È arrivato nelle sale
italiane Papillon, remake dello storico film del
1973 che aveva come protagonisti due grandi attori come
Steve McQueen e
Dustin Hoffman. Il nuovo lungometraggio,
diretto dal danese Michael Noer, vede invece
schierati in prima linea due volti famosi del piccolo schermo:
Charlie Hunnam (Sons of
Anarchy) e
Rami Malek (Mr.
Robot).
Papillon si
basa sul libro autobiografico di Henri Charrière,
soprannominato Papillon per via del tatuaggio a forma di farfalla
che portava sul petto (e che era segno distintivo dei ladruncoli di
strada). Senza entrare nel merito
delle spinose critiche rivolte nel corso degli anni all’opera
letteraria, che ne confutavano la veridicità dei fatti, i film di
Papillon – entrambi – sono un inno alla libertà, metaforizzata da
quella “farfalla” che il protagonista porta incisa su di
sé.
Papillon, il film
Nella Parigi degli anni ‘20,
il giovane ladruncolo Henri (Charlie
Hunnam) detto Papi(llon), viene accusato ingiustamente
di un omicidio mai commesso e condannato ai lavori forzati a vita
nei territori della Guyana Francese (in Sudamerica).
Ma nulla riuscirà
a dissuadere l’uomo dal suo desiderio di evasione, della sua
incessante sete di libertà che gli causerà non pochi guai. Ogni suo
tentativo di fuga, puntualmente fallito, viene punito duramente con
l’isolamento (e il silenzio) per anni e anni, senza tuttavia
scalfire di un minimo le velleità indomite di
Papillon. Nemmeno la forte amicizia che si viene a
creare con Luis Dega (Remi
Malek) – dapprima legame di convenienza, poi vero e
proprio sentimento fraterno – cambierà quello che è stato poi di
fatto il destino di quest’uomo-farfalla: vivere
libero.

Noer ha una direzione molto
classica: inquadrature ampie, campi lunghi, pochi effetti speciali.
Scegliendo di girare le scene tra Serbia, Montenegro e Malta, il
film azzecca anche la capacità comunicativa di quei luoghi, che
rimandano molto i paesaggi brulli e le coste rocciose dell’America
del sud. E trasmettono allo spettatore quel senso di assoluta
rassegnazione, di perdita di speranze da parte di coloro che
realmente venivano imprigionati e relegati in un luogo
apparentemente impossibile da lasciare. I due protagonisti –
Malek e
Hunnam – sono ispiratissimi, e se si scansano i
pericolosi paragoni con coloro che li hanno preceduti (Hoffman
e McQueen), se ne possono apprezzare le doti
recitative e la capacità di calarsi in dei ruoli tanto
tormentati.
Attenendosi molto al lato
romanzato della storia, Papillon lascia comunque trapelare un certo
intento documentaristico, una volontà di denuncia storica verso le
condizioni disumane di bagni penali come quelli della Caienna
francese. I titoli di coda del film infatti mostrano le
foto dei luoghi originali (e quindi la fedeltà riproduttiva delle
scenografie della pellicola di Noer), dei prigionieri che da Parigi
si imbarcarono sulla Martinière e, infine, del vero Henrie
Charrière, che in età avanzata mostra orgoglioso tutti i
suoi tatuaggi, simbolo di una vita all’insegna della
Speranza.
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