Questo che sta per concludersi è
stato un anno singolare per quello che riguarda il grande cinema e
i titoli che hanno catturato l’immaginario collettivo, per cui
stilare una classifica de i migliori film migliori del
2019 risulta estremamente limitativo.
L’aspetto divertente della
classifica dei migliori film dell’anno è che è totalmente
discrezionale, non ci sono regole predefinite, se non quelle che
decide di seguire colui o colei che stila la classifica di volta in
volta: in questo caso si tratta di me (e persino l’utilizzo della
prima persona in un articolo mi dà un senso di ribellione alla
classica impostazione di news, articoli, recensioni e
approfondimenti).
Per questo, invece di una Top 10
strutturata e classica, ho scelto di indicare i migliori 20 film
distribuiti in Italia negli ultimi 12 mesi, per importanza,
spessore e, sì, gusto personale. Così, facendo appello sempre
all’anarchia con cui mi approccio a stilare questo elenco, cercherò
di sorprendere e anche segnalare qualche film che forse non ha
avuto la visibilità che avrebbe meritato, oltre a raccontarvi le
mie preferenze in questi ultimi 12 mesi di cinema.
Avengers: Endgame
Uscito lo scorso aprile,
Avengers:
Endgame ha rappresentato una tappa fondamentale
per il cinema degli ultimi dieci anni, il completamento di un
percorso produttivo e anche drammaturgico cominciato nel 2008 e
portato a termine con un successo di pubblico davvero travolgente,
tanto che il film ha velocemente scalato le vette delle classifiche
dei maggiori incassi dell’anno, record su record. A questo si
aggiunge una buona gestione della storia, dei tanti personaggi,
degli elementi comici e tragici e soprattutto un utilizzo degli
effetti visivi di livello altissimo.
Alla fine del film, il pubblico di
tutto il mondo si è trovato orfano di una saga che lo ha
accompagnato per un decennio. Nerd fumettari sono diventati uomini,
magari padri, guardando quei film, e forse hanno persino cominciato
a guardarli con i figli. Non proprio l’arco di una generazione, ma
una buona porzione di vita di ognuno di noi.
Star Wars: L’Ascesa di
Skywalker
Quello che è accaduto con
Endgame, si è replicato, con le dovute differenze, con
Star
Wars. I fan della saga, alla fine di L’Ascesa di
Skywalker, hanno detto per sempre addio a dei
personaggio che hanno accompagnato il loro immaginario per ben 42
anni. Con maldestre svolte narrative, il film ha cercato di tirare
tutte le fila della saga rimaste in sospeso.
Il risultato non è certamente
perfetto, ma restituisce intatta l’emozione che lo spettatore di
lunga data vuole trovare in questo film conclusivo e soprattutto
nella nuova trilogia, che si è aperta e si è chiusa all’insegna
della nostalgia. In questo caso, come in quello del film Marvel, più che il film in sé è
importante il fenomeno, l’esperienza collettiva che questi
spettacoli sono riusciti a creare.
Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità
Dimenticato dai più, è
arrivato nel 2019 anche questo film, una specie di esperimento
biografico di Julian Schnabel, un film
“sull’arte e su un artista, Van Gogh, realizzato da un artista
contemporaneo e condotto con una freschezza e una necessità
d’indagine espressiva rara da trovare oggi in un prodotto
cinematografico.” come scrive
Stefano Bessoni su Cinefilos.it.
Ed è semplice capire perché questo
film si trova in questo elenco. Van Gogh – Sulla soglia
dell’eternità è la storia del pittore così come lui
l’avrebbe raccontata per immagini, per visioni, ma soprattutto per
impressioni cromatiche. I blu e i gialli del film sono così intensi
e comunicativi che spingono lo spettatore all’interno di un quadro
di Van Gogh stesso. Un’esperienza sensoriale rara e una ricerca
espressiva importante.
La famosa invasione degli Orsi in
Sicilia
Nonostante sia stato
presentato sia al Festival di Cannes in Un
Certain Regard e alla Festa di Roma in
Alice nella Città, con tanto di
masterclass del regista (esordiente), il maestro Lorenzo
Mattotti, il film d’animazione ha
avuto davvero poca visibilità, nonostante si sia cercato di
spingerlo in molti percorsi collaterali, estranei allo
sfruttamento classico della sala, tanto che il film ha
trovato spazio anche nel programma Movie del Lucca Comics 2019.
La purezza del tratto,
l’immediatezza della scrittura, la freschezza dell’animazione,
fanno de La famosa invasione degli Orsi in
Sicilia un piccolo gioiello del nostro cinema, nonché
un modo immediato di riscoprire il bellissimo romanzo di
Dino Buzzati.
La casa di Jack
Si può tranquillamente
dire che Lars Von Trier rappresenta il Lato Oscuro
del cinema, ormai più per quella specie di personaggio scomodo che
si trova ad interpretare che per una vera e propria indole
iconoclasta che ha caratterizzato i primi anni della sua
produzione. Tuttavia, con La casa di
Jack, il regista danese ha regalato al suo
pubblico una nuova opera, disturbante e macabra, ma anche
rappresentativa della sua visione sull’arte e sul mestiere di
creatore di storie.
Il Jack del film, interpretato da un
ottimo Matt Dillon, non è nessun altri che lui,
alle prese con le sue turbe e i suoi fantasmi che in qualche modo
esorcizza con il cinema e che rappresenta a schermo attraverso le
scene più raccapriccianti che gli spettatori abbiano visto in sala
quest’anno. E, una volta superato il naturale distacco e disprezzo
verso le gesta di Jack, il film permette allo spettatore preparato
di divertirsi anche parecchio, nonostante la crudeltà di ciò che
sta guardando.
La favorita
Nell’anno che ha visto al
cinema i primi veri frutti del #MeToo e del movimento di promozione
femminile nel mondo dello spettacolo, La
Favorita di Yorgos Lanthimos
(già presentato a Venezia 2018) racconta di un gioco di potere tra
tre protagoniste agguerrite che declinano, con ogni arma a loro
disposizione, la propria forza, in questa battaglia fisica e
psicologica che mira alla sottomissione dell’altra.
E oltre alle grandiose
interpretazioni delle tre protagonista, Olivia Colman, Rachel Weisz e
Emma Stone, il regista Lanthimos si avvale di un
linguaggio estremamente riconoscibile, soprattutto attraverso l’uso
di lenti grandangolari deformanti che accentuano l’aspetto surreale
delle gesta messe in scena. Le protagoniste non hanno timore di far
scorrere il sangue delle avversarie, ricorrendo a violenza e
seduzione, arguzia e forza bruta.
Noi
Replicare il successo
della sua opera prima non era semplice, dato il grande impatto che
ha avuto Scappa – Get Out su pubblico e
giurie di premi cinematografici, e così Jordan
Peele ha cambiato direzione, mettendo insieme un film
molto meno “sicuro” in quanto a formula e contenuto, rischiando di
risultare incompreso, pur di portare sullo schermo la sua metafora
sulla contemporaneità americana.
Con le spalle larghe di un successo
di pubblico e critica, Peele ha confermato, anche in questa nuova storia, che il
suo utilizzo del cinema horror si rivela principalmente una lente
che serve a raccontare la società, a criticarla. Insomma, il cinema
di Peele si conferma politico, nonostante il suo linguaggio si
complichi rispetto alla sua prima incursione cinematografica nel
genere.
La Belle Epoquè
Non replica la bellezza
fresca e travolgente della sua opera prima, ma con La Belle
Epoquè Nicolas Bedos riesce a
mettere in scena la dolcezza della malinconia, l’amore attraverso i
decenni, la voglia di evasione ma anche il desiderio di recuperare
quel sentimento e quella complicità che caratterizzano l’inizio di
ogni grande storia d’amore.
Forte di un cast straordinario,
Bedos immerge lo spettatore in un’atmosfera dorata che affonda i
suoi toni proprio nei ricordi del protagonista, trascinando in
questo sogno ad occhi aperti anche lo spettatore, che si ritrova un
po’ desiderare che la complessa messa in scena del film, possa
essere ricreata nella vita reale, per avere ancora un giorno,
ancora una possibilità di essere giovani.
Midsommar – il villaggio dei
dannati
Come è già detto per
Jordan Peele, anche Ari Aster ha
esordito, muovendosi sempre nel campo del genere horror, con un
film narrativamente e strutturalmente “rassicurante”. Sebbene
Hereditary sia di fatto spaventoso,
rientra in una forma cinematografica solida e chiusa. Con Midsommar, il
regista newyorkese sfida le regole del genere e porta la sua storia
dell’orrore alla luce del sole, in un viaggio allucinato dentro la
testa di una donna traumatizzata, ferita, che ha paura di essere
abbandonata.
Ari Aster sembra
adottare per il suo film la forma del dolore, nel senso che
abbandona le strutture narrative tradizionali e realizza un
racconto che resta fermo, nell’immobilità della luce accecante,
nella perfezione delle simmetrie sulle quali indugia, sulla ricerca
linguistica di una simbologia che racconta di credenze, riti e
incantesimi che non vengono mai spiegati, ma costantemente
suggeriti, ad aumentare la sensazione di inquietudine.
Il traditore
Uno dei migliori film
italiani dell’anno, scelto per rappresentare l’Italia nella corsa
all’Oscar per il miglior film internazionale, il nuovo film di
Bellocchio racconta una pagina cardine della storia d’Italia.
Il regista poggia tutto il suo film sulle spalle di
Pierfrancesco Favino e lo fa
senza prendere posizione rispetto al Tommaso Buscetta che l’attore
romano mette in scena. Il suo lavoro di mimesi è notevole, tuttavia
Bellocchio non sceglie il suo punto di vista, ma mostra con fare
quasi documentaristico, agendo solo sui tempi e sulla suspance, i
fatti così come sono avvenuti.
Ed è proprio in quei frangenti che
il film diventa documento storiografico e artistico nelle mani di
uno dei grandi maestri contemporanei del nostro cinema, che riesce
a fare grande arte anche di fronte al racconto fedele di una delle
pagine più nere della nostra Storia.
La paranza dei bambini
La delicatezza con cui
Giovannesi parte dal testo e racconta la realtà, trasfigurata
attraverso il romanzo, tratteggia delle figure di piccoli
avventurieri che desiderano portare avanti la loro vita, il loro
mondo, così come lo conoscono, cercando di sostituirsi agli adulti,
fatalmente eliminati dalla gerarchia criminale del loro
microcosmo.
Il regista affronta il racconto di
formazione con grande tenerezza, senza per questo risultare
paternalistico, ma rimanendo accanto ai giovani protagonisti ed
entrando nelle loro vite, nelle loro case, raccontandoci
circostanze tanto assurde quanto reali per chi, nella Napoli di
vicoli, rioni e quartieri, vive tutti i giorni quella vita.
La mafia non è più quella di una
volta
Folgorante. Il nuovo documentario di
Franco Maresco sembra la messa in scena
completamente folle di un mondo che non c’è, tuttavia è
estremamente lucido per l’approccio attento e tagliente con cui
racconta i fatti, mentre è accompagnato da una protagonista
d’eccezione, la fotografa Letizia Battaglia,
sguardo vigile e razionale su manifestazioni di umanità
grottesche.
Sulla scia di
Belluscone, Maresco realizza un altro
documento importante ed estremamente attuale per il nostro tempo,
nonostante a volte, guardando le immagini, le persone, la varia
umanità mostrataci sullo schermo (citiamo per tutti Ciccio Mira),
ci sembra di guardare in una realtà parallela. Si ride con grande
amarezza e consapevolezza.
Dolore e Gloria
A tre anni da
Julieta, Almodovar torna al cinema con
uno dei film più
belli, vitali, dolenti e luminosi che la sala abbia visto
quest’anno. Non si tratta soltanto di uno dei migliori film degli
ultimi anni del regista di Madrid, ma si tratta di una delle vette
della sua opera omnia. A guidarlo in questo viaggio
(autobiografico) tra i dolori di un corpo che cede al tempo e la
gloria di un passato lontano ma ancora vivido nella sua memoria,
c’è Antonio Banderas, alla sua migliore
interpretazione in carriera.
Torbido e vitale, come la maggior
parte dei migliori film di Almodovar, Dolore e
Gloria riflette sulla vita dell’artista, sul suo
passato, sulla figura della madre (Penelope Cruz),
sempre un angelo carnale, il tutto in un ambientazione satura di
colori, in un continuo rimando a ciò che continua a pulsare tutto
intorno ai suoi personaggi, per quanto fermi, lenti, sofferenti
possano essere. E così, Pedro Almodovar si
conferma un regista amante della vita e delle sue passioni.
Storia di un matrimonio
Di nuovo un film
autobiografico, questa volta però che racconta la fine di una
storia d’amore. Noah Baumbach ha dichiaratamente
preso spunto dalla fine del suo matrimonio per raccontare questa
storia di dolore e trasformazione, con un tocco delicato ed
estremamente realistico, tratteggiando due personaggi distrutti da
quello che stanno vivendo eppure intenzionati ad andare avanti con
la propria vita, al meglio delle loro possibilità.
Storia di un
matrimonio racconta la trasformazione di ciò che
si credeva fosse un “per sempre” in un nuovo e misterioso “non
più”, misterioso prima per la coppia che affronta la separazione, e
poi per il loro figlio, che si ritrova nel mezzo ma che è anche
l’unico elemento che permette ai due di ricordare quanto si sono
amati in passato. Doloroso quanto reale, il film di Baumbach è una
vera e propria esperienza emotiva dentro una realtà che, seppure
non tocca personalmente lo spettatore, viene raccontata con empatia
e tragico realismo. Ancora disponibile su Netflix.
L’ufficiale e la spia
“Un grido potente e
determinato contro l’ingiustizia, l’abuso di potere, la
persecuzione e la discriminazione” così, Stefano
Bessoni definisce l’ultimo
film di Roman Polanski, arrivato in sala in un
clima ostile alla libera espressione artistica ma soprattutto
ostile al regista, egli stesso perseguitato da un passato e da una
vita estremamente dolorosa.
Nel film che racconta L’Affaire
Dreyfus, Polanski sembra riversare anche
un po’ della sua storia, una parte delle sue sofferenze, del suo
essere perseguitato, in diverse epoche e continenti. E nonostante
l’alto livello di coinvolgimento (palese seppure non dichiarato),
il regista polacco non rinuncia a mettere in scena tutte le sue
doti artistiche, che ne fanno uno degli autori più grandi di tutti
i tempi.
C’era una volta a Hollywood
Per quanto riguarda
Tarantino, ogni volta che il regista arriva al cinema si crea
sempre un piccolo evento, e quest’anno, con il suo film più maturo e
malinconico, Quentin ha decisamente lasciato il segno, un segno
che potrebbe riempire le mensole di casa Pitt di premi e
riconoscimenti nel corso della stagione dei premi che si sta
aprendo.
Il suo sguardo adorante sulla
Hollywood che fu è senza dubbio quello che rimane attaccato ai
ricordi dello spettatore, una volta lasciata la sala, e poco
importa che quel finale splatter ci riporta con la mente al
“solito” Tarantino, il film è un attestato di maturità da parte
dell’autore.
The Irishman
The
Irishman ha portato con sé una scia di polemica
incredibile, a seguito delle dichiarazioni di Martin
Scorsese sui cinecomic Marvel, sull’importanza di tutelare
film come il suo in sala e di insegnare ai giovani spettatori cosa
sia il cinema in realtà. Dichiarazioni di un regista che, sul viale
del tramonto anagrafico, si rivela ancora affamato di storie e di
grande e ambizioso cinema.
Questo film è senza dubbio, da una
parte, una sorta di capriccio del grande autore che fa di tutto per
fare un film con i suoi amici, ma dall’altra è anche la perfetta
testimonianza dell’istinto cinematografico del regista newyorkese,
che gestisce un film di tre ore con un equilibrio impeccabile,
dosando, raccontando e parlando, inevitabilmente e sinceramente,
anche di sé.
Joker
Joker di
Todd Phillips è forse il film più discusso
dell’anno, ha creato fazioni, schieramenti, ma è innegabilmente
un’opera importante, cruda e ambiziosa, che occupa a buon diritto
il suo posto di questa classifica dei migliori film del 2019. Nato
come un progetto rischiosissimo sulla carta, il film non solo ha
vinto la Mostra di Venezia, segnando la storia del cinema, ma ha
anche registrato il record di incassi in tutto il mondo per un film
vietato.
Una boccata d’aria per la Warner Bros, per i
film a marchio DC ma soprattutto uno spunto produttivo interessante
che mostra un altro modo di approcciarsi al materiale pop che tanto
viene sfruttato dal cinema in questi anni.
Parasite
Parasite di
Bong Joon-ho, forse il vero capolavoro dell’anno,
Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, è uno dei pochi film
orientali (sud-coreano) che ha registrato incassi altissimi negli
Stati Uniti, a ragione, dal momento che si tratta di una critica
sociale affilata e intelligente che non rinuncia alla bellezza,
puramente estetica e fine a se stessa, del mezzo
cinematografico.
È chiaro che l’interesse del
regista, come aveva già dimostrato nella sua passata filmografia e
anche nella sua prima incursione americana,
Snowpiercer, è quello di rappresentare
l’impossibilità di una comunicazione tra le classi, tra gli strati
della società, una comunicazione che avviene solo nell’ambito del
rapporto padrone-servo, un rapporto che si sgretola non appena il
povero si dimostra più ingordo che furbo e il ricco più stupido che
colto.
Border – Creature di confine

Si tratta dell’opera più
sorprendente che sia arrivata in sala quest’anno e che senza dubbio
mantiene, anche a diversi mesi dalla visione, un fascino e una
freschezza di racconto davvero rari. Il film, che si muove
sul limite tra thriller e fantasy, racconta la fiaba con toni
realistici, senza sospendere mai, nemmeno per un attimo, la
credibilità del racconto.
Nel raccontare la diversità con un
occhio così vigile ed originale, il regista Ali
Abbasi ci offre un’avventura che da malinconica diventa
gioiosa e poi tetra e lugubre, infine addirittura tenera, rimanendo
sempre su quel confine (del titolo) tra natura e cultura, tra bene
e male, tra ciò che è e ciò che appare, ma soprattutto tra ciò che
scegliamo di essere e ciò che siamo per natura.