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PAURA – ITALIAN HORROR MUSIC: disponibile in digitale la raccolta delle colonne sonore horror

Cori enigmatici, melodie infantili, ritmi frenetici, percussioni ossessive, sintetizzatori angoscianti. Tutto questo è PAURA – ITALIAN HORROR MUSIC. La raccolta, da oggi disponibile in digitale, include ora il remix di DJ Paul del pezzo Giallo in Tensione di Daniele Patucchi e Cannibal holocaust – main theme di Riz Ortolani. I brani presenti all’interno della compilation hanno dato un grande contributo all’atmosfera del cinema horror italiano e hanno arricchito le colonne sonore di film esoterici e soprannaturali degli anni ’70 e dei film splatter e slasher degli anni ’80.

DJ Paul è un DJ statunitense, noto come membro del gruppo hip-hop Three 6 Mafia. Il suo remix di Giallo in tensione di Daniele Patucchi arricchisce il brano rendendolo la traccia energica e mantenendo allo stesso tempo l’intensità e l’inquietudine della versione originale.

Questa repack nasce come nuova edizione di PAURA (2021), già disponibile in una versione doppio vinile e in un’esclusiva deluxe box a forma di pietra tombale che include un doppio vinile splattered rosso con versione alternativa dell’artwork, un poster, una fanzine con i manifesti dei film inclusi nella raccolta ed un esclusivo 45 giri in vinile rosso contenente le 2 bonus track: L’Ossessa di Marcello Giombini e Le Facce della Morte di Daniele Patucchi.

La raccolta PAURA – ITALIAN HORROR MUSIC

La raccolta include brani come Greta – Seconda Versione di Berto Pisano, caratterizzato da atmosfere sospese e inquietanti e La Notte Che Evelyn Uscì Dalla Tomba – versione lunga di Bruno Nicolai, con archi e organi che creano un senso di mistero e decadimento gotico. Non mancano brani come La croce delle sette pietre – tema del male di Paolo Rustichelli, Notte nel bosco – evil bass di Andrea Maria Vitali, caratterizzato da linee di basso profonde e cupe e Mio caro assassino di Ennio Morricone, i cui protagonisti sono il flauto e l’arpa che creano un’atmosfera di suspense e angoscia.

PAURA cresce e avvolge l’ascoltatore in modo inquietante, offrendo un’esperienza che alterna delizia e sgomento. L’album esplora l’eclettico repertorio degli archivi CAM Sugar, costruendo un autentico viaggio sonoro attraverso il labirinto del terrore. L’atmosfera è ulteriormente arricchita dall’esclusivo artwork di Eric Adrian Lee, che reinterpreta l’iconografia classica del cinema horror all’italiana, donando all’opera un tocco visivo che cattura lo spirito del genere.

La raccolta PAURA trascina chi la ascolta in un viaggio emozionante attraverso alcune delle più affascinanti e inquietanti composizioni mai scritte per il cinema horror. Questo progetto dà spazio ai celebri maestri della musica cinematografica come Ennio Morricone e Riz Ortolani, e portando alla luce il contributo di compositori fondamentali per il cinema italiano, come Daniele Patucchi, Marcello Giombini e Berto Pisano. La raccolta si arricchisce inoltre di contributi straordinari, tra cui la storica vocalist Edda Dell’Orso, musa di Morricone, e i Goblin, il leggendario gruppo musicale noto per la loro lunga collaborazione con il regista Dario Argento. PAURA non è solo una celebrazione della musica horror, ma anche un omaggio alle figure che hanno saputo creare l’atmosfera unica di questo genere cinematografico.

PAURA include, inoltre, ‘Bargain with the Devil #3’ di Franco Micalizzi. Il brano è tratto dalla colonna sonora del film ‘Chi Sei?’, il cui tema principale è stato oggetto di campionamento da parte della leggenda Hip Hop Pete Rock nella traccia ‘After the Storm’ di Kali Uchis con la partecipazione di Tyler, The Creator e Bootsy Collins. La canzone è soltanto una delle molte opere presenti negli archivi CAM ad essere campionate da acclamati artisti contemporanei come James Blake (Bruno Nicolai), Drake (Marcello Giombini), Tei Shi e Blood Orange (Luigi Ceccarelli), un fenomeno che mette in luce l’importanza del catalogo dell’etichetta come una costante fonte di ispirazione per beatmaker e collezionisti.

Snot e Splash – Il mistero dei buchi scomparsi di Teemu Nikki al cinema dal 14 novembre

Dal 14 novembre arriva nelle sale italiane Snot e Splash – Il mistero dei buchi scomparsi, il nuovo film del regista finlandese Teemu Nikki, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

La storia di Snot e Splash – Il mistero dei buchi scomparsi

Commedia per tutte le età, Snot e Splash racconta le avventure di due fratelli sempre in lite, Snot (Hugo Komaro) e Splash (Urho Kuokkanen), che, durante le vacanze invernali, si recano nella piccola città di Acquainbocca per fare visita alla nonna. Scopriranno presto che tutto è cambiato. I due si ritrovano a inseguire un misterioso ladro di buchi e la loro avventura si trasforma in una corsa contro il tempo per salvare gli abitanti di Acquainbocca, e non solo. Nel cast anche Kati Outinen, Pekka Strang, Jari Virman, Sampo Sarkola.

Prodotto da It’s Alive Films, Snot e Splash – Il mistero dei buchi scomparsi andrà ad arricchire il “Teemu Nikki Universe“, un affascinante insieme di storie capaci di incantare il pubblico di tutte le età, scoperte e distribuite in Italia da I Wonder Pictures, e successivamente disponibili su IWONDERFULL. La nuova opera di Teemu Nikki si distingue per il suo mix unico di umorismo, azione e avventura, a cui si aggiungono elementi visivi spettacolari e personaggi indimenticabili. Nikki, noto per la sua capacità di trattare temi universali con leggerezza e ironia, crea un ambiente in cui il pubblico può riconoscersi, mentre i protagonisti affrontano sfide che mettono alla prova non solo le loro abilità, ma anche il loro legame fraterno.

In Snot e Splash, il regista utilizza una palette visiva vivace e un design innovativo, catturando l’immaginazione degli spettatori più giovani e invitandoli a esplorare un mondo fantastico, ricco di sorprese. Con dialoghi spiritosi e situazioni comiche, il film intrattiene e coinvolge, offrendo momenti di pura gioia e risate. Nikki continua a consolidare la sua reputazione come uno dei registi più innovativi del panorama cinematografico contemporaneo, capace di creare storie che parlano tanto ai bambini quanto agli adulti, mantenendo sempre viva l’attenzione del pubblico.

Snot e Splash – Il mistero dei buchi scomparsi è ora anche un libro illustrato, curato dallo scrittore Manlio Castagna e dall’illustratore Gianluca Garofalo, edito da Salani Editore, presentato in anteprima durante l’edizione 2024 del Lucca Comics & Games e in libreria dal 29 ottobre.

Avetrana – Qui non è Hollywood: recensione dei primi due episodi della serie Disney+ #RoFF19

Presentata alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle, Avetrana – Qui non è Hollywood è la serie tv di Pippo Mezzapesa che ricostruisce in quattro episodi la tragica vicenda di Sarah Scazzi, quindicenne pugliese scomparsa il 26 agosto 2010, il cui corpo senza vita fu ritrovato in un pozzo più di un mese dopo. La serie è tratta dal libro Sarah. La ragazza di Avetrana, di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni.

Avetrana – Qui non è Hollywood, un titolo eloquente

Pippo Mezzapesa – regista pugliese saldamente legato alla sua terra, autore di lavori come Il bene mio e Ti mangio il cuore – intraprende qui un’operazione rischiosa. Il caso di Sarah Scazzi è stato tra quelli che hanno suscitato più clamore ed eco mediatica degli ultimi anni. Eco che ha volte si è trasformata persino in fenomeni di morbosità e fanatismo. La domanda che ci si pone accostandosi alla visione è se e come Mezzapesa intenda evitare il rischio di essere considerato l’ennesimo tentativo di lucrare sulla vicenda.

Da questo punto di vista, il qui non è Hollywood del titolo, sembra essere una vera e propria dichiarazione di intenti. La critica all’assalto mediatico scatenatosi nella piccola cittadina pugliese fin dalle prime notizie della scomparsa di Sarah, e poi via via incrementato, fino a diventare quasi una forma di assedio alla città, è evidente fin dall’avvio della serie. Basti citare il riferimento ai veri e propri tour organizzati da provider senza scrupoli sui luoghi della tragedia. Ciò spinge a riflettere sui meccanismi di massa che si innescano da più parti in questi casi. Non sono infatti solo i media a sfruttare al massimo la notizia, ma anche chiunque possa. La gente comune, dal canto suo, sembra cedere spessissimo al richiamo di una curiosità malata. Si può dibattere se sia opportuno trattare o meno di questi fatti di cronaca in una serie tv. Ciò che conta, però, è come viene trattata la vicenda.

Avetrana - Qui non è Hollywood
Vanessa Scalera, Imma Villa, Giulia Perulli, Mimmo Mancini, Paolo De Vita in Avetrana – Qui non è Hollywood – Foto Credit Ph Lorenzo Pesce

Luci, ombre e atmosfere inquietanti in Avetrana – Qui non è Hollywood

In Avetrana – Qui non è Hollywood il regista punta all’essenziale. Il film si muove tra due poli opposti: il sole della provincia tarantina, la pizzica, il mare, l’estate da una parte, i due nuclei familiari protagonisti dall’altra, composti da personalità piene di lati oscuri perfino a sé stesse e che si muovono in ambienti altrettanto oscuri, come il luogo in cui si ritira Michele Misseri. Il film riesce senza dubbio a creare attesa e angoscia nello spettatore, mentre si immerge nell’analisi dei protagonisti.

Mancanza di amore e non accettazione di sé

Mezzapesa vuole entrare nei meccanismi psicologici dei personaggi, nel loro disagio, a partire da quello di Sarah. Le due famiglie protagoniste sono legate da rapporti di dipendenza perversi e distorti. La mancanza di amore domina su tutto. È quella che prova Sarah, Federica Pala, che ha sete di riconoscimento e affetto da parte della madre Concetta, Imma Villa, la quale però appare incapace di soddisfare questo bisogno. Sarah soffre anche la mancanza del fratello, a Milano per lavoro. Ha sete di abbracci, li chiede continuamente. Finisce per trovarli a casa degli zii, Cosima, Vanessa Scalera, e Michele, Paolo De Vita. Anche la loro figlia, Sabrina, la cugina di Sarah, Giulia Perulli, ha sete di amore e riconoscimento. Si sente sbagliata, è in lotta con sé stessa, col suo corpo, non si accetta. Il legame con Sarah è stretto e appare morboso, di odio e amore. Sarah ai suoi occhi sembra rappresentare un modello irraggiungibile, ma al contempo è ancora una “bambina” da manipolare. I coniugi Misseri non sono da meno e tutti insieme compongono il quadro di due famiglie disfunzionali, i cui rapporti malati non possono che sfociare in qualcosa di tragico e indicibile.

Anna Ferzetti
Anna Ferzetti – Avetrana – Qui non è Hollywood – Foto Credits Ph Lorenzo Pesce

Quattro episodi, quattro punti di vista

La narrazione è divisa in quattro episodi, ciascuno dal punto di vista di un personaggio: Sarah, Sabrina, Cosima e Michele. Lo stesso regista cura la sceneggiatura con Antonella Gaeta e Davide Serino, come già per Ti mangio il cuore. Questa organizzazione della materia narrativa permette di entrare ancora più a fondo nella psicologia dei personaggi, che è poi l’elemento realmente inquietante del lavoro. Anche i dialoghi sono molto ben costruiti, realistici e l’uso del dialetto appropriato.

Le interpretazioni in Avetrana – Qui non è Hollywood

Le interpretazioni dei protagonisti sono tutte a fuoco, forse quella con meno guizzi è proprio quella di Sarah, Federica Pala, mentre davvero efficace e di forte impatto è quella di Sabrina, anche la più complessa. A darle corpo, con una sorprendente trasformazione, è Giulia Perulli, che attraversa un arco emotivo notevole, risultando sempre credibile e trasmettendo allo spettatore angoscia e inquietudine profonde, non senza momenti in cui affiora il desiderio di spensieratezza che una giovane donna può avere. Parimenti disturbanti, ma più minimaliste, le interpretazioni di Cosima Serrano, madre di Sabrina, una straordinaria Vanessa Scalera, e Michele Misseri, il marito, zio di Sarah, interpretato da Paolo De Vita. Nel cast anche Anna Ferzetti, la giornalista, Giancarlo Commare, Ivano, il ragazzo conteso tra Sarah e Sabrina, Antonio Gerardi, il maresciallo. Avetrana – Qui non è Hollywood è un’operazione che può piacere o meno, ma che riesce nell’intento di essere scomoda e disturbante sia per come dipinge i protagonisti, sia perché mette bene in luce i meccanismi di certi fenomeni di massa.

Witness – Il testimone: tutto quello che c’è da sapere sul film con Harrison Ford

Sono diversi i motivi che rendono il film del 1985 Witness – Il testimone uno dei più grandi film americani di sempre. In primo luogo vi è la sua sceneggiatura, scritta da William Kelley e Earl W. Wallace, i quali vennero per questa premiati con l’Oscar. Si tratta infatti di un epico racconto di genere thriller, che fonde elementi consolidati ad altri più innovativi, come l’ambientazione rurale e l’utilizzo della filosofia amish. Si tratta inoltre del primo film americano di Peter Weir, regista ricordato per celebri film come L’attimo fuggente e The Truman Show. Infine, a rendere grande il film vi sono le interpretazioni dei suoi protagonisti, e in particolare quella di Harrison Ford.

La storia di Witness – Il testimone trae ispirazione da un episodio della serie Gunsmoke, che proprio Kelley e Wallace avevano scritto. I due diedero così vita ad una prima stesura della sceneggiatura di circa 182 pagine, poi ridotte affinché il film potesse durare circa due ore. Il progetto, però, rimase a lungo nel limbo. Il produttore Edward S. Feldman, infatti, faticò a trovare uno studios interessato a questo. La Fox, ad esempio, liquidò la cosa affermando che loro non producevano film rurali. Fu infine la Paramount ad acquisire i diritti per il film, che divenne da subito uno dei maggiori successi dell’anno e ancora oggi è ricordato come un grande esempio di cinema che coniuga alla perfezione scrittura e visivo.

A fronte di un budget di 12 milioni di dollari, il film arrivò ad incassarne ben 68 in tutto il mondo. Un risultato particolarmente notevole, che portò il titolo a diventare uno dei grandi protagonisti della sua stagione. Ottenne 8 nomination ai premi Oscar, vincendo quello per la miglior sceneggiatura e per il miglior montaggio. In questo articolo approfondiamo alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Harrison Ford e Kelly McGillis in Witness - Il testimone
Harrison Ford e Kelly McGillis in Witness – Il testimone © 1985 – Paramount Pictures

La trama di Witness – Il testimone

La storia ha inizio nel momento in cui il piccolo Samuel Lapp, membro della comunità amish insieme a sua madre Rachel, diventa il testimone di un omicidio. Sul caso interviene il detective John Book, il quale cerca di ottenere dal bambino quante più informazioni possibili. Questi però è ancora scioccato dall’accaduto e non riesce che a dar vita a pochi vaghi ricordi circa l’aspetto degli assassini. Per evitare che madre e figlio si allontanino o vengano perseguiti, Book decide di trascorre del tempo con loro. Portato Samuel in centrale per degli accertamenti, il bambino scorge però la foto di un uomo che riconosce come l’assassino: si tratta del tenente della narcotici James McFee.

Sorpreso e sconcertato dalla cosa, Book decide di indagare a riguardo. Si rivolge allora al suo capo, Paul Schaeffer, aggiornandolo sugli sviluppi dell’indagine. Così facendo, però, capisce che dietro a quell’omicidio si nasconde un’operazione molto più grande e pericolosa. Per proteggere sé stesso, Samuel e sua madre, Book è così costretto a rifugiarsi nella comunità amish, dove dovrà concepire un modo per difendersi e risolvere quel caso. Coloro che hanno motivo per mettere a tacere quella storia non tarderanno infatti a manifestarsi, intenzionati ad uccidere ogni testimone possibile.

Danny Glover, Angus MacInnes e Josef Sommer in Witness - Il testimone
Danny Glover, Angus MacInnes e Josef Sommer in Witness – Il testimone © 1985 – Paramount Pictures

 

Il cast di attori

L’attore Harrison Ford dà qui vita ad uno dei suoi personaggi più memorabili, il detective John Book. Per prepararsi al ruolo, egli decise inoltre di spendere diverso tempo presso il dipartimento della omicidi della polizia di Philadelphia. Così facendo ebbe modo di apprendere il mestiere e risultare più realistico nella sua interpretazione. Questa venne particolarmente lodata, e per la prima volta Ford ottenne una nomination all’Oscar come miglior attore. Ancora oggi si tratta della sua unica candidatura. Per il ruolo di Samuel, il bambino amish, venne invece scelto l’attore Lukas Haas. Questi si era reso noto grazie al film Testament, e proprio vedendolo in questo il regista decise di affidargli l’importante ruolo in Witness – Il testimone.

L’attrice Kelly McGillis, che l’anno dopo reciterà in Top Gun, ottenne invece la parte di Rachel Lapp. Per prepararsi al suo personaggio, questa si trasferì a vivere in una comunità amish, dove imparò a svolgere le principali attività. Ebbe inoltre modo di perfezionare il suo accento, così da renderlo più simile a quello dei locali. Ad interpretare Paul Schaeffer e James McFee vi sono invece gli attori Josef Sommer e Danny Glover. Quest’ultimo è principalmente noto per il suo ruolo da co-protagonista nella saga di Arma Letale. Nel film si ritrova infine anche l’attore Viggo Mortensen, nei panni di uno degli agricoltori della comunità. Per lui si è trattato del primo film della sua carriera, e venne scelto per via del suo volto, giudicato particolarmente adatto a rappresentare uno dei membri della comunità.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Witness – Il testimone è infatti disponibile nel catalogo di Apple iTunes, Tim Vision, Paramount+ e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà semplicemente iscriversi, in modo del tutto gratuito alla piattaforma. Si avrà così modo di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno sabato 19 ottobre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

Race – Il colore della vittoria: la vera storia dietro il film

Race – Il colore della vittoria: la vera storia dietro il film

Ci sono eventi della storia che sembrano nati per essere raccontati al cinema. Uno di questi è certamente quello riguardante il velocista Jesse Owens e la sua grande vittoria alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in pieno regime nazista. Il film Race – Il colore della vittoria (qui la recensione), diretto da Stephen Hopkins, porta sul grande schermo proprio questo epico racconto, ricordando una volta di più il valore delle azioni di Owens e il loro grande significato in quel preciso contesto storico. Per riuscire in ciò, si avvale di un cast di noti attori, i quali vanno a ricoprire quelli che sono i ruoli principali del film.

Arrivato in sala nel 2016, il film era in sviluppo già dal 2014. Questo si sarebbe basato sulla vita dell’atleta fino alla sua storica vittoria ai giochi olimpici. Per poter garantire la maggior fedeltà possibile alla reale vicenda, la produzione si affidò al supporto della famiglia Owens, attraverso la Jesse Owens Foundation. Non mancarono però anche alcune modifiche a quanto avvenuto, con il fine di far acquisire una struttura più cinematografica al racconto. Race – Il colore della vittoria venne poi apprezzato dalla critica, che esaltò il racconto e le interpretazioni dei protagonisti.

Arrivato in sala, il film si rivelò un buon successo di pubblico. A fronte di un budget di soli 5 milioni di dollari, questo arrivò infatti ad incassarne ben 25 a livello globale. Di produzione canadese, il titolo venne infine nominato a ben otto Canadian Screen Awards, prestigioso premio locale. Qui vinse in quattro categorie, tra cui quella per il Miglior attore. In questo articolo, approfondiamo però non solo i dettagli relativi alla trama e al cast di attori, ma anche alla storia vera. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Jason Sudeikis, Eli Goree e Stephan James in Race - Il colore della vittoria
Jason Sudeikis, Eli Goree e Stephan James in Race – Il colore della vittoria. Foto di Thibault Grabherr – © 2014 Focus Features, LLC.

La trama di Race – Il colore della vittoria

Il film si apre sulla giovinezza di Jesse Owens, che negli anni Trenta si divide unicamente tra la famiglia e la sua passione per lo sport. La sua tranquilla quotidianità viene ad essere stravolta nel momento in cui sostiene un colloquio con l’allenatore Larry Snyder. Intuendo le potenzialità del ragazzo, questi si offre di allenarlo come velocista. Per Owens ha così inizio un duro periodo di allenamenti, che gli permetteranno di ottenere grande notorietà e di essere inviato come rappresentante degli Stati Uniti alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Per lui ha inizio un’avventura che lo porterà nel cuore del regime nazista, dove dovrà dimostrare di non essere secondo a nessuno, affermando il proprio valore proprio sotto lo sguardo severo di Adolf Hitler.

 

Il cast di attori

Come sempre, molto del successo di un film è racchiuso nel suo cast di attori. Per assicurarsi di trovare i giusti interpreti per ogni ruoli, i produttori svolsero lunghi casting. Il ruolo di Jesse Owens venne inizialmente affidato all’attore John Boyega, il quale decise però di abbandonare il progetto dopo aver ottenuto il ruolo di Finn in Star Wars: Il risveglio della Forza. Al suo posto venne allora scelto il poco noto Stephen James. Per prepararsi al ruolo, James si sottopose ad un lungo allenamento fisico, con il quale poté ottenere la fisicità richiesta come anche la capacità di poter eseguire alcune delle sequenze di corsa previste.

Jason Sudeikis, noto per i suoi ruoli comici, si cimenta qui con un’interpretazione drammatica dando volto all’allenatore Larry Snyder. Date le scarse informazioni disponibili su Snyder, egli decise di costruire la personalità di questo traendo ispirazione dai personaggi ricoperti da Kevin Costner in Bull Durham – Un gioco a tre mani, e da Gene Hackman in Colpo vincente. Il premio Oscar Jeremy Irons è invece presente nei panni di Avery Brundage, presidente dei giochi olimpici. Carice van Houten, nota per la serie Il Trono di Spade, interpreta la regista tedesca Leni Riefenstahl, mentre William Hurt è Jeremiah Mahoney, presidente della Amateur Athletic Union, il quale cercò di boicottare le Olimpiadi.

Stephan James in Race - Il colore della vittoria
Stephan James è Jesse Owens in Race – Il colore della vittoria. Foto di Thibault Grabherr – © 2014 Focus Features, LLC.

La vera storia dietro al film

Quella di Owens è una storia che ha inizio nei campi di cotone dell’Alabama, dove la sua famiglia lavorava. Dopo essersi trasferiti a Cleveland, in Ohio, il giovane inizio a sviluppare un grande passione per la corsa durante gli anni del liceo. Dopo una serie di gloriose vittorie, egli ottiene di poter entrare a far parte della Ohio State University, dove conosce l’allenatore Larry Snyder. Grazie agli insegnamenti di questo, Owens ha modo di sviluppare il suo talento, fino ad entrare a far parte nella squadra olimpionica degli Stati Uniti. La sua partecipazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936 non venne accolta particolare favore.

Owens ricevette infatti molte pressioni per non gareggiare, ma egli decise di non curarsi di queste e partire ugualmente alla volta della Germania. Qui si dimostrò da subito un campione. Egli si trovò a stabilire un record senza precedenti vincendo ben 4 medaglie d’oro. La prima arrivò nella corsa dei 100 metri il 3 agosto, seguita da quella nel salto in lungo del 5 agosto e dalla corsa dei 200 metri il 6 agosto. Il 9 agosto egli ottiene l’ultima grande vittoria arrivando primo nella staffetta 4×100. Particolarmente celebre rimane però la gara del salto in lungo.

Qui in seguito alla sua vittoria, Owens viene raggiunto dall’atleta tedesco Luz Long, il quale si complimenta con lui dimenticando le teorie sulla razza all’epoca tanto diffuse. Durante quella stessa giornata, la vittoria di Owens viene salutata dallo stesso Adolf Hitler. A lungo è stata riportata la leggenda secondo cui il Fürher avrebbe lasciato lo stadio inorridito da tale risultato. Con il tempo è invece stato dimostrato come tale versione sia falsa, e che anzi vi è stato anche un vero e proprio incontro privato tra il tedesco e lo sportivo di colore.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire di Race – Il colore della vittoria grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes, Tim Vision e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film verrà inoltre trasmesso in televisione sabato 19 ottobre alle ore 21:10 sul canale TwentySeven.

Fonte: IMDb, HistoryvsHollywood

Nick – Off Duty: dal cast al finale, tutte le curiosità sul film

Nick – Off Duty: dal cast al finale, tutte le curiosità sul film

Quello del revenge movie è da sempre un filone di film particolarmente popolari e acclamati, dove l’eroe intraprende una spedizione punitiva nei confronti di quanti hanno ucciso o rapito dei suoi cari. Negli anni sono diversi i titoli che hanno riconfermato la fortuna di questo genere, da Io vi troverò a Io sono vendetta. Particolarmente interessante su questo tema è anche il tedesco Nick – Off Duty, del 2016 e diretto da Christian Alvart

Il poliziotto Nick Tschiller è in realtà una vera icona del panorama thriller-action tedesco, protagonista di una saga che si rifà a Tatort, serie poliziesca cult degli anni ’70. Nick – Off Duty è poi l’avventura più personale e pericolosa cui ha preso parte il poliziotto dai metodi spicci, che si snoda tra Amburgo, Istanbul e Mosca con inseguimenti mozzafiato, sparatorie, alta velocità e rischio.

Per gli appassionati del genere, si tratta dunque di un titolo da non perdere, capace di regalare numerosi momenti da brivido. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a Nick – Off Duty. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla spiegazione del finale. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Til Schweiger Nick - Off Duty
Cortesia di Syrreal Entertainment

La trama di Nick – Off Duty

Protagonista del film è Nick Tschiller, un poliziotto di Amburgo che lotta contro il crimine insieme al suo partner, il poliziotto Yalcin Gümer. Il suo principale nemico è la mafia turca, che qualche anno prima ha ucciso sua moglie. Un evento che ha segnato profondamente anche la sua figlia adolescente, Lenny, la quale decide infine di vendicare la morte della madre partendo per Istanbul in cerca dei suoi assassini. La ragazza, tuttavia, finisce in mano a una spietata organizzazione di criminali russi.

Quando Nick scopre che Lenny è stata portata a Mosca per essere venduta al mercato clandestino di organi, parte insieme all’inseparabile Yalcin per la capitale russa per salvare sua figlia. Sarà un viaggio lungo e pericoloso che metterà a dura prova il poliziotto, che dovrà correre contro il tempo per salvare la sua amata figlia, prima che sia troppo tardi. Per riuscire nell’impresa, però, Tschiller dovrà contare anche sull’aiuto dell’uomo che più odia al mondo: colui che ha ucciso sua moglie, Firat Astan.

Il cast del film

Ad interpretare Nick Tschiller vi è l’attore Til Schweiger – noto per il ruolo del Sgt. Hugo Stiglitz in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino -, mentre Fahri Yardim interpreta il collega Yalcin Gümer. Luna Schweiger è Lenny, figlia di Nick, mentre Özgür Emre Yildirim interpreta Süleyman Şeker, trafficante di essere umani. Completano il cast Alyona Konstantinova nel ruolo di Dasha, Egor Pazenko in quello di Boris Golidzyn, Tamer Tirasoglu nel ruolo di Bülent e Evgeniy Sidikhin in quello di Alexander Kinsky. Erdal Yildiz interpreta invece il criminale curdo Firat Astan.

Nick - Off Duty Til Schweiger
Cortesia di Syrreal Entertainment

Il finale del film

Nel corso del film, grazie alla soffiata del criminale curdo Firat Astan, colpevole di aver ucciso sua moglie, Tschiller scopre che sua figlia si trova nelle mani del trafficante di esseri umani Süleyman Şeker. Tschiller e Gümer scoprono poi che a Lenny è stata impiantata una bomba con cui Şeker sta progettando un attentato all’industriale Alexander Kinskij. I due, riescono a rintracciare Lenny all’ultimo secondo, Gümer riesce a eliminare Şeker con l’aiuto del collega russo Boris Golidzyn e Tschiller rimuove con successo la bomba dal corpo della figlia in tempo, riuscendo così a chiudere al meglio quella vicenda.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

Sfortunatamente il film non è presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive in Italia. È però presente nel palinsesto televisivo di sabato 19 ottobre alle ore 21:20 sul canale Rai 4. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita, per trovare il film e far partire la visione.

Reading Lolita in Tehran: recensione del film con Golshifteh Farahani – #RoFF19

Nel 1979, a seguito di una violenta rivoluzione, l’Iran cessa di essere una monarchia per diventare una Repubblica. Nel 2003, la scrittrice e docente di letteratura inglese Azar Nafisi dà alle stampe il romanzo autobiografico Leggere Lolita a Tehran, nel quale ripercorre quei primi delicati anni della nuova forma di governo del suo Paese, che per un momento sembrò davvero essere sul punto di grandi cambiamenti in meglio. Di questo suo scritto, tradotto in 32 lingue e affermatosi come un bestseller dal grande impatto, si ha oggi il film Reading Lolita in Tehran, diretto da Eran Riklis.

Il regista israeliano di film come Finale di coppa (1991), La sposa siriana (2004) e Il responsabile delle risorse umane (2010), adatta dunque per il grande schermo un’opera particolarmente brillante nel modo in cui accosta classici della letteratura ad un contesto sociale particolarmente agitato come quello dell’Iran degli anni Ottanta, ritrovando in esso quegli stessi temi che animano i romanzi di cui si parla. Il film ha però anche il pregio di ribadire la continua attualità di quei discorsi già presenti oltre quarant’anni fa e che anzi oggi più che mai sembrano ripresentarsi con forza alla nostra attenzione.

La trama di Reading Lolita in Tehran

Azar Nafisi (Golshifteh Farahani), ex professoressa dell’Università di Teheran, riunisce segretamente sette delle sue studentesse più impegnate per leggere dei classici occidentali. Mentre i fondamentalisti prendono il controllo, le donne tolgono il velo, parlano delle loro intime speranze, amori e delusioni, della loro femminilità e delle delusioni, della loro femminilità e della loro ricerca di un posto in una società società sempre più oppressiva. Leggendo Lolita a Teheran, celebrano il potere liberatorio della letteratura celebrano il potere liberatorio della letteratura nell’Iran rivoluzionario e formano il loro futuro.

Golshifteh Farahani in Reading Lolita in Tehran
Golshifteh Farahani in Reading Lolita in Tehran. Foto di Marie Gioanni.

Quattro romanzi per raccontare Tehran

Quattro parti compongono il film, proprio come quelle che dividono il romanzo di Nafisi: Il grande Gatsby, Lolita, Daisy Miller e Orgoglio e pregiudizio. Ognuna di essere rappresenta lo stato della figura femminile all’interno della Repubblica Islamica dell’Iran. Quello che sembrava dovesse essere il principio di grandi speranze, per cui molti espatriatri decisero di tornare nella loro terra di origine, si rivela ben presto come un sogno infranto, proprio come quello di Gatsby di poter amare ed essere amato da Daisy. È però in particolare la fine della speranza per le donne iraniane di poter godere di quelle libertà fino a quel momento negate e che continueranno dunque ad esserlo.

A partire da qui si assiste dunque alla dolorosa presa di consapevolezza che le cose non cambieranno, ma anzi potrebbero anche peggiorare. Ma Azar Nafisi – interpretata da Golshifteh Farahani, attrice vista in Paterson e Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar – ha ormai conosciuto l’Occidente, i suoi costumi e soprattutto la sua letteratura. Non è dunque disposta a sottostare a quelle rigide imposizioni che di fatto le negano ogni personalità e diritto di espressione. Prima che sia troppo tardi, attraverso quei romanzi proibiti riesce anche a toccare la mente di sette studentesse, aprendo così loro una strada verso la ricerca di un’indipendenza altrimenti negata.

Azar diventa dunque una mentore per loro, richiamando alla memoria figure emblematiche come il John Keating di Robin Williams in L’attimo fuggente o la Katherine Ann Watson di Julia Roberts in Mona Lisa Smile. Insegnanti che riescono davvero a fare la differenza, con la particolarità che tra queste la vicenda relativa a Nafisi è realmente avvenuta ed ha dunque un peso che va oltre il film, specialmente per via del fatto che – come già accennato – costringe a confrontarsi con una serie di dinamiche che con gli attuali conflitti sono tornate sulla bocca di tutti, specialmente per quanto riguarda i diritti delle donne e il loro incerto futuro.

Mina Kavani in Reading Lolita in Tehran
Mina Kavani in Reading Lolita in Tehran. Foto di Eitan Riklis.

Golshifteh Farahani sorregge il film sulle sue spalle

Nel film vediamo dunque alternarsi gli incontri di questo gruppo di donne e le situazioni con cui quotidianamente devono scontrarsi. È in realtà proprio qui che si ritrova il principale limite del film, che non bilancia adeguatamente questi personaggi finendo per il favorirne alcuni anziché altri. Di alcune delle donne che partecipano agli incontri segreti organizzati da Azar sappiamo solo quello che viene detto durante di essi, mentre di altre riusciamo ad avere anche qualche scorcio della loro vita al di fuori di tale contesto. Se da una parte ciò può spiegarsi con la volontà di non spezzare il racconto attraverso troppi punti di vista, dall’altro non permette di entrare davvero in sintonia con queste donne.

In generale, infatti, il film affronta forse con un po’ troppo timore questa materia narrativa, rendendo sì chiara l’orribile situazione a cui le donne iraniane sono costrette, ma senza farcela provare per davvero, se non in alcuni precisi momenti. Lo stesso rapporto tra Azar e le sue sette allieve avrebbe probabilmente meritato un maggior approfondimento, che permettesse di ricevere dalle loro interazioni ciò che occorre sapere di ciò che avviene nel mondo esterno. Pur al netto di questi limiti, però, Reading Lolita in Tehran risulta un film in grado di arrivare a propri obiettivi, che seppur smorzati da quanto poc’anzi riportato, trova nei toni scelti e soprattutto nel volto di Golshifteh Farahani la sua forza.

Iddu, la storia vera dietro il film con Elio Germano e Toni Servillo

In Concorso alla 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 2024, IDDU (la nostra recensione) è il nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che hanno preso spunto dalla storia vera di Matteo Messina Denaro per raccontare la loro versione della mafia.

Nei panni del super-boss Elio Germano mette ancora una volta alla prova il suo talento, e con lui Toni Servillo, che offre un ritratto sentito e ironico di un politico di paese, vicino al “iddu”.  In realtà quel nome così indicativo (quasi come Colui che non deve essere nominato) è un’alterazione della realtà, visto che Matteo Messina Denaro si faceva chiamare U siccu.

Chi era Matteo Messina Denaro?

Denaro nasce in provincia di Trapani, a Castelvetrano, nel 1962, in una famiglia di mafia, figlio di boss. Il padre era Francesco Messina Denaro, capomandamento di Castelvetrano. Soprannominato U siccu o anche Diabolik, Matteo era uno degli eredi dei corleonesi, gli estremisti di Cosa Nostra che avevano sfidato lo Stato con le stragi del 1992 e 1993, dopo la guerra di mafia degli anni Ottanta.

Di lui si sa che aveva sempre un aspetto curato e alla moda, gli piaceva indossare abiti firmati, fumare Malboro rosse e indossava sempre dei Ray Bay classici, per mascherare un leggero strabismo. Amava molto anche le armi e ha cominciato a uccidere prima dei vent’anni.

Amava anche i videogiochi, e forse questa sua passione per la tecnologia lo ha guidato nel grande cambiamento che la mafia ha subito negli ultimi anni. Dal modello “stragista” di Totò Riina, Messina Denaro ha traghettato l’associazionismo criminale verso un modello imprenditoriale, forse ancora più insidioso, basato sulla corruzione e il “cyber crime”.

La sua lunga latitanza, durata per 30 anni, comincia nel 1993, quando fu arrestato Totò Riina. Fu quello il periodo in cui affiancò Provenzano nel traffico internazionale di droga.

IDDU filmI reati e le stragi di Matteo Messina Denaro

Il fatto che abbia determinato un cambio di rotta nella gestione della malavita organizzata, non significa certo che non sia stato parte attiva di crimini violenti, come detto, lui stesso amava usare le armi. Lui è stato uno degli autori della strage di Capaci, in cui hanno perso la vita il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, della strage di via D’Amelio, che invece costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. E proprio per mano sua è morto Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino, il collaboratore di giustizia che per primo ha parlato della strage di Capaci.

La cattura di Matteo Messina Denaro

La mattina del 16 gennaio 2023 Matteo Messina Denaro viene arrestato dai Carabinieri del ROS con la collaborazione del GIS, in Via Domenico Lo Faso, un vicolo nei pressi della clinica privata La Maddalena a Palermo, nel quartiere San Lorenzo, dove il boss era in cura per un tumore al colon.

«Procuratore, finalmente ci siamo riusciti». Queste sono state le parole del colonnello Arcidiacono che ha eseguito l’arresto. Dopo trent’anni di latitanza, Messina Denaro viene trasferito dalla clinica a un carcere di massima sicurezza. Anche la sorella Rosalia, che nel film Iddu è una formidabile Antonia Turppo, viene arrestata lo stesso anno, accusata di associazione mafiosa. Ad appena otto mesi dalla cattura, Messina Denaro muore all’Ospedale dell’Aquila, rifiutando cerimonie religiose.

Iddu e la storia dei “pizzini”

Dalle dichiarazioni di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, l’ispirazione per IDDU è arrivata dalla lettura dei numerosi pizzini ritrovati nel corso dei lunghi anni di latitanza di Matteo Messina Denaro. Con questo metodo di comunicazione analogico, il boss gestiva vita privata e affari, lasciandosi però andare a piccole considerazioni e vezzi che hanno permesso anche di ricostruire la sua personalità.

Traendo molto liberamente ispirazione proprio da questi pizzini, Iddu racconta la corrispondenza che il boss Matteo (Elio Germano), re recluso di un mondo criminale, e Catello (Toni Servillo), politico in decadenza, che però nella realtà non è mai esistito. Il suo personaggio è il risultato di una somma di tutte quelle personalità più o meno indimenticabili che nel corso dei 30 anni di latitanza hanno scambiato i pizzini con il boss. Figure incriminabili, ma anche persone insospettabili ma corrotte, un’umanità varia e sfuggente che nel film cerca di collaborare con la giustizia per favorirne l’arresto.

Iddu
Il cast di Iddu a Venezia 81 – Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Karate Kid: Legends, la descrizione del primo trailer con Ralph Macchio

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Dopo aver saltato il Comic-Con di San Diego, la Sony ha fatto la voce grossa al Comic-Con di New York, dove ha presentato un first look di Kraven – Il Cacciatore, un panel dedicato a Venom: The Last Dance, ma ha anche dato spazio a Karate Kid: Legends, mostrandone il trailer.

Il film riporta sul grande schermo non solo Danny LaRusso di Ralph Macchio dal film originale del 1984 e dalla serie Cobra Kai, ma anche Mr. Han di Jackie Chan dal reboot di Jaden Smith del 2010. Il film è stato pubblicizzato come la riunificazione di tutti i mondi di Karate Kid.

Il trailer di Karate Kid: Legends inizia in un’accademia di arti marziali, dove l’istruttore di arti marziali di Chan dal film del 2010 si presenta per reclutare la giovane star del film, Ben Wang. All’accademia, diamo anche un primo sguardo a Macchio, oltre a uno scorcio di un ritratto del personaggio di Pat Marita dal film originale. L’azione passa rapidamente a New York e a un montaggio che mostra la città in alcuni dei suoi aspetti più pericolosi, tra cui i bulli in metropolitana, e si sente la voce di Chan dire: “Nella vita hai solo una domanda: vale la pena combattere o no?”

karate Kid: Legends

Una sequenza di combattimento mostra Wang che si lancia su un muro di mattoni, in stile parkour, in un vicolo. In un momento più calmo, si siede su un marciapiede con Macchio, che indossa l’iconico foulard del film. Tra una scena e l’altra, tra cui sprazzi di incontri di arti marziali, sullo schermo compaiono delle parole: “Quando le famiglie si uniscono, inizia una nuova eredità”.

Cosa sappiamo di Karate Kid: Legends

Karate Kid: Legends uscirà nelle sale italiane il 29 maggio, distribuito da Sony.

Jackie Chan e Ralph Macchio riprenderanno i loro ruoli per continuare la mitologia del franchise originale, con Joshua Jackson, Sadie Stanley e Ming-Na Wen a bordo. I dettagli sui ruoli che ricopriranno i nuovi arrivati sono ancora segreti. Jonathan Entwistle (The End of the F***ing World) dirigerà da una sceneggiatura di Rob Lieber (Peter Rabbit), con la produzione di Karen Rosenfelt (The Summer I Turned Pretty).

Fenomeno della cultura pop che abbraccia quasi tre decenni, i film di Karate Kid hanno guadagnato 618 milioni di dollari a livello globale, stimolando la creazione della serie nominata agli Emmy Cobra Kai, che ha introdotto il franchise a un’intera nuova generazione in tutto il mondo.

Macchio riprenderà il ruolo di Daniel LaRusso, che ha interpretato nella trilogia cinematografica originale di Karate Kid iniziata nel 1984 e ripreso nella serie Cobra Kai di Netflix, che ha da poco annunciato la sua sesta e ultima stagione. Chan tornerà nel ruolo di Mr. Han, un maestro di kung fu ispirato al personaggio del Maestro Miyagi, che ha allenato Dre Parker di Jaden Smith nel film remake del 2010.

Tom Holland deluso per Spider-Man: No Way Home: “Ho fatto solo tre giorni di riprese dal vero”

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Spider-Man: No Way Home è stato un successo di critica e commerciale, incassando ben 1,9 miliardi di dollari al botteghino mondiale. Tuttavia, per quanto tutti amiamo il film, è difficile negare che ci siano alcuni difetti.

Questi derivano principalmente dall’impatto che COVID-19 ha avuto sul trequel; né Rhys IfansThomas Haden Church hanno potuto visitare il set del film, ad esempio, e ciò ha portato a riciclare filmati di The Amazing Spider-Man e Spider-Man 3. Inoltre, c’è stato molto schermo verde per le riprese. C’era anche molto green screen.

Tom Holland è giustamente orgoglioso dei risultati ottenuti con il blockbuster del 2021, ma in una nuova intervista rivela che il COVID ha avuto un impatto negativo sulla sua esperienza e ha presentato molte sfide indesiderate.

Una delle cose più spiacevoli di Spider-Man[: No Way Home] è che abbiamo girato nel periodo di picco del COVID ”, ricorda. “Abbiamo girato tutto in studio, il che ha significato, credo che nel processo di realizzazione di quel film, potrei aver fatto tre giorni sul set. Credo che questo si percepisca nel film”.

“Quando camminiamo per New York, hanno mandato una troupe a New York per riprendere le strade con un jib per la motion camera. Poi hanno portato quel pezzo di kit ad Atlanta e hanno rifatto il pavimento: ‘C’è una comparsa qui. Qui c’è un cane. Qui c’è un marciapiede”. Poi dovevo tracciare una mappa di quello che avrei fatto in un’inquadratura preesistente”.

Cosa ha detto Tom Holland sulle riprese di Spider-Man: No Way Home

Tom Holland attore
Tom Holland alla 29esima edizione dei Critics’ Choice Awards tenutasi – Foto di imagepressagency via Depositphoto.com

Holland ha aggiunto: “Questo mi farà sembrare molto difficile, ma l’ho superato e abbiamo trovato una soluzione. La macchina da presa si muoveva molto più lentamente di quanto Peter Parker camminasse di solito. Peter Parker è molto frizzante, molto veloce. Tutto consiste nell’andare da A a B il più velocemente possibile, senza pensare, e l’inquadratura che avevano era lentissima, con un angolo di ripresa serpeggiante attraverso New York”.

“Si suppone che Peter abbia fretta di arrivare dal Dottor Strange per fargli questa domanda, e ho trovato davvero difficile rappresentare ‘sono stressato e di fretta… ma cammino molto lentamente’, in realtà penso che quell’inquadratura non sia nel film perché non ha funzionato”.

È abbastanza facile comprendere le frustrazioni di Holland, in particolare quando questo riduce la sua esperienza nel ruolo di Spider-Man. Sia Spider-Man: Homecoming che Spider-Man: Far From Home hanno trascorso molto più tempo sui set reali, con riprese a New York City per alcune scene.

Immaginiamo che una delle condizioni poste da Tom Holland per Spider-Man 4 sia che la storia non si ripeta, cosa che non dovrebbe essere un problema ora che le restrizioni del COVID non sono più in vigore. Potete vedere l’intervista completa a Holland nel player sottostante.

Venom: The Last Dance, ci saranno “storie di altri Simbionti”. Tom Hardy: “Vorrei combattere Spider-Man”

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Sony ha dedicato a Venom: The Last Dance la parte conclusiva del suo panel al New York Comic Con in svolgimento in questi giorni nella Grande Mela. Hanno partecipato all’incontro Tom Hardy, anche sceneggiatore del film, la regista/sceneggiatrice Kelly Marcel, Juno Temple e Chiwetel Ejiofor.

“È triste vederlo andare via”, ha detto Hardy riguardo al suo ultimo giro come antieroe. Marcel ha spiegato “partiamo sempre dai fumetti e dai libri, inizia sempre da lì”. Tom Hardy ha dimostrato grande attaccamento al ruolo, nonostante negli anni sia stato noto principalmente per ruoli in film più piccoli. L’attore ha dichiarato di sentirsi molto legato a Eddie Brock, perché lo ha coinvolto a livello personale, come personaggio.

Il terzo capitolo della storia cinematografica di Venom, riprende dalla fine di La Furia di Carnage, con Eddie e Venom sono fuggitivi, dopo essere stati scoperti coinvolti nel grande combattimento con il cattivo nel finale del film precedente.

New entry nel cast, Chiwetel Ejiofor interpreta un militare “che ha a che fare con queste creature”. Nei panni della dottoressa Payne, il personaggio di Temple non è d’accordo con quello di Ejiofor. Temple e Hardy hanno recitato entrambi in Il Cavaliere Oscuro il Ritorno, ma hanno ammesso di non aver mai lavorato insieme in un dato giorno di produzione su quel set. E questa è stata una buona occasione per i due talent britannici di lavorare a contatto.

Venom: The Last Dance
Juno Temple in Venom: The Last Dance

Marcel ha stimolato l’attenzione dicendo che, sebbene questo sia l’ultimo film di Venom, “ci sono altre storie di simbionti” e questo terzo capitolo probabilmente indicherà ciò che verrà dopo. “Vorrei combattere Spider-Man, vorrei combatterlo ora”, ha esclamato Hardy alla folla. “Come Tom o come Venom?” ha chiesto il moderatore. Hardy ha esclamato raggiante: “Entrambi!” Succederà mai?

CORRELATA:

Tutto quello che c’è da sapere su Venom: The Last Dance

In Venom: The Last Dance, Tom Hardy torna a vestire i panni di Venom, uno dei personaggi più grandi e complessi della Marvel, per l’ultimo film della trilogia. Eddie e Venom sono in fuga. Braccati da entrambi i loro mondi e con la rete che si stringe, il duo è costretto a prendere una decisione devastante che farà calare il sipario sull’ultimo ballo di Venom e Eddie.

Il film è interpretato da Tom Hardy, Chiwetel Ejiofor, Juno Temple, Peggy Lu, Alanna Ubach, Stephen Graham e Rhys Ifans. Kelly Marcel dirige una sceneggiatura da lei scritta, basata su una storia di Hardy e Marcel. Il film è prodotto da Avi Arad, Matt Tolmach, Amy Pascal, Kelly Marcel, Tom Hardy e Hutch Parker. Venom: The Last Dance uscirà nelle sale il 24 ottobre.

Kraven – Il cacciatore: Sony debutta con una macabra scena d’apertura al NYCC

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Il panel del Comic-Con di New York della Sony Pictures si è appena concluso e per i presenti sono stati proiettati i primi 8 minuti di Kraven – Il Cacciatore.

Il filmato non è stato rilasciato ufficialmente (ci aspettiamo un nuovo trailer all’inizio della prossima settimana), ma alcuni frammenti sono trapelati online insieme a un paio di nuove foto promozionali.

La sequenza di apertura vede Kraven (Aaron Taylor-Johnson) perseguitare e uccidere diversi nemici in una prigione, e si dice che la violenza sia sorprendentemente macabra. È stata mostrata anche una seconda clip, con “molteplici uccisioni molto brutali”, tra cui l’assassinio tramite trappola per orsi, ascia e ceppo d’albero – che, secondo quanto riferito, spacca qualcuno a metà.

È un predatore apicale, il vertice della catena alimentare ”, ha detto Johnson. “Kraven è un cacciatore, non un bracconiere. Come ogni cacciatore sa, a volte è necessario abbattere il branco per mantenere l’ordine. Naturalmente, quando inizia ad applicare questo concetto agli esseri umani, la storia diventa piuttosto oscura”.

“Non si tratta solo di Kraven. Abbiamo avuto l’opportunità di immergerci nei personaggi Marvel in un modo davvero fantastico ”, ha aggiunto il regista J.C. Chandor. “Volevamo che lo spirito di questi personaggi fosse quello che i fan desiderano e che fosse anche portato sullo schermo in un modo nuovo… Abbiamo raggiunto un equilibrio tonale in cui io stesso, come narratore e come regista, conosco gli attori in ogni performance, non stiamo rompendo la quarta parete. Crediamo in questa storia come se fosse realmente accaduta”.

“Quando si entra in quei libri. È molto, molto intenso ”, ha detto il regista a proposito del tanto discusso rating R del film. “Quando lo studio ci ha dato l’opportunità di vedere se volevamo fare questo film con un rating R, ci siamo detti di sì”, ha detto. “È stata un’opportunità straordinaria. Ci ha aperto la strada ad alcune cose molto intense tipo Grindhouse da un lato, e dall’altro ad alcune cose molto intense sui personaggi”.

Guardate le nuove foto e il filmato ai link sottostanti.

Kraven – Il Cacciatore, prodotto da Sony Pictures in associazione con Marvel, che racconta la storia di Sergei Kravinoff, personaggio creato da Stan Lee e Steve Ditko nel 1964 e uno dei villain più amati dell’universo di Spider-Man. Il film diretto da J. C. Chandor (Margin Call) è interpretato da Aaron Taylor-Johnson (Avengers: Age of Ultron, Tenet, Bullet Train), Ariana De Bose (West Side Story), Fred Hechinger (Butcher’s Crossing, Il Gladiatore II), Alessandro Nivola (Amsterdam), Christopher Abbott (Povere creature!) e Russell Crowe (Il gladiatore).

Kraven – Il Cacciatore, scritto da Art Marcum, Matt Holloway e Richard Wenk, sarà solo al cinema dall’11 dicembre prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures.

La trama di Kraven – Il Cacciatore

Kraven – Il Cacciatore racconta la violenta storia della nascita e del destino di uno dei villain più iconici della Marvel. Aaron Taylor-Johnson interpreta Kraven, un uomo la cui complessa relazione con il suo spietato padre, Nikolai Kravinoff (Russell Crowe), lo conduce su un cammino di vendetta con conseguenze brutali, motivandolo a diventare non solo il più grande cacciatore del mondo, ma anche uno dei più temuti

Il Gladiatore 2: i primi commenti parlano di un sequel “epico”, si apre la corsa agli Oscar

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Sembra che le prime reazioni alla proiezione de Il gladiatore 2 siano talmente tanto entusiaste da lanciare il film, con il suo regista, Ridley Scott, e il suo cast tra cui Denzel Washington e Paul Mescal verso la corsa agli Oscar; le prime reazioni definiscono il sequel “epico”.

Il film è letteralmente esploso davanti al pubblico, dopo la sua prima proiezione a Los Angeles di fronte a un pubblico di elettori AMPAS e SAG. L’attesissimo sequel del film da Oscar “Il Gladiatore” (2000) sta accendendo la possibilità per Scott, candidato per tre volte all’Oscar ma mai vincitore, di essere in lizza per vincere il suo ambito premio. Inoltre, le sue star Paul Mescal e Denzel Washington sono ora in gara nelle rispettive categorie di recitazione.

Dopo aver ricevuto la sua prima nomination all’Oscar come miglior attore per Aftersun (2022), Mescal potrebbe ritrovarsi nella categoria per il suo ruolo da protagonista in Il Gladiatore 2. Nel frattempo, Washington, che ha già due Oscar come attore, potrebbe essere in lizza per un terzo, unendosi potenzialmente a una piccola lista di tre volte vincitori di premi come attore, tra cui Frances McDormand, Meryl Streep, Jack Nicholson e Daniel Day-Lewis. Washington gareggerà come attore non protagonista.

Jillian Chilingerian di OffScreenCentral ha scritto: “Incidete il nome di Denzel Washington sull’Oscar come miglior attore non protagonista per “Il gladiatore 2″ proprio in questo momento”. Scott Mantz, collaboratore di KTLA, ha definito il film “un sequel epico”, affermando inoltre che ha “grande azione, effetti visivi sorprendenti, performance stellari su tutta la linea”.‘Il Gladiatore II’ serve il banchetto più ricco nelle scene d’azione epiche e nel tradimento deliziosamente scurrile”, ha scritto il freelance Simon Thompson.

Alexander Karim e Paul Mescal in Il gladiatore II (2024)
Foto di Aidan Monaghan/Aidan Monaghan – © 2024 Paramount Pictures.

Cosa sappiamo de Il Gladiatore 2

Il film si svolge 16 anni dopo gli eventi del primo film. La storia segue Lucio (Mescal), nipote dell’ex imperatore romano Marco Aurelio e figlio di Lucilla (Connie Nielsen) e Massimo (Russell Crowe). Lucio ora vive con la moglie e il figlio in Numidia. Tuttavia, quando i soldati romani guidati dal generale Marco Acacio (Pedro Pascal) invadono, viene costretto alla schiavitù. Deve combattere come un gladiatore per volere degli attuali giovani imperatori, Caracalla e Geta (Joseph Quinn e Fred Hechinger).

La campagna di premi di Scott è un obiettivo importante per la Paramount Pictures, che sta anche promuovendo il film biografico musicale di Robbie WilliamsBetter Man” e la tragedia degli ostaggi delle Olimpiadi di Monaco del 1972 appena acquisita “September 5” in questa stagione dei premi. Delle tre precedenti nomination di Scott per la regia agli Oscar, che includono anche “Thelma & Louise” (1991) e “Black Hawk Down” (2001), “Il gladiatore” è stato il suo tentativo più vicino alla vittoria, perdendo contro Steven Soderbergh, candidato due volte per “Traffic” (la sua altra candidatura era per “Erin Brockovich“).

Sebbene l’accoglienza della critica nei confronti di Scott sia stata incoerente negli ultimi anni (ad esempio, “Robin Hood” e “Exodus: Gods and Kings”), Il Gladiatore 2 potrebbe essere il suo miglior lavoro da “Black Hawk Down“.

Chi c’è nel cast de Il gladiatore 2?

Il gladiatore 2 è diretto da Ridley Scott e si basa su una sceneggiatura scritta da David Scarpa. A guidare l’atteso sequel è Paul Mescal nel ruolo di Lucio, il figlio di Lucilla e nipote dell’imperatore Commodo del primo capitolo. A Paul Mescal si aggiungono i membri del cast Connie Nielsen nel ruolo di Lucilla e Derek Jacobi in quello di Gracco. Nel cast ci saranno anche Denzel Washington, Pedro Pascal, Joseph Quinn, Fred Hechinger, May Calamawy, Lior Raz e altri ancora.

Il gladiatore 2  è prodotto da Ridley Scott, Michael Pruss, Douglas Wick e Lucy Fisher. Il film è considerato una produzione in joint-venture tra Paramount, Universal Pictures, Scott Free Productions e Parkes/MacDonald Productions. Ricordiamo che Russell Crowe non è coinvolto in alcun modo nel progetto, specialmente alla luce del fatto che il suo Massimo muore, appunto, al termine del primo film. La produzione de Il gladiatore 2 è ripresa all’inizio del mese dopo la fine degli scioperi a Hollywood. Attualmente il film dovrebbe arrivare nelle sale il 14 novembre 2024.

Mia Market: conclusa la decima edizione in crescita

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Mia Market: conclusa la decima edizione in crescita

Si è conclusa oggi la decima edizione del MIA, il Mercato Internazionale Audiovisivo – promosso da ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali) presieduta da Francesco Rutelli e APA (Associazione Produttori Audiovisivi) presieduta da Chiara Sbarigia e diretto per il 3° anno da Gaia Tridente.

Presenze in crescita del 10% rispetto all’edizione 2023 con oltre 2800 partecipanti provenienti da 60 paesi del mondo.

Il MIA cresce anche sui social con un incremento del 30% di follower su Instagram e del 16 % su Linkedin.

Oltre 600 i progetti ricevuti quest’anno per il Co-Production Market e Pitching Forum, con un +20% rispetto al 2023 e un incremento del 12,5% nel numero di paesi di provenienza, di tutti i continenti, che passano da 80 a 90.

In questi 10 anni, oltre 100 sono state le opere audiovisiveMade in MIA” prodotte dopo la loro partecipazione al mercato di coproduzione del MIA, un’attestazione di successo per la capacità di selezione e per le importanti opportunità che il mercato offre in termini ricerca di co-produttori e partner internazionali (finanziari, distributivi e creativi).

Il MIA continua a crescere e si conferma un appuntamento di alto profilo capace di coinvolgere tutta la filiera cineaudiovisiva. Nel decennale, conferma di saper attirare sul sistema nazionale attenzione, interessi e risorse dei player internazionali, di contribuire a far crescere la capacità delle imprese italiane di sviluppare dialoghi e collaborazioni fondamentali per la crescita dell’industria, del lavoro, del prodotto e del soft power del nostro paese. Ogni anno aumenta il riconoscimento internazionale e la partecipazione dei decision maker sia nelle ricchissime iniziative e convegni, che nelle attività di matchmaking b2b. Un successo che premia il grande lavoro della Direttrice Gaia Tridente e del suo team, insieme a quello costante di ANICA e APA”, ha dichiarato Francesco Rutelli, Presidente di ANICA.

Questa edizione del MIA ha saputo attrarre ed aumentare la platea di pubblico internazionale, un risultato che come APA rafforza la voce dei produttori del comparto audiovisivo. L’internazionalizzazione del settore si gioca sia nelle capacità del nostro comparto di ammodernarsi e saper formare le nuove maestranze del settore, sia sul rendere più competitivi i nostri territori. Sono certa che il percorso che stiamo facendo e sui cui stiamo lavorando vada dritto in questa direzione”, ha dichiarato Chiara Sbarigia, Presidente di APA.

Grazie alla sua forte identità e credibilità, Il MIA si è ormai conquistato un posto importante nelle agende degli operatori internazionali. È un mercato curatoriale unico, attore strategico del mercato di coproduzione e motore fondamentale per il finanziamento, la distribuzione e la circolazione di opere e talenti. Rappresenta le istanze di un intero ecosistema composto dalle diverse industrie e generi che compongono l’audiovisivo, offre attività dedicate declinate per i diversi formati tenendo conto sia della distribuzione in sala che del consumo su TV e piattaforme. È uno specchio della trasformazione del settore audiovisivo, in grado di coglierne e anticiparne i mutamenti con particolare attenzione all’innovazione tecnologica per le industrie creative”, ha dichiarato Gaia Tridente, Direttrice del MIA | Mercato Internazionale Audiovisivo. 

Nel corso della giornata conclusiva sono stati assegnati i MIA AWARDS 2024. Tra questi, i nuovi MIA DEVELOPMENT AWARDS, istituiti per celebrare il decimo anniversario del Mercato e attribuiti a 4 progetti selezionati nelle 4 categorie del Co-Production Market and Pitching Forum. I MIA Development Awards sono stati assegnati da giurie internazionali di esperti del settore. I premi, in denaro, andranno a sostegno dello sviluppo dell’opera vincitrice per ogni categoria.

Il MIA ha il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, e del contributo di Creative Europe MEDIA. Riceve inoltre il sostegno del Ministero della Cultura, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e della Regione Lazio.

Sponsor ufficiale della manifestazione è Unicredit. Il MIA gode del patrocinio di Eurimages.

Luca Guadagnino dirigerà un nuovo adattamento di American Psycho

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Luca Guadagnino dirigerà un nuovo adattamento di American Psycho

Luca Guadagnino è nelle fasi finali delle trattative per portare al cinema una nuova interpretazione del libro “American Psycho” di Bret Easton Ellis per Lionsgate. Il film, che sarà basato su una sceneggiatura di Scott Z. Burns, non sarà un remake del film del 2000, ma un nuovo adattamento del romanzo di Ellis.

Il primo adattamento cinematografico con Christian Bale è stato diretto dalla regista Mary Harron da una sceneggiatura di Harron e Guinevere Turner.

Il film Lionsgate sarà prodotto da Frenesy Films e la produzione esecutiva sarà affidata a Sam Pressman, figlio di Edward R. Pressman, produttore del primo adattamento, tramite la sua società Pressman Film. “Siamo entusiasti di aggiungere un altro regista d’élite alla nostra prossima avventura”, ha affermato Adam Fogelson, presidente del Lionsgate Motion Picture Group. “Luca è un artista brillante e il visionario perfetto per creare un’interpretazione completamente nuova di questa potente e classica PI”.

Il film più recente di Guadagnino, Challengers, con Zendaya, Mike Faist e Josh O’Connor, è stato un discreto successo di pubblico negli Stati Uniti. Il suo nuovo film, Queer, con Daniel Craig e Drew Starkey, uscirà negli USA con A24 il 27 novembre, mentre ha raccolto tiepidi consensi al Festival di Venezia, dove ha debuttato.

Il regista è attualmente in fase di post-produzione per “After the Hunt“, con Julia Roberts. I crediti precedenti includono “Io sono l’Amore”, “Suspiria”, “Bones and All”, “A Bigger Splash” e “Chiamami col tuo nome”.

Wolf Man: trailer del nuovo horror in arrivo!

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Wolf Man: trailer del nuovo horror in arrivo!

Dalla Blumhouse e dal visionario sceneggiatore e regista Leigh Whannell, creatori dell’agghiacciante racconto di mostri L’uomo invisibile, arriva un nuovo terrificante incubo: Wolf Man.

Il candidato ai Golden Globe Christopher Abbott (Povere Creature!, It Comes at Night) interpreta Blake, marito e padre di San Francisco che eredita la casa d’infanzia nell’Oregon dopo la scomparsa di suo padre, che viene dato per morto. Con il logorarsi del suo matrimonio con la potente moglie Charlotte (la vincitrice dell’Emmy Julia Garner; Ozark, Inventing Anna), Blake convince Charlotte a prendersi una pausa dalla città e andare a visitare la proprietà con la loro giovane figlia, Ginger (Matlida Firth; Hullraisers, Coma).

Ma quando la famiglia si avvicina alla fattoria nel cuore della notte, viene attaccata da un animale invisibile e, in una fuga disperata, si barrica all’interno della casa mentre la creatura si aggira attorno al perimetro. Con il passare della notte, però, Blake inizia a comportarsi in modo strano, trasformandosi in qualcosa di irriconoscibile, e Charlotte sarà costretta a decidere se il terrore all’interno della casa sia più letale di quello all’esterno.

Il film è interpretato da Sam Jaeger (The Handmaid’s Tale), Ben Prendergast (The Sojourn Audio Drama) e Benedict Hardie (L’uomo invisibile).

Wolf Man è diretto da Whannell, i cui precedenti film con la Blumhouse includono L’uomo invisibile, Upgrade e Insidious 3 – L’inizio. La sceneggiatura è scritta da Leigh Whannell e Corbett Tuck, Lauren Schuker Blum e Rebecca Angelo (Dumb Money).

Il film è prodotto dal fondatore e CEO della Blumhouse Jason Blum e i produttori esecutivi sono Ryan Gosling, Ken Kao, Bea Sequeira, Mel Turner e Leigh Whannell. Wolf Man è una produzione Blumhouse e Motel Movies.

Viggo Mortensen alla Festa di Roma 2024: la nuova regia e The Hunt of Gollum

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In occasione del premio alla carriera e della presentazione del suo nuovo film da regista, The Dead Don’t Hurt, Viggo Mortensen ha partecipato alla Festa di Roma 2024. Ecco la nostra intervista sul red carpet.

Leggi la recensione di The Dead Don’t Hurt di e con Viggo Mortensen

Vivienne Le Coudy è una donna indipendente, che stringe una relazione con l’immigrato danese Holger Olsen e si trasferisce con lui a Elk Flats, Nevada. Quando Olsen decide di combattere nella Guerra Civile, Lascia Vivienne a cavarsela da sola, in un luogo controllato dal corrotto sindaco Rudolph Schiller e dal suo spregiudicato socio in affari Alfred Jeffries.

L’attore e regista ha diretto interpretato e scritto il film che vede protagonista Vicky Krieps.

Viggo Mortensen tornerà ad interpretare Aragorn?

Come noto Peter Jackson tornerà nella Terra di Mezzo come produttore di un nuovo film de Il Signore degli Anelli che sarà diretto dall’attore di Gollum, Andy Serkis. Il film, il cui titolo è “Il Signore degli Anelli: The Hunt for Gollum“, è previsto per l’uscita nelle sale nel 2026. Nella stessa intervista, Viggo Mortensen ha detto la sua su un suo possibile ritorno nei panni di Aragorn.

Non so esattamente quale sia la storia, non l’ho saputo”, ha detto. “Forse alla fine ne sentirò parlare. Mi piace interpretare quel personaggio. Ho imparato molto interpretandolo. Lo farei solo se fossi adatto in termini di età e così via, se fossi adatto al personaggio. Sarebbe stupido farlo altrimenti”.

 

The Dead Don’t Hurt, recensione del film di e con Viggo Mortensen – #RoFF19

Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2024 nella sezione Grand Public, The Dead Don’t Hurt (I morti non soffrono) è la seconda opera da regista di Viggo Mortensen, in cui l’attore e regista rende omaggio ai codici del western, a quel romanticismo che sopravvive e trova compimento anche negli ambienti più ostili. Senza mai allontanarsi dalle proprie inquietudini, esplora i legami tra l’archetipo dell’antieroe nomade e la donna indipendente e fedele a se stessa, consegnando agli spettatori un film nello stile dei classici e al tempo stesso profondamente personale.

The Dead Don’t Die: raccontare l’assenza

Tutto inizia alla fine, o quasi: assistiamo alla morte di Vivienne LeCoudy (Vicky Krieps, già splendida ne Il filo nascosto e Il corsetto dell’imperatrice) e, da lì, torniamo indietro, tra flashback e sequenze oniriche che raccontano l’incontro della donna con l’uomo che chiama affettuosamente per cognome, il danese Holger Olsen (Viggo Mortensen). I due si innamorano e vanno a vivere nella nella fattoria isolata di quest’ultimo, che è un falegname.

Si tratta anche di una storia molto personale per il regista stesso, in quanto dedicata alla madre: Grace Gamble Atkinson, con la quale la protagonista ha dei parallelismi: Vivienne Le Coudy sfida la società dell’epoca rompendo con le abitudini prevalenti. Rifiuta di sposarsi, vuole guadagnarsi i propri soldi per non dipendere da nessuno e sceglie come compagno un uomo che si distingue dagli altri. Si tratta, come dicevamo, di Holger Olsen, un immigrato danese che incontra a San Francisco. Non volendo rinunciare alla sua indipendenza, Vivienne accetta di viaggiare con lui per stabilirsi vicino alla tranquilla cittadina di Elk Flats, che comincia a prosperare, e dove iniziano una vita insieme.

Quando arrivano in questo luogo di frontiera senza nome, oltre al loro tranquillo amore per le case di legno e gli odori della natura, troveranno un subdolo sindaco (Danny Huston), un potente rancher (Garret Dillahunt) e il suo violento figlio (Solly McLeod). Quando il tranquillo Holger parte per combattere nella Guerra Civile, Vivienne rimane sola di fronte al pericolo: proprio l’intrattabile Weston che ha messo gli occhi su di lei. Quella che segue è una storia tanto ortodossa nei modi quanto senza tempo (e quindi moderna) nelle forme e nelle trame, che risuona nella brutalità del presente

Il western come il luogo “impreciso” dell’avventura

In quella che è la sua seconda opera da regista dopo il melodramma familiare Falling, l’attore, opta per una storia costruita dalla memoria dei suoi protagonisti e, in un certo senso, dai ricordi di ciascuno degli spettatori: in fin dei conti, il West, più che coincidere con punto cardinale o un genere cinematografico specifico, indica il luogo impreciso dell’avventura, del nuovo, di ciò che è ancora da scoprire. Non occupa un posto sulla mappa perché appare congiuntamente alla frontiera, al limite esatto dell’ignoto. Denomina ciò che ancora non ha nome: per questo è uno spazio selvaggio, e per questo appartiene a tutti.

Vicky Krieps in The Dead Don't Hurt
Vicky Krieps in The Dead Don’t Hurt – Courtesy of Marcel Zyskind

Il punto di vista di chi rimane

È interessante che Viggo Mortensen faccia un passo indietro per lasciare che il suo western si affidi al personaggio femminile, un omaggio a coloro che hanno aspettato il ritorno dell’eroe. Nel vecchio West americano, aspettare significava muoversi in modo diverso: rendere fertile una terra arida, creare legami con la comunità, crescere un figlio in solitudine e, soprattutto, non nutrire false illusioni. Forse la decisione di sceneggiatura più discutibile di The Dead Don’t Hurt – l’improvvisa partenza di Holger per combattere con gli Yankees nella Guerra Civile – è anche la più saggia: con un pudore in linea con la serenità del film, il laconico eroe si riserva un lungo momento fuori campo che offusca il suo peso drammatico per sublimare la luce femminile in un western che non si accontenta di essere neoclassico.

È infatti Vivienne a controllare la propria storia, a prendere decisioni rischiose, a cercare di gestirsi autonomamente in un mondo in cui non è del tutto comprensibile che una donna faccia certe cose. E mentre il film va avanti e indietro tra i due protagonisti, il peso emotivo della storia è su di lei: si può sapere fin dall’inizio qual è il suo destino, ma il viaggio consiste nel capire le scelte che farà prima di arrivarci.

San Andreas: quanto è accurato il film con Dwayne Johnson? Ecco la vera storia

Il film San Andreas (qui la recensione), con protagonista Dwayne Johnson, segue la formula di un blockbuster estivo: scatenare un disastro naturale che provoca un sacco di distruzione in CGI. Un titolo dunque simile a lungometraggi come Greenland, Geostorm o il classico The Day After Tomorrow. Tuttavia, solo perché possiamo mostrare città che si sgretolano a causa di terremoti massicci, non significa che le cose accadranno davvero così nella vita reale. Molti spettatori sono usciti dal cinema convinti che ciò che hanno visto nel film San Andreas sia accurato e che possa accadere. Tuttavia, prima di farsi prendere dal panico, mettiamo in discussione la storia e separiamo i fatti dalla finzione.

La storia vera dietro il film

Il titolo del film si riferisce alla faglia di Sant’Andrea, realmente esistente e tenuta fortemente sotto osservazione dai sismologi. La California, infatti, è spesso scossa da terremoti di media e lieve entità, mentre sono più rare le scosse più forti, o vero sopra al 7°. Secondo alcuni studi recenti, la probabilità che un terremoto di magnitudo superiore a 6,5° avvenga entro il 2035 è estremamente alta. Ad oltre un decennio dalla pubblicazione di questo studio, però, il fenomeno non si è (fortunatamente) ancora verificato.

Un terremoto lungo la faglia di San Andreas potrebbe creare un grande tsunami?

Secondo la sismologa del Servizio Geologico degli Stati Uniti, Lucy Jones, il fatto che la faglia di San Andreas si trovi per lo più sulla terraferma non creerà mai uno tsunami di grandi dimensioni. Inoltre, gli tsunami causati dai terremoti si creano nelle zone di subduzione, luoghi in cui le placche tettoniche si scontrano e una placca viene spinta sotto un’altra. Di conseguenza, il fondo del mare si deforma e si crea uno tsunami. Da milioni di anni non c’è più una zona di subduzione attiva sotto San Francisco o Los Angeles. Inoltre, la faglia di San Andreas è verticale, quindi anche se un giorno dovesse andare sott’acqua, non causerebbe uno spostamento del fondo dell’oceano verso l’alto o verso il basso, necessario per uno tsunami di grandi dimensioni.

Le dimensioni dello tsunami gigante che vediamo nel film sono plausibili?

Sempre la sismologa Lucy Jones dice che un grande tsunami è alto 15 metri. Non si avvicina nemmeno lontanamente all’altezza dello tsunami del film, che si abbatte sulla carreggiata del Golden Gate Bridge, a circa 270 piedi sopra l’acqua. “Non possono essere più grandi della profondità dell’oceano”, dice Jones. Anche lo tsunami stile onda da surf mostrato nel film non si verifica. Gli tsunami sono muri d’acqua che si innalzano, non onde che si sollevano.

San Andreas tsunami
Cortesia di Warner Bros.

Un terremoto di magnitudo 9,6 potrebbe davvero colpire San Francisco?

I terremoti di magnitudo 9 si verificano solo nelle zone di subduzione. Come già detto, non c’è una zona di subduzione attiva sotto San Francisco o Los Angeles da milioni di anni. Nel film San Andreas, un terremoto di magnitudo 9,6 colpisce San Francisco. Tuttavia, l’intensità dei terremoti lungo la moderna faglia di San Andreas è di circa 8,3. Il terremoto più devastante che ha colpito San Francisco nella storia recente è stato quello del 1906, che si ritiene sia stato di magnitudo 7,8 circa. Pur esagerando il possibile magnitudo dei terremoti lungo il San Andreas, le scosse di assestamento del film sono in linea con quelle che potrebbero seguire un evento reale di quella portata.

Un terremoto in Nevada potrebbe innescare un terremoto a Los Angeles, che a sua volta provocherebbe un terremoto a San Francisco?

Nel film San Andreas, un terremoto di magnitudo 9,6 colpisce San Francisco, innescato da un terremoto di magnitudo 9,1 a Los Angeles, dopo un terremoto di 7,1 in Nevada. La sismologa del Servizio Geologico degli Stati Uniti, Lucy Jones, afferma che se si adattano le magnitudo a quelle possibili lungo la vera faglia di San Andreas, lo schema di innesco del film è plausibile.

Modelli simili si sono verificati nella storia recente. Nel 1992, un terremoto di 7,3 ha colpito la California meridionale e ha innescato un terremoto di 5,7 in Nevada. Il terremoto di San Francisco del 1906 ha innescato terremoti di magnitudo 5-6 nella baia di Santa Monica, nella Imperial Valley, in Nevada e in Oregon. Questi sono noti come “terremoti innescati” perché sono troppo lontani per essere “scosse di assestamento”.

La faglia di San Andreas potrebbe aprirsi per creare il canyon che vediamo nel film?

Come afferma la sismologa Lucy Jones nel suo articolo sul film, “la voragine che vediamo rompersi sul San Andreas nella California centrale appartiene al regno dell’impossibile”. Se la faglia di San Andreas potesse aprirsi nella misura mostrata nel film, non ci sarebbe attrito, ed è l’attrito a creare un terremoto.

San Andreas terremoto
Cortesia di Warner Bros.

I sismologi possono prevedere i terremoti?

Nel film San Andreas, un sismologo del Caltech prevede il disastro incombente e viene salutato come un eroe. Tuttavia, la dottoressa Lucy Jones, vera sismologa, afferma che non esiste ancora un modo per prevedere il momento in cui un terremoto colpirà. “Purtroppo, è stato dimostrato che quello che fanno nel film non funziona”, afferma Jones. Sono stati esplorati molti metodi, tra cui estensimetri, segnali magnetici ed elettrici, nonché il comportamento degli animali. Nessuno ha avuto successo.

Jones afferma che l’unico momento in cui i terremoti possono essere previsti con successo è subito dopo il loro verificarsi. Questo include sia i terremoti innescati (descritti in precedenza) che le scosse di assestamento, due aspetti che il film coglie nel segno. Jones dice anche che un aspetto positivo è che oggi i terremoti possono essere riconosciuti così rapidamente dopo il loro inizio, che spesso le persone possono essere allertate prima che il terremoto le raggiunga.

Qual è la parte più accurata del film San Andreas?

Secondo la sismologa Lucy Jones, la parte più accurata del film è la rappresentazione delle emozioni, con personaggi più preparati e consapevoli che reagiscono in modo più raccolto, aumentando le loro possibilità di sopravvivenza. “E sono le emozioni che, come al solito, Hollywood ha reso meglio dei fatti”, dice Jones. Come viene mostrato nel film, conoscere il primo soccorso, sapere come “cadere, coprirsi, aggrapparsi”, sapere che l’oceano si sta ritirando può significare che si sta avvicinando uno tsunami, che le linee telefoniche fisse funzionano ancora quando i cellulari non lo fanno e la corretta esecuzione di un piano di emergenza possono rendere le cose più sicure per se stessi e per tutti coloro che ci circondano.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire di San Andreas grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 18 ottobre alle ore 21:20 sul canale Italia 1.

Annabelle 2: Creation, la spiegazione del finale del film

Annabelle 2: Creation, la spiegazione del finale del film

Annabelle 2: Creation (qui la recensione) alza la posta in gioco rispetto all’Annabelle del 2014, con il regista David F. Sandberg che si addentra nel passato del giocattolo più inquietante degli ultimi anni per offrire un film dell’orrore che spaventa e affronta gli effetti incontrollabili di una famiglia distrutta, oltre a inserirsi meravigliosamente nel resto della serie. Il film è ricco di una nuova mitologia per Annabelle, di collegamenti con i film della saga di The Conjuring e in particolare con The Nun. Qui di seguit, esploriamo il significato del finale del film.

La spiegazione delle origini di Annabelle

Prima di Annabelle 2: Creation, tutto ciò che sapevamo su Annabelle era che era una bambola antica posseduta da uno spirito demoniaco noto come Ram. Le specifiche di entrambe le storie erano piuttosto vaghe, ma ora, mentre abbiamo ancora domande sull’essere stesso, sappiamo come è stato creato l’inquietante giocattolo e come è stato collegato alla possessione. Nell’incipit del prequel, apprendiamo che “Annabelle” fa parte di una serie esclusiva di bambole della Mullins Toy Company, una piccola azienda gestita da Samuel Mullins negli anni ’40, che era di gran moda nella sua comunità urbana.

Nel film è implicito che la bambola, che presto diventerà malvagia, era la numero 1 di 100, ma che Mullins non ne fece altre a causa di una tragedia personale, rendendola davvero unica nel suo genere. La tragedia personale è stata la morte della figlia. Soprannominata Bee – che in seguito scopriremo essere l’abbreviazione di Annabelle, che fornisce la vera origine del nome della bambola – fu investita da un’auto mentre tornava dalla chiesa. La famiglia Mullins cadde in depressione, ma trovò conforto in quello che credeva essere il fantasma di Bee. Il fantasma di Bee infestava la loro casa in modo docile, convincendo i genitori in lutto a permetterle di risiedere nella bambola.

Stephanie Sigman e Lulu Wilson in Annabelle 2 Creation
Foto di Justin Lubin – © 2016 Warner Bros. Entertainment Inc. and RatPac-Dune Entertainment LLC All Rights Reserved

Tuttavia, dopo averlo fatto, scoprono subito che non si tratta affatto di Bee, ma di un demone che vuole trovare una forma fisica. La bambola è servita come primo passo, ma ora vuole assumere un essere vivente: Esther Mullins. Attacca la madre quando è sola, ma viene salvata dal marito e la bambola viene rinchiusa in un armadio rivestito di carta biblica e bagnato con acqua santa. Tutto sembra andare bene fino a quando non aprono la loro casa a un orfanotrofio (che ha già legami con la magia occulta, anche se ci arriveremo tra poco).

Nel film stesso, ambientato nel 1957, lo spirito manipola le ignare ragazze per liberarlo, permettendo a Ram di possedere Janice, malata di poliomielite. Dopo una serie di scene spaventose in cui lo spirito tenta di reclamare altre anime, Janice riesce a fuggire e a farsi adottare dalla famiglia Higgins, cambiando il suo nome in modo piuttosto sadico in, che altro, Annabelle. A questo punto, lo spirito sembra essere sparito dalla bambola, che viene portata via dalla polizia. Il film termina 12 anni dopo, nel 1969, quando Annabelle, ormai cresciuta, uccide i suoi genitori adottivi, riportandoci all’inizio del primo film e al ritorno della bambola. Il che solleva un sacco di domande.

Come il finale si collega all’originale Annabelle

L’Annabelle originale, uno spinoff di The Conjuring che spiega come la sua “star” sia finita nella collezione di oggetti infestati degli investigatori del paranormale Warren, segue per la maggior parte la neo-mamma Mia, inseguita dalla bambola infestata che vuole possedere il suo bambino appena nato. Questa è stata l’ultima volta che la bambola è emersa prima della famiglia che l’ha denunciata ai Warren. Il film si apre proprio come finisce Annabelle 2: Creation, il giorno in cui Annabelle uccide gli Higgins; Mia riceve la bambola dal marito John e più tardi, quella notte, vengono svegliati dai loro vicini di casa che vengono aggrediti da due assalitori.

Stephanie Sigman e Talitha Eliana Bateman in Annabelle 2 Creation
© 2017 Warner Bros. Entertainment Inc. and RatPac-Dune Entertainment LLC All Rights Reserved

L’uomo viene ucciso dalla polizia, ma la donna – Annabelle Higgins – prende la bambola e le taglia la gola, con una goccia del suo sangue che finisce nell’orbita dell’occhio. In seguito si scopre che i due erano “Discepoli dell’Ariete”, un culto incentrato sulla resurrezione dello spirito attraverso sacrifici rituali. È implicito che gli omicidi iniziali abbiano portato l’Ariete ad Annabelle, portando ai suoi successivi tentativi di possedere la figlia di Mia. Il film lega quindi la sua storia, per lo più autonoma, alla più ampia mitologia con la sua scena finale. I fan avranno notato il nome Higgins e come Janice sia diventata l’attrice che ha interpretato la precedente Annabelle, ma il vero colpo di scena arriva con la rivelazione di Mia. Come la maggior parte dei prequel, si tratta di una stretta connessione con il film originale.

Naturalmente, il prequel riformula in qualche modo ciò che abbiamo visto nel 2014. Ora sappiamo che Annabelle Higgins è in realtà una Janice posseduta, il che significa che piuttosto che cercare di resuscitare il Ram, lei e il suo complice stavano tentando qualcos’altro; probabilmente di trasferire la sua anima in un altro contenitore, usando prima la bambola come tramite. Il motivo non viene spiegato, ma è probabile che si tratti di un problema legato all’età, dato che le successive conquiste dello spirito riguardano i bambini, le cui anime sono più pure o più facili da sconfiggere.

Anthony LaPaglia in Annabelle 2 Creation
Foto di Justin Lubin – © 2016 Warner Bros. Entertainment Inc. and RatPac-Dune Entertainment LLC All Rights Reserved

Cosa significa questa connessione?

Ciò solleva la questione del ritorno della bambola. Alla fine della parte di Annabelle 2: Creation ambientata nel 1957, è implicito che la bambola è ora libera da tutte le forze nocive, ma in qualche modo viene reinserita nella storia dell’Ariete dodici anni dopo, quando riappare magicamente e Annabelle se ne riappropria. È una coincidenza enorme che la Janice potenziata dall’Ariete e la bambola precedentemente posseduta si ritrovino nello stesso quartiere: come è successo e se è solo un contenitore perché è ancora importante? Potrebbe trattarsi di una semplice retcon; diversi elementi del film originale, come il fantasma di Annabelle, 7 anni, che aggredisce Mia, vengono alterati dal colpo di scena, quindi c’è un elemento di canone libero e perdente. Tuttavia, la scena dei mid-credits potrebbe fornire una spiegazione diversa.

Prima, però, vale la pena sottolineare che ci sono altri collegamenti tra Annabelle 2: Creation e la più ampia mitologia di Conjuring: il Ram prende il controllo di Janice vomitandole in bocca una sostanza vischiosa e nera, proprio come la madre di The Conjuring era posseduta dal demone di quel film; e l’inganno di accogliere uno spirito in un contenitore per poi scoprirlo come una forza oscura è stato un trucco ripetuto dai demoni dell’universo.

Per gli appassionati di ossessioni reali, nei momenti finali c’è anche un easter egg incredibilmente bello: la bambola consegnata a Janice/Annabelle quando incontra per la prima volta gli Higgins è una replica della vera bambola Annabelle, un riconoscimento del fatto che tutto è iniziato da una storia “vera” e che sottolinea come la mitologia di Conjuring si sia evoluta da allora.

Le Choix: recensione del film di Gilles Bourdos – #RoFF19

Le Choix: recensione del film di Gilles Bourdos – #RoFF19

Dopo aver interpretato Pierre, protagonista di The Quiet Son, film in concorso all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Vincent Lindon torna a mostrarsi al grande pubblico alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nel ruolo di Joseph. Con Le Choix de Joseph Cross – abbreviato Le Choix – diretto da Gilles Bourdos, l’attore francese continua a vestire i panni di un uomo solido e risoluto, che dopo aver lavorato tra i binari della ferrovia, ora si occupa di cemento e costruzioni. Due mestieri che plasmano il carattere, rendendo capace chi li svolge di affrontare imprevisti e difficoltà senza scivolare in facili ansie.

E questo è ancor più evidente in Joseph, che improvvisamente è costretto a guardare la sua vita incrinarsi e in ultimo frantumarsi, ma che grazie al suo bagaglio professionale riesce a mantenere un fragile equilibrio anche quando tutto intorno crolla. Le Choix è presentato nella sezione Progressive Cinema, ed è il remake francese dell’acclamato Locke di Steven Knight, Accanto a Lindon, troviamo le voci di Micha Lescot, Pascale Arbillot e Gregory Gadebois, che mettono alla prova la resistenza del protagonista restando fuori campo.

Le Choix, la trama

Joseph è un uomo caratterialmente forte e concreto, una particolarità che condivide con gli edifici che costruisce. Nel suo lavoro è sempre stato impeccabile, non ha mai commesso un errore e adesso lo attende la colata di cemento più grande del decennio. Non si aspetterebbe mai che la sera prima di quell’evento la sua vita sarebbe stata sconvolta da una telefonata che avrebbe cambiato le sue sorti. Senza pensarci due volte, Joseph si mette in auto, pronto ad andare verso Parigi, dove c’è qualcuno che lo aspetta. La notizia ricevuta, però, da potenzialmente bella, diventa la causa primaria dello sgretolamento, pezzo dopo pezzo, della sua esistenza. Come un palazzo robusto, ma dalle troppe crepe, l’uomo deve tentare di non crollare, cercando di tenere in piedi tutto quello per cui ha lavorato duramente, sia a livello personale che professionale.

Le Choix

Thriller e dramma, i capisaldi di una storia con poche emozioni

Ancora una volta, dopo il nostro simile e recente thriller-noir Non riattaccare, con una bravissima Barbara Ronchi, e ancor prima con, per l’appunto, Locke, ci troviamo a confrontarci con tre elementi chiave che dominano per 77 minuti: un’auto, un telefono (stavolta collegato al display di bordo) e una strada. La notte, incombente e soffocante, avvolge tutto, lasciando spazio solo a sprazzi di luce artificiale provenienti dai lampioni che irrompono furenti nell’abitacolo. A intermittenza fasci di luce gialla penetrano l’oscurità, illuminando il volto di un uomo che sta lottando con il proprio passato, cercando un riscatto attraverso una scelta che segnerà la sua vita futura.

L’impianto narrativo ricalca quello di Locke: telefonate incessanti, voci stanche, arrabbiate, disperate, che si alternano senza sosta riempiendo il veicolo, alle quali si aggiungono sospiri, imprecazioni, sguardi persi nel vuoto. Ma mentre nell’opera di Knight l’Ivan di Tom Hardy è sostenuto da una sceneggiatura concisa ed efficace, il Joseph di Lindon si smarrisce in una scrittura sfocata e traballante. Nonostante la staticità imposta dalla location unica – ossia l’interno di una macchina – ciò che manca in Le Choix è proprio l’emotività e la tensione palpabile, elementi che dovrebbero crescere progressivamente e guidare il ritmo del racconto.

Le telefonate, pur frequenti e decisive per il protagonista, non hanno l’impatto adeguato per far progredire la narrazione. Ogni problema sollevato sembra risolversi in pochi secondi, senza un vero climax emotivo che porti a un punto di svolta efficace e travolgente.  Il risultato è di avere davanti a sé un’opera monotona, incapace di generare vero interesse o coinvolgimento.

Anche la regia, che avrebbe potuto portare dinamismo a una situazione così statica, non riesce a dare movimento o profondità, penalizzando la performance di Vincent Lindon e il suo Joseph, con un lavoro insufficiente sulla psicologia del personaggio. Nonostante il suo talento, il francese qui fatica a portare sulle spalle il personaggio, non riuscendo mai a creare una connessione autentica con lo spettatore. Ed è un vero peccato, considerato il suo indubbio valore attoriale.

Fino alla fine: recensione del film di Gabriele Muccino – #RoFF19

La vita è il risultato delle scelte che facciamo“, è l’affermazione che apre il nuovo film di Gabriele Muccino (il tredicesimo in 27 anni di carriera), dal titolo Fino alla fine. Presentato nella sezione Gran Public della Festa del Cinema di Roma 2024, il film rappresenta inoltre una nuova incursione del regista nel mondo della gioventù e di tutta la sua incontenibile voglia di passioni e vita divorata attimo dopo attimo. Ciò era già avvenuto con i primi due film del regista, Ecco fatto (1998) e Come te nessuno mai (1999), per poi riproporsi nel 2016 con L’estate addosso ed ora, appunto, con questo suo nuovo progetto.

Film che arriva quattro anni dopo il maturo Gli anni più belli, per narrarci però non di anni bensì di un singolo giorno nella vita di cinque ragazzi. Un giorno che si potrebbe ugualmente definire “il più bello” per la giovane protagonista, almeno fino a quando non diventa un vero e proprio incubo. Incubo dal quale, però, sembra possibile imparare comunque qualcosa, come la bellezza del mangiare la vita prima che possa farlo lei a noi, del lasciarsi andare e farsi guidare dalla corrente, liberandosi dalle gabbie che ci costruiamo per poter davvero fare esperienza del mondo e delle sue infinite possibilità.

La trama di Fino alla fine

La protagonista è Sophie (Elena Kampouris), una giovane americana reduce da una vita di sacrifici e dolori. Durante una vacanza a Palermo con la sorella, nelle ultime 24 ore prima del ritorno in California, incontra Giulio (Saul Nanni) e il suo gruppo di amici siciliani. Desiderosa di vivere fino in fondo, Sophie decide di scegliere di camminare sull’orlo del baratro trascinandosi in una vertigine pericolosa, trasformando una semplice avventura in una battaglia per la sopravvivenza, il riscatto e l’adrenalina pura. In questo labile confine tra vita e morte, Sophie verrà risucchiata dal fascino del pericolo, commettendo errori che marchieranno la sua vita, cambiandola per sempre.

Enrico Inserra Francesco Garilli Lorenzo Richelmy Elena Kampouris Saul Nanni Fino alla fine
Enrico Inserra, Francesco Garilli, Lorenzo Richelmy, Elena Kampouris e Saul Nanni in Fino alla fine. Foto di Valentina Glorioso.

Le scelte che ci definiscono

Come si diceva in apertura, la vita è il risultato delle scelte che facciamo e di certo Sophie si è stancata di non scegliere e di lasciarlo fare agli altri per lei. È così che basta una leggera spinta perché il vaso barcolli, cada e vada in mille pezzi. Un momento di non ritorno che coincide con l’incontro con Giulio e i suoi tre amici e a partire dal quale assistiamo concretamente al modo in cui una serie di scelte apparentemente innocue e prese con leggerezza possano portare a conseguenze impensabili e drammaticamente irreparabili. È così che quella che inizia come una banale serata di divertimento sfocia ben presto in pericolosi atti criminali.

Naturalmente i segnali che le cose avrebbero potuto prendere una brutta piega hanno iniziato ad esserci quasi sin da subito, ma Sophie ha troppa voglia di staccare la testa e dimenticare ciò che la tormenta ed è dunque disposta a chiudere prima un occhio e poi anche l’altro. Come lei, li chiude anche Gabriele Muccino, che sceglie giustamente di non giudicarla mai per le scelte che compie e sembra chiedere al pubblico di fare lo stesso. Allo stesso modo, non giudica neanche Giulio e i suoi amici, ma anzi offrendo attraverso il più “pericoloso” di loro – il Komandante di Lorenzo Richelmy – una sua personale risposta a ciò che porta l’essere umano a compiere certe scelte.

Giovani in cerca d’amore

C’è infatti un preciso momento, che potrebbe essere un po’ il cuore di Fino alla fine, in cui Sophie apprendendo del difficile passato di Komandante lo abbraccia e gli sussurra che lui non è cattivo. Lui, dinanzi a quel gesto di affetto, appare totalmente spaesato e disarmato, come se si rendesse conto per la prima volta che è proprio quello ad essergli mancato nella vita e che forse avrebbe potuto salvarlo da certe scelte sbagliate. I giovani protagonisti di Muccino sono vittime dell’assenza d’amore, che sia quella data da un genitore o dalla società che si prende cura di te. Per questo il regista non li giudica – neanche li giustifica ovviamente – ma cerca piuttosto una risposta al modo in cui sono cresciuti.

Francesco Garilli Enrico Inserra Lorenzo Richelmy Elena Kampouris Saul Nanni Fino alla fine
Enrico Inserra, Francesco Garilli, Lorenzo Richelmy, Elena Kampouris e Saul Nanni in Fino alla fine. Foto di Valentina Glorioso.

Vivere secondo le proprie regole, fino alla fine

Certo, in più di un momento occorre sospendere non solo il giudizio nei confronti dei personaggi ma anche l’attaccamento alla verosimiglianza (che di base è sempre un po’ noiosa), specialmente di fronte ad alcune soluzioni narrative senza le quali forse il racconto non avrebbe potuto procedere. Ma anche davanti all’azione più impensabile, a cui sembra troppo assurdo che qualcuno possa ridursi, è bene ricordare che nella realtà di scenari di questo tipo se ne sentono sempre più frequentemente e di storie finite male – troppo spesso con giovani schiacciati dalla competitività, altro tema sottopelle del film – ne sono pieni i telegiornali.

L’operazione di Muccino è dunque delicata, non priva di elementi zoppicanti, ma indubbiamente ragionata. Si avverte anche qui la cura nella costruzione delle scene che lo contraddistingue e quanto il racconto si fa più forsennato la regia riesce abilmente a sostenerne il ritmo, portando verso una conclusione che pur nella sua tragicità risulta quasi essere un invito a vivere fino in fondo, fino alla fine, fino alle estreme conseguenze, inseguendo la libertà secondo le nostre regole, così come Sophie la ricerca stabilendone finalmente delle sue. Certo, non ridursi in tutto e per tutto come i protagonisti di Fino alla fine è quantomai auspicabile.

Karate Kid: Legends, un nuovo sfidante arriva nel primo poster

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Karate Kid: Legends, un nuovo sfidante arriva nel primo poster

Man mano che la data di uscita negli USA di Karate Kid: Legends si avvicina sempre di più, iniziamo a farci un’idea più precisa di cosa tratterà l’attesissimo film. Sebbene sia lecito supporre che il nuovo capitolo del franchise riguarderà l’addestramento di un giovane ragazzo sotto la guida di Daniel LaRusso (Ralph Macchio) e Han (Jackie Chan), non abbiamo ancora scoperto come si collegheranno i due diversi rami del franchise. Oggi è stato rivelato un nuovo poster che conferma la data di uscita del 30 maggio 2025.

Il poster evoca la stessa energia della trilogia originale di Karate Kid, con i colori che abbiamo imparato ad associare ai poster precedenti del franchise. In primo piano c’è Ben Wang (American Born Chinese) nei panni di Liu Fong, un combattente con la cintura rossa che sembra piuttosto determinato a colpire per primo e con forza chiunque si metta sulla sua strada. Dietro di lui, Macchio e Chan condividono i riflettori come possibili mentori del ragazzo. Poiché entrambi seguono lo stesso stile di mentore del defunto Mr. Miyagi (Pat Morita), è possibile che il duo unisca le forze per guidare una nuova generazione di combattenti.

Inoltre, non sappiamo ancora come la stagione finale di Cobra Kai si collegherà al film in uscita. Considerando che Macchio fa parte di entrambi i segmenti del franchise, il modo in cui Daniel LaRusso concluderà il suo viaggio nella serie di successo di Netflix informerà il pubblico sullo stato d’animo in cui si troverà l’allievo diventato maestro alla prima del film. Finora Macchio è rimasto in silenzio sul destino del suo personaggio e, in un’intervista rilasciata  lo scorso luglio, l’attore ha dichiarato che sia la serie che il nuovo film hanno lo scopo di “essere sempre fedeli a LaRusso”.

karate Kid: Legends

Karate Kid: Legends ha influenzato la sesta stagione di Cobra Kai?

Anche se fanno parte dello stesso universo, Cobra Kai e Karate Kid: Legends provengono da studi diversi. C’è un’ovvia connessione tra i due, ma il co-showrunner Josh Heald ha dichiarato a Collider che non c’è stata alcuna influenza diretta del film nella serie. Lo sceneggiatore ha però rivelato di aver avuto accesso alle prime versioni della sceneggiatura del nuovo film e che il suo team è stato in grado di “dare alcuni pensieri e appunti”. Ma ha confermato che Cobra Kai si concluderà nel modo in cui è sempre stato pensato.

Non sappiamo inoltre quali personaggi di Cobra Kai arriveranno in Karate Kid: Legends oltre a LaRusso. Sarebbe logico che Johnny Lawrence (William Zabka) facesse un’apparizione, dato che lui e LaRusso hanno aperto insieme il Miyagi-Do. Ma è possibile che il nuovo film porti LaRusso in un viaggio completamente diverso dalla San Fernando Valley.

Gabriele Muccino presenta Fino alla fine: “Per questo film ho abbandonato ogni comfort zone”

Dopo l’avventura seriale con A casa tutti beneGabriele Muccino torna al cinema con Fino alla fine, suo nuovo lungometraggio dopo Gli anni più belli, con il quale esplora non solo quella giovinezza che tanto gli è cara, ma anche nuove declinazioni del suo cinema. Il film, distribuito in sala dal 31 ottobre, offre infatti un racconto che dal dramma sfocia nel puro thriller d’azione, senza mai dimenticare quella componente sentimentale composta da passioni irresistibili e incontenibili.

Protagonista del film è Sophie (Elena Kampouris), una giovane americana reduce da una vita di sacrifici e dolori. Durante una vacanza a Palermo con la sorella, nelle ultime 24 ore prima del ritorno in California, incontra Giulio (Saul Nanni) e il suo gruppo di amici siciliani. Desiderosa di vivere fino in fondo, Sophie decide di scegliere di camminare sull’orlo del baratro. In questo labile confine tra vita e morte, Sophie verrà risucchiata dal fascino del pericolo, commettendo errori che marchieranno la sua vita, cambiandola per sempre.

“Io sono i miei film”

La mia vita professionale è stata particolarmente ricca di esperienze, ma ogni film che faccio è come tornare al punto di partenza. È un’esperienza masochistica, perché mi metto nella condizione di essere giudicato e io da adolescente balbettavo e temevo molto il giudizio altrui. – racconta Gabriele Muccino, introducendo il suo nuovo film alla Festa del Cinema di Roma Pensai quindi di fare cinema per riuscire a comunicare attraverso i film ciò che non riuscivo a dire in altro modo. Così facendo, in realtà, ho finito per ricadere nella trappola da cui cercavo di fuggire”.

Faccio film per raccontare chi sono e cosa vedo ma sono di nuovo terrorizzato dal giudizio che i miei film possono ricervere, per cui ho capito che semplicemente non riuscirò mai a sfuggire da questo schema. – afferma Muccino – Di certo, però, fare cinema mi ha salvato la vita. Quasi tutti i miei film raccontano il mio modo di vedere e stare al mondo. Mi sono mimetizzato nei miei racconti e attraverso di essi riesco a fare ciò che altrimenti non potrei e quindi ad esorcizzare certe paure”.

Elena Kampouris Gabriele Muccino Fino alla fine
Gabriele Muccino e Elena Kampouris in Fino alla fine. Foto di Valentina Glorioso.

Fino alla fine non è da meno. È il risultato della mia voglia di uscire dalla mia comfort zone, di fare qualcosa di diverso dal solito. Non cambio rotta, non cambio genere, per me anche L’ultimo bacio ha un che di thriller, ma di certo ho cambiato la declinazione del linguaggio, mi sono spostato oltre ciò che mi è proprio e anche oltre il buonsenso, un po’ come fanno i protagonisti del film. Insomma, con questo nuovo film mi sono completamente lasciato andare all’ignoto”. 

Scavare nell’animo umano

Muccino passa dunque poi a parlare del nuovo film, partendo da ciò che lo ha spinto a realizzarlo, affermando a riguardo: “Di certo so che da tempo volevo realizzare un thriller puro, o comunque un film con un morto, per entrare in un territorio spaventoso che non conosco ma che mi intriga. La serie A casa tutti bene mi ha preparato a questo momento e anzi ho capito che mi piaceva lavorare su questi toni e così da lì sono partito per concepire Fino alla fine”. “Era anche da tempo che volevo realizzare un film con protagonista una donna, creatura misteriosa e indecifrabile che cerco qui di proporre attraverso quante più sfumature possibili”.

Il cuore del racconto, però, è sempre quello: “L’animo umano”. “Ciò che siamo oggi è il frutto di quanto costruito per millenni sulle atrocità, sulla necessità di autoproteggersi, di prevaricare. Siamo tutti forieri di qualcosa di oscuro, pronto ad emergere. Siamo tutti cacciatori o prede e le circostanze ci trasformano nell’una o l’altra cosa. I protagonisti di questo film scelgono consapevolmente e pur potendo in più occasioni tirarsi fuori dalle brutte situazioni scelgono di andarvi a fondo in quanto ciò li fa sentire vivi.

Le scelte sono una cosa molto delicata. Non sapremo mai cosa sarebbe potuto accadere se avessimo deciso una cosa invece di un’altra. Anche le piccole scelte possono condizionare come un effetto domino tutto quello che verrà dopo. Il punto è che le scelte che facciamo sono dettate dal nostro subconscio, dalla formazione che abbiamo vissuto, dalle ferite che abbiamo riportato. Crediamo di avere il controllo delle nostre scelte, ma stiamo solo mentendo a noi stessi“, conclude il regista.

Enrico Inserra Francesco Garilli Lorenzo Richelmy Elena Kampouris Saul Nanni Fino alla fine
Enrico Inserra, Francesco Garilli, Lorenzo Richelmy, Elena Kampouris e Saul Nanni in Fino alla fine. Foto di Valentina Glorioso.

Un film girato due volte

Fino alla fine, afferma Muccino, è un film unico. Anzi, due film unici. “Quando ho scelto Elena per il ruolo di Sophie, non sapevo ancora quanto fosse speciale. – ha spiegato il regista – Solo in seguito, guardando i film e le serie che aveva realizzato ho scoperto che è in grado di parlare più lingue e riuscire ad esprimere così sfumature sempre nuove del suo talento. È a quel punto che le ho chiesto di assecondarmi in una follia: girare il film due volte. Le ho chiesto di imparare l’italiano, così abbiamo potuto girare una versione di Fino alla fine tutta in inglese per i mercati internazionali e una dove l’inglese si mescola all’italiano da distribuire nel nostro paese.

Sono due film identici, ma in quello con la doppia lingua c’è l’elemento in più del gap linguistico che torna estremamente funzionale per certe scene. Mi ha inoltre permesso di evitare il doppiaggio, che avrebbe invece appiattito le differenze tra Sophie, Giulio e i suoi amici, un contrasto che non volevo assolutamente perdere”, afferma Muccino. “Così facendo, – conclude il regista – credo di essere riuscito a restituire anche tutto il caos interiore che questa giovane avverte mano mano che le cose prendono pieghe inaspettate”.

Chi è il dottor Ventris di The Penguin nei fumetti DC?

Chi è il dottor Ventris di The Penguin nei fumetti DC?

L’episodio 4 di The Penguin introduce il crudele primario dell’Arkham State Hospital, il dottor Ventris, interpretato da T. Ryder Smith. Il sadico dottore sottopone Sofia Falcone (Cristin Milioti) a 10 anni di elettroshock e altri orrori, creando la Sofia a sangue freddo che (SPOILER) uccide la sua famiglia, una vendetta stranamente poetica. Il dottor Ventris non è l’unico medico sadico dell’universo batmaniano ad approdare sul piccolo schermo – Gotham ha portato l’antagonista di sempre, il dottor Hugo Strange (BD Wong), per esempio – e non è nemmeno l’unico discutibile beneficiario di una laurea in medicina a sfidare Batman nei fumetti. In realtà, Ventris non ha affatto un dottorato nei fumetti. Se non è un medico, allora, chi è nei fumetti DC Comics? Prendiamoci un po’ di tempo per riflettere sulla storia di Floyd Ventris, alias Uomo Specchio.

Floyd Ventris, alias Mirror Man, incontra Batman nel 1954

Floyd Ventris viene presentato sulle pagine di Detective Comics #213, novembre 1954, come un criminale di bassa lega condannato a sette anni nel penitenziario di Stato di Gotham. Tuttavia, non aveva trascorso nemmeno 24 ore in prigione prima di rompere uno specchio e usare uno dei pezzi per distrarre le guardie, facilitando la sua fuga. Il frammento che ha dato a Ventris la libertà lo ha ispirato a imparare tutto ciò che poteva sugli specchi e sui riflessi, utilizzandoli nelle sue attività criminali confondendo la polizia con illusioni e falsi riflessi, con il suo nuovo soprannome: Uomo Specchio. Solo l’ambizioso Ventris voleva essere tra i migliori dei peggiori di Gotham, così inventò una macchina a raggi X fatta di specchi. La macchina gli permetteva di vedere sotto ogni cosa, compreso il mantello di Batman, rivelando a Ventris il fatto che Bruce Wayne era, in effetti, il Crociato col Cappello, uno dei pochi cattivi a conoscere la verità.

Ventris cercò di sfruttare la sua conoscenza per i propri guadagni, ma Batman indebolì abilmente le affermazioni di Ventris scrivendo una lettera al giornale in cui elencava quante affermazioni simili erano sempre state smentite. Imperterrito, l’Uomo Specchio ci riprovò, ma non riuscì a catturare alcuna immagine incriminante di Wayne sotto il mantello. Perché? Beh, essendo Batman, ha escogitato un modo per contrastare il dispositivo a raggi X di Ventris indossando un cappuccio fatto, ironia della sorte, di specchi. Non potendo contare su una pistola fumante, le affermazioni di Ventris sono crollate e l’Uomo Specchio è stato catturato e rispedito in prigione per riflettere sul da farsi.

Batman inganna l’Uomo Specchio con un piccolo aiuto da parte dei suoi amici

Floyd Ventris apparirà nuovamente come Uomo Specchio fino all’agosto 1963, nelle pagine di Batman #157. Negli ultimi anni, l’Uomo Specchio è stato ossessionato dall’idea di dimostrare al mondo che aveva ragione sul fatto che Bruce Wayne fosse Batman. Quando è fuggito di nuovo, Ventris ha messo insieme una banda, li ha convinti della vera identità di Batman e con il loro aiuto ha annunciato la verità in pubblico. L’Uomo Specchio e la sua banda tesero un’imboscata a Batman al Gotham Museum e riuscirono a malapena a fuggire dopo essere stati sconfitti da Batman e Batwoman. Un secondo attacco ha portato alla cattura di Ventris e della sua banda sotto l’occhio vigile di Batman… e di Bruce Wayne. Solo uno dei complici di Ventris, ancora libero, seguì Wayne e scoprì che non era affatto Bruce Wayne, ma piuttosto un attore ingaggiato da Vicki Vale per impersonare Wayne.

Così, armato di queste nuove informazioni, l’Uomo Specchio avanza nuovamente pretese sull’identità di Batman nel quartier generale del GCPD, mentre Batman lo scorta all’interno. Ancora una volta, l’Uomo Specchio viene ostacolato quando il vero Bruce Wayne si presenta alla stazione di polizia e deve ammettere che si tratta di due persone distinte. Se solo Ventris avesse avuto la sua macchina a raggi X, avrebbe rivelato che mentre Bruce Wayne era Bruce Wayne, Batman non era altro che Alfred Pennyworth.

L’Uomo Specchio, decisamente umiliato, fu riportato al penitenziario di Gotham e non sarebbe stato più visto fino a Batman #400 del 1986. In quella storia, Ra’s al Ghul organizza un’evasione di massa dei più grandi nemici di Batman dalla prigione per organizzare un attacco totale a Batman. Tra i liberati? L’Uomo Specchio. Solo che Ra’s al Ghul ha confuso Floyd Ventris con Sam Scudder, alias la nemesi di Flash, Mirror Master. Gli viene rivolto l’invito a partecipare all’attacco, ma Ventris, stanco della vita criminale, rifiuta e coglie l’occasione per fuggire e nascondersi. Floyd Ventris non è stato più visto nei fumetti della DC Comics ed è improbabile che un cattivo che si trova sul gradino più basso della rogues gallery di Batman possa riapparire a breve. A meno che non ottenga il dottorato, allora attenzione.

Di cosa parla esattamente Dune: Prophecy?

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Di cosa parla esattamente Dune: Prophecy?

Dune: Prophecy debutterà su Max il mese prossimo, ma la trama della serie è ancora misteriosa come le sabbie di Arrakis. Fortunatamente, Collider ha parlato con il cast e la troupe della prossima serie prequel di fantascienza al New York Comic Con di questo fine settimana all’interno del Collider Studio, e proprio come i piani secolari della Bene Gesserit, la trama della serie si sta mettendo a fuoco.

Alison Schapker, showrunner/produttrice esecutiva di Dune: Prophecy, ha dichiarato che la serie si svolgerà sulla scia della Jihad Butleriana, quando l’umanità si sollevò contro l’intelligenza artificiale. Vedrà la fondazione della sorellanza Bene Gesserit, l’enigmatica fazione che ha preparato Paul Atreides a diventare il messia galattico, come visto in Dune:

Questo spettacolo parla dell’origine delle Bene Gesserit, le sorelle che potreste aver visto nei film di Denis [Villeneuve] se li guardate. Siamo ambientati 10.000 anni prima del film, ma siamo in un futuro lontano. Siamo anche tra 10.000 anni, circa, e siamo all’ombra della Grande Guerra delle Macchine. Gli esseri umani hanno sconfitto l’intelligenza artificiale, le macchine pensanti sono state bandite e ora l’umanità è in un periodo di ricostruzione. A volte scherziamo dicendo che si tratta dei Secoli Bui di Dune. Le grandi scuole stanno risorgendo e una di queste è la sorellanza, la Bene Gesserit. Vedremo come sono salite al potere.

Chi recita in Dune: Prophecy?

La serie sarà incentrata su due sorelle della temibile famiglia Harkonnen, fondatrice della Bene Gesserit, interpretate da Emily Watson (Chernobyl) e Olivia Williams (The Crown). Abitano in una galassia governata dall’imperatore Javicco Corrino (Mark Strong, The Penguin) e dall’imperatrice Natalya (Jodhi May, Renegade Nell), e dalla loro rampolla, la principessa Ynez (Sarah-Sofie Boussnina, Knightfall). I membri della nascente sorellanza saranno interpretati da Faoileann Cunningham (The Northman), Aoife Hinds (Hellraiser), Chloe Lea (Foundation) e Jade Anouka (His Dark Materials). Shalom Brune-Franklin (Baby Reindeer) interpreterà un servitore Fremen, Desmond Hart (Raised by Wolves) un soldato che si oppone alla sorellanza e Chris Mason (Broadchurch) un membro della nobile famiglia Atreides.

Dune: Prophecy ha affrontato un viaggio impegnativo dalla pagina allo schermo. Ispirato al romanzo Sisterhood of Dune (La sorellanza di Dune), co-scritto da Brian Herbert (il figlio dell’autore di Dune Frank Herbert) e Kevin J. Anderson, ha subito una serie di cambiamenti creativi durante la pre-produzione, tra cui la sostituzione della star originale Shirley Henderson con Williams. Dune: Prophecy sarà trasmesso in anteprima a novembre su Max e SKY

No More Trouble – Cosa rimane di una tempesta: intervista a Giovanni Soldini e Tommaso Romanelli

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No More Trouble – Cosa rimane di una tempesta di Tommaso Romanelli presentata in anteprima ad Alice nella Città, film di apertura della sezione “Panorama Italia”. Una straordinaria avventura sportiva e umana, ma anche la storia di un’assenza, un viaggio nella memoria di un figlio alla ricerca di suo padre.

L’opera prima è realizzato da Tommaso, figlio di Andrea Romanelli disperso in mare nel 1998 nel corso di una traversata atlantica in squadra con Giovanni Soldini. Tommaso prova a scoprire chi era il padre (scomparso quando aveva 4 anni) attraverso le persone che lo hanno conosciuto, attraverso quello che gli resta di lui, un archivio che ha finalmente deciso di aprire e guardare.

La nostra intervista a Giovanni Soldini e Tommaso Romanelli su No More Trouble – Cosa rimane di una tempesta

No More Trouble – Cosa rimane di una tempesta è il documentario di apertura di “Panorama Italia” di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma (16 – 27 ottobre). L’opera prima di Tommaso Romanelli, che del documentario firma anche la scrittura, racconta di suo padre Andrea Romanelli scomparso in mare nel 1998, in seguito ad un drammatico incidente durante una traversata atlantica.

No More Trouble – Cosa rimane di una tempesta sarà presentato in anteprima giovedì 17 ottobre; è una produzione Teorema Studio e Indigo Film, con il contributo del MiC, del Fondo per l’Audiovisivo FVG, della FVG Film Commission – PromoTurismoFVG  e grazie alla Regione Autonoma FVG. La fotografia è di Nikolai Huber, il montaggio di Andrea Campajola, le musiche di Lorenzo Tomio, il suono in presa diretta di Luca Bertolin e Marco Cecotto, il montaggio del suono di Daniela Bassani e Marzia Cordò. Il documentario sarà distribuito da Tucker Film.

Ghostbusters: Minaccia Glaciale, la spiegazione del finale

Ghostbusters: Minaccia Glaciale, la spiegazione del finale

Subentrato alla regia di Jason Reitman, Gil Kenan dirige Ghostbusters: Minaccia Glaciale, che lascia il finale aperto a ulteriori battaglie con i fantasmi. Dopo che l’antico cattivo Garraka usa Phoebe Spengler per pronunciare il canto che lo libera, il fantomatico dio cornuto va a congelare tutto e tutti a New York. Phoebe viene reintegrata come acchiappafantasmi e si unisce a Callie, Trevor e Gary nella lotta per fermare Garraka. Anche gli Acchiappafantasmi originali si vestono per unirsi a loro e sconfiggere Garraka, mentre Nadeem cerca di esercitare i suoi poteri di fuoco in modo sufficientemente efficace per affrontare il loro nemico.

Garraka libera tutti i fantasmi in isolamento, aprendo una frattura tra il mondo vivente e l’aldilà. Phoebe affronta Melody, che ha lavorato volontariamente con Garraka, e il fantasma ha cambiato idea. Con il fiammifero di Melody che accende una fiamma per Nadeem e Phoebe che utilizza l’ottone del suo zaino protonico, il duo tiene a bada Garraka abbastanza a lungo da permettere agli altri acchiappafantasmi di rinchiuderlo nella cella di contenimento dei fantasmi. Melody si disintegra, lasciando Phoebe con la sua scatola di fiammiferi, e il sindaco è spinto a dare il suo pieno appoggio agli Acchiappafantasmi, ricevuti eroicamente per aver fermato Garraka.

Il piano e la sconfitta di Garraka in Ghostbusters: Minaccia Glaciale spiegato

Ghostbusters: Minaccia Glaciale

Garraka è antico e il suo piano in Ghostbusters: Minaccia glaciale è un piano di vendetta. Come dio fantasma, il piano malvagio di Garraka prevedeva di radunare tutti i fantasmi esistenti per unirsi a lui mentre trasformava il mondo in ghiaccio. La morte per paura era ciò che voleva, e Garraka era così potente da comunicare con ogni fantasma molto prima di essere liberato dalla sua sfera. Garraka era un nemico unico che gli Acchiappafantasmi non avevano mai affrontato prima: il dio fantasma poteva aggirare i loro zaini protonici, che Garraka poteva congelare e rendere inutili.

Per sconfiggere Garraka, gli Acchiappafantasmi dovettero ricorrere a Nadeem, un maestro del fuoco discendente dell’antico gruppo che per primo intrappolò il cattivo. Utilizzando la sua capacità di controllare il fuoco, i doni di Nadeem hanno lavorato insieme allo zaino protonico di Phoebe, che ora era infuso di ottone per impedire a Garraka di congelare i raggi protonici diretti verso di lui. Naturalmente, questo non era sufficiente e Garraka aveva bisogno di un luogo di riposo dopo la sua sconfitta: è qui che il contenimento dei fantasmi si è rivelato utile.

Una volta che Garraka è stato spinto nella cella di contenimento dei fantasmi, il portale tra il mondo dei fantasmi e quello degli umani si è chiuso e tutto e tutti si sono scongelati. Considerando quanto a lungo Garraka aveva probabilmente pianificato la sua fuga, il suo ritorno nel mondo fu piuttosto breve. Ghostbusters: Minaccia Glaciale non spiega perché l’ottone sia in grado di intrappolare Garraka quando nient’altro lo fa, ma probabilmente perché è un elemento antico, malleabile e facilmente manipolabile dai firemaster per intrappolare Garraka.

Come il separatore ionico di Phoebe la trasforma in un fantasma

Phoebe chiede a Ray se ha mai pensato a cosa si prova a essere un fantasma. Phoebe si chiedeva soprattutto se fosse possibile diventare un fantasma per poter essere, anche se per poco, sullo stesso piano dimensionale di Melody, che era un fantasma. Il separatore ionico era stato usato solo per staccare un fantasma dall’oggetto a cui era collegato, ma era solo sperimentale quando si trattava di usarlo sugli esseri umani. Per stare un po’ con Melody, Phoebe era disposta a rischiare.

Il separatore ionico funzionò su Phoebe nello stesso modo in cui funzionava per la separazione tra oggetti e fantasmi: la macchina rimosse lo spirito di Phoebe dalla sua forma fisica e la portò nel piano dimensionale in cui esisteva Melody. Poiché il suo corpo fisico era rimasto solo, Phoebe poteva essere un fantasma solo per due minuti o rischiava che qualcosa andasse terribilmente storto, e potenzialmente di morire nel processo. In base alla regola dei due minuti, lo spirito di Phoebe è stato automaticamente riportato nel suo corpo senza dover rientrare nel separatore ionico. In seguito, a causa della separazione spirito-corpo, rimase fredda per un po’.

Perché Melody tradisce Garraka e scompare nel finale di Ghostbusters: Minaccia Glaciale

Ghostbusters: Minaccia Glaciale

Melody sembrava altrettanto innamorata di Phoebe ed era esitante a tradirla per aiutare Garraka, ma il fantasma pensava che rivedere la sua famiglia dopo tanto tempo fosse più importante. Alla fine, però, Melody si è rivolta contro Garraka, aiutando Phoebe e Nadeem a sconfiggerlo. Un motivo importante per cui Melody tradisce Garraka è che ha capito, grazie a Phoebe, che il cattivo non poteva aiutarla ad andare avanti; Melody doveva farlo da sola. Il fantasma avrebbe potuto manipolarla per farle rivedere la sua famiglia, ma non ne avrebbe guadagnato.

Così Melody ha aiutato a sconfiggere Garraka usando l’unica cosa a cui si era aggrappata per tutta la sua vita ultraterrena. Melody scompare alla fine di Ghostbusters: Minaccia Glaciale, le sue particelle diventano parte dell’universo. Era finalmente libera, dopo essersi finalmente riscattata, utilizzando l’unico oggetto con cui esitava a separarsi. Melody aveva infine fatto ciò che Phoebe le aveva detto di fare: andare avanti alle sue condizioni, invece di affidarsi a qualcun altro per forzarle. Probabilmente Melody era rimasta da sola per così tanto tempo che aveva semplicemente bisogno di un promemoria di ciò che era capace di fare.

Cosa succederà a Nadeem come Firemaster dopo Ghostbusters: Minaccia Glaciale

Nadeem ha avuto un rapporto conflittuale con la nonna, vendendo le sue cose come se nulla fosse, senza sapere che erano importanti per salvare il mondo. Dopo aver finalmente imparato a usare le sue abilità di firemaster e aver sconfitto Garraka, Nadeem potrebbe dedicare un po’ di tempo a saperne di più sulla sua stirpe e sugli antenati che hanno dedicato la loro vita a impedire a Garraka di conquistare il mondo. Nadeem potrebbe anche cercare qualcuno che lo aiuti con i suoi poteri di flessione del fuoco e probabilmente passerà il resto del suo tempo a sorvegliare il contenimento dei fantasmi per assicurarsi che Garraka non fugga di nuovo.

Chi fa parte della nuova squadra di acchiappafantasmi

Ghostbusters: Minaccia glaciale

Ghostbusters: Minaccia Glaciale si è concentrato molto sulla famiglia Spengler (e su Gary Grooberson, per estensione), che si è impegnata a riaccendere la fiamma degli acchiappafantasmi. Alla fine del film, Callie, Phoebe, Trevor e Gary vanno a combattere i fantasmi in fuga, insieme a Lucky, Lars Pinfield e Podcast, che costituiscono la squadra principale di acchiappafantasmi con la famiglia. Sebbene Venkman, Winston e Melnitz abbiano contribuito alla sconfitta di Garraka, è improbabile che si uniscano agli Spengler come acchiappafantasmi a tempo pieno. Ray, invece, potrebbe voler fare di più di questo lavoro durante i suoi “anni d’oro” e probabilmente li assisterà di tanto in tanto.

Come il finale di Ghostbusters: Minaccia Glaciale prepara un sequel

Ghostbusters: Minaccia Glaciale potrebbe non aver avuto una scena post-credits ufficiale per preparare il prossimo capitolo, ma il fatto che il film si concluda con i fantasmi fuggiti che creano scompiglio a New York suggerisce che il prossimo sequeldi Ghostbusters coinvolgerà la squadra nel trovare e intrappolare i fantasmi ancora una volta. Forse uno dei fantasmi sarà considerato una minaccia importante per la città, ma l’impostazione offre qualcosa di più semplice da affrontare per gli Acchiappafantasmi in un sequel. Il regista Gil Kenan ha lasciato intendere (via Gamesradar) di avere già delle idee per la storia delle prossime puntate, anche se non c’è ancora nulla di definito.

Il vero significato del finale di Ghostbusters: Minaccia Glaciale

Ghostbusters: Minaccia Glaciale affronta i temi della famiglia e del sentirsi emarginati. Phoebe, la protagonista principale del film, si trova spesso a dover fare i conti con una famiglia che non sembra rispettare le sue capacità a causa della sua età, e a fare i conti con sentimenti di distacco e persino di solitudine. Questi sentimenti la portano infine a fare amicizia con Melody. Se Phoebe avesse sentito che non sarebbe stata giudicata o punita, avrebbe potuto dire alla sua famiglia cosa stava succedendo.

In definitiva, Phoebe, Callie e Gary imparano lezioni importanti su cosa significhi essere una famiglia – e una squadra di acchiappafantasmi. Phoebe doveva imparare che poteva contare sulla sua famiglia, Callie doveva imparare a fidarsi di Phoebe e Gary doveva imparare che essere un genitore non era sempre rose e fiori. Ma finché avevano l’un l’altro e rimanevano aperti l’uno con l’altro, gli Spengler erano una solida unità familiare, oltre che ottimi acchiappafantasmi.

Il Robot Selvaggio: la spiegazione del finale

Il Robot Selvaggio: la spiegazione del finale

Il Robot Selvaggio (The Wild Robot) della DreamWork ha un finale profondamente emozionante che lascia aperta la porta a future avventure con Roz e la sua famiglia. Il film, basato sull’omonimo libro di Peter Brown, è incentrato su un robot che si ritrova sperduto su un’isola remota e disabitata. Dopo essere stata incaricata di proteggere un cucciolo di papero, la macchina sviluppa un legame più profondo con il suo figlio adottivo (e con gli altri diffidenti animali dell’isola). L’impressionante cast vocale di Il Robot Selvaggio e l’animazione lussuosa sostengono una storia centrale davvero forte che accenna a un mondo affascinante e sorprendentemente oscuro.

Il climax di Il Robot Selvaggio lascia alcune domande volutamente senza risposta, mantenendo il focus della narrazione sui personaggi incontrati da Roz e dalla sua famiglia improvvisata. Il film ha un grande potenziale emotivo da esplorare, soprattutto se si considerano le rivelazioni finali del climax. Questi piccoli tocchi sono quasi più allettanti, un accenno allo stato del mondo (e al posto che Roz intende occuparvi) che potrebbe essere facilmente esplorato ulteriormente. L’ampiamente recensito Il Robot Selvaggio ha abbastanza fili in sospeso da giustificare un ritorno all’isola in un eventuale seguito.

Perché Roz non rimane sull’isola nel finale de Il robot selvaggio

Il Robot Selvaggio

Roz lascia l’isola nel finale di Il Robot Selvaggio per fermare altri attacchi della Universal Dynamics, salvando nel frattempo la sua famiglia adottiva. Il film racconta l’evoluzione di Roz da aiutante insensibile, ma impegnata, a madre genuinamente protettiva e accudente. Il suo impegno nei confronti di Brightbill e le sue difficoltà nel fargli da genitore si sviluppano nell’arco emotivo centrale del film, ritardando ripetutamente il suo ritorno per la riparazione anche quando le si presenta l’opportunità di farlo. Alla fine del film, Roz riconosce l’isola come la sua casa, ma teme i danni che l’umanità e le macchine possono arrecarle.

L’abbandono dell’isola da parte di Roz è il culmine della crescita del personaggio e del suo impatto su coloro che la circondano. Le emozioni che ha sviluppato crescendo Brightbill si traducono in un impegno a salvare l’ampio cast di animali dell’isola. La scelta di lasciare il suo posto sull’isola viene trattata da Roz come un sacrificio, ma che diversi personaggi lasciano intendere essere solo temporaneo. Lasciare l’isola e tornare alla Universal Dynamics potrebbe essere necessario ora, ma il finale del film implica che Roz un giorno fuggirà e tornerà.

Cosa succede agli animali dell’isola dopo Roz

Inizialmente, gli animali dell’isola in Il robot selvaggio si confrontano e spesso sono aggressivi l’uno con l’altro. La morte è trattata come un aspetto ottuso del mondo, con Coda di rosa che addirittura ignora rapidamente la morte apparente di uno dei suoi figli all’inizio del film. Tuttavia, il fatto che Roz li riunisca per sopravvivere insieme all’inverno crea una tregua tra tutti loro che non viene infranta alla fine del film. Gli animali combattono al fianco di Roz e la abbracciano, rendendo ancora più significativa la sua scelta di proteggerli.

Questo suggerisce che la pace continuerà nel futuro previsto. Sia Brightbill che Fink finiscono il film molto meglio grazie a Roz. Nonostante il loro breve litigio, Brightbill impara ad accettare Roz come sua madre. Inoltre, abbraccia un ruolo di leadership con il gregge, spronato dal Longneck di Bill Nighy (che muore tragicamente per proteggere il suo inaspettato allievo). Nel frattempo, Fink supera il suo disprezzo per gli altri cittadini della foresta e contribuisce a consolidare il legame tra loro. L’influenza di Roz sull’isola garantisce un’ambientazione più unitaria che potrebbe continuare a prosperare in un eventuale seguito.

Cosa è successo alla Terra ne Il Robot Selvaggio?

Uno degli elementi più efficaci e inquietanti de Il robot selvaggio è il modo in cui il film affronta lo stato del mondo in generale. Il film non lo commenta mai direttamente, ma è fortemente implicito che il futuro de Il robot selvaggio è un futuro in cui elementi come il cambiamento climatico hanno seriamente colpito la Terra. Le futuristiche città rimanenti che si vedono nelle pubblicità dell’azienda di Roz, la Universal Dynamics, ricordano le ottimistiche ed eleganti città fantascientifiche de I Jetsons. Tuttavia, il mondo in generale è mostrato come vuoto e in gran parte privo di vita umana.

Luoghi costieri come San Francisco sono apparentemente sommersi dal mare, come si vede quando lo stormo di Brightbill sorvola il Golden Gate Bridge, in gran parte sommerso. Altre strutture create dall’uomo, come satelliti e città, sembrano abbandonate, suggerendo che l’umanità è stata in gran parte spostata da qualsiasi evento abbia cambiato il mondo. Anche il clima sembra più estremo, con Flip che dice a Roz che la tempesta vista nel film è la peggiore che abbiano mai incontrato. Il film dipinge un’immagine cupa e resistente della Terra, anche se il tipo di mondo a cui la gente penserebbe in un’ambientazione attuale sembra essere ormai lontano.

Come il finale de Il Robot Selvaggio si confronta con il libro

Il finale di The Wild Robot è funzionalmente simile a quello del libro da cui è tratto, con Roz che sceglie di tornare sull’isola per aiutare a proteggere la sua nuova famiglia e i suoi amici. Il film termina con una nota in qualche modo aperta quando Roz viene riportata nella società che l’ha costruita, il che implica che conserva i suoi ricordi e le sue emozioni. Questo si riflette anche nei libri, che vedono Roz accettare il suo ritorno alla civiltà, ma con un piano di fuga verso la natura selvaggia. Il finale riflette in modo specifico anche il seguito del romanzo di Jim Brown.

La fuga del robot selvaggio vede Roz riassegnata ai lavori agricoli, in modo simile al suo destino finale nel film. Il secondo libro si concentra su Roz, combattuta tra la sua nuova posizione e il potenziale ritorno a casa, e sull’incontro con il suo creatore, il dottor Molovo. Il robot selvaggio protegge offre a Roz un’enorme missione da intraprendere quando un misterioso elemento avvelena l’ambiente intorno all’isola, costringendola ad avventurarsi nelle profondità del nord per scoprire la verità. Un adattamento di uno o di entrambi potrebbe facilmente costituire un futuro sequel de Il robot selvaggio sul grande schermo.

Come il finale de Il Robot Selvaggio prepara un sequel

Il Robot Selvaggio sequel
© Universal Pictures

Il fatto che esistano già dei sequel del materiale di partenza spiega perché gran parte de Il robot selvaggio sia lasciato in sospeso e potenzialmente in grado di creare un seguito. L’importanza di Roz nel grande schema delle cose la rende una protagonista affascinante, poiché i suoi tentativi di rimanere da sola a vivere sull’isola saranno sempre minacciati dalla Universal Dynamics che vuole la sua memoria. I chiari piani di Roz di tornare sull’isola potrebbero essere visti come un’anticipazione dei suoi piani di fuga, che erano la trama del seguito del materiale di partenza.

Oltre alla possibilità che il finale di The Wild Robot lasci aperta la porta a una trama specifica, ci sono molti altri elementi che un sequel potrebbe esplorare ulteriormente. Lo stato del mondo viene approfondito nei libri successivi e potrebbe dare a un eventuale sequel una maggiore attenzione all’ecologia. Le tensioni tra gli animali possono essere state sopite per ora, ma potrebbero essere facilmente riaccese dal tipo di conflitti che appaiono nei libri. C’è anche da esplorare la crescita continua di Brightbill e lo sviluppo più profondo di Fink. Un eventuale sequel di Il Robot Selvaggio della DreamWork avrebbe molto materiale da esplorare.

Il vero significato de Il robot selvaggio

Il Robot Selvaggio sequel
(from left) Roz (Lupita Nyong’o) and Brightbill (Kit Connor) in DreamWorks Animation’s The Wild Robot, directed by Chris Sanders.

Il Robot Selvaggio è un film potente sulla natura e sulla maternità, che esplora come anche una macchina apparentemente insensibile possa diventare più grande con l’amore. Lo sviluppo di Roz da utile a protettiva è un’evoluzione naturale e stimolante, che sottolinea la differenza tra le due cose. I temi ecologici del film alludono a un’umanità che ha dato priorità al proprio comfort e alla propria sicurezza, rinunciando al mondo in generale. La vita naturale che gestisce abilmente robot altrimenti molto minacciosi suggerisce che le creazioni dell’umanità non sono così robuste o temibili come sembrano.

In particolare, tutta la vita naturale può essere unita, al di là delle paure e degli istinti animali, da concetti come amore e comunità. La storia principale de Il robot selvaggio riguarda Roz che impara a essere una madre per Brightbill e il suo figlio adottivo lo riconosce, ma riguarda anche l’importanza di superare la nostra programmazione se questo significa aiutarsi a vicenda per sopravvivere. I temi di Il Robot Selvaggio  lo rendono particolarmente toccante in un mondo diviso e apparentemente sempre sull’orlo del disastro, e conferiscono al bellissimo film d’animazione significati più profondi.

Your Friendly Neighborhood Spider-Man: l’art work rivela uno sguardo più ravvicinato al costume

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Il New York Comic Con è attualmente in pieno svolgimento e oggi è stato rivelato un nuovo look di Your Friendly Neighborhood Spider-Man. Come potete vedere, l’immagine mette in risalto il costume fatto in casa dell’adolescente.

Probabilmente, però, non lo indosserà a lungo, perché sappiamo che il wall-crawler sarà equipaggiato con ogni sorta di costume accattivante per gentile concessione di Norman Osborn e della Oscorp.

I Marvel Studios non sono presenti al NYCC al di là di alcuni espositori sul palco, quindi non ci aspettiamo che nei prossimi giorni venga rivelato un trailer o una data di prima visione per Your Friendly Neighborhood Spider-Man .

In Your Friendly Neighborhood Spider-Man della Marvel Animation, Peter Parker sta per diventare un eroe, con un viaggio diverso da quello che abbiamo visto prima e uno stile che celebra le prime radici fumettistiche del personaggio.

Date un’occhiata più da vicino allo Spider-Man animato qui sotto.

Cosa sappiamo su Your Friendly Neighborhood Spider-Man?

Jeff Trammell (Craig of the Creek) è lo sceneggiatore capo di Your Friendly Neighborhood Spider-Man e ha recentemente condiviso nuove informazioni su ciò che i fan possono aspettarsi dal ritorno del web-slinger nell’animazione.

“Vorrei rispondere con un cliché, ‘Aspettatevi l’inaspettato’, ma, onestamente, penso che possiate aspettarvi Your Friendly Neighborhood Spider-Man”, ha detto. “Si aggira per New York; non è un’enorme avventura intergalattica”.

“È lui alle sue radici e ci sono molte cose che noi, come fanbase, prendiamo a prima vista e diciamo: ‘Oh sì, conosco questa parte della storia’. È stato davvero divertente scavare in questa storia: “Forse non sai tutto”. Ci sono delle sorprese e non vedo l’ora di scoprirle. È stato molto divertente sovvertire le aspettative che sono state costruite per così tanto tempo”, ha aggiunto Tramell.

“Segue lo schema che si vede in [Captain America:] Civil War”, ha detto in precedenza Brad Winderbaum, dirigente della Marvel Animation, a proposito della serie. “Fino a Peter che prende il lettore Blu-ray rotto dalla spazzatura ed entra nel suo reparto per il famoso momento in cui Tony Stark lo sta aspettando per offrirgli lo stage di Stark e portarlo a Berlino”.

“Ma a causa di cose che accadono nel Multiverso… a causa di nuovi eventi casuali, non è Tony Stark ad aspettarlo lì. È Norman Osborn e questo fa prendere alla sua vita una traiettoria inaspettata che lo fa scontrare con molti personaggi inaspettati dell’universo Marvel”.

Your Friendly Neighborhood Spider-Man non ha ancora una data di debutto confermata, ma dovrebbe arrivare su Disney+ nei prossimi mesi (forse già il prossimo gennaio).

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