più grande alla sopravvivenza: la disumanità dei
sopravvissuti può essere ancora più strana e
terrificante”.
Cosa sappiamo di 28 anni dopo – Il Tempio delle
Ossa
Girato subito dopo il suo
predecessore, 28 anni dopo – Il Tempio delle
Ossa riprenderà gli eventi del film precedente, che
ha incassato 150,4 milioni di dollari in tutto il mondo e ha visto
protagonisti nomi come Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson, Jodie Comer e Ralph Fiennes. Tuttavia, è stato anche
annunciato in precedenza che Bone Temple vedrà il ritorno
– nel finale – di Cillian Murphy, che riprende il ruolo di Jim
da 28 giorni dopo.
Descrivendo come 28 anni
dopo – Il Tempio delle Ossa sia il seguito del film
horror di successo del 2025, DaCosta rivela che il giovane Spike è
il filo conduttore tra i due film, costretto a unirsi alla setta di
Jimmy, pronta a scontrarsi con il dottor Kelson. Inoltre, secondo
DaCosta, la storia del dottor Kelson e la dinamica generale con
Samson saranno ulteriormente approfondite, poiché costituiscono
“una parte importante del film”.
28 anni dopo – Il Tempio
delle Ossa sembra dunque voler espandere il franchise in
modo significativo, non solo in termini di dimensioni, ma anche di
tono e filosofia. Con Nia DaCosta che ha preso il
posto di Danny Boyle alla regia e Alex
Garland che continua a guidare la storia, la serie si sta
evolvendo in qualcosa di più ambizioso e ricco dal punto di vista
tematico, approfondendo le strutture formatesi all’indomani del
virus.
L’attenzione a personaggi come il
dottor Kelson e Sir Jimmy Crystal introduce due visioni molto
diverse della sopravvivenza: una clinica e ossessionata dal
controllo, l’altra caotica e settaria. Nel frattempo, Spike funge
da ponte emotivo e narrativo tra i film, radicando la storia man
mano che diventa più strana, più oscura e più imprevedibile.
Tuttavia, è interessante notare che non si fa ancora menzione di
Cillian Murphy.
28 anni dopo – Il Tempio delle Ossa uscirà al
cinema il 16 gennaio 2026.
Il
red carpet dell’82ª Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha accolto
ieri sera il cast di Dead Man’s Wire, il
nuovo atteso film diretto da Gus Van Sant e
presentato in Concorso. Un tappeto rosso che ha subito catturato
l’attenzione dei fotografi e del pubblico, grazie alla presenza di
alcune delle star più acclamate del cinema contemporaneo.
Protagonista assoluto è stato Colman Domingo, volto principale del film, che
ha posato accanto ai colleghi Dacre Montgomery, Cary Elwes
e Myha’la.
La sfilata del cast ha offerto un assaggio del prestigio che
accompagna Dead Man’s
Wire, un’opera che conferma ancora una volta la capacità di
Gus Van Sant di attrarre interpreti di grande
calibro e di suscitare interesse internazionale. L’evento ha unito
eleganza e glamour, trasformando il Lido in una passerella
scintillante che celebra non solo il cinema d’autore, ma anche la
sua dimensione spettacolare.
Con la proiezione del film, il Festival si arricchisce di un titolo
che promette di far discutere. Ma, prima ancora di entrare in sala,
gli occhi erano tutti puntati sulle star che hanno reso il red
carpet di Dead Man’s
Wire uno dei più seguiti di questa edizione di Venezia 82.
Paramount e Activision hanno annunciato oggi una
partnership storica per portare sul grande schermo il franchise di
videogiochi di fama mondiale, Call of Duty.
L’accordo prevede lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di
un film live-action basato sull’iconica serie, che ha venduto oltre
500 milioni di copie in tutto il mondo.
L’obiettivo è creare un’esperienza cinematografica che onori
l’universo narrativo e lo stile che hanno reso Call of
Duty un fenomeno culturale, entusiasmando sia i fan di
lunga data che un nuovo pubblico.
David
Ellison, CEO di Paramount, ha dichiarato: “Come fan di lunga
data di Call of Duty, è un sogno che si avvera. Affronteremo questo
film con lo stesso impegno per l’eccellenza del nostro lavoro su
Top Gun: Maverick, per garantire
un’esperienza cinematografica che onori l’eredità di questo
straordinario franchise.”
Rob
Kostich, Presidente di Activision, ha aggiunto: “Con
Paramount, abbiamo trovato il partner ideale per portare l’azione
mozzafiato di Call of Duty sul grande schermo. Il nostro obiettivo
è semplice: creare un film blockbuster indimenticabile che la
nostra community adorerà e che ispirerà nuovi fan.”
Ad
attirare l’attenzione sono stati soprattutto Idris
Elba e Rebecca Ferguson, elegantissimi e
accolti dal calore del pubblico presente sul tappeto rosso. Accanto
a loro, hanno calcato la passerella anche Gabriel Basso,
Jared Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram, Jonah
Hauer-King, Greta Lee e Jason Clarke, tutti parte di un
cast corale che promette di rendere la pellicola un evento
cinematografico di primo piano.
Il film, scritto da Bigelow insieme a Charles Mondry e Anthony
Bagarozzi, si ispira alla celebre serie di romanzi Parker di Richard Stark. Al centro
della storia, un racconto intriso di tensione e azione, in cui i
personaggi si muovono in un intreccio di potere, inganni e scelte
irreversibili.
Dietro le quinte, A House of
Dynamite vanta un team produttivo di altissimo livello con
Jules Daly, Marc Toberoff e James W. Skotchdopole alla produzione,
e Susan Downey e Robert Downey Jr. come produttori
esecutivi. La regia di Kathryn Bigelow – già premio Oscar per
The Hurt Locker –
garantisce uno sguardo intenso e visivamente potente, perfetto per
dare vita a una storia che unisce adrenalina e profondità
drammatica.
Il red carpet di Venezia ha confermato ancora una volta l’attesa
per il film, con il cast che ha posato sorridente per i fotografi,
lasciando presagire una calorosa accoglienza anche in sala. Sfoglia
la gallery con tutte le foto dal red carpet di A House of Dynamite.
Gus Van Sant ha
fatto divertire tutto il pubblico di Venezia 82
con la presentazione fuori concorso del suo Dead Man’s
Wire, ispirato all’assurda storia vera di
Anthony Kiritsis, uomo di Indianapolis che, nel
1977, prese in ostaggio il broker e direttore di banca
Richard Hall con un fucile a canne mozze calibro
12 collegato tramite un cavo teso dal grilletto al collo dell’uomo.
Il regista di Elephant e Da morire racconta con
un’energia e un senso del ritmo travolgente il disperativo
tentativo di uomo che ha cercato di riprendere il controllo di una
situazione in cui si sentiva soltanto sfruttato.
Sorrido alle carte che mi vengono
date
Febbraio 1977. Tony Kiritsis (Bill Skarsgård), aspirante
imprenditore di Indianapolis, ha perso l’immobile che sognava di
trasformare in un centro commerciale a causa delle rate del mutuo
non pagate. Furioso, si presenta agli uffici della Meridian
Mortgage Company per incontrare il presidente Richard
Hall (Dacre Montgomery). Ma al posto di
Hall senior (Pacino), fondatore della società, trova solo il
figlio: l’anziano dirigente, infatti, si sta godendo una vacanza di
lusso in Florida. Una scoperta che non fa che alimentare la rabbia
di Tony. Con questo metodo decisamente peculiare, prende in
ostaggio Hall junior, e seguiremo le successive 63 ore di
sequestro: Tony afferma la famiglia di magnati si è presa gioco di
lui per 4 anni. Inizia lo spostamento di questa catena umana dalla
banca all’appartamento, con la stampa che si accalca fuori
dall’abitazione. Tra questi c’è una giovane giornalista di colore
(Myha’la) che spera di poter seguire delle “notizie vere” per la
prima volta. Nelle negoziazioni viene involontariamente trascinanto
anche lo speaker radiofonico Fred Temple (Colman
Domingo), figura che Tony ha sempre idolatrato e che
dovrà agire come intermediario tra le parti. L’uomo vuole che il
suo debito venga cancellato, non sottostare a nessun processo o
accusa e, cosa più importante, le scuse personali da parte del
pater familias.
Non c’è altra scelta
Con Dead Man’s Wire,
Gus Van Sant confeziona un’ora e quaranta di pura
follia in cui la superiorità narcisistica del protagonista si
rivela direttamente proporzionale al favore del pubblico, che
rivede nella sfida estrema di quest’uomo il grido emancipatorio dei
“perdenti”, da intendersi nel senso della gente che ha
perso, a cui è stato tolto tutto.
Convinto che la società lo abbia
ingannato, che chi abbia giocato a fare il dio ormai debba perdere,
Tony orchestra un rapimento mediatico (agli antipodi di Bugonia, dove l’operazione condotta da Jesse
Plemons e compare è decisamente più clustrofobica), che
risuona della stessa disperazione di un altro protagonista del
concorso di Venezia (Man-soo di
No Other Choice).
A parlare sarà l’uomo col
fucile
La chiave è fare sentire a Tony che
ha un pubblico e infatti l’uomo chiederà una conferenza stampa in
diretta nazionale. Bill Skarsgård ruba la scena nei panni di
Tony, un mattatore fin troppo consapevole di quello che gli è
accaduto, ma non altrettanto delle possibili ripercussioni.
L’attore di origine svedese, non a caso, è avvezzo a ruoli
peculiari e con accenno di follia (lo ricordiamo come Pennywise in
IT e, più recentemente, nei panni del
conte Orlok in Nosferatu di Robert Eggers).
Il piano di Tony vive nella
contraddizione tra il volersi affermare come eroe nazionale e
ordinare che i poliziotti e la famiglia Hall non lo dimentichino, e
il definirsi un “piccolo uomo” nel momento in cui lo additano come
mostro. Dietro l’atto disperato che inscena, si nasconde in realtà
una fragilità umana totalmente condivisibile, che viene trattata al
meglio dal regista degli “ultimi”, degli individui contro il
sistema in cui risuona la storia di ogni società.
Al Lido capita una cosa
curiosa: dopo qualche giorno di proiezioni si perde completamente
il senso del tempo. Non si sa più se sia mattina o sera, se siamo
al terzo o al decimo giorno di festival, se un titolo sia passato
ieri o la settimana scorsa. Ed è proprio in questo limbo sospeso
che arriva Kathryn Bigelow, con l’energia di chi rompe
l’inerzia e rimette in moto tutto. Otto anni dopo
Detroit, la regista premio Oscar torna al cinema con
A House of Dynamite, presentato
in Concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia.
Il suo ritorno non è solo
un evento, ma una vera e propria scossa: un film che sembra
arrivare a dirci che non siamo poi così al sicuro come ci
illudiamo, che la Storia bussa sempre con pugni pesanti e che il
cinema può ancora fotografarla con precisione chirurgica.
A House of
Dynamite: un thriller politico ad alta tensione
La trama, in superficie,
sembra appartenere al territorio del cinema catastrofico: un
missile nucleare viene intercettato mentre è diretto verso il
territorio degli Stati Uniti. Non si sa da dove sia partito, né chi
lo abbia lanciato. Inizia così una corsa contro il tempo per
individuare il responsabile, disinnescare la minaccia, e
soprattutto capire se l’umanità abbia davvero un margine di manovra
davanti all’impensabile.
Eppure, a Bigelow non
interessa il puro intrattenimento. Non c’è spettacolarizzazione
gratuita, non ci sono eroi larger than life. Al contrario,
la regista costruisce un’opera chirurgica, che lavora sulla
tensione dei silenzi, sugli sguardi contratti, sulla claustrofobia
delle stanze del potere. Ogni scelta registica riflette la volontà
di mostrare un mondo sull’orlo del collasso, dove le decisioni sono
rapide ma mai semplici, e dove il confine tra difesa e
autodistruzione si fa sottilissimo. Il risultato è un
thriller politico che tiene incollati alla sedia, ma che al tempo
stesso lascia un retrogusto amaro e inquietante: quello della
plausibilità.
Kathryn
Bigelow non è mai stata una regista accomodante, e lo
conferma ancora una volta. A House of Dynamite è un
film che rifiuta le lusinghe estetiche, le trovate a effetto, le
scorciatoie narrative. Il suo sguardo rimane asciutto, diretto,
spietato, sempre lucidissimo. E dietro la macchina da presa si
percepisce la mano di una cineasta che conosce il peso delle
immagini e la responsabilità delle storie che sceglie di
raccontare.
La sceneggiatura, solida
e precisa, regge perfettamente la tensione per tutta la durata,
senza mai concedere pause superflue. Gli attori, un cast corale
formato da Idris
Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel
Basso,
Jared Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram, Jonah
Hauer-King, Greta Lee, Jason Clarke,
offrono interpretazioni di ferro: nessuno sopra le righe, tutti
immersi in quel clima di urgenza e terrore trattenuto che rende il
film magnetico. Bigelow, del resto, lo ha dichiarato chiaramente:
il suo obiettivo era esplorare il paradosso di un mondo che vive
nell’ombra costante dell’annientamento nucleare, ma che
raramente affronta davvero questo tema. L’eco delle sue parole è
palpabile in ogni scena.
Il film che scuote
Venezia e lascia il segno
Alla Mostra del Cinema
capita ogni anno di vedere opere che raccontano la contemporaneità
con sguardi diversi, ma raramente ci si imbatte in un film che
riesca a unire con tanta forza contenuto e forma. A House of
Dynamite non è solo un film che parla di missili e geopolitica:
è una riflessione più ampia sulla vulnerabilità delle società
occidentali, sulla fragilità di sistemi che si credono invincibili,
sull’illusione di poter controllare l’incontrollabile. E la sua
forza sta proprio qui: nell’essere insieme un’opera di
intrattenimento e un atto politico, un’esperienza cinematografica
avvincente e un monito durissimo. Non stupirebbe affatto se
diventasse uno dei titoli più forti del concorso veneziano, capace
di mettere d’accordo critica e giuria.
Credits Netflix 2025
Uscendo dalla sala, la
sensazione è quella di aver assistito a qualcosa che ci riguarda da
vicino, che non possiamo scrollarci di dosso con facilità.
A House of Dynamite non consola, non
rassicura, ma scuote. È cinema che non si accontenta, cinema che ha
ancora il coraggio di essere “necessario”. In un panorama dove
spesso la politica è ridotta a cornice estetica o a semplice
sfondo, Bigelow dimostra che si può ancora fare cinema di genere
senza rinunciare alla lucidità e alla precisione. E che anzi,
proprio un thriller può diventare il terreno ideale per raccontare
le paure più profonde del nostro tempo.
Kathryn
Bigelow firma un ritorno straordinario. Se l’82ª Mostra
del Cinema di Venezia cercava il suo titolo simbolo, quello che
saprà restare anche dopo che le luci del festival si saranno
spente, è difficile non pensare che lo abbia già trovato.
Dopo la conclusione di Spider-Man:
No Way Home nel 2021, Peter Parker si prepara a tornare
sul grande schermo nel 2026. Il cast di
Spider-Man: Brand New Day è attualmente impegnato
nelle riprese del grande capitolo della Fase 6, che sarà l’ultimo
film prima di Avengers: Doomsday e
Avengers: Secret Wars, con i
due capitoli che concluderanno la Saga del Multiverso. Anche se resta da
vedere se l’Uomo Ragno sarà presente in questi film (ad oggi non è
confermato), molti si aspettano il suo ritorno.
LADbible ha ora recentemente
intervistato Holland, chiedendogli del suo futuro con il franchise
MCU e per quanto tempo pensa di interpretare l’icona Marvel, dopo aver assunto il ruolo
nel 2016 in Captain
America: Civil War. Poiché il 2026 segnerà un decennio da
quando è stato scelto per la prima volta per interpretare l’amato
supereroe, l’attore ventinovenne ha dichiarato: “Ho cercato
attivamente su Internet di capire al meglio cosa vogliono i fan da
un film di Spider-Man, e questa è stata la mia forza motrice in
questi incontri di presentazione”.
“Penso che i produttori, a
volte, fossero davvero stufi di me, ma credo che sia davvero
importante, perché facciamo questi film per i fan. Per quanto
riguarda il mio futuro nel personaggio oltre questo film, non so
rispondere”, ha affermato Tom
Holland. LADbible ha anche chiesto se il suo nuovo costume si
ispira a qualche fumetto specifico, ma il sito ha osservato che
“Holland è stato molto riservato, dicendo che potrebbe essere
uno spoiler rivelare cosa ha ispirato il nuovo costume”.
Tuttavia, la star britannica ha dato
la seguente risposta riguardo al suo coinvolgimento nel processo
questa volta: “La cosa davvero divertente di questo ultimo film
è stata disegnare il costume, partecipare al processo e capire cosa
volevamo provare a realizzare”. Per quanto riguarda il
contesto e l’ispirazione alla base del costume, è comprensibile che
non voglia rivelare troppo, soprattutto se questo gioca un ruolo
fondamentale nella storia di Spider-Man: Brand New
Day.
Data l’enorme eccitazione che
circonda il suo ultimo costume, meno si sa prima dell’uscita del
film, meglio è. Per quanto riguarda il suo futuro con l’Uomo Ragno,
dato che il franchise sta per essere resettato con la fine della
Saga del Multiverso, è comprensibile che Marvel Studios e Sony
Pictures non abbiano ancora pianificato il futuro di Tom Holland.
Anche se lo avessero fatto, tali piani non verrebbero probabilmente
rivelati fino a quando non saranno pronti a svelare ulteriori
dettagli sulla Fase 7.
Ad oggi, una sinossi generica di
Spider-Man: Brand New Day è emersa all’inizio di
quest’anno, anche se non è chiaro quanto sia accurata.
Dopo gli eventi di Doomsday,
Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a
concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità
di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge
una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e
costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in
gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità
di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile
alleato per proteggere coloro che ama.
L’improbabile alleato potrebbe
dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal –
recentemente annunciato come parte del film – in una situazione
già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono
inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi
contro la vera minaccia di turno.
Di certo c’è che il film condivide
il titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la
Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo
inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e
rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha
dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da
un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry
Osborn.
Il film è stato recentemente
posticipato di una settimana dal 24 luglio 2026 al 31 luglio 2026.
Destin Daniel Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, dirigerà il
film da una sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers.
Tom Holland guida un cast che include
anche Zendaya, Mark Ruffalo, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas
e Jon Bernthal. Michael Mando è
stato confermato mentre per ora è solo un rumors il coinvolgimento
di
Charlie Cox.
Spider-Man: Brand New
Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.
La ragazza della palude (qui
la recensione) è tratto dall’omonimo romanzo di Delia
Owens, pubblicato nel 2018 e divenuto un caso editoriale
internazionale. Il libro, che ha conquistato milioni di lettori in
tutto il mondo, mescola elementi di romanzo di formazione, dramma e
thriller giudiziario, offrendo un ritratto intenso della
protagonista Kya e della sua vita in solitudine nelle paludi del
North Carolina. L’adattamento cinematografico cerca di mantenere
intatto lo spirito del testo originale, ponendo al centro
l’ambiente naturale e la sua influenza sulle dinamiche interiori ed
esistenziali della protagonista.
Dal punto di vista del genere, il
film si colloca dunque a cavallo tra il melodramma e il
thriller investigativo, con una forte componente
romantica. È una storia che alterna la descrizione intima della
crescita e dell’isolamento di Kya con le atmosfere da legal drama,
legate al processo che la vede imputata di omicidio. Questa
contaminazione di generi lo rende un’opera capace di attrarre sia
chi cerca una vicenda emozionale e introspettiva, sia chi è
interessato alla tensione narrativa tipica del mistero e del
crimine.
I temi trattati spaziano così
dall’emarginazione sociale alla forza della natura come rifugio e
alleato della protagonista, fino al peso del pregiudizio e delle
dinamiche di esclusione. Centrale è anche la riflessione sul
femminile, sulla resilienza e sulla capacità di autodeterminazione,
che emergono nella lotta di Kya per difendersi dalle accuse e
affermare la propria identità. Nel resto dell’articolo si cercherà
di rispondere a una domanda molto diffusa tra spettatori e lettori:
La ragazza della palude è tratto o no da una
storia vera?
Protagonista del film è
Kya (Daisy
Edgar-Jones), una bambina abbandonata che è cresciuta
fino all’età adulta nelle pericolose paludi della Carolina del
Nord. Per anni, le voci sulla “ragazza della palude” hanno
perseguitato Barkley Cove, isolando la forte e selvaggia Kya dalla
sua comunità. Per lei tutto sembra cambiare quando conosce
Chase (Harris Dickinson),
quaterback locale con cui intraprende una relazione. Quando però il
giovane viene ritrovato morto, Kya è immediatamente indicata come
la principale sospettata.
La ragazza della palude è tratto da una storia
vera?
In
breve: no, La ragazza della palude non è basato su
una storia vera, ma su un intreccio narrativo originale nato dalla
fantasia di Delia Owens. L’autrice ha costruito il
romanzo come un racconto di formazione e di sopravvivenza,
intrecciato a un mistero giudiziario che mette in discussione la
colpevolezza o l’innocenza della protagonista Kya. Tuttavia, la
forza realistica dei personaggi e l’ambientazione estremamente
dettagliata hanno ovviamente spinto molti lettori e spettatori a
chiedersi se la vicenda potesse avere radici in fatti realmente
accaduti.
Un
elemento che ha alimentato questo sospetto riguarda proprio la
biografia di Delia Owens. Negli anni ’90, Owens e il marito
Mark si trasferirono in Africa per dedicarsi alla
salvaguardia della fauna selvatica, in particolare in Zambia. Nel
1995, durante il loro soggiorno, un presunto bracconiere venne
ucciso in circostanze mai chiarite del tutto. Da allora, le
autorità zambiane hanno dichiarato che Delia, il marito e il
figliastro Christopher sono persone informate sui
fatti e che avrebbero dovuto essere interrogati, sebbene nessuna
accusa formale sia mai stata mossa contro di loro.
Owens e la sua famiglia hanno sempre negato qualsiasi
coinvolgimento diretto nell’omicidio, ma la coincidenza di aver poi
scritto una storia che ruota attorno a un misterioso delitto e a un
processo per omicidio ha inevitabilmente riacceso i riflettori su
quel caso rimasto sospeso. Alcuni osservatori hanno persino
ipotizzato che la scrittrice possa aver inconsciamente trasposto
nel romanzo paure e tensioni legate a quell’esperienza, dando vita
a un’opera che risuona come più “vera” di quanto in realtà sia.
In definitiva, il film
non racconta un fatto realmente accaduto, ma porta con sé il peso
di un curioso paradosso: una finzione letteraria diventata cinema
che si intreccia, nell’immaginario collettivo, con un episodio
oscuro e mai chiarito della vita dell’autrice. Questo legame
indiretto contribuisce ad accrescere il fascino e l’ambiguità della
storia, lasciando allo spettatore la sensazione di trovarsi davanti
a un racconto sospeso tra invenzione e realtà.
Il film del 2000 Space
Cowboys si inserisce nella filmografia di Clint Eastwood come un’opera che miscela il
tono avventuroso con riflessioni sulla vecchiaia e la resilienza,
tematiche care al regista-attore americano. Dopo decenni trascorsi
a interpretare uomini duri e silenziosi come nel capolavoro
Gli spietati, Eastwood
qui dirige un cast di veterani dell’era spaziale, mettendo in scena
personaggi che, nonostante l’età, cercano di dimostrare il loro
valore e affrontare sfide apparentemente impossibili. Il film
rappresenta quindi un ponte tra il
cinema action e quello drammatico, confermando Eastwood come
regista capace di unire spettacolo e introspezione.
L’idea del film nasce dalla voglia
di esplorare la nostalgia e l’emozione legata alla corsa allo
spazio, raccontando una storia che unisse avventura, tecnologia e
dinamiche umane. La sceneggiatura, sviluppata da William
Broyles Jr., si ispira a storie di astronauti reali e a
racconti di ex militari e ingegneri aerospaziali, dando vita a una
narrazione credibile e coinvolgente. L’equilibrio tra la tensione
pericolosa delle missioni spaziali e i momenti di comicità legati
alle personalità dei protagonisti rende Space
Cowboys un film avvincente e al contempo riflessivo.
Il genere del film è un avventuroso
action-drama con elementi di
fantascienza realistica, che mescola scene di suspense a
momenti più intimisti e ironici. Tra i temi trattati spiccano
l’amicizia, la lealtà, la determinazione nonostante l’età e la
capacità di confrontarsi con i propri limiti fisici ed emotivi. La
pellicola invita lo spettatore a riflettere sul valore
dell’esperienza e sulla possibilità di superare ostacoli, anche
quando il tempo sembra aver ridotto le proprie energie. Nel resto
dell’articolo si analizzerà il finale e si approfondiranno le sue
implicazioni narrative.
La trama di Space
Cowboys
La storia del film si apre nel 1958,
nel pieno delle prime sperimentazioni per mandare l’uomo nello
spazio. I membri del Team Dedalus, quattro piloti dell’U.S. Air
Force, si addestrano infatti per essere i primi americani ad
esplorare l’ignoto sopra di noi. Il loro sogno si infrange però nel
momento in cui il progetto viene trasferito alla NASA, che affida
ad altri il compito. Quarantadue anni dopo, i quattro piloti
conducono ora una tranquilla vita da pensionati. L’ingegnere
aerospaziale Frank Corvin si gode infatti la sua
pensione con la moglie Barbara. Gli altri membri,
William Hawkins, Tank Sullivan e
Jerry O’Neill, allo stesso modo hanno ormai
riposto nel cassetto il sogno di andare nello spazio.
Una seconda possibilità viene però
improvvisamente loro offerta dall’ingegnere della NASA Sara
Holland. Questa raggiunge i quattro ex piloti per
comunicare loro che un vecchio satellite russo è uscito dalla sua
orbita e minaccia di schiantarsi sulla Terra. L’unico a saperlo
riparare è proprio Frank. Egli si dichiara però disposto ad
accettare solo se potrà avere con lui i suoi vecchi compagni di
lavoro. Prima di poter andare nello spazio, però, i quattro piloti
dovranno riprendere l’addestramento da lì dove lo avevano
interrotto. Per completare questo non avranno molto tempo a
disposizione, poiché il satellite si avvicina e la salvezza del
pianeta richiede tempestività.
La spiegazione del finale
Nel
terzo atto di Space Cowboys l’equipaggio della
navetta Daedalus deve dunque affrontare la minaccia dei missili
nucleari contenuti nel satellite IKON. Dopo il tentativo
sconsiderato di Ethan Glance di stabilizzare l’orbita del
satellite, che provoca collisioni e gravi danni al veicolo
spaziale, Frank e Hawk si dirigono verso il satellite in una
passeggiata spaziale rischiosa per attivare i razzi di propulsione
e rallentarne la decadenza orbitale. Hawk, gravemente malato, si
offre volontario per salire sul satellite e guidare l’operazione
finale, sapendo che potrebbe non sopravvivere, ma determinato a
realizzare il suo sogno di andare sulla Luna.
La
risoluzione del racconto avviene con il sacrificio eroico di Hawk,
che riesce a spingere il satellite lontano dalla Terra,
neutralizzando la minaccia nucleare. Intanto Frank, Tank e Jerry
affrontano il rientro della navetta, rischiando la loro sicurezza
ma applicando le tecniche sperimentali di Hawk per rallentare la
discesa e garantire un atterraggio sicuro. Il film chiude con
un’immagine suggestiva della Luna, mentre Hawk giace tra le rocce
dopo aver completato il suo ultimo volo, accompagnato dalla canzone
Fly Me to the Moon, che
suggella il tono epico e nostalgico dell’opera.
Il
finale del film sottolinea l’importanza del coraggio, della
dedizione e della capacità di affrontare sfide estreme, anche in
età avanzata o in condizioni sfavorevoli. Il sacrificio di Hawk
diventa simbolo di eroismo personale, ma anche della fiducia tra
compagni di squadra e della capacità di superare limiti fisici e
psicologici. La scena sulla Luna serve a ricordarci che il
raggiungimento di un sogno può richiedere scelte difficili, ma
lascia una traccia indelebile nella memoria e nella storia.
Dal punto di vista narrativo, il finale funziona come chiusura
epica della storia: tutte le tensioni accumulate durante il terzo
atto vengono risolte, il conflitto principale—la possibile
catastrofe nucleare—viene scongiurato e l’arco emotivo dei
personaggi trova soddisfazione, soprattutto per Frank che vede
realizzarsi l’impresa di Hawk. La combinazione di suspense, azione
e riflessione emotiva lascia allo spettatore un senso di
compimento, ma anche una dolce malinconia per il sacrificio
dell’eroe.
Cosa ci
lascia Space Cowboys
Il messaggio del film è
chiaro e universale: l’età non definisce il coraggio, l’esperienza
ha un valore inestimabile e il lavoro di squadra, unito alla
determinazione personale, può affrontare qualsiasi ostacolo.
Space Cowboys celebra la resilienza umana e la
capacità di realizzare sogni che sembrano impossibili, ricordandoci
che il vero eroismo non si misura solo dai risultati, ma anche dal
coraggio di affrontare rischi per il bene comune.
Sitcom fondamentale degli anni 2000,
Scrubs ha riscosso grande successo durante la sua
messa in onda, conclusasi nel marzo 2010 dopo nove stagioni. Il
cast era composto da attori già affermati come John C.
McGinley e giovani star come Zach Braff e la serie ha ricevuto il
plauso della critica durante le prime stagioni per l’umorismo
irriverente, il peso drammatico e le interpretazioni dei
protagonisti. Da quando è stato annunciato il revival di
Scrubs, ci sono state trattative con il cast
originale, con diversi membri principali che hanno accettato di
tornare, e ora è stata confermata un’altra aggiunta.
Secondo Deadline, Judy
Reyes, che ha interpretato l’infermiera Carla
Espinosa per otto stagioni della sitcom di successo,
tornerà nel reboot, riunendosi ai colleghi Zach
Braff, Donald Faison e Sarah
Chalke, che torneranno rispettivamente nei panni di John
“JD” Dorian, Chris Turk ed Elliot Reid. Si potrebbe obiettare che
Scrubs non è una serie che merita un reboot, e che la serie
originale era molto legata al suo tempo.
Tuttavia, se deve essere ripresa,
avere il maggior numero possibile di membri del cast originale a
bordo giocherà probabilmente un ruolo importante nel renderla il
più buona possibile. Il ritorno di Reyes significa dunque che un
altro membro del cast principale ha accettato di tornare, il che
suggerisce che le sceneggiature potrebbero essere piuttosto valide.
Riunire JD, Elliot, Carla e Turk regalerà agli spettatori una dose
di nostalgia e metterà in risalto l’intesa tra i protagonisti, che
è sempre stata un punto di forza della serie.
Le riprese della prima stagione
della serie Harry Potter di HBO,
che adatterà La Pietra Filosofale, sono ormai iniziate da
qualche settimana e le foto dal set hanno rivelato l’aspetto di
vari personaggi come
Rubeus Hagrid e
Ginny Weasley. I social media sono dunque stati inondati di
numerose reazioni, con i fan che analizzano se i realizzatori del
film stanno rimanendo fedeli ai libri come promesso.
Ora, sono emerse nuove foto dal set
hanno rivelato un’emozionante anteprima di uno dei personaggi
principali della storia. Wizarding World Direct su X ha infatti
condiviso un paio di foto (le si può vedere qui) di
Katherine Parkinson nei panni di Molly
Weasley. In questa scena, Molly indossa abiti con
motivi non abbinati, che danno un forte tocco “alla Weasley”, e ha
una borsa appesa alla spalla.
Anche se i suoi capelli sono
leggermente diversi da quelli di Julie Walters nei
film, il colore rosso dimostra che si integrerà perfettamente con
il resto della famiglia. Le foto dal set hanno però suscitato
reazioni contrastanti tra i fan che hanno risposto al post su X:
alcuni hanno apprezzato il fatto che Molly avrà un’età più vicina a
quella del personaggio del libro, mentre altri hanno criticato il
suo abbigliamento.
Cosa sappiamo della serie HBO
su Harry Potter
La prima stagione sarà tratta dal
romanzo La pietra filosofale e abbiamo già visto alcuni
altri momenti chiave del romanzo d’esordio di J.K. Rowling essere
trasposti sullo schermo. La prima stagione di Harry
Potter dovrebbe essere girata fino alla primavera del
2026, mentre la seconda stagione entrerà in produzione pochi mesi
dopo. Ogni libro dovrebbe costituire una singola stagione, il che
significa che avremo sette stagioni nell’arco di quasi un
decennio.
HBO descrive la serie come un
“adattamento fedele” della serie di libri della Rowling.
“Esplorando ogni angolo del mondo magico, ogni stagione porterà
‘Harry Potter’ e le sue incredibili avventure a un pubblico nuovo
ed esistente”, secondo la descrizione ufficiale. Le riprese
dovrebbero avere inizio nel corso dell’estate 2025, per una messa
in onda prevista per il 2026.
La serie è scritta e prodotta da
Francesca Gardiner, che ricopre anche il ruolo di
showrunner. Mark Mylod sarà il produttore
esecutivo e dirigerà diversi episodi della serie per HBO in
collaborazione con Brontë Film and TV e Warner Bros. Television. La
serie è prodotta da Rowling, Neil Blair e
Ruth Kenley-Letts di Brontë Film and TV, e
David Heyman di Heyday Films.
Come già annunciato, Dominic
McLaughlin interpreterà Harry, Arabella
Stanton sarà Hermione e Alastair Stout
sarà Ron. Il cast principale include John Lithgow
nel ruolo di Albus Silente, Janet McTeer nel ruolo
di Minerva McGranitt, Paapa Essiedu nel ruolo di
Severus Piton, Nick Frost nel ruolo di Rubeus
Hagrid, Katherine Parkinson nel ruolo di Molly
Weasley, Lox Pratt nel ruolo di Draco Malfoy,
Johnny Flynn nel ruolo di Lucius Malfoy,
Leo Earley nel ruolo di Seamus Finnigan,
Alessia Leoni nel ruolo di Parvati Patil,
Sienna Moosah nel ruolo di Lavender Brown,
Bertie Carvel nel ruolo di Cornelius Fudge,
Bel Powley nel ruolo di Petunia Dursley e
Daniel Rigby nel ruolo di Vernon Dursley.
Si avranno poi Rory
Wilmot nel ruolo di Neville Paciock, Amos
Kitson nel ruolo di Dudley Dursley, Louise
Brealey nel ruolo di Madama Rolanda Hooch e Anton
Lesser nel ruolo di Garrick Ollivander. Ci sono poi i
fratelli di Ron: Tristan Harland interpreterà Fred
Weasley, Gabriel Harland George Weasley,
Ruari Spooner Percy Weasley e Gracie
Cochrane Ginny Weasley. Warwick
Davis, già membro dei film per il cinema, riprenderà il
ruolo del professor Filius Vitious.
La serie debutterà nel 2027 su HBO e
HBO Max (ove disponibile) ed è guidata dalla showrunner e
sceneggiatrice Francesca Gardiner (“Queste oscure
materie”, “Killing Eve”) e dal regista Mark Mylod
(“Succession”). Gardiner e Mylod sono produttori esecutivi insieme
all’autrice della serie J.K. Rowling, Neil
Blair e Ruth Kenley-Letts di Brontë Film
and TV, e David Heyman di Heyday Films. La serie
di Harry Potter è prodotta da HBO in
collaborazione con Brontë Film and TV e Warner Bros.
Television.
Il film del 2022 Finale a
sorpresa – Official Competition (qui
la recensione) è una satira brillante del mondo del cinema
contemporaneo, diretta da Mariano Cohn e
Gastón Duprat, con protagonisti Penélope Cruz e Antonio Banderas. Il film racconta le vicende
di due attori ossessionati dalla perfezione e dalla competizione
sul set, alle prese con le dinamiche assurde e teatrali della
produzione di un film d’autore. Tra battute taglienti e situazioni
paradossali, la pellicola mette in luce il lato più grottesco e
surreale dell’industria cinematografica. Nel resto dell’articolo si
analizzerà il finale e si approfondiranno i temi principali del
film.
La trama di Finale a
sorpresa – Official Competition
Il film inizia con Humberto
Suárez (José Luis Gómez), un ricco uomo
d’affari ormai anziano che decide di produrre un film e lasciare
un’eredità duratura. Per questo incarica Lola
Cuevas (Penélope
Cruz), una celebre regista, di adattare un romanzo
vincitore del premio Nobel intitolato Rivalità. La storia
ruota attorno a un uomo che non riesce a perdonare il fratello per
aver ucciso i loro genitori in un incidente causato dalla guida in
stato di ebbrezza. Per interpretare i due fratelli, Lola decide di
ingaggiare Iván Torres (Oscar
Martínez), un attore teatrale snob e poco brillante, e
Félix Rivero (Antonio
Banderas), un attore hollywoodiano di grande successo,
che forse non è così abile nell’arte della recitazione.
Entrambi apportano il proprio punto
di vista nell’affrontare i rispettivi ruoli. Iván prepara un’intera
storia per il suo personaggio per giustificare il suo stato
mentale. Félix crede che, come attore, si debbano recitare i
dialoghi in modo abbastanza convincente da far credere al pubblico
alla finzione e inventare le proprie storie. Le loro due
personalità contrastanti si scontrano, mentre Lola continua con il
suo approccio registico micro-gestionale. Dà a entrambi gli attori
un feedback approfondito sulle loro performance, li fa ripetere le
battute fino a quando non la soddisfano e arriva persino a usare un
esperimento pratico, tenendo un masso sopra di loro con una gru per
far loro sentire la tensione della scena.
Antonio Banderas, Penelope Cruz e Oscar Martínez in Finale a
sorpresa – Official Competition
Più tardi, distrugge tutti i premi
che hanno ricevuto con un trituratore industriale. I tre artisti
cercano di coesistere, nonostante i loro diversi metodi, per
portare sullo schermo una visione unitaria. Poiché Iván continua a
sminuirlo, Félix decide di vendicarsi. Rivela la sua diagnosi di
cancro al pancreas e afferma di voler fare di Rivalità il
suo ultimo capolavoro prima di morire. La notizia sconvolge Lola,
che si preoccupa di come concludere le riprese se Félix morirà
entro un anno. Iván, però, la consola offrendosi di interpretare
entrambi i ruoli.
Poco dopo, Félix rivela però di aver
mentito sulla sua diagnosi per farsi rispettare le sue capacità
recitative. Félix è orgoglioso di quanto sia facile ingannarli con
la sua recitazione. Iván lo applaude per essere riuscito a
convincerli di questa bugia e dice di invidiare la capacità di
Félix di raggiungere un pubblico così vasto. Ma in seguito, Iván
confessa di aver mentito anche lui e definisce il lavoro di Félix
un intrattenimento superficiale e banale, fatto per la maggioranza
che si nutre di trucchi così scontati. La loro continua battaglia
tra ego fa dunque infuriare Lola, che decide di prendersi una pausa
per dimostrare la sua importanza come regista.
Alla fine, arrivano alla scena
finale del loro film, dove il personaggio di Félix uccide quello di
Iván per vendetta e finge di essere lui. Subito dopo questa
rappresentazione, Humberto organizza una festa per commemorare
l’inizio della produzione del film. In quest’occasione, uno scontro
tra i due attori porta ad un drammatico risvolto: Félix spinge Iván
giù dal tetto dell’abitazione, apparentemente uccidendolo. A questo
punto Félix si nasconde per salvarsi da ogni accusa. Più tardi,
esce per consolare la moglie di Iván. Lola, però, se ne accorge e
capisce che Félix sta solo recitando.
Mentre Iván rimane in coma in
ospedale, Félix interpreta il ruolo dei fratelli (come proposto da
Iván in precedenza). Il film viene presentato a un festival
cinematografico, dove Félix viene elogiato per la sua
interpretazione durante la sessione di domande e risposte che segue
la proiezione. Mostra preoccupazione per il suo ex co-protagonista
Iván e dice che avrebbe voluto che fosse stato nel film. Tuttavia,
Lola risponde alle domande della stampa con poche parole e non si
lascia andare a rivelazioni sul “significato più profondo o sul
legame” dietro al film.
Antonio Banderas e Oscar Martínez in Finale a sorpresa – Official
Competition
La spiegazione del finale del
film
Dopo aver dedicato del tempo a
delineare lentamente le personalità dei singoli personaggi, il
finale tralascia a questo punto diversi dettagli. Mentre Iván è in
coma, Félix approfitta della sua assenza per costruire la propria
opera e ottenere la rispettabilità artistica che ha sempre adorato.
L’idea di assegnargli entrambi i ruoli sembra essere venuta a Lola,
dato che Iván le aveva presentato questa idea in passato. Inoltre,
lei non sembra il tipo di persona che vorrebbe sprecare qualsiasi
opportunità le si presenti. Quindi, raggiunge il suo obiettivo
finale: realizzare il film in un modo o nell’altro.
Il gioco di ruoli che si ritrova nei
personaggi di Iván e Félix rispecchia le loro vite reali, dove Iván
assume la vita di Félix dopo la sua uscita di scena. Poiché
l’aspetto meta è piuttosto evidente, Lola si rifiuta di
commentarlo. Forse perché attirerebbe inutili polemiche o perché
vuole smettere di discutere di ciò che è successo (e considerarlo
l’ispirazione dietro il suo lavoro). Nel montaggio finale, il film
affronta essenzialmente un unico tema: la vita continua.
Huberto continua a curare la sua
immagine pubblica di multimilionario e inaugura un ponte che ha
finanziato. Félix continua a ottenere grandi ruoli nonostante le
sue limitate capacità recitative e non presta attenzione al suo
passato. Poiché nessuno lo scopre nella sua menzogna (a parte
Lola), ciò rafforza il punto di vista di Iván: le persone credono
ai trucchi economici della sua recitazione. Nonostante la sua
eccellenza artistica, Iván continua a desiderare il riconoscimento
e la vendetta per ciò che Félix gli ha fatto.
Mentre rivela i loro progressi, Lola
rompe la quarta parete per chiederci quando il film finisce
veramente per noi. Anche quando i titoli di coda scorrono,
invitandoci a lasciare la sala, i nostri pensieri e le nostre idee
continuano a ronzarci nella testa. Quindi la pioggia immediata di
premi, riconoscimenti o amore non determina necessariamente la vita
di un film. Dipende anche dalla sua longevità. In sostanza, ci fa
riflettere su come giudichiamo l’arte e su cosa basiamo i nostri
giudizi. È solo la valutazione critica? È un premio a un festival
cinematografico o un successo al botteghino? La natura aperta del
suo monologo ci porta a riflettere su questo aspetto.
Antonio Banderas, Penelope Cruz e Oscar Martínez in Finale a
sorpresa – Official Competition
La spiegazione dei temi di
Finale a sorpresa – Official Competition: l’ego
degli artisti
L’elemento del temperamento
artistico viene dunque ripetutamente indagato e discusso per tutta
la durata del film. Sia Félix, affermato nel mainstream, sia Iván,
purista, si preoccupano eccessivamente di come vengono percepiti e
se gli altri li rispettano. Quando Félix si procura una piccola
contusione, crea un dramma inutile come se fosse un incidente
mortale. Quando Iván decide di arrivare in ritardo sul set perché
Félix ha potuto farlo, anche lui agisce in base al suo ego.
Entrambe le loro azioni
rappresentano i capricci che gli attori/artisti mettono in atto,
spesso per aumentare il loro valore agli occhi degli altri. Oltre a
loro, anche il temperamento artistico di Lola diventa evidente. Il
suo stile di regia appare intensamente invasivo. Questo perché
controlla minuziosamente ogni piccolo dettaglio affinché il lavoro
prenda vita esattamente secondo la sua visione. Ciò fa infuriare
gli attori, poiché il suo metodo influisce sul loro stile
recitativo. Il film crea gran parte del suo “dramma” attraverso lo
scontro tra gli ego di tutti questi individui nel mondo
dell’arte.
La vita imita l’arte e
viceversa
Il casting di Félix e Iván sembra
intenzionale, poiché rispecchiano le lotte emotive dei loro
personaggi. Gli attori sembrano fratelli estraniati che litigano
per il loro amore per la recitazione, proprio come i loro
personaggi litigano per il loro amore verso i genitori. Come
spiegato in precedenza, l’aspetto di prendere il posto del fratello
nell’ultima scena delle prove (e del film) appare nella vita reale
di questi attori, rafforzando ulteriormente l’aspetto meta di
questa commedia nera.
HBO ha confermato la data di uscita
di IT:
Welcome to Derry. La serie in arrivo è un prequel del
film
IT del 2017 e del suo sequel, IT –
Capitolo due del 2019 e sarà incentrata su un altro gruppo
di ragazzi che affrontano Pennywise il Clown circa 27 anni prima
che il Club dei Perdenti combattesse per la prima volta il
mostruoso cattivo. Fino ad oggi sapevamo che la serie sarebbe
arrivata nel corso di “ottobre 2025”. Ora, l’account X di HBO Max ha
finalmente annunciato che IT: Welcome to Derry
sarà trasmesso per la prima volta il 26 ottobre 2025.
Successivamente, i restanti nove episodi della serie saranno
trasmessi settimanalmente.
La serie, prodotta dalla Warner
Bros. Television e sviluppata per la televisione dai registi
Andy Muschietti e Barbara
Muschietti(IT,
The
Flash) e Jason Fuchs (Wonder
Woman), debutterà su HBO e sarà disponibile in streaming in
Italia grazie a Sky. Muschietti dirigerà quattro episodi della
serie di nove episodi. Bill Skarsgård ha descritto IT:
Welcome to Derry come “piuttosto hardcore” e ha
ammesso di aver avuto qualche esitazione nel riprendere quello che
è diventato forse il suo ruolo più iconico.
“In un certo senso, mi sentivo
come se avessi chiuso con quel personaggio. Era anche perché stavo
girando [Nosferatu], stavo interpretando Orlock e, per me, era come
se fosse ‘l’ultimo chiodo nella bara dei miei ruoli da
mostro’“, ha spiegato. ”Quindi mi sentivo come se avessi
chiuso con quella parte e volessi fare cose diverse. Naturalmente,
anche la cosa di Pennywise mi ha definito in modo piuttosto netto.
Pensavo: ‘Quello è il me stesso ventiseienne’. Non sono più un
ragazzo giovane“.
“Poi le cose sono cambiate.
Barbara e Andy, i Muschietti, lo stanno realizzando. Li adoro. Sono
amici molto cari. Anzi, sono come una famiglia. Sono il padrino di
suo figlio. Quindi li adoro, e ho pensato: ‘Va bene, riportiamolo
in vita’”. Skarsgård ha aggiunto: “È stato divertente. Mi
è piaciuto più di quanto pensassi, in realtà. Ci sono parti in cui
abbiamo potuto esplorare lati di Pennywise che non avevamo mai
visto, ed è divertente. Mi sono ricordato quanto mi è piaciuto
lavorare con Andy, e ci divertiamo molto insieme. Penso che ci
siano alcune cose interessanti che non abbiamo ancora visto e che
spero il pubblico apprezzerà e si divertirà a guardare“.
Ambientata nell’universo di
IT di Stephen King, la serie è
basato sul romanzo e amplia la visione creata dal regista
Andy Muschietti nei film
IT – Parte 1 e IT – Parte
2. Il cast è guidato da Taylour Paige,
Jovan Adepo, Chris Chalk,
James Remar, Stephen Rider,
Madeleine Stowe, Rudy Mancuso e
Bill Skarsgård. È stato anche confermato che
IT: Welcome to Derry sarà trasmesso per la prima
volta questo ottobre, il che significa che dovremmo tornare a Derry
in tempo per Halloween.
È stato pubblicato il primo
sanguinoso trailer della prossima serie animata Disney+Marvel
Zombies. La serie di quattro episodi uscirà il 24
settembre e sarà la prima serie animata vietata ai minori della
Marvel. Lo show è inizialmente nato
come episodio della Stagione 1 di What If…
? che ha reimmaginato l’universo Marvel come un
incubo zombificato. Personaggi dell’MCU come Ms.
Marvel, Kate Bishop, Jimmy
Woo, Yelena Belova,
Okoye, Capitan America,
Wanda Maximoff, Namor,
Abominio e molti altri ricompaiono ora in
Marvel Zombies.
Nell’episodio di What If…
?, intitolato “E se… Zombie?”, gli Avengers e
quasi tutto il mondo vengono infettati da un virus zombie che
Janet van Dyne porta dal Regno Quantico. Le prime
vittime sono suo marito Hank Pym, seguito da sua
figlia Hope van Dyne, alias Wasp,
e Scott Lang, alias Ant-Man.
Molti degli altri Vendicatori si trasformano poi in cadaveri
mangia-cervelli, come Iron Man, Doctor
Strange, Wong, Occhio di
Falco, Falcon e Wanda
Maximoff.
Sempre in quell’episodio, una
squadra di umani, tra cui Wasp,
Spider-Man, Winter Soldier,
Hulk, Sharon
Carter, Okoye e la testa parlante di
Ant-Man in un barattolo, deve quindi sfuggire
all’assalto degli zombie. Alla fine, molti dei sopravvissuti
muoiono e Hulk si sacrifica per fermare una zombie Wanda
superpotente che ha poteri magici grazie alla Gemma della Mente.
Gli umani fuggono a Wakanda, ma un cliffhanger anticipa che uno
zombie Thanos ha quasi completato il Guanto
dell’Infinito.
In Marvel Zombies,
dunque, dopo che gli Avengers sono stati sopraffatti da un’epidemia
zombie, un gruppo di sopravvissuti disperati scopre la chiave per
porre fine ai non morti dotati di superpoteri, correndo attraverso
un paesaggio distopico e rischiando la vita per salvare il loro
mondo.
Il trailer è innegabilmente folle e
presenta Namor e Scarlet Witch
come i grandi cattivi dello show. Viene anche
mostrato Blade mentre fa buon uso dei poteri
di Moon Knight quando affetta e fa a pezzi
Ghost, mentre Spider-Man usa la sua ragnatela per
strappare le teste di un intero gruppo di non morti
mangia-cervelli.
Il creatore di “The Walking
Dead” Robert Kirkman ha originariamente
ideato Marvel Zombies come serie a fumetti nel
2005, ambientata in un universo alternativo popolato da zombie. La
serie animata è invece stata realizzata da Bryan
Andrews e Zeb Wells. I produttori
esecutivi sono Kevin Feige, Louis D’Esposito, Brad Winderbaum,
Dana Vasquez-Eberhardt, Bryan Andrews e Zeb
Wells, mentre i produttori sono Danielle
Costa e Carrie Wassenaar.
Mentre la Fase 6 è appena iniziata
quest’estate con I Fantastici Quattro: Gli Inizi,
solo una manciata di film e serie TV rimangono nella Saga del Multiverso, che si concluderà
nel 2027. La Marvel Studios sta attualmente
lavorando al grande team-up che vedrà il franchise affrontare il
Dottor Destino interpretato da Robert Downey Jr., dato che Victor von Doom
sta finalmente facendo il suo debutto nell’MCU. Con diversi
personaggi di ritorno confermati per l’installazione, i dettagli
sulla trama generale sono ancora tenuti segreti. In un nuovo
articolo di Variety, Channing Tatum ha rilasciato un’intervista
mentre era infortunato, rivelando di essersi fatto male durante le
riprese di Avengers:
Doomsday a Londra.
Mentre veniva utilizzato per i primi
piani e doveva stare in panchina mentre la sua controfigura
eseguiva le acrobazie più impegnative, Tatum ha condiviso quanto
segue sul suo ritorno nel 2026: “Avevamo tantissime altre
riprese tra cui un “grande combattimento” con il Dottor Destino
interpretato da Robert Downey Jr.. Inoltre non avrò un
accento cajun esagerato. I registi Anthony e Joe Russo vogliono che
le cose siano divertenti, ma non vogliono fare come in Deadpool.
Vogliono mantenere il dramma e renderlo intenso. Quando Gambit
diventa serio, quando si toglie la maschera di Mardi Gras, le cose
contano davvero“.
Tatum, lo ricordiamo, ha debuttato
nel ruolo di Remy LeBeau nel film Deadpool &
Wolverine del 2024, dove Wade Wilson e Logan lo scoprono
come uno degli eroi caduti nel Vuoto alla fine del tempo. Channing Tatum è stato poi uno dei numerosi
attori annunciati per il film del 2026 durante una diretta
streaming a sorpresa della Marvel Studios tenutasi nel marzo 2025.
Nonostante il tragico infortunio di Tatum, dai suoi commenti
risulta chiaro che il suo ruolo nel cast di Avengers: Doomsday non verrà
necessariamente eliminato né ridotto dal punto di vista
narrativo.
L’impatto maggiore sarà sicuramente
sul lavoro più impegnativo, come le scene acrobatiche, dove
naturalmente dovrà sostituirlo una controfigura. È però logico che
stiano adottando un approccio diverso al personaggio per
questo film, che avrà inoltre un accento meno marcato. Mentre il
suo debutto nel 2024 è stato caratterizzato da momenti seri, la
prossima apparizione dell’attore farà parte di una storia
significativamente più cupa e ricca di colpi di scena. Inoltre, è
di particolare interesse la conferma che ci sarà una grande
battaglia tra Avengers e Dottor Destino, che idealmente richiamerà
per proporzioni quella contro Thanos vista in Avengers: Endgame.
Ridley Scott anticipa il suo prossimo film
post-apocalittico, rivelando che potrebbe essere il migliore della
sua lunga carriera cinematografica. Ora ottantasettenne, Scott
rimane attivo come sempre come regista, avendo realizzato Il
Gladiatore II lo scorso anno e film come Napoleon
(2023) e House of
Gucci (2021) prima ancora.
Scott, tuttavia, rimane ancora
famoso soprattutto per i suoi primi lavori come il primo Alien
(1979) e Blade Runner (1982), con Thelma & Louise
(1991) che ha ottenuto anche il plauso della critica. Durante la
fase centrale della sua carriera, Scott ha poi realizzato film di
successo come Il gladiatore (2000) e Black Hawk Down
(2001).
Negli ultimi due decenni, ha invece
continuato a realizzare film con regolarità, ottenendo riscontri
alterni. Prometheus
(2012) e Alien:
Covenant (2017), ad esempio, hanno segnato il suo tanto
atteso ritorno alla saga di Alien, ma la risposta del pubblico è
stata contrastante. The
Martian (2016), invece, è stato un successo
indiscutibile.
I tre film più recenti di Ridley Scott, citati in apertura, hanno però
avuto difficoltà con il pubblico e la critica, con la risposta a
Il
Gladiatore II più tiepida rispetto all’originale. Al
momento, il suo prossimo lavoro è The Dog Stars, basato sull’omonimo
romanzo di Peter Heller del 2012, per cui si punta
a un’uscita nel marzo 2026.
Il film è ambientato all’indomani di
una devastante pandemia e segue un uomo di nome Hig (Jacob
Elordi) mentre attraversa un paesaggio
post-apocalittico con il suo cane e un misterioso pistolero alla
ricerca dell’origine di una trasmissione radio. Durante una recente
intervista con Dazed, Scott approfondisce
The Dog
Stars e ciò che contraddistingue il progetto,
affermando: “Quello che ho appena completato, The Dog
Stars, ha avuto riprese durate 34 giorni”.
“È veloce come una serie TV, ma
forse è il mio miglior film. Ogni film è una scoperta di chi sei e
delle scelte che fai sugli attori. Prima di parlare con qualcuno,
guardo tutto quello che ha fatto. Ho scelto Jacob Elordi, Margaret Qualley, Guy Pearce e Josh Brolin.
Spesso, la cosa in cui sono più bravo è il casting. Se sono
disponibili, di solito li prendo“.
Cosa aspettarsi da The Dog
Stars di Ridley Scott
L’accoglienza riservata al romanzo
The Dog Stars è stata generalmente positiva, il
che significa che l’adattamento cinematografico poggia su basi
relativamente solide. Tuttavia, le ultime dichiarazioni di Scott
suggeriscono anche che il regista spera che il film possa porre
fine alla sua serie di insuccessi in termini di accoglienza da
parte della critica.
Il
Gladiatore II e Napoleon
erano molto attesi, ma nessuno dei due ha riscosso un grande
successo. Su Rotten Tomatoes, il primo ha ottenuto un tiepido 70%,
mentre il secondo solo il 58%. Il suo film precedente, House of
Gucci, ha ottenuto il 61%. Nessuno di questi punteggi è
terribile, ma indicano che questi film recenti non sono riusciti a
suscitare grande interesse.
Essendo un film d’azione e
fantascientifico, un genere che tradizionalmente non ha mai
riscosso grande successo agli Oscar, non è chiaro se The
Dog Stars riuscirà a lasciare il segno. Il film, tuttavia,
potrebbe comunque avere successo presso il pubblico e la critica,
consolidando ulteriormente Scott come uno dei grandi registi di
Hollywood, specialmente considerando la sua predisposizione per
questi generi. Per adesso, sappiamo che nel cast, oltre a Elordi,
ritroveremo Josh Brolin, MargaretQualley,
Guy Pearce e Benedict Wong.
Albert Camus,
chiamato a sintetizzare il senso del suo romanzo più celebre,
scriveva: «Qualsiasi uomo che non piange al funerale di sua
madre rischia di essere condannato a morte». Con questa frase
si entra subito nel cuore de L’Étranger, opera cardine della letteratura del
Novecento, che François Ozon ha scelto di adattare
e presentare in concorso a Venezia 82. Una sfida
enorme, considerato che ogni lettore si è già costruito un suo
Meursault interiore, e che dal 1967 – anno del
film di Luchino Visconti con Marcello Mastroianni – nessun
altro regista aveva più tentato un confronto diretto con il
testo.
Meursault, l’uomo assente
Algeri, 1938. Meursault è un impiegato qualunque,
con un reddito appena sufficiente a vivere. Sua madre muore in un
ospizio, e lui assiste al funerale senza versare una lacrima. La
sua schiena drittissima, lo sguardo fisso e inafferrabile lo
rendono un corpo estraneo persino al dolore condiviso. Gli altri
piangono, ma lui resta impenetrabile, incapace di compiere un gesto
di vicinanza persino verso chi, affaticato, rimane indietro nel
corteo. È il primo segno di un’incolmabile distanza: la vita
scorre, ma Meursault sembra non appartenere a nulla.
Il
giorno dopo si lascia trascinare in una relazione casuale con
Marie, e nella vita quotidiana che sembra scivolare via senza
scosse. Ma l’incontro con il vicino Raymond lo porterà a
invischiarsi in dinamiche violente, fino a un omicidio assurdo,
compiuto su una spiaggia abbagliante. «Ho ucciso un
arabo» dirà, in quella che Camus trasformava in una
condanna esistenziale più che giudiziaria.
Ozon tra fedeltà e tradimento
Ozon affronta il romanzo di
Camus consapevole che ogni adattamento è, inevitabilmente, un
tradimento. Sceglie di essere fedele alla lettera nella prima
parte, che mette in scena quasi senza parole, con un ritmo lento e
sensoriale: funerali, giornate ripetitive, caldo insopportabile. Il
silenzio diventa linguaggio, la fisicità sostituisce
l’introspezione. La seconda parte, quella del processo e del
carcere, era per il regista la più temuta, perché è lì che il
romanzo diventa filosofia pura, flusso di coscienza. Il film opta
allora per una resa corporea, fisica, cercando di restituire le
vibrazioni interiori più che i discorsi razionali.
Il
regista inserisce anche un elemento nuovo: l’uso di immagini
d’archivio per contestualizzare l’Algeri coloniale degli anni ’30.
Non potendo girare in Algeria per ragioni politiche, sceglie di
restituirne comunque la presenza, la bellezza e la tensione. Così,
l’estraneità di Meursault diventa anche quella di un francese in
mezzo a un popolo dominato: un borghese che guarda, che non
partecipa, che alla fine commette un atto irreversibile e
inspiegabile.
Un protagonista enigmatico
Il
Meursault di Benjamin Voisin è il cuore del film:
corpo rigido, volto impenetrabile, assenza che si fa presenza
scenica. Come spiegava lo stesso attore, interpretare un
personaggio che “fa quasi nulla” è paradossalmente
uno sforzo fisico estenuante. L’interpretazione, vicina al modello
bressoniano di “attore come figura”, evita ogni psicologismo e
restituisce un uomo che osserva, consuma piccoli gesti quotidiani,
e non mente mai, nemmeno quando dovrebbe. È proprio questa
sincerità radicale a renderlo incomprensibile agli occhi della
società.
Accanto a lui, il film lavora sui personaggi femminili – in primis
Marie – che diventano un controcanto alla
tossicità maschile di figure come Raymond Sintès o
Salamano. Una scelta che amplia il romanzo,
introducendo una sensibilità contemporanea senza snaturarne la
sostanza.
Un film che interroga ancora oggi
Guardando L’Étranger di Ozon, si percepisce come
l’assurdo descritto da Camus non sia invecchiato. Meursault resta
un enigma, ma anche un individuo che rifiuta di giocare la partita
sociale, pagandone il prezzo più alto. Il film non ha l’ambizione
di risolvere il mistero del personaggio: preferisce abitarlo,
restituendo lo straniamento e la sensazione di un mondo che non
offre più appigli.
Con qualche lentezza e con un secondo atto forse leggermente meno
incisivo del primo, L’Étranger non raggiunge sempre la stessa
potenza visiva ed emotiva, ma conferma il coraggio di Ozon nel
confrontarsi con un classico incandescente, scegliendo la strada
della sottrazione e dell’opacità.