Prime Video svela il trailer di Natale
senza Babbo, la nuova commedia natalizia con
protagonisti Luisa Ranieri e Alessandro Gassmann che sarà disponibile in
esclusiva su Prime Video in tutto il mondo dal 28
novembre.
Quando Babbo Natale (Alessandro
Gassmann), nel pieno di una crisi esistenziale, decide
di prendersi una vacanza e scompare all’improvviso, a sua moglie
Margaret (Luisa Ranieri) – sempre pronta a
supportare (e sopportare) il marito Nicola – non resta altro da
fare che rimboccarsi le maniche e salvare il giorno più speciale
dell’anno. Non sarà un compito facile, perché l’intraprendente
strega Sabrina (Caterina Murino), meglio
conosciuta come la Befana, e Santa Lucia (Valentina
Romani) sono determinate a rubare la scena a Babbo Natale
diventando le protagoniste delle Feste. Nel cast di Natale senza
Babbo, con la partecipazione di Diego Abatantuono,
e con Michela Andreozzi e Angela
Finocchiaro, ci sono anche Rita Longordo, Paolo
Calvano, Francesco Centorame, Simone Susinna, Francesca Alice
Antonini, Alberto Astorri e Stefano
Ambrogi.
1 di 6
Cortesia di Prime Video -
Alessandro Gassman
Cortesia di Prime Video -
Caterina Murino
Cortesia di Prime Video -
Valentina Romani
Cortesia di Prime Video -
Luisa Ranieri
Cortesia di Prime Video -
Angela Finocchiaro
Cortesia di Prime Video -
Diego Abatantuono
Il nuovo film Original Natale senza
Babbo, co-prodotto da Amazon MGM Studios con Gaumont Italia, è
diretto da Stefano Cipani e scritto da Michela Andreozzi con la
collaborazione di Filippo Macchiusi.
Una delle voci
più influenti e rivoluzionarie del cinema contemporaneo – e
vincitore dei più prestigiosi premi cinematografici mondiali, tra
cui due Oscar – Spike Lee parteciperà al
43° Torino Film Festival, in programma dal 21 al
29 novembre 2025. Il regista, sceneggiatore, produttore e attore
statunitense presenterà in anteprima nazionale il suo ultimo
lavoro, Highest 2 Lowest, e riceverà la
Stella della Mole per il suo eccezionale
contributo all’arte cinematografica.
Con uno stile
inconfondibile e una carriera costellata da opere che hanno
ridefinito il linguaggio del cinema stesso, come Fa’ la cosa
giusta, Inside Man e BlacKkKlansman,
Spike Lee ha acceso il dibattito sui più
importanti temi sociali e politici, lasciando un’impronta
indelebile nella storia del cinema internazionale.
Highest 2 Lowest, la sua nuova opera che
segna la quinta collaborazione tra il regista e Denzel Washington, riconferma ancora una volta
la sua capacità di raccontare l’America contemporanea con sguardo
critico, poetico e visivamente potente.
Giulio
Base, Direttore del Torino Film Festival, ha dichiarato:
“Consegnare la Stella della Mole a Spike Lee significa
celebrare un pioniere: il primo grande regista afroamericano ad
aver portato la sua voce radicale e inconfondibile nel cuore del
cinema mainstream mondiale, mantenendone intatta la forza. Nei suoi
film convivono rigore e passione, politica e musica, rabbia e
poesia. Nelle volte in cui l’ho incontrato, dietro l’autore immenso
ho trovato un uomo dalla simpatia luminosa, capace di accoglierti
con una risata franca: un maestro che sa unire profondità e
leggerezza”.
La Stella
della Mole è il riconoscimento cinematografico assegnato a
figure di spicco del cinema internazionale, che hanno dato
contributi significativi al mondo della settima arte. Una
celebrazione del cinema d’autore e della creatività artistica che
onora chi ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama
cinematografico mondiale.
Il Torino
Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del
Cinema di Torino e si svolge con il contributo del
Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo,
Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione
CRT.
Dall’omonimo bestseller
dell’autrice pluripremiata Andrea Mara,
All Her Fault – di cui viene rilasciato
oggi il trailer ufficiale – è la nuova serie Sky Exclusive che
segna il ritorno sul piccolo schermo della
vincitrice di un Emmy e di due Golden Globe AwardsSarah Snook (Succession),
qui protagonista e produttrice del progetto. La serie, un thriller
psicologico in otto episodi, è in arrivo in esclusiva su Sky e in
streaming solo su NOW dal 23 novembre. Co-protagonisti
Dakota Fanning (The Watcher, Ripley)
e Jake Lacy (The White Lotus).
Il romanzo da cui è tratta la
serie, bestseller nel Regno Unito e ancora inedito in Italia, ha
conquistato pubblico e critica per la sua capacità di tenere il
lettore con il fiato sospeso, intrecciando tensione, colpi di scena
e profondi risvolti emotivi.
Prodotta da Carnival
(The Day of the Jackal, Downton
Abbey), All Her Fault vede
dietro le quinte un team tutto al femminile: la scrittrice Andrea
Mara, la creatrice Megan Gallagher (Wolf,
Suspicion), la regista Minkie Spiro (Il problema dei 3
corpi, Downton Abbey) e la stessa Sarah Snook alla produzione.
La trama di All Her Fault
Marissa Irvine è andata a
prendere suo figlio Milo dopo un pomeriggio di gioco con un
compagno della sua nuova scuola. Ma la donna che apre la porta non
è una madre che lei conosce. Non è la tata. Non ha Milo con sé. In
quel momento Marissa inizia a realizzare che suo figlio è
scomparso. All Her Fault è un thriller psicologico mozzafiato che
porta alla luce i segreti più profondi di una comunità, svelando
strati di inganni e tradimenti nascosti dietro vite all’apparenza
perfette.
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Cortesia di Sky
Cortesia di Sky
Cortesia di Sky
Cortesia di Sky
Cortesia di Sky
Cortesia di Sky
La serie è scritta e creata da
Megan Gallagher, produttrice esecutiva insieme a Nigel Marchant,
Gareth Neame e Joanna Strevens per Carnival Films, insieme a Sarah
Snook, Minkie Spiro, Christine Sacani e Jennifer Gabler Rawlings.
Il cast principale include Sarah Snook, Jake Lacy, Dakota Fanning,
Michael Peña, Sophia Lillis, Abby Elliott,
Daniel Monks, Jay Ellis, Thomas Cocquerel, Duke McCloud e Kartiah
Vergara. Nel cast ricorrente troviamo invece Johnny Carr, Linda
Cooper e Melanie Vallejo. Gli episodi 1-4 sono diretti da Minkie
Spiro, mentre gli episodi 5-8 portano la firma di Kate Dennis. La
produzione è curata da Terry Gould.
ALL HER FAULT | Dal 23 novembre in esclusiva su Sky e in
streaming solo su NOW
Presentato in anteprima mondiale il 26 ottobre alla
Festa del Cinema di
Roma 2025, No Place
Like Rome è il nuovo film di Cecilia
Miniucchi, regista italiana trapiantata a Hollywood che
per la prima volta dirige un film in Italia. Ci ha raccontato di
questa avventura insieme a Rhada Mitchell,
co-protagonista del film.
No Place Like
Rome è la commedia romantica scritta e diretta da
Cecilia Miniucchi, regista italiana che ha iniziato tempo fa
e prosegue a Los Angeles una felice collaborazione con Hollywood e
che è tornata a girare nel suo paese d’origine – catturando
i luoghi più nascosti e iconici di Roma e i paesaggi umbri – per
realizzare la nuova commedia romantica americana con un cast
d’eccezione.
Protagonisti principali
sono Stephen Dorff, Cristiana Capotondi e Rhada Mitchell, che già
aveva recitato nel precedente film di Cecilia Miniucchi Life
Upside Down. Nel cast anche Sebastiano Pigazzi, Elisabetta
De Palo, Edoardo Natoli e Martina Iacomelli.
No Place Like
Rome segue le vicende di Connor, rinomato fotografo inviato
a Roma per un incarico proprio all’inizio della stagione natalizia.
Connor si aspetta che il figlio adolescente lo raggiunga per
trascorrere il Natale insieme, dopo un divorzio difficile dal quale
non si è ancora del tutto ripreso. Ma quando i piani cambiano e il
figlio non può più venire, Connor – senza una famiglia ad
attenderlo a casa – decide di restare a Roma, da solo. Mentre si
perde tra le stradine e i cortili nascosti della città, guidato da
Scintilla, la sua vivace e affascinante assistente, Connor inizia a
riscoprire non solo la bellezza di Roma, ma anche qualcosa di
sopito dentro di sé, arrivando a credere che l’amore possa trovarlo
di nuovo. Anche con qualcuno che, fin dall’inizio, gli aveva detto:
“Siamo perfettamente compatibili per non stare insieme.”
No Place Like
Rome è una produzione americana di Euphoria Productions, prodotta da Jeffrey
Coulter, Carl F. Berg e Antoni Stutz, da tempo
collaboratori della regista. Tra i produttori esecutivi figurano
anche Shaun e Yvette Redick, vincitori del Premio Oscar.
Halloween è la notte in cui i mostri escono allo scoperto, le
maschere diventano verità e il cinema trova la sua forma più pura:
quella del gioco, della paura e della liberazione. In questo
spirito, The Toxic Avenger, in arrivo
al cinema dal 30
ottobre con Eagle
Pictures, è la scelta ideale per chi vuole vivere la festa
più folle dell’anno tra ironia, sangue e catarsi radioattiva. Diretto da
Macon Blair e
interpretato da Peter
Dinklage, Kevin Bacon ed
Elijah Wood,
il film rielabora l’iconico cult della Troma Entertainment, riportando sul grande
schermo un eroe deforme e irresistibile, simbolo di una rivincita
sociale che non perde mai il sorriso – anche quando è coperto di
tossine.
Un cult che risorge dalle fogne, come il suo protagonista
Photo courtesy of Yana Blajeva – Legendary Pictures e Eagle
Pictures
Quando nel 1985 Lloyd
Kaufman e Michael Herz fondarono il mito del Vendicatore Tossico, nessuno avrebbe
immaginato che quella pellicola low budget, girata con pochi mezzi
e tanta incoscienza, sarebbe diventata un fenomeno di culto. Il
nuovo The Toxic Avenger
riprende quello spirito, lo aggiorna e lo amplifica.
Peter Dinklage veste i panni di un
uomo comune spinto ai margini, trasformato in mostro dopo un
incidente con rifiuti chimici. La sua metamorfosi è grottesca ma
profondamente simbolica: un outsider che si vendica del sistema
corrotto che lo ha creato. È un ritorno al cinema artigianale e
ribelle, dove il mostro è il riflesso deformato dell’umanità
stessa. E in una notte come Halloween, in cui la diversità diventa
potere, Toxie è l’eroe perfetto da celebrare.
Ironia, sangue e follia: il ritorno del vero cinema Troma
Photo courtesy of Yana Blajeva – Legendary Pictures e Eagle
Pictures
Halloween è sinonimo di eccesso, e The Toxic Avenger abbraccia pienamente questa estetica.
Macon Blair,
alla regia, riesce a rendere omaggio al linguaggio visivo e
narrativo della Troma senza scadere nel semplice omaggio
nostalgico. Il suo film è una commedia horror iperbolica, che alterna
combattimenti splatter, umorismo nero e una satira feroce sulla
società contemporanea. Ciò che lo rende perfetto per Halloween è
proprio questo mix di orrore e divertimento, dove il sangue scorre ma la
risata non manca mai. È il cinema che si guarda con il popcorn in
mano e il sorriso stampato in volto – consapevoli che, dietro ogni
esagerazione, si nasconde una critica precisa: quella verso un
mondo che inquina, consuma e poi si stupisce delle proprie
mutazioni.
Un cast da urlo (e non solo per le urla)
A
rendere il film ancora più intrigante è il suo cast inaspettatamente stellare.
Peter Dinklage
guida il gruppo con un’interpretazione fisica e ironica, capace di
unire fragilità e potenza, mostruosità e umanità. Al suo fianco
Kevin Bacon nel
ruolo del villain – elegante, sadico e irresistibilmente sopra le
righe – ed Elijah Wood, irriconoscibile in una
parte che flirta con l’assurdo. È una scelta coraggiosa e
intelligente: attori di grande spessore che si mettono al servizio
del B-movie, ribaltando le regole del glamour hollywoodiano. Questa
contaminazione tra alto e basso, tra cultura pop e recitazione
d’autore, è una delle chiavi che rende The Toxic Avenger perfetto per Halloween: un
film che celebra l’imperfezione, il caos e il piacere di sporcarsi
le mani – letteralmente.
Il ritorno dello spirito ribelle della Troma
Negli anni ’80, la Troma
Entertainment era la casa madre del cinema indipendente
più radicale. Le sue pellicole, piene di sangue finto, ironia e
provocazione, erano un grido contro l’industria e le sue regole.
The Toxic Avenger non
solo ha riportato la Troma sulla mappa, ma ha creato una mitologia
parallela fatta di outsider e anti-eroi. Oggi, Macon Blair e Lloyd Kaufman (che qui figura come
produttore esecutivo) rievocano quello stesso spirito anarchico,
adattandolo al presente. Il film parla di mutazione ambientale, corruzione e potere,
ma lo fa con la leggerezza del paradosso e la libertà di un autore
che conosce bene i codici del genere. È un omaggio alla cultura
underground, ma anche una riflessione sulla nostra epoca, dove ogni
orrore ha un’origine molto reale.
Un mostro dal cuore tenero: il messaggio dietro la maschera
The Toxic Avenger Cortesia di Eagle Pictures
Sotto gli strati di tossine e deformità, il nuovo Toxie nasconde un
cuore sorprendentemente umano. Il film gioca con i codici del body
horror ma li piega a una morale empatica: il vero mostro non è chi è diverso, ma chi nega la
propria umanità. È una tematica che risuona perfettamente
con Halloween, la festa che celebra il travestimento come
liberazione. Toxie è un simbolo di rivalsa, un antieroe che, pur
nella sua mostruosità, restituisce dignità ai reietti e agli
esclusi. È l’incarnazione di un cinema che ride delle proprie
ferite, trasforma lo schifo in arte e la paura in riscatto.
Un Halloween radioattivo
Con il suo stile eccessivo, il suo umorismo corrosivo e un’estetica
che mescola splatter,
satira e comic book, The Toxic Avenger è il titolo perfetto per la
notte di Halloween. È un film che fa esplodere la tradizione del
mostro gotico e la reinventa in chiave pop, invitando il pubblico a
divertirsi e a riflettere sul caos che abbiamo creato. Dopo tutto,
come ci insegna Toxie, anche il disastro può avere un’anima – basta saperla
riconoscere tra le macerie.
The Toxic Avenger esce
al cinema dal 30
ottobre, distribuito da Eagle Pictures.
La tanto attesa serie ispirata a
Stephen King, It:
Welcome To Derry (qui
la recensione), è finalmente arrivata e il suo primo episodio
non mostra alcuna pietà. Le star e i creatori dello show hanno ora
analizzato la sanguinosa premiere e spiegano perché così pochi sono
riusciti a superare il terrificante episodio pilota. Il primo
episodio ha infatti mostrato la morte cruenta di diversi personaggi
che gli spettatori credevano fossero i protagonisti principali
della serie. La serie si è aperta con la morte di Matty
(Miles Ekhardt), che stava cercando di lasciare la
città in autostop quando ha incontrato It, andando incontro alla
morte.
Quattro anni dopo, i conoscenti di
Matty, Lilly (Clara Stack), Phil (Jack
Molloy Legault), Teddy (Mikkal
Karim-Fidler), Ronnie (Amanda Christine)
e Susie (Matilda Legault), uniscono le forze per
risolvere il mistero dietro la sua scomparsa. Tuttavia, con grande
shock del pubblico, tre dei cinque ragazzi vengono uccisi nel corso
del pilot. I cinque bambini hanno avuto un ruolo molto importante
nella promozione di It: Welcome To Derry. Quindi, è
stata ovviamente una sorpresa quando Phil, Teddy e Susie sono morti
così rapidamente.
In un’intervista con Entertainment
Weekly, uno dei creatori dello show, Andy
Muschietti, ha ammesso di aver giocato con le emozioni
degli spettatori. Ha detto che l’idea dietro l’inganno dei fan in
un falso senso di sicurezza è quella di ricordare loro che tutto
può succedere. Nessuno ha la garanzia di sopravvivere alla
serie.
“Si tratta di un evento
strategicamente devastante per trasmettere al pubblico la
sensazione che “niente è sicuro in questo mondo”. In un certo senso
inganniamo il pubblico facendogli credere che questi siano i nuovi
Losers. Beh, indovinate un po’? Credo che siano tutti morti”.Barbara Muschietti, co-autrice
della serie, ha aggiunto di essere orgogliosa del bagno di sangue
che hanno creato. Ha persino paragonato il pilot a un famigerato
episodio di Il Trono di Spade: “Lo adoriamo. È
il nostro Red Wedding”.
I fratelli Muschietti hanno
rivelato che all’inizio erano preoccupati. Credevano che ci fosse
una possibilità molto concreta che HBO potesse rifiutare il loro
episodio pilota perché troppo violento. Tuttavia, con loro grande
sorpresa, lo studio era completamente d’accordo e non ha battuto
ciglio davanti alle loro idee. “Siamo entrati pensando che
sarebbe stata una lotta per noi, che avremmo dovuto lottare per
continuare a spingere sull’horror e sugli spaventi improvvisi. È
stato il contrario”.
Christine, che interpreta una delle
uniche sopravvissute dell’episodio, ha ricordato la sua iniziale
eccitazione quando ha letto la sceneggiatura per la prima volta. Ha
spiegato come lei e il resto del cast fossero tutti molto
entusiasti e felici del materiale, nonostante sapessero che molti
di loro non sarebbero sopravvissuti al pilot. “Eravamo tutti
tipo: “Wow! È così che finisce? Ok, diamoci dentro!”. Quindi è
stato davvero divertente immedesimarmi nel mio personaggio, essendo
la prima volta che vedevo Pennywise e sentivo davvero la sua
presenza. Quella scena finale è stata semplicemente iconica. È
scioccante”.
Il cast di IT: Welcome to Derry
La serie, prodotta dalla Warner
Bros. Television e sviluppata per la televisione dai registi
Andy Muschietti e Barbara
Muschietti(IT,
The
Flash) e Jason Fuchs (Wonder
Woman), debutterà su HBO e sarà disponibile in streaming in
Italia grazie a Sky. Muschietti dirigerà quattro episodi della
serie di nove episodi. Bill Skarsgård ha descritto IT:
Welcome to Derry come “piuttosto hardcore” e ha
ammesso di aver avuto qualche esitazione nel riprendere quello che
è diventato forse il suo ruolo più iconico.
Ambientata nell’universo di
IT di Stephen King, la serie è
basato sul romanzo e amplia la visione creata dal regista
Andy Muschietti nei film
IT – Parte 1 e IT – Parte
2. Il cast è guidato da Taylour Paige,
Jovan Adepo, Chris Chalk,
James Remar, Stephen Rider,
Madeleine Stowe, Rudy Mancuso e
Bill Skarsgård. È stato anche confermato che
IT: Welcome to Derry sarà trasmesso per la prima
volta questo ottobre, il che significa che dovremmo tornare a Derry
in tempo per Halloween.ù
Taylor Sheridan
lascia ufficialmente la Paramount. L’ideatore di
Yellowstone
passerà a un altro studio subito dopo la scadenza del suo
contratto. Da tempo circolavano voci secondo cui Sheridan fosse
sempre più insoddisfatto della Paramount. E ora queste osservazioni
sono state confermate dopo che l’icona televisiva ha concluso un
accordo con uno dei maggiori concorrenti della sua ex casa di
produzione, la NBC Universal. Sebbene il suo
contratto cinematografico di otto anni, che avrà inizio nel marzo
2026, sia già di per sé molto importante, è il suo contratto
televisivo quinquennale, che inizierà nel gennaio 2029, che
potrebbe rivelarsi davvero rivoluzionario.
Pubblicato per la prima volta da
Puck, il suo attuale accordo con
la Paramount durerà fino al 2028. Una volta terminati i suoi
obblighi nei confronti dello studio, inizierà a creare programmi
per piattaforme come NBC e Peacock. Anche la 101 Studios di David
Glasser, la società dietro la serie di Sheridan, passerà alla
Universal.
Sebbene Sheridan dovrà lasciarsi
alle spalle alcuni dei suoi franchise più importanti (Tulsa
King, Landman,
Operazione Speciale: Lioness e Mayor of Kingstown) poiché di proprietà della
Paramount, questo nuovo accordo alla fine gli porterà comunque dei
vantaggi e gli consentirà di guadagnare più di quanto perderà.
L’autore probabilmente godrà di molta più libertà con il suo nuovo
contratto, che gli consentirà di creare una nuova serie di
programmi e film.
L’addio di Sheridan sarà anche una
grande perdita per la Paramount. Nel corso degli anni, le serie che
ha creato per lo studio sono state tra le più apprezzate e famose.
Inoltre, i suoi progetti continuano ad attirare nuovo pubblico.
Senza Sheridan al timone, la Paramount potrebbe trovarsi ad
affrontare molte sfide, tra cui quella di mantenere l’interesse
degli spettatori dopo la sua partenza.
Uno dei capitoli fondamentali della
serie di supereroi del franchise DCEU è stato Batman v Superman: Dawn of Justice di
Zack Snyder, che ha rappresentato un tassello
fondamentale per la Justice League. Per la timeline dei
film DCEU, Ben Affleck è stato scelto come attore per
portare il Cavaliere Oscuro sul grande schermo.
Mentre la serie si è conclusa nel
2023 con Aquaman e il Regno Perduto, Snyder ha pubblicato su
Instagram una foto inedita di Affleck durante la sua prima prova
costume da Batman per il film del 2016. Il regista ha aggiunto nel suo post:
“Una Polaroid in bianco e nero 4×5 che ho scattato a Ben
durante la prova costume, la prima volta che ha indossato il
costume. Tutto come speravo che fosse. #Batman“
Dal Batman di Ben Affleck a quello del DC Universe
Questo avviene poco dopo che Snyder
ha condiviso una nuova foto di Henry Cavill nei panni di Superman il 17 ottobre 2025.
Affleck ha invece poi interpretato l’icona DC in Suicide Squad, Justice
League del 2017 e nella versione originale di
Zack Snyder’s Justice
League, per la quale ha persino girato del nuovo
materiale in vista della sua uscita nel 2021 su HBO Max.
La star di Hollywood ha concluso la
sua carriera tornando un’ultima volta nel film The
Flash nel 2023, indossando il costume per l’ultima
volta. Affleck era anche inizialmente previsto come protagonista,
regista e sceneggiatore del suo film solista, intitolato
The
Batman, fino a quando non è stato trasformato in un
reboot per Robert Pattinson, con il regista
Matt Reeves alla guida.
Il Cavaliere Oscuro sarà ora
reimmaginato anche in un nuovo franchise DC interconnesso, poiché
la DC Studios sta lavorando a un film su Batman nell’universo DC,
diretto da Andy Muschietti. Il progetto è ancora
in fase di scrittura e non è stata ancora fissata una data di
uscita per il reboot. La versione DCU dell’eroe di Gotham è apparsa nella serie
animata Creature Commandos, dove è
apparso in un flashback, così come nella visione futura di
Circe.
È poi in arrivo un film su
Clayface ambientato nel franchise di
James Gunn, poiché l’episodio dell’11
settembre 2026 darà ulteriori scorci della città del Cavaliere
Oscuro. Tuttavia, il film The Brave and The Bold
non sarà l’unico progetto con Bruce Wayne nei prossimi anni, dato
che Reeves dirigerà The Batman – Parte 2, la cui
uscita nelle sale è prevista per il 1° ottobre 2027. Le riprese
principali dovrebbero iniziare nel 2026, con Pattinson che
riprenderà il ruolo del protagonista.
Mentre l’intelligenza artificiale
continua a rimodellare la società moderna, il leggendario regista
Guillermo del Toro esprime chiaramente la sua
posizione. Nel promuovere la sua ultima uscita, Frankenstein (qui
la recensione), il vincitore dell’Oscar paragona la tecnologia
emergente alla spinta dello scienziato protagonista a sfidare la
morte.
In un’intervista alla NPR, del Toro ha affermato che
la sua “preoccupazione non è l’intelligenza artificiale, ma la
stupidità naturale”, che secondo lui “è ciò che alimenta
la maggior parte degli aspetti peggiori del mondo”. È
interessante notare che il regista ha canalizzato questa follia
scientifica nella sua versione di Victor Frankenstein.
“Volevo che l’arroganza di
Victor fosse in qualche modo simile a quella dei tech bro”, ha
detto del Toro. “È un po’ cieco, crea qualcosa senza
considerare le conseguenze, e penso che dovremmo fermarci un attimo
e riflettere su dove stiamo andando”. Cambiando argomento, del
Toro ha spiegato perché l’avvertimento lanciato nella storia di
Frankenstein è così rilevante al giorno d’oggi,
condividendo il suo disprezzo per l’intelligenza artificiale e il
suo utilizzo nei film.
Il regista ha infatti dichiarato:
“L’intelligenza artificiale, in particolare quella generativa,
non mi interessa e non mi interesserà mai. Ho 61 anni e spero di
poter rimanere disinteressato al suo utilizzo fino alla
morte“. Del Toro ha poi rincarato la dose aggiungendo: L’altro
giorno qualcuno mi ha scritto un’e-mail chiedendomi: “Qual è la
tua posizione sull’intelligenza artificiale?”. La mia risposta è
stata molto breve. Ho detto: “Preferisco morire”.
Del Toro è da tempo un paladino
della creatività nel cinema, con le sue opere caratterizzate da
un’inimitabile stranezza. Secondo il regista, ciò risale al suo
amore per l’adattamento cinematografico di
Frankenstein del 1931. “Ho visto la resurrezione della
carne, l’immacolata concezione, l’estasi, le stigmate. Tutto aveva
senso“, ha detto del Toro in un’altra parte dell’intervista.
”Ho capito meglio la mia fede o i miei dogmi attraverso
Frankenstein che attraverso la messa domenicale“.
Il suo affetto per il classico del
cinema ha cambiato il corso della sua vita e spiega ulteriormente
perché l’uso dell’IA nel cinema potrebbe non piacergli. I commenti
di del Toro arrivano però in un momento in cui l’IA ha già iniziato
a rivoluzionare l’industria cinematografica. Importanti figure del
settore come Joe e Anthony Russo
hanno abbracciato pienamente l’uso dell’IA nei loro film, e
l’attrice IA Tilly Norwood ha scatenato un’ampia
controversia tra attori e pubblico.
Le preoccupazioni di Del Toro
stanno diventando sempre più rilevanti man mano che l’uso dell’IA
diventa mainstream, sollevando un pensiero interessante: forse
dovremmo prestare attenzione agli avvertimenti di Mary Shelley
sull’ambizione scientifica. In ogni caso, possiamo stare certi che
guardando un film di del Toro non troveremo mai neanche un elemento
realizzato attraverso l’utilizzo di questa tecnologia e che anzi il
regista continuerà a preferire l’indiscutibile bellezza
dell’artigianalità cinematografica.
Guarda la nostra video recensione
di Frankenstein di Guillermo del
Toro
Dopo aver realizzato per il terzo
anno consecutivo un altro film degno di un premio con Emma Stone, Yorgos Lanthimos
ha bisogno di un po’ di riposo e relax. Il regista, candidato
cinque volte all’Oscar, ha recentemente ammesso di aver bisogno di
“una piccola pausa” dopo l’uscita del suo ultimo film
Bugonia,
nonostante avesse già intenzione di prendersi una pausa dopo i suoi
due titoli precedenti, Povere creature! (2023) e Kinds of
Kindness (2024).
“Beh, non posso continuare a
farlo. Questo è quello che sappiamo per certo in questo
momento”, ha detto a Collider, aggiungendo: “È un
grosso errore. Penso di aver bisogno di una pausa. L’ho già detto
tra l’uno e l’altro dei tre film precedenti, ma ora sono serio.
Potete credermi. Mi prenderò una piccola pausa”. La pausa di
Lanthimos arriva dunque dopo che Povere creature! gli è valso le nomination agli Oscar
per il miglior film e il miglior regista, mentre Stone ha vinto il
premio come migliore attrice.
I due hanno anche realizzato
Kinds of
Kindness mentre lui completava la post-produzione di
Povere creature! (i due film hanno infatti pressoché lo
stesso cast). “Decido quale film realizzare ogni volta che una
sceneggiatura è pronta, quindi quando è pronta, e abbiamo lavorato
a qualcosa per così tanto tempo, mi sembra un peccato lasciarla lì
e aspettare”, ha spiegato. “Quindi, mi sono quasi
costretto a cercare di trovare il tempo per farlo subito dopo aver
finito qualcosa”.
Lanthimos ha continuato:
“Abbiamo girato Kinds of Kindness durante quel lunghissimo
periodo di effetti speciali su Povere creature!, quindi sentivo il
bisogno di fare qualcosa in quel periodo. Poi, Bugonia, l’avevo
letto tre anni prima e abbiamo lavorato un po’ sulla sceneggiatura
con Will [Tracy], quindi mi sembrava pronto e volevamo solo andare
avanti e realizzarlo. Quindi, trovi la volontà e la forza, ma a un
certo punto si esauriscono. Siamo a quel punto“.
In Bugonia,
ora al cinema, due teorici della cospirazione (Jesse
Plemons e Aidan Delbis) rapiscono una
potente amministratrice delegata (Stone), convinti che sia
un’aliena intenzionata a distruggere la Terra.
Da quando è tornato nel franchise
Marvel con Spider-Man:
No Way Home, si è riaccesa la speranza che il Peter Parker
interpretato da Tobey Maguire possa avere un altro film da
solista. L’attore è stato il primo a interpretare l’icona Marvel
sul grande schermo, protagonista della trilogia di Spider-Man
diretta da Sam Raimi. Tuttavia, non sono solo gli
spettatori a voler vedere Spider-Man 4 con la
coppia, ma anche i membri di Hollywood. Il co-sceneggiatore di
The
Batman e The Batman – Part II, Mattson
Tomlin, ha recentemente risposto a un utente su
X riguardo ai progressi nel suo tentativo di realizzare il
quarto capitolo.
Lo sceneggiatore ha sottolineato
che “chi va piano va sano e va lontano. Non ci sarà nulla da
dire al riguardo per molto tempo (se mai ci sarà!), perché
coinvolge molte persone, questioni politiche e cose che devono
andare per il verso giusto che non hanno nulla a che fare con
me”. Tuttavia, Tomlin ha aggiunto: “Ma non ho ancora
ricevuto un ‘no’!”. Lo sceneggiatore della serie Batman ha
sostenuto l’idea di scrivere una storia per il personaggio
interpretato da Maguire in cui questi “si destreggia tra il
ruolo di marito e quello di padre”, come ha condiviso su X il 30 luglio
2025.
Vedremo
mai Spider-Man 4 di Sam
Raimi con Tobey Maguire?
Il film Spider-Man
4, poi cancellato, era inizialmente previsto per maggio
2011, poiché Raimi e Maguire erano pronti a continuare il mondo che
era stato costruito nei primi tre film. Tuttavia, a seguito di
molteplici divergenze creative dietro le quinte, la Sony ha posto
fine al franchise e ha rilanciato la proprietà sotto la guida di
Marc Webb con The Amazing Spider-Man nel
2012, interpretato da Andrew Garfield.
Raimi ha chiarito che è disposto a
rivisitare il suo universo di Spider-Man, dopo l’enorme successo
dell’episodio del 2021 con Tom Holland, Maguire e Garfield. In
un’intervista con Moviepilot il 28 aprile 2022, ha dichiarato:
“Non pensavo fosse possibile, ma dopo essere tornato nel
multiverso ho capito che, proprio come Doctor Strange, ora tutto è
possibile. Quindi sono completamente aperto a questa
possibilità“.
Anche Maguire ha dichiarato
pubblicamente di essere disposto a vestire nuovamente i panni
dell’Uomo Ragno della Marvel, come ha espresso nel libro
Spider-Man No Way Home: The Official Movie Special,
pubblicato il 28 febbraio 2023, dove ha dichiarato: “Adoro
questi film e adoro tutte le diverse serie. Se questi ragazzi mi
chiamassero e mi dicessero: “Ti va di uscire stasera per divertirci
un po’?” o “Ti va di partecipare a questo film, leggere una scena o
fare qualcosa con Spider-Man?”, la mia risposta sarebbe “sì!”.
Perché non dovrei volerlo fare?”.
Anche Kirsten Dunst, che ha interpretato Mary-Jane
Watson nella trilogia, si è detta disponibile a tornare per un
possibile ritorno in Spider-Man 4, affermando il 3
ottobre 2025 che le piacerebbe esplorare i personaggi di lei e
Maguire come genitori. L’attrice ha dichiarato: “Penso che
sarebbe un film interessante, no? Io e Tobey che lo rifacciamo… con
dei bambini”.
Per quanto riguarda il ritorno nel
Marvel Cinematic Universe, Garfield ha dichiarato in un’intervista
a GQ il 9 ottobre 2025 che lui e Maguire non saranno in
Avengers: Doomsday. Anche se
Spider-Man 4 per il veterano non è in programma,
Sony Pictures e Marvel Studios hanno Spider-Man: Brand New
Day in arrivo il 31 luglio 2026.
L’universo DC sta già entrando nel
vivo della saga di Batman in vista del prossimo reboot della DC
Studios dedicato al Cavaliere Oscuro. Mentre James Gunn deve ancora scegliere il nuovo
Bruce Wayne per il suo reboot del supereroe nel film The
Brave and The Bold, uno dei suoi nemici più famosi farà il
suo debutto sul grande schermo nel 2026. Attualmente è infatti in
produzione il film Clayface, che darà vita a Matt Hagen in un
live-action, interpretato da Tom Rhys Harries.
Gunn ha ora utilizzato X per
celebrare l’anniversario del personaggio nei fumetti, stuzzicando
al contempo il pubblico della DCU su ciò che potrà aspettarsi dal film del
2026. Il co-CEO della DC Studios ha infatti commentato: “Buon
anniversario al cattivo perennemente incompreso, Clayface”. Ha
concluso il post aggiungendo che “non vede l’ora che voi
possiate vedere @TomRhysHarries dargli vita sul grande
schermo!”. La copertina raffigura la prima apparizione di Matt
nei fumetti, mentre l’anniversario è dedicato a Clayface nel suo
complesso.
La maggior parte delle iterazioni
di Clayface hanno tradizionalmente raffigurato il famoso nemico
come un pericoloso mutaforma, dato che il personaggio è apparso in
diversi progetti animati DC. Tuttavia, alcune delle
rappresentazioni più famose hanno affrontato il cattivo di Batman
come una figura tragica, un attore che viene sfigurato e usa metodi
estremi per cercare di salvare la sua carriera, il che lo trasforma
nell’antagonista di Gotham. Dalle parole di Gunn, potrebbe essere
proprio quest’ultima la direzione presa dal film in
lavorazione.
Al momento sono stati rivelati
pochi dettagli sulla trama, ma abbiamo appreso che Matt Hagen sarà
al centro dell’attenzione. Nei fumetti, era il secondo
Clayface, un avventuriero che si è trasformato in
un mostro dopo aver incontrato una pozza radioattiva di
protoplasma. Questo è cambiato in Batman: The Animated
Series, dove è stato ritratto come un attore che usava una
crema anti-età per sembrare più giovane. Dopo essersi scontrato con
il suo creatore, Roland Daggett, Hagen viene immerso in una vasca
di quella sostanza e diventa il “classico” Clayface che tutti
conoscete dai fumetti.
Stando ad alcuni rumor emersi
online, la storia di Clayface sarà incentrata su
un attore in ascesa il cui volto è sfigurato da un gangster. Come
ultima risorsa, il divo si rivolge a uno scienziato eccentrico per
poter ottenere nuovamente il suo fascino. All’inizio l’esperimento
ha successo, ma le cose prenderanno presto una piega
inaspettata.
Poiché Clayface
sarà ambientato nell’universo DC, i fan dovrebbero aspettarsi molti
collegamenti con l’universo più ampio, e saremmo molto sorpresi se
Batman apparisse o fosse anche solo menzionato. Il produttore
Peter Safran ha condiviso alcuni nuovi dettagli
sulla sceneggiatura di Flanagan, sottolineando che il film sarà
effettivamente un film horror in piena regola, sulla scia di La
mosca di David Cronenberg, ma si dice
trarrà anche ispirazione dal successo horror di Coralie
Fargeat, The
Substance.
“Clayface, vedete, è una storia
horror hollywoodiana, secondo le nostre fonti, che utilizza
l’incarnazione più popolare del cattivo: un attore di film di serie
B che si inietta una sostanza per rimanere rilevante, solo per
scoprire che può rimodellare il proprio viso e la propria forma,
diventando un pezzo di argilla ambulante”, ha dichiarato
Safran.
Tom Rhys Harries interpreterà il personaggio
principale di Clayface,
il film dei DC Studios. Il film vedrà anche la partecipazione di
Max Minghella nel ruolo di John, un detective di
Gotham City che inizia a nutrire sospetti sulla relazione tra la
sua fidanzata Caitlin e Matt Hagen. Naomi Ackie
interpreta invece proprio Caitlin Bates, amministratrice delegata
di un’azienda biotecnologica che cura Matt dopo che questi è stato
sfigurato.
Il film è basato su una storia di
Mike Flanagan, attore di La caduta della casa
degli Usher (l’ultima bozza è stata firmata da Hossein
Amini, sceneggiatore di Drive), con James
Watkins, regista di
Speak No Evil, alla regia.
Clayface è attualmente previsto per l’arrivo
nelle sale l’11 settembre 2026.
Presentato come film di
chiusura nella sezione Panorama di Alice nella Città, Una Famiglia
Sottosopra segna il ritorno alla regia di Alessandro
Genovesi, autore che conosce bene i meccanismi della commedia
italiana contemporanea. Prodotto da Sonia Rovai per
Wildside (società del gruppo Fremantle) in coproduzione con
Sony Pictures International Productions, e distribuito da
Eagle Pictures, il film arriverà nelle sale italiane il 6
novembre 2025.
Con un cast che riunisce
Luca Argentero, Valentina Lodovini, Licia Maglietta, Chiara
Pasquali, Carlo Alberto Matterazzo e Martina
Bernocchi, Una Famiglia Sottosopra sceglie di affrontare
il tema – ormai classico – dello scambio di corpi, ma lo fa con un
tono leggero, ritmato e con una coralità che riesce a dare nuova
linfa a un meccanismo narrativo già conosciuto.
Un risveglio che
cambia tutto
Valentina Lodovini, Licia Maglietta,
Chiara Pasquali, Luca Argentero, Martina Bernocchi e Carlo
Alberto Matterazzo @ANDREA PIRRELLO
La storia ruota attorno
ad Alessandro Moretti (Luca Argentero), un uomo deluso dalla
vita: non lavora da anni, il rapporto con la moglie
Margherita (Valentina Lodovini) è sempre più distante, e i
suoi tre figli sono fonte costante di frustrazione. Dopo aver
trascorso una giornata al parco divertimenti di Gardaland
per festeggiare il compleanno della figlia più piccola, la famiglia
– suocera compresa – decide di passare la notte in uno degli hotel
del parco.
Al mattino seguente,
però, accade l’impossibile: ognuno si risveglia nel corpo di un
altro. Da quel momento, la routine quotidiana si trasforma in
un vortice di situazioni assurde e spassose, dove i ruoli si
ribaltano e la famiglia deve imparare, letteralmente, a mettersi
nei panni dell’altro.
L’idea, pur non
innovativa, funziona perché Genovesi e Giulio Carrieri
(co-autore della sceneggiatura) costruiscono una coralità vivace:
più personaggi coinvolti significano più intrecci, più
fraintendimenti e, soprattutto, un potenziale comico che viene
sfruttato in modo intelligente.
Tra leggerezza e
riflessione: un equilibrio riuscito
Una Famiglia
Sottosopra non si limita alla gag o alla comicità slapstick. Il
film trova il suo ritmo nel contrasto tra il caos delle situazioni
e la necessità, per ciascun personaggio, di confrontarsi con le
fragilità altrui. Nel corpo di qualcun altro, ogni membro della
famiglia scopre quanto sia difficile – ma anche necessario –
comprendere i bisogni e le fatiche degli altri.
Luca Argentero dà
solidità al suo Alessandro, sospeso tra rabbia e redenzione, mentre
Valentina Lodovini riesce a infondere al personaggio di Margherita
una tenerezza misurata e mai stucchevole. Licia Maglietta, nei
panni della suocera, aggiunge una nota di ironia più matura che
bilancia bene il tono generale. I giovani interpreti, Carlo Alberto
Matterazzo e Martina Bernocchi, completano un quadro familiare
credibile e ben diretto. Ma su tutti spicca Chiara Pasquali, per
motivi chiarissimi, una volta visto il film, la sua è una
interpretazione difficile eppure spassosa e matura, forse il vero
cuore del film.
Girato tra Gardaland
e Roma, il film sfrutta la cornice colorata del parco come
simbolo di un caos controllato, dove la famiglia – costretta a
vivere un’avventura fuori dall’ordinario – ritrova, quasi per caso,
la propria unità.
Un progetto troppo
semplice, sicuramente sincero
Licia Maglietta, Valentina Lodovini, Carlo Alberto Matterazzo,
Martina Bernocchi e Chiara Pasquali @ANDREA PIRRELLO
Nonostante la buona
energia del cast e la regia vivace di Genovesi, Una Famiglia
Sottosopra resta, nel complesso, una commedia piuttosto
prevedibile. Le dinamiche dello scambio di persona seguono
schemi collaudati: l’imbarazzo iniziale, il crescendo di equivoci,
il momento di crisi e la riconciliazione finale. Tuttavia, ciò che
poteva trasformarsi in una serie di cliché ripetitivi viene gestito
con misura e un tocco di leggerezza che impedisce al film di
appesantirsi.
Genovesi non pretende di
rivoluzionare il genere: preferisce raccontare una storia familiare
con ritmo, ironia e un pizzico di malinconia. È proprio nel
finale, sorprendentemente sobrio e coerente, che il film
trova la sua verità emotiva. Senza grandi colpi di scena, ma con un
sorriso sincero, riesce a restituire un messaggio universale e
semplice: per capire davvero chi ci sta accanto, a volte serve solo
cambiare prospettiva.
Il regista Justin
Wu insieme a Siena Agudong e al tiktoker
ora attore Noah Beck hanno presentato a Roma, in
occasione della
XXIII edizione di Alice nella CittàThe Bad Boy and Me. Ecco la nostra intervista.
The Bad Boy and Me è già un successo
internazionale
Tratto dal
romanzo più letto di sempre su Wattpad. Dallas Bryan è una
cheerleader determinata, con l’obiettivo di ottenere una borsa di
studio di danza al CalArts. Drayton Lahey è il quarterback ribelle,
proveniente da una famiglia leggendaria nel football, ed è tutto
ciò che Dallas non dovrebbe volere; almeno, questo è quello che lei
continua a ripetersi. Ma quando Dallas e Dray si trovano vicini, le
scintille scattano in ogni direzione. Più lei cerca di convincersi
di non aver bisogno di lui, più capisce che forse è arrivato il
momento di smettere di pensare a ciò di cui ha bisogno e andare
incontro a ciò che desidera davvero. Questa divertente e giovanile
storia d’amore ha superato i 31 milioni di letture sulla
piattaforma ed è il secondo libro cartaceo più venduto di Wattpad
Books.
Il film Panama di
Mark Neveldine si apre con una voce fuori campo eroica che afferma
che “non c’è niente di più rock and roll che eliminare i cattivi
per il bene della patria”. Questo chiarisce il tono dei novanta
minuti successivi, in cui il film presenta due marines statunitensi
a Panama che cercano di stringere un accordo segreto e rovesciare
il governo del Paese. Tuttavia, non è questa narrazione
spudoratamente parziale e unilaterale a rovinare il film, ma
piuttosto il modo in cui è raccontata. Il film vede Cole
Hauser e
Mel Gibson nei ruoli principali. La sceneggiatura poco
brillante, la fotografia costantemente frenetica e una trama
terribilmente superficiale e prevedibile lo rendono piuttosto
sgradevole da guardare.
Cosa succede in
Panama
Nel 1989, James Becker era un ex
marine che viveva in condizioni di totale miseria, anche un anno
dopo la tragica morte di sua moglie. Incolpandosi per la sua
scomparsa, avvenuta probabilmente mentre lui era lontano da casa,
Becker continua a bere, trascorrendo le sue giornate per lo più
svenuto vicino alla tomba della moglie nel giardino di casa. Una
mattina, mentre si trova in questo stato, viene avvicinato da un
membro dei marines e da un appaltatore della difesa, Stark, che
sembra aver lavorato in precedenza con Becker. Stark gli dice che
ha bisogno di lui per una missione speciale e segreta e, sebbene
Becker inizialmente non sia d’accordo, viene presto convinto.
Quando arriva alla base governativa
nel giorno previsto, Stark lo sta già aspettando insieme a un altro
agente, Burns. Quest’altro agente è inizialmente molto scettico nei
confronti di Becker, soprattutto per la sua mancanza di disciplina
e la sua natura arrogante, che potrebbero indurlo a ribellarsi
durante la missione. Una volta fatte le presentazioni, i due
informano Becker della missione, che consiste nel portare a termine
con successo un accordo per la vendita di armi.
In quel periodo la CIA stava
cercando attivamente di aiutare le forze ribelli in Nicaragua per
rovesciare il governo e creare un soft power, e Panama era una
posizione geografica importante per questo scopo. Tuttavia, il
coinvolgimento diretto della CIA nel governo di altri paesi fu
presto ritenuto illegale, e così iniziarono a cercare modi
indiretti e indiretti per fare lo stesso. Inoltre, gli Stati Uniti
stavano diventando sempre più diffidenti nei confronti del
dittatore Manuel Noriega, che all’epoca era il leader de facto di
Panama, e stavano cercando di pensare a modi per eliminarlo.
In questo scenario politico,
Noriega offrì di vendere un elicottero russo in cambio di dieci
milioni di dollari da trasferire sul suo conto bancario svizzero.
D’altra parte, le forze ribelli sostenute dagli Stati Uniti,
chiamate Contras, cercavano di procurarsi un elicottero russo per
portare a termine la loro missione di assassinare Noriega. Gli
Stati Uniti accettarono di acquistare l’elicottero da Noriega e di
darlo ai Contras, in modo da poter avere entrambe le cose. Becker
sarebbe stato inviato a Panama come consulente per la gestione dei
casinò nel Paese, il che gli avrebbe permesso di stabilirsi lì per
un certo periodo e portare a termine l’affare dell’acquisto
dell’elicottero da Noriega.
Fino a che punto si spinge
Becker con l’affare?
Una volta arrivato a Panama, Becker
incontra il mediatore dell’affare, Enrique Rodriguez.
Enrique è un uomo che ha studiato
ad Harvard e ha contatti da entrambe le parti: il colonnello Marcos
Justines, il capo dell’esercito, che detiene il vero potere
autoritario a Panama, è il suo padrino, mentre suo zio, Billy Ford,
è un politico che si oppone a Noriega nelle elezioni.
Enrique vive una vita movimentata,
piena di champagne e alcol, con una grave dipendenza dalla cocaina
e un gruppo di donne che lo accompagnano, ognuna delle quali
presenta come sua fidanzata. Mentre Becker cerca di parlargli
dell’accordo sugli elicotteri, per il quale la CIA ha già versato
un anticipo di un milione di dollari a Enrique, l’uomo cerca di
temporeggiare, chiedendo a Becker di ambientarsi prima nel Paese e
nel suo lavoro al Casinò Nazionale.
Una volta arrivato al casinò, viene
avvicinato da un uomo di nome Brooklyn Rivera, che è venuto per
portarlo a incontrare il leader dei Contras, Steadman Muller.
Volano a Miami, dove Becker e Muller si siedono per concludere un
accordo per scambiare apparecchiature di comunicazione sovietiche
con un elicottero sovietico. Il giorno dopo, si recano al campo
profughi dei Contras in Honduras, dove Becker viene a conoscenza
delle atrocità e delle violenze che la popolazione comune subisce
dal governo della giunta sandinista del Nicaragua.
Accompagnati da un piccolo esercito
ribelle, si addentrano nella foresta e uccidono tutti i membri di
un campo della milizia governativa nemica. Dopo aver trascorso il
fine settimana in questo modo, Becker torna a Panama, dove incontra
l’agente della DEA Cynthia Benitez, che gli promette di aiutarlo in
situazioni difficili se lui sarà in grado di aiutare la CIA e la
DEA nel suo Paese. Nel frattempo, Enrique incontra Justines e
promette di spillare più soldi ai gringos americani, che poi
terranno come profitto personale. Enrique visita il casinò di
Becker per cercare di avvicinarsi a lui e anche per dare soldi al
proprietario del casinò, Cordoza. Quella notte, Becker incontra
Camila, una giovane donna da cui è immediatamente attratto, e
nonostante gli avvertimenti di Enrique sul fatto che lei sia
collegata a persone pericolose, vuole avvicinarsi a lei. I due
trascorrono una notte sensuale insieme e sembrano piacersi al di là
della semplice fisicità.
La mattina dopo, Enrique porta
Becker in una zona della giungla per una gara di motocross; la
scommessa di Enrique è che se Becker vince, allora concluderanno
l’affare per l’elicottero, ma se perde, allora cercherà di venderlo
a qualcun altro. Enrique ovviamente vince, poiché tutto questo
faceva parte dei suoi piani preconcetti per cercare di ottenere più
soldi, e anche se Becker all’inizio non prende sul serio la
scommessa, viene presto informato che il broker sta per vendere
l’elicottero a un altro acquirente. È comprensibilmente furioso per
la situazione e riesce a riprendersi il milione di dollari pagato
come anticipo, che il broker aveva nascosto all’interno di un
altoparlante musicale.
Nelle settimane successive, la
situazione a Panama peggiora con la crescente possibilità di
un’invasione americana. Justines ordina a Enrique di recuperare il
milione di dollari da Becker con le buone o con le cattive, e
assume un gruppo di assassini per eliminare tutti coloro che sono
stati in stretto contatto con Becker. Nel frattempo, Becker si era
avvicinato a Camila, e i due ora si abbandonano spesso a
appassionati rapporti sessuali. Una notte, nella residenza di
Camila, lei lascia sospettosamente la stanza, fingendo di preparare
un drink. Becker si veste rapidamente quando sente sussurri e passi
fuori dalla stanza e riesce a uccidere i sicari assoldati.
Chiamando Cynthia, Becker si rende
conto che Camila potrebbe essere parte dell’intero piano e si reca
immediatamente nella sua altra casa. Ma una volta lì, scopre che
Camila è stata costretta a farlo e i due tornano insieme. Scopre
anche che è stato Enrique a organizzare l’omicidio e presto gli fa
visita. Il broker è costretto a rivelare la verità, ovvero che è
stato Justines a ordinargli di farlo. Tornato a casa, Becker trova
Camila uccisa da due uomini, ma riesce a ucciderli e a vendicare la
sua morte.
D’altra parte, Justines viene a
sapere che Enrique ha spifferato tutto a Becker e lo avvelena a
morte per aver cercato di tradirlo. Alla fine, Becker va a uccidere
Justines per porre fine a tutto, ma riceve un enorme shock quando
viene rivelato che anche l’agente Burns è collegato ai piani di
Justines per recuperare il denaro e che anche lui vuole eliminare
Becker.
Spiegazione del finale di
Panama: cosa è successo a Becker e alla situazione a
Panama?
Burns era quello che teneva i
contatti con Justines per conto della CIA e, nel frattempo, aveva
sviluppato un rapporto personale con Justines ed era ora avido di
denaro e potere. Prende in ostaggio la cognata di Becker, Tatyana,
con cui aveva mantenuto stretti contatti dopo la morte di sua
moglie. Becker contatta Stark e i due uomini effettuano uno scambio
con Justines e Burns, in cui Tatyana viene scambiata con una
valigetta piena di soldi. Ora che la donna è fuori pericolo, Becker
torna a casa di Burns a Panama per riprendersi i soldi. Segue
l’ordine del suo superiore di non fare del male a Burns e lo lascia
andare quando Burns improvvisamente estrae la pistola per cercare
di sparargli. Becker lo abbatte rapidamente con un colpo al petto.
Non danno la caccia a Justines, lasciando che sia la DEA a regolare
i conti, e invece consegnano l’elicottero a un Muller
esultante.
In una narrazione fuori campo,
Stark spiega che il leader ribelle non ha ucciso Noriega con
l’elicottero, ma ha invece scelto di salvare 200 famiglie dai guai.
Mentre Becker si gode una vacanza da solo, la stessa voce fuori
campo ci racconta della cattura definitiva di Noriega per mano
dell’esercito statunitense, che a quel punto aveva invaso
Panama.
Il film, ovviamente, ha ben poco a
che vedere con la storia reale di quel periodo e di quel luogo,
essendo veritieri solo l’ambientazione e lo sfondo. Neveldine si
propone di raccontare una storia a favore della discutibile pratica
americana di interferire nei paesi poveri e devastati dalla guerra,
cosa che ha fatto categoricamente durante la seconda metà del
secolo scorso.
Intorno agli anni ’80, gli Stati
Uniti avevano gli occhi puntati sulla demolizione del governo
marxista della giunta sandinista del Nicaragua, sostenuto
direttamente da Manuel Noriega, egli stesso comunista. Il governo
statunitense, guidato dall’icona della destra Ronald Reagan,
dovette intervenire e vide l’opportunità di portare a termine
entrambi i compiti con i Contras, le forze ribelli dell’America
Latina pagate per fare il lavoro sporco dello Zio Sam. È
storicamente provato che i Contras abbiano commesso atrocità su
larga scala durante questo periodo, con il forte sostegno e
appoggio del governo statunitense, ma il film non ne fa alcuna
menzione. Al contrario, dipinge i Contras in una luce comprensiva
mentre Becker visita il loro campo profughi e incontra innocenti
abitanti del villaggio che sono stati perseguitati dal governo
della giunta.
Come sempre durante qualsiasi
conflitto politico, ci sono atrocità e vittime da entrambe le
parti, ma questo viene ignorato ciecamente in “Panama”. Tuttavia,
il film è al suo peggio quando si tratta del modo in cui presenta
questa narrazione. Le scene del ribelle Muller che spara con la sua
pistola nel profondo della giungla, come se stesse strimpellando
gli accordi di una chitarra mentre suona musica rock ad alto
volume, non creano alcun eroismo, ma sembrano piuttosto
ridicolmente buffe. Nessuno dei personaggi ha alcuna profondità e
nemmeno le brevi apparizioni di Mel
Gibson all’inizio e alla fine del film riescono a salvarlo. La
telecamera continua a spostarsi e a muoversi, con pochissime soste
o pause, il che rende il film a volte visivamente fastidioso. Nel
complesso, “Panama” è un pasticcio che cerca di salvarsi ma che
ogni volta crea un pasticcio ancora più grande, e il film è meglio
evitarlo.
Presentato alla Festa del
Cinema di Roma 2025, If I Had Legs I’d Kick
You è il nuovo film di Mary
Bronstein con protagonista una intensa
Rose Byrne. Le abbiamo incontrate entrambe, ecco
quello che ci hanno raccontato sul film.
Leggi la nostra recensione di If I Had Legs I’d Kick
You
Il film vede protagonista una
straordinaria Rose Byrne, miglior attrice allo
scorso festival di Berlino: l’interprete ci
regala la performance più convincente della sua carriera nei panni
di Linda, madre lavoratrice sull’orlo di un esaurimento nervoso.
Stretta tra la misteriosa malattia della figlia, un marito lontano,
pazienti ingestibili e una voragine che si apre nel soffitto di
casa, la sua vita si sgretola in modo caotico e spesso
grottescamente comico. Una tragicommedia audace e senza filtri che
racconta con lucidità il peso soffocante della genitorialità
solitaria.
Illusione racconta la storia di Rosa (Angelina
Andrei), una ragazza rumena di quindici anni che vive in
un piccolo paese vicino a Bucarest e sogna di diventare modella. La
sua è la speranza ingenua di chi crede che la bellezza possa essere
un passaporto verso un futuro migliore, un modo per emanciparsi da
una realtà povera e senza prospettive. Insieme al cugino Sorin,
lascia la Romania e parte per Strasburgo, dove Sorin è convinto di
poterle trovare dei contatti. Ma il viaggio, che dovrebbe
rappresentare una rinascita, si trasforma ben presto in una
trappola. Rosa non entra nel mondo della moda, bensì in quello
della prostituzione, in una rete di sfruttamento gestita da
organizzazioni criminali che si muovono tra i confini dell’Europa
orientale e occidentale.
Francesca Archibugi filma la discesa di Rosa con una regia
attenta e priva di retorica, mescolando suspense e malinconia,
tensione e pietà. Non c’è spettacolarizzazione del dolore, ma uno
sguardo lucido, che si ferma sulle pieghe più intime della paura e
dello smarrimento. È attraverso gli occhi della giovane
protagonista che lo spettatore scopre l’altra faccia dell’Europa:
quella delle strade secondarie, dei corpi mercificati, dei sogni
che diventano merce di scambio. L’“illusione” del titolo diventa
così una metafora potente – quella di un intero continente che
promette libertà ma offre, troppo spesso, solo solitudini e
ingiustizie.
Crediti Jarno Iotti
Illusione: dalla cronaca al
grande schermo
La genesi del film affonda le
radici in un episodio realmente accaduto. Anni fa, Francesca
Archibugi ha letto un trafiletto sul Corriere dell’Umbria:
si parlava del ritrovamento di una ragazza molto giovane, riversa
in un fosso vicino a una superstrada, creduta morta ma poi soccorsa
in extremis. Di quella vicenda non si seppe più nulla, e proprio
quel silenzio, quella rapida dimenticanza, spinsero la regista a
immaginare la storia di Rosa Lazar.
Da quell’immagine prende forma
Illusione, un film che si muove tra denuncia e
introspezione, tra realtà e costruzione narrativa. Archibugi non
punta il dito contro un singolo colpevole, ma mostra un sistema di
poteri e omissioni che rende possibile la violenza. Come spesso
accade nel suo cinema, la sceneggiatrice – e regista – parte dal
particolare per arrivare all’universale, interrogandosi su cosa
significhi essere responsabili, complici o semplicemente
indifferenti. E, se Il
colibrì (tratto dal celebre romanzo di Sandro
Veronesi) indagava la resilienza dell’individuo,
Illusione scava invece nella fragilità collettiva, nella
cecità morale di una società che accetta il male come
inevitabile.
Crediti Jarno Iotti
Figure di potere e
fragilità
Attorno a Rosa si intrecciano le
storie di personaggi che incarnano diverse forme di potere e
vulnerabilità. Troviamo il pubblico ministero, Cristina
Camponeschi, interpretata da
Jasmine Trinca, donna dal carattere chiuso, solitaria, quasi
ostile, che affronta il caso con freddezza apparente ma dentro di
sé porta il peso di trovare al più presto la verità. C’è, poi,
Stefano Mangiaboschi (Michele
Riondino), lo psicologo incaricato di valutare lo stato mentale
della ragazza: figura complessa, segnata da un passato violento che
riemerge quando meno ci si aspetta, rendendo labile il confine tra
chi cura e chi ferisce. Da ricordare anche il commissario locale
(Filippo
Timi), un uomo che conosce tutti, sempre pronto a commentare e
incapace talvolta di agire nel modo giusto perché vittima della
propria soggettività. Accanto a loro, la moglie di Stefano
Mangiaboschi (Vittoria
Puccini), che si rende conto della difficoltà della situazione
e cerca di proteggere il marito.
Rosa, al centro di questo mondo di
adulti corrotti o impotenti, diventa specchio e vittima. La sua
ingenuità iniziale lascia spazio a una consapevolezza dolorosa, e
il suo percorso – dalla Romania alla Francia, fino a un fosso nei
dintorni di Perugia – è un viaggio nell’Europa dei margini, quella
che preferisce non essere guardata. Archibugi costruisce intorno a
lei un tessuto narrativo denso, in cui ogni incontro diventa un
frammento del puzzle sociale che intrappola i più deboli.
Crediti Jarno Iotti
Illusione: un dramma
morale
Nel suo complesso, Illusione
è un film che non si limita a raccontare un caso di cronaca, ma
interroga le nostre responsabilità come spettatori e cittadini. La
regista dosa i toni con eleganza, alternando momenti di forte
tensione a silenzi sospesi, dove lo sguardo di Rosa – perduto,
incredulo, a volte risoluto – dice più di mille parole.
Illusione, pur
appartenendo al genere drammatico, adotta con naturalezza i codici
del thriller, intrecciando tensione e introspezione. Ne risulta un
racconto che, al di là del mistero e dell’indagine, si trasforma in
un dramma morale, dove l’azione lascia spazio alla riflessione e la
suspense diventa coscienza. Il risultato è una pellicola in cui la
violenza non è solo fisica ma soprattutto sistemica, inscritta
nella disattenzione collettiva. Un film che fa male perché descrive
le sofferenze di tante, troppe donne, e che riporta al centro la
dignità di chi non ha voce e chiede, almeno, di essere visto.
Le relazioni familiari possono
essere non sempre troppo semplici: in un confronto generazionale e
talvolta culturale si vengono a sviluppare collisioni e conflitti.
Questo è un po’ il punto di partenza proprio di Gioia
Mia: il film, diretto da Margherita
Spampinato, presenta il rapporto che si crea tra Gela, una
burbera anziana signora dal cuore tenero, e Nico, un ragazzino di
undici anni che sta vivendo il suo primo periodo di transizione
verso l’adolescenza e l’età adulta. La pellicola è stata presentata
al
Locarno Film Festival e qui ha ottenuto il premio speciale
dalla giuria CINE’+ e il pardo come miglior performance per
Aurora
Quattrocchi (La stranezza,
I cento passi). Nel cast ritroviamo proprio quest’ultima nei
panni di Gela, mentre Nico è interpretato da Marco
Fiore.
Gioia mia: un’estate di fuoco
Nico ha vissuto la sua infanzia
cullato nelle braccia di Violetta, la sua babysitter, con cui ha
stretto un forte legame. All’inizio dell’estate però la ragazza,
ormai in procinto di sposarsi, lascia il proprio lavoro per dare
inizio alla sua nuova vita lontano, a Parigi; Nico viene spedito da
Gela in Sicilia per passare un mese d’estate.
Qui il bambino si troverà a vivere
in una realtà molto diversa dalla sua e ciò viene mostrato al
pubblico fin dalle prime scene. In una casa piena di immagini
sacre, senza Wi-fi, Nico si ritroverà a condividere le sue giornate
con Gela e le altre signore del quartiere, scoprendo un mondo fatto
di superstizioni, spiriti e talvolta pregiudizi.
Questo mese sembra essere per Nico
un momento cruciale nella crescita: qui il bambino riesce a
crescere, a imparare a pensare a qualcuno diverso da sé stesso,
oltre che ad essere più indipendente. Qui stringerà un forte legame
con Gela, scoprendo però parallelamente nuovi sentimenti ed
emozioni. Dall’altro lato anche l’anziana signora finirà nel vedere
nel ragazzino una persona vicina, di cui fidarsi e a cui
abbandonarsi nei momenti di tristezza e dolore.
Gioia mia: un mondo fuori dal
tempo
Dall’istante in cui Nico entra a
casa di Gela in Gioia mia una cosa sembra essere
subito chiara: questo è un posto dove il tempo si è fermato. Questo
emerge dall’ arredamento, dalla carta da parati e dalle tante
immagini sacre, ma è qualcosa che va oltre il mero gusto antiquato:
Gela ha un tale attaccamento alle proprie cose perché tende a
vivere nel passato, nella nostalgia dei ricordi. E sono proprio i
ricordi di un passato felice che la tormentano: anche la cartomante
finisce per fare riferimento a un segreto che deve essere rivelato.
Alla fine, sarà proprio Gela a rivelare il segreto del suo amore
giovanile proprio a Nico.
La sensazione di trovarsi
in un luogo senza tempo si denota in tutto il quartiere: mentre
Nico è abituato a giocare con il proprio telefono, gli altri
bambini giocano a mosca ceca, a palla e a nascondino. Qui vive
ancora molto forte una cultura di tradizioni e superstizioni: i
rumori sinistri che vengono attribuiti a spiriti maligni che
infestano il palazzo, la cartomante che legge il futuro a Gela. A
queste sole credenze si accosta anche un clima generalmente
bigotto, in cui tutti tendono a sparlare, a curtigghiare,
degli altri; ed è proprio per questo che Gela sembra essere così
schiva e riservata, la gente tende a parlare da sempre troppo alle
sue spalle.
Nico: una parabola di
crescita
Uno degli elementi che maggiormente
è esaltato in Gioia mia è proprio il percorso di
crescita che caratterizza il personaggio di Nico. Nel momento in
cui atterra in Sicilia, il bambino si presenta come capriccioso,
troppo egoista da poter pensare a qualcuno diverso da sé stesso;
essendo vissuto sempre sotto l’ala di una fin troppo presente
babysitter, prova una forma di rabbia contro questa per averlo
abbandonato.
Col passare dei giorni e delle
settimane, Nico inizia a maturare: si crea un forte rapporto con
Gela, la quale sembra essere la prima persona di cui il bambino
realmente si interessa e di cui si prende cura nei momenti più
duri.
Durante tutto il film, gli stessi
genitori di Nico sono completamente assenti, e questo si deduce
anche dal fatto che il bambino vede come una figura quasi materna
Violetta piuttosto che la madre naturale.
In un solo mese d’estate si
racchiudono anche altre prime nuove esperienze di vita per Nico: un
primo piccolo amore. Qui, infatti, il ragazzino stringe un forte
legame con Rosa, un’altra bambina del palazzo.
Gioia mia è un
ottimo intreccio di dramma familiare e di romanzo
preadolescenziale, permettendo al pubblico di entrare in una realtà
folcloristica, toccando con mano la cultura siciliana più
antiquata.
Con Once Upon a Time in
Gaza, i fratelli Tarzan e Arab Nasser firmano
uno dei film più discussi e intensi della sezione Best of 2025 alla Festa del Cinema di Roma. Dopo
Dégradé e Gaza Mon Amour, i due registi tornano nella
loro terra per raccontare una storia che mescola tragedia e
allegoria, realtà e invenzione. Ambientato nel 2007, quando le mura
di Gaza erano quasi completate e l’isolamento della Striscia
diveniva definitivo, il film mette in scena un’umanità sospesa,
compressa tra i resti della speranza e la brutalità quotidiana. È
una parabola sull’occupazione, sulla perdita dell’identità, ma
anche sull’ironia e la resistenza che ancora abitano chi non ha più
nulla da perdere.
2007: mura, divieti e storie
soffocate
La vicenda inizia con Yahya
(Nader Abd Alhay), giovane studente universitario
che sogna di andare in Cisgiordania, a un’ora di distanza, per
riabbracciare la famiglia. Ma i visti vengono negati, i checkpoint
si moltiplicano, e Gaza si chiude su se stessa. L’incontro con
Osama (Majd Eid), tassista dal passato ambiguo,
segna l’inizio di una nuova direzione: un’amicizia nata per caso e
destinata a trasformarsi in un legame di dipendenza e
sopravvivenza. Quando Yahya inizia a lavorare nel piccolo
ristorante di falafel di Osama, il film si apre a un microcosmo
umano dove l’occupazione si percepisce nei dettagli: il rumore
lontano delle esplosioni, i giornali che avvolgono i panini
riportando titoli di guerra, la povertà che diventa linguaggio
comune. La Striscia è un luogo chiuso ma in costante movimento, un
teatro in cui le vite si consumano a vista.
Falafel, contrabbando e
ribellione in Once Upon a Time in Gaza
In questo spazio sospeso, il
ristorante diventa un crocevia di incontri e segreti. Osama e Yahya
trovano un modo per guadagnare qualcosa contrabbandando piccole
dosi di droga nei falafel. Ma il loro misfatto non passa
inosservato: Abou Sami (Ramzi Maqdisi), ufficiale
della polizia di Gaza, inizia a tenerli d’occhio, e il clima si fa
sempre più teso. È un momento in cui i “cattivi” non sono solo
oltre il muro, ma anche dentro la Striscia – dove la corruzione e
la violenza interna diventano una seconda forma di oppressione. I
Nasser raccontano tutto questo con una scrittura cinematografica
precisa, composta da un equilibrio continuo tra realismo e parabola
politica.
Crediti della Festa del Cinema di Roma
Il film nel film: quando Gaza
diventa Hollywood
Uno dei momenti più sorprendenti è
la nascita del primo “action movie” mai prodotto a Gaza. Yahya
viene scelto come protagonista per la sua somiglianza con il
personaggio centrale della sceneggiatura, mentre altri palestinesi
si ritrovano a interpretare gli israeliani, con un’ostinazione
simbolica: nessuno vuole gettare a terra la bandiera palestinese,
nemmeno durante le riprese. Le armi sono vere, il budget limitato,
ma la forza del gesto è immensa: Gaza diviene “Gazawood”. L’arte
diventa un modo per affermare la propria esistenza, anche in mezzo
alla distruzione. È un film che parla di altri film, di identità
recitate e di verità cercate attraverso la finzione: una
riflessione profonda su cosa significhi raccontarsi da un luogo
dove il racconto è, da sempre, un atto di resistenza.
Crediti della Festa del Cinema di Roma
Once Upon a Time in Gaza: dalle
rovine alla dignità della speranza
Con uno sguardo sempre poetico ma
mai indulgente, i Nasser riescono a comporre un mosaico complesso,
dove ogni personaggio porta in sé una contraddizione. Once Upon
a Time in Gaza non si limita a denunciare: osserva, respira, e
fa spazio a un’umanità che resiste anche nelle sue zone d’ombra. Le
esplosioni in lontananza, le serate passate tra amici, l’ombra che
filtra tra i muri scrostati – tutto contribuisce a costruire una
Gaza che vive e sanguina allo stesso tempo. Once Upon a
Time in Gaza è un film che si contrappone a chi tende a
ridurre la Storia a cifra o statistica, e che lascia un’impressione
profonda per la sua capacità di raccontare la complessità senza
semplificazioni.
Anson Boon, Jasmine Trinca e tutti gli altri
vincitori della Festa del Cinema di Roma 2025
hanno sfilato con i loro trofei sul tappeto rosso della cavea
dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, insieme al cast
di Illusione, il film di Francesca
Archibugi che ha chiuso la mainfestazione.
Il
mese di novembre si annuncia ricco di uscite imperdibili su
Netflix, tra grandi film d’autore, serie
italiane attesissime e produzioni per famiglie che promettono di
conquistare il pubblico di ogni età. La piattaforma di streaming
conferma così la propria vocazione a raccontare il presente
attraverso generi diversi – dal dramma alla commedia, dal biopic
all’animazione – portando sullo schermo storie potenti e
profondamente umane.
Frankenstein: il film
evento di Guillermo del Toro arriva il 7 novembre
Dopo l’anteprima mondiale all’82ª Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia,
arriva finalmente su Netflix Frankenstein,
il nuovo film di Guillermo del Toro. Il regista premio Oscar torna a
confrontarsi con uno dei miti fondativi della letteratura gotica,
rielaborando il romanzo di Mary Shelley con la sua inconfondibile
cifra visiva e poetica.
Ambientato in un’Europa cupa e decadente, il film esplora il
rapporto tra il creatore e la sua creatura con un linguaggio
moderno e un impianto emotivo profondo, in bilico tra horror e
dramma esistenziale. Un racconto universale sulla solitudine, la
diversità e la sete di conoscenza, sostenuto da un cast d’eccezione
e da un impianto visivo che, come da tradizione del Toro, fonde
artigianato e visione autoriale. Frankenstein sarà disponibile dal 7 novembre in esclusiva su
Netflix.
Mrs Playmen: Carolina
Crescentini è Adelina Tattilo nella serie evento italiana
Presentata in anteprima alla 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma,
la serie italiana Mrs Playmen
debutta su Netflix il 12
novembre. Prodotta da Aurora TV, la serie racconta la
storia vera e straordinaria di Adelina Tattilo, fondatrice della prima rivista
erotica italiana e figura rivoluzionaria nella Roma degli anni
’70.
Diretta da Riccardo
Donna e interpretata da Carolina
Crescentini, Giuseppe Maggio, Filippo Nigro e Francesca Colucci, la serie è un ritratto
di una donna anticonformista, cattolica e al tempo stesso
provocatoria, capace di sfidare il moralismo dell’epoca e di
affermarsi come simbolo di emancipazione femminile. Tra battaglie
editoriali, scandali e libertà negate, Mrs Playmen unisce il fascino della
ricostruzione storica a una riflessione attuale sul potere delle
immagini e sul ruolo delle donne nel mondo della comunicazione.
In Your Dreams:
l’animazione Netflix presentata a Venezia
Novembre segna anche l’arrivo di un nuovo gioiello dell’animazione:
In Your Dreams,
film originale Netflix in
uscita il 14 novembre. Presentato fuori concorso a
Venezia, il film trasporta gli spettatori in un universo
immaginifico dove il confine tra realtà e sogno si dissolve.
Realizzato con una tecnica ibrida che unisce animazione
tradizionale e CGI, In Your
Dreams racconta la storia di un fratello e una sorella che
viaggiano attraverso il mondo dei sogni alla ricerca del padre
scomparso. Un viaggio poetico, visivamente sorprendente e ricco di
messaggi universali sulla crescita, la memoria e la forza dei
legami familiari. Con la sua sensibilità visiva e il tono da fiaba
contemporanea, il film si colloca nel solco delle grandi produzioni
d’animazione Netflix, capaci di parlare a un pubblico trasversale
con profondità e leggerezza.
Kids & Family: le nuove avventure per i più piccoli
Il mese di novembre offre anche una programmazione ricca di novità
dedicate ai più piccoli, tra ritorni attesi e nuove produzioni
originali.
Gli Snicci (N) – Dal 3 novembre
Tratto dall’universo immaginato dal Dr. Seuss, il film d’animazione affronta
temi come la diversità e l’inclusione, insegnando con ironia e
delicatezza il valore dell’accettazione.
Sesame Street (N) – Dal 10 novembre
Gli iconici pupazzi più amati della TV tornano con episodi inediti,
tra musica, giochi e insegnamenti preziosi, portando su Netflix la
magia educativa di una serie senza tempo.
La Casa delle Bambole di Gabby – Stagione 12
(N) – Dal 17
novembre
Continuano le avventure di Gabby e dei suoi amici gatti, in un
mondo di fantasia che unisce creatività, gioco e messaggi positivi
per i più piccoli.
Un mese di cinema, serie e sogni su Netflix
Con un’offerta che spazia dal cinema d’autore all’intrattenimento
per famiglie, Netflix a
novembre 2025 si conferma una piattaforma capace di
coniugare qualità e varietà. Dall’attesissimo Frankenstein di Guillermo del Toro al ritratto
femminile di Mrs
Playmen, passando per l’onirica avventura di In Your Dreams, il mese promette
emozioni forti, riflessioni e spettacolo.
Una programmazione che testimonia la forza del racconto audiovisivo
contemporaneo e la capacità di Netflix di dare spazio a visioni
diverse, mantenendo sempre al centro le storie e il loro potere di
trasformare la realtà — o, come in questo caso, i sogni.
Il film Non-Stop
(qui la recensione) del 2014 vede
Liam Neeson portare le sue imprese eroiche nei
cieli a bordo di un aereo dirottato. Diretto da Jaume
Collet-Serra, il film segue le vicende dell’agente di
sicurezza aerea Bill Marks, un uomo alle prese con l’alcolismo
mentre si imbarca su un volo per Londra. Con grande sorpresa di
Marks, il volo prende una piega oscura quando si rende conto che un
misterioso terrorista si nasconde a bordo dell’aereo. Il terrorista
comunica con Marks tramite messaggi di testo e minaccia di uccidere
un passeggero ogni 20 minuti se le sue richieste di riscatto non
vengono soddisfatte.
Non-Stop è uscito
al culmine della carriera post-Taken di Neeson. Dopo
l’uscita di Io vi troverò nel 2009, Neeson è diventato una delle
star dei film d’azione più popolari sul grande schermo. Forse non
sorprende che Non-Stop si sia rivelato un successo
redditizio, incassando 222 milioni di dollari a fronte di un budget
di 50 milioni. D’altronde si tratta di un film solido dall’inizio
alla fine, ma il suo finale teso è un momento particolarmente
saliente del film.
Il colpo di scena e il piano di
vendetta di Tom Bowen
Dopo un lungo gioco al gatto e al
topo a bordo dell’aereo, il finale di Non-Stop
vede Marks scoprire che il dirottatore è il passeggero Tom Bowen
(Scoot McNairy), con l’esperto di computer Zack
White (Nate Parker) che funge da suo complice. Il
film rivela la motivazione di Bowen per il dirottamento, ovvero la
perdita di suo padre negli attacchi terroristici dell’11 settembre
2001. Bowen si arruola nell’esercito dopo la morte di suo padre, ma
rimane deluso dalla guerra in Iraq. Crede che l’America non abbia
rafforzato a sufficienza la sicurezza aeroportuale per impedire
attacchi simili in futuro e decide di dimostrarlo.
Il dirottamento dell’aereo da parte
di Bowen ha lo scopo di spingere la sicurezza aeroportuale a
livelli più rigorosi. Convince White ad aiutarlo offrendogli una
parte del riscatto. Nel frattempo, l’intenzione di Bowen è quella
di incastrare Marks come dirottatore dell’aereo. In questo modo,
Bowen spera di dipingere un quadro di sicurezza aeroportuale
nazionale lassista e di agenti di sicurezza aerea inefficaci,
costringendo così l’America a migliorare la sicurezza dei voli.
Bowen mette in atto un piano piuttosto elaborato per assicurarsi
che Marks si prenda la colpa. Inizialmente, funziona come previsto.
Tuttavia, Mark alla fine si libera delle accuse e smaschera i veri
dirottatori.
Perché Marks viene incastrato per
il dirottamento dell’aereo (e come viene scagionato)
La situazione degli ostaggi in
Non-Stop inizia quando Marks riceve una serie di
messaggi misteriosi, in cui il mittente minaccia di uccidere un
passeggero dell’aereo entro 20 minuti se non vengono trasferiti 150
milioni di dollari su un conto bancario designato. Il dirottatore
afferma anche che le uccisioni continueranno ogni 20 minuti fino al
trasferimento del denaro. Inizialmente, Marks crede di aver trovato
il colpevole nel suo collega, lo sky marshal Jack Hammond
(Anson Mount). Lo uccide poco prima della fine del
conto alla rovescia di 20 minuti e scopre una scorta di cocaina nel
suo bagaglio a mano. Ben presto si rende conto che è stata nascosta
dal vero mittente dei messaggi.
Marks si ritrova ad essere il
sospettato numero uno quando scopre che il conto bancario su cui
deve essere trasferito il riscatto è intestato a lui.
L’aggressività di Marks nel voler scoprire l’identità dell’autore
del messaggio gli si ritorce contro quando interroga Bowen. Uno dei
passeggeri registra un video dell’aggressività di Marks e lo carica
online. Con questo e il conto bancario erroneamente collegato al
suo nome, Marks è pronto ad assumersi la colpa del complotto di
Bowen e White. Nel frattempo, un gruppo di jet da combattimento
arriva come scorta militare, con l’ordine di abbattere l’aereo se
la situazione dovesse peggiorare irreparabilmente.
Marks riceve aiuto per calmare la
situazione dalla passeggera di prima classe seduta accanto a lui,
Jen Summers (Julianne
Moore). Tuttavia, un altro colpo di scena emerge
quando inavvertitamente attivano il dispositivo di conto alla
rovescia della bomba piazzata a bordo dell’aereo.A 30 minuti
dall’esplosione della bomba, Marks sposta la bomba (nascosta nella
borsa piena di cocaina di Hammond) nella parte posteriore
dell’aereo. La copre con i bagagli per ridurre al minimo il raggio
dell’esplosione e garantire che l’aereo sia ancora in grado di
atterrare se la bomba dovesse esplodere.
Come Marks salva l’aereo e i suoi
passeggeri
Dopo che Marks scopre Bowen e
White, Bowen sorprende il suo partner sparandogli. La missione si
rivela essere una ricerca puramente mercenaria da parte di White, e
Bowen crede che entrambi debbano diventare martiri per la sua
causa. È chiaro che Bowen crede in questa causa fino alla fine.
Marks lo uccide mentre l’aereo scende da 30.000 piedi a 8.000
piedi. Gli viene ordinato di farlo per evitare la
depressurizzazione causata dall’esplosione della bomba.
Nel frattempo, White sopravvive al
colpo sparato da Bowen e cerca di combattere Marks. Durante la
discesa turbolenta dell’aereo, la bomba finalmente esplode,
uccidendo White. Dopo che l’aereo riesce ad atterrare in modo
brusco ma sicuro in un aeroporto in Islanda, Marks viene
pubblicamente scagionato dalle accuse di dirottamento e acclamato
per il suo eroismo. Riesce a salvare i passeggeri a bordo del volo
e i piani di Bowen alla fine falliscono. Quest’ultimo non diventa
mai il martire che spera di essere, anche se Marks e i suoi
colleghi marescialli dell’aria potrebbero vedere le cose in modo
diverso dopo il suo dirottamento.
Cosa succederà a Marks e Summers
dopo la fine di Non-Stop
Mentre all’inizio di Non-Stop Marks
è alle prese con l’alcolismo e l’amarezza, salvare un aereo pieno
di passeggeri potrebbe dargli un rinnovato senso di scopo e
ottimismo riguardo al suo lavoro. Vedere il cinismo di Bowen
riguardo alla politica estera americana, insieme a tutto ciò che
era disposto a fare per impedire che si verificasse un’altra
tragedia come l’11 settembre, potrebbe aver dato a Marks una nuova
prospettiva.
In effetti, potrebbe essere proprio
ciò di cui ha bisogno per rendersi conto dell’importanza di ciò che
fa. Proteggere i passeggeri ha un valore, e Marks lo dimostra a se
stesso e agli altri durante Non-Stop. Il protagonista del film
acquista ottimismo anche grazie al sostegno che riceve da Summers.
Anche quando viene incastrato per aver dirottato l’aereo, Summers
rimane al fianco di Marks e crede che lui sia sull’aereo come
protettore. Quando Marks le chiede perché nella scena finale del
film, lei gli risponde che è “un brav’uomo”.
Summers capisce il carattere di
Marks mentre è seduta accanto a lui e lo loda con la frase:
“Scommetto che tua figlia sarebbe stata orgogliosa di te”.
Non-Stop si conclude con un accenno di storia
d’amore tra Marks e Summers. Quando l’eroe d’azione interpretato da
Liam
Neeson chiede a Summers: “Dove sei diretta?”, lei alza le
spalle e risponde: “Dipende”. Questo suggerisce che potrebbero
condividere un futuro insieme dopo la fine di
Non-Stop.
Il film
Constantine del 2005 ha un finale complesso, con
un colpo di scena che merita un’analisi più approfondita, dato che
si parla sempre più spesso di Constantine
2. L’adattamento della DC Comics vede Keanu Reeves nei panni di John Constantine,
alias Hellblazer, un detective occulto e stregone che trascorre le
sue giornate combattendo demoni, spiriti e altri elementi
soprannaturali in una lotta costante tra Terra, Paradiso e Inferno.
La trama di Constantine, come quella dell’opera
originale, coinvolge il mondo soprannaturale degli inferi. Dopo che
Isabel Dodson (Rachel
Weisz) si toglie la vita, sua sorella gemella, Angela
(anch’essa interpretata dalla Weisz), cerca delle risposte, finendo
per chiedere aiuto a Constantine.
Isabel si è uccisa per fermare
Mammon
All’inizio di
Constantine, Isabel si suicida gettandosi dal
tetto dell’ospedale psichiatrico dove era ricoverata. Il motivo del
suo suicidio rimane un mistero per gran parte del film. Alla fine,
viene spiegato che Mammon, il figlio di Lucifero, vuole lasciare
l’Inferno e fondare un regno sulla Terra. Può farlo solo attraverso
una potente sensitiva come Isabel. Per impedire a Mammon di usarla
come suo strumento, lei si toglie la vita.
A causa delle sue credenze
cattoliche, Isabel va all’inferno per aver commesso suicidio, anche
se è morta per fermare un male più grande. Con l’aiuto di
Constantine, Angela cerca di svelare questo mistero, rendendosi
conto di possedere anche lei poteri psichici, che Constantine la
aiuta a liberare. Il problema è che questo attira immediatamente
Mammon verso Angela, poiché lei condivide il legame gemellare con
Isabel, riprendendo da dove lui aveva interrotto il suo tentativo
di venire sulla Terra prima della morte di Isabel.
La Lancia del Destino è un potente
manufatto religioso
Nel cristianesimo, la Lancia del
Destino, nota anche come Lancia Santa, è una vera e propria
reliquia religiosa. La Bibbia la descrive come la lancia usata da
un soldato romano per trafiggere Gesù mentre veniva crocifisso,
assicurandosi che fosse morto. La vera Lancia del Destino è
attualmente esposta nel Tesoro Imperiale del Palazzo Hofburg a
Vienna, in Austria. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti
si impossessarono del manufatto. Sebbene sia stato successivamente
restituito ufficialmente, molti ritengono che l’oggetto esposto sia
un falso, suggerendo che la vera Lancia del Destino sia andata
perduta o sia stata nascosta.
In Constantine, la
“vera” Lancia del Destino viene dissotterrata da un uomo
(Jesse Ramirez) sotto una chiesa messicana
abbandonata, avvolta in una bandiera nazista. L’uomo cade in trance
e la porta a Los Angeles, dove Gabriel può eseguire la cerimonia
che porterà Mammon sulla Terra. Gabriel ha bisogno della Lancia del
Destino perché è un oggetto divino (poiché su di essa è presente il
sangue di Cristo), che può “uccidere” Angela e portare Mammon sulla
Terra attraverso il suo corpo. È un MacGuffin, che funge da
tassello del puzzle per completare la cerimonia.
Perché Gabriel stava cercando di
scatenare l’inferno sulla Terra
Il complotto di Gabriel è confuso,
ma alla fine si riduce alla sua convinzione che l’umanità possa
trovare il suo “io più nobile” solo attraverso l’orrore e il
dolore. Scatenando l’inferno sulla Terra, Gabriel crede che coloro
che sopravvivranno alla conseguente esistenza orribile avranno
dimostrato di essere degni dell’amore di Dio e, in definitiva, di
un posto in Paradiso. Le intenzioni di Gabriel sono in definitiva
la forza motrice della trama di Constantine, dall’uso di Balthazar
per trovare un ospite per la rinascita di Mammon alla scoperta e
alla consegna della Lancia del Destino. Gabriel è davvero al centro
di tutto.
Per qualche motivo, Gabriel vive
un’esistenza potente sulla Terra ed è influenzato dalla sua
missione per Dio, sviluppando un disprezzo generale per l’umanità
che lo porta a scatenare l’inferno su di essa. La missione di
Gabriel non nasce dalla compassione o dalla comprensione, ma
piuttosto da una delirante convinzione egocentrica che gli esseri
umani debbano soffrire di più per ottenere l’amore di Dio. Gabriel
vuole istituire un genocidio su tutta l’umanità per dimostrare che
devono essere più grati e riconoscenti per il dono della vita,
anche se ha intenzione di farli soffrire per ottenerlo.
Constantine inganna Lucifero
uccidendosi
Dopo aver temporaneamente impedito
a Mammon di possedere completamente Angela, Gabriel appare
all’improvviso, uccidendo il partner di Constantine, Chas (Shia
LaBeouf), prima di rivelarsi. Egli annuncia i suoi
piani a Constantine, poi lo scaglia via e si prepara a trafiggere
la carne di Angela con la Lancia del Destino per liberare Mammon.
Constantine fa quindi l’unica cosa che gli viene in mente per
fermare Gabriel: chiama Lucifero (Peter Stormare).
Tagliandosi i polsi con dei frammenti di vetro, Constantine si
uccide per la seconda volta, evocando Lucifero, che appare di
persona per riportarlo all’Inferno.
Avendo già tolto la vita a se
stesso da bambino, Constantine è condannato all’inferno, motivo per
cui porta avanti la sua missione di fermare la diffusione dei
demoni e degli spiriti maligni, sperando di guadagnarsi il ritorno
in paradiso. Purtroppo, l’esorcismo dei demoni di Lucifero ha
creato un odio profondo nei confronti di Constantine, con il
Diavolo che ha detto che sarebbe venuto a reclamare l’anima
dell’uomo quando fosse giunta la sua ora. In punto di morte,
Constantine dice a Lucifero che Mammon è nella stanza accanto con
Gabriel e la Lancia del Destino. Lucifero rimanda Mammon
all’inferno e brucia le ali di Gabriel.
Torna da Costantine e gli chiede
cosa desidera. Costantino risponde che vuole che Isabel sia
liberata e mandata in Paradiso, cosa che Lucifero concede
prontamente prima di iniziare a trascinare Costantino all’Inferno.
Prima che possa allontanarsi troppo, Constantine viene
improvvisamente trascinato verso il Paradiso, mostrando il dito
medio a Lucifero mentre ascende. Lucifero capisce cosa è successo:
il sacrificio altruistico di Constantine per salvare Isabel
dall’Inferno gli ha garantito l’assoluzione per andare in Paradiso.
Condannando se stesso una seconda volta, Constantine ha ingannato
Lucifero permettendogli di ottenere la redenzione.
Tuttavia, Lucifero non avrebbe mai
permesso a un’anima come quella di Constantine di sfuggire così
facilmente alla sua presa. Mentre Constantine ascende al Paradiso,
Lucifero fa dunque un’ultima mossa, che consiste nel curare il
corpo morente dell’uomo. Poiché anche lui sta morendo di cancro ai
polmoni a causa di una vita passata a fumare come un turco,
Constantine era già in fin di vita. Infilando la mano nel suo
petto, Lucifero estrae tutto il cancro dai polmoni di Constantine,
riportandolo in vita e dandogli una seconda possibilità per
dannarsi di nuovo.
Lucifero crede che Constantine sia
destinato a fallire e che le sue scelte di vita lo riporteranno di
nuovo tra le sue braccia (e all’inferno). Sebbene Constantine si
sia guadagnato la redenzione e, presumibilmente, abbia ancora un
biglietto per il Paradiso grazie al suo sacrificio, ora deve
continuare a vivere e mantenere quello status, che potrebbe svanire
rapidamente se si ritrovasse a cadere nel peccato e nella
dissolutezza. Questo risultato è esattamente ciò su cui Lucifero
sta contando.
La spiegazione della scena
post-credits
Dopo aver consegnato la Lancia del
Destino ad Angela e aver scambiato delle sigarette con un pezzo di
gomma da masticare, Constantine appare in una scena post-crediti
mentre visita la tomba di Chas, ucciso da Gabriel. Si avvicina alla
tomba e vi appoggia il suo accendino, dicendo: “Hai fatto bene,
ragazzo”. Mentre si allontana, compaiono un paio di ali d’angelo e
Chas si rivela in forma angelica prima di volare via nel cielo.
Nei fumetti Hellblazer,
Chas agisce come autista/guardia del corpo noto per la sua forza e
le sue capacità di sopravvivenza. Tuttavia, la trasformazione in
forma angelica è riservata solo al film Constantine. Non è chiaro
perché diventi un angelo, né quale possa essere il suo nuovo scopo,
ma è sicuramente qualcosa che potrebbe essere esplorato nel sequel.
È interessante notare che questo è uno dei primi utilizzi di una
scena post-crediti in un film tratto da un fumetto, tre anni prima
che Iron Man del 2008 lo rendesse uno standard.
Come il finale di
Constantine prepara il terreno per un sequel
Il finale di
Constantine apre interessanti prospettive per il
sequel, poiché John Constantine si trova in una situazione che non
ha mai vissuto da quando era bambino: la sua anima è stata salvata.
Questo non è ciò che è accaduto nei fumetti, poiché la cura per il
cancro è arrivata quando Constantine ha stretto un accordo con
diversi sovrani dell’Inferno, che dovevano rispettare gli accordi
degli altri per evitare lo scoppio di una guerra civile. Ciò
significa che Constantine non poteva morire, altrimenti l’inferno
sarebbe crollato. Qui, ha ingannato Lucifero e ha salvato la
propria anima.
Ciò significa che il sequel di
Constantine non avrebbe nulla a che vedere con i
fumetti, in senso stretto. Con John in perfetta salute e senza
peccati che lo opprimono, può andare avanti con la sua vita, ma poi
si ritrova ad affrontare un’altra situazione dalla quale non può
uscire senza dannare nuovamente la sua anima. Lucifero vuole
chiaramente riavere l’anima di John per guadagnarsi il diritto di
torturarlo per l’eternità, quindi il finale qui probabilmente
prevede un piano per costringere John a usare la magia nera o
comunque a oltrepassare quel limite, condannandosi così nuovamente
all’inferno.
Negli ultimi anni, Joel Kinnaman è emerso come il nuovo eroe
d’azione intellettuale grazie alle sue interpretazioni cerebrali ma
divertenti in progetti come “Suicide
Squad”, “Edge of Winter”, “Altered
Carbon” e “Hanna”.
In The
Informer – Tre secondi per sopravvivere (qui
la recensione), interpreta un veterano militare che viene
condannato al carcere dopo aver ucciso accidentalmente un uomo
mentre cercava di proteggere sua moglie. Mentre sta scontando la
pena, l’FBI lo contatta e lo recluta per infiltrarsi nella mafia
polacca.
Pete diventa un efficiente agente
doppio, trafficando fentanil per l’enigmatico boss del crimine noto
come il Generale, mentre raccoglie preziose informazioni su di lui
per le autorità. The Informer – Tre secondi per
sopravvivere è un
thriller ben realizzato e ben recitato che mantiene senza
sforzo il senso di suspense fondamentale per tutta la sua durata.
Diretto dall’italiano Andrea Di Stefano, è un
adattamento cinematografico del romanzo del 2009 “Three
Seconds” del duo di scrittori svedesi Anders
Roslund e Borge Hellström.
La trama di The Informer –
Tre secondi per sopravvivere
Il film si apre con quello che
dovrebbe essere l’ultimo giorno di Pete Koslow (Joel
Kinnaman) come informatore dell’FBI infiltrato
nell’organizzazione criminale del Generale (Eugene
Lipinski). Negli ultimi anni, ha raccolto prove
sufficienti per mettere l’altro uomo dietro le sbarre una volta per
tutte. Tutto ciò che deve fare è accompagnare il nipote del
Generale, Staszek Cusik (Mateusz Kościukiewicz),
all’aeroporto, ritirare diversi chili di droga e consegnarli al
Generale. A quel punto i federali entreranno in azione e
arresteranno tutti.
Tuttavia, come spesso accade in
questi casi nella finzione, c’è un colpo di scena inaspettato.
Staszek dichiara improvvisamente di aver trovato un acquirente per
la droga e fa una deviazione. Pete capisce subito che l’acquirente
è un agente di polizia sotto copertura e cerca di convincerlo ad
andarsene, ma Staszek lo uccide. Questo costringe l’FBI a
sospendere l’operazione. Secondo il Generale, Pete ha un debito con
lui e la sua famiglia, e l’unico modo per ripagarlo è tornare nella
stessa prigione in cui era incarcerato prima e trafficare droga
lì.
Se Pete non lo farà, sua moglie
Sofia (Ana
de Armas) e sua figlia Anna (Karma
Meyer) ne subiranno le conseguenze insieme a lui. La sua
responsabile dell’FBI Erica Wilcox (Rosamund
Pike) e il suo capo Montgomery (Clive
Owen) credono che il caso che stanno costruendo contro
il Generale sia recuperabile e convincono Pete ad accettare il
piano del Generale. Ma una volta dentro la prigione, continuerà a
raccogliere informazioni sulle attività della mafia polacca.
L’omicidio dell’agente di polizia
sotto copertura Daniel Gomez (Arturo Castro)
provoca un enorme effetto a catena, influenzando tutte le persone
coinvolte. Il superiore di Gomez alla polizia di New York, Edward
Grens (Common), inizia a indagare sul caso e
scopre dei collegamenti tra l’FBI e Pete. Montgomery va nel panico
e ordina a Erica di rivelare informazioni sensibili su Pete ai
polacchi, sapendo benissimo che sarà una condanna a morte non solo
per lui, ma anche per la sua famiglia.
Il finale di The Informer
– Tre secondi per sopravvivere
Pete riesce ad acquisire le
informazioni che l’FBI stava cercando, ma quando cerca di
consegnarle al direttore del carcere, come dovrebbe, e chiede di
essere messo in isolamento, scopre che l’FBI ha dato istruzioni al
direttore di non farlo. Inorridito, si rende conto di essere stato
tradito. Chiama Erica, ma lei non risponde. Chiede quindi a Sofia
di prendere Anna e di allontanarsi il più possibile. Sofia
suggerisce di contattare Grens. Ma quando va a recuperare le
registrazioni che Pete ha fatto delle sue interazioni con l’FBI,
arriva Erica, che ha sentito la loro conversazione. Anche se prende
i nastri, lascia lì i soldi e esorta Sofia ad andarsene.
Un disperato tentativo di
fuga
Il polacco aveva precedentemente
fornito a Pete un piccolo coltello per la sua sicurezza personale.
Ma dopo che la sua copertura è saltata, scopre che è sparito.
L’inevitabile attacco arriva poco dopo, ma lui riesce a sopraffare
il suo aggressore. Quando gli agenti vedono cosa è successo,
l’intera prigione viene allertata. Nel caos che ne segue, Pete
prende in ostaggio Slewitt (Sam Spruell), un
agente corrotto, e si barrica in una stanza sul tetto della
prigione. Durante il suo periodo nell’esercito, era un cecchino
delle forze speciali.
Segna con cura le possibili
traiettorie dei proiettili che sa gli arriveranno e sposta due
bombole di gas volatile in posizioni strategiche. A casa sua, Grens
aiuta Sofia a eliminare Staszek e il suo complice, che erano stati
probabilmente mandati dal generale per uccidere Sofia e Anna per il
tradimento di Pete. Avendo saputo che anche Pete ha raccolto prove
contro di lui, Montgomery vuole ucciderlo prima che tutto sfugga di
mano. Arriva sulla scena e prende il comando. Quando Pete inganna
il cecchino dell’FBI facendogli sparare a Slewitt e provocando
l’esplosione, Montgomery crede davvero che l’unico pericolo per il
suo potere e la sua influenza sia stato eliminato.
Erica cambia schieramento
Una delle sottotrame del film ruota
attorno al conflitto morale di Erica. Alla fine lei si rende conto
che, lavorando per Montgomery, le sue azioni sono diventate
discutibili e al limite della legalità. Capisce che il modo in cui
trattano Pete non li rende migliori dei polacchi. Quando ottiene i
nastri da Sofia, li ascolta uno dopo l’altro e ricorda le promesse
che gli ha fatto. Affronta questo dilemma etico e alla fine emerge
dalla parte giusta. Dopo aver visto che Pete è sopravvissuto
all’esplosione, sale sulla stessa ambulanza con lui. Gran parte di
ciò che accade dopo rimane ambiguo.
Probabilmente lei e Pete hanno
convenuto che finché Montgomery sarà lì, ricoprendo una posizione
importante nel governo federale, Pete non sarà mai libero. Per
questo lei aiuta la task force congiunta dell’FBI e della polizia
di New York a smascherare Montgomery. Questo, a sua volta, porta a
un’indagine sulla corruzione all’interno dell’FBI. L’agenzia si
rende conto che Pete, un civile, è al centro di tutto questo
pasticcio e mette sotto sorveglianza la sua famiglia, in modo da
poterlo arrestare.
Una riunione che non avviene
Quando Pete si presenta in una
piazza per incontrare sua moglie e sua figlia, che sono lì con
Erica, nota immediatamente diversi agenti di polizia in borghese
intorno a loro. Grens gli si avvicina, gli dà un passaporto e un
biglietto aereo e gli trasmette il messaggio di Erica che lo esorta
a mantenere un profilo basso. È un finale agrodolce. Sebbene Pete
sia ora libero dalle grinfie sia dell’FBI che della mafia polacca,
non può ancora stare con la sua famiglia. Il film si conclude con
la sua rapida partenza. È probabile che alla fine tornerà e riunirà
la sua famiglia, ma per ora devono sopportare la separazione.
Nightmare Before Christmas di Tim
Burton e Henry Selick è un classico senza tempo che
sfida i generi, ma il messaggio alla base del film e l’evoluzione
dei personaggi richiedono una certa riflessione. Jack Skellington,
il Re delle Zucche di Halloween Town, è in crisi creativa quando
decide di rubare il Natale e di organizzare lui stesso le festività
al posto di Babbo Natale. Alla fine, Jack capisce il proprio
errore, restituisce il Natale a Babbo Natale e continua a essere il
Re delle Zucche. Lungo il percorso, si rende conto del suo amore
per Sally, un’abitante oppressa di Halloween Town, che lo ha sempre
amato a sua volta.
La trama è moderatamente contorta,
ma ricca di personaggi affascinanti e di un design di produzione
accattivante, oltre che della magistrale colonna sonora di Danny
Elfman in uno dei suoi primi film. I migliori testi e citazioni
da Nightmare Before Christmas sono di grande impatto,
anche se gli spettatori non ne comprendono appieno il motivo. È
un’avventura buffa e un mix emozionante di due estetiche
drasticamente opposte che non è stato apprezzato dalla Disney
quando Burton ha avuto l’idea per la prima volta, forse in
parte perché il significato della storia di Jack e Sally è sottile
e si compone di molti elementi minori della trama.
Jack Skellington ritrova la
felicità attraverso una catastrofe
È praticamente scontato che alla
base di Nightmare Before Christmas ci sia
l’affermazione fondamentale: Jack non avrebbe dovuto rubare il
Natale. Questo è uno degli aspetti che rendono la storia confusa,
poiché ad alcuni potrebbe sembrare che la lezione sia semplicemente
quella di non provare mai nulla di nuovo. Nonostante tutti i suoi
difetti, Jack è un personaggio profondamente coinvolgente che vive
un’esperienza di vita comune, intrisa delle emozioni di una persona
reale. Elfman afferma nell’episodio di The Movies That Made
Us su Nightmare Before Christmas che si identificava con
Jack, essendo stanco della sua carriera di rock star.
Jack probabilmente ama il
caos, ma il caos abituale di Halloween Town è diventato una routine
per lui, quindi cerca qualcosa di nuovo.
Per questo motivo, Elfman è stato
motivato a fornire la voce cantata di Jack e si è concentrato sulla
composizione di musica per film, ma Jack ha un finale diverso.
Attraverso il Natale, Jack trova un nuovo modo di festeggiare
Halloween e rivitalizza la sua passione per il suo lavoro. È
realistico sentirsi infelici e nichilisti a causa della banalità e
della routine della vita, ma l’arco narrativo di Jack ha
conseguenze più grandi per tutte le altre persone coinvolte. Jack
probabilmente ama il caos, ma il caos abituale di Halloween Town è
diventato una routine per lui, quindi cerca qualcosa di nuovo.
Jack apprezza sinceramente
l’esperienza del suo frenetico Natale, anche se i risultati sono
negativi, il che lo aiuta a ritrovare il ruolo che in realtà
gli piace nei giorni buoni. Un piccolo difetto nella trama del film
è che non fornisce il contesto di quanto tempo Jack sia stato
annoiato; questo potrebbe essere solo un breve episodio negativo
nella sua esistenza altrimenti appagante. Owen Keenan sostiene
anche (tramite The Daily Targum) che gli eventi di Nightmare
Before Christmas sono una metafora dell’appropriazione
culturale, contestualizzando il danno ancora maggiore causato dalle
azioni di Jack.
Il personaggio di Sally mostra
le ingiustizie di Halloween Town
Sally è autosufficiente e
resiliente, e rende migliore la storia di The Nightmare Before
Christmas
C’è chi sostiene che Sally sia la
vera eroina di Nightmare Before Christmas, mentre ciò che fa
Jack è ben lungi dall’essere eroico. La sceneggiatrice Caroline
Thompson ha riscritto il personaggio di Sally da tipica femme
fatale a persona che vive “la visione del mondo della Piccola
Fiammiferaia” (The Movies That Made Us). La vita di
Sally è ingiusta: è la creazione di uno scienziato ispirato a
Frankenstein che si aspetta che lei gli obbedisca, non ha alcun
potere a Halloween Town, vaga per i vicoli senza l’aiuto di
nessuno. È così autosufficiente che è abituata a distruggersi
letteralmente e poi a ricucirsi da sola.
In sostanza, il personaggio di
Sally è la prova di un significato più profondo dietro Nightmare
Before Christmas che va oltre la noia di un potente
organizzatore di feste che semina il caos. Le azioni di Jack
influenzano le persone nel mondo reale per un giorno, ma Sally
viene maltrattata e sminuita continuamente. Anche Jack, che sembra
avere una grande stima di lei, le parla con condiscendenza e non
presta attenzione ai suoi avvertimenti. “Sally’s Song” è una
melodia incantevole e profondamente triste che parla esclusivamente
di Sally preoccupata per Jack, ma traspare anche qualcosa della sua
visione cupa del mondo.
I “veri” cattivi di Nightmare
Before Christmas sono un’estensione di Jack
Oogie Boogie e il dottor
Finkelstein dimostrano alcune delle stesse abitudini dannose di
Jack
C’è un aspetto molto tossico nel
carattere di Jack, perché la sua crisi esistenziale significa un
disastro per gli altri. Molte persone reali potrebbero provare le
stesse cose che prova lui, ma non sono i governanti di una festa
che possono incitare a un tale caos. Se Nightmare Before
Christmas parla di persone egoiste al potere che cercano di
divertirsi e nel frattempo feriscono gli altri, allora Jack è da
una parte della storia e Sally dall’altra. Nel frattempo, i “veri”
cattivi, Oogie Boogie e il dottor Finkelstein, sono estensioni
della caratterizzazione di Jack e delle sue conseguenze.
È appropriato che Oogie Boogie e
Finkelstein fossero originariamente un unico personaggio; come
Jack, sono entrambi creativi, caotici e hanno poco rispetto per gli
altri. Hanno un certo potere nella Città di Halloween e usano le
altre persone come giocattoli. Jack è il protagonista del film, se
non l’eroe, quindi si rende conto di aver sbagliato e migliora. Nel
frattempo, Oogie Boogie deve essere distrutto dal personaggio più
potente, mentre Finkelstein riesce semplicemente a creare un essere
che è servile come lui si aspetta. Eppure questi personaggi creano
un motivo sottovalutato nel film.
Nightmare Before Christmas
mette ancora in mostra i temi tradizionali dei film
natalizi
Nightmare Before Christmas
ha diverse trame cupe che sono rese più leggere dalla natura
stravagante del film, ma che comunque toccano temi come la
solitudine e l’oblio contrapposti alla celebrazione. Tuttavia, può
essere definito un film natalizio o di Halloween, sia per le varie
decorazioni festive che per i temi alla fine felici. Come altri
film natalizi, Nightmare Before Christmas trasmette
un messaggio di pace e amore. Jack lotta per salvare il Natale
e ci riesce; Babbo Natale, per qualche motivo sconcertante, porta
la neve nella città di Halloween per le festività.
I residenti della città di
Halloween che ripetono “What’s This?” quando nevica mettono in
evidenza la lezione più superficiale del film: provare cose nuove,
ma in modo da non ferire gli altri. Poi, come parte della sua
crescita caratteriale, Jack si rende conto di aver trascurato Sally
per anni, e i due si riuniscono nella scena finale, stranamente
ultraterrena e dolce. Dopo tutta la distruzione causata in
Nightmare Before Christmas, la giustapposizione della
trama letterale e dei motivi natalizi diventa parte del fascino del
film, e Jack e Sally trovano davvero la felicità.
Il 29 ottobre 1993 è stato il
giorno in cui Jack Skellington e i suoi amici hanno portato sul
grande schermo il loro spaventoso e spettacolare modo di
festeggiare le festività natalizie, suscitando urla di terrore
ovunque, in Nightmare Before Christmas. I numerosi fan del
film potrebbero ricordarsi di averlo visto come se fosse ieri, dato
che è diventato uno dei rari classici natalizi perfetti sia per
Halloween
che per
Natale.
Sebbene il mondo di Nightmare
Before Christmas sia stato rivisitato più volte in
videogiochi, libri e manga, non c’è mai stato un secondo film che
abbia dato seguito al finale del primo. Dopotutto, Tim Burton, che ha prodotto
il film e scritto la poesia che lo ha ispirato, ha dichiarato a
MTV che non ha alcuna intenzione di farlo. Considerando come il
film conclude, o meglio, confeziona la sua storia con un bel
fiocco, la posizione di Burton è comprensibile. Eppure, anche a
distanza di anni, vale ancora la pena rivisitare i momenti finali
del film e analizzare dove sono rimasti i personaggi inquietanti e
allegri di “Nightmare”.
Non più solo
Nonostante l’entusiasmante festa di
Halloween che dà il via al film, Jack Skellington, il Re delle
Zucche di Halloween Town, non può fare a meno di sentirsi
insoddisfatto dalla sua natura ripetitiva. Inoltre, come spiega
nella canzone “Jack’s Lament”, si sente completamente solo nella
sua frustrazione e confida i suoi sentimenti solo al suo cane
fantasma, Zero. All’insaputa di Jack e Zero, però, Sally, la
bambola vivente, ascolta di nascosto i lamenti di Jack e prova
un’immediata affinità. Come Jack, anche Sally desidera sperimentare
qualcosa di nuovo: nel suo caso, la libertà dal suo possessivo
creatore, il dottor Finkelstein.
Sebbene Sally non riveli la sua
presenza né i suoi crescenti sentimenti romantici in quel momento,
Jack li decifra da solo dopo aver salvato lei e
Babbo Natale da Oogie Boogie. Rendendosi conto che Sally aveva
cercato di liberare Babbo Natale prima di diventare lei stessa
prigioniera di Oogie per aiutare Jack, il Re delle Zucche raggiunge
Sally sulla Collina a Spirale, dove i due esprimono ciò che hanno
nel cuore attraverso una canzone. In questo modo, entrambi i
personaggi non solo hanno trovato un partner romantico, ma anche un
confidente a cui possono confidare i loro pensieri più intimi. In
passato, Jack avrebbe potuto temere di esprimere sentimenti come la
sua noia per Halloween, che avrebbero potuto gettare nel panico
l’amata città che governa. Ora, invece, ha qualcuno con cui può
essere completamente onesto, mentre Sally ha trovato qualcuno con
cui non deve stare in punta di piedi, come fa con Finkelstein.
Sally, la regina delle zucche
Come Jack, anche Sally non è molto
entusiasta della sua vita all’inizio del film. Desidera
ardentemente l’indipendenza, ma le viene costantemente negata da
Finkelstein, che sostiene di non credere che lei sia pronta per la
vita al di fuori del suo occhio vigile. Di conseguenza, Sally cerca
spesso di avvelenarlo con la belladonna per poter fuggire.
Inevitabilmente, però, Finkelstein riesce quasi sempre a
rintracciarla.
Fortunatamente, però, uno dei tentativi di fuga di Sally alla
fine va a buon fine. Inoltre, la sua relazione con Jack alla fine
del film comporta diversi vantaggi. Questo garantisce che
Finkelstein non la riporterà più nel suo laboratorio, poiché lo
scienziato considera Skellington un amico e probabilmente non
vorrebbe incorrere nell’ira del Re di Halloween Town. Tuttavia, ciò
significa anche che Sally potrebbe finire per diventare la Regina
delle Zucche e quindi lei stessa una regina, ottenendo lo stesso
potere che Jack ha su Finkelstein e sul resto degli abitanti della
città. È interessante notare che la possibilità che Sally diventi
la nuova regina di Halloween Town è stata esplorata nel romanzo per
giovani adulti “Long Live the Pumpkin Queen” di Shea Ernshaw,
completo di visite a Valentine’s Town e a un luogo unico nel libro,
Dream Town.
L’amore per il dottor
Finkelstein
I litigi tra Sally e il dottor
Finkelstein assomigliano spesso a quelli tra una figlia che vuole
andarsene di casa e un padre che semplicemente non approva.
Tuttavia, invece di offrire il sostegno che ci si potrebbe
aspettare da una figura paterna, Finkelstein tratta Sally poco più
che come una serva e la tiene rinchiusa nel suo laboratorio come
una prigioniera.
Sebbene all’inizio Finkelstein sia determinato a rintracciare Sally
dopo ogni suo tentativo di fuga, la sua pazienza alla fine si
esaurisce dopo ripetuti avvelenamenti con belladonna. Così, quando
Sally fugge per vedere Jack, un Finkelstein furioso decide di
rivolgere la sua attenzione altrove e di creare una nuova compagna
più collaborativa. Invece di creare un’altra bambola che funga da
“figlia surrogata” sostitutiva, Finkelstein si crea un’amante,
inserendo metà del proprio cervello nel cranio della bambola. Il
risultato finale, Jewel, appare con Finkelstein negli ultimi
momenti del film, ed è chiaro che i due sono innamorati: dopotutto,
i due sono letteralmente sulla stessa lunghezza d’onda su quasi
tutto, se non su tutto. La loro relazione è in realtà piuttosto
importante per Sally, poiché Finkelstein è probabilmente troppo
felice con Jewel per rinnovare i suoi sforzi per riconquistare la
sua precedente creazione. Questo dimostra che essere innamorati di
se stessi a volte può essere una cosa positiva.
Niente più Boogie
Come notano fin dall’inizio i
cittadini di Halloween Town, la maggior parte di loro non sono
persone cattive. Un’eccezione degna di nota, ovviamente, è Oogie
Boogie, il Boogie Man della città che ama combinare guai. Contro
gli ordini di Jack, Lock, Shock e Barrel, tre bambini che vanno in
giro a fare “dolcetto o scherzetto” e che svolgono regolarmente
compiti per Oogie, fanno cadere Babbo Natale nella tana del loro
capo, dove Oogie inizia a deriderlo e a prenderlo in giro. Alla
fine, anche Sally finisce prigioniera di Oogie quando il suo
tentativo di liberare segretamente Babbo Natale fallisce.
Fortunatamente, Jack arriva e sconfigge Oogie smontando
letteralmente il corpo di stoffa del suo nemico.
Anche se non viene mai specificato
fino a che punto si estenda la malvagia influenza di Oogie, è
chiaro che egli è una figura di potere nella Città di Halloween. La
scomparsa di Oogie potrebbe avere ripercussioni più profonde di
quanto il film lasci intendere? Forse altri malfattori si
nascondono nella piccola città infestata di Jack, desiderosi di
riempire il vuoto che l’assenza di Oogie potrebbe aver creato.
Oppure, dato che Oogie è fondamentalmente un gigantesco pezzo di
stoffa controllato da vermi e insetti, chi può dire che gli insetti
sopravvissuti non possano tornare un giorno con dei rinforzi in un
nuovo costume da “Oogie”? Il videogioco “Oogie’s Revenge”, infatti,
suggerisce che riportare in vita Oogie potrebbe essere semplice
come ricucire il suo vecchio corpo.
Il mondo si riprende
Sebbene animato da buone
intenzioni, il tentativo di Jack di introdurre una versione
“migliorata” del Natale finisce per portare molto più terrore che
gioia al mondo intero. Fortunatamente, la popolazione terrestre si
rende presto conto che Babbo Natale non è il responsabile di tutti
i regali terrificanti che hanno ricevuto, il che significa che la
brillante reputazione di Babbo Natale rimarrà probabilmente
intatta. Quindi, quando Babbo Natale proclama che si assumerà la
responsabilità di sistemare il pasticcio involontario combinato da
Jack, le sue possibilità di successo sembrano piuttosto alte.
O forse no? Anche se la fiducia
della popolazione terrestre in Babbo Natale sembra incrollabile,
probabilmente non dimenticherà presto il terrore che ha provato,
come ipotizza lo stesso Jack nella canzone “Poor Jack”. Dopotutto,
è improbabile che qualcuno al di fuori di Halloween Town abbia mai
vissuto qualcosa di simile a ciò che il Re delle Zucche ha fatto
loro subire. Le persone nelle cui case Jack ha lasciato i regali
potrebbero benissimo avere incubi per anni a venire, e il loro
cuore potrebbe saltare un battito, o addirittura fare un balzo, le
prossime volte che sentiranno Babbo Natale scendere dal camino.
Senza volerlo, Jack ha introdotto un nuovo tipo di paura nel “mondo
reale”, ed è difficile dire se la gente riuscirà mai a superarla
veramente.
Le porte delle festività rimangono
chiuse
L’evento che dà il via
all’avventura di Jack in Nightmare Before Christmas è
la sua scoperta delle porte delle festività, ognuna delle quali
conduce a una città completamente incentrata su una singola
festività. Quando Jack apre la porta della Città del Natale, il Re
delle Zucche è così affascinato dai nuovi regni che incontra che
decide che Halloween Town dovrebbe provare a “creare il
Natale”.
Jack impara però a proprie spese
che non è così facile per le persone di un luogo così radicalmente
diverso come Halloween Town capire cosa la gente desidera veramente
dalla festa simbolo di Christmas Town. Eppure, nonostante sia stato
abbattuto dal cielo con armi militari, Jack ottiene comunque ciò
che desidera interpretando “Sandy Claws”, superando la sua profonda
noia per Halloween. Data la sua ritrovata apprezzamento per la
festa che ha presieduto per così tanti anni, sembra improbabile che
Jack esplorerà un’altra città festiva sul grande schermo,
soprattutto considerando i dubbi di Tim
Burton su un sequel di Nightmare Before
Christmas. Naturalmente, le cose potrebbero sempre
cambiare, e Jack, insieme a Sally e Zero, ha visitato altri luoghi
a tema festivo nel già citato libro “Long Live the Pumpkin Queen”.
In alternativa, Sally potrebbe esplorare alcuni mondi festivi da
sola, così come Zero, che secondo il regista di “Nightmare” Harry
Sellick sarebbe un personaggio principale perfetto per un
cortometraggio sequel. Dopotutto, il fedele cucciolo di Jack ha un
suo fumetto.
I giovani complici di Oogie si
redimono
Lock, Shock e Barrel sembrano
decisamente disposti a fare cose piuttosto contorte a Babbo Natale
quando Jack incarica loro di portare il più importante donatore di
regali di Christmas Town a Halloween Town. Anche se alla fine
decidono semplicemente di intrappolare Babbo Natale in un sacco,
finiscono comunque per compiere l’azione piuttosto malvagia di
consegnarlo a Oogie, cosa che Jack aveva espressamente vietato loro
di fare. Eppure c’è qualcosa di intrinsecamente accattivante in
quei piccoli monelli marci, e infatti tradiscono Oogie portando il
sindaco di Halloween Town da Jack dopo che Oogie è stato sconfitto.
In effetti, i bambini sembrano aver messo da parte i loro modi
cattivi, lanciando persino scherzosamente una palla di neve a Jack
quando Babbo Natale fa nevicare a Halloween Town.
Sembra che tutto ciò di cui Lock,
Shock e Barrel avevano bisogno per voltare pagina fosse che
qualcuno togliesse di mezzo il loro modello di comportamento
intrigante. Non si saprà mai se i tre si siano ravveduti per
sempre, anche se il videogioco “Oogie’s Revenge” li raffigura come
se fossero tornati alle loro abitudini malvagie. Non è chiaro se il
gioco sia “canonico” rispetto al film, ma in ogni caso Jack
dovrebbe comunque tenere d’occhio i giovani ex combinaguai la
prossima volta che li incontrerà.
Il futuro nebuloso di Halloween
Town
Non c’è dubbio che gli abitanti di
Halloween Town amino Jack. Ogni volta che è in pericolo, vanno nel
panico o lo piangono, e quando riappare sano e salvo, festeggiano
il suo ritorno. Infatti, quando Jack si ricongiunge con gli
abitanti di Halloween Town dopo essere stato abbattuto nel mondo
reale, i suoi sudditi sono così euforici che scoppiano a
cantare.
Tuttavia, la breve incursione di Jack nelle festività natalizie
solleva interrogativi su cosa riserva il futuro a lui e alla sua
città natale. Gli abitanti di Halloween Town sono ancora fiduciosi
come un tempo nei confronti di Jack, soprattutto dopo che lui ha
fatto loro dedicare così tanto tempo e impegno alla preparazione di
una festa che non è andata come previsto?
Temono che Jack possa affrontare
nuovamente un’altra crisi esistenziale in un Halloween futuro e
escogitare un altro piano sfortunato per rinnovare le cose? E in
che modo le future feste di Halloween potrebbero essere influenzate
dalle esperienze di Jack a Christmas Town? Forse il monarca di
Halloween Town potrebbe incorporare alcuni elementi natalizi nella
sua prossima festa di Halloween, come distribuire regali oltre ai
dolciumi, cosa che gli abitanti di Halloween Town apprezzerebbero
sicuramente.
Due festività per Halloween
Town?
Ma poi, perché festeggiare una sola
festività? Certo, la casa di Jack si chiama letteralmente Halloween
Town, ma 365 giorni sono un periodo lungo per pianificare un evento
che dura una sola notte. Forse Jack potrebbe dedicare alcuni di
quei giorni a far rivivere la sua versione del Natale, in modo che
gli abitanti di Halloween Town possano godersela questa volta.
Sebbene possa aver fallito in altre parti del mondo, il Natale di
Jack sarebbe un successo innegabile nella città che lo ha aiutato a
crearlo, e probabilmente impedirebbe a Jack di provare nuovamente
quella sensazione di monotonia nei confronti di Halloween. Forse
Jack potrebbe anche consultare il principale scienziato della
città, il dottor Finkelstein, su come far nevicare di nuovo nella
Città di Halloween.
Vale anche la pena notare che
l’istituzione di due festività nella Città di Halloween potrebbe
portare a un’ulteriore “impollinazione incrociata” delle festività
in futuro. Poiché si dice che Nightmare Before Christmas
sia ambientato “molto tempo fa, più tempo fa di quanto sembri”, le
esperienze di Jack nella Città di Natale potrebbero portare tutte
le città a mescolarsi maggiormente e ad adottare elementi delle
festività l’una dell’altra. Dopotutto, ci sarà un motivo se la
torta di zucca è un dolce popolare sia nel Giorno del
Ringraziamento che a Natale, no?
La signora Claus e gli elfi
possono tirare un sospiro di sollievo
Chi conosce bene la tradizione di
Claus non si stupirà nel sapere che Babbo Natale non è solo nella
sua casa quando viene rapito da Lock, Shock e Barrel. Poco prima
che Babbo Natale venga portato via, si vede la signora Claus in
cucina che mette una torta in un cestino da pranzo, forse come
spuntino che Babbo Natale potrà gustare durante il suo giro
mondiale per distribuire i regali. Anche se la reazione della
signora Claus non viene mostrata, senza dubbio l’improvvisa
scomparsa del marito le provoca uno shock, soprattutto perché pochi
istanti prima lui stava leggendo ad alta voce la sua famosa lista
dei bambini buoni e cattivi nella stanza accanto.
Quando Jack libera Babbo Natale
dalla prigionia, i coniugi Claus possono finalmente ricongiungersi.
Allo stesso modo, i diligenti elfi di Babbo Natale, che vengono
mostrati mentre preparano freneticamente i numerosi giocattoli che
il loro capo intende distribuire in tutto il mondo, saranno
probabilmente felici di vedere il loro capo tornare per distribuire
i regali per cui hanno lavorato duramente. Il fatto che l’ultima
scena del Babbo Natale nel film lo mostri mentre vola sopra
Halloween Town con le sue fidate renne suggerisce addirittura che
tali ricongiungimenti siano già avvenuti, poiché l’unico modo in
cui Babbo Natale avrebbe potuto ricongiungersi con le sue guide a
quattro zambe sarebbe stato tornare a Christmas Town.
Babbo Natale ha un bel
daffare
Certo, Babbo Natale è esperto nel
distribuire regali alle persone ben educate di tutta la Terra in
una sola serata. Tuttavia, dopo il pasticcio combinato da Jack, è
probabile che Babbo Natale impiegherà almeno un po’ più tempo del
solito. Non solo Babbo Natale deve dare i regali giusti a tutti
coloro che si sono comportati bene, ma deve anche sbarazzarsi di
tutti i regali che Jack ha dato loro. Mentre alcuni di questi
regali sono semplicemente spaventosi per chi li riceve, molti di
essi tendono ad essere al limite, se non addirittura
pericolosi.
Alberi di Natale che mangiano
serpenti, anatre giocattolo con denti affilati su ruote che
inseguono i bambini e scogliere dall’aspetto carnivoro sono solo
alcuni dei “regali” che Jack lascia dietro di sé, e probabilmente
ci vorrà almeno un po’ della magia di Babbo Natale – e forse anche
un piccolo aiuto da parte delle autorità – per occuparsene. Non che
Babbo Natale sembri preoccupato. Come dice a Jack quando il Re
delle Zucche si chiede se ci sia ancora tempo per salvare le
festività: “Certo che c’è! Sono Babbo Natale!”. Forse è proprio
quella stessa sicurezza di sé che ha aiutato Babbo Natale a
completare con successo il suo viaggio annuale intorno al mondo in
una sola notte per così tanti anni. Anche se le differenze di fuso
orario potrebbero aver aiutato.
La
Festa del Cinema di Roma è stata
ufficialmente riconosciuta come Festival Competitivo dalla FIAPF (Fédération Internationale des
Associations de Producteurs de Films). Un traguardo storico che
consacra la manifestazione romana tra gli appuntamenti
cinematografici di maggiore prestigio a livello internazionale.
La
cerimonia di premiazione si è tenuta sabato 25 ottobre alle ore 17
presso la Sala Petrassi
dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, alla
presenza della direttrice artistica Paola Malanga, della giuria e dei numerosi
ospiti che hanno celebrato la chiusura della ventesima
edizione.
I
vincitori del Concorso Progressive Cinema
La
giuria del Concorso
Progressive Cinema, presieduta da Paola Cortellesi e composta dal
regista finlandese Teemu
Nikki, dal regista britannico William Oldroyd, dallo scrittore
statunitense Brian
Selznick e dall’attrice franco-finlandese
Nadia
Tereszkiewicz, ha assegnato i seguenti premi:
Miglior Regia: Wang Tong per Chang ye jiang jin (Wild Nights, Tamed Beasts)
Miglior Sceneggiatura: Alireza Khatami per The Things You Kill
Miglior Attrice – Premio “Monica Vitti”:
Jasmine Trinca per
Gli occhi degli
altri
Miglior Attore – Premio “Vittorio
Gassman”: Anson
Boon per Good
Boy
Premio Speciale della Giuria: al cast del
film 40 Secondi
Il Premio Miglior Opera Prima Poste Italiane
La giuria presieduta da Santiago Mitre, con Christopher Andrews e Barbara Ronchi, ha assegnato il
premio Miglior Opera
Prima Poste Italiane al film Tienimi presente di Alberto Palmiero (sezione Freestyle). Una
menzione
speciale è andata agli attori Samuel Bottomley e Séamus McLean Ross per California Schemin’ di James McAvoy.
Il Premio Miglior Documentario
Per la prima volta la Festa ha introdotto un riconoscimento
dedicato al cinema del
reale. La giuria guidata dal regista e produttore rumeno
Alexander Nanau
ha assegnato il Premio
Miglior Documentario a Cuba & Alaska di Yegor Troyanovsky (Proiezioni Speciali), con una
menzione
speciale a Le Chant
des forêts di Vincent
Munier.
Il Premio del Pubblico Terna
Gli spettatori della Festa, attraverso il voto espresso tramite QR
Code all’uscita delle sale, hanno assegnato il Premio del Pubblico Terna al film
Roberto Rossellini – Più di
una vita di Ilaria de
Laurentiis, Andrea Paolo
Massara e Raffaele
Brunetti.
Premi alla carriera e riconoscimenti speciali
Durante la ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma sono stati
consegnati anche i seguenti riconoscimenti:
Industry Lifetime Achievement Award a
Lord David Puttnam
Premio alla Carriera a Richard Linklater
Premio alla Carriera a Jafar Panahi
Premio Master of Film a Edgar Reitz
Premio Progressive alla Carriera a
Nia DaCosta
La Regione Lazio
ha inoltre conferito il premio “Lazio Terra di Cinema” a Can Yaman.
Una manifestazione in crescita costante
Prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma e promossa da
Roma Capitale,
Regione Lazio,
Cinecittà,
Camera di Commercio di
Roma e Fondazione Musica per Roma, la Festa conferma il
proprio ruolo centrale nel panorama culturale italiano ed
europeo.
La direzione artistica di Paola Malanga, affiancata da un comitato di
selezione di alto profilo, ha guidato un’edizione che ha saputo
coniugare autorialità, apertura internazionale e dialogo con il
pubblico. Con il riconoscimento FIAPF come festival competitivo, la
Festa del Cinema di
Roma si prepara ora ad affrontare una nuova fase della sua
storia, consolidando la sua identità di festival di rilevanza mondiale.
Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow continua a esplorare
la linea sottile tra fiction e verità documentaria. Dopo The Hurt Locker e
Zero Dark Thirty, la
regista torna a indagare il potere, la paura e la macchina militare
americana con il rigore di un’inchiesta giornalistica. Ambientato
in un arco temporale di appena diciotto minuti, il film immagina
uno scenario drammatico: un missile nucleare viene lanciato contro
gli Stati Uniti da un nemico sconosciuto, e le più alte cariche del
governo devono decidere come reagire. La tensione del racconto
deriva dalla consapevolezza che tutto ciò — per quanto
cinematografico — non è poi così lontano dal possibile. Lo conferma
Dan Karbler, ex
ufficiale dell’esercito statunitense e consulente tecnico del film,
già capo di stato maggiore dello US STRATCOM (United States Strategic
Command), che ha contribuito a rendere l’opera di Bigelow
credibile fino al dettaglio più minuto.
Dalla finzione alla simulazione: quanto è realistico A House of
Dynamite
Secondo Karbler, il film restituisce con grande accuratezza i
meccanismi che regolano la risposta nucleare americana. “Ogni anno
vengono eseguite quasi 400 esercitazioni tra il Pentagono, STRATCOM e i
vari comandi di combattimento”, spiega l’esperto. “Nella realtà,
nessun presidente ha mai simulato un attacco, ma tutti vengono
informati sulla ‘nuclear football’, la valigetta con i codici di
lancio.” Bigelow e lo sceneggiatore Noah Oppenheim hanno costruito la trama a
partire da questa routine di esercitazioni e protocolli, ponendo
però l’accento su ciò che nei manuali non compare: la componente
umana. “Il film cattura ciò che nessuna simulazione può replicare:
la reazione emotiva, il caos, la vulnerabilità dei singoli,”
afferma Karbler. In questo senso, A House of Dynamite (La
nostra recensione) è tanto un film sulla guerra
quanto un dramma sulla psicologia del potere, dove l’imprevisto diventa la
vera minaccia.
Gran parte del realismo del film deriva dalla rappresentazione
dello STRATCOM,
il Comando Strategico americano con sede a Offutt Air Force Base, Nebraska, da
cui vengono pianificate e coordinate tutte le operazioni nucleari
degli Stati Uniti. Bigelow, accompagnata dal produttore
Greg Shapiro e
dallo scenografo Jeremy
Hindle, ha potuto visitare realmente i livelli sotterranei
del quartier generale, ricevendo un briefing tecnico sul
funzionamento dei sistemi di difesa. Karbler, che ha guidato la
visita, racconta che la regista rimase colpita dalla complessità
del luogo e dal linguaggio ipertecnico degli operatori. Da
quell’esperienza è nata l’idea di ricreare sul set il “battle
deck”, la sala operativa sotterranea dove vengono gestite le crisi
missilistiche. “Nel film,” spiega Karbler, “si vedono i
battlegrams, fogli di
comunicazione che circolano tra gli ufficiali come appunti segreti
in un’aula scolastica. È un dettaglio assolutamente autentico: così
ci scambiamo le informazioni in tempo reale.”
Come l’esperto ha guidato gli attori e la regia
Credits Netflix 2025
Il contributo di Karbler non si è limitato alla consulenza tecnica.
L’ex ufficiale ha lavorato a stretto contatto con gli attori per
garantire autenticità nei gesti, nei dialoghi e nei comportamenti.
“Tracy Letts,
che interpreta un generale a quattro stelle, non aveva bisogno di
molte correzioni,” racconta. “Aveva già quella presenza che comanda
una stanza. Con Jared
Harris, invece, abbiamo lavorato sui dettagli: come il
segretario alla Difesa interagisce con il personale, come guarda i
monitor, come gestisce una stanza piena di ufficiali.” Anche il
giovane cast del team di Fort Greely, in Alaska, ha ricevuto un
addestramento specifico su come muoversi, parlare e reagire come
veri militari. “Mi hanno ricordato i miei soldati,” dice Karbler.
“Sono stati incredibilmente ricettivi, assorbivano ogni
informazione come spugne. Hanno reso il mio lavoro facile.”
L’obiettivo era restituire una verità comportamentale, non solo visiva, e
Bigelow — nota per la sua precisione maniacale — ha seguito ogni
consiglio dell’esperto con attenzione quasi scientifica.
L’incontro che ha convinto Bigelow a inserirlo nel film
Curiosamente, la collaborazione tra Bigelow e Karbler è iniziata
con un episodio quasi cinematografico. Durante una prima riunione
su Zoom con la regista e il team di produzione, l’ex militare
decise di “mettere in scena” una simulazione di emergenza. “Ho
spento la telecamera e ho detto con tono ufficiale: ‘Questa è una
conferenza speciale del Pentagono, classificazione top secret,
collegamento attivo con STRATCOM, Nordcom e il Segretario alla
Difesa. Raccomando di passare immediatamente alla conferenza di
deterrenza strategica. Portate il Presidente nella chiamata.’ Poi
ho acceso la videocamera e ho detto: ‘Ecco come inizierebbe il
giorno peggiore della storia americana. Spero che il vostro copione
gli renda giustizia.’” La reazione di Bigelow fu immediata: “Oh mio
Dio, è fantastico. Voglio te nel film.” Così, l’esperto divenne
anche interprete, comparendo come se stesso in alcune scene
ambientate nei centri di comando.
Oltre all’accuratezza tecnica, A House of Dynamite ha un obiettivo dichiarato:
stimolare una discussione
pubblica sulla deterrenza nucleare. Karbler, che per sette
anni ha lavorato nella pianificazione strategica americana, spera
che il film riesca a portare il tema fuori dalle stanze dei
cosiddetti “nuclear high priests” — gli specialisti e militari che
dominano da decenni il dibattito — e lo renda accessibile a un
pubblico più vasto. “Abbiamo sempre provato a spingere il discorso
sulla difesa missilistica a livello nazionale,” spiega, “ma non
riuscivamo mai a uscire dal linguaggio tecnico. Spero che questo
film apra quella conversazione.” Anche Bigelow conferma la stessa
intenzione: usare il cinema come mezzo di consapevolezza collettiva,
fondendo informazione e tensione drammatica. È una strategia che ha
già adottato nei suoi lavori precedenti, ma che qui raggiunge una
sintesi perfetta: la realtà come detonatore di un’emozione
condivisa.
Come ha dichiarato la regista a Netflix, A House of Dynamite
è “un film che fonde intrattenimento e informazione, dove la
distinzione tra i due diventa fluida”. Questa frase racchiude
l’essenza della sua poetica: il cinema come indagine sul reale. Grazie al lavoro
di Oppenheim e alla consulenza di Karbler, Bigelow costruisce un
racconto che è insieme un esercizio di tensione e un atto politico.
Non ci sono eroi infallibili, ma individui intrappolati in
procedure tanto rigide quanto umane. Il film diventa così una
rappresentazione inquietante del nostro presente: un mondo in cui
la tecnologia promette sicurezza, ma basta un errore, un ritardo o
un’incomprensione per scatenare l’apocalisse. In questo senso, la
domanda “potrebbe
davvero accadere?” non trova una risposta definitiva — ma il
solo fatto di porsela è il cuore del film.
Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow firma uno dei film
più tesi e realistici della sua carriera recente. Ambientato in un
futuro prossimo, il film racconta i diciotto minuti che seguono il
lancio di un missile intercontinentale diretto verso gli Stati
Uniti. La Casa Bianca, il Comando Strategico e infine il Presidente
stesso sono costretti a prendere decisioni impossibili con
informazioni incomplete, in una catena di eventi che mette a nudo
la fragilità dei meccanismi di sicurezza globale. Ma quanto di ciò
che vediamo nel film può davvero accadere nella realtà?
A House of Dynamite (La
nostra recensione) non è basato su una storia vera, ma
molte delle sue dinamiche – dalle procedure militari al ruolo del
“nuclear football” – si fondano su fatti e protocolli
autentici.
Potrebbe accadere davvero un attacco nucleare a sorpresa?
La premessa di A House of Dynamite
– un missile lanciato da un nemico sconosciuto – è volutamente
provocatoria, ma non del tutto impossibile. Esperti come
Matthew Bunn,
docente alla Harvard Kennedy School e tra i maggiori studiosi di
sicurezza nucleare, hanno spiegato che un attacco improvviso è
estremamente improbabile, ma teoricamente possibile. Nella realtà,
uno scenario del genere nascerebbe quasi sempre da una
escalation graduale di
tensioni militari, non da un gesto isolato. Le probabilità
che una singola testata venga lanciata in modo autonomo – come
suggerisce il film – sono minime, ma l’elemento realistico è il
panico istituzionale che ne deriverebbe: nessun governo sarebbe
preparato a reagire in modo perfettamente razionale in così poco
tempo. In questo senso, Bigelow e lo sceneggiatore
Noah Oppenheim
non raccontano la Storia, ma la psicologia del potere sotto minaccia.
Il sistema di difesa missilistico americano esiste davvero
Uno degli elementi più realistici del film è il sistema di difesa antimissile
situato a Fort Greely, in
Alaska, mostrato durante le sequenze di lancio degli
intercettori. Quella base esiste realmente e ospita i cosiddetti
Ground-Based
Interceptors (GBI), progettati per colpire in volo eventuali
missili balistici diretti verso il territorio statunitense. Nella
realtà, il sistema è operativo ma tutt’altro che infallibile: la
percentuale di successo dei test si aggira poco sopra il 50%,
proprio come sottolinea uno dei personaggi del film. Anche la
dinamica del fallimento – il primo intercettore che non si separa
correttamente, il secondo che manca l’obiettivo – è basata su
scenari documentati. In questo senso, A House of Dynamite restituisce con estrema
accuratezza la
fallibilità della tecnologia militare e il terrore che
nasce dal dover decidere in un sistema imperfetto.
Il “nuclear football”: mito da film o realtà concreta?
Nel terzo atto del film, il Presidente degli Stati Uniti
(interpretato da Idris
Elba) riceve la valigetta con i codici nucleari, la
celebre “nuclear
football” che accompagna ogni capo di Stato ovunque si
trovi. Questo dettaglio è totalmente reale. La valigetta esiste e
viene portata da un ufficiale scelto che segue il Presidente in
ogni spostamento, 24 ore su 24. Al suo interno si trovano i codici
di autorizzazione e i piani di risposta in caso di attacco. L’uso
di questo oggetto, già visto in numerosi film politici e militari,
è qui rappresentato con una fedeltà quasi documentaria: l’ufficiale
che legge le opzioni denominate “rare”, “medium” e “well done”
serve a sottolineare l’assurdità di una procedura tanto burocratica
quanto potenzialmente apocalittica. Bigelow mostra l’uomo più
potente del mondo ridotto a un semplice ingranaggio, costretto a
scegliere tra la distruzione e la passività, in un paradosso morale
che richiama i dilemmi reali della deterrenza nucleare contemporanea.
Gran parte della precisione di A House of Dynamite deriva dal lavoro di
Noah Oppenheim,
già autore e produttore di Zero Day e Jackie. Oppenheim, ex presidente di NBC
News, ha avuto accesso a fonti dirette all’interno del governo e ha
studiato per anni le catene di comando e comunicazione in caso di
emergenza nazionale. La struttura narrativa del film — divisa in
tre prospettive temporali che convergono nello stesso momento —
riflette le reali procedure di coordinamento tra il
Comando Strategico
(STRATCOM), la Casa Bianca e la difesa aerea. I dialoghi caotici su linee
video, le interferenze, i problemi di connessione e le interazioni
a distanza non sono invenzioni sceniche ma rappresentazioni
realistiche del modo in cui il potere moderno comunica in tempi di
crisi. È in questa verosimiglianza tecnologica e comportamentale che
il film trova la sua forza e il suo orrore: più che mostrare la
guerra, mostra la confusione di chi dovrebbe impedirla.
Un film verosimile, ma non una “storia vera”
In conclusione, A House of
Dynamitenon
racconta un fatto realmente accaduto, ma costruisce un
racconto verosimile basato su fatti e procedure autentiche.
L’attacco missilistico è frutto di fantasia, ma tutto ciò che ruota
intorno ad esso – dalla catena di comando alle decisioni politiche,
fino alla fallibilità umana – è costruito su solide basi reali.
Kathryn Bigelow usa la minaccia nucleare come specchio della nostra
epoca: un mondo che ha costruito la propria sicurezza su un
equilibrio fragile, una “casa piena di dinamite” pronta a esplodere
per errore, paura o orgoglio. Il film non ci chiede di credere che
la storia sia accaduta, ma di riconoscere quanto poco ci separa dal
renderla possibile.
Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow torna dietro la
macchina da presa con un film che unisce la tensione del thriller
politico alla precisione di un dramma morale. Dopo The Hurt Locker e
Zero Dark Thirty, la
regista premio Oscar costruisce un racconto di potere e
responsabilità che si svolge nell’arco di soli diciotto minuti: il tempo che separa
il lancio di un missile intercontinentale dalla sua possibile
esplosione sul suolo americano. Diviso in tre atti, il film
ripercorre lo stesso evento da tre prospettive diverse – quella
della Situation Room della
Casa Bianca, del Comando Strategico degli Stati Uniti e infine del
Presidente –
mostrando come la percezione del pericolo e la gestione del potere
cambino a seconda della distanza emotiva e istituzionale. Il
risultato è un racconto claustrofobico e lucidissimo, dove la
guerra nucleare non è solo una minaccia geopolitica, ma una
metafora della fragilità dei sistemi su cui si regge il mondo
contemporaneo.
Il nemico invisibile e la costruzione del caos
Fin dal primo atto, Bigelow evita la retorica del nemico
identificabile. Il missile che attraversa i cieli degli Stati Uniti
non ha un’origine certa: nessuno sa se provenga da una potenza
straniera, da un gruppo terroristico o da un errore interno. La
scelta di non rivelare l’autore dell’attacco è centrale nel
messaggio del film: l’antagonista non è una nazione, ma la macchina militare e
politica che abbiamo costruito — una “casa piena di
dinamite”, come suggerisce il titolo. Il vero terrore nasce
dall’inevitabile: una catena di decisioni prese in tempo reale, tra
informazioni incomplete, pressioni politiche e responsabilità
personali. In questo scenario, la tensione non deriva dall’azione,
ma dall’attesa: telefoni che squillano, linee criptate che cadono,
segnali satellitari che si interrompono. Bigelow filma il panico
con la freddezza del reportage, ma anche con un senso di
compassione per i personaggi, costretti a confrontarsi con la
propria impotenza.
Il fallimento degli eroi e la dimensione umana della
catastrofe
In A House of Dynamite (La
nostra recensione), la tecnologia e il potere politico si
rivelano strumenti inadeguati di fronte al caos. Quando il missile
viene individuato, l’esercito lancia due intercettori GBI per
distruggerlo, ma entrambi falliscono. È una sequenza di impotenza
collettiva: un intero sistema di difesa, costruito per reagire in
pochi minuti, collassa davanti alla complessità dell’errore umano.
L’ufficiale Gonzalez (Anthony Ramos) comprende per
primo la portata della catastrofe e, in un momento di disperazione,
si accascia a terra nella neve dell’Alaska. È un gesto silenzioso
ma devastante, che riassume il senso del film: la fine del mito dell’eroe come colui che
controlla il destino. Ogni decisione — quella del
militare, del politico, del tecnico — appare come un tentativo di
difendere non la patria, ma la propria umanità in mezzo al
disastro.
Uno dei personaggi più complessi è il Segretario alla Difesa Reid Baker,
interpretato da Jared
Harris, diviso tra il dovere istituzionale e la
tragedia personale. Quando scopre che la figlia vive a Chicago,
possibile bersaglio del missile, la sua razionalità vacilla. Il
film mostra la sua progressiva discesa nel dolore e nel senso di
colpa, culminando nella scena del suicidio sul tetto del Pentagono,
osservata indirettamente da altri personaggi in collegamento video.
In quel momento, la distanza tecnologica diventa disumanizzazione:
le grida e il rumore degli elicotteri si sentono senza che nessuno
possa intervenire. Bigelow, con la consueta sensibilità per la
psicologia del potere, mostra come anche chi occupa posizioni di
comando rimanga vittima delle stesse emozioni che cerca di
controllare. La tragedia personale del Segretario riecheggia quella
di Olivia Walker
(Rebecca
Ferguson), la comandante che lavora nella Situation Room mentre
il figlio è malato a casa. Entrambi incarnano l’impossibilità di
separare il privato dal pubblico, l’intimità dal potere.
Nel terzo atto, il film introduce finalmente il Presidente degli Stati Uniti,
interpretato da Idris Elba,
fino a quel momento solo una voce al telefono. È lui a incarnare la
sintesi di tutte le contraddizioni viste fino a quel punto: un uomo
di potere che deve decidere se rispondere o meno all’attacco, pur
non avendo la certezza della sua origine. Mentre viene evacuato in
elicottero, gli viene consegnato il “nuclear football”, la
valigetta che contiene le opzioni di risposta, etichettate
ironicamente come “rare”, “medium” e “well done”. L’assurdità del
linguaggio burocratico di fronte all’estinzione è uno dei momenti
più intensi del film. La tensione cresce fino al parossismo quando
il presidente, incapace di contattare la moglie, pronuncia il
codice di autorizzazione e ordina il contrattacco. È un finale
aperto e devastante: la
bomba esplode, ma ciò che rimane è la domanda morale —
quanto siamo disposti a sacrificare per mantenere l’illusione del
controllo?
Il significato del finale: vivere in una casa piena di
dinamite
L’ultima immagine del film non mostra la distruzione, ma il
silenzio. La scelta di Bigelow è deliberata: il vero “scoppio” non
è quello nucleare, ma quello della consapevolezza. “Viviamo in una
casa piena di dinamite” dice il Presidente, citando il podcast che
dà il titolo al film. È una metafora potente e universale: la
civiltà moderna ha costruito un sistema di sicurezza globale che in
realtà poggia su un equilibrio fragile e autodistruttivo.
A House of Dynamite non
è solo un film politico, ma una meditazione sul paradosso del progresso, sulla
tensione tra competenza e caos, potere e vulnerabilità. Nel suo
epilogo aperto, Bigelow non offre risposte ma apre un dialogo —
quello stesso “scoppio” interiore che la regista auspica negli
spettatori, chiamati a riflettere non tanto sull’eventuale
apocalisse, quanto sulla responsabilità collettiva che ci unisce
nel prevenirla.