In diretta sulla piattaforma Zoom, è stato presentato in Italia il nuovo film di Lech Majewski: autore eclettico, non solo regista, ma anche scrittore e pittore, dalla carriera più che trentennale e la collaborazione con i più disparati artisti internazionali.
Valley of the gods è stato il suo ultimo lavoro, finito di girare appena prima dell’inizio della pandemia, e che CG Entertainment ha atteso a lungo a distribuire proprio per realizzarne l’uscita esclusiva nelle sale cinematografiche.
Durante l’incontro stampa mediato da CG Entertainment, il regista ha narrato la genesi dell’idea del film e della sua realizzazione. Insieme a lui c’era parte del cast rappresentata da Bérénice Marlohe (Song to song e Skyfall) e Keir Dullea (2001 Odissea nello spazio), che ha regalato un piacevolissimo siparietto iniziale nel quale, per diversi minuti, ognuno dei tre si è festosamente salutato di fronte alla divertita partecipazione di stampa ed esercenti.
Il film è un racconto che si addentra nella mente di uno scrittore (Josh Hartnett), senza curarsi troppo di dettagliati riferimenti cronologici e lineari, la cui vita entra in collisione con l’uomo più ricco del mondo (John Malkovich) che sta per appropriarsi di un vasto territorio appartenente al popolo dei Navajo, per sfruttarne i giacimenti di uranio.
Lech Majewski spiega che l’ispirazione gli è venuta qualche decennio fa. Con Viggo Mortensen stava pianificando i dettagli del film Gospel according to Harry e, nel cercare un paesaggio desertico, si era trovato per la prima volta nella Monument Valley. Il contatto con quella realtà lo aveva lasciato senza fiato, in particolar modo quando era riuscito a entrare in relazione con gli abitanti di quelle terre: «I Navajo sono continuamente proiettati verso gli spiriti dei loro antenati», racconta Majewski, «E in tutto ciò che osservano ne colgono i significati, quello che si nasconde. Nonostante le condizioni di disagio in cui vivono, hanno una vita interiore ricchissima, che li rende persone sempre in pace e in armonia. Con questo film ho infatti desiderato creare uno scontro tra il cinema commerciale, con la sua cultura pop che spesso abusa degli effetti speciali facendone quasi una pornografia, e la mitologia antica. E l’ambientazione scelta per il lussuoso castello con il maggiordomo, ad esempio, è un chiaro riferimento a Batman e al suo rapporto con Alfred».
Ambientazione che fa da eco ai ceti più potenti degli Stati Uniti, prosegue il regista: «Quando stavo scrivendo e producendo Basquiat ho intervistato alcuni dei miliardari più famosi degli USA, e ciò che più mi aveva colpito è che, nonostante abbiano una marea infinita di possibilità, vivono blindati in gabbie dorate, impauriti e protetti da un mondo esterno pieno di pericoli. E gli unici con cui hanno rapporti costanti, sono i loro collaboratori».
Persone fragili e interiormente inconsistenti, proprio come il magnate interpretato da John Malkovich, Wes Tauros. E alla domanda su come sia stato lavorare con l’attore, il regista risponde che gli era stato detto che non sarebbe stato facile: «Secondo alcuni è un tipo intransigente, invece l’ho trovato di una gentilezza rara. Disponibile e umile a qualunque indicazione gli dessi».
Così come per Josh Hartnett, che gli ha addirittura confessato di essere stato ispirato da Basquiat nella scelta di voler fare l’attore.
Viene poi chiesto a Bérénice Marlohe come si sia trovata a lavorare a questo progetto, dopo aver interpretato nella sua carriera – tra gli altri – ruoli in film di Terrence Malick e David Lynch: «Devo stare attenta a quel che dico perché mi sente», dice ridendo, «Mi sono sinceramente appassionata al modo in cui Lech ha affrontato temi così complessi e sfaccettati, proprio com’è lui stesso. Dopo aver letto la sceneggiatura la prima volta, ho pensato che condividessi pienamente il suo punto di vista. Vedere film come Valley of the gods oggi è molto difficile. Penso che sia una sorta di magia dare voce a civiltà dalle radici così preziose e di cui non si parla quasi mai».
La parola passa di nuovo al regista quando gli viene chiesto quale sia il suo rapporto con il cinema italiano. E Lech Majewski svela quanto la sua formazione nasca interamente dall’arte italiana, partendo proprio dalla pittura: «Quando da ragazzo studiavo per diventare pittore, ero rimasto impietrito davanti alla “Tempesta”, il dipinto del Giorgione esposto alla Galleria dell’Accademia di Venezia. Avevo provato la stessa sensazione al cinema per una scena di Blow Up. Ho pensato che se Giorgione fosse stato ancora vivo sarebbe stato Michelangelo Antonioni. Così mi è scattata la scintilla che mi ha fatto scegliere d’iscrivermi alla scuola di cinema».
Il regista rivela che fin da adolescente guardava film in italiano, pur non capendo quasi nulla dei dialoghi. E alla curiosità sull’eventualità di un nuovo film da girare proprio in Italia, risponde: «Mi piacerebbe tantissimo. Ho un debole per Dino Buzzati».
Il film uscirà in sala il 3 giugno.



Quando Loki ha dimostrato di essere a tutti gli effetti il Dio dell’Inganno, in genere le sue azioni implicano sempre i suoi poteri di Mutaforma. Nel
Loki ha creato una serie di illusioni nel MCU, ingannando diversi personaggi e spingendo loro a credere che quelle sue “copie” fossero autentiche. I fumetti hanno trattato questa sua capacità in maniera ancora più grande, poiché Loki è stato in grado di creare illusioni con lo scopo di ingannare intere città, come si vede ad esempio in “Journey Into Mystery #96”.
Il Loki di Terra-616 è la versione principale del personaggio che esiste nei fumetti, ma ce ne sono molte altre provenienti da una serie di universi alternativi. Tra queste figura il Loki di Terra-94001, che ha rivendicato con successo Asgard, il Loki di Terra-9997 che divenne il leader dei Vendicatori, ma anche il Loki di Terra-691, che addirittura visse sulla luna.
Nel primo Thor, abbiamo visto Loki apparire in visita a suo fratello mentre era invisibile durante la sua prigionia con lo S.H.I.E.L.D., ma aveva dovuto lasciare fisicamente Asgard per arrivarci. Loki ha il potere della proiezione astrale nei fumetti, come spiegato in “Avengers #1”, che gli consente di viaggiare attraverso le barriere dimensionali.
Loki ha dimostrato di possedere la mente di un genio nei fumetti, come in “Thor #378”, dove ha realizzato una macchina per aumentare i poteri dell’Uomo Ghiaccio. Solo i veri fan del Loki del MCU ritengono che il Dio dell’Inganno sia un genio, ma è tempo che la serie lo confermi.
Probabilmente, la versione di Loki con le caratteristiche migliori era quando il Dio dell’Inganno era un bambino. Parte della serie “Journey Into Mystery” includeva un Loki bambino nato dal sacrificio della versione adulta dello stesso. Questo Loki era veramente buono e voleva a tutti i costi rimediare al suo passato.
I fan hanno adorato i modi in cui Loki ha cercato di dimostrare di essere superiore a Thor, e nei fumetti il Dio dell’Inganno crea addirittura dei cattivi per inimicarsi il fratello. Ad esempio, il celebre cattivo Uomo Assorbente è stato creato da Loki in “Journey Into Mystery #114”.
Ci sarà sicuramente un momento nella serie in cui Loki tirerà fuori uno dei suoi tradimenti attuati nel franchise. A tal fine, sarebbe perfetto se assumesse la forma di un supereroe significativo nel MCU come modo per ingannare sia gli spettatori che gli stessi personaggi dell’universo.
La strana logica che Loki ha applicato come giustificazione alle sue azioni ha spinto i fan a creare una serie di meme ad hoc. In realtà, Loki non si è mai scusato per nulla, poiché ha scelto di rimanere in silenzio di fronte alle sue azioni, magari attribuendo la colpa a qualcun altro.

I protagonisti Sergio Castellitto e Francesco Patané
Vedova Nera ha fatto il suo debutto in
Nel primo film degli Avengers, Nick Fury ha dovuto riunire gli eroi e fargli lavorare come una forza combinata per sconfiggere Loki e l’imminente invasione aliena. Tuttavia, si trattava pur sempre di eroi dall’ego spropositato che dovevano imparare ad andare d’accordo…
In 
Ci sono molti momenti nei film dei
Anche
Come accennato, il combattimento di Bifrost è un altro momento di 
Molti spettatori che non avevano familiarità con le trame dei fumetti 








