Durante un’intervista con MTV News, a
Chris Evans è stato chiesto la sua opinione su
Captain Carter di Hayley Atwell vista in Doctor Strange nel Multiverso della Follia.
Evans ammette di non aver visto il film di Sam
Raimi, ma si è speso in grandi elogi per la collega, con
cui ha lavorato diverse volte nel corso della sua presenza nel
MCU.
“Non ho ancora visto
[Doctor Strange nel
Multiverso della Follia], ma l’ho sentito, ho sentito
che c’è anche lei. Voglio dire, è perfetta per questo… È davvero
una delle migliori attrici con cui abbia mai lavorato e uno degli
esseri umani più adorabili. Quindi, non potrei essere più felice
per lei.”
Ricordiamo che il personaggio ha
esordito nel primo episodio di What If…? per poi palesarsi in carne e ossa,
anche se solo per una breve scena, in Doctor Strange nel Multiverso della
Follia. Speriamo che il suo
futuro le consenta di riportare, al cinema o in tv, sia il Capitano
che l’Agente Carter.
La sceneggiatura del film porterà la
firma di Jade
Bartlett e Michael Waldron.
Oltre a Cumberbatch e Olsen, nel sequel ci saranno
anche Benedict
Wong (Wong), Rachel
McAdams(Christine
Palmer), Chiwetel
Ejiofor (Karl Mordo) e Xochitl
Gomez (che interpreterà la new entry America Chavez).
Nel cast è stato confermato anche Patrick Stewart nel ruolo di Charles Xavier.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia è
al cinema dal 4 maggio 2022. Le riprese sono
partite a Londra a novembre 2020 e avranno luogo anche a New York,
Los Angeles e Vancouver. Nel sequel dovrebbe apparire in un cameo
anche Bruce Campbell, attore feticcio
di Sam Raimi. Al momento, però, non esiste
alcuna conferma in merito.
Dopo aver preso una pausa dal mondo
dell’orrore con Doctor
Strange (2016), Derrickson torna nella sua comfort zone con un
lungometraggio intrigante e angoscioso. Collaborando nuovamente con
Ethan
Hawke (Sinister), il
regista mette in piedi una storia che fa tremare ma che è anche in
grado di coinvolgere chi non ha troppa confidenza con il mondo
dell’orrore.
Black Phone: la
trama del film horror
L’ordinarietà all’inizio di
Black Phone è di per sé già uno scenario
spaventoso, ma il film scende ancora più in basso. Finney
Shaw è un timido ragazzino di 13 anni. Vive con il padre
violento e la sorellina minore Gwen nella provincia
americana. La loro cittadina, apparentemente tranquilla, è in
realtà lo scenario in cui si muove un misterioso rapitore di
ragazzini: The Grabber (Ethan
Hawke). Dopo la scomparsa di un paio di compagni di
scuola, anche Finney resta vittima del serial killer.
Rapito in pieno giorno, Finney viene rinchiuso in un
seminterrato semivuoto: una piccola finestra, un materasso e un
telefono disconnesso sono tutto ciò che The
Grabber ha lasciato nella stanza. Sorprendentemente, il
telefono inizia a suonare: attraverso esso, Finney riesce
ad avere conversazioni ultraterrene con le precedenti vittime
dell’assassino.
I suggerimenti ricevuti attraverso
il telefono e i sogni mistici della sorellina di Finney
sembrano essere le uniche strade percorribili per tentare il
disperato salvataggio del ragazzo prima che The
Grabber scateni la sua ira…
Il sovrannaturale come unica
opzione
Black Phone
mostra una corsa paranormale contro il tempo. Inizialmente, i
collegamenti con l’ultraterreno di Finney e Gwen
vengono sminuiti dagli adulti, soprattutto dal loro padre
alcolizzato e violento (Jeremy Davies).
Gradualmente però, la polizia si rende conto che la razionalità
utilizzata nell’indagine non riesce a comprendere l’assurdità dei
rapimenti di The Grabber. Sono proprio le forze
dell’ordine a chiedere aiuto a Gwen e a fare appello ai
suoi sogni paranormali. Per quanto assurda, la strada percorsa dai
due fratellini diventa minuto dopo minuto l’unica realmente utile
alle indagini.
Angoscia e paura, ma non solo
Di base, il film ha una
trama sostanziosa. Tratto dal racconto The Black Phone di
Joe Hill (il figlio del celebre scrittore Stephen
King), il lungometraggio non è il classico
jump stare movie privo di senso e costruito solo
su scene ”da brividi”. Ci sono in Black
Phone una serie di momenti spaventosi che gli
amanti dell’horror apprezzeranno, ma in sostanza il film è un
thriller
intrigante e coinvolgente. L’angoscia dilagante è generata
principalmente dalla storia di base e gli attimi terrificanti sono
delle aggiunte centellinate e ben dosate. Per questo motivo, il
film può essere apprezzato da un pubblico ampio e variegato.
La recitazione eccellente del cast
di Black Phone
Un complimento al cast del film è
necessario.
Ethan Hawke(Rapina
a Stoccolma,
Moon Knight), per la maggior parte del tempo nascosto
dietro ad una maschera, è perfetto nella parte dello psicopatico
killer bipolare. Non potendo usare il proprio volto, Hawke si serve della voce e del corpo per
generare angoscia nelle sue vittime come nello spettatore.
Muovendosi nell’ombra e sussurrando con voce falsamente
accomodante, l’attore riesce benissimo a creare un’atmosfera tesa.
Finney e il pubblico sanno che la bestia dentro di lui
potrebbe esplodere da un momento all’altro e, proprio per questo,
hanno una paura folle.Oltre al grande nome dietro
al carnefice al centro del film, i due giovani interpreti non sono
da meno. Mason Thames (Finney)
riesce bene nella parte del ragazzino timido e insicuro, sensibile
e per questo bullizzato. Vedere la trasformazione del personaggio
in una situazione ai limiti della sopravvivenza è davvero
avvincente. Non è da meno Madeleine McGraw, la
giovane attrice che interpreta Gwen Shaw: il suo
personaggio è forse quello più stratificato, alle prese con un
padre violento, dei sogni ingombranti e un fratello scomparso. Su
di lei gravano tutte le pressioni degli adulti attorno. L’emotività
della ragazzina viene resa perfettamente dall’attrice, in grado di
passare dal riso al pianto senza mai sembrare forzata. In generale,
gli interpreti più giovani sono la nota di vanto del film.
Un’ambientazione retrò
Black Phone è
un film piacevole da vedere anche a livello di estetica. C’è uno
stile riconoscibile all’interno delle varie scene. Il direttore
della fotografia Brett Jutkiewicz sceglie
un’ambientazione vintage dalle tinte ocra e grigie che si dimostra
lo scenario ideale per una storia di paura. Sicuramente, la
collaborazione con Blumhouse,
noto marchio del genere horror, ha dato la spinta giusta in termini
di immagini ben costruite. Niente sembra troppo finto o
assurdo.
In conclusione, Black
Phone è un film horror che si distingue nel panorama
attuale. Staccandosi dallo stereotipo del film a basso budget,
costruito su carneficine e grida, il regista riesce a generare
angoscia in modo autentico: attraverso una storia da brividi che,
per molti aspetti, risulta plausibile e reale. La paura scaturisce
dalle scene senza essere forzata. Fin dai titoli di testa, Derrickson
rende perfettamente l’idea alla base del film: anche
nell’ordinarietà quotidiana, possono nascere situazioni da
panico.
Amuka, il documentario diretto
da Antonio Spanò, mostra uno spaccato della vita
quotidiana dei contadini congolesi. Il
film, presentato al Festival Cinema e Ambiente di Avezzano, porta
luce sulla contraddittorietà di un paese rigoglioso e povero.
Amuka – Il
Risveglio dei Contadini Congolesi
”Il Congo potrebbe nutrire 3
miliardi di persone ogni anno. Oggi 13 milioni di congolesi
soffrono la fame.” Amuka segue la vita di alcuni contadini e
allevatori congolesi: ad ogni soggetto e ad ogni storia viene
dedicato un capitolo. Ci sono produttrici di olio di palma,
allevatori di bovini, chi possiede piantagioni di caffè. Tutti i
protagonisti del documentario vivono in un paradosso: hanno a
disposizione le materie prime, ma non dispongono dei mezzi e degli
acquirenti necessari per sfruttarle fino in fondo. Molte delle
industrie occidentali presenti nel paese fino a qualche anno fa,
hanno abbandonato la produzione in Congo a causa delle continue
crisi di governo. Al momento infatti, buona parte della popolazione
vive ai limiti della povertà e, per quanto disposta a reinventarsi
a e lavorare, sembra avere poche possibilità per migliorare le
proprie condizioni di vita.
Uno spaccato amaro e diretto del
Congo
Antonio Spanò
propone un ritratto della situazione economica e politica attuale
del Congo. In Amuka, fa parlare la popolazione
locale: prende i casi singoli e, attraverso i loro nomi e le loro
storie, parla di una condizione generale che opprime l’intero
paese. Le immagini illustrano la vita quotidiana dei contadini e
degli allevatori. Uomini e donne di tutte le età, lavoratori del
presente e del passato, tutti prendono parola e contribuiscono al
film.
Immagini vere e riprese
sporche
Il
racconto che viene fatto è estremamente sincero. I dialoghi
originali e spontanei tra i contadini – Spanò
evita di inquadrare l’intervistatore – danno l’impressione di
catapultarsi all’interno di una quotidianità non costruita.
Inoltre, i colori dominano il documentario: dagli abiti ai
paesaggi, c’è la sensazione di immergersi in un mondo che può
offrire tanto. La rigogliosità delle immagini è in contrasto con la
povertà che si scaturisce dalle scene e che si sente nei dialoghi:
i prezzi bassissimi dei prodotti, le discussioni sui costi della
forza lavoro, le difficoltà per trovare un acquirente fanno
riflettere sulla stasi economica del paese.
In conclusione,
Amuka è un
documentario ben fatto che non vuole mostrare in modo acritico
la vita esotica di un popolo a noi lontano. Al contrario, sceglie
di veicolare una protesta sulla condizione dei contadini congolesi
attraverso immagini potenti. Le storie
singole si uniscono alla
storia del paese, il paesaggio si mescola ai luoghi abitati,
portando sulla scena le diverse sfumature di un paese che, se ben
sfruttato, potrebbe offrire tanto.
Lo sceneggiatore e regista canadese
premio Oscar Paul Haggis è stato arrestato a Ostuni, con
l’accusa di violenza sessuale e lesioni personali aggravate
presumibilmente inflitte a una donna ancora non identificata che ha
sporto denuncia.
Secondo numerosi resoconti e una
nota della Procura di Brindisi, Haggis è accusato di aver costretto
una giovane donna straniera ad avere rapporti sessuali nel corso di
due giorni ad Ostuni, mentre doveva tenere diverse masterclass
all’Allora Fest, che si terrà a Ostuni dal 21 giugno al 26
giugno.
Silvia Bizio, organizzatrice
dell’evento, ha confermato a Variety che Paul
Haggis è in arresto. In una dichiarazione di Allora Fest
ha affermato di aver “appreso con sgomento e shock la notizia
che Paul Haggis è in custodia per presunte violenze”.
I direttori del festival “hanno
immediatamente provveduto a rimuovere qualsiasi partecipazione del
regista dall’evento” e “allo stesso tempo, esprimono piena
solidarietà alla donna coinvolta”, hanno aggiunto. “I temi
scelti per il festival sono, tra gli altri, quelli
dell’uguaglianza, dell’uguaglianza di genere e della solidarietà.
In quanto professionisti e donne, sono costernate e sperano che il
festival contribuisca a promuovere maggiori informazioni e
consapevolezza su una questione così attuale e sempre più
urgente”, ha proseguito la nota.
Secondo un rapporto della polizia,
la presunta vittima, dopo essere stata aggredita, è stata portata
da Paul Haggis all’aeroporto di Brindisi e lì è
partita domenica mattina alle prime luci dell’alba, nonostante le
sue “precarie condizioni fisiche e psicologiche”.
In aeroporto la donna, che versava
in uno “stato di confusione” è stata assistita dal personale
aeroportuale e dalla polizia di frontiera che, dopo averle prestato
i primi soccorsi, l’ha accompagnata negli uffici della squadra
mobile di polizia. Gli agenti di polizia hanno poi portato la donna
all’ospedale A. Perrino di Brindisi, dove è stato messo in atto il
cosiddetto “protocollo rosa” per le vittime di stupro.
Successivamente, la donna ha sporto formale denuncia contro
Haggis.
Paul Haggis è stato citato in
giudizio nel 2018 dalla pubblicista Haleigh Breest, che ha
affermato di essere stata violentemente violentata dopo una prima
nel 2013. La causa ha spinto altre tre donne a farsi avanti con le
proprie accuse di cattiva condotta sessuale contro Haggis, che ha
negato con veemenza le affermazioni. Il processo è ancora pendente,
a causa dei ritardi dovuti al COVID.
Chi l’ha detto che i supereroi
devono essere personalità senza macchia e dotati di sole virtù come
Captain America o Superman? Se oggi il lato negativo e umano dei
supereroi è stato ampiamente esplorato grazie a film come
Glass, Watchmen o con serie come
The
Boys e Jupiter’s Legacy, un vero e proprio
precursore a riguardo, uscendo in sala nel 2008 (stesso anno di
distribuzione di IronMan, primo film del
MCU), è
Hancock, lungometraggio scritto da
Vy Vincent Ngo e Vince Gilligan
(ideatore di Breaking Bad) e diretto da Peter
Berg (regista noto per gli action Lone Survivor e
Boston – Caccia
all’uomo).
Questo presenta infatti un supereroe
che non si riconosce come tale, con problemi legati all’alcol e
un’esistenza condotta come fosse un senzatetto. Ma come noto, da
grandi poteri derivano grandi responsabilità, e anche tale
controverso personaggio è infine chiamato a fare la sua parte. La
storia, scritta nel 1996, è per anni stata in cerca del via libera
alla sua realizzazione. Diversi registi e produttori si sono
avvicendati al suo comando, tra cui anche l’italiano
Gabriele Muccino. Trovata infine la squadra
giusta, Hancock si concretizzò con un budget di 150
milioni di dollari, rappresentando il primo film con effetti
speciali per Berg.
Data la natura comica e controversa
del protagonista, il film si affermò come un autentico successo,
guadagnando circa 630 milioni di dollari a livello globale. Ancora
oggi è uno dei film di supereroi dal maggior incasso di sempre, ed
è ricordato con entusiasmo dai fan di questa particolare tipologia
di supereroi. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e al suo
sequel. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Hancock: la trama del film
Protagonista del film è
Hancock, un supereroe irritabile e detestato da
tutti, con evidenti problemi di alcolismo. Anche quando cerca di
fermare il crime che imperversa per le strade di Los Angeles, i
suoi modi di fare poco ortodossi e del tutto disorganizzati non
mancano di generare una serie di ulteriori problemi. Per questo
motivo, per i cittadini egli è visto più come una minaccia che non
come una fonte di sicurezza. Hancock, tuttavia, non dimostra nessun
interesse per l’opinione altrui, anzi, manifesta uno sprezzante
disinteresse anche per le numerose convocazioni in tribunale, a cui
non si presenta mai. Le cose per lui, sono però pronte a cambiare
radicalmente.
Un giorno egli si trova infatti a
salvare Ray Embrey, il quale era rimasto bloccato
con la propria auto sulle rotaie di un treno in arrivo. L’uomo, che
lavora nel settore pubblicitario, si offre di curare l’immagine del
supereroe, cercando così di riabilitare la sua presenza agli occhi
della città. Hancock non è però minimamente interessato alla cosa,
ma dopo una lunga riflessione decide di accettare l’aiuto. A
spingerlo in tale direzione è soprattutto l’incontro con
Mary, la moglie di Ray, la quale sembra avere
qualcosa da nascondere. Hancock, infatti, soffre di una profonda
amnesia, che non gli permette di ricordare molta della sua vita. La
presenza di Mary potrebbe rappresentare la soluzione a
riguardo.
Hancock: il cast del film
Nonostante diversi attori siano
stati considerati per il ruolo di Hancock, la prima ed unica scelta
possibile per i gli autori era l’attore WillSmith. Attratto dalla natura dissacrante del
personaggio, questi accettò da subito di interpretarlo. Grande
appassionato di wrestling, l’attore ha descritto Hancock come il
celebre lottatore Steve Austin ma con i supereroi. Per il ruolo,
inoltre, egli si è sottoposto ad un duro allenamento fisico, che lo
ha portato ad acquisire la massa muscolare necessaria a poter
interpretare molte delle scene più complesse. Per dare un aspetto
realistico al suo volo, Smith venne spesso sospeso tramite fili a
18 metri dal suolo e spinto a circa 70 chilometri orari.
Nei panni di Ray Embrey, invece, si
ritrova l’attore Jason Bateman, noto per
i film Juno e Tre le nuvole. L’attore ha
interpretato il personaggio rendendolo un uomo comune capace di
vedere sempre il lato positivo delle cose. Per il ruolo di sua
moglie Mary, Smith aveva inizialmente richiesto l’attrice
Aishwarya Rai Bachchan, ma a causa di altri
impegni questa non poté prendere parte al film. Al suo posto è
subentrata l’attrice Charlize Theron, la
quale si è dichiarata entusiasta di interpretare un ruolo tanto
diverso e dinamico rispetto ai suoi precedenti. L’attore
Eddie Marsan, infine, è Kenneth “Red” Parker Jr.,
rapinatore di banche e villain del film. Provenendo da film dal
piccolo budget, Marsan dichiarò di essere rimasto sconvolto dal set
di Hancock.
Hancock: il sequel, il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Precedentemente all’uscita del film,
il regista del film affermò che se Hancock si fosse
rivelato un buon successo sarebbe stato certamente realizzato un
suo sequel. Il successo poi arrivò, ma del promesso seguito non vi
è ad oggi ancora traccia. Nel corso degli anni gli sceneggiatori
hanno rivelato di star lavorando ad una nuova storia, mentre gli
attori protagonisti si sono dichiarati disponibili a riprendere i
rispettivi ruoli e approfondire le storie dei loro personaggi. Ad
oggi, però, sono molte poche le notizie rilasciate, che non
lasciano speranze all’idea di vedere nuovamente Hancock
protagonista al cinema. Nel 2020, la Theron ha infatti affermato
che non vi erano stati progressi significativi a riguardo.
Nella speranza di poter un giorno
vedere il suo sequel, è intanto possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Hancock
è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV,
Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Netflix, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 18
maggio alle ore 21:15 sul canale
TV8.
È di Drusilla Foer, nel film
Sempre più bello il ‘cameo dell’anno’ ai Nastri
d’Argento che concludono lunedì sera a Roma, al MAXXI la 76.ma
edizione. Una nonna decisamente originale e
irresistibile nel suo stile ormai familiare al grande
pubblico: “anaffettiva, difficoltosa, inaridita dalla
propria vita”, come proprio lei l’aveva definita in occasione del
lancio del film. In un cameo aggiunge il nome di Drusilla, ormai
popolarissima ma decisamente inedita tra i protagonisti del cinema,
ad un palmarès che ha premiato nel tempo personaggi come
Adriano Panatta per La profezia dell’armadillo di Emanuele
Scaringi, Barbara Alberti per La dea Fortuna di Ferzan
Özpetek e un anno fa, nel cast dei Moschettieri di
Giovanni Veronesi, la voce dei Negramaro, Giuliano Sangiorgi.
Mai come quest’anno grande
attenzione dei Giornalisti Cinematografici per i giovani attori –
scelti dal Direttivo Nazionale che ha selezionato le candidature –
che saranno premiati lunedì sera insieme ai vincitori decretati dal
voto di circa 100 giornalisti specializzati. Sono con i
PremiGuglielmo Biraghi per gli esordienti
Filippo Scotti, protagonista del film scritto e
diretto da Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio e la
rivelazione di Una femmina (soggetto di Lirio Abbate e
Edoardo De Angelis e presentato alla Berlinale nella sezione
Panorama), opera prima di Francesco Costabile tra le più
interessanti dell’anno, Lina Siciliano.
A loro si aggiunge il premio a
Giulia di Ciro De Caro che è il film
più coraggiosamente indipendente e a basso costo dell’intera
selezione 2021-2022, riconoscimento collettivo condiviso con la
Fondazione Claudio Nobis per i giovani.
Il premio alla più giovane di tutti
va a Swamy Rotolo, la protagonista del film di
Jonas Carpignano A Chiara che riceverà lunedì sera il
riconoscimento intitolato a Graziella Bonacchi. È il
premio che segnala ogni anno, insieme ai Nastri d’Argento, una
‘scoperta’ particolarmente interessante, scelta insieme ai
giornalisti proprio dagli esordienti di ieri, lanciati da
Graziella, straordinaria agente di un’intera generazione di talenti
tra i più affermati di oggi che il Premio ricorda così da quando ci
ha lasciato troppo presto.
Ecco il trailer di Don’t
Make Me Go, il nuovo film Prime Video disponibile sul servizio di
streaming a partire dal 15 luglio.
Diretto
da: Hannah Marks Scritto da: Vera Herbert Prodotto da: Donald De Line, Leah Holzer, Peter
Saraf Con:
John Cho, Mia Isaac, Mitchell Hope, Jemaine Clement, Stefania
LaVie Owen,
Kaya Scodelario
Don’t Make Me Go, la
trama
Quando Max (John Cho), padre single,
scopre di avere una malattia terminale, nel tempo che gli resta
decide di provare a fare il pieno di tutti quegli anni di amore e
supporto che non potrà vivere con la figlia adolescente Wally (Mia
Isaac). Con la promessa di fare le lezioni di guida tanto attese,
convince Wally ad accompagnarlo in un viaggio dalla California a
New Orleans per la rimpatriata dei vent’anni dalla laurea con gli
ex compagni di college, dove spera segretamente di farla
ricongiungere alla madre, che molto tempo prima li ha abbandonati.
In un viaggio originale ed emozionante, ricco di coraggio e ironia,
Don’t Make Me Go esplora il legame indissolubile ed eterno tra un
padre e una figlia, raccontato dal punto di vista di due
generazioni.
Il nuovo film di
Roberto Faenza esce in sala il 16 giugno. Si
tratta di Hill of Vision, la
storia pazzesca di un bimbo italiano analfabeta e scampato alle
bombe della Seconda Guerra Mondiale che diventa un genetista e nel
2007 riceve il premio Nobel per la medicina.
Il regista, che è anche
sceneggiatore e insegnante, ha una carriera cinematografica che
affonda le sue radici nei suoi primi vent’anni di vita, e che gli
ha fatto aggiudicare riconoscimenti di ogni sorta, tra cui diversi
David di Donatello, Nastri d’argento e Globo d’oro.
Lo sguardo verso i più
giovani, specialmente per le storie che partono dalle situazioni
più drammatiche, lo hanno interessato più di una volta
(Jona che visse nella balena, Un giorno questo dolore
ti sarà utile), per quanto, a onor del vero, la
varietà di tematiche e di tipologie di racconti affrontati da
Roberto Faenza, siano decisamente eclettici.
Hill of Vision, la storia di Mario Capecchi
La storia di Hill
of Vision nasce per caso. Un giorno, la produttrice
Elda Ferri legge una notizia riguardante lo
scienziato Mario Capecchi:
avrebbe donato a un museo di Kyoto il suo amato cappello. Cosa
significava un cappello per un uomo tanto famoso, colto e geniale?
La decisione di approfondire il fatto e di intervistare il premio
Nobel vengono da sé.
Così nasce il film
sull’infanzia di Mario Capecchi diviso in due
parti, in cui nella prima si racconta come è sopravvissuto ai
bombardamenti in Italia, dove ad interpretare il piccolo
protagonista è Lorenzo Ciamei, con
Francesco Montanari che fa il papà Luciano
Capecchi e Rosa Diletta Rossi nei panni di Anna,
sua compagna. La seconda parte inizia quando incredibilmente sua
madre (Laura Haddock), sopravvissuta ai campi di
concentramento, lo viene a prendere in orfanotrofio per portarlo
negli Stati Uniti e stare lì insieme agli zii (Edward
Holcroft ed Elisa Lasowski) che vivono in
una comunità di quaccheri.
Una fiaba assurda, per
molti aspetti, quella di Mario Capecchi, che
Roberto Faenza riporta per immagini con slancio e
un sacco di ammirazione, costruendo scenari, ambientazioni e il
susseguirsi degli eventi con affettuosa cura e parecchia ingenuità.
La storia è sufficiente di per sé a destare le coscienze e
soprattutto le speranze, ma il modo in cui viene riprodotta la
indebolisce e, a tratti, banalizza.
Nella seconda metà del
film ci trasferiamo negli Stati Uniti, Mario è cresciutello ed è il
giovane Jake Donald-Crookes a calarsi nel ruolo.
Un senso di avventura e di voglia di scoperta dà un po’ di colore
alla narrazione, ma resta sempre tutto ben posizionato come in una
dolce cartolina anni ’50 ed è necessario uno sforzo in più per
focalizzarsi sulla parte importante: i sensazionali fatti storici
nella vita di questo preadolescente. Tutti gli attori, durante
tutta la durata della pellicola, si spostano come piccole
marionette tirate da dei fili (con le sole eccezioni dei genitori
di Capecchi, Haddock e Montanari, e Rossi, l’amante del padre) e,
purtroppo, la stessa scrittura di alcune scene pare non tenere
conto dell’atmosfera e la profondità che sarebbe fondamentale
trasmettere.
Un’importante eredità pedagogica
Al netto, dunque, di una
scarsa consistenza di carattere di tutto il film, resta l’eredità
pedagogica della storia di questo ragazzo, e l’ennesima conferma di
quanto sia in grado di fare un giovane quando gli viene trasmesso
che è in gamba a prescindere da tutto. Oltre al fatto che, quando
nessuno ti capisce, devi trovare qualcuno che finalmente riesca a
farlo, e farti guidare da questi nei meandri delle strategie su
come stare al mondo.
La cosa bellissima della
storia di Mario Capecchi – ed è ammirevole che il
regista lo voglia trasmettere nelle scuole – è quanto semplicemente
faccia vedere che genio non nasce nessuno, anzi. Ma, a piccoli
passi, e anche con la possibilità di cadere più volte, lo si può
diventare eccome.
Dalla Cina, il nuovo gigante
dell’economia e della produzione agroalimentare, ai laboratori
della “food silicon valley” in Olanda, passando per le terre
contese delle popolazioni indigene in Brasile, alle minacce globali
per la salute umana e alle questioni etiche che stanno alla base
del nostro rapporto con la natura: One Earth -Tutto è connesso racconta storie
apparentemente distanti tra loro, rivelando paradossalmente come,
in questo immenso sistema che poggia su un fragile equilibrio, ogni
specifico fenomeno possa avere ripercussioni anche in altre parti
della Terra.
Gli allevamenti intensivi di
Guangzhou
Il viaggio di Francesco De
Augustinis parte dalla conformazione dicotomica di ogni
città della Cina, altissimi grattaciali simbolo del pieno boom
economico in cui il Paese si ritrova, contrapposti a quartieri
squallidi, nelle cui viuzze si tengono mercati in cui è possibile
trovare ogni cosa, soprattutto animali domestici e selvatici di
ogni genere, che vengono esposti e venduti. La genesi di One Earth comincia proprio qui, tra i mercati
nascosti di Wuhan, dove il corona-virus sta facendo un salto di
specie: sta passando da un animale all’uomo, il primo contagio
della specie umana di Covid-19 che avrebbe causato oltre 1 milione
e mezzo di vittime.
La troupe di Francesco di
Augustinis sta facendo un breve scalo a Wuhan, diretti a
Guangzhou, storicamente una delle capitali commerciali della Cina
meridionale, per condurre un’inchiesta sul cibo, in uno degli
allevamenti intensivi più tecnologici al mondo. La vera scoperta di
questo viaggio documentaristico avrà a che fare con una
consapevolezza rinnovata, di come le diverse attività industriali
condotte in una megalopoli possano innescare un meccanismo di
effetti a catena in tutto il mondo, portando un piccolo e
impercettibile avvenimento del mercato di Wuhan a farci soffermare
ulteriormente sul tema dell’aumento esponenziale del consumo di
carne e di come la crescita degli allevamenti intensivi stia
condannando noi e la Terra in maniera irreversibile.
Le conseguenze globali della
produzione zootecnica
Viste dall’esterno, non sembrano
nemmeno fattorie: sono blocchi di cemento, alti diversi piani,
nascosti in una sottospecie di grotta al centro di una montagna nel
cuore remoto della Cina. All’interno dei palazzoni di
Yangxiang si trova una produzione suina
iperintensiva, destinata a soddisfare la crescente domanda di carne
del popolo cinese. E’ intorno a questa struttura ipertecnologica,
simbolo del progresso umano, che si sviluppa una storia che
abbraccia i quattro continenti del pianeta e mostra come il sistema
alimentare mondiale stia compromettendo in modo irreversibile il
fragile equilibrio del pianeta e contribuendo alle attuali crisi
mondiali, come il cambio climatico, le epidemie e il crollo della
biodiversità.
L’obiettivo di One Earth– Tutto è connesso
e del team di Augustinis è quello di mostrare
l’urgenza di una ristrutturazione sistemica e totale, che vada a
contrastare i fenomeni dell’iperproduzione e dell’iperconsumo, che
attualmente esercitano un effetto cruciale sull’equilibrio del
pianeta. Le scelte individuali sono in questo senso molto
importanti, vuole suggerirci il documentario, ed è certamente
necessario educare le nuove generazioni al riguardo. Qualora
aumentasse esponenzialmente la fascia di persone disposte a fare
quotidianamente scelte biologiche, prima o poi le aziende dovranno
adeguarsi e l’opinione pubblica ne sarà influenzata, sostiene
Augustinis.
La suddivisione del film in capitoli
contribuisce a legittimare la denuncia di One Earth che, in maniera molto intelligente,
decide di basarsi sull’espressione dello stesso concetto da
prospettive contrastante, per fare emergere le diverse
sfaccettature di un tema oggi così delicato. E’ così che la
deforestazione, l’aumento delle epidemie e la perdita di accesso al
cibo per svariate fasce della popolazione mondiale convergono in un
unico documentario, capace di avvicinare a tematiche così attuali
anche i più giovani, grazie a una regia asciutta e che predilige la
veridicità dei fatti, piuttosto che un insensato
sensazionalismo.
Oggi più che mai siamo consapevoli
di vivere su un piccolo pianeta, dove ciò che accade in una foresta
dall’altra parte del mondo prima o poi ha ripercussioni anche sulla
nostra vita quotidiana. One Earth si prefigge di raccontare proprio
queste connessioni e, allo stesso tempo, denunciare le tante forme
di violenza alla base del modo insostenibile della nostra specie di
abitare la nostra unica casa.
In una recente intervista con
BuzzFeed, nell’ambito della
promozione di Lightyear
– La vera storia di Buzz, Chris
Evans ha dichiarato che il suo debito più grande come
attore lo deve a Robert Downey Jr., con cui ha
condiviso tante volte il set all’interno del Marvel Cinematic Universe.
Interpellato in merito a quale fosse
il collega dal quale ha imparato di più, Chris Evans non ha esitato
a dire che si tratta proprio di RDJ: “Probabilmente Downey.
Sai, lui ha visto un sacco di cose, ne ha passate tante, e ha un
talento enorme, saresti un folle a non ascoltare cosa ha da
dire!”
Lightyear
– La vera storia di Buzz, il lungometraggio
originale Disney e Pixar che segue il leggendario Space Ranger in
un’avventura intergalattica, arriverà il 15 giugno nelle sale
italiane. La nuova avventura d’azione racconta le origini di Buzz
Lightyear, l’eroe che ha ispirato il giocattolo di Toy
Story.
Lightyear
– La vera storia di Buzz è diretto da Angus
MacLane, regista vincitore dell’Annie Award e animatore veterano di
Pixar che ha co-diretto Alla
Ricerca di Dory del 2016, ed è prodotto da Galyn Susman
(il corto Toy Story: Tutto un altro mondo).
Il premiato compositore Michael
Giacchino, che ha firmato le musiche di The Batman e Spider-Man: No Way Home, comporrà la colonna sonora di
Lightyear – La vera storia di Buzz. Giacchino ha un
rapporto di lunga data con Pixar: ha vinto un Oscar, un Golden
Globe e un GRAMMY per la colonna sonora originale di Up.
Inoltre, la sua filmografia Pixar include, tra gli altri, Gli
Incredibili – Una “normale” famiglia di supereroi,
Ratatouille, Cars 2, Inside Out,
Coco e Gli Incredibili 2.
Il regista Taika
Waititi ha rivelato il motivo esilarante della scena di
Thor nudo in Thor: Love and Thunder.
Durante le sue apparizioni nel MCU, Chris
Hemsworth ha continuato a perfezionare il suo fisico,
in modo simile a Hugh Jackman quando interpretava
Wolverine nel franchise Fox. Tuttavia, dopo gli eventi di
Avengers: Infinity War e
Avengers: Endgame, Thor ha preso
una brutta piega e il suo fisico muscoloso è stato sostituito con
una struttura più robusta, dall’aspetto decisamente diverso. I
trailer di Thor: Love and Thunder hanno
rivelato che Thor ha perso il suo peso post-Endgame e ora sembra
più grande e più forte di prima.
Durante l’attività stampa per
Lightyear – la vera storia di Buzz (tramite
ComicBook.com), Waititi ha
rivelato la ragione esilarante per cui ha scelto di mostrare Thor
nudo nel suo prossimo film.
“Sapevamo tutti che volevamo
farlo fin dall’inizio. In realtà era nella prima bozza della
sceneggiatura e anche Chris era d’accordo. Sai, penso che se tu
avessi un corpo come Chris… lo capisce anche lui. Sarebbe solo,
sarebbe uno spreco non mostrarlo. Sarebbe un crimine contro
l’umanità. Quindi, sai, devi provvedere alle masse.”
Thor: Love and
Thunder è il quarto capitolo sulle avventure del
Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare
il Mjolnir stavolta sarà Jane
Foster, interpretata di nuovo daNatalie
Portman, come confermato sabato durante il panel
dei Marvel
Studios al Comic-Con. L’uscita nelle sale è fissata invece
al 6 Luglio 2022.
Il film segue Thor (Chris
Hemsworth) in un viaggio diverso da quelli affrontati
fino ad ora, alla ricerca della pace interiore. Ma il suo riposo è
interrotto da un killer galattico conosciuto come Gorr il
Macellatore di Dei (Christian
Bale), che cerca l’estinzione degli dei. Per
combattere la minaccia, Thor si affida all’aiuto di Valchiria
(Tessa
Thompson), Korg (Taika Waititi) e
dell’ex fidanzata Jane Foster (Natalie
Portman) che, con stupore di Thor, brandisce
inspiegabilmente il suo martello magico, Mjolnir, come Mighty Thor.
Insieme, intraprendono una sconvolgente avventura cosmica per
scoprire il mistero della vendetta di Gorr il macellatore di dei e
fermarlo prima che sia troppo tardi.
Taika Waititi tornerà alla regia di Thor: Love and
Thunder, un film dei Marvel Studios
dopo
Thor: Ragnarok, così come Chris
Hemsworth e Tessa
Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor e
Valchiria dopo l’ultima apparizione in
Avengers: Endgame. Nel cast anche
Christian Bale nei panni del villain Gorr il
Macellatore di Dei, e
Russell Crowe in quelli di Zeus. L’ispirazione del
progetto arriva dal fumetto “The Mighty Thor”, descritto da Waititi
come “la perfetta combinazione di emozioni, amore, tuono e storie
appassionanti con la prima Thor femmina dell’universo“.
Secondo quanto riferito da Deadline,
i piani futuri della Warner Bros. per il DCEU non coinvolgono la
star di The
Flash,
Ezra Miller. Dopo numerosi ritardi e sconvolgimenti
creativi, The
Flash arriverà finalmente nelle sale il 23 giugno
2023. Il film vede
Ezra Miller riprendere il ruolo di Barry Allen da
Justice League e sarà affiancato da
Sasha Callie nei panni di Supergirl e Michael Keaton nel suo grande ritorno nei
panni di Batman, 31 anni dopo la sua ultima apparizione in
Batman Il Ritorno.
Tuttavia, nelle ultime settimane
Miller è stato al centro di una serie di avvenimenti preoccupanti.
È stato arrestato due volte alle Hawaii nel 2022 con l’accusa di
aggressione di secondo grado. Da allora sono emersi altri capi
d’accusa, prima quando i genitori di un diciottenne hanno
presentato pratiche burocratiche chiedendo a un giudice di emettere
un ordine di protezione contro l’attore per conto della loro
figlia. Poi quando è giunta la notizia che a una famiglia del
Massacuttes è stato concesso un ordine restrittivo temporaneo
contro Miller per aver minacciato la famiglia e aver agito in modo
inappropriato nei confronti del bambino non binario.
Sebbene manchi ancora un anno
all’uscita di The
Flash, secondo quanto riferito da Deadline, la WB ha
già iniziato a discutere del futuro del franchise che prevederà
l’esclusione di Ezra Miller. In un recente report di Deadline, gli
addetti ai lavori affermano che lo studio ha cercato di ottenere
aiuto per Miller, ma poiché i casi e le accuse continuano ad
accumularsi, sembra che Miller non si adatti ai piani del CEO di
Warner Bros. Discovery David Zaslav per il DCEU.
Indipendentemente da come si evolverà la situazione attuale con
Miller, sembra che l’attore non abbia futuro nel DCEU.
Tutto quello che c’è da sapere su
The Flash con Ezra Miller
Confermata anche la presenza
di Michael
Keaton e Ben
Affleck, che torneranno entrambi a vestire i panni di
Batman. Kiersey Clemons tornerà nei
panni di Irish West dopo essere apparsa in Zack
Snyder’s Justice League (il personaggio era stato
tagliato dalla versione theatrical). Nel cast ci saranno anche
l’attrice spagnola Maribel Verdú (Il
labirinto del fauno), che interpreterà Nora Allen (la
madre di Barry) e l’attrice statunitense Sasha
Calle(Febbre d’amore) che interpreterà
Supergirl.
Dopo essersi reso conto che il suo
primo film a superare il miliardo di incasso è stato il live action
di
Aladdin targato Disney, Guy Ritchie
si è fatto convincere, immaginiamo con facilità, a dirigere anche
il live action dedicato a Hercules.
Ritchie ha recentemente girato un
thriller d’azione senza titolo con Jake Gyllenhaal
interpretato da STX che ha venduto a MGM e Amazon. Sta ultimando il
lavoro a Operation Fortune: Ruse de guerre, che ha scritto, diretto
e prodotto esecutivamente, con Jason Statham nel
ruolo di protagonista per STX. Statham e Ritchie hanno iniziato la
loro ascesa insieme con Lock, Stock e Two Smoking
Barrels, seguiti da Snatch,
Revolver e Wrath of Man.
Sul live action di Hercules non ci sono ancora dettagli.
Il racconto di vere vicende ispirate
all’ambito dell’automobilismo è stato oggetto di numerosi film nel
corso della storia del cinema. Due tra i titoli più recenti sono
Rush, dedicato alla
rivalità tra Niki Lauda e James Hunt, e Le Mans ’66 – La grande
sfida, incentrato invece sugli ingegneri della
Ford alle prese con la realizzazione di un’auto in grado di battere
la temuta Ferrari. Proprio su Enzo Ferrari il regista
Michael Mann sta ora realizzando un biopic, ma in
attesa di poterlo vedere, un altro film appartenente a questo
filone da recuperare è Driven – Il caso
DeLorean (qui la recensione).
Film di chiusura del Festival di Venezia nel 2018, questo
lungometraggio diretto da Nick Hamm (regista del
thriller The Hole e dell’horror Godsend – Il male è
rinato) va a raccontare la vita di John
DeLorean, l’imprenditore fondatore della nota casa
automobilistica. L’obiettivo era quello di entrare dentro gli
eventi che portarono alla realizzazione della celebre automobile,
consacratasi nell’immaginario collettivo grazie al suo ruolo nella
trilogia di Ritorno al futuro.
Nonostante sia ispirato ad una storia vera, però, il film è noto
per essersi preso diverse libertà nel raccontare tale vicenda.
Ciò non toglie che il film sia
particolarmente godibile, mescolando commedia, dramma ed elementi
thriller. Per gli appassionati di questo ambito, dunque, è un film
da recuperare per sapere qualcosa di più sulla storia dietro la
celebre automobile. Prima di intraprendere una visione del film,
però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e la
vera storia dietro al film. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.
Driven – Il caso DeLorean:
la trama e il cast del film
Protagonisti del film sono
Jim Hoffman, ex pilota di aerei, narcotrafficante
e ora informatore dell’FBI, e
John DeLorean, il folle e geniale inventore
dell’omonima casa automobilistica. Quando i due uomini, dalle vite
e abitudini profondamente diverse, si incontrano, DeLorean è in
procinto di rilasciare il primo e unico modello della sua società,
ovvero la celebre DMC-12. Divenuti amici, l’imprenditore decide di
coinvolgere Hoffman nei suoi affari, senza sapere però che questi
ha ricevuto l’incarico dall’FBI di tenerlo d’occhio, in quanto
sospettato di essere coinvolto in un traffico di cocaina. Ben
presto, i rapporti tra i due diverranno così stretti da rendere le
rispettive operazioni estremamente complesse.
Ad interpretare John DeLorean si
ritrova l’attore Lee Pace,
celebre per aver interpretato il Re degli Elfi Thranduil nella
trilogia di Lo Hobbit e Ronan l’Accusatore nel Marvel Cinematic Universe. Nei
panni di Jim Hoffman, invece, vi è l’attore Jason Sudeikis,
oggi noto per la serie Ted Lasso. Nel cast si ritrovano
poi anche Judy Greer nei panni di Ellen, la moglie
di Jim, e Corey Stoll, in
quelli dell’agente FBI Benedict J. Tisa. Gli attori Michael
Cudlitz, noto per essere stato Abraham in The Walking
Dead, ed Erin Moriarty, Stargirl nella serie
The
Boys, interpretano invece il narcotrafficante Morgan
Hetrick e la sua ragazza Katy Connors.
Driven – Il caso DeLorean:
la vera storia dietro al film
La vita di John DeLorean è ricca di
peripezie e guai imprevedibili, i quali non hanno però mai del
tutto scalfito le grandi ambizioni e i grandi sogni posseduti
dall’imprenditore. Emigrato dalla Romania agli Stati Uniti all’età
di vent’anni, DeLorean svolse da prima un master alla Chrysler, per
poi ricoprire ruoli di rilievo alla General Motors e alla
Chevrolet. Con l’esperienza accumulata, egli diede vita nel 1975
alla DeLorean Motor Company, la quale però riuscì
a produrre un solo modello, la celebre DMC-12, divenuta famosa
grazie al film del 1985 Ritorno al futuro, dove è
utilizzata come macchina del tempo. La realizzazione dell’auto
segnò però per DeLorean l’inizio di tanti problemi.
Dei ritardi nella produzione fecero
sì che l’auto non arrivasse sul mercato prima del 1981, in un
momento in cui questo era caratterizzato da una certa crisi. Le
tiepide recensioni ottenute dall’auto portarono a scarse vendite,
mettendo in difficoltà l’azienda e impedendo a DeLorean di
recuperare i 175 milioni di dollari investiti nella realizzazione
della vettura. Maggiori guai ebbero però inizio quando,
nell’ottobre del 1982, DeLorean venne accusato di traffico di
cocaina dall’informatore dell’FBI James Hoffman. Questi, un ex
vicino di casa di DeLorean, ha riferito ai suoi superiori dell’FBI
che l’imprenditore si era avvicinato a lui per chiedergli di
organizzare un affare di cocaina. In verità, Hoffman aveva chiamato
DeLorean e suggerito l’accordo, a cui DeLorean ha abboccato.
Hoffman ha poi anche affermato di
essere stato a conoscenza dei problemi finanziari di DeLorean prima
di contattarlo e di averlo sentito ammettere che aveva urgente
bisogno di 17 milioni di dollari per prevenire l’imminente
insolvenza di DMC. Proprio per via di tale elemento, nel 1984
DeLorean fu ritenuto non colpevole, in quanto ingiustamente posto
in una trappola. A quel punto, però, la DMC aveva già dichiarato
bancarotta e la reputazione di DeLorean era irrevocabilmente
compromessa. Abbandonato il settore automobilistico, DeLorean morì
nel 2005 per via di un ictus, con la consapevolezza però che quella
sua unica auto realizzata sarebbe rimasta nella storia.
Driven – Il caso DeLorean:
il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Driven – Il caso DeLorean grazie alla sua
presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi
di Chili Cinema e Apple iTunes.
Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento,
basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento
generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al
meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel
palinsesto televisivo di venerdì 17 giugno alle
ore 21:30 sul canale Rai 3.
Nastri
d’Argento 2022 – Un Nastro d’Argento Speciale a Laura Morante,
omaggio al talento di un’attrice internazionale a dieci anni del
suo esordio alla regia con
Ciliegine,di cui la
Morante è stata anche protagonista e sceneggiatrice, e a poco più
di quaranta dal primo incontro con il cinema, con Giuseppe
Bertolucci in Oggetti smarriti e subito dopo con
Bernardo ne La tragedia di un uomo
ridicolo accanto a Ugo Tognazzi,
premiato a Cannes con la Palma d’Oro per il miglior attore.
Un’opera prima,
scritta con Daniele Costantini, in cui l’artista ha saputo mostrare
uno sguardo lucido e implacabile sui sentimenti, le relazioni, le
nevrosi del nostro tempo.
Il Nastro speciale
verrà consegnato Lunedì 20 giugno nel corso della cerimonia di
premiazione dei Nastri d’Argento 2022 che si
svolgerà al Maxxi Museo nazionale delle arti del XXI
secolo a Roma.
“Laura Morante,
spesso candidata ai Nastri d’Argento e già premiata dai Giornalisti
Cinematografici con il Nastro europeo – spiega a nome del Direttivo
Nazionale SNGCI Laura Delli Colli, Presidente – è tra le attrici
italiane più amate non solo dal cinema d’autore, dalla commedia
italiana e ora anche nella serialità ma, per esempio, dai grandi
autori internazionali”. Un buon motivo per assegnare il
prestigioso riconoscimento proprio al suo talento, con il cuore tra
Italia e Francia, dove, anche in veste di regista ha mostrato una
particolare sensibilità nell’esplorare tutte le sfumature del
femminile”.
Laura
Morante
Una carriera
soprattutto cinematografica ma anche un percorso in tv e in teatro
dove ha esordito giovanissima con Carmelo Bene prima di debuttare
nel 1980 al cinema con Giuseppe Bertolucci in “Oggetti smarriti” e
di essere diretta da Bernardo Bertolucci in “La tragedia di un uomo
ridicolo” al fianco di Ugo Tognazzi. Indimenticabili le sue
interpretazioni in film che sono entrati nell’immaginario
collettivo, come “Bianca” e più tardi “La stanza del figlio” di
Nanni Moretti – per cui vince un David di Donatello, “Turné” di
Gabriele Salvatores, “Ferie d’agosto” di Paolo Virzì, per citarne
solo alcuni. È stata Sibilla Aleramo in “Un viaggio
chiamato amore” di Michele Placido, Giulia – moglie tradita e
attrice velleitaria – in “Ricordati di me” di Gabriele Muccino,
Agrippina nella miniserie “Nerone” di Pau Marcus, ha prestato la
voce a Helen Parr/Elastigirl ne “Gli Incredibili – Una “normale”
famiglia di supereroi”, titolo di animazione di grande successo. Ha
lavorato con grandi maestri italiani da Monicelli a Gianni Amelio,
Pupi Avati, Marco Tullio Giordana, Carlo Verdone ma anche con John
Malkovic, con Vincente Aranda, Alain Tanner, Chris Nahon, Joao
Cesar Monteiro e Nicolas Bedos. Fra i suoi ultimi impegni “Una
storia senza nome” di Roberto Andò e “Lacci” di Daniele Luchetti
dal romanzo di Domenico Starnone oltre alla serie di Gabriele
Muccino “A casa tutti bene” da pochi giorni di nuovo sul set per la
seconda edizione.
Nel corso della sua
carriera ha ottenuto numerosi riconoscimenti: oltre i Nastri
d’Argento, un David di Donatello, un Globo d’oro e un Ciak d’oro.
Nel 2016 ha diretto il suo secondo film “Assolo” di cui è stata
regista, sceneggiatrice e interprete.
È morto
all’età di 91 anni l’attore francese Jean-Louis
Trintignant, esponente di spicco del cinema e del teatro
d’Oltralpe. A darne notizia è la moglie, Mariane Hoepfner
Trintignant.
Nato l’11 dicembre 1930 a Point Saint Exprit de Gard, in Provenza,
Jean-Louis Trintignant deve la sua fama
principalmente a tre grandi successi, che ne hanno segnato la
carriera e sancito il successo: Il sorpasso, di
Dino Risi, accanto a Vittorio
Gassmann, Un uomo, una donna di
ClaudeLelouch, in cui recitava al
fianco di Anouk Aimée, e Il
Conformista, di Bernardo
Bertolucci.
Ha
lavorato tantissimo a teatro, suo primo amore, e ha girato
tantissimi film in Italia, lavorando con i più grandi, non solo
Bertolucci e Risi, ma anche Zurlini e Amelio, ma anche tantissimi
registi internazionali. Fino a uno dei suoi più grandi ruoli nel
magnifico Amour di Michel Haneke, collaborazione che ha
ripetuto nel 2017 con Happy End.
Ma mentre alcune cose nei film di
Mad Max sono cambiate, altre rimangono le stesse.
Infatti per Furiosa,
il regista George Miller è tornato in una
precedente location del franchise, girando scene vicino a Sydney
nell’ex sito di estrazione del sale a Kernell, dove sono stati
girati alcuni momenti famosi di Beyond
Thunderdome, comprese le scene di un 747 precipitato nel
deserto.
Il ritorno in Australia dà
sicuramente a Furiosa un’atmosfera
da Mad Max vecchia scuola, come si può vedere
nelle foto dal set del film appena trapelate, pubblicate dal
South Coast Register. Le immagini sono visibili cliccando
sul link sottostante:
Nonostante il grande successo di
Mad Max:
Fury Road, un nuovo film del franchise è stato
bloccato per anni a causa di una disputa legale tra Miller e la
Warner Bros. Tuttavia, lo scorso ottobre il progetto è stato
confermato ufficialmente attraverso la notizia del casting
di Anya
Taylor-Joy, la star di The
New Mutants e La
regina degli scacchi, che interpreterà una versione
più giovane del personaggio di Furiosa.
Oltre a lei, nel cast ci saranno anche Chris
Hemsworth(Thor:
Ragnarok) e Tom Burke, anche se al
momento i loro ruoli non sono stati ancora svelati.
George
Miller dirigerà, co-scriverà e produrrà Furiosa insieme
al suo partner di produzione di lunga data Doug
Mitchell. Il film sarà prodotto dal marchio australiano
Kennedy Miller Mitchell di Miller, insieme al partner
di Fury
Road, la Warner Bros. Pictures.
Nell’ultimo episodio della serie
Iconic Characters di GQ, Chris
Hemsworth ha riflettuto sulla sua esperienza come
Thor del MCU. L’attore australiano ricorda
la sua reazione quando ha saputo che era stato scelto per il ruolo,
ricordando scherzosamente la sua mancanza di altre opzioni in quel
momento e ciò che gli richiedeva.
“Quando ho ricevuto il ruolo per
il film, c’erano un certo numero di cose che mi passavano per la
testa. In primo luogo ho pensato che era fantastico essere stati
assunti, che la mia visa sarebbe stata estesa, che avrei fatto
parte di qualcosa che sembrava grande ed eccitante, è anche vero
che non avevo molti dettagli oltre al fatto che avrei interpretato
Thor. È stato un atto di fede da un lato per quanto riguarda ciò
che veniva inaugurato, ma è stato un salto abbastanza facile perché
non avevo molte altre opzioni. [Ride]”
L’accettare quel ruolo ha fatto di
Chris
Hemsworthuna delle star più
riconoscibili in tutto il mondo e ha regalato al cinema la vera e
propria incarnazione di un’icona dei fumetti. Ora, aspettiamo
Chris
Hemsworthin Thor: Love and Thunder, che
rappresenta non solo il quarto film per il figlio di Odino, ma
l’ottava volta che l’attore australiano interpreta il
personaggio.
Presentato a
Venezia nella sezione Orizzonti Extra, il
film di Wilma
LabateLa ragazza ha volato il 23
giugno arriva in sala anche per il grande pubblico.
Trieste, un’adolescente solitaria violata e una serie di
carenze affettive sono i protagonisti della sceneggiatura scritta
da Labate insieme ai fratelli d’Innocenzo.
La sinossi di La ragazza ha
volato
Nadia (Alma
Noce) è una sedicenne di Trieste che studia
all’istituto alberghiero. È una ragazza solitaria e, durante uno
dei suoi vagabondaggi pomeridiani in giro per Trieste, incontra un
ragazzo più grande che la invita a fare una passeggiata fino alla
casa dello zio. Il giovane, apparentemente gentile, si rivela
presto tutt’altra persona e l’incontro tra i due sfocia presto in
uno stupro. Le conseguenze del rapporto violento subito da
Nadia le stravolgeranno la vita, offrendole però
anche una via d’uscita dalla sua solitudine.
La protagonista ipnotica
di La ragazza ha volato
Alma
Noceè un’attrice eccezionale. Oltre alla
bellezza della ragazza, l’intensità delle espressioni del volto
sono ciò che dà carattere al personaggio di Nadia. Dopo
averla vista interpretare la controparte adolescente di Micaela Ramazzotti ne Gli anni più
belli (Gabriele
Muccino), Alma Noce ha ottenuto un
meritatissimo ruolo da protagonista ne La ragazza ha
volato. Gli occhi di Nadia dicono molto di più
delle sue poche battute e, potentemente, esprimono alla perfezione
gli stati d’animo della ragazza.
Nadia infatti parla
poco, ”tiene tutto dentro” come dice sua madre. La solitudine della
ragazza però non è infrangibile: come spesso accade agli
adolescenti, l’atteggiamento a tratti scorbutico di
Nadia nasconde in realtà una necessità profonda di affetto
e di considerazione, sentimenti che le vengono costantemente
negati. A peggiorare la situazione arriva l’incontro con il ragazzo
violento: l’unico a darle attenzioni lo fa nel modo peggiore
possibile.
Una rappresentazione senza
filtri
La violenza subita da Nadia
viene mostrata senza troppe censure e filtri. Wilma
Labate sceglie di seguire passo a passo l’esperienza
traumatica che vive la protagonista di La ragazza ha
volato. La scelta è consapevole e lecita. Non solo la
narrazione permette di empatizzare con il personaggio protagonista,
ma contiene anche una critica ad un tema trattato ancora troppo
poco in Italia. Quanto viene mostrato è realistico, purtroppo:
Nadia rappresenta un’adolescente come tante che vive
un’esperienza traumatica e non trova negli altri l’empatia
necessaria per rendersene conto fino in fondo.
La cinepresa – nella scena cruciale
come in tutto il film – è abbastanza acritica e distaccata.
L’intensità drammatica del lungometraggio scaturisce dai fatti che
si manifestano davanti all’inquadratura. L’utilizzo dei campi
lunghi e di punti di vista laterali dona realismo e rende bene la
solitudine del piccolo – in termini di età come di spazio occupato
nelle immagini – personaggio protagonista de La ragazza ha
volato.
Lo zampino dei fratelli
D’Innocenzo
Si coglie chiaramente la
presenza dei fratelli D’Innocenzo ne La
ragazza ha volato. Gli autori della sceneggiatura, registi
di
America Latinae Favolacce,
portano al film di Wilma Labate quelle tinte
grigie e sciatte della periferia a loro ben familiari. Questa volta
non siamo a Roma ma a Trieste, una città tanto
pulita e ordinata quanto algida. E, questo contesto, riflette
l’atteggiamento dei personaggi.
La ragazza ha
volato è un film che racconta una storia forte e
vera, fatta di volti autentici, contesti semplici e esperienze
tragiche. È un dramma realistico perché mostra tutte le fasi legate
ad un trauma: la vita prima, lo shock subito dopo
e la ripresa nel lungo termine. In questo senso, il lungometraggio
è anche un racconto di formazione che vuole offrire, come si può
intuire dal titolo, una speranza per la realtà periferica e per gli
adolescenti.
Dirty Dancing 2 ha
ufficializzato una data di uscita nel 2024. Distribuito nel 1987,
Dirty Dancing è
interpretato da Jennifer Grey nei panni di Frances
“Baby” Houseman, una giovane donna che trascorre controvoglia
l’estate in un resort di Catskills con la sua famiglia. Baby si
innamora dell’istruttore di ballo del campo, Johnny Castle
(Patrick
Swayze), e l’improbabile coppia si innamora mentre
impara a eseguire il ballo più importante dell’estate.
Nel 2020, è stato annunciato che
Dirty Dancing 2 era in lavorazione con Gray che
riprendeva il ruolo di Baby. Di recente, è stato dichiarato che il
film sarà diretto dal regista di Warm Bodies,
Jonathan Levine.
Ora, il film ha un altro importante
aggiornamento. Per Deadline, Dirty Dancing 2
uscirà nelle sale il 9 febbraio 2024. Scritto da
Elizabeth Chomko e Levine, Dirty Dancing
2 è incentrato sul ritorno di Baby al Kellerman’s Resort,
e la sua storia con il luogo si intreccia con una nuova giovane
coppia al resort come affrontano il romanticismo e la danza. Al
momento, Dirty Dancing 2 deve ancora annunciare
chi si unirà a Jennifer Grey nel cast.
Dopo molti mesi di silenzio rispetto
al progetto, Chris
Hemsworth ha aggiornato il pubblico su quelle che
sono le sorti
del biopic su Hulk Hogan in cui interpreterà
il wrestler. Nonostante ci sia grande curiosità e impazienza
intorno al progetto, sembra che i fan dovrebbero frenare la loro
eccitazione verso Hemsworth che interpreta Hulk Hogan.
Chris
Hemsworth ha infatti offerto un aggiornamento sul
biopic dedicato a Hulk Hogan e ha indicato che le cose al momento
non sono in movimento per il progetto. Ha detto (tramite CBR):
“Todd Phillips è impegnato a
girare
Joker 2, credo, e io ho girato altri film. È tutto in fase di
conversazione e sviluppo e, come spesso capita, molte cose devono
combaciare perché accada. E poi non ho pitoni da 24 pollici…
ancora.” conclude scherzando e citato la
famosa dichiarazione di Hogan.
In un’intervista a Total
Film (via ComicBook), la star
di Thor ha parlato di quanto questo ruolo presenterà nuove sfide
per lui e il suo fisico, spiegando: “Questo film sarà un
progetto davvero divertente. Come puoi immaginare, la preparazione
per il ruolo sarà follemente fisica. Dovrò mettere su più
dimensioni di quanto abbia mai fatto prima, anche più di quanto
abbia messo su per Thor. C’è l’accento del personaggio da
costruire, ma anche la fisicità e l’atteggiamento. Dovrò anche fare
un tuffo profondo nella tana del coniglio, ovvero il mondo del
wrestling, che non vedo davvero l’ora di fare!”.
Oltre ai muscoli, Hogan ha anche un
aspetto molto distinto, compresi i baffi a manubrio e un taglio di
capelli caratteristico, oltre ad un colore specifico. Il film
biografico,
annunciato più di un anno fa, sarà diretto da Todd
Phillips. Mentre è principalmente noto come regista di
commedie, i suoi ultimi due film, War Dogs e Joker, sono più orientati verso temi più
impegnativi.
Tom Hardy ha fornito la prima anticipazione dello
sviluppo di Venom 3. Dopo la conferma ad
aprile scorso che la SONY aveva dato il via libera per il
completamento della trilogia dedicata al simbionte, non c’erano
stati altri sviluppi.
Ora, in un nuovo post su Instagram,
la star del franchise ha condiviso una foto della parte anteriore
della sceneggiatura di Venom 3. Hardy ha scritto
la sceneggiatura insieme a Kelly Marcel, che torna
nel franchise dopo aver sviluppato la storia di Venom: La
Furia di Carnage. Ha lavorato anche come sceneggiatore in
entrambi i film precedenti.
Notiamo che nella foto,
Tom Hardy ha avuto l’accortezza di oscurare il titolo
ufficiale di Venom 3, disegnandoci sopra la testa del simbionte,
con l’iconica lingua lunga a formare un “3” alla fine.
Manca pochissimo all’uscita di
Thor: Love and
Thunder e le ultime informazioni in merito al
film stanno diventando pubbliche, come la durata e il rating del
film. Come tutti i film Marvel Studios, anche questo Thor 4 sarà PG-13, ma questa volta per
una ragione inedita e sorprendente.
L’elenco ufficiale su FilmRatings spiega perché
Thor: Love and
Thunder è stato classificato PG-13. L’elenco dei
motivi di questa valutazione dell’MPA dichiara che il film contiene
“intense sequenze di violenza e azione di fantascienza,
linguaggio, materiale suggestivo e nudità parziale“. Sebbene
ogni film dell’MCU sia stato classificato PG-13,
questo è il primo film nei 14 anni di storia del franchise che ha
contenuto “nudità parziale“. Ci si riferirà probabilmente
alla scena vista nel trailer? Oppure dobbiamo aspettarci altro?
Thor: Love and
Thunder è il quarto capitolo sulle avventure del
Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare
il Mjolnir stavolta sarà Jane
Foster, interpretata di nuovo daNatalie
Portman, come confermato sabato durante il panel
dei Marvel
Studios al Comic-Con. L’uscita nelle sale è fissata invece
al 6 Luglio 2022.
Il film segue Thor (Chris
Hemsworth) in un viaggio diverso da quelli affrontati
fino ad ora, alla ricerca della pace interiore. Ma il suo riposo è
interrotto da un killer galattico conosciuto come Gorr il
Macellatore di Dei (Christian
Bale), che cerca l’estinzione degli dei. Per
combattere la minaccia, Thor si affida all’aiuto di Valchiria
(Tessa
Thompson), Korg (Taika Waititi) e
dell’ex fidanzata Jane Foster (Natalie
Portman) che, con stupore di Thor, brandisce
inspiegabilmente il suo martello magico, Mjolnir, come Mighty Thor.
Insieme, intraprendono una sconvolgente avventura cosmica per
scoprire il mistero della vendetta di Gorr il macellatore di dei e
fermarlo prima che sia troppo tardi.
Taika Waititi tornerà alla regia di Thor: Love and
Thunder, un film dei Marvel Studios
dopo
Thor: Ragnarok, così come Chris
Hemsworth e Tessa
Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor e
Valchiria dopo l’ultima apparizione in
Avengers: Endgame. Nel cast anche
Christian Bale nei panni del villain Gorr il
Macellatore di Dei, e
Russell Crowe in quelli di Zeus. L’ispirazione del
progetto arriva dal fumetto “The Mighty Thor”, descritto da Waititi
come “la perfetta combinazione di emozioni, amore, tuono e storie
appassionanti con la prima Thor femmina dell’universo“.
Parlando con Kevin Polowy nel corso delle conferenze
stampa per Lightyear
– La vera storia di Buzz,
Chris Evans, che presta la voce allo space-ranger
nella versione originale del film, ha parlato del processo di
abbandono del ruolo di Capitan America e del MCU in generale.
L’attore ha ricordato come era stata
la sua vita nel decennio in cui era stato coinvolto nei Marvel Studios. Evans ha detto che, anche se a
volte può essere noioso, ci sono cose che gli mancano del
franchise, a causa del suo profondo investimento in Captain America
e del suo amore per le altre star del MCU.
“Sai, è diverso. È diverso. Per
dieci anni, hai sempre un film dietro l’angolo. Per dieci anni, è
stato sempre che ne finivi uno e poi la tua vita era programmata
da: ‘Ok, sei mesi, abbiamo la stampa. Altri sei mesi, iniziamo il
prossimo film”. E poi amo quelle persone e, saranno i migliori
dieci anni della mia vita professionale per sempre, senza dovermi
mai porre domande”.
Ha poi continuato parlando di quanto
Anthony Mackie sia la persona giusta per ereditare
il suo scudo e di quanto sia buffo, ora che la sua forma fisica è
più asciutta, vedere le persone che gli si avvicinano e gli
chiedono se stia bene o meno.
Il sodalizio tra il calcio e il
cinema ha di recente visto approdare sul grande schermo importanti
successi come il documentario Mi chiamo Francesco
Totti e Zlatan, permettendo
così ai fan dei calciatori oggetto di queste opere di scoprire di
più dei loro beniamini, conoscendone sogni, paure e rimpianti.
Un’operazione molto simile, ma in forma di serie televisiva, ha ora
per protagonista Paul Pogba, il
centrocampista del Manchester United nonché uno dei calciatori più
talentuosi della sua generazione. A lui sono dedicati i cinque
episodi di The Pogmentary, una crasi tra
Pogba e documentary che sottolinea l’influenza che
possiede oggi il calciatore.
Disponibile su Prime Video dal 17
giugno, la serie ha molto in comune con il documentario
dedicato a Totti. Entrambi i giocatori protagonisti di queste due
opere guardano al proprio passato ricco di successi e tanta
dedizione, ripercorrendo le tappe più importanti del loro percorso.
Se nel suo documentario Totti viene però immortalato nel momento in
cui la sua carriera calcistica finiva, per Pogba quel momento
sembra ancora lontano. Nella serie, infatti, il giocatore è sì ad
un nuovo vincolo, ma la scelta non è se continuare o meno, bensì
con chi continuare. Una decisione, come dice lo stesso calciatore
nel corso del primo episodio, da prendere con estrema
attenzione.
L’uomo dietro il calciatore
Cinque episodi per una scelta
cruciale. Si potrebbe sintetizzare così The Pogmentary,
una serie che potrebbe deludere chi si aspetta un prodotto
prevalentemente incentrato sull’attività calcistica di Pogba.
Benché questa sia ovviamente presente, almeno nei suoi momenti più
importanti, come la vittoria ai mondiali del 2018, il cuore del
racconto si trova altrove. Da una parte si segue il Pogba padre di
famiglia, ripreso in compagnia dei figli e della moglie. “Un
giorno cesserò di essere un calciatore, – afferma nella serie
– ma sarò per sempre un padre“. Emergono dunque
da qui gli aspetti più umani del centrocampista, il quale fuori dal
campo di gioco conduce una vita il più “normale” possibile.
Dall’altro lato, la serie si
concentra sui confronti con il suo manager in merito alle scelte da
compiere sul suo futuro calcistico. Pogba ha oggi 29 anni e molto
ancora da poter compiere come calciatore. Per chi muore dalla
voglia di sapere se egli firmerà nuovamente con il Manchester
United o se tornerà nuovamente alla Juventus, di cui ha fatto parte
dal 2012 al 2016, allora questa può configurarsi come la serie che
svela i retroscena di quella scelta. In generale, dunque,
l’obiettivo sembra quello di far conoscere Pogba come uomo,
piuttosto che come calciatore. Un aspetto di lui che probabilmente
gli appassionati conoscono già molto bene.
Pogba tra documentario e animazione
Alla luce di questi due macro
aspetti della serie, nel corso degli episodi si ritrovano
interviste alle principali personalità intorno a Pogba, dal suo
avvocato Rafaela Pimenta al suo agente, il celebre
Mino Raiola. Attraverso le loro parole si può
conoscere dunque in modo più approfondito e da punti di vista
diversi ciò che c’è da sapere sul calciatore. Una parte importante
della serie è però dedicata anche al passato di Pogba, al suo aver
lasciato la famiglia in Francia per inseguire i suoi sogni in
Inghilterra, intraprendendo il suo percorso di formazione. Tutta
questa parte ci viene raccontata attraverso l’uso di animazioni,
che sono probabilmente l’elemento che arricchisce la serie di una
propria unicità.
Vive dunque di tutti questi
elementi combinati insieme The Pogmentary, un prodotto
probabilmente non emozionante come lo era il documentario su
Francesco Totti (anche se è giusto dire che in quel caso
subentravano diverse dinamiche, dall’affetto alla malinconia per il
suo ritiro), ma ugualmente valido per fornire il ritratto di uno
dei talenti del calcio contemporaneo. Probabilmente la serie
troverà maggiori apprezzamenti presso un pubblico di appassionati
di questo sport, ma per le modalità del racconto, le tecniche
impiegate e le intenzioni espresse, The Pogmentary
potrebbe suscitare anche l’interesse di spettatori meno avvezzi a
tale sport.
In un’intervista con
Collider, Dexter Fletcher ha detto che ha ancora
speranze per la realizzazione di Sherlock
Holmes 3. Il regista ha ammesso che, sebbene non
abbia scadenze fisse o aggiornamenti sullo stato del film, è
consapevole che il pubblico è impaziente. Fletcher attribuisce la
produzione a una questione di “tutte le persone giuste al posto
giusto, al momento giusto” e spera che il momento debba ancora
venire.
“La pandemia l’ha fatto
deragliare. Penso che verrà realizzato. Penso che debba essere
realizzato. Non so quale sia la sequenza temporale,
sfortunatamente, ma credo che dovrebbe essere fatto. È fantastico.
Penso che si tratti di tutte le persone giuste, al posto giusto, al
momento giusto. Penso che sia quello. È uno di quei crudeli colpi
di scena del destino, in cui la pandemia ha colpito e ha disperso
le persone in tutto il mondo. Ma so che c’è un’enorme voglia di
vedere questo film, e sono sicuro che ci sono anche altre persone
molto consapevoli di questo. Ma credo che dovrebbe essere fatto
perché è brillante. Lo spero vivamente”.
I fan del franchise di Sherlock
Holmes stanno aspettando da oltre dieci anni il terzo film e il
recente annuncio degli spettacoli spin-off ha sollevato più domande
che risposte. Il ritardo indefinito di Sherlock
Holmes 3 alla fine del 2020 a causa della
pandemia è comprensibile ma ora, mentre le cose stanno tornando
alla normalità per l’industria cinematografica, molti fan
probabilmente si chiederanno se il film andrà presto avanti o
morirà definitivamente. Tuttavia non c’è da esser troppo cinici,
questa notizia conferma l’attenzione e l’interesse sempre vivo
dello studios sul franchise. Con
Robert Downey Jr e
Jude Law che hanno precedentemente
espresso interesse a riprendere
i loro ruoli e con il franchise che si è dimostrato redditizio
per la Warner Bros., non è irragionevole presumere che Sherlock
Holmes 3 alla fine si realizzerà: ma sembra che i
fan dovranno aspettare ancora un po’.
Dalla Warner Bros. Pictures e dal
visionario regista candidato all’Oscar Baz
Luhrmann, arriva sul grande schermo ELVIS,
uno spettacolo epico che esplora la vita e la musica di Elvis
Presley. Protagonisti del film, Austin Butler e il premio Oscar Tom Hanks.
Rivisitata in chiave
cinematografica, la storia di Elvis (Austin
Butler) è vista attraverso il prisma della complicata
relazione con l’enigmatico manager, il colonnello Tom Parker
(Tom
Hanks). Il film, come raccontato da Parker,
approfondisce le complesse dinamiche tra i due nell’arco temporale
di 20 anni dagli esordi alla fama di Presley, che raggiunse un
livello di celebrità senza precedenti sullo sfondo di un panorama
culturale in evoluzione che segna la perdita dell’innocenza in
America. Al centro di questo viaggio, una delle persone più
significative e influenti nella vita di Elvis, Priscilla Presley
(Olivia DeJonge).
Recitano al fianco di Butler e
Hanks, la pluripremiata attrice teatrale Helen Thomson (“Top of the
Lake: China Girl”, “Rake”) nei panni della madre di Elvis, Gladys,
Richard Roxburgh (“Moulin Rouge!” “Breath”, ” La
battaglia di Hacksaw Ridge”) in quelli del padre di Elvis, Vernon,
mentre Olivia DeJonge (“The Visit”, “Stray Dolls”)
interpreta Priscilla. Luke Bracey (“La battaglia
di Hacksaw Ridge”, “Point Break”) interpreta Jerry Schilling;
Natasha Bassett (“Ave, Cesare!”) interpreta Dixie
Locke; David Wenham (“Il Signore degli Anelli” la
trilogia, “Lion– la strada verso casa”, “300” ) è Hank Snow;
Kelvin Harrison Jr. (“Il processo ai Chicago 7”,
“L’assistente della star”) interpreta B.B. King; Xavier
Samuel (“Two Mothers”, “Amore e inganni”, “The Twilight
Saga: Eclipse”) interpreta Scotty Moore, e Kodi
Smit-McPhee (“Il potere del cane”) interpreta Jimmie
Rodgers Snow.
Completano il cast Dacre
Montgomery (“Stranger Things”, “La galleria dei
cuori infranti”) nei panni del regista televisivo Steve
Binder, al fianco degli attori australiani Leon Ford (“Gallipoli”,
“The Pacific”) nei panni di Tom Diskin, Kate
Mulvany (“Il grande Gatsby”, “Hunters”) in quelli di
Marion Keisker; Gareth Davies (“Peter Rabbit,”
“Hunters”) come Bones Howe, Charles Grounds
(“Crazy & Rich”, “Camp”) come Billy Smith, Josh McConville
(“Fantasy Island”) è Sam Phillips, e Adam Dunn
(“Home and away”) nei panni di Bill Black.
Per ritrarre le altre icone della
musica del film, Baz Luhrmann ha scelto la
cantautrice Yola come Sister Rosetta Tharpe; il modello Alton Mason
come Little Richard; il texano di Austin Gary Clark Jr., come
Arthur Crudup, e l’artista Shonka Dukureh come Willie Mae “Big
Mama” Thornton.
Il candidato all’Oscar Baz
Luhrmann (“Il Grande Gatsby”, “Moulin Rouge!”) ha diretto
il film da una sceneggiatura da lui scritta assieme a Sam Bromell,
Craig Pearce e Jeremy Doner, basata su una storia dello stesso Baz
Luhrmann e Jeremy Doner. I produttori del film sono Luhrmann, la
vincitrice dell’Oscar Catherine Martin (“Il Grande Gatsby”, “Moulin
Rouge!”), Gail Berman, Patrick McCormick e Schuyler Weiss, mentre i
produttori esecutivi sono Toby Emmerich, Courtenay Valenti e Kevin
McCormick.
Il team creativo che ha lavorato
dietro le quinte include la direttrice della fotografia Mandy
Walker (“Mulan”, “Australia”), la scenografa e costumista premio
Oscar Catherine Martin (“Il Grande Gatsby”, “Moulin Rouge!”), la
scenografa Karen Murphy (“A Star Is Born”), i montatori Matt Villa
(“Il Grande Gatsby”, “Australia”) e Jonathan Redmond (“Il Grande
Gatsby”), il supervisore degli effetti visivi nominato all’Oscar
Thomas Wood (“Mad Max: Fury Road”), il supervisore musicale Anton
Monsted (“Australia”, “Moulin Rouge!”) e il compositore Elliott
Wheeler (“The Get Down”).
Le riprese principali di “Elvis” si
sono svolte nel Queensland, in Australia, con il sostegno del
governo del Queensland, di Screen Queensland e del programma
Producer Offset del governo australiano. Warner Bros. Pictures
presenta, una produzione Bazmark Production, Jackal Group, un film
di Baz Luhrmann: “Elvis” distribuito in tutto il mondo dalla Warner
Bros. Pictures. Il film uscirà nelle sale italiane il 22 giugno
2022.
La Disney ha realizzato una speciale
immagine promozionale per Lightyear
– La vera storia di Buzz, in cui vediamo Andy,
protagonista di Toy Story, con tutti i suoi
giocattoli (escluso Buzz, ovviamente) in sala a vedere il film
sullo spece-ranger. Eccola di seguito!
Lightyear
– La vera storia di Buzz, il lungometraggio
originale Disney e Pixar che segue il leggendario Space Ranger in
un’avventura intergalattica, arriverà il 15 giugno nelle sale
italiane. La nuova avventura d’azione racconta le origini di Buzz
Lightyear, l’eroe che ha ispirato il giocattolo di Toy
Story.
Lightyear
– La vera storia di Buzz è diretto da Angus
MacLane, regista vincitore dell’Annie Award e animatore veterano di
Pixar che ha co-diretto Alla
Ricerca di Dory del 2016, ed è prodotto da Galyn Susman
(il corto Toy Story: Tutto un altro mondo).
Il premiato compositore Michael
Giacchino, che ha firmato le musiche di The Batman e Spider-Man: No Way Home, comporrà la colonna sonora di
Lightyear – La vera storia di Buzz. Giacchino ha un
rapporto di lunga data con Pixar: ha vinto un Oscar, un Golden
Globe e un GRAMMY per la colonna sonora originale di Up.
Inoltre, la sua filmografia Pixar include, tra gli altri, Gli
Incredibili – Una “normale” famiglia di supereroi,
Ratatouille, Cars 2, Inside Out,
Coco e Gli Incredibili 2.
Guardando indietro a Philadelphia quasi 30 anni dopo, Tom Hanks non pensa che lui o qualsiasi
altro attore etero sarebbero in grado di interpretare il ruolo di
Andrew Beckett oggi, e “per una buona ragione”. Durante
un’intervista al New York Times Magazine, Hanks
ha parlato del suo personaggio apertamente gay nel cuore di
Filadelfia e di come la mentalità sia cambiata a Hollywood nel
corso degli anni. L’attore ha detto che il ruolo oggi dovrebbe
essere scelto con più “autenticità”.
“Rivolgiamoci a “un uomo etero
potrebbe fare quello che ho fatto io a Filadelfia adesso?” No, e
per una buona ragione. Il punto centrale di Filadelfia era non aver
paura. Uno dei motivi per cui la gente non aveva paura di quel film
è che ero io a interpretare un uomo gay. Ora siamo oltre questo, e
non credo che la gente accetterebbe l’inautenticità di un ragazzo
etero che interpreta un ragazzo gay. Non è un crimine, non è da
fischiare, il fatto che si richieda più autenticità nella scelta
del protagonista.”
A causa del cambiamento della
cultura, è in corso un dibattito sull’opportunità o meno che gli
attori non LGBTQ+ debbano interpretare ruoli lesbici, gay,
bisessuali, transgender o queer. Negli ultimi anni, sempre più
attori LGBTQ+ vengono scelti per interpretare questi ruoli poiché
la rappresentazione sullo schermo è aumentata. Molti ritengono che
solo gli attori che si identificano con gli omosessuali abbiano
l’esperienza vissuta per dare vita ai personaggi di queste comunità
in modo autentico. Tuttavia, questa conversazione è in corso
all’interno del settore, poiché altri sostengono che la recitazione
è intrinsecamente non autentica e finta, e che un attore può
interpretare un personaggio in modo convincente, anche se non può
necessariamente relazionarsi con la propria esperienza.
Nel corso della sesta edizione del
festival Cinema e Ambiente Avazzano è stato
presentato il documentario MATA, che vuole
incentivare la riflessione su uno degli ostacoli più imponenti che
la zona di Bahia, nel sud del Brasile, deve affrontare: l’avanzata
delle piantagioni di eucalipto.
Dietro al progetto di
MATA vi sono la mente e il cuore di Ingrid
Fadnes e Fábio Nascimento. La prima,
giornalista, ricercatrice e traduttrice, tra il 2005 e il 2017 ha
vissuto in Messico, America Centrale e Brasile, dove ha lavorato a
stretto contatto con organizzazioni di contadini e popoli indigeni.
Nascimento è invece un fotografo documentarista,
regista e compositore brasiliano. Lavora, tra gli altri, per
National Geographic, Greenpeace,
MSF e The New York Times.
MATA: il nemico può anche essere
verde
MATA si presenta
come un documentario estremamente attuale sulla perdita di
biodiversità e sulla lotta unitaria delle popolazioni indigene e
dei contadini contro l’impatto della monocultura sull’ambiente,
tentando di salvaguardare il territorio in cui hanno vissuto i loro
antenati per centinaia di anni.
Sulla costa orientale del Brasile,
nel sud di Bahia, un tempo esisteva una foresta con una diversità
di specie superiore a quella dell’Amazzonia. Negli ultimi quattro
decenni, il paesaggio è cambiato drasticamente: l’eucalipto cresce
a vista d’occhio, fitto ed elevandosi in altezza. I contadini che
lavorano nelle vicinanze e gli indigeni che hanno sempre vissuto in
queste zone ne notano le conseguenze perfino sul proprio corpo.
Dove sono finite le acque sotterranee? Cosa è successo al suolo?
Sotto ai terreni che brulicavano di vita, ora sembra non essere
rimasto più niente.
In portoghese il significato del
verbo “uccidere” e del sostantivo “foresta” vengono entrambi
codificati dallo stesso termine: MATA. Quello che
ci vuole raccontare il documentario di Fadnes e
Nascimento è proprio che una brulicante foresta di
eucalipto sta uccidendo la vera, originiaria foresta: quella
pluviale. Le problematiche connesse alla coltivazione
dell’eucalipto ci vengono illustrate attraverso la storia di un
agricoltore, Etevaldo Pereira, che cerca di
battersi valorosamente contro un tipo di agricoltura dannosa su
larga scala, per preservare la bellezza di un habitat ancestrale.
Veniamo poi introdotti anche alla popolazione indigena dei
Pataxó, vittime del business del colonialismo, di
una piantagione vorticosa dietro a cui non si nasconde altro che lo
scopo di lucro delle multinazionali.
La voce di un popolo
I due protagonisti del film sono i
rappresentanti della lotta contro lo sfruttamento capitalistico
delle risorse naturali della zona. All’età di 63 anni, il contadino
Etevaldo ha finalmente ottenuto un appezzamento di
terreno dove poter condurre un’attività agricola su piccola scala.
Ci è riuscito grazie al Movimento dei Senza Terra, che sta
combattendo una dura battaglia per la riforma agraria in Brasile.
Il leader indigeno Rodrigo, del popolo
Pataxó, appartiene invece a una delle tribù della
zona che furono quasi spazzate via quando i portoghesi “scoprirono”
il Brasile e oggi lottano per il riconoscimento delle loro aree
storiche e tradizionali.
Il sensazionalismo della regia di
MATA è affidata soprattutto ai droni, che vogliono
sottolineare al meglio le differenze tra la foresta pluviale
naturale e la foresta artificiale di eucalipti. Quest’ultima cresce
sempre più in alto, fino a quando gli alberi sono abbastanza alti
da essere abbattuti; la foresta pluviale, per sua natura e
conformazione, cresce invece in ogni direzione possibile. Vuole
abbracciare un territorio, e le sue tribù, rivendicare il proprio
ecosistema, che sta pian piano venendo soppiantato da una flora e
fauna complesse. La piantagione di eucalipto si diffonde come un
virus, uccidendo le cellule sane e sostituendole, ondeggiando e
seguendo la traiettoria di un rimpiazzo artificiale.
Naturalmente, l’eucalipto non è
l’unico problema della zona di Bahia. L’agricoltura, il
disboscamento e l’estrazione mineraria non sostenibili sono citati
come alcune delle cause della deforestazione, aggravata
ulteriormente dall’amministrazione Bolsonaro che
ha indebolito l’operato dell’agenzia per l’ambiente applicando, ad
esempio, nuove restrizioni alla capacità di distruggere le
attrezzature pesanti trovate sulla scena dei crimini ambientali e
ridotto le multe ambientali.
La foresta è anche Storia
Il cuore e nucleo tematico di
MATA viene esplicitato da una sequenza in
particolare: vediamo il leader dei Pataxó
inginocchiarsi a terra di fronte ai rappresentanti delle
multinanzionali con cui la tribù sta iniziando a negoziare. Implora
che ai Pataxó sia permesso di rimanere nella loro
terra, di preservarne l’eterogeneità e ricordarne la Storia.
I negoziatori, in tutta risposta, afferrano una manciata di terra e
dichiarano che si tratta di un qualcosa di sacro per tutta
l’umanità. Non rispondono alle grida di un popolo: si limitano a
sedersi su una sedia, con le camicie bianche rimboccate, dopo aver
fornito quella che secondo loro è una “valida spiegazione”.
I Pataxó stanno
cercando di dirci una cosa: la conoscenza della foresta è a
disposizione di tutti noi, se solo siamo disposti a vederla e
ascoltarla per davvero. Non dobbiamo nemmeno cercare tutte le
risposte da soli; possiamo iniziare ascoltando le storie di coloro
conoscono questo spazio, lo onorano vivendoci quotidianamente, chi
ha imparato a curarsi dell’altro, del verde che ci accoglie.