Nonostante un
titolo fuorviante, Love Life di Koji
Fukada, in concorso a Venezia 79, è un racconto di dolore
e di lutto, profondamente ancorato nel tessuto e nella cultura
sociale giapponese, lì dove tutto, troppo spesso, deve essere detto
ed espresso con uno sguardo.
Love Life, la
trama
Taeko (Fumino
Kimura) e Jiro (Kento Nagayama) sono
sposati da circa un anno, si sono conosciuti diversi anni prima
nell’ufficio di assistenza sociale dove ora lavorano entrambi.
Taeko aveva già un figlio, Keita (Tetta Shimada),
da un precedente matrimonio con un uomo che li aveva abbandonati
quando il bimbo era molto piccolo, un immigrato coreano sordo che a
mala pena riusciva a prendersi cura di sé. Dopo averlo cercato per
anni, Taeko di rifà una vita con Jiro, cosa che però non fa piacere
alla famiglia di lui. I genitori, in particolare, non sono contenti
che il loro unico figlio abbia sposato una donna più grande, con un
figlio che non ha il loro sangue. E, quando una tragedia improvvisa
si abbatte sulla famiglia, questi legami affettivi verranno messo a
dura prova e un intervento esterno continuerà a minare un
equilibrio apparente molto più precario di quanto non sia sembrato
a prima vista.
Fukada presenta queste
vicende con un occhio fermo e glaciale, resta a distanza da
emozioni forti e tragedie, quasi a emulare l’atteggiamento di
apparente distacco con cui i protagonisti affrontano delle
questioni anche molto dolorose che per una cultura occidentale
sarebbero tutte esternate con reazioni animate e rumorose.
Forse il principale
ostacolo che Love Life presenta per il pubblico è proprio
questo gap culturale che non permette l’identificazione non tanto
in ciò che accade agli sventurati protagonisti, quanto nelle
maniera algida con cui tentano di gestire questi
avvenimenti.
Un melodramma normalizzato
Tutto quello che succede
nella storia appartiene al genere del melodramma, tuttavia il film
non diventa mai tale. La musica, la fotografia, la formula di messa
in scena, tutto prova a indicare allo spettatore che non si sta
guardando una storia drammatica. Fukada quindi opera una
normalizzazione del melodramma, che se da una parte si presenta
come un’operazione linguisticamente interessante, dall’altra fa
crollare tutto l’impianto drammatico della storia, annullando il
coinvolgimento dello spettatore. Ci si potrebbe sentire, alla fine,
come se non fosse accaduto nulla di così doloroso come invece si
verifica.
Love Life è un dramma familiare che ricorda il
cinema muto, quasi, dove ogni piccolo gesto assume un significato
profondo e altro, che dovrebbe essere decodificato da una
sensibilità affine a quella dell’autore e che, in mancanza di un
dialogo tra chi racconta e chi riceve il racconto, potrebbe
risultare troppo ostico per essere apprezzato.
All the Beauty and the
Bloodshed, unico documentario in concorso a
Venezia 79, esplora la lotta dell’artista Nan
Goldin contro la famiglia Sackler,
arricchitasi dalla vendita di oppiodi e che ha riciclato la propria
immagine pubblica vendendosi come mecenati d’arte. Questo progetto,
diretto da Laura Poitras, ha come protagonista
proprio Goldin, che ha condotto una dura campagna
contro la Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica di
proprietà della famiglia Sackler, produttrice dell’antidolorifico
Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che
ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel
mentre, alla “facoltosa” famiglia sono state intitolate fino a
sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo
del Louvre di Parigi.
La battaglia privata e collettiva di Nan Goldin
Considerata una delle più
prestigiose fotografe contemporanee, nota per la sua fervida
aderenza ad importanti cause e tematiche, tra cui sessualità e
dipendenza – in particolare per la serie The Ballad of
Sexual Dependency – che documenta le comunità queer della
New York degli anni ’70 e ’80, in All the Beauty and the
Bloodshed Goldin ripercorre le proprie vicissitudini
famigliari e professionali e il tortuoso viaggio che l’ha condotta
alla dipendenza da questi antidolorifici oppioidi. Nel corso di
quasi due anni, Poitras ha visitato la
Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie
di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie
della stessa Goldin, costituiscono l’ossatura del film.
Dopo essere sopravvissuta a
un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017
Goldin ha fondato il gruppo di difesa
P.A.I.N (Prescription Addiction Intervention Now)
per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché
interrompano le collaborazioni con la famiglia
Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le
arti. “Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in
ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i
miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di
persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E,
per ora, ne abbiamo abbattuto uno“, ha dichiarato Nan
Goldin a Venezia.
Al centro del film ci sono le opere
d’arte di Goldin “La ballata della dipendenza
sessuale“, “L’altro lato“, “Sorelle e
sibille” e “La memoria perduta“, tramite cui
Goldin cerca di catturare tutta la bellezza e la
cruda tenerezza che vuole identificarsi come l’eredità della
sorella Barbara e delle amicizie più vere strette
nel corso degli anni, alla base di tutto il percorso artistico di
Goldin.
La bellezza e lo spargimento di sangue degli affetti
personali
Anche i precedenti documentari di
Poitras si concentravano sulle personali storie di
individui che combattono per un senso di giustizia o
responsabilità. Se è vero, dunque, che l’associazione
P.A.I.N rimane il nucleo fondante di All
the Beauty and the Bloodshed, questa nuova incursione nel
documentario di Poitras si rivela l’occasione
ideale per esplorare l’intrinseca connessione tra l’attivismo di
Goldin e il suo lavoro come punto di riferimento
nell’ambito della fotografia.
In All the Beauty and the
Bloodshed emerge chiaramente come per
Goldin sia stato essenziale toccare parallelismi
economici, sociali ed istituzionali tra la crisi dell’HIV/AIDS e
l’attuale crisi degli oppioidi nel Paese. Cercando di far emergere
a più riprese il concetto che le crisi sociali non esistono in un
unico contesto e che è necessario catturare le relazioni tra
comunità per poterne sondare le profondità, il documentario di
Laura Poitras riesce a coniugare ottimamente la
sovversività politica del suo lavoro artistico e l’emotività –
spesso anche lacerante – delle storie personali che sono state e
continuano ad essere l’ispirazione primaria per i suoi lavori.
Filtrando il concetto di stigma
tramite le sue più comuni derivazioni, il suicidio, la malattia
mentale, il genere, Goldin ha progressivamente
compreso la forte valenza politica che il suo impegno artistico
stava assumendo. Intrecciando la storia della sua infanzia, delle
sue profonde amicizie nelle comunità di artisti che continuano a
dimostrare slancio creativo e resilienza di fronte alle indicibili
perdite subite durante l’epidemia di AIDS, All the Beauty
and the Bloodshed cattura la storia non solo di
Nan, ma anche di Barbara Goldin:
la sorella perduta, ma mai dimenticata, la cui esistenza sofferente
– che diventa un ricordo quasi etereo – racchiude perfettamente la
storia di un’artista che ha raccontato la sua vita anche attraverso
l’impegno socio-politico.
L’attrice Anna Kendrick,
celebre per film come Pitch Perfect, Tra le nuvole e Un piccolo favore,
debutterà alla regia con il thriller The Dating
Game, per il quale sarà anche produttrice e
protagonista. Il progetto è basato sulla storia incredibilmente
vera di Cheryl Bradshaw. Nel 1978, la donna è
apparsa nel popolare programma televisivo The Dating Game
scegliendo inizialmente di avere un’appuntamento con Rodney
Alcala, salvo cambiare idea all’ultimo. L’uomo è poi stato
arrestato circa un anno in quanto serial killer con diversi omicidi
a carico.
Non è ancora noto in che modo il
film tratterà la vicenda, se vi sarà totalmente fedele o se la
Kendrick sceglierà di prendersi alcune libertà. Ad oggi l’attrice
ha solo confermato che ricoprirà per la prima volta il ruolo di
regista, affermando che “ho adorato questa sceneggiatura dal
momento in cui l’ho letta. E mentre ero ovviamente entusiasta di
interpretare il personaggio di Cheryl, mi sono sentita così
connessa alla storia, al tono e ai temi intorno al genere, che
quando si è presentata l’opportunità di dirigere il film, l’ho
colta al volo. Il supporto che ho già ricevuto da Stuart Ford e da
tutti in AGC, Vertigo e BoulderLight è stato fonte di ispirazione e
incoraggiamento“.
Le riprese del film, scritto da
Ian MacAllister McDonald, dovrebbero iniziare
nell’ottobre di quest’anno e prossimamente potrebbero dunque essere
annunciati anche nuovi nomi facenti parte del cast come anche
ulteriori dettagli relativi alla trama. Per la Kendrick si tratta
ovviamente di una grande opportunità, che potrebbe portarle
ulteriore popolarità oltre che a farle guadagnare un posto accanto
ad altre attrici come Greta Gerwig e Olivia Wilde
poi passate con successo alla regia di film come Lady Bird e Don’t Worry
Darling.
Il cast del prossimo
Joker 2, ufficialmente
intitolato Joker: Folie à Deux, continua
a crescere con l’aggiunta della candidata all’Oscar
Catherine Keener in un ruolo ad oggi tenuto
segreto. L’attrice è nota principalmente per i suoi ruoli in
Essere John Malkovich e
Truman Capote – A sangue freddo, mentre di recente ha
recitato in Scappa – Get Out, Soldado e The Adam Project.
Joaquin
Phoenix, vincitore dell’Oscar come miglior attore
proprio per Joker, tornerà per il
sequel, riprendendo il ruolo di Arthur Fleck. Phoenix guiderà un
cast che include anche la co-protagonista Zazie Beetz e
il nuovo arrivato Brendan Gleeson. Anche
Lady Gaga apparirà nel film, interpretando una
nuova versione di Harley Quinn.
Anche se non è dunque ancora chiaro
chi interpreterà la Keener, considerando che il film sembra essere
ambientato per buona parte all’interno dell’Arkham Asylum, è
ipotizzabile che l’attrice possa vestire i panni di un medico del
posto o, altra ipotesi non da escludere, uno dei pazienti lì
rinchiusi. In generale, però, si sa ancora molto poco di questo
sequel, il quale stando a quanto mostrato da un primo breve teaser,
includerà anche elementi musicali.
Le riprese dovrebbero incominciare a
dicembre, con Todd Phillips
che torna in cabina di regia, avendo anche scritto la sceneggiatura
insieme a Scott Silver. Con una data di uscita
attualmente fissata al 4 ottobre 2024, bisognerà
attendere ancora un po’ prima di poter sperare di avere maggiori
informazioni sul film. Per il precedente Joker, tuttavia,
diverse immagini del film hanno iniziato a circolare con ancora le
riprese in corso. È dunque possibile che già nei prossimi mesi si
possa avere un assaggio in più su ciò che questo Joker: Folie à
Deux ha da offrire.
In merito al film Bill Pohlad ha
rivelato, “La storia di Donnie Emerson intreccia amore,
lealtà, seconde occasioni e la possibilità di vedere i propri
sogni avverarsi. Al contempo è anche una storia di dolore, di
rimpianto e delle complicazioni che i sogni possono portare con
sé. Dreamin’ Wild possiede una tranquilla semplicità. Esplora la
fede e la famiglia, il senso di colpa e la responsabilità. In
definitiva, parla di guarigione: ed è ciò di cui oggi abbiamo
più che mai bisogno nel mondo. Ecco perché sono stato attratto da
questa storia. Il nucleo centrale del film è la musica: Baby
girava nella mia testa mentre scrivevo, e l’anima e la passione di
questa canzone permeano il film. Vi è un senso di magia che
attraversa questa storia. Lo si può sentire riecheggiare in Baby.
E lo percepirete in Dreamin’ Wild.”
Cosa succederebbe se un sogno
d’infanzia si avverasse all’improvviso – ma trent’anni più tardi?
È quanto accade al cantautore Donnie Emerson. Il sogno di avere
successo si realizza improvvisamente – e inaspettatamente – quando
si sta avvicinando ai cinquant’anni. E se ciò da un lato porta con
sé la speranza di seconde occasioni, dall’altro lato evoca anche i
fantasmi del passato frammisti a emozioni a lungo sepolte, mentre
Donnie, il fratello Joe e l’intera famiglia si ritrovano a fare i
conti con la fama recentemente conquistata. Dreamin’ Wild è
un’incredibile storia vera di amore, speranza, famiglia, senso di
colpa e responsabilità.
A soli due mesi dall’uscita in sala,
sarebbero attualmente in corso alcune riprese aggiuntive per il
film Black Panther: Wakanda
Forever, il prossimo film targato Marvel nonché sequel del
pluripremiato Black Panther. Alcune
fonti hanno infatti riportato la notizia che il regista
Ryan Coogler sta svolgendo alcune ulteriori
riprese nello Stato della Georgia. È molto raro che un film vada
incontro a riprese aggiuntive così vicine alla data di uscita in
sala. Proprio per questo, alcuni fan ipotizzano che il team
creativo stia in realtà girando nuove scene post-credits. Non ci
sono però conferme o smentite da parte dei Marvel Studios ed è dunque difficile stabilire
il contenuto effettivo di queste nuove riprese.
Molti fan, ad esempio, hanno
lanciato su Twitter l’hashtag #RecastTChalla, chiedendo che nel
film venga inserita una variante del personaggio. Tale richiesta è
però difficile che venga accontentata, in quanto i Marvel Studios hanno affermato di
non aver intenzione di operare un recasting, rimanendo fedeli alla
memoria di Chadwick
Boseman, l’originale interprete del personaggio
prematuramente scomparso nel 2020. Il film si è dunque costruito
sulla difficoltà e necessità di andare avanti senza il suo
protagonista effettivo. Appare dunque improbabile che lo studios
abbia ora cambiato idea all’ultimo, inserendo una variante di
TChalla come richiesto dai fan.
In attesa di chiarimenti ufficiali,
rimane dunque ignota la natura di queste riprese aggiuntive, da
svolgersi certamente in modo quantomai rapido per evitare rinvii
nella data di uscita del film. Questo è infatti atteso in sala per
il 9 novembre e vanta un cast composto da
Letitia Wright,Lupita
Nyong’o, Dominique Thorne, Danai Gurira,
Angela Bassett
e Tenoch Huerta nei panni del villain Namor.
Ieri è stata una giornata ricca di
star quella di Venezia 79, sul red carpet hanno
sfilato i protagonisti del film The Son, che è stato presentato in
concorso. Insieme al regista Florian Zeller sul
red carpet hanno sfilato i protagonisti Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby e Zen
McGrath.
The
Son segue una famiglia che lotta per tornare
unita dopo essersi sfasciata. The Son è incentrato su Peter, la cui
vita frenetica con il figlio appena nato e la nuova compagna Beth
viene sconvolta quando l’ex moglie Kate ricompare con il figlio
Nicholas, ormai adolescente. Il giovane manca da scuola da mesi ed
è tormentato, distante e arrabbiato. Peter si sforza di prendersi
cura di Nicholas come avrebbe voluto che suo padre si fosse preso
cura di lui, mentre si destreggia tra il lavoro, il nuovo figlio
avuto da Beth e l’offerta della posizione dei suoi sogni a
Washington. Tuttavia, cercando di rimediare agli errori del
passato, perde di vista il modo in cui tenersi stretto Nicholas nel
presente.
The Son è un film sul senso di
colpa, sui legami familiari e, in ultima analisi, sull’amore.
Volevo realizzarlo da diversi anni. Ero così determinato a
raccontare questa storia che non avrei potuto raccontarne
nessun’altra, né da un diverso punto di vista. È in parte ispirato
a emozioni che conosco personalmente. Volevo condividerle con il
pubblico perché so che molte persone si confrontano con i disturbi
mentali e che la vergogna e lo stigma associati a questi problemi
possono ostacolare conversazioni necessarie e talvolta vitali.
Una delle questioni più accese
intorno al Marvel Cinematic Universe è quella
relativa al casting dell’annunciato Fantastici
Quattro, il film che inaugurerà la Fase
6 nel novembre 2024. Ad oggi non vi sono
ancora certezze riguardo a chi interpreterà i quattro fantastici
protagonisti, tra i più celebri e amati supereroi della Marvel. Vi sono però una serie di
rumor a riguardo su attori presi in considerazione per questi
ruoli. Per quanto riguarda Sue Storm, alias la donna invisibile, il
ruolo potrebbe andare all’attrice Jodie Comer, la
quale sempre stanto alle voci di corridoio sarebbe la principale
candidata alla parte.
Divenuta celebre per aver
interpretato Villanelle nella serie Killing Eve, la Comer
si è poi di recente fatta notare anche al cinema con i film
Free Guy – Eroe per
gioco e The LastDuel,
recitando in entrambi in qualità di protagonista femminile. Questi
titoli le sono bastati ad affermarsi come una delle attrici più
promettenti di Hollywood e il ruolo di Sue Storm potrebbe per lei
rappresentare la definitiva consacrazione in termini di popolarità.
Le qualità sembrano dunque esserci tutte, come anche una certa
somiglianza al personaggio.
Restano invece ancor più irrisolti i
ruoli di Reed Richards alias Mr. Fantastic, La Cosa e la Torcia
Umana, per i quali sono tuttavia trapelati
alcuni possibili candidati valutati dalla Marvel. Al di là
degli attori che saranno coinvolti, sappiamo che Matt
Shakman, già distintosi presso i Marvel
Studios per aver diretto la miniserie WandaVision, dovrebbe essere confermato come
regista del progetto. Occorre ora aspettare l’imminente D23
Expo, durante il quale i Marvel Studios potrebbero annunciare novità
relative ai Fantastici Quattro.
Con l’imminente premiere del film
semi-autobiografico The
Fabelmans di Steven Spielberg al Toronto
International Film Festival, è stato ora rilasciato il nuovo poster
del film, che mostra anche alcune immagini tratte dalla pellicola
stessa. Il poster raffigura infatti la sagoma di un personaggio che
cammina lungo un vicolo accanto allo Stage 25. Lo sfondo del poster
mostra invece bobine di film con immagini reali presenti nel film.
La più importante di queste è al centro, con Gabriel
LaBelle che interpreta Sammy Fabelman intanto ad usa una
telecamera ed esplorando dunque il suo amore per il cinema.
Il poster di The
Fabelmans ci mostra anche immagini che ritraggono
Michelle
Williams (Manchester by the Sea), che
interpreta la madre di Sammy, Leah Fabelman,
intenta a balla sotto alcuni riflettori. Paul Dano
(The
Batman), che interpreta il padre di Sammy,
Burt, può invece essere visto nel poster
sorridente con una scimmia sulla spalla. Infine vi è anche Seth Rogen
(The Disaster Artist), che interpreta nel film un collega
di Burt, anche se non è ancora noto il ruolo che il personaggio
avrà effettivamente nella storia.
La vicenda di The
Fabelmans, come già anticipato è una versione
semi-autobiografica dell’infanzia di Spielberg. Il film è infatti
incentrato su Sammy Fabelman, che sogna di
diventare un regista mentre cresce nell’Arizona del secondo
dopoguerra. Il film ripercorrerà la sua vita dalla sua infanzia
fino alla tarda adolescenza, momento in cui scoprirà un segreto di
famiglia e apprende definitivamente il potere del cinema. Oltre a
dirigere il film, Spielberg è anche co-autore della sceneggiatura
con Tony Kushner, che in precedenza aveva
collaborato con il regista in film come West Side Story,
Lincoln e
Munich. Il film ha una distribuzione in sala attualmente
prevista per la fine di novembre. Di seguito il poster
ufficiale.
Sono finalmente state rilasciate le
prime immagini dedicate ai protagonisti di Babylon, il nuovo film del più giovane
premio Oscar per la regia, ovvero Damien Chazelle.
Tali immagini offrono uno sguardo ravvicinato al personaggio di
Margot Robbie e
Brad Pitt, ma
anche a quello di Tobey Maguire.
Il regista di La La Land e Whiplash, ha descritto
questo suo nuovo progetto come un film ambientato nell’età del jazz
della Hollywood degli anni ’20, quando il cinema iniziò ad
allontanarsi dai film muti per passare al sonoro.
Chazelle ha sviluppato la storia
per questo film in costume per più di un decennio, ma è stato solo
grazie al recente successo e al suo affermarsi come uno dei registi
più talentuosi di Hollywood che il film ha potuto prendere vita. Le
riprese di Babylon si sono concluse circa un anno fa e
ora, finalmente, il materiale promozionale del film sta
incominciando ad emergere. Queste prime immagini ci mostrano dunque
Pitt nei panni Jack Conrad, una superstar amante
delle feste ormai alla fine della sua carriera, mentre Robbie
interpreta Nellie LaRoy, una giovane attrice di
talento, la cui popolarità è in continua crescita.
Tobey Maguire, che
inizialmente sembrava dovesse interpretare il grande
Charlie Chaplin, ha invece ora un personaggio
chiamato James McKay, il cui ruolo nel film è però
ancora sconosciuto. Con queste nuove immagini appena rilasciate,
potrebbe non volerci molto per scoprire di più sul progetto. Il
pubblico può infatti iniziare ad attendere con impazienza il
trailer del film, che potrebbe essere rilasciato da qui a breve,
considerando che Babylon ha una data di uscita in sala
fissata proprio per questo Natale, il 25 dicembre
2022. Di seguito, ecco le immagini relative ai tre
protagonisti rilasciate da Vanity Fair:
1 di 3
Director Damien Chazelle on
the set of Babylon from Paramount Pictures.
Director Damien Chazelle on the set of Babylon from Paramount
Pictures.
Gentile concessione di
Paramount PICTURES
Gentile concessione di
Paramount PICTURES
See Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva,
Tobey Maguire, Jovan Adepo, and more in the glittering first look
at ‘Babylon,’ due out this December. https://t.co/0SUx9rsWjz
Prime
Video ha diffuso il trailer di My
Policeman il film diretto da Michael Grandage e basato sul
romanzo di Bethan Roberts. Protagonisti del film sono Harry
Styles, Emma Corrin, Gina McKee, Linus Roache, David Dawson e
Rupert Everett. Scritto da
Ron Nyswaner. Prodotto da Greg Berlanti, Sarah
Schechter, Robbie Rogers, Cora Palfrey, Philip Herd.
Executive Producer: Michael Grandage,
Michael Riley McGrath, Caroline Levy.
La trama del film
La bellissima storia di un amore proibito e del cambiamento
delle convenzioni sociali, My Policeman segue tre ragazzi
– il poliziotto Tom (Harry Styles), l’insegnante Marion (Emma
Corrin) e il curatore di un museo Patrick (David Dawson) – durante
un viaggio emozionante nella Gran Bretagna degli anni ’50. Negli
anni ’90, Tom (Linus Roache), Marion (Gina McKee) e Patrick (Rupert
Everett) sono ancora in preda al desiderio e al rimpianto, ma ora
hanno un’ultima possibilità di riparare i danni del passato. Basato
sul romanzo di Bethan Roberts, il regista Michael Grandage realizza
un ritratto visivamente commovente di tre persone coinvolte nelle
mutevoli maree della storia, della libertà e del perdono.
Dopo l’esordio cinematografico
conThe
Father – Nulla è come sembra, dopo essersi guadagnato
due Oscar e un César, il
drammaturgo francese Florian Zeller torna
alla regia. The Son è
di nuovo un adattamento di una sua pièce teatrale (Il
figlio) ed è un dramma familiare che ruota attorno ad un
adolescente infelice. Per raccontare questa
storia, Zeller si serve di un cast
stellare: Hugh Jackman, Laura
Dern, VanessaKirby,
Anthony Hopkins e il
giovanissimo Zen Mcgrath.
La trama di The
Son
Nei migliori quartieri di New
York, PeterHugh Jackman),
un avvocato di successo, vive con la sua
compagna Beth (Vanessa Kirby)
e con il loro figlio appena nato Theo. In
realtà, Peter ha anche un altro
figlio, Nicholas (Zen
Mcgrath), che abita con la madre Kate
(Laura
Dern). Nicholas ha diciassette anni e
sta attraversando un periodo difficile. Insieme all’adolescenza,
nel ragazzo emergono una serie di angosce che lo spingono ad
abbandonare la scuola e a isolarsi sempre di più. Nel
tentativo di aiutarlo, Peter acconsente alla
richiesta di Nicholas di vivere con lui e la nuova
compagna. Tuttavia, la tristezza del ragazzo sembra
irreparabile.
I traumi legati al divorzio
di Peter e Kate impediscono
a Nicholas di essere felice, ogni manifestazione
d’affetto sembra non bastare. Se nessuno si salva da solo, chi può
salvare un figlio, se non i suoi genitori?
I legami familiari esplorati in
modo acritico
In The Son si
parla soprattutto di rapporti familiari: madre e figlio neonato,
madre, padre e figlio adolescente, matrigna e figliastro. O
ancora, un padre (Jackman) che è a sua volta
figlio (di Anthony Hopkins). Nessuno degli
individui che appare sulla scena ha senso da solo: tutte le parti
sono intersecate e strettamente legate tra loro. Questo vale ancora
di più per Nicholas. Il ragazzo è fragile e allo
stesso tempo sogna una spensieratezza che non riesce a ottenere
proprio perché porta in sé sia il ricordo del divorzio dei genitori
che quello di quando ancora stavano insieme.
Nonostante il giovane accusi più
volte i genitori, in realtà il regista non vuole esprimere un
giudizio sulla condotta di Kate e di Peter.
Le figure genitoriali sono mostrate in modo
acritico. Zeller non esclude nulla e
porta sullo schermo le fragilità, le qualità positive, i vizi e le
virtù, dei genitori come del figlio. Con il loro modo di
comportarsi, madre e padre sono in parte carnefici
di Nicholas, in parte vittime delle azioni del figlio
adolescente. E, alla fine dei conti, tutti soffrono, si fanno male
e si consolano a vicenda.
Parlare di depressione
giovanile
Zeller
sceglie un punto di vista imparziale e il risultato è un film che
lascia poca speranza. Il tema della depressione giovanile, ancora
più ridondante tra i ragazzi dopo l’arrivo del Covid-19, è delicato
e decisamente ampio. Per parlarne, il regista si serve di un
interprete eccellente. Il giovane Zen
Mcgrath, figura esile non troppo dissimile da Thimothée
Chalamet in Beautiful
Boy, ha un’intensità rara e straziante.
Mcgrath è la bussola che guida gli stati
d’animo di The
Son e, insieme a lui, la spirale emotiva del film
scende verso il basso. Come per ogni soggetto fragile,
salvare Nicholas richiede uno sforzo immenso e
globale. Il protagonista del lungometraggio non è però
l’adolescente, ma Peter, colui che allo stesso tempo
è sia padre che figlio…
Con The
Son Zeller guarda a Hollywood
Il
castè l’arma più potente del
film. Jackman oscilla tra tutte le
possibili emozioni vissute da un padre separato alle prese con un
adolescente, un neonato e un lavoro ingombrante. Laura
Dern è, come sempre, una madre realistica e umana,
mentre Vanessa Kirby è forse
il personaggio più emblematico: il suo ruolo secondario oscilla
continuamente tra le quinte e la scena, come se il personaggio che
interpreta non fosse mai nel posto giusto. A questi attori
incredibili, si aggiunge un cameo di Anthony Hopkins, fil rouge che
collega The Son al
precedente The
Father.
Nonostante le ottime
interpretazioni, con The
SonZeller in parte si allontana
dallo stile narrativo del film precedente. Il regista fa un passo
verso un cinema più hollywoodiano, sia per le ambientazioni
newyorkesi, sia per la linearità della storia, ma soprattutto per i
colpi di scena programmabili (esattamente come la lavatrice che è
sempre in azione in casa di Peter).
Il regista di The
Son
Florian Zeller è un
acclamato scrittore e drammaturgo francese. Nel 2020 entra a gamba
tesa nel mondo cinematografico come regista e sceneggiatore di
The Father – Nulla è come sembra, lungometraggio tratto da
una sua pièce teatrale. Il film, un dramma con
protagonisti Anthony Hopkins e Olivia Colman, conquista pubblico e
critica e si guadagna due Oscar (Miglior sceneggiatura non
originale e Miglior attore protagonista a
Hopkins). Quest’anno, Zeller
torna a dirigere un suo testo teatrale: The Son,
tratto da Il figlio (2018), ultimo capitolo di
una trilogia sui rapporti familiari.
Con The
Eternal Daughter, in concorso a
Venezia 79, Tilda Swinton e Joanna Hogg
tornano a collaborare per la terza volta, in un film che si
configura come estensione massima dello stile registico di
Hogg, a cui è possibile approciarsi soltanto con
la consapevolezza del lavoro simbiotico che le due svolgono da
tantissimi anni – fin dai tempi dell’università – e concretizzatosi
con i film The Souvenir e The Souvenir
2.
Il film più d’atmosfera di Joanna
Hogg
La trama di The
Eternal Daughter vede un’artista
(Julie) e la sua anziana madre
(Rosalind) confrontarsi con segreti a lungo
sepolti quando fanno ritorno nella vecchia casa di famiglia, ora
diventata un hotel infestato da un misterioso passato.
The
Eternal Daughter è un film di difficilissima natura.
Bisogna portarsi dietro il bagaglio conoscitivo che ci offerto il
rapporto tra Julie e la madre nei due
Souvenir per comprendere quanto a fondo la
Hogg voglia spingersi con questa analisi spettrale
e struggente della figura femminile, in cui il doppio agevola la
messa in scena di un rapporto generazionale e Tilda
Swinton non fatica a recitare, deve semplicemente
rispondere alla fatica che soggiace ai ruoli di madre e figlia.
Sempre minimale ma rigorosissimo
nella messa in scena, The
Eternal Daughter è il film più d’atmosfera della
Hogg. Da sempre interessata al sovrannaturale, era
già da prima della pandemia da Covid-19 che la regista desiderava
mettere in scena una storia di fantasmi. Senza un copione preciso a
guidarne la recitazione, Tilda Swinton segue il richiamo dei suoni
naturali per ricostruire la cronistoria di legame indissolubile,
che nasce dalla proiezione del sè nell’altro, dall’idea del
rompicapo ipnotico che avvolge le cornici delle storie gotiche.
The Eternal Daughter, o meglio, The
Souvenir 3
Per quanto visivamente intrigante,
The
Eternal Daughter si perde paradossalmente nello spazio
confinato che sceglie come propria ambientazione, un albergo
spettrale e dall’impatto visivo incontestabile, che riecheggia
tuttavia sprazzi di quello che sarebbe potuto essere un The
Souvenir 3. Nella ridondanza recitativa – conoscevamo già
tanto di madre e figlia dai precedenti film – l’ultima fatica di
Joanna Hogg risulta quasi inaccessibile, vittima
del dilatarsi di una linea del tempo che solo regista e attrice
conoscono veramente, ed è impossibile che lo spettatore riesca ad
immergervisi altrettanto. The
Eternal Daughter è il risultato di conversazioni
durate quindici anni tra Swinton e Hogg, che si sono
interrogate a lungo sul divario generazionale tra loro – figlie
dalla vocazione artistica – e le loro madri, raffinatissime e
altolocate, per cui una professione artistica non poteva essere
assolutamente contemplata.
Non tutti hanno figli o figlie, ma
tutti abbiano una madre e siamo figli.
Tilda/Julie/Rosalind decide di identificarsi in
entrambi i punti di vista, cercando di simpatizzare con queste
proiezioni del se, non lasciarsi spaventare e dimostrare che la
conversazione tra le due parti continua sempre, non deve per forza
finire secondo i ritmi della natura, bensì nutrire il tempo che
verrà.
Nel periodo di tempo trascorso
insieme, Julie e Rosalind
condividono la stessa voce e lo stesso volto. Entrambe invecchiano
poco a poco, ma hanno il tempo necessario per dar voce alla paura
più grande dei figli e delle madri: avere sbagliato qualcosa, non
essere stato all’altezza. Un confronto continuo, terapeutico ma
estremamente struggente, che fa dell’eternità la chiave per
(ri)leggere la filmografia di un’artista estremamente
autobiografica e che ancora non vuole finire di raccontarsi.
Il film è ispirato ad un raconto di
Antonio Cossu. Siamo negli anni Cinquanta. Nelle
colline del Trexenta, in Sardegna,
vive Raffaele (Giuseppe
”Peppeddu” Cuccu), un contadino che ha da
poco colto un misero mucchio di grano. Il raccolto deve ancora
essere concluso: l’arrivo del vento permetterà ai chicchi di
dividersi dalla paglia e concluderà la trebbiatura. Nell’attesa del
”bentu”, Raffaele sceglie di rimanere nel suo piccolo
casolare in campagna. Tuttavia, il vento non sembra voler arrivare.
A tenere compagnia al contadino c’è però il piccolo
Angelino (Giovanni Porcu), un ragazzino
invadente e affascinato dall’attività di Raffaele. Ciò che
più di tutto attrae Angelino è la cavalla di
Raffaele, ma il bambino è ancora troppo leggero per
poterla cavalcare…
Un film che segue i ritmi della
natura
Bentu ruota attorno a
tre personaggi: Raffaele, Angelino e la cavalla
indomita del contadino. Questi soggetti si muovono sullo schermo in
funzione dei ritmi della natura. La campagna della Sardegna, ampia
e seccata dal caldo estivo, è la regina delle inquadrature
di Mereu. Campi lunghi e lunghissimi esaltano
l’ampiezza delle ambientazioni naturali. La pittoricità delle
immagini è incantevole: i colori sono vividi come quelli usati da
Van Gogh nei suoi quadri rupestri (come non
citare Casa di campagna in provenza
o Mietitura). Esattamente come in un dipinto
paesaggistico, Raffaele e Angiolino sono le
sole scarne figure umane che vagano negli spazi raffigurati.
È quindi l’ambiente
naturale a dominare sia a livello visivo che a livello
narrativo: la giornata di Raffaele ruota attorno
al campo e al vento. Infatti, il film procede seguendo
cronologicamente la quotidianità dell’uomo: la raccolta del grano,
i pasti semplici nel piccolo casolare, il riposo e, soprattutto,
l’attesa del vento. La semplicità del racconto è in linea con la
storia, una storia contadina fatta di figure scarne, case spoglie e
parole dialettali (tutti i dialoghi sono in dialetto sardo).
Raffaele è l’emblema del burbero
contadino
Raffaele è il
personaggio principale di Bentu e rappresenta
lo stereotipo dell’anziano contadino: solitario, burbero,
silenzioso, indaffarato. Cuccuparla
solo in dialetto sardo e sembra rifiutare il progresso con
tutte le sue forze. Nell’attesa del vento, più volte viene esortato
ad utilizzare la mietitrebbiatrice, ma si rifiuta di far fare alla
macchina un lavoro che spetta all’uomo e alla natura. La
trebbiatura, la separazione del frumento dalla paglia, è
per Raffaele un rito e attendere il
bentu è come una pratica religiosa.
Angelino
Il protagonista è accompagnato da un
personaggio antitetico: Angelino. Il bambino che
si intromette in casa sua, lo stuzzica, lo provoca, è l’emblema di
quel progresso e di quella modernità che il protagonista
di Bentu rifiuta. Al contrario di
Raffaele, Angelino è vivace, iperattivo, è
incuriosito dalle novità, parla in italiano. Le due figure sono tra
loro contrapposte e affini: giovane e vecchio si
uniscono in un luogo eterno, la campagna, che sembra la stessa
delle poesie di Pascoli – o dei film del Neorealismo – e che esalta
gli ambienti bucolici e le piccole cose (le famose
myricae).
In conclusione,
Bentu è un film che procede a ritmo lento,
richiedendo allo spettatore di avere la stessa pazienza di
Raffaele. Mereu sfrutta la settima
arte e, come altri prima di lui hanno fatto attraverso il cinema,
la poesia e l’arte pittorica, realizza un’opera contemplativa sulla
ciclicità della vita contadina, un continuo confronto tra vita,
morte e rinascita.
Si è tenuta ieri sera la premiere
di
Dead for a Dollar, il nuovo film del regista Walter
Hill che ha ricevuto ieri anche il Leone d’Oro alla
carriere. Insieme al regista ad accompagnarlo i
protagonisti del film
Christoph Waltz,
Willem Dafoe,
Rachel Brosnahan, Warren Burke, Benjamin Bratt.
Nel film Siamo nel 1897. Dead for a
Dollar segue il famoso cacciatore di taglie Max Borlund fin nelle
profondità del Messico; qui si imbatte in Joe Cribbens – giocatore
d’azzardo professionista e fuorilegge e suo nemico giurato – che
Max aveva spedito in prigione alcuni anni prima. Borlund è in
missione: deve ritrovare e portare a casa Rachel Kidd, moglie di un
ricco uomo d’affari di Santa Fe, rapita e presa in ostaggio. Quando
scopre che la donna è in realtà scappata da un marito violento,
Max deve fare una scelta: portare a termine la missione disonesta
per cui è stato ingaggiato, o farsi da parte mentre spietati
fuorilegge mercenari e il rivale di lunga data si fanno sempre più
vicini… Max e il suo aiutante Alonzo Poe non hanno nulla da
guadagnare se resistono: nulla, a parte l’onore.
Decidere di abbandonare una
carriera sicura per seguire i propri sogni è un azzardo che alcune
volte però paga. Ne sa qualcosa l’attore turco Can
Yaman, una delle rivelazioni televisive degli ultimi
anni.
Scopriamo insieme tutto
quello che c’è a sapere su Can Yaman, a proposito della
sua carriera e anche qualche curiosità.
Can Yaman serie tv
10. Nato l’8
novembre del 1989 a Instanbul, Turchia, Can ha origini miste; suo
padre è un avvocato albanese-kosovaro mentre la madre è una
professoressa di lettere di origini macedoni. Sin da bambino Can si
dimostra uno studente molto promettente. Dopo il liceo, Yaman
si iscrive a Giurisprudenza all’università
Yeditepe, dove si laurea a pieni voti.
9. Subito dopo la
laurea, comincia a lavorare come assistente
procuratore ma la sua carriera nel mondo giuridico non
dura più di sei mesi. Can capisce ben presto di aver intrapreso la
strada sbagliata e si dà alla recitazione, seguendo così il suo
sogno di diventare un attore di successo.
Özge Gürel e Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte: IMDB
8. La sua carriera
come attore inizia solo nel 2014 quando viene scelto per la serie
tv turca dal titolo Gönül Isleri.
La serie racconta la storia di tre
sorelle e il loro padre che vivono insieme a quando la madre li ha
lasciati. Le ragazze vorrebbero finalmente sposarsi e andare avanti
con le loro vite ma il destino si diverte a cambiare continuamente
le carte in tavola.
Nella serie Gönül Isleri. Can Yaman
interpreta il ruolo di Bedir, personaggio attivo
per tutta la durata della prima e unica stagione, andata in onda
dal 2014 al 2015.
Özge Gürel e Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte: IMDB
7. Dopo aver
interpretato un ruolo minore nella sua prima serie, nel 2015 Can
Yaman viene scelto per la parte del co-protagonista nella serie
turca İnadına Aşk.
In questa serie Defne
(Açelya Topaloglu) e Yalin (Can
Yaman) sono colleghi dello stesso studio legale, costretti
a lavorare insieme pur non sopportandosi a vicenda. Dopo un primo
periodo di assestamento, i due trovano il modo di collaborare e il
loro rapporto cambia drasticamente, trasformandosi in qualcosa di
molto più profondo.
Can Yaman in Bitter Sweet –
Ingredienti d’amore
6. Il successo
vero per Can arriva solo nel 2017 quando entra a far parte del cast
della nuova serie tv turca Bitter Sweet – Ingredienti
d’amore, come co-protagonista al fianco della bella
Özge Gürel.
Necip Memili and Can Yaman in Bitter Sweet – Fonte:
IMDB
La giovane cuoca Nazil Pinar
(Özge Gürel), per mantenersi all’università, dove
frequenta corsi di lingua giapponese, è alla disperata ricerca di
un lavoro. Dopo aver fatto tanti colloqui, finalmente viene assunta
come cuoca personale nella casa di un ricco uomo d’affari, Ferit
Aslan (Can Yaman). In casa di Ferit, Nazil conosce
il piccolo Bulut (Alihan Türkdemir), suo nipote,
rimasto orfano di entrambi i genitori. La ragazza instaura un bel
rapporto di fiducia e genuino affetto con il ragazzo ma pian piano
scopre i terribili retroscena dell’incidente che ha messo fine alla
vita dei suoi genitori. Ci sono infatti loschi personaggi che trama
alle spalle di Ferit e del piccolo Bulut…
Can Yaman e Alihan Türkdemir in Bitter Sweet – Fonte:
IMDB
La serie, andata in onda in Turchia
per una sola stagione di 26 episodi nel 2017, è stata un
grandissimo successo. Due anni più tardi, finalmente, la serie
approda in Italia e viene trasmessa su Canale 5 in
un formato differente; la versione originale degli episodi, 26 da
95-165 minuti, viene sostituiti da 80 episodi da 45 minuti
circa ciascuno.
Can Yaman in DayDreamer – Le ali
del sogno
5. La carriera
televisiva di Can Yaman, ormai ben avviata, continua nel 2019 con
una nuova serie, sempre di origine turca, dal titolo
DayDreamer – Le ali del sogno.
Demet Özdemir e Can Yaman in DayDreamer – Fonte: IMDB
La serie racconta la storia di
Sanem Aydin (Demet Özdemir), una ragazza che sogna
di fare la scrittrice e di vivere alle Galapagos ma che, per
sfuggire a un matrimonio combinato, inizia a lavorare in un’azienda
pubblicitaria, insieme alla sorella Leyla (Öznur
Serçeler), segretaria di Emre (Birand
Tunca), secondogenito del capo, Aziz (Ahmet
Somers).
Mentre Emre è un uomo d’affari
senza scrupoli, suo fratello maggiore Can Devit (Can
Yaman) è il suo opposto; è un spirito libero e gira il
mondo facendo il fotografo. Quando Aziz scopre di essere gravemente
malato, richiama il figlio Can per affidargli le redini
dell’azienda e l’arduo compito di scovare la talpa che vende
informazioni private sulla compagnia alla sua concorrente. Essere
spodestato dal fratello maggiore rende furioso Emre che farà di
tutto per estromettere Can e continuare con i suoi loschi affari.
Nel frattempo Sanem incontra Can e tra i due nasce un rapporto che
presto diventa ben più profondo di una semplice collaborazione
lavorativa…
La serie in Turchia è andata in
onda per una sola stagione da 51 episodi, ognuno dei quali da
120-140 minuti. Dal 10 giugno 2020, DayDreamer è approdata anche
qui in Italia, su Canale 5, ma con una differente
divisione degli episodi; come per Bitter Sweet, sulla tv italiana
andranno in onda 152 episodi da 40-50 minuti
ciascuno.
4. Attualmente
l’attore è impegnato su più fronti. Pare sia infatti in produzione
una nuova serie dal titolo Bay Yanlış ancora
inedita qui in Italia.
La serie racconta la storia di
Özgür (Can Yaman), un ricco proprietario di un
ristorante che pensa solo a divertirsi e non crede nell’amore.
Dall’altra parte della barricata c’è invece Ezgi (Özge
Gürel) che sceglie sempre l’uomo sbagliato ma che è
determinata a trovare il tipo giusto da sposare. L’incontra
tra Özgür e Ezgi dà vita a uno strano gioco ‘mentore-allievo’;
l’uomo è intenzionato a insegnare a Ezgi tutte le tattiche giuste
per conquistare gli uomini e arrivare così alla sua anima
gemella.
3. Oltre a
Bay Yanlış, in cantiere per Can Yaman c’è anche un
nuovo film per la tv dal titolo CanyaMan:The
Legend di cui attualmente non si hanno altre
informazioni.
Can Yaman oggi: tante
curiosità
2. Molto attivo
sui social e soprattutto sul suo account Instagram, Can Yaman è tuttavia
una persona molto riservata. Non si sa infatti molto della sua vita
privata anche se spesso i giornali gli attribuiscono nuovi flirt.
Attualmente, Can pare sia single e molto concentrato sulla sua
carriera di attore.
1. Essendo molto
attivo sui social e molto legato ai suoi fan, durante la quarantena
pare che il bel Can si sia dedicato allo studio della
lingua spagnola. Parlando già fluentemente il
turco, l’italiano, il tedesco e
l’inglese, con l’aggiunta dello
spagnolo, l’attore può adesso interagire meglio
con tutti i suoi fan, rispondendo a ogni domanda o commento in
lingue diverse.
Ma durante la quarantena da Covid,
Can non si è dedicato solo allo spagnolo; pare infatti che l’attore
abbia preso lezioni di tango dalla madre.
Dead For a Dollar è
il nuovo western di Walter Hill, presentato fuori concorso a
Venezia 79, con Christoph Waltz, Willem Defoe, Rachel Brosnahan, Warren
Burke e Benjamin Bratt protagonisti.
Quando i titoli di coda appaiono sullo schermo alla fine di
Dead for a Dollar, la dedica “In memoria di
Budd Boetticher” campeggia in modo così evidente
accanto al titolo, che potrebbe quasi fungere da sottotitolo per il
film stesso. In ogni caso, questo divertente ultimo film del
venerabile scrittore-produttore-regista Walter
Hill è intriso di un amore elegiaco per le storyline
pulite, la narrazione vivace e i dilemmi morali dei western
classici, come quelli di Boetticher, tra cui
L’ultimo fuorilegge (1952), Il
traditore di Forte Alamo (1953) e La valle dei
mohicani (1960).
Il dollaro prima di tutto
Ambientato nel 1897 il film segue il
veterano cacciatore di taglie Max Borlund nelle
profondità del Messico, dove incontra il giocatore d’azzardo
professionista e fuorilegge Joe Cribbens, un
nemico giurato che Max aveva mandato in prigione
anni prima. Borlund è in missione per trovare e
restituire Rachel Kidd, la moglie in ostaggio di
un ricco uomo d’affari di Santa Fe. Scoprendo che
la signora Kidd è in realtà fuggita da un
matrimonio violento, Max si trova di fronte a una
scelta: portare a termine il lavoro disonesto per cui è stato
ingaggiato o restare in disparte mentre spietati mercenari
fuorilegge e il suo rivale di sempre si avvicinano…
I legami nell’incarnazione del West
di Hill, che ha co-sceneggiato con Matt
Harris, sono prima contrattuali, poi etici. I due uomini
al centro del film si trovano da una parte e dall’altra della
legge: il Max Borlund di Christoph Waltz è un cacciatore di taglie,
mentre il Joe Cribbens di Willem Dafoe è un fuorilegge e campione del
gioco d’azzardo. Ciò che alla fine li accomuna in un rancoroso
rispetto è un asse economico nella fedeltà a se stessi prima di
tutto. Non si tratta di uomini nobili legati a un codice di
moralità o di destino manifesto. Si tratta di lavoratori che
compiono il loro dovere nei confronti dell’onnipotente dollaro,
irritati innanzitutto dalle minacce di portare a termine il proprio
compito.
Walter Hill rischia
e affianca audacemente il racconto delle loro bussole morali alla
storyline degli uomini d’affari e alle forze dell’ordine messicane,
testimoni di un conflitto che si riversa oltre il confine
meridionale. In termini narrativi si crea un innegabile conflitto
tra il duo, stanco del mondo e la cui credibilità è data
soprattutto dai due interpreti magistrali, e tutti coloro che lo
circondano. La loro (in)sensibilità si scontra anche con le giovani
leve che danno il via alla storia. Il ricco uomo d’affari
Martin Kidd di HamishLinklater invia il saggio ma schietto
Max a recuperare sua moglie, l’indipendente
RachelBrosnahan, dalle grinfie
del Buffalo Soldier Elijah Jones (Brandon
Scott).
Dead for a Dollar: un B-Movie
caotico
Apprezzabile è l’intento del regista
Walter Hill di avvicinarsi a una sorta di idea
metapoetica del western, riflettendo la nostalgia per “un certo
periodo della storia americana che tutti condividiamo”, ma cercando
di scongelare il genere dai dettami degli anni ’40 e ’50, lasciando
che accolga rilevanza moderna e che l’intenzione cambi.
Dead for a Dollar è
un progetto indipendente, che è stato girato in poche settimane;
nonostante sia figlio di uno dei più grandi nomi del genere
western, i limiti tecnici vanno a inficiare l’evoluzione di una
storia fin troppo classica, che non trova luce nel tentativo di
modernizzazione dei suoi personaggi, quanto più nella solida
constazione del b-movie che intrattiene, ma regala poco.
In Dead for a
Dollar, c’è tutto del genere: i toni seppia e la
colorazione giallastra della fotografia, per dare l’impressione
costante di una luce solare intensa che invade il sud-ovest
americano e il Messico; uno sconfinato senso dello spazio e della
giografia, la parola data che deve essere mantenuta, tutto in nome
di quel dollaro che può riscattare le sorti di chi è caduto, e
arricchire l’ego del più rinomato cacciatore di taglie.
I western si preannunciano, e questa
tradizione rimane valida anche per Dead for a
Dollar: con una sceneggiatura ridotta all’osso, il film si
identifica come “più contemporaneo” solo per la presenza di famose
star davanti alla macchina da presa. Sembra quasi che
Walter Hill abbia voluto realizzare il western che
conosceva in passato, rudimentale ma sicuramente di
intrattenimento, che regala qualche momento interessante
soprattutto grazie all’interazione di Rachel con
il personaggio di
Christoph Waltz. Nonostante ciò, Hill
rimane un forte regista d’azione: la sequenza di venti minuti di
sparatorie che chiude il film è prevedibilmente emozionante, con
una manciata di colpi che evocano i giorni di gloria del
regista.
Del resto, il caos visivo e
narrativo mina il risultato finale di Dead for a
Dollar che, tra un’inquivocabile derivatività e un
comparto tecnico che commette non pochi scivoloni, si conferma come
un b-movie d’intrattenimento, ma che indubbiamente non gode del
fattore re-watch.
Anche Gianni
Amelio, come Emanuele Crialese e
Alejandro G. Inarritu nell’ambito del Concorso di
Venezia 79, ricorre alla pseudo-biografia nel suo
Il Signore delle Formiche, presentato in
anteprima nella Selezione Ufficiale della Mostra, a contendersi il
Leone d’Oro. In questo caso, l’elemento biografico è “laterale” e
la figura del regista si sovrappone vagamente a quella di
Elio Germano, che interpreta un giornalista che
segue da vicino il processo per plagio subito dall’intellettuale
Aldo Braibanti.
Alla fine degli anni
Sessanta si celebrò a Roma un processo che fece scalpore. Il
drammaturgo e poeta Aldo Braibanti fu condannano a
nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver
sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo
studente e amico da poco maggiorenne. Il ragazzo, per volere della
famiglia, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto
a una serie di devastanti elettroshock, perché ‘guarisse’ da
quell’influsso ‘diabolico’.
Amelio prende spunto
dalla storia vera per raccontare un coro a più voci, non solo la
figura di Braibanti, interpretato da Luigi Lo
Cascio, ma anche parenti, amici, persone che in qualche
modo hanno seguito la vicenda da vicino e che ne sono rimasti
toccati.
Una storia vera
Il Signore delle Formiche racconta di queste
vite travolte, di questo processo assurdo e mette in luce una
storia vera che forse non è conosciuta da moltissimi. Proprio
questo aspetto avrebbe potuto spingere il regista ad approfondire
meglio l’aspetto del processo, sottolineando di più quanto l’accusa
di plagio fosse a tutti gli effetti uno strumento che mirava a
punire i “diversi”, che all’epoca non potevano essere considerati
esistenti, figurarsi poi chiamarli omosessuali, senza uno strascico
di giudizio e disprezzo.
La classicità del cinema
di Amelio, ma anche l’impressione che si sia fuori
tempo massimo per raccontare in questo modo storie legate alla
persecuzione dell’omosessualità nel nostro Paese, contribuiscono a
far percepire Il Signore delle Formiche un film “vecchio”,
che sembra non aver senso in questo momento storico in cui la
conversazione intorno alle tematiche di genere è varia, vasta e
all’ordine del giorno. Soprattutto è arrivata a livelli molto più
avanzati rispetto al classicismo proposto del film.
Un racconto lontano dalla contemporaneità
Il cinema spesso si fa
narratore di storie vere non troppo conosciute e sicuramente la
vicenda di Braibanti merita di essere nota e
raccontata, ma forse avrebbe meritato uno spirito più moderno, un
occhio che fosse al passo con i tempi e che rendesse attuale il
discorso intorno a un pregiudizio che nel Paese Reale esiste ancora
in maniera invasiva e capillare.
Tutto ne Il Signore delle Formiche è poco ispirato,
dalla messa in scena alla scrittura, fino addirittura alle
interpretazioni, lo stesso Lo Cascio che è sempre
brillante qui viene fagocitato dalla stanchezza con cui questa
storia, potente e importante, viene lasciata andare con fare
svogliato e pigro.
Un nuovo nome si aggiunge al cast di
Red One, il film natalizio di
Prime Video, ideato dal presidente della
Seven Buck Production, Hiram Garcia, che in
precedenza ha descritto il progetto come “Hobbs incontra
Miracolo sulla 34ª Strada“. Il progetto è stato poi comprato
dal colosso dello streaming dopo una guerra di offerte descritta
come altamente competitiva. Protagonisti del film
saranno Dwayne Johnsone il
Captain America della MarvelChrisEvans, ai quali si unisce ora l’attrice
Kiernan Shipka,
divenuta celebre grazie alle serie Mad Men e Le
terrificanti avventure di Sabrina.
Mentre i dettagli relativi ai
personaggi dei tre attori, insieme alla trama, sono tenuti
ancora strettamente segreti, Red One è ad oggi stato
presentato come una commedia d’azione che combina vacanze natalizie
con avventure in giro per il mondo. Un’ulteriore descrizione
anticipa il film come “un universo completamente nuovo da
esplorare all’interno del genere natalizio“. Il film vedrà
Johnson collaborare di nuovo con il regista del franchise di
JumanjiJake Kasdan, che ha dunque già
diretto l’ex wrestler in Benvenuti nella giungla
e The Next Level.
La sceneggiatura è invece firmata da
Chris Morgan, che in precedenza ha lavorato con la
Seven Bucks e Johnson a progetti come Fast & Furious: Hobbs and
Shaw, Fast & Furious 5, Fast & Furious 6, Fast & Furious
7 e Fast & Furious 8. Le riprese del film
dovrebbero iniziare quest’anno, con un’uscita nei cinema ancora non
confermata ma, dato il tema natazilio, prevedibile per il Natale
del 2023. Grazie a Prime Video, il film sarà poi anche trasmesso in
streaming in più di 240 paesi e territori in tutto il mondo.
Gli attoriNicolas
Cage e Joel Kinnaman
reciteranno insieme in un nuovo film intitolato Sympathy for
the Devil. La pellicola vede Kinnaman nei panni di un’autista
che un giorno incontra un misterioso passeggero, interpretato da
Cage, ritrovandosi coinvolto in un gioco di inseguimenti ad alto
rischio. Man mano che la loro corsa da brivido avanza, diventa
chiaro che non tutto è come sembra”. Ulteriori dettagli della trama
sono attualmente tenuti segreti, ma il film che sembra dunque
coinvolgere inseguimenti da brivido tra automobili è
descritto anche come un intenso thriller psicologico.
La sceneggiatura è scritta da
Luke Paradise mentre a dirigere il film vi è
Yuval Adler, noto per The Operative, così
come per il suo primo lungometraggio, Bethlehem, che gli è
valso un premio ai Venice Days. Capstone Studios sta collaborando
con la Hammerstone Studios e la Signature Films per produrre il
film. Allan Ungar, uno dei produttori del film, ha rilasciato la
seguente dichiarazione: “Questo film è un tour de force con due
attori incredibili. In qualità di regista acclamato, Yuval ha
assemblato il cast perfetto e ha apportato una visione unica e
grintosa in questo racconto che catturerà sicuramente il
pubblico“.
Cage e Kinnaman sono entrambi
rinomati nel fornire performance memorabili in film appartenenti al
genere thriller d’azione. Il primo è celebre per film come The
Rock, Con Air e Face/Off – Due facce di un
assassino, mentre più di recente ha recitato in thriller
come Drive Angry, Mandy e
Pig. Kinnaman è invece noto per film come RoboCop, The Suicide Squad e
The Informer. Ancora
non ci sono informazioni sulla data di distribuzione del film, che
attualmente sembra essere ancora in fase di riprese a Las
Vegas.
Netflix ha rilasciato il trailer e nuove immagini per
Wendell &
Wild, il nuovo film horror in animazione
stop-motion del visionario regista Henry Selick,
già celebre per aver diretto The Nightmare Before
Christmas e Coraline. Questo suo nuovo film, inoltre,
vanta anche la presenza di Jordan Peele
(Get Out, Noi, Nope) come scrittore,
produttore e doppiatore, cosa che rende Wendell & Wild una
delle uscite cinematografiche più attese dell’anno. Il racconto è
inoltre basato su un libro inedito di Selick e Clay McLeod
Chapman, trasformato poi in una sceneggiatura dallo stesso
Selick e Peele.
Il nuovo trailer rilasciato presenta
Kat Elliot (doppiata da Lyric
Ross), un’adolescente dallo stile dark che è letteralmente
costretta ad affrontare i suoi demoni. Questi hanno in realtà dei
nomi, ovvero Wendell (doppiato da
Keegan-Michael Key) e Wild
(doppiato da Jordan Peele). Il trailer non rivela
però il motivo per cui Kat è stata presa di mira da queste due
mostruose creature, ma sembra che il racconto ruoterà intorno ad un
trauma represso e ad un’infanzia sfregiata. Tematiche dunque affini
alla poetica di Selick, che già con Coraline aveva
esplorato dinamiche simili attraverso una componente fantasy
horror.
Allo stesso modo, questo primo
trailer dimostra ancora una volta tutta la grande attenzione
riposta da Selick nel rendere l’animazione in stop motion più
entusiasmante che mai. Tra personaggi estremamente caratteristici,
colori e ambienti espressionisti e una forte incursione nella mente
della protagonista, queste prime immagini di Wendell &
Wild sembrano anticipare un’opera di Selick all’ennesima
potenza. Wendell & Wild sarà presentato in anteprima
mondiale al 47° Toronto International Film Festival l’11 settembre.
Successivamente, il film d’animazione arriverà su Netflix il
28 ottobre, giusto in tempo per Halloween. Qui di
seguito è possibile vedere il trailer.
L’attrice Lashana
Lynch, vists di recente anche in No Time To Die, ha
raccontato di essere rimasta particolarmente sorpresa dal fatto che
i Marvel Studios la volessero per un cameo nel
film Doctor Strange nel Multiverso
della Follia. La sorpresa deriva dal fatto che la Lynch
aveva già avuto un ruolo nell’MCU, interpretando Maria
Rambeau in Captain Marvel, ovvero
la collega e migliore amica della protagonista. Come affermato poi
nella serie WandaVision, dove compare la figlia Monica
Rambeau, Maria è deceduta e ciò ha dunque posto fine alla presenza
della Lynch nel Marvel Cinematic Universe.
L’esplorazione del Multiverso nel
nuovo film dedicato a Doctor Strange ha però permesso il
ritorno dell’attrice, se pur con un ruolo in parte differente. Chi
ha visto il film saprà infatti che la Lynch ha sì ripreso i panni
di Maria Rambeau, la quale però è anche la Captain Marvel di Terra-838. In una recente
intervista l’attrice ha dichiarato “è stato stupefacente. Kevin
Feige me l’ha detto molto tempo prima che il mondo sapesse cosa le
stava succedendo, il che è stato triste perché mi è piaciuto molto
Captain Marvel e lavorare con Brie e tutti.
Ma che bello avere questo momento per noi, anzi, per la cultura; è
stato un colpo di scena che non ci saremmo mai aspettati.”
Come noto, però, il personaggio
viene brutalmente eliminato durante lo scontro con la Scarlet Witch
di Elizabeth
Olsen. Questo breve cameo dell’attrice potrebbe dunque
essere anche l’ultima volta che la si vede in un progetto Marvel, ma considerando la natura
del Multiverso non è da escludere del tutto una sua possibile
ricomparsa in futuro. Attualmente Doctor Strange nel
Multiverso della Follia è presente sulla piattaforma
Disney+, disponibile per chi
desidera vederlo o rivederlo, ritrovando sia il cameo della Lynch
come anche i tanti altri presenti.
Negli scorsi mesi è stato
annunciato un nuovo progetto seriale dei Marvel Studios, ovvero Wonder
Man. Questa nuova serie, che andrà a trovare il
proprio spazio sulla piattaforma Disney+, è incentrata su uno
dei personaggi più antichi della Marvel,
ovvero Simon Williams alias Wonder
Man. Introdotto nel 1964 nei Marvel Comics, inizialmente come un cattivo, il
personaggio è poi stato ripensato come un eroe negli anni ’70. Egli
ha acquisito poi i suoi poteri quando il Barone
Zemo lo ha trasformato in un essere di energia ionica,
conferendogli forza e velocità sovrumane, invulnerabilità e
manipolazione dell’energia stessa. Tolti i panni del supereroe,
Williams ha invece un lavoro quotidiano come attore e stuntman.
Proprio per via di questa sua
professione, alcun rumor suggeriscono di come la serie sarà
ambientata ad Hollywood e darà vita ad una vera e propria satira
dell’industria cinematografica statunitense. Se così fosse, sarebbe
un’importante novità in casa Marvel, che andrebbe
sostanzialmente a parlare, in modo più o meno velato, anche di sé
stessa e del suo impatto su Hollywood. Ad oggi del progetto si sarà
però molto poco, se non che Destin Daniel Cretton,
già regista di Shang Chi e la Leggenda dei Dieci
anelli, sarà il co-creatore e produttore esecutivo di
Wonder
Man, insieme allo sceneggiatore capo
Andrew Guest (Brooklyn Nine-Nine).
Mentre ancora non è noto chi
interpreterà il protagonista, è però stato annunciato che il premio
Oscar Ben Kingsley
riprenderà il ruolo di Trevor Slattery, il finto
Mandarino già comparso in Iron Man
3 e, successivamente, in Shang-Chi e la leggenda
dei dieci anelli. Considerando che Slattery è a
sua volta un attore, l’ipotesi che la serie possa essere ambientata
ad Hollywood non fa che rafforzarsi. Bisognerà però che la serie
entri in fase di produzione per avere maggiori certezze.
Attualmente, il progetto si trova però solamente in fase di
sviluppo e le riprese non inizieranno prima del 2023.
Il 5 maggio 2023
uscirà al cinema il film Guardiani della Galassia Vol.
3, l’atteso nuovo capitolo dedicato ad alcuni dei
più amati personaggi di tutto il Marvel Cinematic Universe.
Il precedente film, il Vol. 2, risale ormai al
2017 e tante cose sono cambiate da quel momento. Per i guardiani
del film, questo nuovo film sarà anche l’ultimo dedicato a loro e
li racconterà mentre riprendolo le loro avventure dopo gli eventi
di Avengers: Endgame, dirigendosi verso
nuovi orizzonti narrativi. Proprio considerando l’importanza di
questo nuovo film, il regista James Gunn ha
recentemente spiegato di come il suo stile di regia sia cambiato
per l’occasione.
Rispondendo a un fan su Twitter,
che chiedeva quanto debba essere rigida o
collaborativa una produzione per la riuscita di un film,
Gunn ha infatti notato come il suo approccio all’imminente sequel
di Guardiani della
Galassia sia stato molto meno rigido di quanto non fosse
nel film originale. “Film diversi richiedono atmosfere
diverse“, ha twittato. “Personalmente sono più sciolto di
prima. Cambio spesso le cose sul set, il che era eretico per me nel
periodo di Guardians of the Galaxy Vol. 1“. Gunn ha poi
aggiunto che un regista che è spontaneo sul set va bene, a patto
che sia ancora preparato per le riprese e non dia per scontato il
tempo e il talento del cast e della troupe.
Dal nuovo Guardiani della
Galassia Vol. 3 sembra dunque ci si possa aspettare qualcosa
di fedele ai precedenti due film ma allo stesso di completamente
nuovo, che stando al regista ha permesso di arricchire il tutto.
Come noto, il cast di questo nuovo capitolo si compone di
Chris Pratt,
Zoe Saldana,
Dave Bautista,
Vin Diesel,
Karen Gillan,
Bradley Cooper,
Pom Klementieff. New
entry è invece l’attore Will Poulter,
che assumerà i panni del potente Adam Warlock.
Ecco tutti i protagonisti della
sesta giornata di Festival, alla 79esima Mostra d’Arte
Cinematografica di Venezia protagonisti sul red
Penelope Cruz,
Tilda Swinton,
Julianne Moore. Di seguito tutte le foto:
Tilda Swinton ha presentato in
concorso The
Eternal Daughter. Tornate nell’antica dimora di
famiglia, trasformata in un hotel ma carica di un misterioso
passato, un’artista e la madre anziana affrontano segreti rimasti a
lungo sepolti.
Alla fine ho scoperto che il mio personale senso di colpa,
naturalmente legato a quello di mia madre, mi impediva di creare
una storia simile. Quando però, due anni fa, ho deciso di
ambientarla in un hotel inquietante e misterioso, qualcosa è
cambiato: ho capito che i fantasmi possono intrecciarsi alle nostre
emozioni più profonde e intime.
I film dedicati ai supereroi sono
oggi quantomai dominanti nel cinema mondiale. Attraverso di loro si
animano racconti capaci non solo di infondere tanta meraviglia, ma
anche di raccontare attraverso potenti metafore il mondo
contemporaneo. Quello del cinecomic è dunque ormai un
genere esplorato da più punti di vista, definitosi in una serie di
caratteristiche ricorrenti. Queste vanno dalla formazione del
supereroe al suo addestramento nell’uso dei superpoteri, dallo
scontro con la nemesi alla comprensione del proprio ruolo nella
società. Il film del 2000 Unbreakable – Il
predestinato (qui la recensione), è invece un
brillante esempio di come poter decostruire tale struttura di
racconto.
Reduce dal successo di Il
sesto senso, il regista M. Night Shyamalan
decide infatti di dar vita ad un film incentrato sulla figura del
supereore. Inizialmente, Unbreakable avrebbe dovuto
rientrare nella classica costruzione del viaggio
dell’eroe, ma poiché il regista trovò molto più interessante
il racconto della formazione del protagonista, decise di
concentrarsi esclusivamente su questo. Il film si svela dunque come
una lunga origin story, priva di elementi come lo scontro
con il villain di turno. Tutta la vicenda diventa così una densa
riflessione sul ruolo del supereroe, sulla sua nuova situazione e
sull’acquisizione di consapevolezza riguardo i propri poteri.
Un’opera dunque insolita, oggi
inserita all’interno di un racconto più ampio che nel corso degli
anni si è arricchito di due sequel. Al momento della sua uscita,
Unbreakable non mancò di affermarsi come un titolo molto
apprezzato, venendo anche indicato come uno dei migliori film a
tema supereroe di sempre. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e ai suoi sequel. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Unbreakable – Il predestinato: la trama del film
Protagonista del film è
David Dunn, una guardia di sicurezza che vive una
normalissima esistenza, diviso tra il lavoro e la famiglia,
composta dalla moglie Audrey e dal figlio
Joseph. Tutto quello che credeva di sapere di sé
cambia però per sempre il giorno in cui il treno su cui si trova
deraglia brutalmente. L’evento causa la morte di tutti i
passeggeri, mentre David ne esce totalmente incolume e senza
neanche un graffio. La notizia si diffonde rapidamente e David si
ritrova ad essere a suo modo una celebrità. In particolare, a
mettersi in contatto con lui è Elijah Price,
proprietario di una galleria d’arte.
Quando lo incontra, il misterioso
uomo rivela a David di essere estremamente fragile, affetto dalla
nascita da una osteogenesi imperfetta che rende le sue ossa simili
al vetro. Elijah introduce così David alla teoria sui supereroi, la
cui esistenza sembra essere tutt’altro che un mito. Motivato
dall’uomo, David inizia così a testare la propria resistenza,
scoprendosi dotato di una forza sovrumana che lo rende invincibile.
Allo stesso tempo, egli scopre che entrando in contatto con altre
persone può vedere i loro eventuali atti criminali. Decide a questo
punto di usare i suoi poteri per fare del bene, senza sapere però
quanto forte possa essere anche il male.
Unbreakable – Il predestinato: il cast del film
Nel dar vita al film, Shyamalan
aveva in mente solo un attore possibile per il ruolo di David Dunn,
ovvero Bruce Willis. I
due, che avevano già lavorato insieme per Il sesto senso,
diedero così vita ad una nuova collaborazione. Per il ruolo, Willis
ha sfoggiato per la prima volta una rasatura completa, con cui è
stato poi conosciuto da quel momento fino ad oggi. Allo stesso
modo, egli si è sottoposto ad un rigido allenamento fisico, volto
ad implementare la sua muscolatura. Ciò gli ha permesso di poter
interpretare molte delle scene più complesse che si ritrovano nel
film. Nel ruolo di sua moglie Audrey si ritrova l’attrice Robin Wright,
mentre Spencer Treat Clark è il loro figlio
Joseph.
Ad interpretare Elijah Price vi è
invece Samuel L.
Jackson, anch’egli unico attore considerato per il
ruolo dal regista. L’attore ha poi partecipato in modo attivo alla
costruzione estetica del personaggio, a cui nel corso del film
viene anche associato il colore viola. Questa scelta fu
particolarmente gradita da Jackson, il cui colore preferito è
proprio il viola. L’attrice Charlayne Woodard è
invece presente nel ruolo della madre di Elijah, pur essendo
l’interprete più giovane di alcuni anni rispetto a Jackson. Sono
poi presenti nel film anche Michael Kelly nel
ruolo del dottor Dubin e Eamonn Walker in quelli
del dottor Mathison. Il regista Shyamalan compare invece con un
cameo nei panni di uno spacciatore allo stadio.
Unbreakable – Il
predestinato: i sequel, il trailer e dove vedere il film in
streaming e in TV
A distanza di circa quindici anni da
Unbreakable, Shyamalan ha realizzato il film Split, thriller basato
sulle molteplici personalità di Billy Milligan.
Mentre lavorava al progetto, il regista ha deciso di farlo
diventare un sequel del film del 2000, dando così vita ad un
universo narrativo unico. I due film, con personaggi e vicende
apparentemente scollegate, hanno poi trovato un loro intreccio con
il terzo capitolo della trilogia. Intitolato Glass e uscito al cinema nel 2019, questo ha visto la
partecipazione di Willis e McAvoy nei rispettivi ruoli, come anche
il ritorno di Samuel L. Jackson nei panni di
Elijah Price, ovvero Mr. Glass.
È possibile vedere o rivedere il
film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari
piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Unbreakable – Il predestinato è infatti
disponibile nel catalogo di Chili,Apple
iTunes e Disney+. Per vederlo, in base
alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo
film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda
visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il
titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale,
entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre
trasmesso in televisione il giorno martedì 6
settembre alle ore 21:20 sul canale
Rai 4.
Impostosi come uno dei registi più
innovativi e importanti degli ultimi 30 anni, Quentin
Tarantino vanta nella propria filmografia grandi opere
come Pulp Fiction, Bastardi senza gloria e
C’era una volta a…
Hollywood. Tra i suoi film più amati vi è però
Kill Bill – Vol 2, seconda parte del
dittico incentrato sulla disperata ricerca di vendetta della sposa
Beatrix Kiddo. Vera e propria summa della poetica di Tarantino, il
regista ha fatto confluire in questo tutto il suo amore per il
cinema e la cultura popolare. Tra violenza, citazionismo e sequenze
ormai entrate nell’immaginario collettivo, prende così forma uno
dei film ancora oggi più iconici di Tarantino.
La genesi di questo, come noto,
risale al set di Pulp Fiction, dove il regista iniziò a
concepire la storia insieme all’attrice Uma
Thurman. A quasi dieci anni da quel momento, Kill
Bill ha infine preso vita. Nonostante siano stati realizzati
come un’unica pellicola, il volume 1 e il volume 2 hanno degli
elementi caratterizzanti. Infatti, se il primo volume è più
orientale, dedicato ai film di kung-fu e allo Yakuza film,
il volume 2 appare invece proteso verso l’occidente ed ispirato ai
suoi miti, con le atmosfere da spaghetti-western, con riferimenti a
film di Sergio Leone e la presenza di almeno sei
tracce della colonna sonora eseguite da EnnioMorricone.
Affermatosi da subito come un
grandissimo successo, con un incasso mondiale di 152 milioni di
dollari, Kill Bill – Vol. 2 ha così contribuito
ulteriormente a consolidare la fama di Tarantino, rendendolo uno
dei grandi autori della sua generazione. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori ed alla sua colonna sonora.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Kill Bill – Vol. 2: la trama del film
Protagonista del film è
Beatrix Kiddo, anche nota come La
Sposa, letale assassina membro del gruppo Deadly Viper
Assassination Squad, capitanata dallo spietato
Bill. Stanca di quella vita priva di certezze e
punti fissi, Beatrix decide di staccarsi da tutta quella violenza
nel momento in cui scopre di essere incinta. Fugge così in Texas,
sotto falsa identità, innamorandosi di un giovane e organizzando
con lui delle nozze sbrigative. Durante le prove di queste, però,
si presenta a sorpresa in chiesa il suo vecchio capo Bill. Ben
presto, quel luogo sacro si trasforma in un vero e proprio teatro
di morte, da cui nessuno sembra poter uscire vivo. Creduta morta,
Beatrix si risveglierà però dopo quattro anni di coma.
Comprende dunque cosa è successo,
cosa le è stato fatto e cosa le è stato tolto per sempre. Senza
pensarci decide dunque di organizzare una vendetta letale contro i
suoi ex colleghi di lavoro, ricercandoli uno ad uno per ucciderli
tutti. Dopo aver eliminato l’assassina O-Ren
Ishii, la stessa sorte toccherà a Budd e
ElleDriver, la più spietata
degli assassini della Deadly Viper Assassination Squad. L’ultimo
sulla sua lista è Bill, colpevole di aver organizzato quel
tradimento. Prima di poter arrivare a lui, però, Beatrix dovrà fare
i conti anche con il proprio passato e con ciò che l’ha legata
all’uomo che sta andando ad uccidere. Soltanto chiudendo tutti i
conti con la propria vita passata potrà iniziarne una nuova in
pace.
Kill Bill – Vol. 2: il cast del film
Il ruolo della protagonista, Beatrix
Kiddo, è sempre stato unicamente pensato per l’attrice Uma Thurman,
dato che il personaggio è stato sviluppato insieme a lei. Per poter
assumere il ruolo, la Thurman si è poi sottoposta a diversi
allenamenti, tanto per il combattimento corpo a corpo quanto
nell’utilizzo della spada. Michael Madsen, attore
ricorrente nel cinema di Tarantino, interpreta Budd, altro
assassino ora attivo come semplice buttafuori. Daryl
Hannah è invece Elle Driver, la più cattiva degli
assassini di Bill. L’attore Michael Parks compare
invece nei panni di Esteban Vihaio, un pappone e padrino di Bill.
Samuel L.
Jackson, attore feticcio di Tarantino, è presente con
un cameo nei panni del suonatore di organo in chiesa.
Ad interpretare lo spietato Bill vi
è David Carradine. Tale personaggio era stato
offerto anche agli attori Jack Nicholson, Kurt Russell e Mickey Rourke,
i quali l’avevano però rifiutato. Prima di Carradine, però, ad
interpretare Bill era stato chiamato l’attore Warren
Beatty. Dopo un periodo di contrattazione, anche questi
rifiutò, permettendo a Tarantino di avere la libertà di offrire il
ruolo a Carradine, avendo scritto il personaggio proprio pensando a
questi. L’attore e artista marziale hongkonghese Gordon
Liu è infine presente nei panni del leggendario maestro
Pai Mei. Inizialmente, Tarantino voleva doppiare il personaggio, ma
decise di abbandonare l’idea e permettere all’attore di recitare
con la propria voce.
Kill Bill – Vol. 2: la colonna sonora, il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
Anche Kill Bill, come ogni
film di Tarantino, si avvale di una colonna sonora assai ricercata,
piena anch’essa, come il film, di citazioni e riferimenti. Molti
delle canzoni presenti sono infatti tratte da altri film, dando
vita a legami che arricchiscono questo volume 2 di ulteriori
significati. In generale, ogni brano sembra essere la perfetta
descrizione di quanto avviene in scena o nell’interiorità dei
personaggi. Tra i brani più noti tra quelli presenti se annoverano
diversi del maestro Morricone, il più dei quali appartenenti ai
film western più celebri da lui musicati, come Il buono, il
brutto, il cattivo e Per un pugno di dollari. Si
annoverano poi anche Goodnight Moon di Shivaree, A
Satisfied Mind di Johnny Cash e I giorni dell’ira di
Riz Ortolani.
Per vedere il film e ascoltare la
sua colonna sonora, è possibile fruire del titolo grazie alla sua
presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Kill Bill – Vol 2
è infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema, Google
Play e Now. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma
di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere
un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso
di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui
guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto
televisivo di martedì 6 settembre alle ore
21:00 sul canale 20 Mediaset.
Diretto da
Santiago Mitre e interpretato dal divo argentino
Ricardo Darín, Argentina 1985 è
un viaggio emozionante e divertentissimo in un periodo doloroso
ma di grande riscatto nella storia del Paese dell’America del Sud.
Il film è stato presentato nella sezione in Concorso della
selezione ufficiale della 79° Mostra Internazionale di Venezia.
La storia di Argentina
1985
Il film è ispirato
alla vera storia dei procuratori Julio
Strassera e Luis Moreno Ocampo, che
nel 1985 vennero incaricati di indagare e perseguire i responsabili
della fase più sanguinosa della dittatura militare argentina. Senza
lasciarsi intimidire dall’ancora notevole influenza che l’esercito
aveva sulla loro fragile, nuova democrazia, Strassera e Moreno
Ocampo formarono un giovane team legale di improbabili eroi per
ingaggiare la loro battaglia di Davide contro Golia. Costantemente
minacciati, insieme alle loro famiglie, lottarono contro il tempo
per dare giustizia alle vittime della giunta militare.
L’ironia è la chiave del
racconto
Santiago
Mitre e Mariano Llinás firmano un copione
brillante, che stempera tutti gli aspetti più spaventosi e
minacciosi della storia vera legati a Strassera e alla sua squadra,
pur restituendo una grande dignità ai testimoni e a coloro che
hanno affrontato lo stress di testimoniare davanti agli imputati le
terribili esperienze vissute nel periodo della dittatura. Il film
che ne viene fuori è proprio così, commovente e brillante, in
alcuni passaggi esilarante, una caccia alla giustizia in nome di
una democrazia appena conquistata che ha fatto di Strassera e della
sua squadra un gruppo di eroici combattenti sotto l’egida della
fiducia nella legge.
Mitre si mette
completamente al servizio della storia, dando costante ritmo alla
narrazione della vicenda con grande spirito. Ricardo
Darín è poi un mattatore di grande classe, il suo Julio
Strassera è infaticabile, ligio, onesto e retto, ma è
anche spiritoso, ironico, divertente, infaticabile e sempre pronto
a mettersi in gioco, anche di fronte alle minacce rivolte alla sua
famiglia, che nel film ha un ruolo di primo piano e che è
interpretata da attori magnifici.
Una pagina di storia fondamentale
per l’Argentina
L’ironia è per Mitre
l’arma con cui rielaborare una pagina fondamentale nella storia del
suo Paese: all’epoca dei fatti, Mitre era ancora un bambino ma
senza dubbio il guardare a quel processo, a quello che ha
significato, alle forze in gioco in quel momento attraverso una
lente di parziale leggerezza gli ha permesso di raggiungere anche
la giusta distanza emotiva, per regalare al pubblico un film
avvincente ed emozionante, che arriverà su Amazon Prime Video.
Ci sono voluti più di 10 anni e il
sostegno di una produzione danese per realizzare un film come
Innocence. Guy Davidi, regista e
sceneggiatore israeliano, ha messo in piedi un documentario critico
e toccante. Innocence affronta un tema di
punta per i giovani d’Israele: il servizio militare
obbligatorio.
Presentato alla 79ª
Mostra internazionale di
Venezia nella sezione Orizzonti, Innocence
è prodotto da Danish Documentary Production,
Medalia Productions, Making Movies e Real Lava Sagafilms.
Di cosa
parla Innocence
Innocence è un
collage di testimonianze che parla di forze armate mettendo in
primo piano i due suoi maggiori nemici: innocenza
e sensibilità. In Israele, fin da
bambini i cittadini imparano le gesta e l’importanza
dell’esercito. Attraverso un’opera di storytelling che inizia
all’asilo, gli israeliani vengono incoraggiati a prestare servizio
militare. Così, non appena compiono 18 anni sono obbligati a unirsi
all’esercito: i ragazzi per 36 mesi, le ragazze per 24.
Il regista del film Guy
Davidi sceglie quindi di creare una narrazione
opposta: invece di cantare le gesta dei soldati, racconta di coloro
che, costretti al servizio militare, hanno perso la vita: c’è chi è
rimasto ucciso e chi ha scelto il suicidio. Unendo video
amatoriali, interviste ai parenti delle vittime, lettere d’addio,
disegni e riprese sul campo, Innocence mostra
la perdita d’innocenza a cui sono costretti i ragazzi
d’Israele.
Dall’olocausto alla
militarizzazione
Fino a che punto la
narrazione dell’olocausto è storia e quando diventa invece uno
strumento politico? Questa è la tagliente domanda che
Davidi vuole porre al pubblico, in primo
luogo ai suoi concittadini. Oggi l’Israele è abilissimo nella
narrazione dell’utilità e dell’eroicità del proprio esercito.
Facendo leva sui soprusi subiti dagli ebrei durante la Seconda
Guerra Mondiale, il governo sembra giustificare la necessità di
avere delle forze armate potenti e pronte a difendere i
cittadini.
Mostrare la realtà in modo
critico
L’autore smonta completamente la
legittimazione della violenza messa in piedi dal governo
israeliano. Per riuscire nella sua operazione, il regista non fa
altro che servirsi della realtà: prende i video
amatoriali realizzati tra le mura domestiche, riprende i
bambini che giocano vicino al confine militare, si reca nelle
scuole dove le maestre spiegano ai bambini e ai ragazzi le gesta
dell’esercito. Da tutto questo materiale vero, calato negli eventi
e nella quotidianità, scaturisce in maniera naturale il
documentario. Non serve aggiungere altro, la realtà si commenta da
sola.
Il punto di vista dei deboli: i
bambini
L’operazione del regista
gira tutta attorno all’arte del raccontare: mostra il lato
oscuro della politica di militarizzazione adottata dal suo
Paese. In particolare, pone luce sulle storie non raccontare e
sulle personalità non adatte alle armi. In una parola, i deboli. La
debolezza però non viene condannata e neppure
compatita. Davidi vuole far prendere
coscienza dell’esistenza di essa, cosa che non avviene di frequente
in Israele.
Chi sono, per eccellenza, i deboli,
le creature da proteggere? I bambini. È l’autore
stesso ad esprimere il suo interesse per i più piccoli.
”Non c’è niente che mi tocchi di più della sensibilità di un
bambino quando scopre il mondo, e non c’è niente che mi ferisca di
più che vederla annientata. Israele non è un luogo in cui si
valorizza l’innocenza.”
Un percorso a tappe
Per arrivare al cuore dello
spettatore, Davidi inizia il suo documentario
mostrando i disegni dei bambini, opere per eccellenza sincere e
innocenti, che però raffigurano i soldati. Da qui, step dopo step,
segue la crescita di un cittadino: la fine delle scuole, l’inizio
dell’addestramento, il giuramento, tutti i passaggi che, a poco a
poco, tolgono innocenza ai giovani israeliani.
Dopo l’introspettivo ed
enigmatico Il bene mio, Pippo Mezzapesa scende sulla Terra, anzi agli inferi,
tra i clan della
mafia foggiana, raccontando con Ti mangio il cuore, la
storia della prima pentita di questo misterioso e terribile (e
ancora sconosciuto) spaccato di malavita del Sud Italia.
Ti mangio il cuore, la
trama
Puglia. Arso dal sole e
dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che
sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più
forte. Una terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col
sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un
amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta,
e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione
fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai
Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si
opporrà con forza di madre a un destino già scritto.
Sanguigno, verace,
contrastato come la sua fotografia, Ti mangio il
cuore vuole essere una tragedia greca in salsa mafiosa che
ripropone degli schemi già visti e raccontati abbondantemente da
cinema e televisione. E se da una parte la storia è universale e
gli interpreti sono intriganti, la confezione finale si perde in
formalismi poco ispirati.
L’esordio al cinema di
Elodie
Si parla già tanto
dell’esordio al cinema di Elodie, che interpreta la femme fatale
Marilena e si intuisce presto che non è solo perché la cantante fa
notizia come personaggio pubblico. La giovane si scopre dotata di
un bel talento istintivo e naturale per il grande schermo, complici
forse quei suoi lineamenti così intensi e quegli occhi grandi e
affamati di storie. La sua Marilena è irresistibile, sia nella
prima parte della storia, quando è l’altezzosa e fiera moglie del
boss, sia nella seconda parte, quando è l’amante gravida di un
principe mafioso in crisi esistenziale.
Accanto a lei c’è
Francesco Patanè che avevamo
ammirato ne Il Cattivo Poeta. Qui il giovane
interprete genovese si cimenta non solo con un dialetto che non è
suo, ma con un personaggio che affronta una vera e propria discesa
nell’Ade, a toccare le corde più oscure della sua anima. Intorno a
loro un cast di enorme talento (tra gli interpreti ci sono
Lidia Vitale, Francesco Di Leva, Michele Placido e
Tommaso Ragno) che impreziosisce una storia di
grande ambizione ma di tiepida esecuzione.
Ti mangio il cuore si ammanta di grande
passionalità e ferocia, vorrebbe essere un affresco crudo e
spietato di una realtà ancora nascosta, ma non esprime con i fatti
questa intenzione esplicata nel titolo e in definitiva la sua
ambizione tragica non trova riscontro nell’esito.