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“L’arte non è criticabile moralmente”, Luca Barbareschi presenta il suo film The Penitent a Venezia

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, The Penitent – A Rational Man è il nuovo film da regista di Luca Barbareschi, presente al Lido anche in qualità di produttore di The Palaceil film di Roman Polanski presentato anch’esso nella sezione Fuori Concorso. Intervistato per presentare la sua nuova fatica da regista, Barbareschi spiega innanzitutto il perché abbia scelto di adattare per il grande schermo un testo del drammaturgo David Mamet, da lui già portato in teatro.

In esso si racconta di uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh, che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

“Ho scelto questo testo perché racchiude, grazie all’opportunità di un fatto di cronaca, tutta l’imbecillità e la violenza che c’è nei confronti di un pensiero diverso, che non dico che sia giusto ma penso che tutti abbiano idee diverse e non per questo siano necessariamente meglio o peggio, anzi è interessante avere un’idea diversa – spiega Barbareschi. “Questo film doveva farlo un altro attore, ma alla fine Mamet mi ha detto “secondo me sei più bravo tu, perché non lo fai?” e a quel punto mi sono trovato a confrontarmi con un personaggio in cui mi sono ritrovato moltissimo”.

“Proprio come capita al protagonista, tante volte è capitato anche a me di essere stato linciato dalla stampa e ho visto quanta sofferenza questo tipo di situazioni provoca. Alla fine non c’era più differenza tra quello che dicevo e quello che facevo e questo film è uno dei rari privilegi in cui il meccanismo della finzione, della rappresentazione, dà un’opportunità di offrire una restituzione affettiva allo spettatore, mediata da una realtà dei fatti molto forte”.

Mostra del Cinema di Venezia, tra omologazione e controversie

Barbareschi passa poi a parlare più in generale della Mostra di quest’anno, dove sono presenti autori controversi come il già citato Polanski e Woody Allen con Coup de Chance. Proprio durante il red carpet di quest’ultimo si è svolto un piccolo evento di protesta per la presenza del regista newyorkese. “Vedere insultato in quel modo Woody Allen mi ha fatto male al cuore. Se in quel gruppo ci fosse stato Gabriel Garcia Marquez, Joyce e Dante Alighieri, allora sarebbe stata un’interessante sfida ermeneutica tra giganti della letteratura che danno del mascalzone ad uno dei più grandi registi della terra”. 

“Invece erano un branco di imbecilli a cui la stampa ufficiale dà voce. Il giornalismo è importante se mantiene il sacerdozio della sua funzione, cioè della responsabilità”, continua a spiegare Luca Barbareschi. “Non ci può essere un giudizio morale sull’artista, peggio ancora un avviso di garanzia al passato. L’arte non è criticabile moralmente. Alberto Barbera penso abbia preso seriamente questa cosa e ha avuto il coraggio di presentare in questa Mostra, ovvero un’esibizione di arte, registi provocatori”.

“Io vorrei fosse ancor più provocatoria in realtà, vorrei essere stupito, anche disturbato! Sono cresciuto vedendo film dove non si capiva nulla ma uscivi dalla sala e sapevi di esserti confrontato con qualcosa che dice effettivamente delle cose. Troppo spesso invece il cinema si omologa, così come si è omologata la critica”.

Il ruolo della critica cinematografica

Luca Barbareschi passa allora a parlare della critica cinematografica, affermando che: “un tempo la critica proponeva dei saggi così precisi e chiari da riuscire davvero ad influenzare il pubblico. Nel tempo lo spazio per questo tipo di scrittura si è però ridotto, si è corrotto, si è mercificato e si è autoreferenzializato”.

“Nel momento in cui tu ti metti davanti al film, tu crei uno stallo per cui non è più importante il quadro, è importante il fatto che io guardi il quadro. – continua a spiegare il regista – Diventa più importante chi guarda dell’artista. Questo nella critica cinematografica è grave. Tu puoi parlar male di un film, ma non puoi dire “è peggio di Vanzina”, perché allora sei un imbecille, perché primo devi rispettare Polanski e poi analizzare il film se sei capace di farlo. Liquidare un’opera con poco svilisce la critica, la delegittima e alla fine è un danno per tutti”.

Io credo che nessuno sappia le differenze tra le lenti che ho usato per The Penitent – A Rational Man. Se non lo sai vedi sfocata l’immagine sullo schermo e pensi sia un errore, mentre l’obiettivo era quello di tenere apposta una sfocatura per dare un senso di destabilizzazione. Questa è sapienza narrativa, io ho studiato per usare queste robe qua. Mi andrebbe bene che mi dicessero “Luca perché usi questo tipo di lenti che è come fare un errore sintattico?”, allora ti rispetto. Se no non ha valore il tuo giudizio, a quel punto tanto vale che ci leviamo la giacca e veniamo alle mani”, conclude Luca Barbareschi.

Tutta la luce che non vediamo: un video dal backstage della miniserie Netflix

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Netflix rilascia un video che svela i dietro le quinte e interviste esclusive di Tutta la luce che non vediamo, la rivoluzionaria miniserie tratta dall’omonimo romanzo best seller e vincitore del Premio Pulitzer di Anthony Doerr, diretta da Shawn Levy e scritta da Steven Knight. La miniserie in quattro episodi sarà disponibile solo su Netflix, in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo, dal 2 novembre 2023.

La protagonista Marie-Laure LeBlanc è interpretata dalle attrici esordienti Aria Mia Loberti e Nell Sutton (Marie-Laure da giovane). Al loro fianco Mark Ruffalo (Daniel LeBlanc), Hugh Laurie (zio Etienne), Louis Hofmann (Werner), Lars Eidinger (Von Rumpel) e Marion Bailey (Madame Manec).

La miniserie è prodotta da Shawn Levy, Dan Levine e Josh Barry per 21 Laps Entertainment (Stranger Things, The Adam Project, Tenebre e Ossa, Arrival, Free Guy). Anche Steven Knight è produttore esecutivo, mentre Joe Strechay (See, The OA) è produttore associato e consulente per la cecità e l’accessibilità.

Tutta la luce che non vediamo, la trama

Tratta dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer, Tutta la luce che non vediamo è una miniserie che segue la storia di Marie-Laure, una ragazza francese cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la resistenza. In questa cittadina sul mare una volta idilliaca, il percorso di Marie-Laure incrocia inevitabilmente quello di un’improbabile anima gemella: Werner, un adolescente brillante arruolato dal regime di Hitler per rintracciare le trasmissioni illegali, che invece possiede un legame segreto con Marie-Laure e con la sua fiducia nell’umanità e la sua speranza. Intrecciando abilmente le vite di Marie-Laure e Werner nel corso di un decennio, Tutta la luce che non vediamo racconta la storia dell’incredibile potere dei legami tra le persone, un faro di luce che può guidarci anche nei tempi più bui.

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Fien Troch, regista belga, presenta Holly in Concorso a Venezia 80. Un racconto di crescita che mescola mito e realtà dove tutto è nelle mani di una giovane ragazza di 15 anni, alla quale forse si chiede troppo. Dopo aver già trionfato nella sezione Orizzonti con il precedente Home, la regista belga prende le redini di questo progetto cercando un po’ più di libertà creativa, cosa che sicuramente si ritrova in questo ultimo lungometraggio. La capacità di osare per abbattere barriere e spingersi oltre. Durante il processo creativo del film, infatti, c’è stata la volontà di rendere Holly un film corale ma è stata abbandonata immediatamente mettendo al centro questa protagonista problematica e complessa anche nella sua messa in scena.

Una ragazza normalissima che improvvisamente viene accreditata di un talento speciale, in una comunità che è molto ricettiva nei confronti di qualcosa di “soprannaturale” a causa di un evento tragico che fa da premessa al film. Una favola moderna che per citare un film italiano sempre presenta a Venezia negli anni passati ricorda La santa piccola per impostazione e soggetti della trama.

Holly, la trama

La quindicenne Holly chiama la scuola per dire che resterà a casa per tutto il giorno. Poco dopo, nella scuola scoppia un incendio che uccide diversi studenti. La comunità, toccata dalla tragedia, si riunisce per cercare di guarire. Anna, un’insegnante, incuriosita da Holly e dalla sua strana premonizione, la invita a unirsi al gruppo di volontariato che gestisce. La presenza di Holly sembra portare tranquillità, calore e speranza a coloro che incontra. Ma presto le persone iniziano a cercare Holly e la sua energia catartica, chiedendo sempre di più alla giovane ragazza.

Fede e mito: due facce della stessa medaglia. Holly si muove su questo confine senza mani sfociare nell’uno o nell’altro. L’elemento paranormale che dà però il via alla premessa del film e tiene chiara la linea della trama fino alla fine mistica della pellicola. Cathalina Geeraerts interpreta Holly in modo enigmatico e complesso, l’attrice riesce a trasmettere allo spettatore il disagio di portare avanti questo “lavoro” che quasi immediatamente diventa ancora più tortuoso per la giovane adolescente. È come, infatti, se per tutto il film si portasse avanti anche la crescita di lei come giovane donna in un mondo in cui le persone sono sempre pronte ad approfittarsi di te.

Holly film

La strega

Nella premessa del film scopriamo come la famiglia di Holly, in particolare lei e il fratello, vengano bullizzati a scuola, etichettati come gli strambi del liceo. L’incidente a scuola non fa altro che aumentare queste voci solo che le persone della comunità di Holly hanno toccato con mano il suo potere. Il potere di riuscire a far sorridere le persone anche solo per un attimo e donare loro il buon umore. Ma Holly non fa solo questo agisce anche in modo diretto su persone colpite da malattie, la impongono anche contro la sua volontà come una specie di giovane profeta, una santa, quando il suo soprannome a scuola era “la strega”. Nonostante il film giochi molto sul tema dei miracoli, la fede non viene mai menzionata. Anche l’associazione inglese tra il nome Holly e Holy (santa) richiama questo dualismo che Fien Troch tende a portare in scena.

A questo racconto si contrappone una sorta di fanatismo religioso. Le persone si vogliono approfittare di Holly e del suo potere soprannaturale al punto che lei arriva a farsi pagare per le sue prestazioni. Un film che tende molto a rimarcare questo aspetto quando la macchina da presa si sofferma sui gioielli e sulle scarpe che Holly compra con questi soldi. Poi però, come prosciugata da questa vita, il suo umore cambia. Come se si aspettare ancora che qualcosa di terribile stia per accadere. Anche il finale lascia comunque parecchi punti in sospeso per un film dalla trama parecchio semplice e poco articolata.

Lubo, il “film nomade” di Giorgio Diritti presentato a Venezia 80

Alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, oggi è il giorno di Lubo di Giorgio Diritti. Nel film, Franz Rogowski interpreta il nomade Lubo, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.

La stesura di Lubo

Alla conferenza stampa tenutasi questo pomeriggio, il regista ha raccontato dell’incontro con questo libro e di come ha deciso di trarne una sceneggiatura: “Un po’ di anni fa un’amica mi ha parlato di questo romanzo di Mario cavatore che parlava di questa vicenda particolare e ho avuto occasione di incontrare Mario con cui ho anche condiviso tante serate in compagnia fin quando c’è stato il romanzo mi ha colpito perché raccontava di questa vicenda un po’ particolare avvenuta in Svizzera in un paese che nell’immaginario comune e simbolo di democrazia e grande civilita. Questa storia è specchio dell’incapacità dell’uomo di capire la diversità che a mio avviso è invece di grande valore“.

Rispetto al romanzo ho scelto un percorso differente sono stato molto di più sul protagonista perché mi sembrava interessante vivere con lui uomo che vive la sua normalità di artista di strada e a cui viene addosso qualcosa di molto drammatico che gli modificherà la vita. Importante sentire risvolti di questo in un uomo che vive l’angoscia della solitudine ma lotta comunque per avere un futuro. I protagonisti e le vicende parlano anche a noi in fondo i film sono dei viaggi un po’ onirici che spesso toccano anche la nostra coscienza ed è una delle grandi magie del cinema darci occasione di ripensare al valore della vita è degli altri“.

L’interpretazione di Rogowski

Franz Rogowski, internazionalmente noto come un interprete camaleontico, ha poi approfondito il suo lavoro sulle varie identità del personaggio e in che maniera questa storia lo ha toccato personalmente. “Questo carattere e una combinazione della storia nostra, della nostra identità europea. Collaborazione di costume, quello che è scritto, crei ogni giorno un piccolo pezzo di questa vita e diventa quasi sempre qualcosa che non ti aspettavi ma e il risultato della vita che hai avuto con questi artisti attorno. Ho studiato il testo, tre lingue che non sono le mie, un sacco da preparare in modo tecniche“.

Valentina Bellè è Margherita

Valentina Bellè ha espresso la sua gratitudine a Diritti per averla coinvolta in un progetto di tale rilevanza: “Ci siamo incontrati con Giorgio un anno fa e abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata in cui ho avuto l’impressione che cercasse la persona prima del personaggio. Sul set nasce poi effettivamente quello che si vedrà e ti sorprende sempre non puoi mai prevedere cosa succcede. Tutti e due hanno subito il contesto della guerra in modi diversi. Margherita e una possibilità di amore sincero e tenerezza“.

L’internazionalità di Lubo

L’internazionalità è sicuramente la caratteristica produttiva che più identifica Lubo. I produttori del film hanno, a questo proposito, sottolineato come “il cinema italiano guarda oltre i suoi confini, è stato come scalare una montagna. Il film ha una grande complessità in più lingue, location storiche. Anche noi siamo diventati come il carro di LUBO, persi in un itinerario in cui era impossibile incastrare clima, riprese e necessità“. “Un film nomade pieno di eroi un sacco di lingue avventura straordinaria gestazione lunga e grazie alla tenacia di Giorgio come Rai cinema siamo molto orgogliosi e ringraziamo Giorgio“.

Infine, una riflessione sulle istituzioni e sulla violenza che ne deriva quando le leggi sono sbagliate: “Siamo molto vicini a una guerra che dura da tanto e di cui si raccontava qualche mese fa di bambini ucraini rapiti dai russi. Uno dei limiti dell’umanità malgrado gli sforzi e che gli errori ritornano. Ho avvertito la necessita di raccontare storia legata anche al cercare di dare un significato politico nel senso di sensibilizzare raccontando per che le persone abbiano un atteggiamento vigile nei confronti di tutti quegli elementi che portano a fare qualcosa contro la vita. In un ambiente di violenza subita spesso nasce una reazione il nostro protagonista ha un grande onore di farsi carico di una scelta responsabile per fare qualcosa per quei famigliari che sono ancora a lui vicini“.

Film di Settembre in sala: il ritorno di The Nun, Garrone e Una storia vera

Dopo un mese di agosto che, contrariamente alle tradizioni nostrane, ha visto le sale piene grazie a Oppenheimer, uscito il 23 agosto, e alla lunga coda di Barbie, il prossimo settembre in sala si preannuncia altrettanto interessante, con diversi titoli e novità che abiteranno gli schermi italiani. Tra questi, c’è uno dei film italiani più attesi della stagione, presentato alla 80esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, un restauro importantissimo, e tanti titoli nuovi.

Vediamo insieme le novità in sala dal 7 settembre

Una storia vera

La Cineteca di Bologna riporta sul grande schermo la pellicola del 1999 Una storia vera, in originale The Straight Story, di David Lynch realizzato da StudioCanal. Dopo i restauri di Eraserhead, The Elephant Man, Mulholland Drive e Strade perdute è il momento per gli amanti del cinema d’autore di riscoprire la lunga traversata di Richard Farnsworth in sella al suo trattore. La trama è il viaggio di un uomo anziano che vuole raggiungere suo fratello per far pace con lui è l’unico modo per raggiungerlo è attraversare gli Stati Uniti guidando un piccolo automezzo agricolo. Questo si può ritenere un road movie rurale e il ribaltamento di quello che si mostrava in Cuore selvaggio uno dei cult della filmografia del creatore della serie tv I segreti di Twin Peaks.

The Nun II

Dal 6 settembre è già disponibile in sala il secondo capitolo della saga horror spin-off di The Conjuring. The Nun II è diretto da Michael Chaves e vede il ritorno della diabolica suora Valak sempre interpretata da Bonnie Aarons. Questo sequel è ambientato nella Francia del 1956, dove un prete viene trovato morto e suor Irene Palmer, ancora una volta l’attrice Taissa Farmiga, indaga su quanto accaduto. Durante le sue ricerche la sorella Irene capisce che dovrà affrontare ancora una volta la demoniaca suora.

Il più bel secolo della mia vita

Presentato in anteprima al 53° Giffoni Film Festival, dove è stato eletto miglior film nella sezione Generator +18, arriva in sala da questo primo giovedì del mese Il più bel secolo della mia vita. Questo film è tratto dall’omonima pièce teatrale di Alessandro Bardani e Luigi Di Capua, di cui lo stesso Bardani si è occupato della regia del suo primo film. Una dramedy che racconta di una legge in Italia che impedisce a un figlio non riconosciuto alla nascita di sapere l’identità dei propri genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. I personaggi principali di questa folle storia di sono il centenario Gustavo e Giovanni che sono interpretati da Sergio Castellitto e il comico Valerio Lundini qui al suo debutto come protagonista di un lungometraggio.

Io capitano

Direttamente dal Festival del cinema di Venezia 80 e in concorso per il Leono d’oro, arriva in tutti i cinema italiani il nuovo film di Matteo Garrone. Io capitano è l’odissea contemporanea dei giovani Seydou e Moussa che lasciano il Senegal per raggiungere l’Europa. Ovviamente sappiamo tutti che il cammino di questi ragazzi non sarà facile, anzi rischieranno la vita tutti i giorni e forse non arriveranno mai alla loro tanto desiderata meta per realizzare i loro sogni. Il regista romano non si risparmia e mostra la verità del loro lungo viaggio dall’insidie del deserto, dagli orrori dei centri di detenzione in Libia e l’attraversata a bordo di fatiscenti barche nel Mare Mediterraneo.

Tell It Like a Woman

Tell It Like a Woman è una pellicola che si declina interamente in chiave femminile. I vari segmenti che la compongono sono diretti da registe donne provenienti da diverse parti del mondo, girati tra Italia, India, Giappone e l’America e spaziano attraverso diversi generi, dal dramma alla commedia, passando per il documentario e per il cinema d’animazione. Nonostante ognuna di loro sia diversa dalle altre, tutte hanno una cosa in comune: si ritrovano a dover affrontare una dura sfida nella loro esistenza. Nel cast corale troviamo volti noti come Margherita Buy, Cara Delevingne, Marcia Gay Harden, Eva Longoria, Jennifer Hudson e Pauletta Washington.

Uomini da marciapiede

Siamo in giugno e i tifosi più appassionati si preparano ai trenta giorni di partite degli Europei di calcio 2021. I protagonisti di Uomini da marciapiede sono un gruppo di squattrinati che per sbarcare il lunario si mettono a fare il mestiere più antico del mondo per mogli e fidanzate annoiate alla ricerca di qualche avventura facile. Il cast di questa commedia italiana è composto da Francesco Albanese, che si occupa anche della regia, dal comico Paolo Ruffini, Luigi Luciano, Clementino, Rocío Muñoz, Francesco Pannofino, Serena Grandi e Ilaria Spada. 

Austin Butler e Tom Hardy protagonisti del trailer di The Bikeriders

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Austin Butler e Tom Hardy interpreteranno dei motociclisti in uno dei loro prossimi film diretto da Jeff Nichols. 20th Century Studios ha diffuso un nuovo trailer per The Bikeriders, film è ambientato in una città immaginaria negli anni ’60 e atteso nelle sale USA per il 1° dicembre. Il trailer inizia con Johnny (Hardy) che ricorda a Benny (Butler) di aver fondato il club di motociclisti chiamato The Vandals, e di come sia diventato una famiglia. Poi mostra Kathy (Jodie Comer) che incontra Benny e si innamora di lui. I due si innamorano e si sposano rapidamente, con Kathy che spera di riuscire a convertirlo e ad abbandonare i suoi modi violenti. Tuttavia, il trailer mostra Benny che litiga in un bar, il che porta Johnny e The Vandals a allontanarlo.

Durante tutto il trailer, la banda di motociclisti continua a dedicarsi ad attività sempre più pericolose e illegali. Il trailer mostra anche Johnny che dice a Kathy che non riuscirà mai a convincere Benny a smettere di essere un motociclista.

The Bikeriders è stato diretto da Jeff Nichols. Sebbene il film racconti una storia di fantasia, The Bikeriders è stato ispirato dall’omonimo libro fotografico del 1968 di Danny Lyon. All’inizio di questa settimana, il film ha debuttato al Telluride Film Festival ottenendo recensioni entusiastiche. A ottobre sarà proiettato al London Film Festival.

Nel cast, oltre a Hardy, Comer e Butler, c’è anche Michael Shannon che interpreta un membro dei Vandals. Shannon ha lavorato con Nichols in numerosi film, tra cui Midnight Sun e Take Shelter del 2011. Nel film saranno presenti anche Mike Faist, Boyd Holbrook e Norman Reedus.

Venice kids anteprima: nasce una nuova casa per bambine e bambini

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Il 6 settembre è stata una data importante per le Giornate degli Autori: in collaborazione con Isola Edipo e 100autori si è presentato il progetto Venice Kids, uno spazio interamente pensato per i più giovani alla Mostra del Cinema. Nel 2024 si aprirà infatti un luogo-laboratorio dedicato alle bambine e ai bambini alla  scoperta del cinema, della creatività, del gioco e della fantasia. Non sarà un semplice Kinderheim a disposizione di genitori e figli, degli ospiti della Mostra e degli abitanti del Lido, ma una vera “casa” voluta dalla sezione indipendente degli autori (promossa da ANAC e 100autori) per gli spettatori di domani.

I dettagli del programma Venice Kids, che partirà in coincidenza con la XXI edizione delle Giornate degli Autori, sono stati svelati alle 11.30 di mercoledì 6 settembre in Sala Laguna (Via Pietro Buratti 1) con la partecipazione di testimonial d’eccezione e una folta platea di bambine e bambini.

A guidare il giovanissimo pubblico alla scoperta della fantasia creativa – che è poi il tratto distintivo del progetto – è arrivato a Venezia un protagonista d’eccezione: il regista d’animazione Enzo d’Alò, che alla Mostra è legato da uno  storico (e ricambiato) affetto, fin dal film d’esordio (La freccia azzurra,  1996) e poi con La Gabbianella e il Gatto sino al coloratissimo Pinocchio, che nel 2012 apriva le Giornate degli Autori.

Alla vigilia del suo nuovo lavoro, Mary e lo spirito di mezzanotte, liberamente tratto dal romanzo di Roddy Doyle, in uscita solo al cinema con BIM il 9 novembre prossimo, Enzo d’Alò così racconta la sua adesione al progetto Venice Kids: “Prima del mio esordio nel lungometraggio avevo lavorato alla creazione di cortometraggi d’animazione per più di dieci anni con bambini e adolescenti, costruendo un percorso narrativo che mi ha poi accompagnato in tutta la carriera. Vorrei raccontare questo fil rouge che caratterizza la dimensione creativa, condividendo con i giovani spettatori di Venezia alcuni esempi tratti dal dietro le quinte del mio ultimo film. Mi piacerebbe illustrare il percorso creativo di un film d’animazione: dal soggetto alla sceneggiatura, dalla sceneggiatura alla ricerca grafica (mostrando lo studio dei personaggi principali), dalla ricerca degli ambienti e dei suoni fino alla costruzione dell’universo grafico del mio cinema”.

Per l’occasione le Giornate degli Autori, Isola Edipo e 100autori desiderano ringraziare i produttori e il distributore BIM per la presentazione in anteprima di una sequenza del film e del trailer di Mary e lo spirito di mezzanotte; siamo tutti riconoscenti ai testimonial della giornata e specialmente a Enzo d’Alò per aver condiviso questo sogno con noi alla vigilia del suo compleanno, alla mezzanotte del 6 settembre.

Il vecchio e il muro, presentato a Venezia 80 il cortometraggio di Antonio Palumbo

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In occasione della consegna del Sorriso Diverso Venezia Award, che si è tenuta il 6 settembre 2023, presso l’Hotel Ecxelsior di Venezia Lido, durante la 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è stato presentato, in apertura, il cortometraggio Il vecchio e il muro, diretto dal regista e attore Antonio Palumbo.

Il cortometraggio è stato scelto in quanto vincitore assoluto del Festival Tulipani di Seta Nera 2023, promosso da Rai per il sociale per una proiezione in apertura della cerimonia di consegna del premio collaterale.

La potenza di questo cortometraggio è evidente – afferma Claudia Pastorelli, Vicario della Direzione regionale Inail Puglia, che ha sostenuto la realizzazione del film – parlano le immagini, la musica e i silenzi: narrano di malattia, una delle patologie professionali in crescita negli ultimi anni, ma parlano anche e soprattutto di prevenzione. Dalla nostra parte la certezza di aver promosso un progetto ben costruito, ben realizzato e assolutamente innovativo: un modo di parlare di sicurezza sul lavoro instaurando un dialogo diretto con lo spettatore, con i lavoratori. Una strada di successo che continueremo a percorrere.”

Madrina della Cerimonia l’attrice Giovanna Sannino di Mare Fuori. L’evento è organizzato da Diego Righini, direttore del Festival Tulipani di Seta Nera.

Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

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Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

Prime Video ha svelato il trailer ufficiale dell’attesissima serie Original Gen V, dal mondo di The Boys. La serie debutterà in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo venerdì 29 settembre con i primi tre episodi, seguiti da nuovi ogni settimana fino all’epico finale di stagione di venerdì 3 novembre.

Ambientato nel mondo diabolico di The Boys, Gen V espande l’universo della Godolkin University, il prestigioso college per soli supereroi dove gli studenti si esercitano per diventare una nuova generazione di eroi, preferibilmente con sponsorizzazioni lucrative. Non tutti, però, scelgono la strada della corruzione. Oltre al classico caos universitario, oltre alla ricerca della propria identità e alle feste, questi ragazzi si troveranno ad affrontare situazioni letteralmente esplosive. Mentre si contendono popolarità e buoni voti, è chiaro che la posta in gioco è molto più alta quando sono coinvolti dei super poteri. Quando il gruppo di giovani dai poteri soprannaturali scopre che qualcosa di più grande e sinistro sta succedendo a scuola, saranno messi alla prova: sceglieranno di diventare gli eroi o i cattivi delle loro storie?

Il cast della serie include Jaz Sinclair, Chance Perdomo, Lizze Broadway, Shelley Conn, Maddie Phillips, London Thor, Derek Luh, Asa Germann, Patrick Schwarzenegger, Sean Patrick Thomas e Marco Pigossi. In Gen V vedremo anche Clancy Brown e Jason Ritter nel ruolo di guest star, oltre alla partecipazione straordinaria di Jessie T. Usher, Colby Minifie, Claudia Doumit e P.J. Byrne negli stessi ruoli che interpretano in The Boys.

Michele Fazekas e Tara Butters sono showrunner ed executive producer della serie. Eric Kripke, Seth Rogen, Evan Goldberg, James Weaver, Neal H. Moritz, Ori Marmur, Pavun Shetty, Ken Levin, Jason Netter, Garth Ennis, Darick Robertson, Craig Rosenberg, Nelson Cragg, Zak Schwartz, Erica Rosbe e Michaela Starr sono executive producer anche dello spinoff della serie. Nel ruolo di co-executive producer troviamo Brant Englestein, Sarah Carbiener, Lisa Kussner, Gabriel Garcia, Aisha Porter-Christie, Judalina Neira e Loreli Alanís. La serie è prodotta da Sony Pictures Television e Amazon Studios, in collaborazione con Kripke Enterprises, Point Grey Pictures e Original Film.

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Bentornati a Virgin River, la cittadina romantica e fittizia situata nel nord della California nata dalla penna di Robyn Carr e trasposta sul piccolo schermo da Sue Tenney, la quale per la quinta stagione cede le redini a Patrick Sean Smith, nuovo showrunner dello show. Sembra che Netflix abbia deciso di far diventare la divisione in parti delle sue serie un “marchio di fabbrica”, perché anche Virgin River 5 si presenta in due volumi. Quello di settembre, con i dieci e principali episodi, e che apre lentamente le porte all’autunno, e quello di fine novembre, che inizierà il periodo natalizio con gli ultimi due episodi in festa. A differenza di The Witcher 3, questa potrebbe rivelarsi una scelta interessante, poiché avvolge uno specifico periodo, il Natale, e perciò ha il potenziale per rivelarsi una bella chicca, un regalo che la produzione fa ai suoi fidati sostenitori in vista delle vacanze. Per la quinta season, ritroviamo il cast principale: Alexandra Breckenridge, Martin Henderson, Colin Lawrence, Annette O’Toole, Tim Matheson, Benjamin Hollingsworth, più quattro new entry, Kandyse McClure, Susan Hogan, Elise Gatien e Paolo Maiolo.

Virgin River 5, la trama

Iniziamo da dove eravamo rimasti. La quarta stagione di Virgin River si concludeva con la rivelazione di Charmaine (Lauren Hammersley) a Mel (Alexandra Breckenridge) e Jack (Martin Henderson,) che i gemelli non sono in realtà figli di quest’ultimo. Come in ogni season, il cliffhanger finale non funge da attacco al primo episodio della stagione successiva, ma solo da ponte per una storia che riprenderà dopo di esso. Ed è così che inizia Virgin River 5: Jack e Mel devono fare i conti con le menzogne di Charmaine e sul tempo che hanno sprecato per starle accanto, decidendo di godersi a pieno la loro love story una volta chiusi i ponti con la donna. Intanto, Doc (Tim Matheson) è alle prese con una malattia degenerativa che ha colpito i suoi occhi e minaccia il suo futuro allo studio medico. Hope (Annette O’Toole) deve invece confrontarsi con una cittadina che inizia a mettere in dubbio le sue capacità come sindaco e avrà bisogno di tutto il sostegno delle sue amiche per non crollare e lasciarsi abbattere. Sullo sfondo dei problemi quotidiani di Virgin River, uno spaccio di fentanil, a causa del quale Brady (Benjamin Hollingsworth) e Mike (Marco Grazzini) si metteranno in serio pericolo…

Virgin River Alexandra Breckenridge

Bentornati a Virgin River!

Pur essendo cambiato lo showrunner, Virgin River 5 non perde il suo animo romance, e ci apre di nuovo le porte della cittadina bucolica circondata da foreste, fiumi e laghi da sogno. Sono proprio i luoghi che avvolgono i personaggi, vivendo i loro stessi drammi, ad essere una delle carte vincenti dello show, da quando è nato nel 2019. Posti in cui è immediato perdersi fra le bellezze paesaggistiche, e che permettono di staccare la spina dalla realtà, per tuffarsi in un momento di leggerezza e spensieratezza. Gli stessi che, grazie ai tournage panoramici, riescono a condurci subito dentro il racconto, negli incastri della favola. Perché in fondo, Virgin River, è sempre stato questo: una fiaba impiantata nel mondo reale, che non ha troppe pretese se non quelle di regalarci qualche attimo di pausa e relax. Certo, i plot twist imprevedibili non mancano. Così come i cliffhanger, i quali caratterizzano l’intera serie e dei quali essa vive, e che tracciano molto spesso i sentieri della soap opera senza però mai davvero trasformarsi nel genere.

Ma comunque, questo, non è mai stato un punto a sfavore, e non lo è neppure per Virgin River 5, che sembra, in questa prima e principale parte, sbottonarsi ancor di più sugli eventi narrativi, alzando di conseguenza il suo livello drammaturgico. Gli episodi centrali sono infatti quelli più significativi e contengono la sfida più importante con cui i protagonisti si interfacciano; una scelta da una parte audace, dall’altra segno di un leggero cambio di rotta per quanto concerne alcune soluzioni della storyline principale, la quale svela l’intento di voler confrontarsi con situazioni che contribuiscono, in modo sostanzioso, al glow up di tutti i protagonisti. E dello show stesso. Unica sbavatura, che continua ad essere uno dei tasselli più difettosi, sono alcune sub-trame, come quella di Preacher o di Jack (per quest’ultimo inerente solo ai suoi traumi passati), che – pur intrecciate al contesto – risultano essere linee narrative o ripetitive o insapori. Un appesantimento della storia che, qualora venisse eliminato, darebbe a Virgin River solo giovamento.

Un tocco di magia

Cio che però rende davvero speciale la serie, e quindi anche Virgin River 5, è sia il modo in cui essa affronta ogni cruccio o problema dei suoi personaggi, molto attento e premuroso, sia la sua capacità di restituirci una dimensione idilliaca in grado di cullarci. Ma andiamo con ordine. Intanto, anche questa season ci pone dinanzi ad alcuni main character – quali Mel, Jack, Hope e Doc – alle prese con situazioni sempre più intricate della loro vita. Il primo a “risolversi” (per fortuna) è Jack, cedendo più spazio ad una Mel che, pur vivendo l’ennesimo shock, apprezziamo vederla risorgere dalle sue ceneri. Una crescita consapevole che non arriva dal nulla, ma è fonte del lavoro svolto sul personaggio sin dalla prima stagione, e del quale non è stato tralasciato alcun dettaglio o punto sospeso. Capire, affrontare, soffermarsi ad analizzare: sono questi i tre atti con cui lo show si è sempre approcciato ai suoi personaggi, esplorandone la loro psicologia e permettendo così uno sviluppo credibile di ognuno di loro. Pur essendo a volte circondati da avvenimenti un po’ troppo irrealistici.

Virgin River 5, nonostante si ammanti di più drama, non va però a snaturarsi: entra sempre in campo la speranza, il senso di comunità, il motto del “l’unione fa la forza”, mai stato più valido come in questa season, e che da sempre è motore della storia. Non mancano poi le solite atmosfere e fotografie calde, il melieu accogliente, lo spirito combattivo e fiducioso di ogni singolo protagonista, tutti elementi che rendono Virgin River una realtà confortevole, in cui tutto sembra possibile da superare, pur impiantando al suo interno tematiche intense, come l’aborto di Mel, lo stupro di Brie, la perdita di Jack e la malattia di Doc. Ma è forse questa la sua dote: riuscire ad essere un posto sicuro, piacevole, dal tempo sospeso, senza precludersi la possibilità di essere profondo. Ed è così che va guardata anche questa prima parte di Virgin River 5: non avendo pretese, mossi solo dal desiderio di lasciarsi fare una carezza. A volte, la magia la si può trovare anche in show poco elaborati, ma dal grande cuore e dalle buone intenzioni. Per cui, alla fine, gli si può perdonare anche qualche ridondanza.

Housekeeping for Beginners, recensione del film di Goran Stolevski #Venezia80

Il giovanissimo e talentuoso regista Goran Stolevski ha presentato in anteprima a Venezia 80 il suo Housekeeping for Beginners, terzo lungometraggio a cui si è dedicato dopo You Won’t Be Alone (2022) e Of an Age (2023), passati entrambi per il Sundance Film Festival. Con questa nuova prova registica, Stolevski unisce uno stile da cinema verità, performance attoriali credibilissime e un controllo dell’immagine notevolissimo per raccontare una storia quanto mai attuale. Nel cast, Anamaria Marinca, Alina Serban, Samson Selim, Vladimir Tintor, Dzada Selim, Mia Mustafa, Sara Klimoska, Rozafa Celaj, Ajshe Useini.

Housekeeping for Beginners: madre in divenire

Una storia che esplora le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella che ci scegliamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che deve lottare per rimanere unita.

Nonostante le molte crisi che affrontano – morti, scomparse, abusi – Housekeeping for Beginners non è un film guidato dalla trama, quanto più incentrato su questo complesso intreccio di personaggi interpretati in maniera incredibilmente verosimili. La truppa è guidata da Marinca, che offre una performance estremamente convincente nei panni della forte Dita, ma tutti gli attori sono all’altezza della situazione, persino la giovane Mia.

Cinema veritè per “non sentirsi soli”

La scelta di uno stile veritiero, che include dialoghi sovrapposti, camera a mano, illuminazione naturalistica, inquadrature strette ma volutamente caotiche e profondità ridotta, ha permesso a Stolevski di creare un’atmosfera di grande impatto che eleva Housekeeping for Beginners. In maniera molto simile a quanto già sperimentato nel precedente film Of an age, è la musica che colma i vuoti: quando i personaggi non si confrontano con qualche canzone di sottofondo, la colonna sonora composta da Alen e Nenad Sinkauz rievoca il conflitto razziale che emerge costantemente ai margini della storia. Violini e fisarmoniche suonano ritmi avvincenti, creando un mix di allegria e malinconia che sottolinea le innumerevoli discussioni all’interno della famiglia.

In You Won’t Be Alone lo spirito stregonesco che è la creatura protagonista del film non viene mai lasciato solo: diventa un mutaforma, che si deve scontrare con le difficoltà di legami sociali primitivi mentre tenta di elaborare una personale concezione dell’umanità. Mutare forma, essere il corpo degli altri, diventa il veicolo principale per la conoscenza del se. Stolevski porta avanti un simile discorso anche in Housekeeping for Beginners, presentandoci dei personaggi che devono tenere in considerazione, e anche scontrarsi, con altri punti di vista e, in questa famiglia così fluida e composita, scoprono ancora meglio le loro individualità. Basando la narrazione su questo dialogo così umano, Stolevski si conferma una delle giovani voci registiche più interessanti e promettenti della contemporaneità.

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, ecco i character poster

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È ufficialmente iniziato il conto alla rovescia per Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, il nuovo capitolo della Hunger Games Saga che arriverà in Italia, solo al cinema dal 22 novembre, distribuito da Notorious Pictures.

Un film attesissimo, tanto che secondo un sondaggio condotto e pubblicato dalla piattaforma americana per la prevendita di biglietti cinematografici Fandango, Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è in cima alla lista dei film più attesi dell’autunno da parte del pubblico!

La road to Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è pronta per essere percorsa e si apre con i character poster del film:

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è ambientato 64 anni prima della saga. Un prequel ispirato all’omonimo romanzo di Suzanne Collins e diretto da Francis Lawrence, regista di tre dei quattro Hunger Games originali.

I protagonisti sono l’attore emergente inglese Tom Blyth, Rachel Zegler di West Side Story e Hunter Schafer della serie Euphoria. Nei ruoli comprimari l’attrice Premio Oscar e vincitrice di un Golden Globe, di un Emmy Award e di ben due Tony Award Viola Davis, la star de Il trono di spade e vincitore di un Golden Globe Peter Dinklage e Jason Schwartzman.

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, la trama

Anni prima di diventare il tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino: un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura, Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore. Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.

Con la grazia di un Dio: recensione del film di Alessandro Roia #Venezia80

Un uomo si aggira per le strade di Genova, riscoprendone colori, odori, sapori, ma anche luoghi, persone, notandone i cambiamenti e manifestando un profondo senso di nostalgia nei confronti di tutto ciò. L’uomo in questione è Luca, protagonista del fim Con la grazia di un Dio, il film d’esordio dell’attore Alessandro Roia (Diabolik, … altrimenti ci arrabbiamo!) alla regia di un lungometraggio. Presentato alle Giornate degli Autori, il film è un ambizioso ma umile racconto noir che si sviluppa sui temi della nostalgia e della malinconia, emozioni provate dal protagonista a seguito di un inaspettato confronto con il proprio passato e con la città della sua giovinezza.

Già da queste prime parole si può notare un’involontaria somiglianza con il recente film Nostalgia di Mario Martone, dove Pierfrancesco Favino dà volto ad un uomo che torna a Napoli – più precisamente nel Rione Sanità – dopo anni trascorsi in Egitto, riscoprendo tutto ciò che si era dovuto lasciare alle spalle, compresi alcuni traumi. Se da una parte risulta difficile non porre a confronto i due film, data anche la presenza in entrambi dell’attore Tommaso Ragno (Luca nell’esordio di Roia, nemico del protagonista per Martone), sarebbe scorretto ridurre solo a questo il giudizio su Con la grazia di un Dio, opera imperfetta ma alcuni elementi interessanti.

La trama di Con la grazia di un Dio

La vicenda si svolge dunque a Genova, dopo venticinque anni Luca (Tommaso Ragno) torna per partecipare ai funerali del migliore amico della sua giovinezza. Qui ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti sembrano convinti che quella morte sia l’esito scontato di una vita di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare, capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver domato per sempre.

Nei luoghi dell’anima di Genova

Le opere prime, si sà, sono pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come dirlo, altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio pubblico. Alessandro Roia, consapevole di questi rischi, sceglie di “limitarsi” alla scrittura della sceneggiatura (insieme ad Ivano Falchin) e alla regia, non comparendo dunque in scena. Ciò gli dà l’opportunità di concentrarsi totalmente sulla costruzione delle immagini del suo esordio, attingendo dal cinema di genere per fotografare una Genova cupa e fredda dove porre i propri personaggi e seguirli nei vicoli bui, in quelli stretti, nei locali tutti neon e musica a palla o negli appartamenti spogli che comunicano assenza in ogni loro stanza.

Roia lavora dunque su un’attenta scelta di spazi evocativi, che accompagnino le emozioni di chi li abita ed esaltino i turbamenti del loro animo e sceglie di far parlare in questo modo le proprie immagini, prediligendo di conseguenza una regia contenuta e che rifugge particolari virtuosismi o sperimentazioni di vario tipo. Tutte cose che, per quanto un neo regista potrebbe essere tentato di provare, rischiano di distogliere l’attenzione dello spettatore da aspetti ben più importanti, come in questo caso la costruzione di un atmosfera che possa effettivamente suscitare gli stati d’animo del protagonista.

Con la grazia di un Dio Tommaso Ragno

Un film non esente da problemi di scrittura

Certo, non è esente da problemi Con la grazia di un Dio, riscontrabili specialmente nella sua scrittura. Ci sono infatti diverse occasioni in cui il mistero che Luca cerca di risolvere sembra complicarsi salvo poi rivelarsi meno avvincente del previsto, così come alcune situazioni gestite troppo frettolosamente e non adeguatamente sviluppate, soprattutto nel finale, dove gli interrogativi rimasti sono più di quelli soddisfatti. Tutte carenze che rischiano di portare lo spettatore a sentirsi confuso o perdere interesse nei confronti di quanto vede. Luca, come anche alcuni degli altri personaggi, rimangono infatti talvolta fin troppo misteriosi, rendendo difficile un avvicinamento nei loro confronti.

A ciò si aggiungono alcune perplessità circa il pubblico di riferimento di un film come questo, e non rispondendo chiaramente a tale domanda si svela ulteriormente la confusione che limita il potenziale del progetto, che per certi aspetti lascia in ultimo un certo senso di incompiuto. Sono ingenuità tipiche di un’opera prima, trappole a loro modo necessarie per poter imparare per poi addrizzare il tiro in vista di un secondo film, che si spera Roia realizzerà, avendo in ogni caso dimostrato in Con la grazia di un Dio di possedere una buona conoscenza tecnica del mezzo.

Venezia 80: le foto dal red carpet di Io Capitano di Matteo Garrone

Si è tenuta nel tardo pomeriggio di oggi la proiezione ufficiale di Io, Capitano (recensione) il nuovo film di Matteo Garrone presentato in concorso a Venezia 80, l’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il regista accompagnato dal cast.

In merito al film il regista ha dichiarato: “Io Capitano nasce dall’idea di raccontare il viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha.” Ecco tutte le foto:

Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Housekeeping for Beginners, il trattato di Goran Stolevski sulla “famiglia che ci scegliamo”

Dopo You Won’t Be Alone e Of an Age, il giovanissimo Goran Stolevski presenta in concorso nella sezione parallela di Venezia 80, “Orizzonti”, il suo nuovo film Housekeeping for Beginners. Una storia che esplora le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella che troviamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che deve lottare per rimanere unita.

Housekeeping for Begginers: il terzo lungometraggio di Goran Stolevski

In occasione della prima del suo film al Festival, Stolevski si è aperto sulla genesi del progetto: “Posso dirvi l’esatto momento in cui mi è venuta l’ispirazione per questo soggetto. All’epoca facevo l’interprete, stavo accompagnando una mia amica a fare una colonscopia e mi è capitata una foto su Facebook ricondivisa da un mio amico: era una foto degli anni ’70 di due ragazzi gay che vivano insieme ad altri amici. Mi ha colpito molto perchè mi ha trasmesso un senso di casa e spazio sicuro, qualcosa che io non ho mai sentito quando mi sono trasferito in Australia“.

Alina Șerban ha poi raccontato gli inizi della sua carriera da attrice: “Ho avuto questa grandissima opportunità. Vengo da un passato di povertà, sono stata la prima della mia famiglia a finire le superiori, so cosa significa pregare per avere luce e acqua. Se non avevo qualcosa, immaginavo di averlo, ho sempre amato ballare, questo è come si è sviluppata la mia creatività. Ho pensato di dedicarmi alla recitazione. C’era una voce dentro di me, a volte urlava, a volte sussurrava, ma mi stava imponendo di provarci. Nella vita sono stata in orfanatrofio e ho spesso cercato un posto dove stare. Sono poi entrata all’università, dove mi sono scontrata con un ambiente molto elitario e dove mi sono sempre sentita meno degli altri“.

Anamaria Marinca e Alina avevano già lavorato insieme a una scena: il primo ruolo che Alina ha mai ottenuto è stato nella serie tv della BBC The Last Enemy. Nessuno le aveva spiegato bene cosa avrebbe dovuto fare e lei non aveva alcuna esperienza. “Dopo 16 anni sono qui, a recitare insieme ad Anamaria non in una sola scena, ma in un intero film“.

Per quanto riguarda il processo di casting, “più che fare provini, mi piace parlare con i miei attori “ – ha svelato Stolevski. “Come prima cosa, ci conosciamo come persone. Non sono un tipo da ordinare agli altri cosa devono fare. Cerco di costruire un ambiente sano e, soprattutto, di passare tanto tempo insieme, perchè ci si può sentire davvero soli in questo ambiente. Gli incoraggio spesso a improvvisare e per me è anche importantissimo trasferire gli stessi valori alla crew“.

“La famiglia è quella che ci scegliamo, non per forza quella di sangue”

Regista e attrice hanno poi messo in relazione la loro storia famigliare con quella di Housekeeping for Beginners, “Sono cresciuto in una grande famiglia, ho cugini e zie che considero veri fratelli, non considerando l’effettivo grado di parentela, è qualcosa che fa parte di un più ampio senso che io do al concetto di famiglia. In Australia è stato molto diverso, mi sono sentito molto isolato“, ha svelato Goran Stolevski.

Io sono cresciuta nella solitudine di non avere una famiglia, ma oggi sono quello che sono grazie ai miei amici: sono stati la mia famiglia per tantissimi anni. Ci sono persone queer, di colore, che hanno vite diverse dalla mia, ma siamo una famiglia. Provo rabbia quando vedo i miei amici gay discriminati e loro lo stesso con me. La mia rete di sicurezza sono i miei amici“, ha poi aggiunto Alina Șerban.

Goran Stolevski: tra esperienza intimista e universalità

In merito al parallelismo tra l’esperienza trasformativa di You Won’t Be Alone, dove la strega protagonista è una mutaforma che entra ed esce da corpi diversi elaborando una sua idea di umanità e, al contempo, imparando a conoscere se stessa: “Tutti i miei film partono dal punto di vista di un outisder, che sia un disagio personale o l’ostracismo sociale a causarlo. Non penso che le emozioni dipendano dalla demografia, penso che siano universali. In questo senso, è importante che ci sia anche della rabbia. I personaggi che amo sono quelli che si arrabbiano di più. Sono stato un bambino molto silenzioso e spaventato, i miei film esplorano questa dualità che io percepisco in me, tra il sentirsi un outisder e l’arrabbiarsi, il sentire di volere di più“.

Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

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Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

Disney+ ha svelato che la giovane donna di Fuoco Ember e il ragazzo di Acqua Wade del film Disney e Pixar Elemental arriveranno sulla piattaforma streaming dal 13 settembre. Lo stesso giorno debutteranno anche il documentario sul making-of Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental e il cortometraggio dei Pixar Animation Studios L’appuntamento di Carl con l’amatissimo cane parlante Dug. È disponibile la key art che celebra l’imminente arrivo in streaming di Elemental.

Dopo l’uscita al cinema quest’estate, il lungometraggio originale Disney e Pixar Elemental è tra i 10 film di maggior successo del 2023 a livello mondiale, con un incasso di 480 milioni di dollari. Ambientato a Element City, dove gli elementi – Fuoco, Acqua, Terra e Aria – vivono insieme, il lungometraggio originale introduce Ember, la cui amicizia con un ragazzo di nome Wade, divertente e sdolcinato, mette alla prova le sue convinzioni sul mondo in cui vivono. Elemental è diretto da Peter Sohn e prodotto da Denise Ream p.g.a., mentre Pete Docter è il produttore esecutivo. La sceneggiatura è di John Hoberg & Kat Likkel e Brenda Hsueh, con un soggetto di Sohn, Hoberg & Likkel e Hsueh.

Nella versione italiana del film, prestano le proprie voci Valentina Romani nel ruolo di Ember, una brillante ragazza di Fuoco sulla ventina con un grande senso dell’umorismo che ama la sua famiglia ma che a volte si infiamma facilmente; Stefano De Martino nel ruolo di Wade, un attento ed empatico ventenne di Acqua che non ha paura di mostrare le proprie emozioni, che sono difficili da non notare; Serra Yilmaz nel ruolo della mamma di Ember, Cinder; e Hal Yamanouchi nel ruolo del padre di Ember prossimo alla pensione, Bernie. Inoltre, Francesco Bagnaia, pilota motociclistico e campione del mondo in carica di MotoGP, interpreta uno speciale cameo nel ruolo di “Pecco”.

Il regista Pixar Peter Sohn accompagna gli spettatori in un viaggio personale e divertente alla scoperta di ciò che ha ispirato la creazione del lungometraggio Disney e Pixar Elemental. Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental ripercorre il viaggio dei suoi genitori dalla Corea a New York, esplora l’ex negozio di alimentari del padre nel cuore del Bronx e approfondisce la sua scelta di intraprendere una carriera nell’animazione, piuttosto che nell’attività di famiglia. Il documentario è un piacevole approfondimento sulle influenze inaspettate che hanno portato alla realizzazione di Elemental. Good Chemistry è diretto da Tony Kaplan e prodotto da Sureena Mann.

Scritto e diretto dal candidato all’Academy Award® e vincitore dell’Emmy® Bob Peterson e prodotto da Kim Collins, il nuovo corto L’Appuntamento di Carl vede Carl accettare con riluttanza di andare a un appuntamento con un’amica, ma senza avere idea di come funzionino gli appuntamenti al giorno d’oggi. Dug, da sempre un amico disponibile, interviene per calmare l’agitazione di Carl prima dell’appuntamento e per offrirgli alcuni affidabili consigli su come fare amicizia… se sei un cane. Il nuovo cortometraggio, che ha debuttato nelle sale il 21 giugno insieme a Elemental, si aggiunge alla collezione di cortometraggi già disponibile su Disney+, Una vita da Dug, che segue le divertenti disavventure dell’adorabile cucciolo con il collare high-tech

Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

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Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

Netflix rilascia il trailer della terza parte di Lupin, svelando un primo sguardo sulla serie francese fenomeno globale. Il gentiluomo più ricercato della Francia farà il suo ritorno dal 5 ottobre in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.

In questi nuovi 7 episodi Omar Sy tornerà nel ruolo di Assane Diop al fianco di Ludivine Sagnier, Antoine Gouy, Soufiane Guerrab e Shirine Boutella. Creata da George Kay in collaborazione con François Uzan, la serie è diretta da Ludovic Bernard, Podz (Daniel Grou) e Xavier Gens e prodotta da Gaumont.

Lupin – parte terza, la trama

Assane ora è in clandestinità e deve imparare a vivere lontano dalla moglie e dal figlio. Le sofferenze che lui stesso ha causato lo spingono a tornare a Parigi con una folle proposta: abbandonare la Francia e ricominciare da capo altrove. Ma gli spettri del passato sono sempre dietro l’angolo e un ritorno inatteso sconvolgerà i suoi piani.

Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

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Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

Paramount+ ha annunciato oggi la terza stagione dell’acclamata serie originale drammatica MAYOR OF KINGSTOWN (leggi la recensione della seconda stagione), interpretata dal candidato all’Oscar Jeremy Renner. Creata dal candidato all’oscar Taylor Sheridan insieme a Hugh Dillon, la serie originale è prodotta da MTV Entertainment Studios e 101 Studios in esclusiva per Paramount+.

MAYOR OF KINGSTOWN è una delle fiction originali più performanti del servizio di streaming e, durante il periodo di disponibilità in piattaforma, è stata terza solo alle altre serie di successo di Sheridan, 1923 e TULSA KING.

MAYOR OF KINGSTOWN segue la famiglia McLusky, mediatori di potere a Kingstown, Michigan, dove il business dell’incarcerazione è l’unica industria fiorente. Affrontando i temi del razzismo sistemico, della corruzione e dell’ineguaglianza, la serie offre uno sguardo crudo sul loro tentativo di portare ordine e giustizia in una città che non ha né l’uno né l’altro.

Tra i produttori esecutivi, oltre a Sheridan e Dillon, anche Renner, Antoine Fuqua, David C. Glasser, Ron Burkle, Bob Yari, Michael Friedman, Dave Erickson e Regina Corrado. MAYOR OF KINGSTOWN fa parte del palinsesto in continua crescita di Sheridan su Paramount+, che comprende SPECIAL OPS: LIONESS, 1923, 1883, TULSA KING e le prossime serie LAWMEN: BASS REEVES e LAND MAN. La prima e la seconda stagione di MAYOR OF KINGSTOWN sono disponibili in esclusiva su Paramount+.

Venezia 80: spariti i poster di Maestro e The Killer di fronte all’Excelsior

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Chi, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia si muove in bici lungo il Lido, sa bene che venire derubati del proprio mezzo di trasporto è una possibilità. Nel corso degli anni sono stati tanti i report e i racconti in merito, ma quest’anno i ladri lidensi sembrano essersi specializzati in… poster.

Apprendiamo da Deadline che sei poster di Maestro e di The Killer sono scomparsi lunedì sera dagli espositori posti di fronte all’Excelsior, lasciando i membri dello staff di Netflix di stucco, a chiedersi se le sparizioni fossero il risultato di un furto da parte di fan troppo zelanti o ci fosse dietro una qualche forma di protesta non meglio rivendicata verso i film targati N rossa presenti nella Selezione Ufficiale. Martedì, è stata cura dello streamer aggiungere altri poster, tuttavia il dubbio rimane.

C’è stato un tempo, ormai passato, che i film targati Netflix non erano visti di buon occhio nel circuito dei festival, ma è chiaro che non è il caso di Venezia, tra le prime grandi kermesse dedicate al cinema che hanno aperto le porte a queste produzioni. Sembra quindi più probabile che dei fan di Bradley Cooper e di Michael Fassbender abbiano voluto portare a casa dei souvenir speciali da Venezia 80. L’organizzazione del festival non ha commentato l’accaduto.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), recensione della serie tv di Jasmila Žbanić

La showrunner Jasmila Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi fuori concorso a Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie insieme a Damir Ibrahimović, con Alen Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una famiglia e una società

L’ultimo caso di Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single, colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino, venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.

znam kako dišeš (2023)

L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić

Fino a che punto comprendiamo veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro? Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), che si propone come una precisa riflessione sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio di preservare la nostra stessa dignità.

Nei primi due episodi di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si annidano anche tra le mura delle nostre case.

Ciò che contraddistingue in modo particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca della verità. La recitazione di Djuricic e Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic, seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante. Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia, al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la realtà che forse non conosciamo i nostri cari così approfonditamente come pensavamo.

Penélope Cruz protagonista de I Giorni dell’Abbandono da Elena Ferrante

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Penélope Cruz è stata scelta per interpretare la protagonista dell’adattamento de I Giorni dell’Abbandono, di Elena Ferrante. Il film sarà diretto da Isabel Coixet, una delle più acclamate registe spagnole, The Bookshop, Elegy, My Life Without Me. È stata premiata con dieci Goya, più di qualsiasi altra regista donna nella storia della Spagna. La sceneggiatura è affidata a Laurence Coriat, sceneggiatrice francese, nota soprattutto per il suo lavoro con Michael Winterbottom.

Già nel 2005, Roberto Faenza aveva adattato il romanzo, dirigendo Margherita Buy nei panni della protagonista della storia.

Una donna ancora giovane, serena e appagata, tutt’altro che inattiva nel cerchio sicuro della famiglia, viene abbandonata all’improvviso dal marito e precipita in un gorgo scuro e antico. Rimasta con i due figli e il cane, profondamente segnata dal dolore e dall’umiliazione, Olga, dalla tranquilla Torino dove si è trasferita da qualche anno, è risucchiata tra i fantasmi della sua infanzia napoletana, che si impossessano del presente e la chiudono in una alienata e intermittente percezione di sé. Comincia a questo punto una caduta rovinosa che mozza il respiro, un racconto che cattura e trascina fino al fondo più nero, più dolente dell’esperienza femminile.

LOTUS PRODUCTION – Una società Leone Film Group

Lotus Production è una casa di produzione cinematografica e televisiva guidata da Raffaella Leone e Andrea Leone e controllata da Leone Film Group, società operante nel mercato cinematografico e audiovisivo e quotata sul mercato AIM Italia dal 2013. Affermata e riconosciuta anche a livello internazionale, Lotus ha prodotto negli anni film e serie TV di successo, collaborando con alcuni tra i principali autori italiani, tra cui Paolo Genovese, Gabriele Muccino e Paolo Virzì. Dopo aver prodotto titoli del calibro di Perfetti sconosciuti, La pazza gioia, e A Casa tutti bene e A casa tutti bene – La serie saranno presto disponibili su Disney+ due importanti progetti targati Lotus: l’adattamento televisivo del bestseller I leoni di Sicilia di Stefania Auci, diretto da Paolo Genovese e Uonderbois, serie tv urban fantasy diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano. Su Sky è in arrivo la nuova stagione di A casa tutti bene – La serie, diretta da Gabriele Muccino. Nell’aprile 2022 è stata aperta una nuova divisione della società diretta da Elisa Ambanelli e dedicata allo sviluppo di progetti di intrattenimento unscripted con focus su documentari, docu-serie e format tv originali e d’acquisto.

Penélope Cruz

Penélope Cruz, vincitrice di un premio Oscar e tre volte candidata all’Oscar, è una delle attrici più versatili dei nostri giorni. Tra i suoi ruoli passati figurano DON’T MOVE, VOLVER, VICKY CRISTINA BARCELONA e NINE. Nel 2021 ha recitato in Madres paralelas di Pedro Almodóvar, per il quale è stata candidata all’Oscar per la migliore attrice e ha vinto la Coppa Volpi per la migliore attrice alla Mostra del Cinema di Venezia del 2021. Recentemente la Cruz è stata ha recitato nel thriller sociale ON THE FRINGE di Juan Diego Botto e in L’IMMENSITA di Emanuele Crialese. Prossimamente sarà protagonista di FERARRI di Michael Mann, accanto ad Adam Driver e Shailene Woodley.

MOONLYON

Nel 2022, Penélope Cruz ha collaborato con la CEO di MediaPro Studio, Laura Fernández Espeso, per lanciare la sua casa di produzione chiamata Moonlyon. Questa azienda internazionale e indipendente si concentrerà sulla produzione di contenuti premium non fiction e drammatici. L’obiettivo dell’azienda è quello di produrre e distribuire storie diverse provenienti da tutto il mondo, con il supporto dell’infrastruttura globale e della posizione internazionale di MediaPro. Con 25 anni di esperienza nell’industria dei contenuti e 56 sedi internazionali in tutto il mondo, MediaPro ha una forte influenza nel mercato della produzione in Spagna e in Europa e assisterà nella distribuzione e nelle vendite.

The Penitent – A Rational Man: recensione del film di e con Luca Barbareschi #Venezia80

Il primo film statunitense di Luca Barbareschi, The Penitent – A Rational Man, è ispirato ad un caso di cronaca, quello di Vitali Tarasoff, psicanalista rimasto vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango causata da una comunicazione pilotata. Un caso complesso, dove la Corte Suprema della California ha infine stabilito che un professionista della salute mentale ha un dovere non solo nei confronti di un paziente ma anche nei confronti degli individui che possono essere minacciati da quel paziente. Un caso, dunque, che solleva l’interrogativo di quando sia lecito o necessario rompere il silenzio e scegliere di proteggere piuttosto che rispettare il segreto professionale.

Su questa vicenda il drammaturgo e sceneggiatore David Mamet ha scritto un testo teatrale, lavorando a partire dalle domande suscitate da tale caso. Un testo su cui Barbareschi ha già lavorato, portandolo in teatro, e che ora ha scelto di adattare per il cinema, ritenendolo quantomai attuale e urgente. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film è infatti fortemente radicato nel nostro contemporaneo e diventa dunque l’occasione per riflettere sulla cancel culture, sul ruolo dei media nella sua crescente popolarità e su dove questi e altri aspetti inerenti il politicamente corretto stiano portando la società attuale.

The Penitent – A Rational Man, la verità di un uomo

Ambientato in una New York, che rimane però sempre sullo sfondo, il film ha per protagonista uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh (Luca Barbareschi), che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

In completo ascolto dei personaggi

Nel raccontare questa storia, Barbareschi vuole andare dritto al sodo, concentrandosi su poche ma lunghe scene, ambienti unici e un massimo di due o tre attori in scena. The Penitent – A Rational Man mantiene dunque una forte impostazione teatrale, che porta lo spettatore a passare da un ambiente all’altro e in esso assistere allo scontro tra il protagonista con alcune persone a lui vicine, dalla moglie Kath (interpretata da Catherine McCormack) all’avvocato Richard (ruolo ricoperto da Adam James), fino al PM (che ha il volto di Adrian Lester).

Personaggi stretti in ambienti ora claustrofici ora ampi e asettici, ma sempre pensati secondo una volontà di esteriorizzare ciò che si agita all’interno dell’animo dei personaggi. Si ha modo di notare tutto ciò e il modo in cui Barbareschi costruisce una certa distanza o freddezza tra i personaggi grazie dunque a queste scene che si prendono il loro tempo per raccontare quanto necessario. The Penitent – A Rational Man non offre di certo un ritmo incalzante, cosa che ne rende ostica la visione, ma è una scelta che trova spiegazione nella volontà del regista di andare al cuore di questi personaggi e delle loro vicende.

The Penitent - Luca Barbareschi Adrian Lester
Luca Barbareschi e Adrian Lester in una scena di The Penitent – A Rational Man. Foto di F. Di Benedetto.

Un film senz’anima, che sacrifica i propri aspetti migliori

Esteticamente, dunque, Barbareschi conferisce al film una precisa impronta, che può o meno piacere in base ai propri personali gusti cinematografici. Ciò che invece risulta obiettivamente funzionare meno è il modo in cui si sceglie di affrontare i dialoghi, i quali troppo spesso scadono nel didascalico o comunque difficilmente capaci di risuonare sinceri sullo schermo cinematografico così come magari potrebbero farlo invece a teatro. Si ha inoltre talvolta la sensazione che il racconto non riesca a progredire come dovrebbe, perdendosi spesso e volentieri in accuse contro la cancel culture che, al di là della loro condivisibilità o meno, distolgono da altri ben più interessanti aspetti del film.

Il principale tra questi è probabilmente il rapporto di Hirsch con la fede ebbraica e con Dio, il modo in cui si può o meno interpretare la parola divina e come essa trova applicazione nella realtà. Aspetti complessi, che un film che si prende i tempi necessari come questo avrebbe potuto esplorare meglio. L’obiettivo sembra però quello di proporre riflessioni sulla pericolosità di un pensiero che cancella ciò che non va bene e di come in assenza di un controllo di ciò si può rischiare una nuova dittatura. Questioni certamente attuali, importanti e urgenti, ma che così affrontate non trovano il giusto valore e non lasciano spazio ad altro, portando così il film ad essere privo di una vera anima.

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Scritto e diretto dalla candidata all’Oscar Ava DuVernay, Origin si ispira alla straordinaria vita e al lavoro della scrittrice premio Pulitzer Isabel Wilkerson (Aunjanue Ellis-Taylor), mentre scrive il suo libro Caste: The Origin of Our Discontents. Alle prese con un’immane tragedia personale, Isabel intraprende un percorso di indagine e scoperta globale. Nonostante la portata colossale del suo progetto, trova la bellezza e il coraggio di scrivere uno dei libri americani più importanti del nostro tempo. DuVernay racconta in modo emozionante la sua storia dal forte simbolismo non solo metaforico – che scoppia nel suo finale – ma anche nel concreto.

La premessa iniziale presenta l’omicidio di Trayvon Martin come parte integrante di un pensiero che la stessa regista insieme a Wilkerson hanno portato avanti per il lungometraggio. Quella è davvero la voce dell’assassino di Martin che chiama il 911. Si tratta di una registrazione, usata all’inizio del film, di George Zimmerman prima che sparasse e uccidesse il ragazzo, un adolescente che tornava a casa da un minimarket in Florida nel 2012. A Martin, infatti, è dedicata la prima inquadratura di Origin e anche la chiusura.

Origin, la trama

Cosa succede quando non ti uniformi al sistema? Il lungometraggio di Ava DuVernay torna più volte sull’argomento e vuole andare oltre alla semplice risposta: “Bisogna comportarsi in modo da non mettersi in pericolo”. Nelle sue due ore di storia tra perdite e lutti, l’intento di Isabel è quello di scoprire l’origine di un mondo che fa delle diversità un nemico da combattere. In alcuni tratti, soprattutto sul finale molto didascalico, la ricerca di Wilkerson durante la stesura del suo romanzo cerca una connessione tra nazismo, schiavitù e sistema delle caste. Così come in Mangia, Prega, Ama, Isabel intraprende questo viaggio mentre la sua vita privata si sgretola in mille pezzi.

Un viaggio dove passato e presente si accavallano, mentre Isabel affronta momenti belli ma anche difficili. Si parte dalla Germania e dalle trascrizioni di alcuni incontri di soldati delle SS per cercare una connessione tra i regimi totalitari. In una scena del film che si svolge in Germania, Isabel ha un confronto con una amica ebrea, una conversazione per cercare una connessione tra le forse di razzismo che diventa una gara a chi ha sofferto di più. Gli ebrei sono stati perseguitati, gli schiavi venduti come oggetti. Un botta e risposta che poi trova la sua conclusione: è vero, in modo totalmente diverso, questi due momenti storici hanno la loro connessione. Il regime totalitario si è ispirato alle leggi di Jim Grow per collegarle all’Olocausto. A queste immagini vengono anche contrapposti frammenti di storie reali come per esempio la storia d’amore tra August e Irma, un membro tedesco del Partito Nazista e una donna ebrea.

La deferenza

Ci spostiamo poi in America, cercando ancora informazioni per il libro da scrivere. Siamo a metà film e la ricerca inizia a dare i suoi frutti per la stesura del romanzo. Torna allora il tema della schiavitù ma questa volta tramite la lente di Ava DuVernay e Isabel Wilkerson viene introdotto il tema della deferenza, la condiscendenza rispettosa nei confronti dell’altrui volontà. Vediamo il mondo con due lenti diverse: un poliziotto che fa la ronda nel quartiere popolato da soli bianchi è un amico, una autorità che protegge. Ma subito dopo vediamo la stessa scena con occhi diversi, cambiamo quartiere e mentre dei ragazzi afroamericani giocano a pallone la stessa ronda diventa più oscura, lo sguardo del poliziotto si acciglia come se fiutasse il pericolo.

Arriviamo alla parte finale di questo viaggio, dove tutto è iniziato: in India. Il razzismo non è un problema di razza ma di caste esclusive. Un road movie che viene tirato avanti da due filoni: da una parte la stesura del libro che serve allo stesso modo a Isabel per incanalare il dolore per la perdita delle persone a lei care e riuscire ad affrontarlo. Non esiste arma migliore, non voltare le spalle al dolore ma prenderlo di petto.

“Un mondo senza caste renderebbe tutti liberi”.

Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

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Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

Ecco una clip in esclusiva dal cortometraggio DIVE di Aldo Iuliano, presentato domani in concorso nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

DIVE di Aldo Iuliano, prodotto da NewGen Entertainment con Greif Production in collaborazione con Rai Cinema, Mompracem, Daitona e Aldo Iuliano, sarà in concorso domani 7 settembre nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il cortometraggio è diretto da Aldo Iuliano (Penalty, Space Monkeys) e interpretato dai giovani e promettenti Danyil Kamenskyi e Veronika Lukyanenko.

Dive è la favola di Roman e Julia, due adolescenti contemporanei che giocano in spiaggia desiderosi di lasciarsi andare alle proprie emozioni e ai propri sentimenti. I loro sguardi e i loro gesti annullano il tempo e lo spazio, il mare partecipa alla loro complicità ma l’incanto non è eterno, e la realtà irrompe prepotente nelle loro vite, stravolgendole per sempre.

“Volevo ritrarre un tuffo nei sentimenti più innocenti che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita – dichiara il regista – quelli che ci rendono vivi nel senso più positivo del termine, in un mondo che sta perdendo la propria umanità. Dive è una stretta al cuore per ricordarci chi siamo, nel bene e nel male”.

Il soggetto e la sceneggiatura portano la firma di Severino Iuliano, la fotografia è di Daniele Ciprì, il montaggio di Marco Spoletini.

“Racconto il controcampo dell’immigrazione”, Matteo Garrone presenta Io Capitano a Venezia

Il regista Matteo Garrone arriva per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film, Io Capitano (qui la recensione), storia dell’avventuroso viaggio di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Io Capitano, una storia che arriva da lontano

“La storia mi è venuta in mente diversi anni fa, quando mi fu raccontato di questo adolescente che da solo aveva guidato un’imbarcazione con circa 250 persone a bordo. – racconta Matteo GarroneUna volta arrivato a destinazione, travolto dall’emozione di aver portato tutti in salvo ha iniziato a gridare “io capitano, io capitano”. Però mi sentivo in imbarazzo, da borghese, a pensare di raccontare quella storia e i suoi retroscena. Poi, qualche anno dopo, ho incontrato il ragazzo che quel finale lo ha vissuto, il cui nome è Fofanà, e quell’incontro mi ha riavvicinato a quel racconto, motivandomi a riprenderlo in mano”

“A quel punto abbiamo deciso di costruire questo film seguendo i canoni del racconto d’avventura e del viaggio dell’eroe e così spero sarà accessibile anche ai più giovani che potranno sensibilizzarsi all’argomento”, continua Garrone. “Bisogna infatti sapere che ci sono tanti tipi di immigrazione, quella raccontata in Io Capitano è legata al fatto che il 70% della popolazione africana è composta da giovani e questi giovani sono influenzati dalla globalizzazione occidentale, di cui penso sia importante raccontare gli effetti sulle popolazioni.” – afferma poi Matteo Garrone, aprendo la conferenza stampa.

“Hanno dunque il desiderio legittimo di voler accedere ad un futuro migliore, così come noi da giovani volevamo scoprire l’America. A noi però bastava prendere un aereo per arrivare lì, mentre loro devono affrontare un viaggio rischioso e potenzialmente mortale. Il film affronta quindi una parte di immigrazione di cui a volte si parla meno ma che esiste, ovvero quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e avere maggiori opportunità e che non per forza scappano da situazioni di guerra”, conclude il regista.

Io Capitano Matteo Garrone Mamadou Kouassi

La scrittura della sceneggiatura e la ricerca degli attori

Tra gli autori della sceneggiatura, oltre a Garrone, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, vi è anche Massimo Ceccherini. Il regista ha dunque speso due parole per chiarire il ruolo avuto da quest’ultimo nella realizzazione del progetto. “Massimo mi ha aiutato molto nella scrittura di questo film, che è un racconto di avventure popolari. – spiega Garrone – Massimo viene dal popolo e quindi quando abbiamo scritto la sceneggiatura ha apportato la sua conoscenza di certe dinamiche che a me sono estranee. In sostanza, m ha aiutato a ricercare una purezza del racconto che si sposa con quella dei protagonisti”.

Fondamentale però è stato anche il lavoro di ricerca sul campo, necessario affinché si potesse raccontare la verità su ciò che avviene durante questo viaggio verso l’Europa. “Abbiamo fatto un grosso lavoro di documentazione, durato qualche anno, e poi per cercare di raccontare questa storia ci siamo affidati a chi queste vicende le ha vissute in prima persona. – racconta Garrone – È stato un lavoro assolutamente collettivo, reso possibile grazie a persone come Mamadou Kouassi, che mi hanno raccontato le loro storie al servizio delle quali io ho potuto mettere le mie conoscenze tecniche“.

La parola passa allora proprio a Kouassi, collaboratore alla sceneggiatura, che afferma: “ho vissuto l’esperienza di quel viaggio, delle prigioni libiche, della paura e degli orrori e tutto questo l’ho ritrovato in Io Capitano. Matteo ci porta davvero nel mondo dell’immigrazione e sono orgoglioso di aver potuto contribuire a dare voce a chi non ce l’ha. Sostanzialmente, raccontiamo la storia di ogni singolo immigrato che ha vissuto questa avventura. Partire vuol dire andare incontro alla morte, veramente questa è la realtà che si verifica ma scegliamo di affrontarla perché è giusto perseguire i propri diritti. Siamo obbligati, in un certo senso”.

Io Capitano Seydou Sarr Moustapha FallRiguardo gli interpreti dei due giovani protagonisti, Seydou Sarr e Moustapha Fall, Garrone racconta di averli cercati dappertutto, giungendo infine ad una consapevolezza inevitabile. “Abbiamo cercato gli attori giusti in tutta Europa, – racconta il regista – ma alla fine li abbiamo trovati in Senegal. Ci siamo infatti resi conto che lo sguardo di una persona di lì ha naturalmente una qualità diversa sull’argomento“. Parlando dei due protagonisti, Garrone riconosce infine che “qualcosa di Pinocchio c’è in questo film, che si sposa con la storia di questi ragazzi. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dai pericoli del mondo circostante. I protagonisti qui inseguono il paese dei balocchi, tradendo i propri cari e poi finiscono con lo scontrarsi con una realtà molto dura, che richiama un po’ anche Gomorra“.

Io Capitano, dal 7 settembre al cinema

Garrone ha infine parlato di come abbia a lungo rimandato la realizzazione di questo film non sentendosi sicuro di avere il diritto di raccontarla, in quanto non avendo vissuto quel tipo di esperienza. La sua opinione è però poi cambiata nel tempo, arrivando ora a poter affermare che “il film nasce da un lavoro collettivo tra il mio sguardo e le loro testimonianze e da sempre credo che l’arte sia legata a delle contaminazioni, un artista non deve parlare solo di ciò che riguarda la sua vita, altrimenti l’arte si impoverirebbe. Penso sia giusto giudicare l’opera in base alla sua sincerità e non a chi l’ha fatta. L’opera rimane, noi no”.

Non si dovrà aspettare molto prima di poter vedere film che, dopo la prima proiezione pubblica a Venezia il 6 settembre, uscirà nelle sale italiane, con 203 copie, dal 7 settembre, distribuito da 01 Distribution. È stato inoltre confermato che il film non presenterà un doppiaggio italiano, una caratteristica a lungo valutata ed infine scelta per rispetto nei confronti dei protagonisti di questo racconto e ai loro interpreti, i quali meritano di essere sentiti esprimersi nella loro lingua natìa.

Origin, Ava DuVernay: “Ho lavorato a stretto contatto con Isabel Wilkerson”

Presentato in Concorso a Venezia 80, Origin di Ava DuVernay racconta in modo emozionante la storia di Isabel Wilkerson. La scrittrice vinse un Pulitzer per il reportage individuale per il suo lavoro sulle inondazioni del Midwest e su un bambino di 10 anni che si prende cura dei suoi fratelli. Durante la presentazione ha parlato della genesi di questo progetto: “Ho letto il libro e sono rimasta affascinata da tutto quello che Isabel Wilkerson ha messo al suo interno. L’ho letto tre volte per capirlo realmente e già alla seconda lettura ho iniziato a vedere lei, la donna che lo ha costruito. Ho iniziato a pensare alla storia cercado di adattarla nel modo in cui lui l’ha vissuta e traumatizzata. Tutto quello che riguarda la sua storia che non è presente nel libro me l’ha raccontato lei di persona. Abbiamo parlato per un anno, ci sono stati così tanti incontri e si è aperta molto con me è stata generosa”.

Ava DuVernay è la prima donna afroamericana ad arrivare in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: “Ai registi neri viene detto che le persone che amano i film in altre parti del mondo non si interessano alle nostre storie e non si interessano ai nostri film. Questo è qualcosa che ci viene detto spesso: non potete partecipare ai festival internazionali, non verrà nessuno“, ha detto DuVernay. “La gente non verrà alle conferenze stampa, non verrà alle proiezioni. Non saranno interessati a vendere i biglietti. Potreste anche non entrare in questo festival, non fate domanda. Non so dirvi quante volte mi hanno detto: “Non fare domanda a Venezia, non entrerai. Non succederà”. E quest’anno è successo qualcosa che non era mai accaduto in otto decenni: una donna afroamericana in concorso. Quindi ora questa è una porta aperta che confido e spero che il festival mantenga aperta“.

Il cast di Origin

Oltre a Ellis-Taylor e Bernthal, Origin è interpretato anche da Niecy Nash-Betts, Vera Farmiga, Audra McDonald, Nick Offerman, Blair Underwood, Connie Nielsen, Emily Yancy, Jasmine Cephas-Jones, Finn Wittock, Victoria Pedretti, Isha Blaaker e Myles Frost.La collisione tra gli attori e protagonisti del mondo reale è interessante perché è stata una esperienza lavorare con persone realmente esistite: la bibliotecaria a Berlino per esempio. Non credo che avremmo avuto il cast che abbiamo avuto se fosse rimasto nel sistema degli studios“, ha detto DuVernay. “Il sistema degli studios è un luogo in cui ho lavorato e realizzato progetti di cui sono orgogliosa, ma c’è davvero un aspetto di controllo su chi interpreta cosa. E c’è l’idea di chi fa soldi, di chi attira l’attenzione e a volte questo è in contrasto con chi potrebbe essere la persona migliore per la parte. Aunjanue Ellis-Taylor era la persona migliore per questa parte“.

Io Capitano: recensione del film di Matteo Garrone #Venezia80

Io Capitano: recensione del film di Matteo Garrone #Venezia80

Le immagini riguardanti l’arrivo degli immigrati africani che vediamo ogni giorno nei telegiornali ci mostrano uomini, donne e bambini ai quali troppo facilmente si appiccicano etichette con cui definirli senza che neanche li si conosca. Sono persone senza nome, senza identità, la cui storia rimane avvolta nella leggenda, nell’esagerazione o, troppo spesso, nell’ignoranza. Con il suo nuovo film, dal titolo Io capitano, il regista Matteo Garrone (Gomorra, Dogman, Pinocchio) si pone dunque l’obiettivo di fornire un’identità e una voce a chi troppo spesso non ce l’ha. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film porta dunque lo spettatore ad intraprendere l’odierna Odissea dei migranti.

Per Garrone si tratta quasi di un controcampo sul suo film d’esordio, Terra di mezzo, del 1996, articolato in tre episodi distinti che raccontano le storie di emarginazione di alcuni stranieri immigrati in Italia. Se lì il focus era dunque su come queste persone vengono recepite nel nuovo contesto raggiungo, con Io Capitano si va invece all’origine del viaggio, a ciò che lo ha motivato, come anche a tutti gli orrori e gli ostacoli che si è dovuto superare per poter arrivare dove desiderato. Raccontare tutto ciò è un obiettivo ambizioso, ma Garrone sa come approcciarsi alle sfide più ostiche, traendone il meglio.

Io Capitano, la trama del film

In Io Capitano si racconta dunque il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Quando ormai sarà troppo tardi per tornare indietro, i due ragazzi si troveranno a dover proseguire il percorso, scoprendo quanto quel paese dei balocchi promesso sia meno splendente e colorato del previsto.

Odissea nel deserto

L’immigrazione è uno degli argomenti più scottanti e delicati tra quelli presenti sul tavolo delle discussioni odierne. Nel farlo, si può facilmente banalizzare, fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che lo riguarda. Ecco perché il regista Matteo Garrone ha atteso a lungo prima di decidersi a realizzare questo film, convinto di non avere il diritto di raccontare una storia che non gli è propria e come la maggior parte degli italiani e degli europei vive principalmente attraverso le immagini proposte dai media. Fortunatamente, però, si può scegliere di voler andare oltre le comuni convinzioni, gli stereotipi, e svolgere ricerche necessarie a far emergere la verità di queste situazioni.

Così ha fatto Garrone, circondatosi di collaboratori che in prima persona hanno vissuto gli orrori di questa Odissea nel deserto, con interminabili traversate nel deserto, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio di essere catturati e posti in stato di schiavitù nei centri di detenzione libici. A partire da queste testimonianze, Garrone segue dunque i due personaggi protagonisti nel loro scontrarsi con queste tappe di cui poco o nulla si sa fino a quando non ci si scontra personalmente con esse. Avviene dunque una vera e propria trasformazione nel corso di Io Capitano, con i due protagonisti che passano dall’essere spensierati giovani a sopravvissuti ormai privati della loro innocenza.

A sua volta, anche il film si trasforma, passando da una prima parte più colorata, allegra, spensierata nei toni e nelle atmosfere, coerentemente con lo stato di Seydou e Moussa in quel dato momento. Quando però ha inizio il viaggio, piano piano il film si incupisce sempre di più, l’atmosfera si fa pesante, spaventosa e non c’è più posto per quanto si era visto fino a quel momento. È a questo punto che Garrone non si risparmia alcune immagini particolarmente crude, ritrovabili naturalmente all’interno delle carceri libiche. Se dunque il tutto inizia come una fiaba sulla scia di quel filone del regista che ha prodotto fantasy come Il racconto dei racconti e Pinocchi, ben presto si giunge in territori più dark, propri di un film come Gomorra.

Io Capitano Seydou Sarr
Seydou Sarr in una scena di Io Capitano. Foto di Greta De Lazzaris.

Matteo Garrone infonde verità ed emozione nel racconto

Il modo in cui Garrone sceglie di costruire il racconto ha dunque l’obiettivo di ricercare una certa spontaneità e sincerità, necessarie per coinvolgere il pubblico e renderlo partecipe di questa problematica tanto grande. Talmente grande che non è facile dare delle risposte a riguardo, motivo per cui al regista si rinfaccerà il suo non aver proposto una versione più politica di tale argomento, ma di essersi tenuto invece più dalle parti del racconto d’avventura. Un racconto che però giustifica la propria semplicità – che talvolta può essere confusa con un certo didascalismo – con l’intenzione di raggiungere un pubblico molto ampio, possibilmente di ragazzi, da sensibilizzare su tali vicende.

Per farlo il regista si muove dunque consapevolmente sopra un confine molto esile tra la retorica e la sincerità, riuscendo grossomodo a rimanere nell’area di quest’ultima e portando a compimento un film particolarmente emozionante. Il merito è da riconoscere però anche a Seydou Sarr, il giovane protagonista esordiente, che dà vita ad un’interpretazione convincente, che acquista intensità di pari passo con la crescita emotiva del suo personaggio. Seyoud ci appare inoltre come una sorta di Pinocchio migrante, alla ricerca di una terra dei balocchi che scoprirà essere tutt’altro che paradisiaca. E terminando lì dove iniziano le immagini dei telegiornali, Io Capitano ci offre dunque un controcampo a cui non si dovrebbe rimanere indifferenti.

The Super Models: il trailer del nuovo documentario evento in arrivo il 20 settembre su Apple TV+

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Apple TV+ ha svelato oggi il trailer del nuovo documentario evento in quattro parti “The Super Models” che accende i fari sulle straordinarie carriere di Naomi Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington.

Ogni episodio della docuserie, in uscita il 20 settembre su Apple TV+, presenta contributi inediti di alcuni dei più grandi nomi della moda e della cultura, tra cui Fabien Baron, Jeanne Beker, Emily Bierman, Tim Blanks, Martin Brading, Paul Cavaco, Carlyne Cerf De Dudzeele, Grace Coddington, Sante D’orazio, Charles Decaro, Arthur Elgort, Edward Enninful, David Fincher, Tom Freston, John Galliano, Garren, Robin Givhan, Tonne Goodman, Michael Gross, Bethann Hardison, Marc Jacobs, Kim Jones, Donna Karan, Calvin Klein, Michael Kors, Rocco Laspata, Suzy Menkes, Isaac Mizrahi, Michael Musto, François Nars, Todd Oldham, Hal Rubenstein, Anna Sui, Annie Veltri, Donatella Versace e Vivienne Westwood.

“The Super Models” ripercorre gli anni ’80, quando quattro donne provenienti da diversi angoli del mondo si unirono a New York. Già forti di per sé, la gravitas che raggiunsero insieme trascendeva l’industria stessa. Il loro prestigio era così straordinario che permise alle quattro di superare la fama dei marchi che presentavano, rendendo i nomi di Naomi, Cindy, Linda e Christy tanto importanti, quanto gli stilisti che le vestivano. Oggi, le quattro supermodelle restano in prima linea nel contributo alla cultura grazie all’attivismo, alla filantropia e all’abilità negli affari. Mentre l’industria della moda continua a ridefinire se stessa – e i ruoli delle donne al suo interno – questo documentario racconta la storia di come quattro donne si sono riunite per rivendicare il loro potere, aprendo la strada a quelle successive.

“The Super Models” è prodotto per Apple TV+ da Imagine Documentaries e One Story Up, con i produttori esecutivi Brian Grazer, Ron Howard, Sara Bernstein, Justin Wilkes, Barbara Kopple, Roger Ross Williams e Geoff Martz, insieme a Naomi Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington Burns.

The Nun 2, la recensione del ritorno dell’incubo Blumhouse

The Nun 2, la recensione del ritorno dell’incubo Blumhouse

A circa sette anni dalla sua prima apparizione nella serie e un lustro dopo l’uscita del primo film, la Blumhouse torna a mettere al centro del suo ultimo The Nun 2 la suora malvagia che i fan del The Conjuring Universe conoscono molto bene. In sala a settembre, distribuito da Warner Bros. Pictures, il film diretto da Michael Chaves (The Conjuring – Per ordine del diavolo, La llorona) si collega direttamente al The Nun – La vocazione del male del 2018 e ai suoi personaggi, di nuovo interpretati da Taissa Farmiga e Jonas Bloquet (Io sono tuo padre).

The Nun 2, la trama

Sono loro la suor Irene e il “Francese” Maurice scampati allo scontro finale del precedente capitolo, anche se non senza conseguenze. Quelle delle quali continuiamo a scontare gli effetti letali nella Francia del 1956, a Tarascon, dove prete muore bruciato nella sua stessa chiesa. Ma è solo l’ennesima dimostrazione di quanto il male si stia ormai diffondendo, uno dei casi sui quali la giovane sorella è chiamata a investigare, seguendo una traccia che la porterà nuovamente faccia a faccia conil demoniaco Valak.

Il franchise continua, un sequel con pregi e difetti

Ormai una presenza ricorrente e caratteristica della serie, l’apparizione della inquietante versione ecclesiastica del demone creato da Jason Blum era stata di tale impatto da rendere quasi inevitabile continuare a sfruttarla. Soprattutto considerato che The Nun è a tutt’oggi il primo per incassi mondiali dei titoli del franchise di The Conjuring (366 milioni di dollari contro i 320 dei primi due capitoli). Un record che difficilmente verrà scalfito – o anche solo impensiero – dal film con cui continua questa deriva della serie, prossima a toccare quota dieci film con l’annunciato The Conjuring 4.

Purtroppo, il ritorno della Suor Irene di Taissa Farmiga difficilmente verrà ricordato. E probabilmente i vari Gary Dauberman, Carey Hayes, David Leslie Johnson e James Wan non lasceranno più le loro creature agli autori (Ian Goldberg e Richard Naing, qui affiancati da Akela Cooper, padre della storia in questione oltre che di M3GAN e Malignant) di una sceneggiatura tanto confusa.

The Nun 2
NUN2

The Dangerous Lives of Altar Boys

Questa volta sono chierichetti e giovinette in età da collegio le vittime preferite di questa manifestazione del Male, che resta nell’ombra più di quanto il buon senso o l’equilibrio consiglierebbero. Una scelta che evidentemente segue l’encomiabile intenzione di dare più risalto alle diverse linee narrative che si intrecciano sullo schermo (ma sarebbe bastato semplificare quelle esistenti, soprattutto quella ‘familiare’ del Francese, la Kate di Anna Popplewell e la piccola Sophie di Rose Downey), ma che sul lungo fa sentire la mancanza della protagonista più attesa (che lo stesso regista sembra accennare potremmo ritrovare nel prossimo The Conjuring: Last Rites).

Uno dei diversi autogol che subisce il film che, dopo un inizio promettente e intrigante, sembra affidarsi maggiormente alla cura formale della confezione e a una inusuale cura dell’aspetto visivo (quasi patinato) e delle location che alla gestione equilibrata di comportamenti e azioni. Soprattutto quelli di interpreti tendenti all’eccesso o poco convincenti (nessuno escluso), nel primo caso, e quelle di demoni particolarmente distratti e innocui.

Un peccato, visto che nel “lot of fun stuff” promesso dall’onesto Chaves non mancano scene meritevoli, dall’interessante trovata di mascherare il necessario spiegone ‘per chi non avesse visto le puntate precedenti’ da leggenda alle scene dello scontro a colpi di aspersorio o dell’edicola da strada scelta da Valak per palesarsi. Momenti rinfrancanti e illusori in un lungo combattimento con il senso di certe scelte e gli strappi immotivati di una backstory fin troppo fantasiosa e forzata. E che aumentano il rammarico per il tentativo fallito di fare qualcosa di più del solito, puntando su sogni e visioni – poco thriller e minacciose – più che le usuali apparizioni o un abuso di jumpscare.

The Nun 2 da oggi al cinema!

The Nun 2 da oggi al cinema!

New Line Cinema presenta il thriller horror The Nun 2, il secondo capitolo della saga di The Nun, l’opera di maggior successo dell’universo The Conjuring, che ha incassato più di 2 miliardi di dollari. Taissa Farmiga (“The Nun”, “The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”, “The Nun”), Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell (“Fairytale”, la trilogia de “Le cronache di Narnia”) Bonnie Aarons (al suo ritorno in “The Nun”) e da un cast di star internazionali.

In The Nun 2 Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del film campione d’incassi segue le vicende di Suor Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora demoniaca. Michael Chaves (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”) dirige da una sceneggiatura di Ian Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy of Jane Doe”) e Akela Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia di Akela Cooper, basata sui personaggi creati da James Wan & Gary Dauberman.

Il film è prodotto dalla Safran Company di Peter Safran e dalla Atomic Monster di James Wan che danno seguito alle passate collaborazioni nei precedenti film della saga “Conjuring”. Produttori esecutivi di “The Nun II” sono, Richard Brener, Dave Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman, Michael Clear, Judson Scott e Michael Polaire. Nel team creativo che ha affiancato il regista Michael Chaves troviamo il direttore della fotografia Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”, “The Dark and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend (“Les Vedettes”, “The French Dispatch”), il montatore Gregory Plotkin ( “Scream” 2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti visivi Sophie A. Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès Béziers (“Oxygen”, “The Breitner Commando”), e il compositore Marco Beltrami ( “Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”) autore della colonna sonora.

L’universo “The Conjuring” rappresenta la saga horror di maggior successo nella storia al box office con un incasso complessivo globale di 2 miliardi di dollari. A livello mondiale, quattro dei titoli di “The Conjuring” hanno incassato ciascuno oltre 300 milioni di dollari nel mondo (“The Nun” $366 million; “The Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring” $320 million; “Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo della saga ha incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The Nun” è al vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366 milioni di dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una produzione Atomic Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà nelle sale italiane a settembre distribuito da Warner Bros. Pictures.