Che sia un elegante commedia heist,
come la trilogia di Ocean, o una mini serie tv
all’insegna del kitsch come
Behind the Candelabra, Steven
Soderberg non perde mai la sua cifra stilistica
fondamentale che mira, prima di ogni altra cosa,
all’intrattenimento.
Per questo motivo, La
truffa dei Logan, presentato alla Festa del Cinema di Roma
2017, può essere considerato l’esempio esaustivo, in ogni sua parte
dell’idea di cinema del prolifico e talentuoso regista
americano.
Logan Lucky, un rustico Ocean’s Eleven
Con questa versione rustica di
Ocean’s Eleven (citato nello stesso film),
Soderbergh mostra il suo gusto per le storie, articolando
perfettamente un racconto brioso che non può fare a meno di
ricordare la contea di Hazzard e i
fratelli Duke, Channing Tatum e
Adam Driver, con tanto di cugina Daisy, la
sexy Riley Keough (nipote
di Elvis), e macchine rombanti al seguito.
Con un leggerissimo cambio di
rotta, il regista appiana leggermente il ritmo, adottando un
montaggio meno frenetico e riuscendo, nonostante la prevedibilità
dello sviluppo, a mantenere fresca la storia per il gusto dello
spettatore. Il segreto di Soderbergh è forse
proprio quello di lasciar trasparire (e in questo film si nota più
che in altri) il suo stesso divertimento nel momento della
realizzazione della pellicola stessa.
Il regista gioca con gli equivoci,
con le scene, con i personaggi, ritraendo una realtà strana,
impacciata, stolida, ma mai surreale, camminando in punta di piedi
sul sottile confine che separa il realismo dall’assurdo.
L’umanità e il divertimento
Il cuore del film
però è senza dubbio l’aspetto umano, che diventa un contrappunto
dosato e costante alle concitate vicende principali: il rapporto
complicato tra due fratelli “maledetti”, la sensazione di abbandono
che prova un reduce, lo sforzo di un uomo per non perdere sua
figlia, il bisogno di riscatto di una classe sociale che dimostra
molto più acume di quello che appare a un primo sguardo.
La famiglia di Soderbergh,
costituita da amici, pseudonimi con cui in genere firma i vari
ruoli dei suoi film (in questo caso, la sceneggiatura attribuita a
tale Rebecca Blunt), ma anche da attori
conosciuti, che si concedono a parti molto piccole (vedi
Sebastian Stan,
Hilary Swank o Seth MacFarlane), dà
l’impressione che, così come il prodotto finale, anche la
realizzazione del film sia stato un lavoro condotto con leggerezza
e precisione dall’autore, una precisione che risiede nella stesura
di una sceneggiatura puntuale e che regala a
Daniel Craig il migliore ruolo in carriera,
con buona pace dell’agente al servizio di Sua Maestà.
Se esiste all’interno di un
meccanismo così ben architettato come La truffa dei
Logan una chiave di volta, un segreto nascosto tra
un’inquadratura e l’altra che consente al film di arrivare a
destinazione senza alcuna sbavatura, è la meticolosa cura dei
dettagli, sparsi a costruire scene, caratterizzare personaggi e
arricchire situazioni. Una conversazione apparentemente sbadata sul
colore di una automobile, la scelta di una canzone per un concorso
di bellezza, una variante creativa di una formula chimica.
Consacrazione dell’intrattenimento
In un’ambientazione disfattista,
dove i due fratelli protagonisti sembrano davvero afflitti da una
avversa sfortuna, l’entusiasmo per il racconto che traspare a ogni
scena, eleva gli sfortunati a superstar, nonostante i difetti
fisici e le sconfitte personali.
Con La truffa dei
Logan, Steven Soderbergh raggiunge la
meta con un grande sorriso, portando in trionfo non solo un buon
film, ma consacrando anche la sua idea di cinema, completamente e
genuinamente votata all’intrattenimento.
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