L’anno scorso abbiamo
potuto vedere La folle vita, comunemente indicato come loro
lungometraggio d’esordio e datato ormai 2020, ed è un piacere
ritrovare in sala Ann Sirot e Raphaël Balboni. Ce lo avevano
promesso ai tempi del Festival
di Cannes 2023, dove il film era tra i titoli
selezionati per la 62esima Semaine de la Critique, e grazie a
Wanted Cinema il loro La sindrome degli amori passati arriva
finalmente nei cinema di tutta Italia – dal 5 settembre – dopo
alcune anteprime estive.
Una commedia romantica
piuttosto sui generis e a suo modo sorprendente con la quale
Ann Sirot e Raphaël Balboni hanno
cercato di “esplorare la sessualità al di fuori della
coppia“, come quella di Sandra (interpretata da Lucie Debay) e
Rémy (Lazare Gousseau), addolorati di non riuscire ad avere figli e
pronti a tutto per avere un bambino. Anche a seguire la terapia del
luminare che diagnostica alla coppia la “sindrome degli amori
passati” e prescrive loro di andare a letto, ancora una volta, con
ognuno dei loro precedenti amanti per ritrovare l’equilibrio… Una
serie di infedeltà programmate con le quali il film si diverte a
sfidare convenzioni e tabù della società in cui viviamo – oltre a
suggerire modi nuovi e diversi di concepire le relazioni e la
sessualità – creando situazioni surreali, ma a partire da
esperienze molto comuni…
La sindrome degli amori passati, intervista ai
protagonisti
“Abbiamo molti amici
che hanno avuto problemi ad avere figli. Fa parte della
nostra esperienza personale” – racconta la Sirot, convinta che
il film possa essere di consolazione o dare speranza a tanti…
La lotta fa parte della
vita. E tu puoi accettare la tua vita così com’è o usare le risorse
in tuo possesso, quello che ti sta accadendo, per reagire. È
interessante che ci sia una sindrome reale che ha ispirato quella
del film, quella che in francese si chiama ‘Syndrome du
lâcher-prise’, che è quello che dici a qualcuno che si sta
aggrappando alle cose, che deve lasciare andare… Per esempio,
quando le persone che stanno cercando di avere un figlio da molto
tempo, ormai esaurite, finiscono per lasciarsi, capita che
rimangano incinte l’ultima volta che fanno sesso prima della
rottura. Quando smettono di sentirlo come un obbligo, insomma, come
per molte cose nella vita, che succedono quando smetti di
rincorrerle.
A Cannes avete
sottolineato i significati che il film potrebbe veicolare,
relativamente al
capitalismo e al patriarcato, è importante o vi basta che il
pubblico si diverta?
SIROT: Penso che il
pubblico delle commedie romantiche si divertirà e insieme vorrei
che il nostro settore diventasse un luogo più aperto e sicuro. Con
in sala molta gente che faceva parte dell’industria cinematografica
e che finanzia il cinema è stato anche un appello a cercare insieme
di reinventare i nostri processi e a condividere la responsabilità
di rendere il mondo del cinema più ampio e più inclusivo.
Avete cambiato il film
nel suo iter? Ci sono state molte riscritture?
BALBONI: Abbiamo un modo
particolare di girare, e una ripresa può richiedere anche 10 o 15
minuti, perché facciamo molte prove. Così facendo, al montaggio c’è
molta scelta. Abbiamo avuto bisogno di riscrivere il film, vista
questa modalità, ma abbiamo scritto molto prima e dopo le riprese,
ma non è stato un film diverso, non credo sia cambiato, anzi, credo
sia il film che volevamo girare sin dall’inizio.
SIROT: È assolutamente il
film che volevamo girare, ma è come se avessimo una tela, una
griglia nella quale le linee si avvicinano sempre di più e vanno
riempiendosi. All’inizio lavoriamo sulle linee principali, quando
con gli attori abbiamo iniziato a disegnare le cose in modo più
preciso. Non partiamo subito con le riprese, proviamo e giriamo le
nostre prove, e le modifichiamo, abbiamo una bozza e cerchiamo di
rendere questa bozza sempre migliore. E quando una scena non va
bene, la rifacciamo e inseriamo la nuova scena nella nostra bozza.
Così quando arriviamo alle riprese abbiamo questa bozza su cui
abbiamo lavorato, poco alla volta.
Tanto lavoro devono
aver richiesto gli intermezzi sui rapporti sessuali
SIROT: Sì, è stato un
processo piuttosto lungo, perché abbiamo fatto diversi workshop,
che abbiamo chiamato “le metafore”. Abbiamo lavorato con il
coreografo, in particolare, ma anche con gli altri membri della
troupe – dal DOP al costumista con i ballerini o con il cast –
esplorando le idee che avevamo, cercando di provarle, e ci è voluto
tempo per trovare l’atmosfera giusta per delle scene sessuali
metaforiche che dovevano rappresentare lo spazio mentale dei
personaggi, i territori interiori inesplorati che Sandra e Rémy
stanno per aprire e scoprire. In queste scene, la sessualità è
sempre rappresentata in modo simbolico, la nudità è affrontata in
modo umile e giocoso.
BALBONI: Avevamo idee
divertenti per ogni scena, una diversa dall’altra, perché volevamo
sempre collegarci a ciò che accadeva nella storia e continuare a
giocare con il pubblico. Come per esempio, quando stanno gonfiando
la ruota della bicicletta tutto si trasforma e c’è questa gomma
gigante, o quando lei sta appendendo i vestiti dietro e inizia la
scena in cui ci sono vestiti argentati appesi dappertutto. Avevamo
molto materiale, intere coreografie, ma per la dinamica del film
poi abbiamo dovuto montare una porzione molto piccola di ciò che
avevamo girato, abbiamo fatto delle scelte.
Tra i tanti membri
della troupe, c’era anche un coordinatore dell’intimità?
SIROT: Abbiamo chiesto al
coreografo di farlo e gli attori sono stati d’accordo. Lui è un
ballerino, si esibisce spesso e ha molta esperienza nell’esibirsi
nudi, quindi era una persona molto adatta, anche a rapportarsi con
gli attori. Ma anche in questo caso il nostro processo è stato
molto graduale. Togliendo i vestiti un po’ alla volta. Facendo le
scene con tutti i vestiti addosso, all’inizio, la volta successiva
in biancheria intima e così via. La chiave è stato il sentirsi
sicuri con le persone che hai intorno, loro avevano già lavorato
insieme due o tre volte e conoscevano il coreografo, per cui erano
a loro agio l’uno con l’altro.