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Romulus: recensione dei primi due episodi della serie Sky RFF#15

Romulus recensione serie tv

La sua presentazione – attesissima dopo il successo lo scorso anno del film Il primo re, diretto da Matteo Rovere, da cui è stata tratta – fa parte degli Eventi Speciali della Festa del Cinema di Roma.

La serie tv Romulus promette di raccontare la fondazione di Roma e soprattutto il mondo dei primi romani dell’VIII secolo a. C. come non era stato mai fatto. La dimensione della serialità consente di soffermarsi di più e meglio sui molteplici aspetti della vita del tempo, di ricreare con dovizia di particolari quel mondo intriso di violenza, paura, riti e credenze arcaiche, divenuto oggetto di miti e leggende. Un approfondimento che non poteva trovare spazio nel film. Si prevede anche una trilogia di romanzi scritti da Luca Azzolini e pubblicata da Harper Collins, i primi due dei quali usciranno in contemporanea con la serie.

Inevitabile chiedersi se Romulus, diretto da Matteo Rovere, Michele Alhaique e Enrico Maria Artale riuscirà a mantenere gli alti livelli non solo visivi del film, ma anche di scrittura e interpretativi, riuscendo a non svilirsi nel compromesso con i meccanismi della serialità televisiva e dell’indirizzo a un pubblico di massa. Della scrittura si sono occupati lo stesso Matteo Rovere, Filippo Gravino (Veloce come il vento, Alaska, Il Primo Re) e Guido Iuculano (Una vita tranquilla, Tutto può succedere, Questione di cuore, Alaska) con un lavoro meticoloso di documentazione e studio delle fonti storiche, durato quattro anni. La serie, come il film, è interamente girata in protolatino.

Romulus, la trama

Lazio, VIII secolo a. C.. Trenta popoli formano la Lega Latina. Ognuno ha il suo re, ma tutti vivono sotto la guida del re di Alba, Numitor. La preoccupazione cresce nella Lega a causa di una prolungata siccità. Si consulta l’aruspice e il verdetto è implacabile: per far tornare la pioggia, gli dei chiedono l’esilio di Numitor. Il trono dovrà passare ai nipoti Enitos, Giovanni Buselli, e Yemos, Andrea Arcangeli, figli di sua figlia Silvia, Vanessa Scalera. I due fratelli sono inseparabili, ma Enitos ama segretamente Ilia, Marianna Fontana, vestale figlia di Amulius, Sergio Romano, fratello di Numitor.  Ilia è rinchiusa nel tempio di  Vesta, dove veglia giorno e notte sul fuoco sacro affinché non si spenga. Nonostante Ilia profetizzi a Enitos che sarà ucciso da suo fratello e gli consigli di allontanarsi da Alba per fuggire il destino, Enitos decide di restare accanto al fratello e regnare insieme. Nel frattempo, a Velia, un gruppo di giovani, i Luperci, viene scelto per un rito di iniziazione: dovrà restare nel bosco per mesi e sopravvivere alla minaccia della dea Rumia, che abita la foresta. Tra questi c’è Wiros, Francesco Di Napoli.  Ad Alba Amulius, convinto dalla moglie Gala, Ivana Lotito, e dal re di Velia, Spurius, Massimo Rossi, prende il potere con la forza. Yemos dovrà fuggire verso il bosco, dove si unirà ai Luperci avvicinandosi a Wiros. Ilia perderà il suo amore e farà un gesto gravissimo, di cui pagherà le conseguenze. Tutto però può cambiare in un attimo in un mondo primitivo, dominato da violenza, paura e mistero.

Romulus mantiene le promesse nonostante qualche compromesso inevitabile

Torniamo dunque alla domanda dell’inizio. Romulus mantiene gli alti livelli del film da cui è tratto, nonostante la diluizione nella serialità? Stando ai primi due episodi, sembra di si. Il progetto è molto curato e riesce a sfruttare al meglio la possibilità di inventare un mondo che ancora non c’è, che non si era mai visto prima, partendo da una minuziosa ricostruzione storica. Il lavoro di scrittura in questo senso è notevole. D’altro canto, si inseriscono elementi che nel film erano assenti, come la sessualità, quindi la nudità, con scene anche molto esplicite, elemento che ne Il primo re mancava. Lo si fa per uniformare il prodotto a dei canoni e attrarre un pubblico di massa. Al posto di una visione problematica e complessa dei rapporti sembra farsi strada una visione semplificata in cui è più netta la distinzione tra bene e male. Questo almeno a giudicare dai primi due episodi. Si introducono figure da tragedia shakespeariana, su tutte Gala, moglie di Amulius, una Lady Macbeth ante litteram, e lo stesso Amulius, un po’ Macbeth un po’ il Claudius dell’Amleto. Non tutti i personaggi però sono curati allo stesso modo, anche se ciò si potrà valutare più compiutamente nello sviluppo della serie. Si pensi ad esempio proprio a Gala, che nei primi due episodi interviene sempre con lo stesso comportamento e la stessa finalità, con una certa prevedibilità. Ciò stona un po’ con l’estrema accuratezza di cui abbiamo parlato sopra.

La regia riesce a restituire sia la vastità di spazi allora sconosciuti e quindi spaventosi, la durezza delle condizioni materiali di vita, sia lo stato di perenne paura, di estrema precarietà in cui vivono i protagonisti. C’è molta attenzione alle emozioni. Lo sguardo del regista si posa sui volti e i corpi dei personaggi, che indaga da vicino per scorgerne gli stati d’animo e i cambiamenti. Si riesce così a creare – con l’aiuto della buona fotografia di Vladan Radovic, sebbene sia difficile raggiungere i livelli di Daniele Ciprì ne Il primo re, delle musiche dei Mokadelic, basate ancora una volta sui ritmi percussivi, adatti al contesto arcaico e creatori di atmosfere piene di attesa e suspense – un’esperienza coinvolgente e un universo credibile, che viaggia tra ricostruzione maniacalmente realistica e fantasia. Il tutto è introdotto dalla sigla di testa, spettacolare sia visivamente che musicalmente, con una bella cover di Shout dei Tears for Fears cantata da Elisa. C’è da augurarsi che i tre registi siano riusciti a trovare un equilibrio di stili e che il livello si mantenga alto durante tutta la serie come in questi primi due episodi diretti da Matteo Rovere.

Un cast di giovani attori da vita a Romulus

Il cast di Romulus punta soprattutto sui giovani. I tre personaggi principali su cui si concentra l’attenzione sono Yemos, interpretato da Andrea Arcangeli (Trust, The Startup), Wiros, Francesco Di Napoli (La paranza dei bambini) e Ilia, Marianna Fontana (Indivisibili, Capri – Revolution). Quest’ultima si distingue nel ruolo della giovane vestale. La sequenza dell’interramento che la vede protagonista è senza dubbio visivamente impressionante e difficile da dimenticare, ma l’attrice dimostra di sapersi esprimere al meglio in più momenti. Si capisce già dai primi episodi come la sua figura sia quella di una ribelle destinata a diventare un’eroina che riscatta il ruolo delle donne in una società fortemente maschile. Da questo si evince, poi, come la serie reinventi il passato per parlare al presente.

Accanto a loro Giovanni Buselli (Gomorra – La serie), Silvia Calderoni (Riccardo va all’inferno), Demetra Avincola (Fortunata, Loro 2), Ivana Lotito (Gomorra – La serie), Gabriel Montesi (Favolacce, Il primo re) sono solo alcuni dei componenti del nutrito cast della serie. Prodotto da Sky, Cattleya e Groenlandia, Romulus arriva su Sky dal 6 novembre.

 
 

MCU: come l’Hydra ha trasformato Bucky Barnes nel Soldato d’Inverno

La Marvel ha rivelato come l’Hydra abbia trasformato Bucky Barnes, il migliore amico di Steve Rogers, nel Soldato d’Inverno. Quando Sebastian Stan ha fatto il suo debutto nel MCU nei panni di Bucky Barnes in Captain America: Il primo vendicatore, chiunque aveva familiarità con i fumetti sapeva che direzione avrebbe preso la sua storia. Non passò molto tempo prima che emergessero rapporti secondo cui Stan aveva firmato un contratto per più film, e da allora tutto sembrava alquanto inevitabile.

Potrebbe essere stato facile da prevedere, ma il ritorno di Bucky è stato gestito in modo eccezionale e ad oggi Captain America: The Winter Soldier del 2014 è ancora considerato uno dei migliori film dell’intero MCU. Nell’universo condiviso, Bucky è sopravvissuto ad una caduta da una grande altezza ed è stato catturato dall’Hydra. È stato gradualmente trasformato nel miglior assassino dell’Hydra, congelato criogenicamente tra le varie missioni e scongelato ogni volta che l’Hydra aveva bisogno di lui.

È stato responsabile di alcune delle morti più importanti nella storia del MCU, inclusi gli assassinii di Howard e Maria Stark e persino l’omicidio del presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy. Ma come ha fatto l’Hydra a trasformare il migliore amico di Captain America nel Soldato d’Inverno? La risposta è stata finalmente data da The Wakanda Files (via Screen Rant), una raccolta di record relativi all’universo condiviso messi insieme da Shuri mentre studiava il mondo in via di sviluppo oltre i confini di Wakanda, pubblicato nell’ottobre 2020.

Secondo i file di Shuri, il progetto del Soldato d’Inverno fu supervisionato personalmente dal dottor Arnim Zola mentre era sotto la custodia dell’SSR negli anni ’40. “Il mio lavoro continua in segreto”, riflette Zola in uno dei suoi appunti personali: “Nella fredda desolazione della Siberia sta nascendo il prossimo soldato dell’Hydra. Il complesso siberiano ha riferito che il sergente Barnes si sta riprendendo abbastanza bene dopo essere caduto dal ponte. Le sue ferite erano estese, richiedendo l’amputazione del braccio sinistro. Ma questo è facilmente risolvibile con protesi cibernetiche avanzate”. Shuri credeva inoltre che l’Hydra avesse esposto Barnes alle radiazioni gamma per migliorare il suo fisico, ispirato dall’energia del Tesseract.

Bucky Barnes ancora suscettibile al controllo esterno?

I diari di Zola indicano che Bucky Barnes era inaspettatamente resistente al lavaggio del cervello dell’Hydra, combattendolo con una ferocia inesplicabile. Tuttavia, l’Hydra persistette, sottoponendo Bucky ad un condizionamento intensivo e poi congelandolo criogenicamente prima della successiva sessione di lavaggio del cervello. “Il programma del Soldato d’Inverno dell’Hydra ha sottoposto Barnes ad una terapia elettroconvulsiva (ECT)”, osserva Shuri nei suoi appunti personali, “seguita da parole chiave e frasi suggestive per attivare un nodo cerebrale che potrebbe richiedere anni per sciogliersi. Se siamo in grado di invertirlo. L’ECT è estremamente doloroso e l’Hydra non ha somministrato agenti opacizzanti “. Shuri paragona l’esperienza di Bucky quando è sotto il controllo dell’Hydra a quella di una persona nella fase REM mentre è in realtà sveglia, quindi in uno stato di sogno in cui non ha la libera volontà di rifiutare gli ordini.

Il Soldato d’Inverno sarebbe stato l’agente più fedele dell’Hydra, se non fosse stato per un fattore che non avevano considerato: la sua lealtà a Steve Rogers, che fu scongelato dal ghiaccio decenni dopo e riprese la sua carriera come Captain America. “I ricordi condivisi di Barnes con il suo migliore amico, Steve Rogers, hanno attivato momentaneamente i centri della memoria”, osserva Shuri, “dando vita a piccoli frammenti della sua vita passata mentre si trovava in una trance simile al sonno”. Tuttavia, questo stimolo emotivo è l’unico modo sicuro per Bucky di rimanere libero dal suo condizionamento mentale,  nonostante ora Captain America non ci sia più. Shuri non sembra credere che il lavaggio del cervello sia stato invertito con successo, il che significa che il Soldato d’Inverno potrebbe essere ancora suscettibile al controllo esterno. Ciò potrebbe rivelarsi significativo ai fini della trama dell’attesa serie The Falcon and the Winter Soldier.

 
 

Shia LaBeouf e Margaret Qualley nudi nel nuovo video di Rainsford

shia labeouf margaret qualley

È arrivato on line il nuovo video di Rainsford, nome d’arte di Rainey Qualley, che per l’accompagnamento per immagini di Love me like you hate me si è avvalsa della collaborazione di Shia LaBeouf e della sorella Margaret Qualley. Il video, che potete vedere di seguito, è il racconto di una quotidianità di una storia d’amore, intima, passionale, fisica, difficile e delicata. Ecco il video di seguito:

https://vimeo.com/471151437

Shia LaBeouf non è nuovo alla realizzazione di videoclip musicali anche fisicamente impegnativi, come è accaduto con le collaborazioni con Sigur Ros e Sia. Margaret Qualley non è da meno, dal momento che proviene dalla danza e dal cinema indipendente – sperimentale, prima del debutto nel cinema d’autore con C’Era una volta a Hollywood, di Quentin Tarantino. La ricordiamo nel meraviglioso cortometraggio per Kenzo diretto da Spike Jonze.

Anche se non è ufficiale, in assenza di credits, sembra che il video sia stato diretto da Olivia Wilde, come spoilera un commento di Reed Morano su Instagram, sotto al post di Just Jared che annuncia l’uscita del video stesso.

 
 

The Suicide Squad: James Gunn sulle riprese aggiuntive e sulla libertà creativa

The Suicide Squad

Dopo le cover di Empire che ci hanno regalato un nuovissimo sguardo a tutto il cast del film, James Gunn è tornato a parlare via Twitter dell’attesissimo The Suicide Squad, rivelando nuovi dettagli sulla nuova iterazione cinematografica della Task Force X che dovrebbe arrivare al cinema il prossimo anno.

Il regista e sceneggiatore ha spiegato che il montaggio del film è stato completato e che adesso è impegnato con le fasi finali della post-produzione. Il regista ha inoltre confermato che non ci saranno riprese aggiuntive: “Avevamo inserito i reshoot nel nostro programma. Ma questa settimana abbiamo in programma di allacciare il film (che significa bloccare le immagini ad eccezione di alcuni elementi che andranno spostati per fare spazio ai VFX da inserire successivamente) e non abbiamo rigirato nulla.” 

Gun ha inoltro spiegato che nessun personaggio sarà “al sicuro” nel film e che nessun personaggio ha avuto le spalle coperte dalla DC Films, neanche la celebre Harley Quinn di Margot Robbie: “”Nessun personaggio è stato protetto dalla DC. Mi hanno dato carta bianca per fare tutto quello che volevo. Questa è stata una delle cose che avevamo concordato prima che accettassi di lavorare per loro. Il mio obiettivo non era quello di cercare lo shock gratuito, ma volevo che il pubblico capisse che nel film può succedere qualsiasi cosa.”

Il cast ufficiale di The Suicide Squad comprende i veterani Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Joel Kinnaman (Rick Flag) e Jai Courtney (Captain Boomerang), insieme alle new entry Idris ElbaMichael RookerNathan FillionTaika WaititiJohn CenaPeter Capaldi, Sean Gunn, David Dastmalchian Storm Reid. Nel film reciteranno anche Pete Davidson, Juan Diego Botto, Joaquin Cosio, Flula Borg, Tinashe Kajese, Jennifer Holland, Julio Ruiz, Alice Braga, Steve Agee e Daniela Melchior.

 
 

No Time to Die: Apple e Netflix volevano acquistare il film

no time to die

Bloomberg riporta che MGM avrebbe avuto una serie di discussioni con Apple e Netflix in merito alla possibilità di acquistare No Time to Die e di far debuttare il nuovo attesissimo capitolo della saga di James Bond direttamente in streaming. Tuttavia, lo studio sembra essere irremovibile e convinto di voler distribuire Bond 25 al cinema.

Il sito spiega che il prossimo film di James Bond potrebbe potenzialmente recuperare centinaia di milioni di dollari attraverso una potenziale uscita in streaming, anche se MGM sostiene che il blockbuster “non è in vendita”. Un rappresentante ha rilasciato una dichiarazione dicendo: “L’uscita del film è stata posticipata ad aprile 2021 al fine di preservare l’esperienza in sala per gli spettatori.”

Amazon non sembra essere in corsa per acquistare No Time to Die, anche se questa potrebbe rivelarsi una mossa innegabilmente sensata per MGM in questa fase così delicata. Tenet è stato un fallimento al botteghino, mentre la spesa relativa al marketing del prossimo film di 007 sembra essersi definitivamente esaurita (un trailer finale che reclamizzava l’uscita in sala a novembre ha debuttato poco prima della notizia dell’ennesimo rinvio).

No Time to Die e il futuro della sala cinematografica

No Time to Die è costato circa 250 milioni di dollari, quindi se MGM avesse la possibilità di vendere il film ad una cifra superiore, avrebbe certamente la possibilità di raggiungere almeno il pareggio. Se si scommette ancora su un’uscita in sala, il risultato finale potrebbe essere quello di una grave perdita, perché è chiaro che gli spettatori non saranno pronti a tornare al cinema fino a quando non sarà disponibile un vaccino COVID-19.

In No Time to Die, Bond si gode una vita tranquilla in Giamaica dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto vivere viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un vecchio amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa tecnologia.

Il film vedrà protagonisti un cast d’eccezione composto da Daniel CraigLéa SeydouxRalph FiennesRami MalekNaomie HarrisBen WhishawJeffrey WrightAna de Armas, Rory Kinnear, Dali Benssalah, Billy Magnussen, David Dencik e Lashana Lynch.

 
 

Mahershala Ali parla di Blade e dell’eredità di Wesley Snipes

Blade film

Durante il Comic-Con di San Diego dello scorso anno, Kevin Feige annunciò ufficialmente che il premio Oscar Mahershala Ali avrebbe interpretato Blade in un nuovo cinecomic del MCU. Da allora, però, non ci sono mai stati aggiornamenti significativi sul progetto, se non un concept ufficiale – condiviso via Instagram dallo stesso Alì – che mostrava l’attore nei panni di Eric Brooks.

Adesso, in una recente intervista con The Tight Rope, Mahershala Ali ha finalmente parlato del film e di come sia riuscito ad ottenere la parte, rivelando di aver sempre voluto interpretare il personaggio fin da quando ha ottenuto la parte di Cornell “Cottonmouth” Stokes nella serie Marvel Luke Cage. 

“Quando Luke Cage è stato presentato per la prima volta, mi sono rivolto al mio agente e gli ho detto: ‘Cosa stanno facendo con Blade?’. Sapevo che stavano cercando un modo per riportare il personaggio al cinema. Per me è stato eccitante entrare a far parte dell’universo Marvel alla televisione, ma la verità è che il mio obiettivo è sempre stato il cinema.”

“Ci sono voluti un paio d’anni prima che tutto si concretizzasse”, ha continuato l’attore. “Volevo davvero interpretare quel personaggio e affrontare quella responsabilità. Mi piace che sia un personaggio oscuro, ovviamente in riferimento al tono. È decisamente più cupo rispetto a tutti gli altri personaggi. Questo è stato l’elemento di maggior interesse per me.”

Ali ha parlato anche dell’eredità di Wesley Snipes, che ha interpretato Eric Brooks/Blade in ben tre film, realizzati tra il 1998 e il 2004: “Nella mia mente c’era sicuramente un legame con Wesley Snipes. Quando ero al liceo le persone mi dicevano che ci somigliavamo. Il lavoro di Wesley mi ha sicuramente ispirato, tuttavia è stata la mia partecipazione a Luke Cage a permettermi di pensare alla parte e di capire cose stessero facendo al riguardo.”

Cosa sappiamo di Blade con Mahershala Ali?

Al momento su Blade vige il mistero più assoluto: non sappiamo infatti né chi si occuperà della regia, né chi della sceneggiatura e, soprattutto, quali attori affiancheranno Ali nel cast.

Mahershala Ali è uno dei nomi più “caldi” del momento, a Hollywood. Dopo il suo exploit nel 2016 con Moonlight, che gli ha regalato il primo Oscar da non protagonista, Ali ha fatto doppietta quest’anno con Green Book, nella stessa categoria. Intanto ha continuato a coltivare il cinema da blockbuster (è nel cast di Alita: l’Angelo della Battaglia) e la grande serialità televisiva (è stato protagonista della terza stagione di True Detective).

Ali non è estraneo al cinema di supereroi. Ha dato la voce a Prowler in Spider-Man: Un Nuovo Universo ed è stato Cottonmouth nella prima stagione di Luke Cage per Marvel/Netflix.

 
 

Big Sky: nuovo promo “Brace for Impact”

Big Sky serie tv 2020

Dopo il trailer ufficiale il network americano ABC ha diffuso l’inedito promo “Brace for Impact” di Big Sky, l’annunciata nuova serie tv in arrivo questo autunno.

Big Sky

Big Sky è la nuova serie tv creata da David E. Kelley per il network americano ABC. David E. Kelley sarà lo showrunner della prima stagione. Basato sulla serie di libri di CJ Box, “Big Sky” è prodotto da David E. Kelley, Ross Fineman, Matthew Gross, Paul McGuigan, CJ Box e Gwyneth Horder-Payton, ed è prodotto da 20th Television. 20th Television fa parte dei Disney Television Studios, insieme a ABC Signature e Touchstone Television.

La serie racconta degli investigatori privati ​​Cassie Dewell e Cody Hoyt uniscono le forze con la sua ex moglie ed ex poliziotta, Jenny Hoyt, per cercare due sorelle che sono state rapite da un camionista su una remota autostrada nel Montana. Ma quando scoprono che queste non sono le uniche ragazze scomparse nella zona, devono correre contro il tempo per fermare l’assassino prima che un’altra donna venga rapita. Big Sky vede protagonisti Katheryn Winnick nei panni di Jenny Hoyt, Kylie Bunbury nei panni di Cassie Dewell, Brian Geraghty nei panni di Ronald Pergman, Dedee Pfeiffer nei panni di Denise Brisbane, Natalie Alyn Lind nei panni di Danielle Sullivan, Jade Pettyjohn nei panni di Grace Sullivan, Jesse James Keitel nei panni di Jerrie Kennedy, Valerie Mahaffey come Helen Pergman con John Carroll Lynch come Rick Legarski e Ryan Phillippe come Cody Hoyt.

 
 

Creed 3: Michael B. Jordan debutterà alla regia?

Creed II film

Arriva da Deadline la notizia che Michael B. Jordan potrebbe debuttare alla regia di Creed 3, il terzo capitolo della serie di spin-off della saga di Rocky Balboa, i cui eventi si svolgono nove anni dopo i fatti narrati nel franchise con protagonista Sylvester Stallone.

Il terzo episodio è stato ufficializzato lo scorso febbraio. All’epoca venne soltanto confermato che ad occuparsi della sceneggiatura sarebbe stato Zach Baylin, noto per aver curato lo script di King Richard, un biopic incentrato sulla vita del padre delle campionesse di tennis Serena e Venus Williams, che avrà come protagonista Will Smith e che debutterà prossimamente su Netflix.

Adesso, stando al report di Deadline (via Collider), sembra proprio che Michael B. Jordan non solo tornerà nei panni di Adonis “Donnie” Johnson, ma firmerà anche il suo debutto dietro la macchina da presa proprio grazie a Creed 3. In realtà, non è la prima volta che si parla di tale possibilità, dal momento che le voci sulla possibilità che Jordan si occupi anche della regia del film circolavano da un bel po’. Ad ogni modo, la Warner Bros. non ha ancora confermato l’attore come regista ufficiale.

Un’altra importante novità in merito a Creed 3 riguarderebbe il coinvolgimento di Sylvester Stallone, che potrebbe non tornare nei panni dell’iconico personaggio in veste di mentore. In effetti, già in Creed 2 l’arco narrativo del personaggio sembrava essersi concluso. Lo scorso maggio l’attore aveva parlato del progetto su Instagram durante un Q&A – lo stesso in cui aveva confermato il sequel di Demolition Man -, anticipando che potrebbe non apparire nel terzo capitolo della saga spin-off.

Stallone ha spiegato di avere alcune idee per fare tornare il personaggio di Rocky al cinema, ma dubita che ciò possa avvenire nel terzo annunciato Creed. Sly ha quindi confermato di avere alcune idee per un sequel di Rocky, ma al tempo stesso pensa che il suo arco narrativo nel franchise con protagonista Michael B. Jordan si sia esaurito.

 
 

Shangi-Chi: le riprese sono ufficialmente terminate

Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings

Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings sarebbe dovuto arrivare nei cinema a febbraio 2021, ma l’emergenze Covid-19 ha letteralmente stravolto il calendario delle uscite dei prossimi attesissimi film del MCU, facendo slittare il cinecomic di Destin Daniel Cretton prima a maggio e poi a luglio del prossimo anno.

Le riprese del film erano partite in Australia prima che il lockdown dello scorso marzo fermasse tutte le produzioni cinematografiche su scala mondiale. Successivamente, il cast e la troupe del film sono ritornati sul set per completare le riprese australiane e spostarsi così a San Francisco. Adesso, è stato proprio Cretton a confermare via Instagram che le riprese del cinecomic al Maestro delle Arti Marziali si sono ufficialmente concluse.

Vista l’attuale situazione legata al Coronavirus, è impossibile prevedere quale sarà il reale futuro di Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings: per ora il film è atteso nelle sale per luglio del 2021, ma non è escluso che le cose possano cambiare ancora una volta. Sulla trama del film sappiamo ancora poco, se non che il vero Mandarino farà finalmente il suo debutto nell’Universo Cinematografico Marvel e che il protagonista sarà coinvolto in una sorta di torneo di combattimento per entrare in possesso dei Dieci Anelli a cui fa riferimento il titolo.

I primi dettagli sulla trama di Shang-Chi

Stando ai primi dettagli sulla trama emersi diverso tempo fa, Shang-Chi non sarà soltanto il Maestro delle Arti Marziali che i fan hanno imparato a conoscere grazie ai fumetti: sembra, infatti, che il protagonista avrà l’abilità di dare vita ad una serie di cloni di se stesso (un potere simile a ciò che è già in grado di fare nei fumetti), e sarà proprio quest’abilità a metterlo nel radar del Mandarino. Cresciuto in uno speciale orfanotrofio dov’è stato addestrato al combattimento, Shang-Chi decide di fuggire per poi finire, anni dopo, di nuovo nelle grinfie del villain. Il Mandarino promette a Shang-Chi soldi, potere e – cosa ancora più importante – la libertà, se accetterà di combattere in un torneo dove al vincitore verranno consegnati i Dieci Anelli a cui fa riferimento il titolo.

L’uscita nelle sale di Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings è fissata al 7 maggio 2021. Destin Daniel Cretton, acclamato regista di Short Term 12 e The Glass Castle (di recente è uscito il suo ultimo lavoro Il Diritto di Opporsi, con Michael B. Jordan, Jamie Foxx e Brie Larson) è stato scelto per dirigere il film che vanta la sceneggiatura di Dave Callaham (The Expendables, Godzilla, Wonder Woman 1984).

Vi ricordiamo che nei panni del protagonista ci sarà l’attore canadese Simu Liu, visto di recente nella commedia di Netflix Kim’s Convenience. Insieme a lui, nel cast, figureranno anche Tony Leung Chiu-wai nei panni del Mandarino, e Awkwafina, che dovrebbe interpretare un “leale soldato” del Mandarino, e se è vero che il villain qui sarà il padre di Shang-Chi, in tal caso ci sono ottime possibilità che si tratti di Fah Lo Suee. Chi ha letto i fumetti saprà che è la sorella dell’eroe del titolo e che il suo superpotere è l’ipnosi.

 
 

Fuori era primavera: la recensione del documentario di Gabriele Salvatores #RFF15

Fuori era primavera recensione

È possibile raccontare al cinema il drammatico periodo che l’Italia ha vissuto, e sta ancora vivendo, a causa della pandemia di Covid-19? Tale quesito ha acceso nelle ultime settimane innumerevoli dibattiti, alimentato anche dall’uscita in sala del film Lockdown all’italiana di Enrico Vanzina. Se per molti una commedia ad equivoci non era il genere più idoneo per affrontare il tema, potrebbe invece esserlo il documentario Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown, del regista premio Oscar Gabriele Salvatores. La differenza sta che in quest’ultimo ad avere voce in capitolo sono proprio gli italiani, popolo imperfetto ma straordinario, chiamato ad affrontare negli scorsi mesi una delle sfide più dure dal secondo dopoguerra ad oggi.

Presentato durante la Festa del Cinema di Roma, il film del regista di Il ragazzo invisibile ricalca l’esperimento già compiuto nel 2014 con Italy in a Day – Un giorno da italiani. La modalità è la stessa: nel corso delle settimane in cui gli italiani sono rimasti in casa per limitare i contagi, il regista ha chiesto a tutti loro di inviargli delle video testimonianze di quella loro insolita quotidianità. Ancora una volta, dunque, l’Italia si è riscoperta popolo di narratori. Nel giro di breve, si raccolgono oltre 16 mila video, e dalla loro unione nasce un ritratto divertente, commovente ma anche frustrante di quanto accaduto e del modo in cui le persone vi si sono relazionate.

Nel costruire il racconto, Salvatores ha seguito un chiaro ordine cronologico. Si parte con i primi timori dell’arrivo del virus, fino a quel fatidico 9 marzo in cui l’Italia viene dichiarata zona rossa nella sua totalità. Da lì hanno inizio tre mesi di piazze vuote, ospedali pieni e balconi in festa con il tentativo di sentirsi tutti meno soli. Si delineano diverse figure di eroi, dai medici e gli infermieri ai fattorini del cibo d’asporto, nonché l’attenzione verso le notizie globali e la rinascita della natura. Tutto questo e molto altro va a dar voce ad un paese che ha sofferto, soffre, ma fa comunque di tutto per resistere.

Fuori era primavera: tra documento ed emozione

Nella nostra società contemporanea la documentazione dell’evento è ormai per le persone un atto pressoché irrinunciabile. Che siano più o meno importanti, questi trovano sempre spazio nel nostro personale archivio mediale. Di fronte ad una pandemia globale, che ha radicalmente trasformato le abitudini mondiali, era dunque prevedibile che ognuno nel suo privato avrebbe intensificato tale attività. Sono così spuntati in rete tutorial di ogni tipo, video-diari, e simili. Le videochiamate di lavoro o tra amici si sono moltiplicate, così come anche la tanto nominata didattica a distanza.

Se tutte queste voci prese singolarmente possono essere un racconto parziale, smettono naturalmente di esserlo nel momento in cui vengono accostate a testimonianze più o meno simili. È quello che succede con Fuori era primavera, documentario che presenta in sé due grandi elementi di forza. Il primo è quello del valore testimoniale. È a progetti come questi che in futuro si guarderà per avere un’idea di quello che è ora il nostro mondo presente. Nel documentario di Salvatores si ritrova il racconto di un vero e proprio momento di passaggio, che ha nella video testimonianza del reale il suo marchio di qualità.

Di ciò che viene mostrato, infatti, non importa tanto il cosa quanto il come. Il film è un’ennesima prova del potere dei social network e dei moderni canali di comunicazione. Questi permettono infatti di colmare virtualmente le distanze che cause naturali obbligano a mantenere a livello fisico. L’altro grande valore del film è invece quello della sincerità. Sarebbe infatti fin troppo facile costruire un racconto ruffiano su ferite ancora così vive. Salvatores riesce ad evitare tale rischio omettendo i più comuni stereotipi a riguardo, privilegiando elementi che sappiano di novità. Così facendo, il suo film acquista un grande, e sincero, cuore.

Fuori era primavera Gabriele Salvatores

Fuori era primavera: la recensione

Dati questi due grandi pregi del film, dunque, Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown si configura come un esperimento doppiamente interessante. Questo, come riporta anche il sottotitolo, è un vero e proprio viaggio dal Nord al Sud del Bel Paese. Grazie al potere del cinema, è possibile percorrere questo senza spostarsi di un metro, avvertendo ugualmente tutta la carica emotiva che gli italiani hanno da trasmettere. Si rimane infatti commossi dinanzi alla forza di questo popolo, che quando vuole sa dimostrare di essere davvero il più bello del mondo. L’attualità di quanto narrato certamente influisce sul giudizio emotivo, ma rimane ugualmente difficile non provare grande commozione davanti alle immagini proposte.

Salvatores vince dunque la sfida di voler raccontare tale periodo rinunciando alla finzione cinematografica. Nessuno più dei veri protagonisti del lockdown sembra in grado di poter raccontare cosa è stato questo momento storico. Le loro voci danno vita ad un paese ricco di somiglianze e differenze, che si scopre bello anche grazie a queste ultime. Tra l’Inno di Mameli cantato tutti insieme sul balcone, e la pizza fatta in casa del sabato sera, si manifesta la forza di un popolo costretto tra quattro mura mentre fuori ha luogo la primavera. Simbolo di rinascita e speranza, questa non poteva che diventare il titolo del film.

 
 

Seize printemps, recensione del film di e con Suzanne Lindon #RFF15

Seize printemps recensione

L’esordio registico e attoriale di Suzanne Lindon, ventenne figlia d’arte degli attori Vincent Lindon e Sandrine Kiberlaine, s’intitola Seize printemps, ovvero sedici primavere: l’età della protagonista, che guarda caso si chiama come la regista, Suzanne. Lindon si dà anche il compito di interpretarla, esplorandone dubbi e incertezze adolescenziali, ma anche i primi amori. Presentato al Festival di Toronto a settembre, avrebbe dovuto partecipare a quello di Cannes, annullato a causa della pandemia. Ora arriva alla Festa del Cinema di Roma.

Seize printemps, la trama

Suzanne, Suzanne Lindon, ha 16 anni. Frequenta il liceo, ma la scuola e i compagni da un po’ di tempo la annoiano. I compagni sono troppo superficiali e la scuola è sempre la stessa, una routine ormai priva di interesse. In tutt’altro ambito, succede la stessa cosa a Raphael, Arnaud Valois, trentacinquenne attore di teatro, stanco del suo mestiere, ogni sera uguale a sé stesso e dei suoi colleghi di lavoro. Così, un po’ per gioco, un po’ per curiosità, i due cominciano a vedersi ogni mattina, al bar vicino al teatro e alla scuola di Suzanne. S’innamorano, trovando uno nell’altra la propria fuga dalla monotonia della quotidianità, una boccata d’aria fresca in un orizzonte piatto.

Pur essendo acerba, come ci si aspetta che sia l’opera prima di una ventenne, che ne ha scritto la sceneggiatura a soli 15 anni, Seize printemps colpisce per il suo delicato romanticismo, in controtendenza rispetto ai tempi spavaldi ed esibizionisti che oggi viviamo. Lindon attrice si propone come una nuova Charlotte Gainsbourg, o  Sophie Marceau e questo suo esordio potrebbe essere visto come una sorta di Il tempo delle mele degli anni 2000.

Uno sguardo ancora immaturo, ma originale e in controtendenza sulle sedici primavere

Per quel che riguarda il racconto di una storia d’amore, questo semplicissimo e per certi versi ingenuo film riesce a comunicare con più efficacia il sentimento amoroso – in particolare la fragilità e l’impaccio di quei primi amori adolescenziali, platonici, che però non per questo sono meno profondi e meno intensi – rispetto ad esempio ad un film come l’atteso Ammonite di Francis Lee, in cui comunque non si riesce a venir fuori da una certa rigidità che raffredda il sentimento. Seize printemps è la dimostrazione di come, se si ha un’idea e una buona sensibilità per realizzarla, anche con poco si riesce ad arrivare agli spettatori, ad emozionare, complice anche la buona sintonia tra Lindon e il protagonista maschile Arnaud Valois (120 battiti al minuto).

I dialoghi sono quasi assenti, al loro posto gesti teatrali, balli e musica. Tuttavia, questo non è solo un modo per scegliere la strada più facile, ma è una precisa scelta che si apprezza da spettatori, e ancora una volta si mostra in controtendenza rispetto a tanta cinematografia, soprattutto francese, caratterizzata da una sovrabbondanza di parole, ultimo esempio Le discours, presentato proprio qui a Roma pochi giorni fa. Qui, al contrario, si lavora quasi solo con il corpo, i movimenti, gli sguardi. In questo i protagonisti sono bravi entrambi. Anche qui c’è del teatro, ma non è affabulazione, bensì sensazioni, rumori e gesti quasi da mimo. Come luogo poi, il teatro, il palcoscenico sono i luoghi simbolo dell’incontro tra i due, quelli a cui l’arrivo di Suzanne dà un nuovo senso per Raphael, che se ne stava allontanando.

Detto questo, non mancano le ingenuità ed è un peccato che la regista abbia fretta di portare a compimento la vicenda – il film dura 73 minuti – questa sì, figlia senz’altro dell’inesperienza e di una scrittura che deve ancora crescere molto. Sarebbero serviti 15-20 minuti in più e un epilogo più compiuto al lavoro. Invece, si ha la sensazione di correre verso il finale in maniera troppo sciatta.

Un talento da tenere d’occhio

Tuttavia, Suzanne Lindon si dimostra un talento da tenere d’occhio. Sa trattare con freschezza, non senza una vena di ironia, e con un rispetto insolito, ma efficacissimo e quasi commovente questa educazione sentimentale. Fotografa poi bene l’adolescenza: quella fase della vita in cui ancora non si sa chi si è e cosa si vuole, ma si ha chiaro che non si è più bambini e che molto di ciò che prima rendeva felici, non soddisfa più. Una fase in cui ci si sente potenti e vulnerabili al tempo stesso, fragili e forti. Quelle sedici primavere potrebbero essere della regista stessa, come di chiunque altro e sono importanti nella vita di ciascuno, motivo per cui, ne è convinta Suzanne Lindon, vanno trattate con estrema cura.

 
 

Under the Open Sky: la recensione del film di Miwa Nashikawa #RFF15

Under the open Sky recensione

Ci è sempre stato insegnato che il nostro è un mondo dove chiunque ha diritto ad una seconda possibilità, ma è davvero così? La regista giapponese Miwa Nashikawa si pone questo importante quesito nel realizzare il suo nuovo film Under the Open Sky, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Allieva del grande Hirokazu Kore’eda (Un affare di famiglia), nel corso della sua filmografia ha sempre raccontato storie particolarmente personali. Per la prima volta qui si affida invece ad un romanzo dal titolo Mibuncho, opera del noto scrittore Saky Ryuzo.

Questo è basato sulla vera figura di un detenuto e sulla sua difficile vita una volta uscito di prigione. Grazie a tale storia, adattata al presente, la regista ha modo di esplorare nuove tematiche. Queste ruotano a loro volta intorno ad un ritratto dell’odierna società giapponese, con i suoi pregi e i suoli limiti. Il racconto che ne deriva è delicato come una carezza, pur raccontando una situazione drammatica, da cui si possono generare numerose riflessioni. Un’abilità, questa, che la regista dimostra di aver ereditato dalle sue numerose collaborazioni con i grandi maestri del cinema giapponese.

La storia qui raccontata ha per protagonista Mikami (Yakusho Koji), ex esponente dell’organizzazione criminale Yakuza. Dopo 13 anni di prigione per omicidio, egli è ora un uomo libero, pronto a riconquistare la sua vita. Per lui ha però inizio un difficile inserimento nella società, dove fatica a trovare un lavoro stabile. Causa di ciò è anche il suo codice di condotta, profondamente radicato nelle regole alle quali apparteneva. Queste risultano però ormai appartenenti ad un mondo in via di estinzione, e non si adattano all’ordinato sistema di assistenza sociale del Giappone. Catapultato in un mondo che non capisce, Mikami dovrà allora riuscire a controllare la sua natura impulsiva, fidandosi di quanto vogliono aiutarlo davvero.

Under the Open Sky: una prigione a cielo aperto

La società giapponese è cambiata in modo radicale negli ultimi decenni, e spesso ad una velocità quasi spaventosa. Chi non riesce a stare al passo, e rimane indietro, sembra così essere destinato ad una vita di fatiche e di stenti per cercare il proprio posto in tutto ciò. A tali cambiamenti si aggiunge la sempre più evidente indisposizione ad accettare coloro che necessitano di una seconda possibilità. Da qui parte la vicenda del protagonista di Under the Open Sky, il quale sembra uscire da una prigione per entrare in una realtà che la ricorda molto, pur non prevedendo confini spaziali. L’ironico titolo del film suggerisce infatti il senso di oppressione provato da Mikami pur trovandosi finalmente “libero”.

Nel corso del film egli si trova a doversi relazionare con una serie di personaggi e procedure che evidenziano la sua difficoltà a dialogare con il mondo contemporaneo. Dalle offerte di lavoro fallite ai pregiudizi nei suoi confronti, dalla stringente burocrazia ai deludenti sussidi statali, tutto sembra cospirare contro il suo reinserimento nella società. La sua situazione viene resa ancor più esplicita tramite una composizione delle inquadrature che lo pone spesso ai margini, ma anche da situazioni più concrete come la semplice difficoltà di guidare un automobile.

La verità è che Mikami appartiene ad un mondo che sempre più fa parte del passato. Più volte è infatti possibile imbattersi in dialoghi e personaggi che manifestano tale malinconica consapevolezza. Far parte della Yakuza è una responsabilità che pochi sono ancora disposti ad assumersi. Quel mondo di attività illecite lascia sempre più spazio ad una realtà di uffici, pratiche da compilare e svaghi di vario tipo. Nel dare la sua personale risposta al quesito alla base del film, la regista non manca di evidenziare come tale trasformazione della società non sia meno soffocante di quella a cui il protagonista apparteneva.

Under the open Sky Miwa Nashikawa

Under the Open Sky: la recensione

Ancora una volta i registi giapponesi dimostrano una grande capacità nel raccontare in modo semplice ma mai banale la realtà del loro paese. Allo stesso tempo, le loro storie si dimostrano sorprendentemente universali. Con Under the Open Sky, la Nashikawa aggiunge un nuovo tassello a tale racconto nazionale, dimostrando una delicatezza nei toni e nell’atmosfera capace di emozionare con poco. Vi sono infatti piccoli gesti e parole in grado di racchiudere il cuore più profondo del film. Nel corso delle due ore, la drammaticità di quanto accade al protagonista viene così dissimulata dall’interesse verso la sua fragilità umana.

All’interno di questo racconto non mancano possibilità e strade non prese, come quella relativa alla ex compagna del protagonista. Se da un lato queste sembrano caricare eccessivamente il film, dall’altra ribadiscono ulteriormente come certe cose perse, possono rimanerlo per sempre. Proprio come un film che tenta di rappresentare al meglio la semplicità della vita, Under the Open Sky commuove e diverte, ponendo anche importanti riflessioni. E se anche non tutti i suoi elementi sembrano essere al loro posto, pur nei suoi difetti questo riesce ad offrire un appassionante spaccato di vita, troppo spesso sottovalutato.

 
 

Cinema chiusi, di nuovo: dal 26 ottobre al 24 novembre, secondo l’ultimo Dpcm

giuseppe conte

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato un nuovo Dpcm in cui si decreta, tra le altre misure restrittive per far fronte alla seconda ondata di contagi da COVID-19, che i cinema, i teatri e le sale da concerto dovranno chiudere, dal 26 ottobre al 24 novembre, un nuovo stop di un mese che mette in gravissime condizioni l’intero settore.

Tutta la filiera, dalla sala, all’esercente, ma anche a chi i film li produce a chi lavora sui set, fino a chi permette ai set di funzionare, parliamo anche di macchinisti, elettricisti, addetti al catering, rischia così una vera e propria sciagura.

Qui il testo definitivo del Decreto.

 
 

Festa del cinema di Roma 2020: Été 85 vince il premio del pubblico

Été 85 recensione

Été 85 di François Ozon si aggiudica il “Premio del Pubblico BNL” alla quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Il film vincitore del “Premio del Pubblico BNL”, in collaborazione con il Main Partner della Festa del Cinema, BNL Gruppo BNP Paribas, è stato il più votato dagli spettatori fra i titoli della Selezione Ufficiale.

Le repliche di Été 85 di François Ozon si terranno oggi, domenica 25 ottobre alle ore 20, presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica e al cinema My Cityplex Europa.

Été 85, recensione del film di Francois Ozon #RFF15

ÉTÉ 85 | SUMMER OF 85 | ESTATE ‘85

di François Ozon, Francia, 2020, 100’

Cast: Félix Lefebvre, Benjamin Voisin, Philippine Velge, Valeria Bruni Tedeschi, Melvil Poupaud, Isabelle Nanty, Laurent Fernandez

Nel corso dell’estate del 1985, l’estate dei suoi sedici anni, mentre si trova in vacanza in una cittadina balneare sulle coste della Normandia, Alexis si salva dall’annegamento grazie a un atto eroico del diciottenne David: Alexis ha appena incontrato l’amico che ha sempre sognato di avere. Ma questo sogno realizzato riuscirà a durare più di un’estate? Il film è tratto dal romanzo “Danza sulla mia tomba” di Aidan Chambers.

Ozon ha scritto del film: Ho letto il romanzo da cui è tratto il film nel 1985, quando avevo diciassette anni, e l’ho adorato. Il libro sembrava parlare personalmente all’adolescente che ero. Mi piacque così tanto che, quando iniziai a dirigere cortometraggi, mi dicevo sempre: “Se un giorno farò un lungometraggio, sarà un adattamento di questo romanzo”. In tutti questi anni non ho girato questo film perché in realtà volevo soprattutto vederlo, esserne lo spettatore! Ed ero sicuro che qualcun altro l’avrebbe fatto, magari un regista americano. Ma, con mia grande sorpresa, non è mai successo. Questa storia ha avuto bisogno di tempo per maturare in me, affinché sapessi come raccontarla. Alla fine sono rimasto fedele al romanzo nella sua struttura narrativa. Ho adattato il contesto della storia alla Francia e l’ho trasferita al tempo in cui ho letto il libro. Nel film c’è sia la realtà del libro, sia il mio ricordo di come mi sono sentito a leggerlo per la prima volta.

 
 

#NonChiudeteICinema: l’hashtag si diffonde in rete

UCI Cinemas

Sembra che un nuovo Dpcm debba essere diffuso nelle prossime ore, forse già domani, un nuovo documento che potrebbe mettere definitivamente la parola fine alla sala. Secondo le prime notizie non ufficiali, sembra che il testo del decreto riporti le seguenti affermazioni:

Sono sospese le attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo e casinò. Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto.

Questo significherebbe che le sale cinematografiche, insieme a tutte le altre attività di intrattenimento e spettacolo dal vivo, si troverebbero ad affrontare un nuovo periodo di chiusura che ne sancirebbe, forse per sempre, la morte. Senza contare che chiudere i cinema non solo mette in ginocchio la struttura-sala, ma anche l’industria a tutti quelli che ci lavorano, e non si parla di attori e registi famosi, ma di tecnici, elettricisti, macchinisti, manovalanza numerosa che necessita di lavorare, perché se il cinema non è una priorità il lavoro lo è per tutti.

La situazione sanitaria italiana sta precipitando nella tenaglia della seconda ondata di contagi, tuttavia i dati relativi alle attività legate al cinema sono stati più che positivi, registrando un timido ritorno alla normalità e un’incidenza pari a zero rispetto ai nuovi contagi. Nella sale, nei teatri, il flusso di pubblico è controllato, è tracciabile, è sicuro.

Il settore intero, da chi il cinema lo crea, lo produce, lo fruisce, fino anche a chi lo racconta (anche Cinefilos.it fa parte di questa filiera) scongiura una nuova chiusura: #NonChiudeteICinema.

 
 

Punta Sacra di Francesca Mazzoleni vince il premio speciale di Alice nella Città

Punta sacra

Punta sacra, Il film-documentario di Francesca Mazzoleni, si aggiudica due premi nell’ambito di Alice nella Città: il Premio Speciale della Giuria assegnato dalle due giurie di Alice – quella dei ragazzi e quella degli esperti composta da Eva Cools, Agostino Ferrente, Caterina Guzzanti, Claudio Noce e Roberta Torre – e la Menzione speciale alla colonna sonora nell’ambito del Premio Rolling Stone alla Miglior Colonna Sonora, assegnato da una giuria composta da Morgan (presidente), Alessandro Giberti (Direttore Rolling Stone), Louis Siciliano (musicista e compositore), Pino Farinotti (critico cinematografico) e Gianni Santoro (La Repubblica).

“Il Premio Speciale della Giuria va a Francesca Mazzoleni per aver saputo raccontare in modo mai banale una comunità dalle mille sfaccettature, riuscendo a mostrare bellezza e malinconia, luci e ombre di chi la vive quotidianamente” – questa la motivazione espressa dalle due giurie di Alice, quella dei ragazzi e quella degli esperti.

Questa la motivazione relativa alla Menzione speciale alla colonna sonora: “La regista ha lavorato con due nomi già noti alla scena cine-musicale italiana, Lorenzo Tomio e Theo Teardo, ma vi ha affiancato i brani originali del rapper Chiky Realeza e il suo mix tra urban nostrano e atmosfere classiche sudamericane, da Héctor Lavoe a Victor Jara. Un risultato sperimentale, controcorrente e libero per il panorama italiano, come il film a cui fa da commento sonoro”.

La regista Francesca Mazzoleni: “Questi premi hanno per me e per tutte le persone che mi hanno aiutato a realizzare questo film un valore davvero speciale. Li voglio dedicare alle ragazze, alle madri, alle nonne, meravigliose, folli e combattive dell’Idroscalo di Ostia, e a tutte le persone che oggi, in ogni parte del mondo, stanno combattendo per ottenere i loro naturali diritti. Spero che, guardando mondi apparentemente lontani più da vicino, le distanze finalmente si accorcino e i pregiudizi crollino. E spero e chiedo che da oggi per Punta Sacra ci sia un futuro, e finalmente più ascolto, dialogo e confronto”.

 
 

Neverland – Un sogno per la vita: trama e cast del film con Johnny Depp

Neverland film

La storia di Peter Pan è nota a grandi e piccoli, ma probabilmente meno si sa del suo scrittore, James Matthew Barrie. Vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento egli ha trovato nuova popolarità al cinema grazie al film biografico a lui dedicato e intitolato Neverland – Un sogno per la vita, diretto da Marc Forster (Ritorno al Bosco del 100 Acri). Il film narra infatti in maniera piuttosto fedele quella che è la vita dello scrittore al momento dell’ideazione del celebre personaggio di fantasia nonché della celebre Isola che non c’è, in inglese chiamata appunto Neverland.

Il film è basato sull’opera teatrale The Man Who Was Peter Pan, scritta nel 1988 da Allan Knee. Composto da un cast di celebri interpreti, il film è stato presentato Fuori Concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2004. Qui è stato accolto in maniera particolarmente positiva dalla critica, che lo ha definito un gioioso e magico racconto su una delle più celebri storie della letteratura. Spinto da tali pareri, come anche dai nomi legati al film, al momento della sua uscita al cinema il titolo si è rivelato anche un buon successo di box office. A fronte di un budget di 25 milioni di dollari, questo ne ha infatti incassati globalmente circa 118.

Neverland – Un sogno per la vita è poi stato anche uno dei principali protagonisti durante la stagione dei premi. Il film guadagnò infatti ben 11 nomination ai Bafta Awards e 5 ai Golden Globe. Ai prestigiosi premi Oscar si presentò poi con 7 candidature, tra cui quella per il miglior film, il miglior attore protagonista e la miglior sceneggiatura non originale. Vinse però soltanto come miglior colonna sonora, composta dal polacco Jan Andrzej Paweł Kaczmarek. Prima di una visione del titolo in streaming o in TV, proseguendo nella lettura sarà possibile scoprire i principali dettagli sulla trama e il cast di attori presenti nel film.

Neverland – Un sogno per la vita: la trama del film

Nei primi del Novecento James Matthew Barrie è uno stimato autore teatrale. Nonostante i suoi lavori trovino spesso l’approvazione del pubblico, egli continua a sentire in essi la mancanza di quel qualcosa che potrebbe permettergli di ottenere un successo ancor più ampio. Mentre egli è alla ricerca di un perfezionamento delle sue storie, è costretto a dover buttar giù sempre più copioni, richiesti a gran voce dal produttore dei suoi spettacoli, Charles Frohman, disperato per gli incassi non eccellenti. Per Barrie tutto cambia nel momento in cui, intento a scrivere su di una panchina, si imbatte in Sylvia Llewlyn Davies e i suoi quattro figli. In questi ultimi, lo scrittore trova una preziosa fonte di ispirazione, avvertendo in sé la nascita di una storia dal grande potenziale.

James inizia così a trascorrere sempre più tempo con i bambini, impegnandosi nel trovare per loro degli intrattenimenti con cui possano divertirsi. In particolare, egli stringe un rapporto speciale con Peter, il più taciturno dei quattro. Questi è poco incline al sorriso, rimasto profondamente turbato dalla scomparsa del padre. Per aiutarlo ad esprimere le sue paure, James lo invoglia alla scrittura. Sarà però proprio Peter a dare origine a quello che diventerà il personaggio noto come Peter Pan. Mentre si cimenta nella stesura della sua nuova promettente opera, James deve però fare i conti con la malattia di Sylvia, affetta da tubercolosi. Capirà allora di avere una grande responsabilità nei confronti di quella famiglia e in particolare nei confronti dei bambini.

Neverland attori

 

Neverland – Un sogno per la vita: il cast del film

Per garantire un buon successo al film, i produttori si sono assicurati di poter aver in questo alcuni tra i maggiori attori di quel momento. Nel ruolo di James Matthew Berrie è così possibile ritrovare Johnny Depp, che grazie a questo film ottenne la sua seconda nomination al premio Oscar. Per la sua interpretazione, egli si documentò molto sulla vita e le opere dello scrittore, cercando attraverso tali fonti di ricostruire il suo personaggio. Per lui fu inoltre importante sviluppare un ottimo rapporto con i giovani interpreti dei bambini. Ciò avrebbe permesso loro di risultare ancor più realistici nell’interazione tra i loro personaggi. In particolare, Depp rimase particolarmente colpito da Freddie Highmore, che ricopre qui il ruolo di Peter.

Questi divenne noto proprio grazie a tale film. Una delle prime scene da lui girate, inoltre, fu proprio una delle più intense del personaggio, dove scoppia a piangere e distrugge una casa per le bambole. La sua interpretazione di tale momento gli fece guadagnare le attenzioni e il rispetto di tutti gli altri membri del cast. Nel film è poi presente la premio Oscar Kate Winslet nel ruolo di Sylvia Llewelyn Davies, la madre dei ragazzi. Anche in questo caso, l’attrice ricevette numerosi riconoscimenti per il suo ruolo, ancora oggi ricordato come uno dei suoi più noti. In ruoli di rilievo si ritrovano poi anche due celebri veterani della recitazione. Il primo è Dustin Hoffman, il quale interpreta l’impresario Charles Frohman. La seconda è l’attrice Julie Christie, nei panni della madre di Sylvia.

Neverland – Un sogno per la vita: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Neverland – Un sogno per la vita è infatti presente su Chili Cinema, Google Play e Now TV. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per venerdì 23 ottobre alle ore 21:15 sul canale Paramount Channel.

Fonte: IMDb

 

 
 

El olvido que seremos, recensione del film con Javier Cámara #RFF15

El olvido que seremos recensione

Arriva a Roma nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema il nuovo film del regista premio Oscar con Belle Époque, Fernando Trueba. El olvido que seremos vuole coniugare pubblico e privato in un affresco familiare, sociale e politico della Colombia recente, mostrando un esempio di rara virtù ma anche di profonda umanità e umiltà. A interpretare il medico e attivista per i diritti umani Hector Abad Gomez, un bravissimo Javier Cámara (Parla con lei, Truman – Un vero amico è per sempre).

El olvido que seremos, la trama

Colombia 1983. Héctor Jr, Juan Pablo Urrego, studia all’università di Torino quando viene richiamato in Colombia, dove vive la sua famiglia, per la cerimonia d’addio del padre, Héctor Abad Gómez, Javier Cámara, all’insegnamento universitario. Medico impegnato in campagne di salute pubblica, insegnante ad Antiochia e noto attivista per i diritti umani, Abad Gómez è sempre stato inviso alle autorità per le sue aspre critiche al governo e alle sue politiche e viene spedito in pensionamento anticipato. Il viaggio verso casa è l’occasione per il figlio di ripensare all’infanzia a Medellín nei primi anni ’70, allo stretto rapporto col padre, alla felice vita di famiglia con la madre e le sorelle. Un periodo aureo in cui la figura del padre è stata per Héctor un punto di riferimento indiscusso. Il presente non è altrettanto roseo e mentre il clima in città si fa pesante, con uccisioni e sparizioni ad opera di gruppi paramilitari, che mirano a colpire qualsiasi forma di dissenso o opposizione sociale e politica, anche Abad Gómez è sempre più a rischio.

Héctor Abad Gómez, l’apostolo dei diritti umani

Sembra lo chiamassero così gli abitanti di Antiochia, soprattutto i meno fortunati, perché è stato il primo ad occuparsi di loro, a dire che la salute pubblica doveva essere un diritto di tutti e ad impegnarsi in prima persona affinché ciò si realizzasse: per far avere a tutti l’accesso all’acqua potabile, con massicce campagne di vaccinazione e di igiene pubblica, ma anche fornendo quando poteva, un aiuto che andava al di là della sua professione. Héctor Abad Gómez è descritto come un uomo dalla sconfinata bontà, che faceva del bene con estrema naturalezza e spontaneità. È con altrettanta facilità e naturalezza che sarà ucciso da gruppi paramilitari in una Colombia dominata dalla violenza. Attraverso le sue scelte Abad Gómez era entrato a far parte di un’opposizione libera: con la fondazione del Comitato per la difesa dei diritti umani ad Antiochia; con la sua attività di editorialista per diversi giornali del paese, in cui denunciava le condizioni di arretratezza e di mancanza delle più elementari misure sanitarie in molta parte della Colombia; con l’attività di politico nel Partito Liberale; fino alla candidatura a sindaco di Medellín per questo stesso partito.

Tuttavia, ciò che interessa a Fernando Trueba non è etichettare politicamente il personaggio. Infatti nel film – adattamento ad opera di David Trueba, fratello del regista, del romanzo El olvido que seremos, scritto dal figlio di Abad Gómez e diventato un testo di culto in America Latina – il protagonista lamenta di essere bersaglio di critiche sia da destra che da sinistra. Intento del regista è dipingere un uomo che aveva a cuore la sua professione e il prossimo e solo in virtù di questo, dei valori umani più alti, non di una appartenenza politica, si impegnava.

Un saga familiare e uno sguardo ampio alla collettività

El olvido que seremosSi potrebbe dire che il padre domina sull’attivista in questo ritratto, che si sarebbe potuto esaltare di più la lotta e l’impegno del protagonista. Non è poi così vero, Trueba trova un equilibrio tra pubblico e privato. Ed è proprio attraverso il secondo che riesce a coinvolgere lo spettatore, facendo presa anche su chi era politicamente lontano dal protagonista. Abad Gómez è un padre di famiglia premuroso e gioviale, con un rapporto privilegiato con l’unico figlio maschio, ma che adora la moglie e le figlie. La vicenda della famiglia nella prima parte del film ha toni allegri e leggeri, e il personaggio principale non può non creare empatia, grazie ad una interpretazione di grande livello da parte di Javier Cámara. La gioiosità del suo personaggio, pur costretto ad operare in contesti difficili in un paese dalle forti criticità, è contagiosa e va di pari passo con la scelta dell’immagine a colori.

Nella seconda parte domina invece il bianco e nero. In quell’universo sereno si affaccia il dolore, la scomparsa di una figlia. L’allegria dell’inizio lascia il posto a una malinconia che non impedisce però al protagonista di dedicarsi a ciò in cui crede. Cámara dà al personaggio moltissime sfumature e tocca diversi registri.

L’ultima parte, la più poetica, è quella in cui sembra essere contenuto il messaggio principale del film. Molti come Abad Gómez sono diventati eroi loro malgrado: volevano solo fare del bene alla collettività, non avevano nessun desiderio di apparire, di essere riconosciuti, non erano mossi da ambizioni personali. Il protagonista, insomma, non fa ciò che fa per essere ricordato. È questo il senso della poesia Aquì, hoy, un testo attribuito a Jorge Luis Borges, che compare nel film e contiene le parole del titolo, El olvido que seremos – l’oblio che saremo.

Tutto il cast del film offre buone prove: un gruppo di donne che si muovono quasi all’unisono intorno a Héctor  e Héctor Jr: la moglie Cecilia, interpretata da Patricia Tamayo, le figlie Mariluz, Maria Teresa Barreto, Clara, Laura Londoño , Vicky, Elizabeth Minotta, Martha, Kami Zeha  e Sol Camila Zárate. Anche i due bambini che interpretano Hector e Sol da piccoli, Nicolás Reyes Cano e Luciana Echeverry, sono molto spontanei e credibili, cosa non facile da ottenere.

El olvido que seremos è prodotto da Caracol Televisión e Dago García Producciones. Per il momento è prevista un’uscita in Francia a primavera. La speranza è di vederlo presto anche in Italia.

 
 

The Good Doctor 4: secondo trailer della seconda stagione

The Good Doctor 4

Dopo il primo trailer la ABC ha diffuso il secondo trailer ufficiale di The Good Doctor 4, l’attesissima quarta stagione di The Good Doctor.

The Good Doctor 4

The Good Doctor 4 è la quarta stagione della serie tv The Good Doctor creata da David Shore per il network americano della ABC. In The Good Doctor 4 Il dottor Shaun Murphy, un giovane chirurgo con autismo e sindrome del savant, continua a usare i suoi straordinari doni medici presso l’unità chirurgica del St. Bonaventure Hospital. Man mano che le sue amicizie si approfondiscono, Shaun continua ad affrontare il mondo degli appuntamenti e delle relazioni romantiche e lavora più duramente di quanto abbia mai fatto prima, navigando nel suo ambiente per dimostrare ai suoi colleghi che il suo talento di chirurgo salverà vite. La serie vede nel cast Freddie Highmore nei panni del dottor Shaun Murphy, Antonia Thomas nei panni della dottoressa Claire Browne, Hill Harper nei panni del dottor Marcus Andrews, Richard Schiff nei panni del dottor Aaron Glassman, Christina Chang nei pann

In The Good Doctor protagonisti Freddie Highmore come Dr. Shaun Murphy, Antonia Thomas come Dr. Claire Browne, Nicholas Gonzalez come Dr. Neil Melendez, Hill Harper come Dr. Marcus Andrews, Richard Schiff come Dr. Aaron Glassman, Christina Chang come Dr. Audrey Lim, Fiona Gubelmann nel ruolo del Dr. Morgan Reznick, Will Yun Lee nel ruolo del Dr. Alex Park, Paige Spara nel ruolo di Lea Dilallo e Jasika Nicole nel ruolo del Dr. Carly Lever.

 
 

9-1-1 4: teaser promo della quarta stagione

9-1-1 4 stagione

Il network americano FOX ha diffuso il teaser promo “Help Is On The Way” di 9-1-1 4, l’annunciata quarta stagione di 9-1-1.

9-1-1 4

9-1-1 4 è la quarta stagione della serie  9-1-1 creata da Ryan Murphy e Tim Minear per il network americano FOX. Dai creatori Ryan Murphy e Brad Falchuk (il franchise di “American Horror Story”, “Nip / Tuck”), il nuovo dramma procedurale 9-1-1 esplora le esperienze ad alta pressione di agenti di polizia, paramedici e vigili del fuoco che sono spinti nel più situazioni spaventose, scioccanti e strazianti. Questi soccorritori devono cercare di bilanciare il salvataggio di coloro che sono più vulnerabili nel risolvere i problemi della propria vita.

In 9-1-1 4 protagonisti sono Athena Carter Nash, (stagione 1-in corso), interpretata da Angela Bassett, Robert “Bobby” Nash (stagione 1-in corso), interpretato da Peter KrauseEvan “Buck” Buckley (stagione 1-in corso), interpretato da Oliver StarkHenrietta “Hen” Wilson (stagione 1-in corso), interpretata da Aisha HindsHoward “Howie”/”Chimney” Han (stagione 1-in corso), interpretato da Kenneth Choi, Michael Grant (stagione 1-in corso), interpretato da Rockmond DunbarAbigail “Abby” Clark (stagione 1, guest star stagione 3), interpretata da Connie BrittonMadeline “Maddie” Buckley Kendall (stagione 2-in corso), interpretata da Jennifer Love Hewitt,  Edmundo “Eddie” Diaz (stagione 2-in corso), interpretato da Ryan GuzmanMay Grant (ricorrente stagione 1, stagioni 2-in corso), interpretata da Corinne MassiahHarry Grant (ricorrente stagione 1, stagioni 2-in corso), interpretato da Marcanthonee Jon Reis.

 

 
 

Il processo ai Chicago 7, recensione del film di Aaron Sorkin

Il processo ai Chicago 7

C’è uno strano senso di timore che investe il critico che si approccia ad analizzare l’opera di Aaron Sorkin. Tra le mani, lo sentiamo, lo sappiamo, abbiamo una reliquia preziosa, un’opera dotata di unicità, saldata dalla forza iconica delle parole e di un’alacrità che vive sulla scia di un talento più unico che raro. Ogni parola viene soppesata, calibrata, esaminata dal mirino di un telescopio verso cui ci pieghiamo, consci che nessun aggettivo potrà mai veramente consegnare la bellezza di quanto impresso prima su carta, poi su schermo, da Sorkin.

Da The West Wing, passando per The Newsroom, arrivando a The Social Network, questo sceneggiatore ha dimostrato negli anni la sua abilità da prestigiatore delle parole; il vero salto nel buio era estendere questo talento nel campo della regia. Un tentativo riuscito a metà con Molly’s Game, dove lo sguardo ancora acerbo del Sorkin regista non era ai livelli di quello del Sorkin sceneggiatore, e che proprio per questo ha ammantato di curiosità l’uscita del suo nuovo film, Il processo ai Chicago 7.

Ama Sorkin approcciarsi con i lasciti del passato, soprattutto quelli in cui l’umanità affronta le cadute nel baratro, tra incriminazioni, processi, e rivendicazioni personali. E così il gioco clandestino di Molly’s Game lascia spazio con Il processo ai Chicago 7 a rivolte soppresse con la forza, imbrogli e omertà da parte di istituzioni accecate di pregiudizio e ideali politici. Il risultato che ne consegue è quello di uno dei migliori film di questo 2020. Certo, la concorrenza è ridotta quasi a zero, complice i continui rinvii di titoli più o meno attesi dal grande pubblico, ma la sontuosità della sceneggiatura, l’adrenalina di un montaggio che vola tra passato, presente e futuro, e un cast incredibilmente in parte, regalano una gemma da custodire nella mente con delicatezza e rispetto.

Il processo ai Chicago 7, la trama

Chicago,1968. La guerra del Vietnam impazza continuando a mietere vittime innocenti quando, in occasione della convention del Partito Democratico, un gruppo di attivisti guida una manifestazione contro Nixon e la sua scelleratezza bellica. Lo scontro tra manifestanti, polizia e Guardia Nazionale, era prevedibile, ma ciò che non era stato previsto è un processo/farsa dal sapore chiaramente politico che segna una pagina nerissima (e molto nota) della recente storia americana. In un colpo solo il governo del neo-eletto presidente Nixon tenta di eliminare l’opposizione sradicando la controcultura di sinistra attraverso l’incriminazione dei suoi leader, accusati ingiustamente di cospirazione e incitamento alla sommossa.

Tutto il mondo è teatro, o un processo politico

Arduo il compito di scrivere una critica su un’opera come Il processo ai Chicago 7, perché se è facile parlare di film colmi di errori e cadute di stile, il discorso cambia quando hai davanti un’opera in cui ogni elemento è al suo posto e nessuna tessera in questo puzzle cinematografico perfettamente oliato è andata perduta. Ad aprire il sipario su un teatro della vita camuffato da processo non civile o penale, ma politico, è un prologo che vive della stessa furia di bottiglie infiammate lanciate contro le vetrate degli uffici di reclutamento americani. Quelli che corrono davanti gli occhi dello spettatore sono dieci minuti di puro godimento.

Un antipasto dal sapore esplosivo di una vera e propria bomba giocata sull’alternanza perfetta tra materiali di repertorio e girato filmico. È una giostra di immagini che non hanno paura di investire e colpire a un ritmo serratissimo gli occhi del proprio pubblico, iniettandoli di meraviglia, quella che introduce il film di Sorkin; un piccolo assaggio delle due ore successive, che non fanno altro che esaltare quanto il pubblico si appresterà ad assistere da lì a poco. Quando decidi di affrontare un film interamente fatto di dialoghi, devi dimostrarti davvero bravo con le parole, e Sorkin è un burattinaio del verbo. Il processo attorno a cui ruota l’intero intreccio poteva tramutarsi in corpo vestito di tedio e noia insofferente. Un battibecco continuo tra incoerenza e colpe celate, disseminate, scoperte. Sorkin prende ogni lembo di quel corpo per rivestirlo di ironia e con esso colpire a fondo lo spettatore, perché una volta dissipato il ricordo della risata, a risiedere in bocca è un sapore di bruciante amarezza per un’ingiustizia mai veramente scomparsa, ma perpetuamente in procinto di ritornare più cruenta di prima.

Il processo ai Chicago 7 film 2020L’aula del tribunale si sveste così del suo significato primario per rivelarsi nella sua anima più cruda, violenta. È un far west dove non ci sono pallottole a volare libere, ma parole, attacchi edulcorati dalla forza del black-humor, sparate con la forza del caustico umorismo. Le arringhe degli avvocati e il racconto dei testimoni chiamati alla sbarra, sono partite di tennis giocate tra il passato e il presente, dove la pallina è un barlume mnemonico lanciato con forza da una domanda, un suggerimento, pronto a catapultare lo spettatore tra i ricordi di un passato volto a colmare passaggi indispensabili alla comprensione totalizzante della storia.

I sette samurai del 1968

È un meccanismo perfettamente congegnato, Il processo ai Chicago 7. Uno sguardo sui pregiudizi di diritti sottratti, e sentenze manipolate sulla scia di ideali politici e favori personali. Ricalcando la struttura vertebrale su cui si sorregge The Social Network, Aaron Sorkin investe di umanità la propria opera, tramutandola in un saggio scritto con la forza dell’empatia e della mancanza di retorica. E se il cuore della pellicola batte tra le mura di un tribunale, a fare da arterie lungo cui lasciare scorrere il sangue delle rivendicazioni di diritti tanto personali, quanto universali, sono i corpi degli attori che compongono un cast corale a dir poco sbalorditivo. Senza interpreti perfettamente in parte, anche la sceneggiatura più fresca e impeccabile cadrebbe nell’ombra, ingoiata dal buio della superficialità. E invece ogni attore riesce a riportare qui in vita i propri personaggi, tra atteggiamenti deplorevoli, come quelli del giudice Julius Hoffman (un Frank Langella talmente in parte da risultare straordinariamente odioso) a stralci di onestà intellettuale e sensibilità sorprendenti (si pensi al Richard Schultz di Joseph Gordon Lewitt). A dominare sullo schermo questo gruppo assortito e coeso sono soprattutto i due yippies Abbie Hoffman e Jerry Rubin (rispettivamente Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong).

Un duo capace di dar vita a siparietti tanto comici quanto carichi di spunti di riflessioni. Strong e Baron Cohen sono micce pronte a far scattare il fuoco della rivolta a ritmo di risate, calamite attrattive che chiamano a sé lo sguardo degli spettatori, per poi canalizzarli verso il cuore dei loro comprimari, tra cui spiccano un Eddie Redmayne finalmente libero da smorfiette e mimiche facciali fin troppo marcate, un sempre e ingiustamente sottovalutato John Carroll Lynch e, soprattutto, del solito, carismatico Mark Rylance nei panni dell’avvocato William Kunstler. I corpi che si muovono, gli sguardi che infiammano gli spazi dell’aula di tribunale, la nebbia che avvolge i manifestanti durante le rivolte, o le vetrate di locali eleganti frantumate dal peso di ribelli lanciati dalla polizia, sono tante schegge di una giostra impazzita che lascia a bocca aperta lo spettatore, offrendo la stessa importanza mediatica rivestita più di cinquant’anni prima dagli eventi reali dei Chicago 7.

Riflettere il passato sullo specchio del presente

Flashback dai colori freddi, che lasciano spazio a un presente dalle tonalità calde che di rosso hanno solo il fuoco della passione che scorre inesorabile nelle vene di questi personaggi; un montaggio serratissimo, che passa con facilità (ma senza disorientare per questo il proprio pubblico) tra passato e presente, coinvolgendo ogni spettatore in questi salti temporali vertiginosi; una sceneggiatura che colpisce con la stessa forza dei manganelli sui corpi dei manifestanti, Il processo ai Chicago 7 è uno specchio del passato sul nostro presente. Non c’è nessun Narciso a rimanere colpito dal proprio riflesso, ma spettatori di tutto il mondo pronti a elevare ognuno di questi sette samurai del 1968 come modello di vita, attraverso cui rivendicare i propri diritti, sorvolando pregiudizi atti a infangare e accecare anche chi dovrebbe difenderci, tramutandosi da difensore a boia, da vittima a carnefice.

Perché gli anni passano, ma il sangue che copre le manifestazioni civili, e i bavagli che tentano di soffocare le voci di coloro che si sostituiscono a chi voce non ne ha, si ritrova un po’ di 1968 in questo 2020.  Ed è dunque nell’America di ieri che si può raccontare al meglio l’America di oggi. E non c’era penna migliore di quella di Aaron Sorkin per creare, pezzo dopo pezzo, questo specchio meraviglioso, bramoso di passione, uguaglianza, democrazia.

The World is watching” si sente urlare nel corso dell’opera. E il mondo continua a guardare questo processo rivedendo se stesso, qui raccontato da Sorkin nel suo spirito più profondo e con semplicità, dimostrando quanto la doppia faccia dell’America continui a sopravvivere, alimentata dal fuoco delle ribellioni, dell’odio, di un potere che supera il raziocinio, di una vittoria che sa di sconfitta, e viceversa.

 
 

Law and Order – Serie Tv: cast, trama, spinoff e streaming

Law and Order

Poche cose sono certe nella vita e una di queste è accendere la tv e trovare almeno un episodio di Law and Order in onda. Nata nell’ormai lontano 1990 dal genio di Dick Wolf, la famosa serie crime negli anni è diventata il prodotto televisivo più longevo e amato al mondo.

Dal 1990, la serie Law and Order – I Due Volti della Giustizia ha superato ogni record, arrivando al 2010 con ben 20 stagioni e 456 episodi all’attivo, senza contare il numero impressionante di spin-off nati nel corso degli anni. Quello creato da Dick Wolf si è infatti trasformato in un vero e proprio media franchise che, oltre alla serie madre, comprende anche cinque spin-off, un film per la tv e un remake televisivo affidato ai media britannici. Abbiamo quindi le serie Law & Order – Unità vittime speciali, Law & Order: Criminal Intent, Law & Order – Il verdetto, Conviction e Law & Order: LA, il film tv Omicidio a Manhattan e il remake inglese Law & Order: UK.

Law and Order trama

La struttura della serie non è particolarmente complessa e ogni episodio è pressocchè simile al precedente. Law and Order racconta più da vicino dei due volti della giustizia americana, quello investigativo e quello legale. L’incipit di ogni puntata, infatti, è sempre lo stesso e recita:

“Nel sistema penale, lo stato è rappresentato da due gruppi distinti, eppure di uguale importanza: la polizia, che indaga sul crimine, e i procuratori distrettuali, che perseguono i criminali. Queste sono le loro storie.”

In ogni episodio si analizza un particolare crimine e, mentre la polizia indaga e raccoglie prove, il dipartimento collabora a stretto contatto con l’ufficio del procuratore distrettuale affinché i colpevoli vengano assicurati alla giustizia. La prima parte di ogni episodio ha come protagonista quindi la Polizia di New York. Nello specifico, ci sono una coppia di detective che giunge sulla scena del crimine e, insieme ai tecnici della scientifica, raccoglie prove e testimonianze.

I detective cominciano a elaborare le prime teorie sulla dinamica del delitto e fermano alcuni sospettati. Man mano che le indagini proseguono, le supposizioni iniziali vengono confermate o cambiano e i detective sono costretti a trovare strade alternative per la risoluzione del caso. Quando finalmente si giunge a una conclusione, la palla passa all’accusa e la scena si sposta dalla centrale di polizia all’ufficio del procuratore.

Ogni cittadino americano, per legge, ha diritto a una difesa ed è quindi compito dei magistrati, trovare il modo giusto per riuscire a far condannare il colpevole. L’azione quindi si sposta nelle aule di tribunale dove l’accusa e la difesa dovranno esporre le loro ragioni dinnanzi a un giudice e alla giuria. Quest’ultima, ascoltando attentamente le ragioni dell’una e dell’altra parte e analizzando le prove, dovrà emettere una sentenza di colpevolezza o innocenza.

Law and Order cast completo

Non sempre la giuria si esprime in favore dell’accusa e capita spesso che pericolosi criminali vengano rilasciati. Il meccanismo complesso della giustizia americana mostra quindi le sue falle e debolezze non riuscendo troppo spesso a garantire il rispetto della legge.

Per le persone che si adoperano ogni giorno a combattere la violenza nelle strade della Grande Mela, ogni fallimento del sistema giudiziario è una ferita che non si rimargina. Fare il detective o il magistrato ed essere costretti a fare i conti giornalmente con la crudeltà umana, è qualcosa che ti logora dall’interno.

Per questo motivo (e non solo), i protagonisti di Law and Order sono cambiati spesso nel corso del tempo. Dal 1990 al 2010 la serie ha subito diversi avvicendamenti di cast, modificando le fila dei ruoli principali e secondari. Tra i personaggi che hanno fatto la storia di Law & Order ricordiamo il detective Mike Logan, interpretato da Chris Noth attivo per ben cinque stagioni.

Ancora, il Capitano Donald Cragen, alias Dann Florek, al comando della squadra anticrimine fino alla terza stagione. Il suo personaggio lascia quindi la serie madre per trasferirsi all’unità crimini speciali, diventando la punta di diamante dello spin-off Law and Order – Unità Vittime Speciali (SVU).

A sostituire Cragen all’inizio della quarta stagione arriva il tenente Anita Van Buren, interpretata da S. Epatha Merkerson. Il suo personaggio, a differenza di altri, resta attivo nella serie dalla quarta fino alla ventesima e conclusiva stagione. Tra i veterani di Law & Order, inoltre, c’è anche il grande J. K. Simmons che dall’ottava alla ventesima stagione interpreta il Dr. Emil Skoda, psichiatra spesso impiegato dalla polizia per i casi più difficili. In pianta stabile nella serie troviamo anche il vice-procuratore Jack McCoy, interpretato da Sam Waterson, attivo dalla quinta alla ventesima stagione.

Law and Order – Unità Vittime Speciali (SVU)

Capita di rado che il pubblico finisca col preferire uno spin-off alla sua serie madre eppure questo è proprio il caso di Law and Order SVU. Dopo il grandissimo successo ottenuto con le prime nove stagioni di Law & Order, nel 1999 Dick Wolf lancia in tv una nuova serie dal titolo Law and Order – Unità Vittime Speciali (in inglese Special Victim Unit).

In questo spin-off i protagonisti sono sempre la polizia e il dipartimento di New York e la struttura narrativa degli episodi resta pressochè invariata. A cambiare, tuttavia, è la tipologia di casi seguiti dalla squadra, specializzata in crimini particolarmente cruenti e a sfondo sessuale. Questo cambio di rotta si ripercuote un po’ su tutti gli aspetti fondamentali della serie, partendo dall’incipit che nello spin-off recita così:

“Nel sistema giudiziario statunitense, i reati a sfondo sessuale sono considerati particolarmente esecrabili. A New York opera l’Unità Vittime Speciali, una squadra di detective specializzati che indagano su questi crimini perversi. Ecco le loro storie.”

Law and Order SVU, a differenza della serie madre, è molto meno edulcorata e in ogni episodio la squadra si trova a dover affrontare crimini talvolta difficili anche solo da immaginare. La serie tocca infatti diversi argomenti scottanti come lo stupro, la prostituzione, la pedofilia, il traffico di esseri umani e molto altro ancora. Inoltre, trattandosi di crimini complessi da risolvere, in quasi tutti gli episodi, a prevalere è sempre la parte investigativa a discapito di quella giudiziaria.

Ma la vera forza della serie sta nei suoi personaggi, meno sfuggenti e molto più emotivi. Protagonista indiscussa di Law and Order SVU è la coppia di detective formata da Elliot Stabler (Christopher Meloni) e Olivia Benson (Mariska Hargitay), i personaggi più amati dell’intero franchise di Law & Order.

Law and Order – Unità Vittime Speciali cast

Scelti da Dick Wolf in persona tra centinaia di attori, Christopher Meloni e Mariska Hargitay hanno lavorato insieme alla serie SVU per ben 12 stagioni, dal 1999 al 2011. Nel corso degli anni il pubblico ha imparato a conoscere i personaggi di Olivia e Elliot, entrambi detective in gamba ma con un passato difficile e doloroso alle spalle.

Elliot Stabler è un ex marine specializzato nel combattimento corpo a corpo, nonché uno dei detective più ‘anziani’ della squadra. Cresciuto in una famiglia cattolica, è un uomo molto devoto e soprattutto alla sua famiglia. Elliot vive nel Queens, è sposato con la bella Kathy e ha cinque splendidi figli, Maureen, Kathleen, Dick, Lizzie e Eli. Uomo fiero e tutto d’un pezzo, di rado accetta aiuto da parte di amici e colleghi e spesso si trova ad agire d’impulso. Sarà proprio un caso finito male a spingerlo alle dimissioni.

A fare da partner a Elliot c’è Olivia Benson, una donna molto forte, determinata e passionale, perseguitata dai fantasmi del suo passato. Nata a seguito di uno stupro subito da sua madre, nel corso delle stagioni è la stessa Olivia a restare vittima di un’aggressione durante una missione sotto copertura. Grazie però alle sue esperienze, la Benson riesce a essere molto più empatica con le vittime di crimini a sfondo sessuale delle quali riesce subito a guadagnare la fiducia. Dopo la dimissioni di Elliot, Olivia continua a cambiare periodicamente partner fino a quando, facendo carriera nel dipartimento, non prende il posto vacante prima di sergente e poi di capitano.

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A supportare la coppia Stabler-Benson nelle indagini c’è il detective John Munch (Richard Belzer), uno dei più anziani del dipartimento che, prima di approdare all’unità, aveva fatto parte della polizia di Baltimora. Il partner di Munch è il detective Odafin Tutuola, detto Fin (Ice-T), ex marine nonché ex detective della narcotici, entra a far parte della squadra dalla seconda stagione.

Capitano dell’intera squadra crimini speciali è Donald Cragen (Dann Florek), un uomo mite ma fermo e giusto nelle sue decisioni. E’ un capo molto amato e stimato dai suoi colleghi e sottoposti così come lo è anche in famiglia. Cragen è sposato da tanti anni ed è padre adottivo di un bambino che adora. La sua vita e la sua carriera vanno in pezzi quando viene coinvolto in uno scandalo sessuale – che più tardi si scoprirà essere una montatura -, evento che lo spinge al pensionamento.

Nonostante le defezioni prima di Christopher Meloni e poi di Dann Florek, Law and Order SVU è ancora in onda e ad oggi è arrivato a 21 stagioni e 478 episodi. La ventiduesima stagione, già annunciata, è purtroppo ferma a casa della pandemia da Coronavirus ancora in corso.

Law and Order: Criminal Intent

Grazie all’incredibile successo ottenuto da Law & Order SVU, qualche anni più tardi Dick olf decide di produrre un nuovo show, collegato alla serie madre. E così nel 2001 nasce Law and Order: Criminal Intent secondo spin-off del franchise Law & Order.

A differenza del suo predecessore, Criminal Intent si concentra unicamente sulla parte investigativa tralasciando completamente l’aspetto giudiziario dei casi. La serie, sempre ambientata a New York, ha come protagonisti infatti i membri della squadra crimini maggiori. Trattandosi di casi complessi e di crimini ad ampio raggio, l’unità adotta un approccio più psicologico, servendosi delle prove per delineare il profilo del criminale. In questo modo la squadra riesce a capire e talvolta ad anticipare le sue mosse.

“Nella guerra al crimine della città di New York, i peggiori criminali sono perseguiti dai detective della Major Case Squad. Queste sono le loro storie.”

https://youtu.be/fGZpbkO6VpI

I detective della crimini maggiori sono Robert Goren (Vincent D’Onofrio) e Alexandra Eames (Kathryn Erbe). I due più che semplici detective, svolgono quasi l’attività di profiler, tracciando il modus operandi del criminale attraverso le prove raccolte. Anche in Criminal Intent, però, negli anni ci sono stati diversi avvicendamenti di cast.

Tra la quinta e l’ottava stagione, la serie prende in prestito da Law and Order – I Due Volti della Giustizia, il detective Mike Logan (Chris Noth) e la sua partner, la detective Megan Wheeler (Julianne Nicholson). Successivamente, dalla nona stagione, assistiamo all’ennesimo cambio di protagonisti ed entra in campo la coppia di detective formata da Zach Nichols (Jeff Goldblum) e Serena Stevens (Saffron Burrows).

Nonostante i continui cambiamenti nel cast, la serie Law & Order: Criminal Intent è andata in onda per ben 10 stagioni e 197 episodi ospitando anche varie guest star come Whoopi Goldberg, Fran Drescher, Brooke Shields e Bobby Cannavale.

Law and Order streaming

Tutte le stagioni di Law and Order – I Due Volti della Giustizia e degli spin-off Law and Order – Unità Vittime Speciali e Law and Order: Criminal Intent, sono disponibili in streaming sulla piattaforma a pagamento di Amazon Prime Video.

Fonte: Wiki, IMDB

 
 

Peninsula, la recensione del film di Sang-ho Yeon #RFF15

Peninsula recensione

Sin dalla prima scena Sang-ho Yeon ci riporta indietro nel tempo, e subito è come se fossimo ancora su quel Train to Busan che nel 2016 entusiasmò il Festival di Cannes diventando un vero caso internazionale e imponendo il nome del suo regista all’attenzione internazionale. Quest’anno sulla Croisette non si sono accese le luci, ma il sequel di quel cult dell’action horror ha trovato ospitalità proprio alla Festa di Roma, dove abbiamo potuto vedere Peninsula, altresì noto come Train to Busan 2.

Tornano gli zombi coreani

Sono passati quattro anni dallo scoppio dell’epidemia zombi che avevamo visto devastare la penisola coreana, ma abbandonati i protagonisti di allora stavolta scopriamo il dramma di Jung-seok, sopravvissuto a caro prezzo al disastro e rifugiatosi in una Hong Kong ostile nei confronti dei profughi come lui. L’occasione per tornare indietro gli viene offerta da un criminale locale, intenzionato a recuperare il ricco carico di un camion abbandonato nel centro di Seul. Ma come trovarlo, sopravvivere a orde di morti viventi affamati e tornare alla base entro tre giorni? Soprattutto considerata la misteriosa Unità 631 che controlla la città e il rischio che qualcosa di imprevisto possa apparire sul suo cammino…

Quattro anni sono passati anche dal poco noto prequel animato Seoul Station – uscito solo un mese dopo il film originario e distribuito in Italia allegato alla sua versione Home Video – che fa sì che si possa effettivamente parlare di vera e propria trilogia. Che qui pare chiudersi. Al di là di ragionevoli dubbi, e del desiderio e la curiosità di vedere Sang-ho Yeon mettersi alla prova con qualcosa di diverso, è interessante godere di questo ultimo capitolo seguendone l’evoluzione, e i vari cambi di direzione.

Azione spettacolare e ottimi maestri

Ritorna l’atmosfera claustrofobica che aveva costituito la vera cifra, e l’anima, del precedente, per quanto principalmente nel prologo, ma sono altri gli escamotage sfruttati dal furbo regista in questa nuova avventura. Stabilita la connessione che in molti si aspettavano, non può che esser giudicata positivamente la scelta di prendere le distanze da quel successo tentando una nuova strada. Che purtroppo tanto nuova non è. Difficile aggiungere qualcosa di originale allo zombi movie come genere, d’altronde… ci son riusciti in pochi. Yeon incluso. Che però stavolta punta su una ragionata ed equilibrata commistione di action, moralismo e buone idee già viste al cinema. Per esempio in 1997: Fuga da New York e Mad Max.

Il tasso di adrenalina resta alto, con zombi ipercinetici capaci di incredibili contorsionismi e acrobazie scenografiche, ma la vicenda scricchiola quando si incaponisce nello spiegarci i contesti etici e sentimentali dei protagonisti. Persino interrompendo l’azione ed eccedendo in fermi immagine, pause a effetto e insistiti temi musicali buoni per un Anime strappacuore. Un didascalismo davvero poco necessario.

Sensi di colpa epici ed espiazione

Come da tradizione, sono molti i temi sottesi allo sviluppo narrativo generale. A partire dall’immancabile rappresentazione degli espatriati bisognosi di asilo e mal sopportati dalla popolazione locale, fino alla lotta tra poveri che ne deriva (si direbbe) immancabilmente o al senso di colpa degli adulti nei confronti di una generazione costretta a vivere in un mondo devastato e ormai ben oltre l’orlo del baratro ecologico. Ovviamente anche a muovere l’Eroe è il desiderio di espiare una macchia inaccettabile, ma le tappe del suo percorso di redenzione sono forse troppo convenzionali. Persino le regole destinate a essere infrante sembrano enunciate esclusivamente con quello scopo, sin dall’inizio. Alla fine l’apparizione più gustosa rimane sicuramente quella delle due giovanissime componenti di un ‘Rescue Team’ molto particolare, per le loro abilità e creatività tanto quanto la capacità di riciclare strumenti di un’età passata e forse mai vissuta. Esempi della possibilità di una rivincita che non prescinda da una buona dose di innocenza e divertimento.

 
 

The Suicide Squad: le nuove copertine di Empire Magazine

The Suicide Squad

Ecco le nuove cover di Empire Magazine che raffigurano i protagonisti di The Suicide Squad, il nuovo film di James Gunn che racconta, ancora una volta, lo sgangherato gruppo di villain della DC Comics.

Il cast ufficiale di The Suicide Squad comprende i veterani Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Joel Kinnaman (Rick Flag) e Jai Courtney (Captain Boomerang), insieme alle new entry Idris ElbaMichael RookerNathan FillionTaika WaititiJohn CenaPeter Capaldi, Sean Gunn, David Dastmalchian Storm Reid. Nel film reciteranno anche Pete Davidson, Juan Diego Botto, Joaquin Cosio, Flula Borg, Tinashe Kajese, Jennifer Holland, Julio Ruiz, Alice Braga, Steve Agee e Daniela Melchior.

 
 

Selma – La strada per la libertà: trama e cast del film di Ava DuVernay

Selma film

Con il film del 2014 Selma – La strada per la libertà, la regista Ava DuVernay si è imposta all’attenzione dell’industria e del pubblico. All’interno del film dà infatti vita ad un’avvincente rievocazione delle marce capitanate da Martin Luther King svoltesi tra le città di Selma e Montgomery. Nel 1965, queste rappresentarono uno dei principali momenti nella rivolta per il diritto di voto ai cittadini afroamericani. Nel ritrarre questo preciso evento, la regista dà così vita ad un racconto storico ancora oggi estremamente attuale e bisognoso di essere tramandato e ricordato.

Inizialmente scritto come storia originale dallo sceneggiatore Paul Webb, il film subì diversi ritardi produttivi, dovuti in particolare al cambiare delle produzioni coinvolte come anche del nome del regista. Una volta confermata la DuVernay, però, la realizzazione di Selma – La strada per la libertà poté inifine concretizzarsi. Decisivo, tra gli altri, fu il supporto ricevuto dalla Plan B Entertainment di Brad Pitt e dalla Harpo Film di Oprah Winfrey. Dopo un’anteprima all’American Film Institute, il film ebbe modo di arrivare nelle sale di tutto il mondo, affermandosi come un grande successo.

Al box office il film arrivò infatti ad un guadagno globale di circa 67 milioni di dollari, a fronte di un budget di soli 20. Particolarmente entusiasta fu anche l’accoglienza della critica, la quale lodò la regia come anche l’interpretazione dei protagonisti. Il film si affermò poi come un forte contendente durante la stagione dei premi. Agli Oscar, tuttavia, ottenne solo due nomination, come miglior film e miglior canzone originale Glory, vincendo poi in quest’ultima categoria. L’assenza di nomination per la regia e l’attore protagonista portò a diverse polemiche, ma i mancati riconoscimenti nulla devono togliere al valore del film.

Selma – La strada per la libertà: la trama del film

Ambientato nel 1964, il film ha inizio con il conferimento del premio Nobel alla pace a Martin Luther King. Questi viene poi ricevuto dal presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, a cui chiede di garantire il pieno diritto di voto ai cittadini di colore. Questo è infatti loro negato, specialmente negli stati del Sud, dove non possiedono alcun rappresentante ai seggi. Le richieste di King non vengono però soddisfatte, ma anzi vengono viste in modo molto negativo da parte dei segregazionisti, tra cui si ritrova il governatore dell’Alabama George Wallace. L’attivista inizia allora a pensare a nuovi modi per ottenere una maggior visibilità a livello nazionale, arrivando ad organizzare una prima marcia politica.

Durante questa, però, una spedizione punitiva dei poliziotti finisce con il dar vita ad un morto. Si tratta del giovane Jimmie Lee Jackson, ucciso a sangue freddo da un agente. Tale evento sconvolge profondamente King, il quale è ora più determinato che mai ad ottenere giustizia per il suo popolo. Egli organizza così una seconda marcia di protesta non violenta, la quale però suscita ancor di più l’ira di Wallace. Un nuovo scontro si prospetta all’orizzonte, ma King è determinato a portare alla luce i soprusi dei bianchi, e non si arrenderà pur consapevole dei rischi a cui va incontro. Partito da Selma con al seguito un folto gruppo, ha così per lui inizio una delle proteste più celebri, rimaste impresse nella storia del paese.

Selma cast

Selma – La strada per la libertà: il cast del film

Per interpretare il ruolo di Martin Luther King, era necessario trovare un attore in grado di poter dar vita nel modo migliore al carismatico leader. La scelta ricadde sin da subito sull’attore britannico David Oyelowo, divenuto noto grazie a film come L’alba del pianeta delle scimmie e Lincoln. L’attore insistette per ben 7 anni pur di riuscire ad ottenere tale parte, dimostrando infine di essere il candidato migliore. Fu lui a proporre poi la DuVernay come regista del film, convinto delle sue capacità. Per prepararsi alla parte, Oyelowo studiò a lungo la figura di King e i suoi discorsi, cercando di interpretarlo nel modo più realistico possibile tanto nella modo di parlare che in quello di comportarsi. Il coinvolgimento emotivo fu talmente tanto che al momento di girare l’ultima scena, l’attore scoppiò in lacrime.

Accanto a lui si ritrovano poi diversi noti interpreti dell’industria statunitense. Tim Roth è presente nel ruolo del governatore dell’Alabama George Wallace. L’attore ha affermato di ricordare bene la figura del politico, e di aver lavorato a lungo per poter riprodurre la sua cattiveria, cercando però di non giudicarlo. Tom Wilkinson è invece il presidente Lyndon B. Johnson, mentre il rapper Common recita nel ruolo di James Bevel. L’attrice Carmen Ejogo dà invece vita a Coretta Scott King, moglie di Martin e a sua volta attivista per i diritti ai neri. Compaiono poi anche celebri nomi come Oprah Winfrey nei panni di Annie Lee Cooper, Cuba Gooding Jr. in quelli di Fred Gray e Keith Sanfield per Jimmie Lee Jackson. Alessandro Nivola interpreta John Doar, mentre Tessa Thompson è Diane Nash.

Selma – La strada per la libertà: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Selma – La strada per la libertà è infatti presente su Rakuten TV, Chili Cinema e Apple iTunes. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per venerdì 23 ottobre alle ore 23:40 sul canale Rai Movie.

Fonte: IMDb

 

 
 

Maps to the Stars: trama, cast e spiegazione del film di David Cronenberg

Maps to the Stars film

Maestro del body horror, il regista David Cronenberg ha negli anni abituato i suoi spettatori a storie particolarmente conturbanti, e con il suo ultimo film Maps to the Stars non è stato da meno. Presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2014, questo propone una critica al rapporto tra il mondo dello spettacolo e la cultura occidentale, andando a rivelare la natura malsana che si nasconde dietro il mondo del cinema e nella vita delle sue celebrità. Con fare satirico, il regista porta così con sé lo spettatore in un viaggio attraverso le stelle di Hollywood, le quali da vicino si rivelano però meno attraenti del previsto.

Prima di prendere forma, però, il progetto è dovuto passare attraverso diverse rielaborazioni. Lo sceneggiatore Bruce Wagner scrisse la prima versione della sceneggiatura nel 2007, ma il progetto faticò a trovare fondi per la sua realizzazione e venne infine cancellato. Wagner decise allora di pubblicare la storia sotto forma di romanzo con il titolo Dead Stars. Questa arrivò infine all’attenzione di Cronenberg, il quale se ne interessò e ricercò una produzione per il progetto. Con il coinvolgimento del regista, il film prese così vita e le riprese poterono iniziare, svolgendosi tra Los Angeles e Toronto.

Il film arrivò infine in sala, accolto da una buona accoglienza da parte della critica. Questa lodò in particolare le interpretazioni dei protagonisti e la capacità di Cronenberg di dar vita a situazioni particolarmente grottesche. Maps to the Stars non ottenne però un particolare successo al box office, dove a fronte di un budget di circa 13 milioni di dollari arrivò ad incassarne solo 4 a livello globale. Il titolo poté però fregiarsi di alcuni importanti riconoscimenti. Il più prestigioso tra questi è certamente quello vinto da Julianne Moore come miglior interprete femminile a Cannes.

Maps to the Stars: la trama del film

Protagonista del film è Agatha Weiss, giovane dal turbolento passato, la quale ritorna a Los Angeles dopo esserne stata allontanata anni prima. Coinvolta in un terribile incendio, durante il quale si è procurata le terribili ustioni che sfoggia sulle braccia, è ora determinata a trovare una propria redenzione nella città degli angeli, ricongiungendosi con la sua famiglia. Suo padre Sanford è un famoso terapista di celebrità, mentre la madre Cristina si occupa a tempo pieno della carriera del figlio adolescente, star della televisione. Essendo tutti così strettamente legati al mondo dello spettacolo, anche Agatha decide di iniziare a cercare un proprio posto in questo. Aiutata dal bell’autista di limousine Jerome riesce a diventare l’assistente personale della grande attrice Havana Segrand. Nessuno di questi è a conoscenza del fatto che le loro vite stanno per cambiare radicalmente.

Maps to the Stars cast

Maps to the Stars: il cast del film

Ad interpretare la giovane Agatha Weiss vi è l’attrice Mia Wasikowska, divenuta celebre per essere stata la protagonista di Alice in Wonderland. Grazie a tale ruolo l’interprete ha potuto sfoggiare nuove sfumature drammatiche, ottenendo ulteriori consensi da parte dell’industria. Il ruolo di Havana Sagrand è invece interpretato dalla premio Oscar Julianne Moore (Still Alice), la quale ha per questo ricevuto numerosi premi. Attratta dalla complessità del ruolo, l’attrice ha accettato di tingersi i capelli di biondo, dando vita ad un personaggio tanto sgradevole quanto attraente. Originariamente, però, questo era stato offerto all’attrice Rachel Weisz (La favorita), la quale dovette rifiutare per via di altri impegni.

Nel ruolo del dottor Stafford Weiss vi è invece John Cusack (Essere John Malkovich). Anche lui, come i suoi colleghi, rimase particolarmente colpito dalla sceneggiatura, accettando senza esitazione di prendere parte al progetto. Tale ruolo era però inizialmente stato offerto a Viggo Mortensen (Il Signore degli Anelli), il quale aveva già collaborato con Cronenberg per La promessa dell’assassino. L’attrice Olivia Williams (Il sesto senso) è invece presente nel ruolo di Christina Weiss, madre di Agatha, mentre il giovane Evan Bird, noto per la serie The Killing, interpreta Benjie Weiss. Maps to the Stars segna puoi una nuova collaborazione tra il regista e Robert Pattinson, già protagonista del precedente Cosmopolis. Fu l’ingresso nel cast del celebre attore a permettere la definita realizzazione del film.

Maps to the Stars: la spiegazione del film

Con Maps to the Stars Cronenberg ha potuto ribadire una volta di più il suo disprezzo nei confronti dell’industria hollywoodiana, giudicata falsa e ipocrita. Attraverso i personaggi rappresentati egli porta alla luce i principali aspetti e difetti di questo mondo, molti dei quali si ritrovano nel complesso personaggio di Havana Sagrand. In lei si ritrovano le varie contraddizioni e ossessioni spesso riscontrabili in molte reali celebrità. La stessa Moore, interprete del ruolo, ha affermato di essersi basata su persone simili da lei realmente conosciute. Le gesta del personaggio sono perfettamente coerenti con il mondo che la circonda. La sua voglia di prevalere a discapito di tutto e tutti diventa così il tratto prevalentemente messo alla gogna dal regista.

Per la comprensione del film sono poi esemplari anche i personaggi di Stafford e Benjie Weiss. Il primo, che di professione svolge il lavoro di psicologo per celebrità, si rivela essere una personalità manipolatrice, con più cura per i propri interessi che per i problemi manifestati dai suoi clienti. Cusack, interprete del ruolo, ha descritto tale personaggio come una delle più aggressive accuse alla fama e ai segreti di Hollywood. Il ruolo del giovane Benjie Weiss incarna invece tutti quei bambini che iniziano a recitare sin dalla tenere età. Egli nasconde inoltre seri problemi di droga, che vengono continuamente nascosti dai genitori e dagli agenti. Anche attraverso il suo ritratto si può ritrovare la spietata critica di Cronenberg verso questi giovani interpreti, il più delle volte vittime precoci dell’industria.

Maps to the Stars: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Maps to the Stars è infatti presente su Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Rai Play e Tim Vision. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per venerdì 23 ottobre alle ore 00:35 sul canale Rai 2.

Fonte: IMDb

 
 

Borat: seguito di film, recensione del film con Sasha Baron Cohen

Borat: seguito di film cinema recensione

Arriva a poco più di 10 giorni dalle elezioni presidenziali 2020 negli USA Borat: seguito di film, il secondo capitolo delle avventure del reporter kazako ideato e interpretato da Sacha Baron Cohen e conosciuto in tutto il mondo con il primo trascinante capitolo nel 2006.

In tempo di fake news, nessuno sa gestire la materia meglio di Cohen, che con il suo lavoro le ha in qualche modo inventante, portando il genere del mockumentary (il finto documentario) ad un livello altissimo di satira politica. Nel 2020, il raffinato interprete torna con il suo personaggio in un mondo, e in un’America, che è profondamente diversa da quella di 14 anni fa.

Borat: seguito di film, la recensione

E già la realizzazione del film è un piccolo miracolo, visto che è stato girato e ultimato in piena pandemia, oltre ad essere un atto comico di rivolta con una potenza mediatica e una portata virale davvero incredibile, e sarà sicuramente uno strumento di coinvolgimento importantissimo per gli elettori, laddove non arrivano pubblicità e propaganda seri.

Come il suo precedente, anche questo film ha le sembianze di un documentario approvato dal regime, ed ha lo scopo di riabilitare il nome della nazione agli occhi del mondo attraverso la captatio benevolentiae degli Stati Uniti e quindi del suo presidente e dei suoi sostenitori. Presi nel mirino ci sono in particolare il Vice Presidente Mike Pence e l’ex sindaco di New York e sostenitore di Trump, Rudolph Giuliani (che sicuramente dovrà dare delle spiegzioni a seguito del film). Ma non solo i personaggi politici, Borat “tocca” anche l’aborto, le teorie complottiste, il razzismo ovviamente, fa apparire il Ku Klux Klan, tutti elementi che, agli occhi del reporter, piacciono al “nuovo magnifico premier”, McDonald Trump.

Ebbene sì, perché di fronte ad un personaggio come Trump, che ha dimostrato una totale impermeabilità alla parodia, Baron Cohen e il suo team di co-autori sgretolano il personaggio Trump presentando un Borat che venera il presidente, un uomo che dalla Stanza Ovale sostiene razzismo e misoginia, trovandosi totalmente allineato con lui. Un’ammirazione a distanza, quella del reporter per il presidente, che nasconde tutta la chiave della satira di Sacha Baron Cohen.

Quando la politica diventa ridicola, il lavoro della satira si fa più difficile, e a questo risponde Borat: seguito di film, che fa fronte anche ad un’altra difficoltà. Il film prende in giro non solo il presidente, ma anche tutti i suoi sostenitori, e che tipo di effetto può avere, oggi, che Borat in quanto personaggio è ormai famosissimo? Non a caso Baron Cohen passa moltissima parte del film con travestimenti buffi e improponibili invece che con il suo distintivo completo grigio, cosa che gli ha permesso di infiltrarsi alla manifestazione di estrema destra lo scorso giugno e che è finita nel film, perfettamente in trama con ciò che la storia racconta.

Satira raffinata e comicità demenziale

Proprio la narrazione è una novità rispetto al film precedente, dal momento che Borat: seguito di film cinema ha una trama strutturata e precisa, che sicuramente toglie freschezza e senso di improvvisazione, ma che rende questo prodotto un oggetto forse più facile da fruire e sicuramente con meno momenti sgradevoli e grevi rispetto al primo film (non che qui siano assenti, tranquilli).

All’inzio del film troviamo Borat in un lager, mentre è condannato ai lavori forzati per aver gettato la vergogna sul suo paese, il Kazakistan (inteso come stato generico geograficamente incollocabile da parte dell’americano medio). Convocato dal ministro della propaganda, gli viene assegnata la missione di ingraziarsi il favore e il rispetto di Trump, e quindi del mondo, con un regalo. Prima viene scelta una scimmia, poi, a seguito di problemi logistici, Borat decide di offrire la sua figlia quindicenne, interpretata da Maria Bakalova (anche qui troviamo finalmente una spiegazione ad un’altra infiltrazione di Baron Cohen, questa volta alla CPAC, travestito da Trump).

L’intuizione di Borat: seguito di film è quella di giocare sullo stesso territorio dell’assurdo dell’obbiettivo della sua satira. Certo, con un pubblico vigile e attento, che riconosce Borat per strada, è difficile valutare, ora, quanto sia stato documentato e quanto sceneggiato, resta però notevole la maniera in cui Sacha Baron Cohen cammina sulla linea tra umorismo becero e acuta satira politica.

 
 

Covid: i giornalisti di cinema scrivono ad ANICA, SNGCI, AGIS e ANEC

UCI Cinemas

ANICA, a SNGCI, AGIS e ANEC hanno ricevuto una lettera da parte dei giornalisti cinematografici italiani in cui si chiede una maggiore tutela e sicurezza in tempo di Covid, pratiche da applicare in occasione delle anteprime e delle attività stampa allo scopo di garantire agli stessi giornalisti di settore di lavorare in sicurezza. Di seguito il testo:

“Tutti noi giornalisti e critici cinematografici dopo il lockdown siamo tornati alavorare con fiducia e cautela. Abbiamo ricominciato a seguire proiezioni e conferenze stampa in sala. Abbiamo partecipato e stiamo partecipando a rassegne e festival che si sono attrezzati per garantire le adeguate misure di sicurezza anti-Covid19. Tutti insieme stiamo cercando di ripartire, con responsabilità e attenzione, per far sì che il cinema in sala rimanga vivo e che il giornalismo di settore continui a raccontarlo al meglio delle sue possibilità. Abbiamo dato fiducia ai protocolli seguiti dalle aziende e dalle istituzioni che ci hanno chiamato a partecipare ai loro eventi e dobbiamo tutti essere certi che questi protocolli funzionino.

Sappiamo però che lunedì 12 ottobre, in occasione dell’attività stampa per la promozione del film Lockdown all’italiana, una persona, poi risultata positiva al coronavirus, ha partecipato agli incontri in programma. Lo abbiamo saputo per vie informali dal momento che non è partita alcuna procedura di tracciamento e controllo dello stato di salute di chi era presente all’attività stampa nonostante avessimo lasciato i nostri nomi e i nostri contatti come richiesto. La cosa ci ha allarmato perché l’organizzazione di quell’attività stampa ci è sembrata esemplare per le misure di sicurezza prese: dunque i protocolli non funzionano?

Alla luce di questo episodio – non sappiamo se altre anteprime possano aver avuto lo stesso problema, siamo certi di questo caso e anche dell’eccellenza dei controlli effettuati in loco – ci sembra importante sollevare la questione e proporre di individuare insieme, e poi mettere in atto, delle procedure ancora più stringenti che ci facciano sentire tutti pienamente tutelati nell’esercizio della nostra professione.ci sembra importante sollevare la questione e proporre di individuare insieme, e poi mettere in atto, delle procedure ancora più stringenti che ci facciano sentire tutti pienamente tutelati nell’esercizio della nostra professione.

Ad esempio ci sentiremmo più tranquilli se, come alla Mostra di Venezia (e non solo), potessimo sederci sempre in posti assegnati e registrati, in modo da poter risalire con precisione al tracciamento dei contatti in seguito a eventuali contagi. E se, in caso di positività di qualcuno dei partecipanti all’attività stampa, l’informazione – ovviamente nel rispetto della privacy dell’interessato – fosse comunicata con tempestività. Confrontiamoci, troviamo soluzioni condivise e facciamolo velocemente, perché purtroppo la situazione sanitaria, come sapete, peggiora di ora in ora”.

I firmatari:

Pedro Armocida 
Mauro Donzelli 
Michela Greco
 Ilaria Ravarino
Gabriele Acerbo 
Stefano Amadio 
Valentina Ariete 
Gianluca Arnone
Elena Balestri
Martina Barone 
Giovanna Barreca 
Nicole Bianchi
Giulia Bianconi 
Emanuele Bigi 
Federico Boni
 Margherita Bordino 
Antonio Bracco
Valerio Cappelli
Eva Carducci
Paola Casella 
Francesco Castelnuovo 
Claudia Catalli
Daniela Catelli
Oscar Cosulich 
Alberto Crespi
Antonio Cuomo 
Giacomo D’Alelio 
Piera Detassis
Antonio D’Olivo 
Alessandro De Simone
 Carmen Diotaiuti
 Simone Emiliani 
Elisabetta Esposito 
Ilaria Feole
Fabio Ferzetti
Andrea Fornasiero 
Marzia Gandolfi 
Emanuela Genovese 
Mauro Gervasini
Andrea Giordano 
Federico Gironi
Silvio Grasselli 
Andrea Guglielmino 
Chiara Guida
Luca Liguori
Silvia Locatelli
Giulia Lucchini 
Stefano Masi
Raffaele Meale 
Domenico Misciagna 
Emiliano Morreale 
Chiara Nicoletti 
Gabriele Niola 
Emanuele Paglialonga 
Mattia Pasquini
Anna Maria Pasetti 
Cristiana Paternò 
Francesca Pierleoni
 Federico Pontiggia
Carola Proto
Angela Prudenzi Emanuele Rauco
Baba Richerme 
Valerio Sammarco 
Giulio Sangiorgio 
Marina Sanna
Sonia Serafini
Paola Schettino Nobile
 Ilaria Solari
Boris Sollazzo
Barbara Sorrentini 
Chiara Ugolini 
Alessandra Ventimiglia 
Giorgio Viaro
Aurelio Vindigni Ricca 
Akim Zeijari
Emiliano Morreale
Angela Prudenzi
Baba Richerme

 
 

I Predatori: due clip del film di di Pietro Castellito, al cinema

I Predatori

Guarda due clip di I predatori, il debutto alla regia di Pietro Castellito, presentato in Concorso in Orizzonti alla 77° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore del Premio Migliore Sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia.

Protagonisti sono Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia, Pietro Castellitto, Giorgio Montanini, Dario Cassini, Anita Caprioli, Marzia Ubaldi, Antonio Gerardi, Nando Paone, Vinicio Marchioni, Claudio Camilli, Liliana Fiorelli, Renato Marchetti, Giulia Petrini, Francesco Borghese.

I Predatori, la trama

Nel film  I predatori È mattina presto, il mare di Ostia è calmo. Un uomo bussa a casa di una signora: le venderà un orologio. È sempre mattina presto quando, qualche giorno dopo, un giovane assistente di filosofia verrà lasciato fuori dal gruppo scelto per la riesumazione del corpo di Nietzsche. Due torti subiti. Due famiglie apparentemente incompatibili: i Pavone e i Vismara. Borghese e intellettuale la prima, proletaria e fascista la seconda. Nuclei opposti che condividono la stessa giungla, Roma. Un banale incidente farà collidere quei due poli. E la follia di un ragazzo di 25 anni scoprirà le carte per rivelare che tutti hanno un segreto e nessuno è ciò che sembra. E che siamo tutti predatori.,

I predatori è una produzione FANDANGO con RAI CINEMA prodotto da Domenico Procacci e Laura Paolucci, opera realizzata con il sostegno della Regione Lazio Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo.

 
 

Dreamland: trailer del nuovo film con Margot Robbie

La Paramount ha pubblicato il trailer ufficiale del film del regista Miles Joris-Peyrafitte  Dreamland con protagonisti Margot Robbie. Il film è un thriller drammatico nel quale l’attrice interpreta una rapinatrice di banche ricercata con una grande taglia sulla testa. Nel cast del film anche da Finn Cole, noto per il suo ruolo in Peaky Blinders

Dreamland arriverà in sale selezionate negli USA il 13 novembre e sarà disponibile anche su VOD il 17 novembre.

Dreamland, il film

Ambientato nella lotta americana durante la Grande Depressione, Dreamland segue Eugene Evans, un giovane che sogna di fuggire dalla sua piccola città del Texas. La sua vita normale prende una svolta quando scopre un rapinatore di banche ferito e fuggitivo Allison Wells (Robbie) che si nasconde più vicino di quanto possa mai immaginare. Diviso tra la rivendicazione della taglia per la sua cattura e la sua crescente attrazione per il seducente criminale, niente è come sembra, ed Eugene deve prendere una decisione che influenzerà per sempre la vita di tutti coloro che ha amato.

Il film è interpretato dalla candidata all’Oscar Margot Robbie I Tonya , Birds of Prey ), Finn Cole (Peaky Blinders), Travis Fimmel (WarcraftVikings), Kerry Condon (Avengers: Infinity War) Lola Kirke (American Made), Garrett Hedlund (Tron: Legacy) e Darby Camp (Big Little Lies).

Dreamland è diretto da Miles Joris-Peyrafitte da una sceneggiatura scritta da Nicolaas Zwart. Il film è prodotto da Margot Robbie, Tom Ackerley e Josey McNamara di Lucky Chap Entertainment e Brian Kavanaugh-Jones e Rian Cahill di Automatik. Brad Feinstein di Romulus Entertainment sta producendo e finanziando. Il film è stato presentato in anteprima mondiale lo scorso anno al Tribeca Film Festival 2019.