È stato un anno intenso per
Mia Goth, che dopo il successo di X – A
Sexy Horror Story e la presentazione al Festival di Venezia di Pearl, è
ora impegnata sul set di Maxxxine,
che chiude la trilogia di Ti West. Ma intanto la
sua carriera sembra affacciarsi su un palcoscenico più grande, dal
momento che anche lei è entrata a far parte del Marvel Cinematic Universe, per la
precisione nel cast di Blade,
al fianco di Mahershala Ali, che interpreterà il
protagonista.
Il film dei Marvel Studios sarà diretto da Yann
Demange (Lovecraft Country, White Boy Rick) da
una sceneggiatura del candidato all’Emmy Michael
Starrbury, e si dice sia “più oscuro della maggior
parte dei film del MCU.” Goth si unisce a un cast
costellato di star che include anche Aaron Pierre
e Delroy Lindo, ma i dettagli sul suo ruolo sono
tenuti nascosti.
Il progetto di Blade è
stato annunciato per la prima volta al Comic-Con del 2019, dove il
capo dei Marvel Studio Kevin
Feige ha sorpreso la Hall H annunciando che Ali avrebbe
assunto il ruolo del famigerato daywalker dopo che Wesley
Snipes aveva interpretato il personaggio dei fumetti
Marvel in tre film tra il 1998 e il
2006.
Del nuovo Blade e
si sa ancora molto poco se non che esplorerà la natura del
personaggio, un vampiro in grado di camminare alla luce del sole
che usa i suoi poteri per dare la caccia ai suoi simili malvagi. Il
personaggio era già stato raccontato al cinema con i film
Blade, Blade II e Blade: Trinity, dove ad
interpretare il personaggio vi era l’attore Wesley Snipes.
La scelta di Ali per assumere ora tale ruolo sembra aver messo d’accordo
tutti, con l’attore indicato perfettamente idoneo sia a livello
estetico che di carisma.
Il Bladedi
Ali, come noto, ha già avuto un suo piccolo ingresso nell’MCU. Sua è infatti la voce che si
può ascoltare nella scena post titoli di coda del film Eternals, quella in cui
compare anche l’attore Kit Harington e
la celebre Lama d’Ebano, che a sua volta sembra comparirà in
Blade. Con il periodo di riprese annunciato, è solo
questione di tempo prima che inizio ad arrivare ulteriori notizie
sul film, sia per quanto riguarda il cast sia per quanto riguarda
il look del protagonista e dell’opera in sé. Blade dovrebbe
uscire in sala il 6 settembre 2024 come film finale della Fase
Cinque del MCU.
La star di MaXXXineMia
Goth è stata accusata di aver preso a calci in testa
un attore sul set del sequel horror, secondo una nuova causa.
James Hunter ha
citato in giudizio Mia Goth dopo aver dichiarato di aver subito
una commozione cerebrale a causa del calcio mentre interpretava un
“Parroco morto” nel terzo film della trilogia horror di Ti
West con protagonista la Goth.
Mia Goth al centro di una
causa
La causa accusa Mia Goth di percosse e include una
richiesta di licenziamento illegittimo nei confronti di
A24, Goth e West.
Nella causa Hunter
sostiene che la prima notte di riprese è rimasto a terra per
diverse ore coperto di sangue finto, “sopportando formiche e
zanzare“.
Per la scena, Mia Goth avrebbe dovuto corrergli accanto
e talvolta scavalcarlo, guardare in basso e continuare a correre.
Ma durante una ripresa, Hunter ha avuto la sensazione che la Goth
lo avesse quasi calpestato e ha espresso la sua preoccupazione al
secondo assistente alla regia, che avrebbe poi trasmesso il
messaggio alla stessa Goth.
Durante il ciak successivo, Hunter
sostiene che Mia Goth lo ha deliberatamente colpito
alla testa con uno stivale e ha continuato a deriderlo in bagno
dopo aver girato la scena, spingendolo a fare qualcosa.
Hunter ha poi
dichiarato di essersi sentito stordito mentre tornava a casa dopo
le riprese e di aver dovuto accostare due volte. Il giorno dopo,
secondo la causa, l’agenzia di casting lo ha informato che la
produzione non lo voleva per i due giorni restanti.
Mia Farrow,
l’attrice statunitense che per anni è stata musa di Woody
Allen, ha fatto seguito alle recenti dichiarazioni di
Leonardo Di Caprio, annunciando anche lei che dirà
addio ai set cinematografici.
In Mià e il Migù
Pedro fa l’operaio. E’ stato costretto dalla necessità di lavorare
a lasciare la sua cara figlia, Mià, da sola al villaggio. Purtroppo
resta intrappolato nel crollo di un tunnel. Mià, svegliatasi di
notte, sente la necessità di rivedere suo padre, e si mette in
cammino da sola per raggiungere il suo posto di lavoro, oltre la
pericolosa foresta. Parallelamente seguiamo le vicende di un
costruttore senza scrupoli, che vuole distruggere l’ultimo angolo
di paradiso terrestre incontaminato per costruire un costoso
complesso alberghiero. Proprio in quel cantiere lavora il povero
Pedro, e Mià, insieme al figlio del costruttore, Aldrin, riuscirà a
salvare la natura, aiutata dai magici Migù. La trama del film
d’animazione diretto da Jacques –Rèmy Girerd ricorda vagamente le
fantastiche storie di Miyazaki, senza però averne la profondità
emotiva, né la bellezza cromatica ed artistica tipica del disegno
del maestro giapponese.
Mià e il Migù dopo
un inizio promettente, scandito da musica e immagini di rara
poesia, si rivela un affastellamento di luoghi comuni che sfociano
nel finale scontato e didascalico, decisamente infantile, forse
anche troppo per le nuovissime generazioni che crescono a pane e
videogames. Il disegno, in alcuni momenti morbido e fiabesco, ci
presenta dei personaggi stilizzati che si muovono in una natura
molto più viva e dettagliato degli uomini stessi. I colori virati
sul giallo e sull’ocra donano un’atmosfera orientaleggiante al
racconto, seppure l’ambientazione geografica della vicenda sia
decisamente di fantasia.
Tuttavia Mià e il
Migù presenta almeno un paio di momenti di profonda
inquietudine che contrastano con il tono buonista del film, ma che
ne aumentano leggermente la complessità, a favore del risultato
finale. Le immagini sono ben accompagnate da una buona partitura
musicale realizzata da Serge Besset.
L’amicizia tra gli esseri umano e
gli animali è stata raccontata più volte al cinema e negli ultimi
anni in particolare sono arrivati sul grande schermo alcune delle
coppie più imprevedibili di sempre. Da Belle & Sebastien fino
a L’incredibile storia di Winter il
delfino, questo genere di film suscita sempre un grande
fascino negli spettatori, dimostrando che spesso questo genere di
legami non hanno nulla da invidiare a quello tra due persone. Tra i
più recenti esempi di questo filone vi è Mia e il leone
bianco, film del 2018 diretto da Gilles de
Maistre a partire da una sceneggiatura di sua moglie
Pure de Maistre.
La coppia protagonista, come
suggerisce il titolo, è composta da una bambina di nome Mia e da un
raro esemplare di leone bianco. Tale colorazione è data da un caso
di polimorfismo genetico legato ad una condizione di leucismo, il
quale causa appunto un colorito pallido. Non esistono molti
esemplari di leoni di questo tipo, ma la maggior parte di questi si
trova in Sudafrica. Ed è lì che le riprese si sono svolte nel corso
di ben tre anni, permettendo così alla troupe di seguire lo
sviluppo del leone scelto per il film. Di produzione francese, il
film ha richiesto un budget di circa 9 milioni per poter essere
completato.
Un costo che si è rivelato però ben
investito, poiché al momento della sua distribuzione Mia e il
leone bianco è stato accolto con grande entusiasmo dalla
critica. Al box office è invece arrivato ad un guadagno di circa
36,4 milioni di dollari, divenendo il maggior successo francese del
suo anno. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori ed alla
vera storia dietro il film. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.
Mia e il leone bianco: la
trama del film
Protagonista del film è Mia
Owen, una bambina che vive con la famiglia in Sudafrica,
dove i genitori possiedono un allevamento di leoni. Inizialmente,
per gestire tale attività, il padre John era
solito concludere una serie di accordi con dei cacciatori. Con il
passare del tempo però ha sviluppato un amore tale per quelle
creature da decidere di cessare ogni attività illegale. Mia,
naturalmente, è sempre stata tenuta all’oscuro di ciò, nel
tentativo di trasmetterle valori più positivi. È proprio in questo
contesto che la piccola stringe amicizia con
Charlie, un cucciolo di leone bianco. I due
diventano da subito inseparabili, trascorrendo molto tempo insieme
esplorando le terre circostanti.
Con il passare degli anni sia Mia
che il leone inevitabilmente crescono, e ciò genera non poche
preoccupazioni nei genitori. Pur amando quegli animali, sono
consapevoli della loro pericolosità e del loro istinto da
cacciatori che non può essere domato. Il padre decide pertanto di
vendere l’esemplare, al fine di proteggere sua figlia. Scoperta la
cosa, e in particolar modo chi dovrebbe essere l’acquirente, Mia
deciderà però di opporsi con tutte le sue forze alla cosa. Preso
con sé Charlie, i due fuggiranno verso una riserva naturale, al
fine di trovare lì riparto. Il viaggio per arrivarvi, tuttavia,
sarà tutt’altro che semplice.
Mia e il leone bianco: la vera storia e il cast del
film
Come anticipato, il film è stato
scritto da Pure de Maistre, moglie del regista, la quale ha
sviluppato la storia dopo aver fatto un viaggio in Sudafrica. Qui
ha avuto modo di visitare alcune riserve naturali contenenti questi
rari esemplari di leone bianco. Venuta a conoscenza della difficile
esistenza che tali esemplari hanno, tra cacciatori ed altri
problemi legati al branco, decise di scrivere una storia che
sottolineasse l’importanza della loro protezione. Per poter
realizzare il film, le riprese sono state supervisionate dallo
zoologo Kevin Richardson, il quale nel corso di tre anni ha aiutato
a costruire il rapporto tra un vero cucciolo di leone e la
protagonista. Per permettere di far sviluppare tale legame, era
infatti necessario che Charlie fosse un cucciolo, ancora privo dei
propri istinti.
Ad interpretare la giovane
protagonista, che cresce nel corso di tre anni insieme al leone
bianco, vi è Daniah De Villiers. Oltre ad essere
impegnata con le riprese, questa dovette trascorrere diverse ore al
giorno solo per poter stabilire un rapporto di fiducia con Charlie.
Attraverso varie attività i tre poterono realmente stringere
amicizia. Altrettanto dovette fare l’attore Ryan
MacLennan, interprete di Mick, il fratello di Mia. Ad
interpretare i due genitori, invece, si ritrovano due note
personalità. Il padre John ha infatti il volto di Langley
Kirkwood, noto anche per i film Invictus –
L’invincibile e Dredd – Il giudice
dell’apocalisse. Nei panni di Alice, la madre di Mia, vi è
invece l’attrice francese Mélanie
Laurent, divenuta celebre per il personaggio di
Shoshanna nel film Bastardi senza gloria.
Mia e il leone bianco: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Mia e il leone
bianco è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play,
Apple iTunes, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 25
luglio alle ore 21:25 sul canale
Rai 1.
“Dopo Gomorra volevo fare un
film diverso, cambiare registro e così ho provato a fare una
commedia.”
Esordisce così in conferenza stampa
il regista Matteo Garrone, che oggi a Roma a
presentato il suo ultimo film, Reality, in concorso al
Festival
di Cannes e Gran premio della Giuria, presieduta da Nanni
Moretti.
Chi può dire di non aver avuto un
nemico nella vita? Biagio Bianchetti/Lillo Petrolo ne ha uno
sin dai tempi delle elementari, Ottone Di Valerio/Neri
Marcorè, pronto a oscurare sempre ogni suo pregio e sua
capacità. In seguito all’ennesima sconfitta, Biagio decide di porre
fine alle sue disgrazie e di togliersi la vita. Tuttavia, una volta
trapassato, scopre che per una buona azione ha diritto a un bonus
di una settimana da passare sulla Terra nei panni di chiunque
desideri, per dimostrare di essere un uomo migliore.
A Biagio però non interessa
riscattarsi, bensì vendicarsi del suo acerrimo rivale. Tornato in
vita nei panni del noto manager Dennis Rufino/Emilio
Solfrizzi, nel tentativo di far fallire l’azienda di Ottone,
conoscerà meglio il suo nemico e capirà che non era affatto
invincibile e sicuro di sé come pensava. Sergio Rubini ci propone una commedia che mira più
all’esaltazione dei buoni sentimenti che alla risata, nonostante la
presenza di un trio comico.
Mi rifaccio Vivo, il film
Da una parte troviamo un
personaggio che nasce buono e che, sebbene incontri molte avversità
e prenda la strada della vendetta, non smetterà mai di essere
buono; dall’altra parte, invece, troviamo un personaggio che appare
come il cattivo della storia, ma che se conosciuto meglio può
essere compreso e aiutato a cambiare. A questo punto, ci chiediamo
se anche la figura negativa dell’avvocato Mancuso/GianmarcoTognazzi, ridotto a una macchietta e creato apposta per
sostituire al giusto momento il falso nemico, non sia in fondo una
persona buona che ne ha passate troppe.
La storia, di per sé ben costruita,
intreccia coerentemente i diversi personaggi principali e i loro
obiettivi all’interno della trama, ma manca di solidità nello
sdoppiamento psico-fisico post-reincarnazione di Biagio, che sembra
solo una scusa per aumentare le scene di Lillo con Solfrizzi.
Infatti, questa svolta del racconto fornisce alcuni spunti comici,
ma indebolisce la struttura dell’impianto fanstasmatico, che finora
rispondeva a una certa originalità. L’aldilà che Rubini e i suoi
co-sceneggiatori ci mostrano è un posto strano, simile alla realtà,
soprattutto nell’aspetto burocratico, dove non ci sono angeli o
demoni, ma piuttosto semplici impiegati, coordinati da un
intransigente Karl Marx.
Le coppie Lillo/Solfrizzi e
Solfrizzi/Marcorè producono una comicità equilibrata e
spontanea, sebbene la sceneggiatura riservi del ridicolo per
ciascuno dei loro ruoli. I personaggi di
Virginia/Margherita Buy e di Amanda/Valentina
Cervi, rispettivamente moglie e amante di Ottone,
caricano spesso in maniera negativa l’aspetto comico del film,
mentre Sandra/Vanessa
Incontrada, moglie di Biagio, è dei tre personaggi
femminili l’unico scritto non per la risata, ma per la storia.
Mi rifaccio vivo è
una commedia divertente che suggerisce una reazione pacifica e
diplomatica di fronte a situazioni o persone negative, perché non
tutto è come sembra. Troppo edulcorato forse come messaggio, ma si
può sempre riderne sopra.
Dopo il clamoroso successo ottenuto
dal film Ti presento imiei, uscito nel 2000 e affermatosi come una delle
commedie statunitensi più importanti del nuovo millennio, nel 2004
è arrivato il suo primo sequel. Si tratta di Mi
presenti i tuoi?, titolo italiano di Meet the
Fockers (che richiama il Meet the Parents del primo
film). Nuovamente diretto da Jay Roach, questo
secondo capitolo presenta ora la famiglia del protagonista
maschile, dando vita ad una serie di situazioni comiche quanto mai
imprevedibili e assurde. Tra stranezze e follie, non mancano però
anche tanti buoni sentimenti.
Nonostante sia stato poco apprezzato
dalla critica, che sottolineava la ripetitività di alcune
situazioni, il film è stato un successo di pubblico ancor più
grande del suo predecessore. A fronte di un budget di 80 milioni di
dollari, gran parte del quale necessario a pagare i grandi attori
presenti nel film, Mi presenti i tuoi? ha raggiunto la
cifra globale di 522 milioni di incasso. Ciò ha portato il film non
solo ad essere una delle commedie dal maggior incasso di sempre, ma
anche uno dei film più redditizi del suo anno.
Inevitabile dunque che si
realizzasse anche un suo sequel, per il quale però bisognò
attendere diversi anni in attesa della giusta storia. Ad oggi,
questo secondo capitolo della trilogia è ancora considerato uno dei
più divertenti. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Di seguito sarà possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e al suo sequel.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Mi presenti i tuoi?: la trama del film
Protagonista del film è ancora una
volta Greg Fotter, il quale dopo aver conosciuto i
genitori della sua promessa sposa Pam, decide con
lei di far incontrare i rispettivi parenti. A condurre il viaggio
in camper verso Miami dalla famiglia Fotter è Jack
Byrnes, il padre di Pam, burbero ex agente della CIA che
non ha però mai abbandonato i mezzi del mestiere. Con lui, oltre
alla figlia e a Greg, vi è anche sua moglie Dina e
il nipotino neonato Little Jack. L’unico motivo
per cui Jack ha accettato di incontrare i genitori di Greg, però, è
il voler osservare con che tipo di personalità si ritroverebbe ad
avere a che fare nel caso del matrimonio tra i rispettivi
figli.
Conscio di ciò, Greg è
particolarmente nervoso per come le cose potrebbero andare. Una
volta arrivati a destinazione, la famiglia di Pam viene accolta
dagli eccentrici Bernie e Rosalind
Fotter, quest’ultima di professione terapista sessuale per
coppie anziane. Le due famiglie non potrebbero essere più diverse
caratterialmente. Se i Byrnes sono rigidi e pieni di regole, i
Fotter al contrario sono dei veri e propri hippie, ancora fedeli ai
loro ideali di libertà e amore. Non passerà molto prima che lo
scontro si farà acceso, lasciando a Greg il compito di sistemare le
cose nella speranza di salvare il suo rapporto con Pam.
Mi presenti i tuoi?: il cast del film
Ancora una volta ad interpretare
Greg Fotter vi è il popolare attore comico Ben Stiller.
Come per il precedente film, egli fece scrivere per il suo
personaggio una comicità verbale più che fisica, con la quale si
sentiva più a suo agio. Stiller ebbe poi anche l’opportunità di
improvvisare diverse scene, acquisendo così totale disinvoltura con
il personaggio. Nei panni della sua fidanzata Pam vi è anche in
questo caso l’attrice Teri Polo, mentre
Blythe Danner riprende il ruolo di Dina Byrnes.
L’attore Robert De Niro
interpreta invece Jack Byrnes, un ruolo comico per cui si è
preparato approfonditamente ricercando nuovi dettagli per
caratterizzare il personaggio. Nel film è poi presente anche
Owen Wilson, nei panni
di Kevin Rawley, ex fidanzato di Pam particolarmente apprezzato dai
genitori di lei.
Per il ruolo di Bernie Fotter era
stato inizialmente contattato l’attore Robin
Williams, che preferì però lasciare il ruolo al suo amico
Dustin Hoffman. Il due
volte premio Oscar venne così scelto per la parte dopo un primo
incontro con il regista. Durante questo, l’attore non la smise mai
di parlare, speso divagando su altri argomenti. Fu proprio questa
sua caratteristica a farlo risultare perfetto per ciò che Bernie
doveva essere. Nei panni di sua moglie Rosalind vi è invece
Barbra Streisand, la quale per stupire Hoffman
decise di modellare la propria capigliatura sulla base di quella
della vera moglie dell’attore. Per l’attrice fu un piacere recitare
nel film senza ulteriori coinvolgimenti, come invece spesso le
accade. Nel film è poi presente l’attrice Alanna
Ubach nei panni di Isabel, la domestica dei Fotter.
Mi presenti i tuoi?: il
sequel, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Come anticipato, dato il grande
successo del film, venne annunciato anche un suo sequel, nonché
terzo capitolo della trilogia. Avendo esaurito le presentazioni
delle famiglie, per gli sceneggiatori il logico passo successivo fu
il far finalmente sposare Pam e Greg e permettergli di dar vita ad
una famiglia tutta loro. Nel 2010 è così uscito il terzo capitolo
della trilogia, Vi presento i nostri, dove
Greg e Pam sono ora alle prese con i loro due neonati gemelli.
Anche in questo caso gli attori dei precedenti due film riprendono
i loro rispettivi ruoli, con nuove aggiunte al cast di attori come
Jessica Alba, Harvey Keitel e Laura
Dern.
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Mi presenti i
tuoi? è infatti disponibile nel catalogo
di Rakuten TV, Chili, Google
Play e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 1
dicembre alle ore 21:20 sul canale
Italia 1.
Impronte nella sabbia. AlbaRohrwacher, nei panni di Monica, cerca di
seguirle facendo attenzione a mettere i piedi lì dove qualcun altro
già li ha messi. Non sapremo mai a chi appartengono. Può essere
bello pensare che appartengano a Monica Vitti, a
cui il nuovo film di Roberta Torre – Mi
fanno male i capelli – deve il suo titolo, con la
protagonista che non starebbe allora facendo altro che cercare di
ripercorrere la carriera della celebre diva, tra le più amate della
storia del cinema italiano e scomparsa solo di recente. Molto più
probabilmente, però, quelle impronte sono della stessa
protagonista, la quale si è perduta e cerca di tornare sui propri
passi.
Passi che forse neanche sa
appartenerle, avendo intrapreso volente o nolente un percorso non
per ricordare bensì dimenticare. Perché dimenticare è importante,
ci permette di fare spazio per nuove cose, come viene affermato nel
film. Ma dimenticare è anche doloroso, specialmente per chi è
costretto a guardare il proprio caro sapendo di non essere da
questi riconosciuto. Si soffre allora da soli, ed è quanto succede
in Mi fanno male i capelli, il quale pur partendo dunque
come omaggio a Monica Vitti si svela piano piano
essere un racconto sulla memoria, sull’identità e sulla facilità
con cui queste due cose possono sgretolarsi. Purtroppo, nel
proporre ciò, non tutto funziona.
La trama di Mi fanno male
icapelli
Ad essere vittima di una memoria che
ogni giorno le fa credere di aver perso qualcosa per strada è la
già citata Monica (Alba Rohrwacher), la quale con
sempre maggiore curiosità inizia a guardarsi intorno cercando di
ricordarsi il nome delle cose, i viaggi compiuti, il volto e le
lebbra di suo marito Edoardo (Filippo Timi).
Quest’ultimo cerca in tutti i modi di trattenere l’amata moglie nel
nostro mondo e di non perderla in quello dei sogni, acconsentendo
dunque a fare con lei un gioco particolare, l’unico che sembra
poter regalare a entrambi qualche nuovo ricordo felice: rimettere
in scena i film con protagonista Monica Vitti, in
cui la protagonista è convinta di rivedere sé stessa.
Alba Rohrwacher in una scena di Mi fanno male i
capelli
Ricordi quel gioco?
Parte dunque come omaggio all’amata
attrice italiana – tra le più importanti del nostro cinema e
tristemente scomparsa il 2 febbraio del 2022 – il film diretto da
Roberta Torre, ma di lei non esalta solo la
carriera e la personalità ma anche il suo rapporto ambivalente con
la memoria, che diceva di voler perdere. Perché il cuore del film è
da ritrovarsi in questo rapporto con quell’organo-forziere dentro
cui si nascondono i ricordi di una vita intera e che molto spesso
sceglie per noi cosa preservare e cosa no. Ecco allora che nel film
la protagonista si confronta con queste dinamiche, cercando di
riappropriarsi di situazioni che forse ha vissuto davvero o forse
no.
Scorrono dunque sullo schermo
immagini tratte da alcuni dei film più famosi della Vitti, da
La notte a L’eclissi, da Il Deserto
Rosso a Polvere di stelle, con la protagonista che
instaura dei veri e propri dialoghi con l’attrice ed estendendo poi
questo gioco anche al marito – un dolente e convincente
Filippo Timi – e all’iconico Alberto
Sordi. Un gioco attraverso cui la protagonista si ricerca
e prova a ritrovare la propria identità che giorno dopo giorno si
sbiadisce. Da qui dovrebbe emergere tutta la tenerezza di lei come
anche tutta la drammaticità della malattia che la caratterizza. Ma,
come accennato in apertura, tutto ciò raramente si concretizza.
Un film che non trova la propria
strada
Mi fanno male i capelli
dimostra infatti sin da subito una certa difficoltà nel trovare la
propria strada. Come omaggio a Monica Vitti risulta piuttosto
sconclusionato, con poco da offrire se non una sequenza finale
interamente composta da immagini dell’attrice che riesce sì ad
emozionare, ma per merito della Vitti, che con i suoi occhi grandi
e malinconici o il suo sorriso spiazzante ci ricorda di quanto sia
stata preziosa per il nostro cinema, la nostra cultura, la nostra
storia. Come film sulla malattia, invece, manca di quella
profondità necessaria a rendere giustizia all’argomento, ponendo sì
in evidenza la drammaticità di tale condizione ma senza aggiungere
nulla che non sia già stato detto.
Non aiuta poi una sottotrama, a cui
è legato il personaggio di Timi, che poco o nulla aggiunge al
racconto di Monica e alle sue vicende, ma che anzi vi sottrae
attenzioni e tempo. Si finisce così con l’imbattersi in diversi
spunti interessanti (tra cui si ritrovano gli scambi – di parole o
indumenti – tra Vitti e Rohrwacher resi possibili dal montaggio),
ma affrontati con troppa superficialità. L’emozione dunque si
smorza, il coinvolgimento dello spettatore va pian piano diminuendo
e quello stesso gioco che la protagonista ci aveva invitato a fare
smette di possedere il fascino che poteva avere all’inizio. Il film
finisce dunque, ironia della sorte, con l’essere facilmente
dimenticabile.
Vision
Distribution ha diffuso il trailer ufficiale di
Mi chiamo Francesco Totti, il documentario sul
capitano giallorosso diretto da Alex
Infascelli.
E’ la notte che precede il suo
addio al calcio e Francesco Totti ripercorre tutta la sua vita,
come se la vedesse proiettata su uno schermo insieme agli
spettatori. Le immagini e le emozioni scorrono tra momenti chiave
della sua carriera, scene di vita personale e ricordi inediti. Un
racconto intimo, in prima persona, dello sportivo e dell’uomo.
Diretto da Alex Infascelli, soggetto e
sceneggiatura di Alex Infascelli e Vincenzo
Scuccimarra, il film è tratto dal libro Un Capitano
scritto da Francesco Totti con Paolo Condò (edito da Rizzoli).
Prodotto da Lorenzo Mieli,
Mario Gianani e Virginia Valsecchi, una
produzione The Apartment e
Wildside, entrambe del gruppo
Fremantle, con Capri Entertainment,
Fremantle, con Vision Distribution e
Rai Cinema, in collaborazione con
Sky e Amazon Prime Video. Sarà distribuito da
Vision Distribution nelle sale italiane, che ne
curerà anche le vendite internazionali.
Interrogato sull’identità
dell’ottavo re di Roma, il tifoso dell’omonima squadra di calcio
darà probabilmente sempre la stessa risposta: Francesco
Totti. Come nota egli stesso nel corso del documentario a
lui dedicato, la gente non è abituata a vederlo come un semplice
uomo o calciatore, bensì come un vero e proprio monumento.
Sembrerebbe dunque esserci poco da aggiungere ad una personalità
tanto celebre e celebrata. Eppure, con Mi chiamo
Francesco Totti si dà vita a tutt’altro che un
semplice e scontato documentario celebrativo. Basato
sull’autobiografia “Un capitano”, il film diretto da
Alex
Infascelli ripercorre sì la vita e la carriera del
calciatore, ma lo fa adottando una chiave di lettura
particolarmente affascinante. Ne emerge una toccante riflessione
sulla popolarità, sul rispetto delle proprie radici e, soprattutto,
sul tempo che passa.
Presentato alla 15ª
edizione della Festa del Cinema diRoma, il film, prodotto da The
Apartment e Wildside, sarà in sala come evento speciale
solo dal 19 al 21ottobre. Al suo interno si potrà ritrovare dunque
un lungo e appassionante excursus sulla vita di Totti. Dai primi
palleggi da bambino sino al debutto nella Roma, dallo scudetto
vinto sino al mondiale del 2006. Toccando tando la carriera
sportiva quanto la vita privata, il documentario giunge infine a
raccontare il sofferto ritiro avvenuto nel 2018. Insieme agli
spettatori, Totti ripercorre così tutta la sua vita, come se la
vedesse proiettata su uno schermo. Le immagini e le emozioni
scorrono dando forma ad un racconto intimo, in prima persona, dello
sportivo e dell’uomo.
Mi chiamo Francesco Totti: anche
se il tempo passa…
È fin troppo comune realizzare un
documentario su di una specifica personalità raccogliendo
interviste di persone ad essa legate. È ben più coraggioso, e
originale, affidare invece l’intera narrazione al diretto
interessato. In Mi chiamo Francesco Totti, infatti,
l’unica voce udibile è proprio quella del calciatore. Con
semplicità, umiltà e umorismo, egli conduce il pubblico nel
racconto della sua vita, come fosse un lungo monologo interiore. Si
parte dalla notte precedente alla sua ultima partita, per poi
compiere un lungo salto all’indietro, tornando sino alle origini di
Totti come bambino e calciatore. Tale riavvolgimento del nastro
permette di rendere sin da subito chiaro il cuore del film: il
passare del tempo.
Totti gioca con lo spettatore,
commenta le immagini, le ferma, le rimanda indietro per poterle
riguardare e riscoprire. In questo suo desiderio di voler fermare
il tempo, non potendo credere a quanto ne sia già passato, egli
diventa estremamente umano, universale. Nel corso del racconto si
trova ad affermare che al momento di iniziare una partita
“svestiva i panni di Francesco e indossava quelli di
Totti”. Ma qui egli non si trova sul campo da gioco, e può
così compiere l’azione contraria. Lascia da parte Totti per mettere
in mostra Francesco, rivelandone paure e speranze. Se da una parte
ciò permette di avere l’ennesima conferma della sua bontà d’animo e
della sua umiltà, valori mai corrotti dal successo, dall’altra
mostra di lui aspetti inediti, e particolarmente affascinanti.
Si scopre così una personalità più
complessa di quello che si potrebbe immaginare, eppure allo stesso
tempo in cui molti possono ritrovarsi. Infascelli evidenzia infatti
come la storia di Totti sia anche quella di un’intero popolo.
Costruendo una vera e propria epica intorno al calciatore, permette
a chiunque di ritrovarsi dentro di lui, rendendo chiara
l’importanza della sua figura. Egli è sì un monumento, ma anche
un’eccezione, un unicum forse irripetibile. Il documentario è
estremamente chiaro nel trasmettere ciò, con una sequenza di eventi
più o meno noti ma su cui c’è ancora molto altro da poter dire. E
il fatto che a dirlo sia lo stesso Totti è nettamente un valore
aggiunto all’intero progetto.
Mi chiamo Francesco Totti: la
recensione
L’intero documentario è costruito
sul calciatore, si adatta alla sua personalità esaltandola. Questo
è un’altra palla ai suoi piedi, con la quale dimostra la maestria
di sempre. Tra il ricordo del suo mito Giannini al rapporto con i
vari coach susseguitisi nel tempo, dalla relazione con Ilary Blasi
fino al periodo dell’infortunio, Totti si destreggia nel racconto
giungendo fino alla rete, dove fa goal nel momento in cui lo
spettatore è posto davanti alle immagini del suo ritiro. È lì che
tutto acquista senso, che tutto quell’aver ripercorso la sua vita e
la sua carriera arriva al culmine. Con la voce narrante di Totti è
possibile divertirsi, sorprendersi ed esaltarsi, e giungendo al
finale si rimane sovrastati dalle emozioni, dalla commozione per
quel ritiro che ora si avverte un po’ anche come proprio.
È questo un momento che ha segnato
il mondo sportivo e non solo. Consapevoli della grandezza del
personaggio, regista e produttori lavorano per rendere il
documentario fruibile anche da chi di calcio non si è mai
particolarmente interessato. La sincerità con cui il racconto orale
accompagna quello delle immagini risulta infatti estremamente
comprensibile a livello generale, perché Mi chiamo Francesco
Totti non è un film sul calcio o su un calciatore, bensì su di
un uomo. Un uomo con tutti i pregi e i difetti del caso, ma dotato
di una passione non comune, a cui ha sempre dato tutto sé stesso
fino alla fine.
Mi chiamo Francesco
Totti verrà presentato in anteprima alla Festa del
Cinema di Roma e sarà nelle sale come evento speciale il
19, 20 e 21 ottobre, distribuito da Vision
Distribution.
MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI
È la notte che precede il suo addio
al calcio e Francesco Totti ripercorre tutta la
sua vita, come se la vedesse proiettata su uno schermo insieme agli
spettatori. Le immagini e le emozioni scorrono tra momenti chiave
della sua carriera, scene di vita personale e ricordi inediti. Un
racconto intimo, in prima persona, dello sportivo e dell’uomo.
Diretto da Alex
Infascelli, soggetto e sceneggiatura di Alex
Infascelli e Vincenzo Scuccimarra, il
film è tratto dal libro Un Capitano scritto da Francesco Totti con
Paolo Condò (edito da Rizzoli).
Prodotto da Lorenzo Mieli,
Mario Gianani e Virginia Valsecchi, una
produzione The Apartment e Wildside, entrambe del gruppo Fremantle,
con Capri Entertainment, Fremantle, con Vision Distribution e Rai
Cinema, in collaborazione con Sky e Amazon Prime Video. Sarà distribuito da Vision
Distribution nelle sale italiane, che ne curerà anche le vendite
internazionali.
Dopo essere stato presentato
all’ultima Festa del Cinema di Roma, Mi chiamo Francesco Totti arriva in home video
in formato DVD insieme a Universal Pictures Home Entertainment
Italia a partire dal prossimo 3 dicembre.
Diretto da Alex
Infascelli, il documentario si pone l’obiettivo di
raccontare con umiltà l’uomo dietro la leggenda e oltre “il
capitano”, ripercorrendo la sua vita con le parole dello stesso
protagonista. Il regista porta quindi Totti sulla stessa dimensione
dello spettatore, senza però ridurre le sue gesta sportive. Per
riuscire in questo, viene scelta la modalità del racconto in prima
persona, coinvolgendo così totalmente Francesco, che diventa la
sola voce narrante della storia. Una narrazione che è diretta
rappresentazione di ciò che Totti per primo evidenzia come
importante nella sua storia, la storia che lo ha portato sino a
qui: una storia di calcio, certo, ma soprattutto di famiglia e
senso di appartenenza.
È la notte che precede il suo addio
al calcio e Francesco Totti ripercorre tutta la
sua vita, come se la vedesse proiettata su uno schermo insieme agli
spettatori. Le immagini e le emozioni scorrono tra momenti chiave
della sua carriera, scene di vita personale e ricordi inediti. Un
racconto intimo, in prima persona, dello sportivo e dell’uomo.
Arrivato al suo sesto
lungometraggio, il regista Alex Infascelli ha già
ottenuto due David di Donatello, un Nastro d’Argento e un Ciak
d’Oro, oltre ad aver diretto più di 50 video musicali e due
miniserie per Sky, per il quale ha ottenuto il premio come miglior
regista italiano al Roma Fiction Fest.
Soggetto e sceneggiatura di
Alex Infascelli e Vincenzo
Scuccimarra, il film è tratto dal libro Un
Capitano scritto da Francesco Totti con
Paolo Condò (edito da Rizzoli). Prodotto da
Lorenzo Mieli, Mario Gianani e Virginia
Valsecchi, una produzione The Apartment e
Wildside, entrambe del gruppo Fremantle, con Capri
Entertainment, Fremantle, con Vision Distribution e Rai Cinema, in
collaborazione con Sky e Amazon Prime Video.
Nel centro culturale di
Scena, collocato nel cuore verde di Roma e poco
distante dalle acque del Tevere, si è tenuta la presentazione
evento di Mi chiamano Cipolla,
documentario di sessanta minuti prodotto da
FilmKultur e Soul Film Production in collaborazione con
l’associazione culturale Greve61, fondata nel 2013
da professionisti del cinema diplomati presso la Scuola
d’Arte cinematografica Gian Maria Volonté. A dirigere il
documentario, con protagonista Jasmin
Ramovic, Giansalvo Pinocchio e
Riccardo Baiocco (anche in veste di
produttori esecutivi), il primo diplomato in Regia proprio
alla Scuola Volonté, il secondo invece specializzato in critica
cinematografica alla Scuola Sentieri Selvaggi. Ramovic, invece, che
è fulcro e cuore della storia, è un rom nato in
Bosnia, trasferitosi a Roma quando era bambino e che soffre di
analfabetismo.
Il film nasce quattro anni fa
proprio nella Scuola Gian Maria Volonté, per poi
essere presentato nell’ambito del Torino
Film Festival e proiettato anche in altre occasioni
festivaliere quali il Laceno d’Oro e il Los Angeles Italia Film
Festival. Inoltre, Mi chiamano
Cipolla, era stato inizialmente pensato
come un cortometraggio dalla durata di 34 minuti, in cui erano
comprese solo le sequenze nel parcheggio della roulotte e nella
casa popolare. Solo in seguito, nel 2021, dopo il COVID, le riprese
sono proseguite, dando un taglio e un tono diverso a tutto il
girato. E’ stata modificata la trama, alcune scene sono state
tagliate e altre inserite, fino a trasformarlo nel documentario che
oggi si conosce.
Poco prima della visione di
Mi chiamano Cipolla, Greve 61 ha
presentato il lavoro che si svolge all’interno dell’associazione e,
poi, il contributo dato al documentario: “I membri
dell’associazione spesso lavorano nei film e nelle attività
cinematografiche, e una di queste è proprio Mi chiamano
Cipolla, che la Greve61 ha sostenuto soprattutto
all’inizio della lavorazione”, dicono, “lo abbiamo fatto
principalmente perché era realizzato da uno dei nostri
soci, ed era un lavoro interessante e soprattutto non
piccolino. Per cui siamo molto felici di presentarlo.” “In questo
momento stiamo rilanciando l’associazione dopo tanti anni di
attività, che principalmente sono stati di promozione sul
territorio di cinema, autoproduzioni, cortometraggi, facendo anche
dei laboratori. Il nostro scopo è sempre stato quello di coniugare
l’attività di produzione interna, anche creando rete, a quella di
promozione e di attività sociale sul territorio. E poi abbiamo
pensato di rilanciarci con un evento in cui potessimo conoscerci e
in cui fosse presente anche un bel film (Mi
chiamano Cipolla ndr).”
L’evento è dunque occasione per
svolgere attività di promozione, ma si trasforma anche in un
momento di aggregazione e incontro, sia con gli addetti ai lavori
che con tutti coloro i quali vogliono affacciarsi a questo mondo e
avere perciò un punto di contatto. Uno dei tramiti è, per
l’appunto, proprio il documentario Mi chiamano
Cipolla che, nella cornice di Scena, ha creato
l’atmosfera giusta per spingere, chi volesse, ad addentrarsi
nell’universo del cinema e dell’associazione, esprimendo le proprie
idee e confrontandosi. Facendo al contempo conoscere un progetto
molto toccante, nel quale vengono trattati argomenti profondi e
molto attuali.
Mi chiamano Cipolla, la trama
Fiera di Roma. Jasmin Ramovic è un
rom che vive in un campo fuori la Capitale insieme alla sua
numerosa famiglia, con la paura costante di essere mandato via
ancor prima che gli venga assegnata una casa popolare, avendo
ricevuto un avviso di sfratto. Quando finalmente il Comune permette
a parte del suo nucleo di trasferirsi, Jasmin, detto “Cipolla”, si
trova davanti una serie di altre difficoltà, fra cui una
discussione con il padre che lo caccia di casa. Mentre gira per
Roma, recandosi spesso alla Comunità di Sant’Egidio, il
protagonista deve fare i conti con la propria solitudine e le
proprie fragilità, cercando di darsi ogni giorno la forza per
andare avanti, anche quando sembra tutto andare a rotoli.
Il film
Mi chiamano
Cipolla è un documentario che pone al centro della
sua narrazione il protagonista, Jasmin, attorno al quale si ergono
e ruotano i problemi burocratici in cui è invischiato, molti
inerenti al suo inserimento nella società ma anche al suo non
riuscire a comunicare a causa del suo analfabetismo, a cui si
accostano conflitti familiari e tradizioni rom. La macchina da
presa indugia sempre su di lui, lo segue ininterrottamente,
costruendo una ricca galleria di primi piani. A queste immagini si
alternano riprese fatte proprio dalla sua comunità oppure dallo
stesso Jasmin, che si riprende nelle attività quotidiane per
testimoniare il suo vissuto e il suo percorso, dialogando molto con
i registi, i quali sono udibili in fuoricampo, fino a comparire
nelle battute finali.
Mi chiamano
Cipolla è un film che affronta le
difficoltà degli stranieri, in particolar modo
degli zingari, di coloro che faticano a trovare un
posto nel mondo e spesso vengono anche dimenticati, diventando
quasi dei fantasmi. Persone fragili ma che, come dimostra Jasmin,
sono in grado di trovare la forza nelle piccole cose, credendo in
un futuro migliore. Un racconto che pone l’accento sul
nostro sistema sociale, e su quanto bisogna faticare per
potersi guadagnare un misero tetto sotto cui dormire, sentendosi
finalmente al sicuro e tranquilli.
Jasmin, che come dicono gli stessi
registi è un tipo molto particolare e bizzarro, parla a cuore
aperto, lo fa anche con il pubblico in sala quando ringrazia i suoi
compagni di viaggio, e sia in quella circostanza che nel film si
mostra senza filtri. A volte inciampa nelle sue stesse bugie,
questo accade nel filmato, ma poi trova il modo, sempre, di
rialzarsi. Mi chiamano Cipolla è un
documentario in cui tutto quello che si vede è realtà, netta e
chiara. Nessun fronzolo, nessun abbellimento, nessuna retorica.
Solo tanta sincerità e voglia di vivere.
Secondo alcune voci dell’ultima ora,
la MGM, uno dei più antichi studi cinematografici
in attività, starebbe valutando la possibilità di una vendita di
tutte le sue risorse, inclusa la sua vasta libreria di film, che
include anche il franchise di James Bond. Inaugurata nel 1924, la MGM prende
il nome dai tre studi che sono stati consolidati dalla leggenda del
cinema Marcus Loew: Metro Pictures, Goldwyn Pictures e Louis B.
Mayer Pictures. Loew ha anche fondato la famosa catena di cinema
che portava il suo nome, che è stata rilevata da AMC nel 2006, a
sua volta in difficoltà finanziarie.
Lo studio è meglio conosciuto per
aver prodotto i film di
James Bond, insieme a EON Productions, dall’inizio del
franchise. La serie è attualmente arrivata al 25esimo episodio,
No Time to
Die, che è stato più volte posticipato a causa del
Coronavirus. La MGM ha anche prodotto una serie di altri grandi
film, tra cui la serie de La Pantera Rosa, i titoli della
saga di Rocky con Sylvester Stallone e persino la trilogia
de Lo Hobbit. È anche responsabile di alcune serie tv di
successo, da Stargate SG-1 a The Handmaid’s Tale. Nell’ultimo
decennio, i film dello studio sono stati distribuiti da un certo
numero di società, in seguito al suo quasi fallimento nel 2009.
Nonostante sia sopravvissuta a quella crisi, sembra però che MGM
non sopravviverà alla pandemia.
Il
Wall Street Journal riporta, infatti, che la
MGM starebbe attivamente cercando di vendere lo
studio attraverso le banche di investimento Morgan Stanley e
LionTree LLC. Il report sottolinea che MGM sarebbe stata valutata a
5,5 miliardi di dollari, un numero che include non solo tutti i
suoi titoli attuali, ma l’intera cineteca storica. Secondo quanto
riferito, la società è fiduciosa che un servizio di streaming, o
un’azienda che desidera espandere la propria portata in termini di
streaming, sarà disposta a pagare quella cifra apparentemente alto
per i suoi contenuti.
MGM vuole vendere: quale futuro per James Bond?
Se la vendita dovesse andare a buon
fine, la MGM diventerà il primo grande studio cinematografico ad
essere “schiacciato” dalla pandemia. Lo studio ha dovuto fare i
conti con il fatto che nessuno dei suoi film è arrivato nelle sale
nel 2020. Ad un certo punto si era parlato della possibilità di
vendere No
Time to Die ad un grosso servizio di streaming.
Tuttavia, nessuno sembrava essere disposto a pagare 600 milioni di
dollari per accaparrarsi il film con
Daniel Craig: inoltre, ulteriori ritardi in merito
alla release sarebbero costati allo studio 1 milione di interessi
al mese. All’epoca, in molti si chiedevano come sarebbe riuscita la
MGM a sostenere quel tipo di debito, viste le sue precedenti
difficoltà finanziarie.
La risposta, ormai chiara, è che non
è possibile. Senza alcun reddito e senza un’opzione di streaming a
cui rivolgersi, come Disney o Warner Bros., MGM sembra aver
terminato le disponibilità e, di conseguenza, le opzioni. Se lo
studio verrà venduto, sarà certamente un giorno triste nella storia
del cinema, anche se non del tutto sorprendente, viste le
difficoltà che l’industria ha dovuto affrontare nel corso del 2020.
La vendita avrà sicuramente ripercussioni anche per No Time to Die. Se
la MGM verrà presto venduta, il film di Bond potrebbe alla fine
ritrovarsi davvero a essere distribuito su un servizio di
streaming.
In occasione del 40°
anniversario del leggendario western comico Mezzogiorno e
Mezzo di FuocoWarner Bros.
Entertainment Italia celebra la ricorrenza con un imperdibile
edizione Blu-ray disponibile a partire dal 22 Maggio.
Mel
Brooks dissacra, deride e diverte con questa pazza
commedia, autentica raccolta digag, battute e giochi di parole,
dove sceneggiatura, ambientazione e cast (Gene
Wilder, Madeline Kahn e lo
stesso Mel Brooks) demoliscono con cura tutti
i miti e gli stereotipi del vecchio West.
Il Blu-ray del film è
arricchito da imperdibili Contenuti Speciali: delle scene
inedite del film, il trailer e
il commento al film del regista Mel Brooks.
SINOSSI
Far West. La ferrovia deve passare
per Rock Ridge, una placida, sonnolenta cittadina della campagna
americana. C’è già chi si frega le mani: la terra varrà una
fortuna. Ma i proprietari delle terre sono gli stessi cittadini di
Rock Ridge. Come fare a cacciarli via? Un’idea potrebbe essere
quella di farvi arrivare una banda di uomini dei più rozzi,
violenti e testardi che esistano e nominare sceriffo qualcuno che
sicuramente non durerà più di 24 ore.
CONTENUTI
SPECIALI
L’ edizione
Blu-rayTM di Mezzogiorno e Mezzo di
Fuoco include i seguenti contenuti speciali:
Sul finire degli anni Novanta, dopo
aver diretto film come Gli spietati, Un mondo perfetto e
Potere assoluto, il
premio Oscar Clint Eastwood
diede vita a quello che è ancora oggi uno dei suoi lavori meno
citati e conosciuti. Si tratta di Mezzanotte nel
giardino del bene e del male, da lui diretto nel 1997
e basato su una vicenda realmente avvenuta. Un thriller intriso di
dramma che si fonda sul mistero e sull’ossessione nei confronti di
fatti scabrosi. Scritto da John Lee Hancock (anche
noto per aver diretto The Blind Side e The Founder) il film si
basa però primariamente sul libro omonimo di John
Berendt.
Pubblicato nel 1994, questo
ripercorre la vicenda di un crimine avvenuto nei primi anni
Ottanta, che sconvolse particolarmente l’opinione pubblica. Il
tutto viene però narrato riadattando la storia affinché assumesse
un taglio più romanzesco. Rimasto affascinato dal libro, Eastwood
decise di curarne la regia per il cinema. Il film non venne però
accolto positivamente né dalla critica né dagli spettatori,
divenendo uno dei maggiori insuccessi di Eastwood. Anche per questo
motivo è oggi un titolo quasi dimenticato della sua filmografia,
schiacciato tra opere di valore di gran lunga maggiore.
Mezzanotte nel giardino del bene
e del male è tuttavia anche per tale motivo un film di
Eastwood da recuperare, che offre l’opportunità di imbattersi in
un’opera del regista diversa da quella con cui si è reso celebre,
con tutti i suoi pregi e difetti. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori, al libro e alla storia
vera. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Mezzanotte nel giardino del
bene e del male: la trama e il cast del film
Protagonista del film è il
giornalista John Kelso, arrivato a Savannah per
scrivere un articolo sul ricco antiquario Jim
Williams. Nel corso della festa organizzata da
quest’ultimo nella sua abitazione, però, si presenta anche un
giovane di nome Billy, il quale, ubriaco, inizia
un forte litigio con Williams che termina poi con l’omicidio
proprio del giovane. L’arresto del ricco antiquario e il processo
che ne segue appaiono agli occhi di Kelso come l’occasione d’oro
per scrivere qualcosa di significativo. Più il caso va avanti, più
emergono dettagli e verità sul rapporto tra William e Billy. Ben
presto, Kelso capirà di avere a che fare con una storia molto più
intricata del previsto.
Ad interpretare il giornalista John
Kelso vi è l’attore John Cusack, da
Eastwood scelto dopo averlo visto recitare in L’ultimo
contratto. Nei panni di Billy vi è un giovane Jude Law, qui
in uno dei suoi primi ruoli di rilievo, mentre Alison
Eastwood, figlia di Clint, interpreta la cantante Mandy
Nichols, scelta senza che il padre sapesse che i produttori
l’avevano selezionata per la parte. Sono poi presenti gli attori
Jack Thompson nel ruolo dell’avvocato Sonny Seiler
e Irma P. Hall in quelli di Minerva. Lady
Chablis, drag queen descritta nel libro di Berendt è
invece stata chiamata ad interpretare Frank “Chablis” Daveau, una
versione romanzata di sé stessa.
Di particolare importanza è la
presenza del premio Oscar Kevin Spacey,
il quale interpreta invece Jim Williams. La sua performance in
questo ruolo fu però particolarmente criticata, specialmente da
Berendt. Quest’ultimo si offrì infatti di aiutare l’attore
fornendogli indicazioni sul modo di parlare e comportarsi. Spacey,
però, avrebbe preferito fare da sé, dando vita ad una voce e un
modo di parlare molto particolari, molto diversi da quelli che il
vero Williams aveva e che Spacey, secondo Berendt, doveva
erroneamente aver fatta suoi dopo aver ascoltato le registrazioni
di Williams durante il suo quarto processo, durante il quale era
però sotto effetto di valium.
Mezzanotte nel giardino del
bene e del male: la storia vera e il libro
La storia di Mezzanotte nel
giardino del bene e del male, come anticipato, è quella del
ricco antiquario James Arthur Williams, noto per
aver contribuito alla preservazione di alcuni distretti storici di
Savannah, in Georgia. Williams è però poi divenuto particolarmente
celebre quando il 2 maggio del 1981 è stato arrestato con l’accusa
di aver sparato e ucciso il ventunenne Danny
Hansford. Quel giorno i due, i quali, come venne rivelato
in seguito, avevano una relazione omosessuale, ebbero un duro
scontro nella residenza di Williams. Quest’ultimo affermò di aver
poi sparato al giovane per autodifesa in quanto anche Hansford era
armato. In seguito all’arresto, Williams dovette affrontare ben
quattro processi.
Ogni volta nuove prove o errori
giudiziari portavano alla riapertura del caso e Williams passò da
una sentenza di carcere a vita all’essere infine assolto, nel
maggio del 1989. Per Williams, però, la libertà durò poco. Il 14
gennaio del 1990 egli collassò e morì nel suo studio, lì dove era
morto anche Hansford, per via di una polmonite e di
un’insufficienza cardiaca. Tale vicenda viene dunque riproposta, in
chiave romanzata, nel libro di Berendt, divenuto uno dei principali
best sellers del suo anno. Nell’adattamento di questo in film,
però, si decise di cambiare i nomi di alcuni personaggi, riducendo
inoltre il numero di processi da quattro a uno. Modifiche che ad
ogni modo non nascondono la storia a cui ci si ispira.
Mezzanotte nel giardino del
bene e del male: il trailer e dove vedere il film in streaming
e in TV
È possibile fruire di
Mezzanotte nel giardino del bene e del
male grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema, Google
Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
lunedì 3 aprile alle ore 21:00
sul canale Warner TV.
01 Distribution ha diffuso
il primo trailer di Metti la nonna in freezer, il nuovo film con
Fabio De Luigi e Miriam Leone in arrivo nelle sale italiane del
prossimo 15 marzo.
Diretto da Giancarlo
Fontana e Giuseppe G. Stasi, il film vede
nel cast anche Lucia Ocone, Marina Rocco, Eros
Pagni e Barbara Bouchet.
Il più incorruttibile e
maldestro dei finanzieri, Simone Recchia (Fabio De Luigi), si
innamora perdutamente di Claudia (Miriam Leone),una
giovane restauratrice che vive grazie alla pensione della nonna
(Barbara Bouchet).
Quando la nonna improvvisamente
muore, per evitare la bancarotta, Claudia, con la complicità delle
sue amiche (Lucia Ocone e Marina Rocco), pianifica una truffa per
continuare ad incassare la pensione…
Travestimenti, equivoci ed
ingegnose bugie sono gli ingredienti per questa nuova ed
irriverente commedia sulla difficoltà di sbarcare il lunario ai
tempi della crisi, firmata dai giovani Giancarlo Fontana e Giuseppe
G.Stasi.
In occasione dell’anteprima di
Metti la Nonna in Freezer, abbiamo incontrato i
protagonisti e le menti che hanno reso possibile la realizzazione
della pellicola.
Il film rientra nel lungimirante
progetto ADOTTA UN FILM promosso da
01 Distribution e
Rai Cinema (con la collaborazione dei circuiti
UCI Cinemas e The Space Cinema),
volto a sostenere i giovani registi italiani.
Dietro la macchina da presa di
Metti la Nonna in Freezer troviamo due giovani
talenti, Giancarlo Fontana e Giuseppe
Stasi, qui al loro primo lungometraggio per le grandi
sale. I loro inizi risalgono però al web e alla televisione, per la
quale nel 2014 girarono il loro primo film Amore Oggi. “Il
passaggio dal piccolo al grande schermo si è rivelato meno
difficile del previsto” affermano i due registi. “Questo
soprattutto grazie alla sceneggiatura perfetta, opera di Fabio
Bonifacci. Abbiamo cercato di fare una black comedy. É un genere
piuttosto insolito nel panorama cinematografico italiano ma invece
la realtà di tutti i giorni in Italia ci offre davvero tanti spunti
a riguardo.”
Il soggetto è firmato dallo
sceneggiatore Fabio Bonifacci e da Nicola
Giuliano, dal quale nasce l’intera idea del film:
“Nicola aveva letto un articolo su una nonna del cuneese che
era stata messa in freezer perché i familiari continuassero ad
usufruire della sua pensione. È un genere di articoli che si
trovano ciclicamente nei giornali degli ultimi dieci anni”
dice Bonifacci “Inizialmente ero restio, ma con un po’ di
insistenza da parte della produzione, mi ci sono messo di impegno e
le idee sono venute giù a cascata. Partendo sempre dall’esilarante
trovata di una nonna surgelata che però doveva andare in giro e
tutti si mettono a cercarla”.
“Mi sono anche reso
conto” continua Bonifacci “che dal film emerge una cruda
realtà: Non si può essere onesti da soli. L’onestà è una virtù
sociale e la disonestà è un virus. Nel film vediamo come chi è
onesto venga “contagiato” di disonestà senza poterci fare
nulla”.
L’esilarante trittico di donne
protagoniste –
Miriam Leone, Marina Rocco e Lucia
Ocone – raccontano quanto si siano divertite anche dietro
le quinte “Sin dal primo Ciak era difficile rimanere
serie” afferma la Ocone “ci è venuto tutto molto
naturale”.
Miriam Leone,
vista prevalentemente in ruoli drammatici, sorride pensando a
quanto le sia piaciuto finalmente passare al genere della commedia:
“Sul set eravamo un’orchestra ben accordata. Mi serviva lasciar
andare un po’ i miei ruoli “seriosi” e planare su cose più leggere,
quindi sono grata al personaggio di questo film”.
Fabio de Luigi, il
protagonista maschile della commedia, sottolinea quanto si sia
sentito onorato di essere circondato da questo gineceo di grandi
professioniste. Parlando della storia poi afferma: “Il
film è un mix tra black comedy e commedia sentimentale, ma non
solo, è difficile inserirlo in un contesto definito”.
Nel ruolo della nonna surgelata una
Barbara Bouchet contenta, a suo dire, di poter
finalmente interpretare la parte della nonna. “Da anni Volevo
togliermi di dosso questa cosa del “simbolo del sesso”. Cerco
da anni un ruolo da donna della mia età. Fatemi vecchia! Fatemi
Brutta! Il mondo è andato avanti e io insieme al mondo” dice la
Bouchet “per calarmi nel ruolo della morta, mi sono fatta
ricoverare in ospedale per una settimana. Per me questa parte è un
piccolo scalino, spero che alla fine qualcuno lá fuori dica “Non è
più la Bouchet di una volta! Può fare anche altro!”
Sono iniziate le riprese del film
Metti la nonna in freezer. Il più incorruttibile e
maldestro dei finanzieri (Fabio De Luigi), una
giovane restauratrice (Miriam Leone) che vive
grazie alla pensione della nonna e la nonna (Barbara
Bouchet) che all’improvviso muore: sono gli ingredienti
per una nuova commedia irriverente sulla difficoltà di sbarcare il
lunario ai tempi della crisi, diretta dai giovani Giancarlo
Fontana e Giuseppe G. Stasi.
Nel cast Fabio De Luigi e
Miriam Leone con Lucia Ocone, Marina Rocco, Susy
Laude,
Francesco Di Leva, Eros Pagni, Carlo De Ruggieri, Maurizio
Lombardi e con Barbara Bouchet.
“Metti la nonna in freezer” è scritto da
Fabio Bonifacci e prodotto da Indigo
Film con Rai Cinema. Il film verrà girato a Roma e
provincia e sarà distribuito da 01 Distribution.
La carriera di Giancarlo
Fontana e Giuseppe G. Stasi inizia nel
2010, quando realizzano lo spoof trailer satirico
Inception_Berlusconi, che in pochi giorni
ottiene oltre 1 milione di visualizzazioni su Youtube, da
allora i due registi iniziano a collaborare con La7, Rai e Sky
Italia. Nel 2012 Fontana e Stasi vincono il Premio Forte dei Marmi
per la Satira Politica per il Web. Nel 2014 firmano il loro
primo lungometraggio,Amore Oggi,
realizzato da Inception e prodotto da Sky Cinema.
Trasmesso sui canali Sky e successivamente nelle sale
cinematografiche.
Diretta nel 2018 da
Giancarlo Fontana e Giuseppe
Stasi, la commedia
Metti la nonna in freezer (qui
la recensione) rientra nel genere della black comedy,
giocando sul confine labile tra legalità e illegalità, tra
precariato e sotterfugi, tra sensi di colpa e necessità di
sopravvivenza. Tutti elementi che lo hanno reso questo film
piacevole e divertente in grado di affascinare il pubblico con
leggerezza e irriverenza, pur sollevando una serie di riflessioni
sull’attuale società italiana e alcune delle sue problematiche.
Anche per questo, il film ha saputo riscuotere un grande successo
nelle sale.
Fontana e Stati, una coppia di
giovani registi e autori diventati famosi grazie ad alcuni video
virali diffusi sul web e ad una serie di cortometraggi, hanno
dunque debuttato sul grande schermo della sala cinematografica con
quest’opera, distintasi come tra le più apprezzate tra quelle
prodotte in Italia nel suo anno. Il film, inoltre, ha il merito di
aver proposto una riuscitissima coppia di protagonisti: quella
formata da Fabio De Luigi e Miriam
Leone.
Per gli appassionati di questo
genere, si tratta dunque di un titolo da non perdere, capace di
divertire e far riflettere. n questo articolo, approfondiamo dunque
alcune delle principali curiosità relative a
Metti la nonna in freezer. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alla storia vera dietro al film.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.
La trama e il cast di Metti
la nonna in freezer
Il film ha per protagonisti
Simone Recchia, un finanziere impacciato ma
incorruttibile, pronto a perseguire giustizia a tutti i costi, e
Claudia, una giovane restauratrice che vive grazie
alla pensione della nonna, mentre aspetta da tempo di essere pagata
dallo Stato per il lavoro svolto. Quando l’anziana signora
improvvisamente muore, Claudia deve trovare un escamotage per
evitare la bancarotta e riuscire a sbarcare il lunario. Così, con
la complicità delle sue amiche, pianifica una truffa che le
permetta di continuare a incassare la pensione della nonna.
Ad interpretare Simone Recchia vi è
Fabio de Luigi. L’attore è sempre stato la
prima scelta per il ruolo, ma – al momento della proposta – era già
impegnato in altri progetti. I due registi hanno dunque aspettato
che fosse libero e disponibile per poterlo avere nel ruolo e
realizzare il film. Ad interpretare Claudia, invece, vi è Miriam Leone. Per la sua interpretazione, è
stata poi candidata ai Nastri d’Argento come Miglior attrice
protagonista. Recitano poi nel film Lucia Ocone
nel ruolo di Rossana, Marina Rocco in quello di
Margie.
Maurizio Lombardi
in quello di Rambaudo e Francesco Di Leva in quello di Gennaro.
Infine, l’attrice Barbara Bouchet interpreta il
ruolo della nonna di Claudia. A riguardo, l’attrice ha dichiarato
che, non appena i registi le hanno proposto tale ruolo, ha
accettato immediatamente. Stando a quanto da lei chiacchierato,
l’attrice voleva infatti liberarsi una volta per tutte
dell’etichetta di sex symbol, ottenuta con i suoi ruoli di
gioventù, e calarsi invece cnel ruolo di una “vecchia” signora,
dimostrando così di saper e poter fare anche altro.
Le location del film: ecco dove è
stato girato
Per quanto riguarda le location dove
si sono svolte le riprese, la villa dove Claudia abita con la nonna
si trova in Via di Ronciglione, a
Sutri, in provincia di Viterbo,
dove la maggior parte delle scene sono state girate. Nel comune di
Castel Sant’Elia, invece, è stata girata la scena
in cui Claudia comunica qualcosa di importante alle sue colleghe
restauratrici, nella Basilica di Sant’Elia. Il
primo incontro tra Simone e Claudia, nel palazzo della
Soprintendenza alle Belle Arti, avviene a Roma, nella Casa
Madre dei Mutilati e delle Vedove di Guerra. Sempre nella
capitale si ritrovano come location il Parco dei
Daini e il Cimitero Flaminio.
La storia vera dietro al film
In molti, guardando il film, si sono
chiesti se fosse ispirato ad una storia vera. Lo sceneggiatore del
film, Fabio Bonifacci, ha rivelato che l’idea
iniziale del film è effettivamente stata tratta da uno spunto
realmente verificatosi, a partire dal quale Nicola
Giuliano, autore del soggetto della pellicola, ha poi
concepito il racconto del film e i suoi personaggi. L’uomo,
infatti, molto tempo prima aveva letto un articolo su una nonna di
Cuneo che era stata messa letteralmente in freezer perché i
familiari potessero continuare a ricevere i soldi della sua
pensione.
Il trailer di Metti la
nonna in freezer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire
di Metti
la nonna in freezer grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple
TV, Rai Play, Netflix e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 2
agosto alle ore 21:30 sul canale
Rai 1.
Il 15 marzo uscirà nei cinema in
Italia una commedia firmata da due giovanissimi
registi, Giancarlo Fontana e Giuseppe
G. Stasi, Metti la Nonna in
Freezer.
Il film è una black comedy che
rientra nell’ambizioso progetto ADOTTA UN FILM
promosso da 01 Distribution e Rai Cinema in collaborazione
con Uci Cinemas e The Space Cinema. Come è accaduto per
Smetto Quando Voglio e Veloce Come il
Vento, questa iniziativa cerca di promuovere le opere di
giovani promesse e – come hanno dimostrato i risultati al
botteghino – ha solitamente un esito molto positivo. Ci auguriamo
che anche Metti La Nonna in Freezer rientri in
questa felice risoluzione, perché il film è un’ottima opera
prima.
Nato da un’idea dello sceneggiatore
Fabio Bonifacci (in collaborazione con
NicolaGiuliano), la storia trae
spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto secondo il quale
una famiglia del cuneese avrebbe continuato ad usufruire della
pensione dell’anziana nonna anche dopo il di lei decesso. Quale
spunto migliore di questo per un commedia dal retrogusto
amarissimo, che riflette per altro sullo stato di estrema
precarietà in cui versano i giovani lavoratori italiani senza
stipendio fisso?
Claudia (Miriam
Leone) è una restauratrice che non percepisce
stipendio da diversi mesi, mantenendo sé stessa e le sue colleghe
(Lucia
Ocone e Marina Rocco) solo grazie
alla pensione della nonna (Barbara Bouchet). Una
volta morta l’anziana parente, le tre donne decidono di metterla
nel congelatore per continuare a prenderne il sussidio economico.
Ma un giorno si innamora di lei un integerrimo agente della Guardia
di Finanza (Fabio
De Luigi), che difficilmente metterà in discussione il
proprio lavoro per amore.
La scelta azzardata di mettere
l’ancora acerba Leone nel ruolo della protagonista
femminile, è ripagata dalla buona prova attoriale di quest’ultima,
aiutata soprattutto dal grandioso cast di contorno che vede il
trittico De Luigi – Ocone-Rocco in posizione di
attacco. I tre si rivelano essere delle scoppiettanti mine vaganti,
assolutamente perfetti nei propri ruoli che alternano fasi pacate a
momenti di estrema concitazione comica.
Non è facile sostenere il serrato
ritmo dei tempi comici, ma la coppia Leone – De
Luigi si incastra perfettamente, producendosi in dialoghi
spesso ai limiti del surreale. I due registi hanno evidentemente
dalla loro un’ampia conoscenza del cinema di genere, e la applicano
con dovizia fin nei particolari apparentemente più insulsi (i
veloci stacchi di camera o le volontarie riprese in Campo Medio che
fanno intuire che anche sullo sfondo accadono cose bizzarre). Anche
l’immissione dell’elemento romantico è azzeccata, in quanto
trattata in modo che non oscuri mai quello che è invece l’elemento
portante della trama, ovvero il grottesco.
Tra nonne surgelate che se ne vanno
in giro in carrozzella, spassosi blitz delle Guardia di Finanza e
giochi a bridge “col morto” (è proprio il caso di dirlo),
Metti laNonna in Freezer è una
riuscita commedia dal sapore leggermente retrò.
Non solo richiama il leggendario
trio statunitense Zucker-Abrahams-Zucker,
che negli anni ’80-’90 ha sfornato cult comici come L’aereo
più pazzo del mondo e Una pallottola
Spuntata; ma – e lo diciamo con le dovute cautele – in
qualche modo riesce a richiamare i lontani echi della screwball
comedy anni ’30, quei duetti scoppiettanti tra
Kathrine Hapburne e Cary Grant
che hanno fatto la storia del cinema.
Metropolis è
un film del 1927 diretto da Fritz
Lang e con protagonisti Alfred Abel (Johann
Fredersen), Gustav Frohlich (Freder Fredersen), Brigitte Helm
(Maria) e Rudolf Klein-Rogge (Rotwang).
Trama: 2026. La
città di Metropolis è divisa in due: ai piani
alti, negli imponenti grattacieli, vivono i ricchi ei dirigenti; in
basso, negl’inferi della città industriale, intere masse di
individui ridotti quasi ad automi e costretti a lavorare senza
requie né speranza. Al vertice di Metropolis c’è
Johann Fredersen, magnate e austero padrone della città. Suo figlio
Freder vive una spensierata giovinezza tra le morbide anse di
lussuosi giardini, ignaro della logica rigidamente e violentemente
classista che governa la società in cui vive; una realtà che il
giovane comincia a scoprire dopo l’incontro con Maria, una
splendida ragazza proveniente dalle profondità operaie convinta che
le condizioni delle masse sfruttate possano essere risollevate
soltanto grazie all’intervento di un salvifico mediatore. Un ruolo
nel quale, passando per una violenta rivolta – ad accendere la
miccia, un automa identico a Maria, veicolo delle vendicative mire
del suo inventore Rotwang – sarà possibile riconoscere Freder,
giunto a una decisiva maturazione.
Analisi: Pellicola
costosissima e tanto amata da
Hitler, Metropolis ci traghetta in futuro che
Lang dipinge guardando cent’anni avanti. Un 2026 per noi dietro
l’angolo e nel quale sarà difficile – come e più di oggi – guardare
un’opera come Metropolis senza la minaccia costante dello
sbadiglio. Non ce ne vogliano Fritz e la sua signora, Thea von
Harbou, le pregevoli menti che stanno dietro al film: la colpa non
è loro, ma i tempi cambiano, e il mondo a portata di click non ha
abbastanza pazienza per sopportare intertitoli e muto (poco cambia
scegliendo una delle tante sonorizzazioni).
Metropolis –
il film capolavoro di Fritz Lang
Detto
questo, Metropolis è un indiscusso gioiello
espressionista e un’opera d’arte che respira a pieni polmoni aria
di Novecento. Trionfo di geometrie imprendibili, creatura stillante
vapori industriali, sinfonia cittadina che si concede una trama e
che non smette per un attimo – come darle torto – di amare il
nuovo, pericoloso e affascinante mondo della tecnica e
dell’automazione.
Metropolis non è
così manicheo e retorico come a volte è stato detto, e come si
potrebbe pensare dalle prime battute; anzi, soprattutto per quanto
concerne la rappresentazione delle masse, del “popolo”, la coppia
Lang/von Harbou evita bagni di candore e, pur portando sullo
schermo una situazione di sfruttamento ben riscontrabile nel mondo
d’allora (magari anche nel nostro, purché ci si allontani un po’ da
casa), non ci consegna una creatura costruttrice del suo bene e di
quello della società, ma un soggetto tumultuoso, pigro, capace di
ciechi spasmi. E, soprattutto, bisognoso di un mediatore, una
figura che ne indirizzi e controlli l’azione e i sentimenti.
Memorabile e testimone dell’arte di
Lang la breve sequenza dello spogliarello del robot-Maria in un
bordello d’elìte; con notevole perizia tecnica, in questo frangente
s’intrecciano l’ardito strip dell’automa, le sofferenze del povero
Freder costretto a letto e preda di allucinazioni e gli occhi
bramosi dei ricchi avventori, le cui pupille invadono e tappezzano
lo schermo grazie a un certosino lavoro in stop-motion.
Metropolis: un
film da vedere. Una volta, una sola, prima che sia fisiologicamente
troppo tardi.
Metropolis al
cinema fu proiettato per la prima volta il 10 gennaio
1927 all’Ufa-Palast am Zoo di Berlino.
Note. film muto del 1927
diretto da Fritz Lang, considerato il capolavoro del regista
austriaco. È tra le opere simbolo del cinema espressionista ed è
universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema
di fantascienza moderno, avendo ispirato pellicole quali
Blade Runner e Guerre
stellari.
10 Curiosità sul film
Metropolis
La produzione impegnò la troupe
per diciannove mesi: trecentodieci giorni di riprese.
Sessanta notti furono necessarie
per produrre 600.000 metri di pellicola.
Erich Pommer e la casa di
produzione UFA non badarono a spese per la lavorazione, assoldando
36.000 comparse.
La lavorazione si protrasse dal 22
maggio 1925 al 30 ottobre 1926.
I Numeri: Vennero girati 620.000
metri di negativo, e impiegati (secondo la pubblicità) 8 attori di
primo piano, 25.000 uomini, 11.000 donne, 1.100 calvi, 750 bambini,
100 uomini di colore, 3.500 paia di scarpe speciali, 50
automobili.
L’investimento superò i 5 milioni
di marchi tedeschi di allora.
Queste spese non vennero coperte
dagli introiti della distribuzione, tanto che la UFA andò in
bancarotta
Alfred Hugenberg, editore e membro
del Partito Nazista, comprò la casa di produzione trasformandola in
parte nella macchina propagandistica del nazismo.
Correva l’anno 1927 quando,
all’apice dello splendore del cinema muto e della grandi
avanguardie europee, il regista tedesco Fritz
Lang, uno dei grandi esponenti dell’espressionismo
cinematografico assieme a F.W.Murau e
G.W.Pabst, finì di realizzare
Metropolis, colossale ed epica epopea
fantascientifica in celluloide destinata a diventare uno dei grandi
film di culto della storia del cinema, capace di sorvolare il tempo
e rimanere ancora oggi uno dei punti focali della settima arte.
Concepito come un grande affresco
fantastico in chiave futuristica, orchestrato in tre atti proprio
come un’opera lirica, il film fu il prodotto finale di un
travagliatissimo parto creativo scaturito da una stretta
collaborazione fra il visionario regista di origini viennesi e
l’allora compagna e fidata sceneggiatrice Thea von
Harbou, la quale redasse uno script di oltre quattrocento
pagine accompagnato da altrettante illustrazione per un progetto
che già all’epoca si presentava come una immensa sfida, sostenuta
non senza dubbi ed incertezze dalla storica casa di produzione Ufa,
allora invischiata in una crisi economica non indifferente. Ben
prima degli universi distopici immaginati da
Huxley ne Il mondo nuovo
e da Orwell in 1984 nei due
decenni successivi, Lang ci presenta la futuribile e
ipertecnologica città di Metropolis, emblema di una società
apparentemente perfetta e dominata dalla filosofia tayloristica
rigidamente suddivisa in due livelli: quello superiore, in cui si
trovano le caste agiate e dedite al lusso (le menti), e
quello inferiore dove hanno sede i lavoratori sfruttati (le
braccia) per far funzionare le voraci macchine della
città.
Ed è in questo ordine sociale
dominato da una (nemmeno troppo) velata visione capitalistica che
Freder, figlio agiato del magnate della città Federson, viene
casualmente a conoscenza della divisione di classe e della
condizione dei sottoposti, grazie anche all’incontro con Maria,
angelica predicatrice col compito di infondere negli abietti e nei
reietti una luce di speranza. Inizierà così il lungo viaggio di
Freder alla scoperta della verità, viaggio ricco di ostacoli e di
insidie verso il tentativo di ribaltare lo stato delle cose. Oltre
due anni di lavorazione, 25.000 comparse, 600.000 metri di
pellicola per una durata iniziale complessiva che superava le tre
ore, tutto questo per realizzare un film ricco di innovazioni
tecniche e stilistiche, tra cui l’uso pionieristico della nuova
pellicola pancromatica (che permetteva di ridurre i contrasti e di
sviluppare un’immagine più morbida), effetti speciali spettacolare
curati dal creativo direttore della fotografia Eugene
Shufftan (tra cui retroproiezioni, stop-motion e
sovraimpressioni) e un’estetica visiva e recitativa che superava,
pur citandoli a gran voce, i parametri dell’espressionismo.
Si racconta che il film, di fatto
già pronto per essere girato nel 1925, vide ritardare la sua
lavorazione da un improvviso viaggio negli Stati Uniti organizzato
da Lang stesso, il quale, assieme al suo fidato operatore
Karl Freud, decise di recarsi nel nuovo continente
per acquistare nientemeno che le storiche cineprese Mitchell,
all’epoca considerate il top della tecnologia cinematografica.
Girando per le vie di New York, Lang venne letteralmente folgorato
dalla visione dello Skyline lucente nella notte, un’architettura
meravigliosa e futuristica che servì di ispirazione al regista per
inquadrare appieno lo stile visivo del film. Dopo ben due anni e
mezzo di lavorazione e cinque milioni di marchi tedeschi, il film
venne proiettato ufficialmente il 10 gennaio 1927 all’Ufa-Palast am
Zoo di Berlino, già revisionato e ampiamente rimaneggiato nella
durata, rivelandosi un sorprendentemente e clamoroso insuccesso di
pubblico, tanto da decretare il definitivo fallimento della Ufa,
con il conseguente licenziamento dello storico produttore capo
Erich Pommer, e il declino del movimento
espressionista. Durante gli anni ’30 il film, soprattutto per
l’esplicito impianto wagneriano e i numerosi riferimenti tematici a
cavallo fra capitalismo e socialismo, venne fortemente elogiato dal
movimento nazista, tanto da diventare il film preferito nientemeno
che di Hitler in persona, che vedeva nella tematica della
lotta-incontro fra il braccio e la mente una pedina ideologica a
vantaggio del proprio credo politico.
Nel corso degli anni
successivi, un po’ anche a causa di una non adeguata filologia
critica, Metropolis venne ignorato, tanto
che le numerose revisioni e rimaneggiamenti ulteriori contribuirono
a ridurre ancora di più l’opera sino alla ridicola versione da 90
minuti, priva di interi blocchi narrativi, circolata a lungo fino
agli anni ’50, quando la nuova generazioni di critici
cinematografici europei ed americani delle Nouvelles
Vagues rivalutarono pienamente la pellicola, restituendole il
valore ampiamente meritato. Un primo tentativo di restauro, con
l’intento di risalire quanto più possibile alla versione originale
benne compiuta nel 1984 dalla Cineteca di Monaco, la quale giunse
ad una versione soddisfacente di 147 minuti in bianco e nero,
mentre sempre nello stesso anno venne rilasciata una versione di 87
minuti colorata con una colonna sonora rock composta da Giorgio
Moroder.
Fra il 2000 e il 2001 una nuova
versione di circa due ore, molto più approssimativa, venne resa
disponibile direttamente per il mercato home video, fino a quando
nel 2008 a Buenos Aires in Argentina, grazie al ritrovamento di un
collezionista privato, venne alla luce un’ennesima versione
contenete oltre il 95% del materiale mancante, creduto perduto
prima della Seconda Guerra mondiale, il quale permise di creare fra
il 2010 e il 2011 una nuova versione di 148 minuti curata dalla
Fondazione F.W.Muranu, proiettata al 60° Fesival di
Berlino.
E proprio quest’anno, ad oltre
novant’anni dalla data di inizio delle riprese, Metropolis
torna in vita, proiettato in oltre 70 sale italiane dal 16 marzo,
restaurato grazie al contributo della Cineteca di Bologna
e DeutscheKinemathek, provvisto di oltre 25 minuti inediti
per un totale di 150 minuti nella versione attualmente più completa
che esista, con la colonna sonora originale ricostruita
Gottfried Huppertz diretta da
FrankStrobel, alla guida della
Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin. In parallelo verrà rilasciata
nelle librerie un impedibile cofanetto con due DVD con la versione
restaurata e booklet ricco di gustosi interi speciali di
approfondimento riguardo all’opera originale e alla sua genesi. Un
grande ritorno per un film che ha segnato letteralmente la storia
della fantascienza sul grande schermo, divenendo fonte di citazione
e di ispirazione per numerosi posteri, dalle architetture barocche
di Blade Runner allo storico omaggio nel
videoclip Radio GaGa dei Queen. Insomma,
non resta che tornare al cinema e godersi un piccolo pezzo di
grande storia, rinvigorito e riportato al suo antico splendore.
Oggi è un giorno importante per il
leggendario
Studios Metro-Goldwyn-Mayer, infatti
lo storico marchio di Hollywood compie la bellezza di 90 anni e lo
fa celebrando l’anniversario con un vero Leone e soprattutto con la
sua storia e i suoi film. Ecco un video emozionante che ripercorre
la storia della Metro Goldwyn
Mayer, che nonostante la crisi che l’ha colpita
nell’ultimo periodo storico è ancora l’artefice dietro a successi
mondiali come il franchise di
Bond, 2001 Odissea nello
spazio, Tom & Jerry e molti
altri film leggendari. Per l’occasione era presente anche l’attore
Sylvester Stallone con cui la Metro Goldwyn
Mayer ha fatto l’altrettanto leggendario personaggio
Rocky.
Il presidente e amministratore
delegato Gary Barber ha affermato:
«È un onore immenso presiedere una società con una così
grande eredità. È straordinario avere la possibilità di poter
riflettere sugli incredibili successi della MGM nella storia del
cinema, ma anche di poter guardare avanti verso il suo luminoso e
promettente futuro».
Con l’occasione lo studios annuncia
una serie di restauri di pellicole come Rain
Man, Fargo, Robocop e Il
Buono, il Brutto e il Cattivo che verranno restaurati
e rimasterizzati in 4K per poi essere rilasciati in Blu-ray tramite
Twentieth Century Fox Home Entertainment, partner di MGM.
La Metro Goldwyn Mayer ha acquisito
i diritti del romanzo fantascientifico Metro 2033, opera del russo
Dmitri Glukhovsky. Il testo, pubblicato online nel 2002 e uscito
in
Che ci fanno
insieme Franz Kafka, James Ensor, Bruno Schulz, Alice,
Sigmund Freud, una vecchia collezione d’insetti,
Jacob von Gunten e una Venere anatomica di cera?
Per avere una risposta a questa domanda è necessario andare a
Barcellona e lasciarsi trascinare nella fascinazione di una mostra
unica, dedicata a tre figure fondamentali dell’animazione
stop-motion: Władysław Starewicz, Jan Švankmajer e
i due fratelli Stephen e Timothy Quay.
METAMORFOSIS è libertà. Libertà estrema attraverso
la creazione, l’intuizione, l’immaginazione, dentro il sogno e la
realtà, attraverso l’infanzia come attitudine vitale.
La mostra si divide in tre capitoli
fondamentali, ognuno dedicato ai nomi sopra citati, ma uniti in una
magica soluzione di continuità che rende il percorso un viaggio
affascinante, ricco di sconfinamenti, lasciando intravedere strade
e sentieri da percorrere, espressivamente, per chi come me è alla
ricerca di stimoli per il proprio lavoro, o semplicemente
immaginifici per il visitatore appassionato d’animazione e arti
figurative.
Si inizia il percorso con le
creature che popolano i film del pioniere della stop-motion
Władysław Starewicz, che nasce a Mosca nel 1882.
Lavora nel 1910 come direttore del Museo di Storia
Naturale di Kovno, in Lituania, dove
avvia ufficialmente la sua carriera da regista, girando documentari
per il museo. Realizza quattro filmati che riscuotono un buon
successo e comincia a progettare il quinto, che dovrebbe
rappresentare una battaglia tra coleotteri. Purtroppo gli insetti
muoiono durante le riprese per il calore delle lampade, così
Starewicz decide di utilizzare gli esemplari morti, avvicinandosi
per la prima volta alla tecnica che diventerà il suo principale
mezzo di espressione. Un’influenza determinante su di lui esercita
anche la visione di Les animées allumettes, un film del 1908
diretto da Emile Cohl. Il risultato del suo primo
sforzo come animatore è Lucanus Cervus, che purtroppo andrà
perduto.
Nel 1919, con lo
scoppio della Prima guerra mondiale e la Rivoluzione d’ottobre, si
trasferisce in Francia, dove ottiene la cittadinanza e cambia il
suo nome in Ladislas Starevich. A Parigi crea una
società nel vecchio studio di Georges Méliès ma,
volendo rimanere indipendente e libero di sperimentare la sua
tecnica, si sposta a Fontenay-sous-Bois dove resterà per tutta la
vita, assistito prima dalla moglie e poi dalla figlia Irina. Il
primo dei suoi film francesi è Frogland del 1922.
Qui ha inizio la sua produzione più
matura e articolata, approdando al primo lungometraggio Le Roman de
Renart (Una volpe a corte), realizzato tra il 1929 e il 1931. Il
film viene proiettato per la prima volta a Berlino nel 1937 e in
Francia esce solo nel ’41.
Starevich muore
nel 1965, a metà della lavorazione di Comme chien et chat che, per
rispetto verso il suo lavoro e la sua ferma volontà di non
dipendere da nessuno, viene lasciato incompiuto.
Dopo aver
vagato tra animali antropomorfi e insetti che formano allegre
orchestrine si approda in una vera e propria Wunderkammer, ovvero
la Camera delle Meraviglie di Jan Švankmajer, ricca di animali
impagliati, teschi, feticci africani, strambe sculture, opere
d’arte inusuali e tutti quegli oggetti che per l’autore ceco
rappresentano fonte di stupore e meraviglia e quindi d’ispirazione
artistica. Appena usciti dalla wunderkammer inizia un nuovo viaggio
attraverso le creazioni di Švankmajer, alcune utilizzate nei suoi
numerosi film, ma altre realizzate per dare sfogo alla sua surreale
visionarietà.
Švankmajer nasce a Praga nel 1934,
dove tuttora vive e lavora. Studia all’Accademia di Belle Arti e
inizia la sua carriera lavorando con gli spettacoli di burattini e
con il Teatro Nero di Praga. Passa al mondo del cinema e della
stop-motion nel 1964, quando realizza il suo primo cortometraggio
The last trick. A questo fanno seguito moltissimi altri
cortometraggi, ma approda al lungometraggio solo nel 1987 con
Qualcosa di Alice, seguito da Lezione Faust nel 1994, I cospiratori
del piacere nel 1996, Otesánek nel 2000, Lunacy nel 2005 e il
recente Surviving life nel 2010. Il suo stile è inconfondibile. Il
cibo, il corpo, la favola, l’alchimia, il surreale, la cultura
popolare sono gli elementi centrali della sua poetica, influenzata
dal movimento surrealista e da pittori come Arcimboldo. Oltre ai
lungometraggi realizza un’importantissima serie di cortometraggi,
muovendosi dalla claymation alla pixilation e alla stop-motion con
burattini, scheletri, animali impagliati, bambole e vecchi
giocattoli. Tra i suoi cortometraggi più famosi figurano
Jabberwocky, La morte dello stalinismo in Boemia e Cibo.
Scrive di lui Anthony
Lane sul New Yorker: “Il mondo si
divide in due categorie di diversa ampiezza… quelli che non hanno
mai sentito parlare di Jan Švankmajer e quelli che hanno visto i
suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un
genio”. La nota scrittrice Angela Carter gli dedica un
bellissimo racconto intitolato “Alice a Praga, ovvero il gabinetto
delle meraviglie”.
Storditi ma felici si abbandona
l’universo di Jan Švankmajer per inoltrarsi nel mondo oscuro e
perturbante di Stephen e Timothy Quay, due gemelli identici nati
nei dintorni di Philadelphia nel 1947, che considerano Švankmajer
il loro maggiore punto di riferimento e che nel 1984 gli dedicano
il cortometraggio The Cabinet of Jan Švankmajer – Prague’s
Alchemist of film. I fratelli Quay iniziano la loro carriera come
illustratori. Appassionandosi agli artisti grafici di poster
teatrali e cinematografici dell’est Europa decidono di trasferirsi
a Londra, per iscriversi al Royal College of Art, dove realizzano i
loro primi lavori e conoscono Keith Griffith, che in seguito
diviene il produttore di tutti i loro film e con il quale fondano
la società di produzione Atelier Koninck. I Quay sono considerati
tra i maestri incontrastati dell’animazione stop-motion e i loro
film rappresentano veri e propri capolavori d’arte, slegati da
qualsiasi dettame commerciale, fuori da ogni schema e autentiche
espressioni di poesia visiva. I loro cortometraggi più importanti
sono Nocturna Artificialia del 1979, Punch and Judy del 1980,
Street of Crocodiles del 1985, The Comb del 1990, The Calligrapher
del 1991. Realizzano anche film di lungometraggio come Institute
Benjamenta del 1995, libera trasposizione del romanzo di Robert
Walser Jacob Von Gunter che, pur contenendo sequenze animate, è
girato con attori in carne e ossa ripresi come se si trattasse di
burattini, con strani giochi di prospettiva, di sfocatura e di
profondità di campo. Grazie all’abilità di ripresa e a una
conoscenza maniacale dell’uso delle ottiche, riescono a ottenere
risultati sorprendenti e inventare uno stile e soluzioni visive che
vengono a lungo imitate e oggi sono entrate a far parte degli
stilemi registici di molti autori contemporanei.
Numerose sono le loro
collaborazioni per spot pubblicitari come animatori e registi e per
spettacoli teatrali, in qualità di scenografi. Memorabile è una
breve sequenza animata inserita nel film Frida di Julie Taymor,
dove la protagonista ha un incubo allucinato popolato di terribili
scheletri danzanti, rielaborati con il loro inconfondibile stile
dalle Calaveras messicane.
Personaggi schivi e particolari, i
gemelli Quay ispirano i due gemelli zoologi protagonisti di Lo zoo
di Venere di Peter Greenaway, che li avrebbe voluti come attori nel
film. Tra l’altro, nel film precedente dello stesso regista, The
Falls, era presente una loro fotografia, intorno alla quale era
stata costruita una biografia immaginaria.
Alla fine si esce e si vaga per le
vie di Barcellona con la testa persa nei sogni e nelle visioni che
Starevitch, Švankmajer e i fratelli Quay sono riusciti ad
innescare, mentre le forme decadenti e surreali dei palazzi
costruiti dai maestri del modernismo catalano divengono la giusta
scenografia della continuazione del viaggio.
L’esposizione si tiene al CCCB
(Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona) e sarà aperta fino
al 7 settembre del 2014.
Stefano Bessoni
Le ricerche storiche sono di
Chiara Guida e sono tratte dal libro di Stefano
Bessoni “STOP-MOTION – La Fabbrica delle
Meraviglie” edizioni Logos, in tutte le librerie da
settembre.
Ancora novità dal Comic Con 2013.
Questa volta è quella di Metallica: Through the never,
film-documentario dedicato alla celebre band musicale. A margine
del panel svoltosi proprio al Comic Con, ecco arrivare online un
nuovo trailer e il poster esclusivo del film.
Eccoli:
Nel film Trip, giovane
assistente dei Metallica, viene mandato in missione urgente durante
un concerto della band. Ma quello che sembrava una semplice
incarico si trasforma in un’avventura sureale. Nel cast ci saranno
anche Anna Canzi, Anna
Coletti, Elena
Russo Arman, Gianfelice Imparato, Gianna
Coletti, Luca Di
Prospero, Urska
Bradaskja.L’uscita americana è prevista per il 9
agosto in IMAX 3D e il 16 agosto in 3D.
Nimrod Antal dirige
Metallica 3D Through the Never, questo futuristico
e incredibile viaggio musicale che, avvalendosi della tecnologia
3D, ci permette di vivere una straordinaria performance dei
Metallica come mai in passato.
In Metallica 3D Through the
Never Trip (Dane
DeHaan) è un giovane tecnico del palco che lavora nel
frenetico backstage di un concerto dei Metallica. Quando crede di
potersi godere finalmente l’esibizione live del gruppo, di cui è
grande fan, viene incaricato di dirigersi, con un vecchio furgone,
in un non precisato punto della città per recuperare un oggetto
misterioso. Per il giovane Trip sarà solo l’inizio di una serie
incredibile di situazioni surreali dalle quali dovrà cercare di
uscire sano e salvo.
Metallica 3D Through the Never, il
film
Un film nel concerto o un concerto
nel film, difficile capirlo e distinguerlo, lo spettatore rimane
sino all’ultimo disorientato chiedendosi se quello che sta
guardando è una fiction oppure no; uno smarrimento che risulterà
alla fine la vera bellezza di questo lungometraggio. La storia del
giovane Trip, ragazzo che rappresenta il fan classico della più
famosa band nella storia della musica trash-speedy rock, è una
sequela di situazioni farsesche e al limite dell’assurdo. Il
ragazzo, aggirandosi per una città deserta e abbandonata, si
troverà coinvolto in un terribile incidente prima e nel mezzo di
furiosi scontri tra poliziotti e manifestanti poi; trovando aiuto e
protezione nel piccolo e tetro totem di pezza The little Man dovrà
cercare riparo dal terribile killer a cavallo, The Death Dealer,
incarnazione della violenza e dell’odio. Le vicende di Trip sono
collegate alle canzoni che intanto la band esegue all’interno
dell’arena gremita all’inverosimile: Creeping death, For Whom
the bell tolls, One, Master of Puppets, Nothing else matter
oppure Hit the lights, questi e molti altri successi della
band statunitense tra le più amate al mondo.
La storia, le ambientazioni e le
sfumature cupe e per certi versi oscure tra le quali il giovane
protagonista si muove, riprendono i riferimenti culturali tipici
della band come il caos, la violenza, l’ingiustizia e l’odio
incontrollato.
Metallica 3D Through the
Never, è un’esperienza resa unica e particolarissima anche
e soprattutto dalla tecnologia 3D che permette allo spettatore di
ritrovarsi proiettato sull’immenso palcoscenico allestito per
l’occasione, incrociare gli sguardi diabolici di James
Hetfield durante le sue intensissime interpretazioni oppure
affiancare Kirk Hammet o Robert Trujillo mentre
mandano in visibilio i fan con assoli pazzeschi. Il 3D in questo
film conferisce grande efficacia espressiva, immergendoti senza
soste in un’ emozionante esperienza musicale e visiva. La band si
muove su un palco dalle proporzioni maestose, 61 metri per 18,
proiettori LED, congegni idraulici, botole e fuochi pirotecnici
incredibili, frutto di uno sforzo tecnico mai realizzato per un
concerto indoor.
Metallica 3D Through the
Never è qualcosa di diverso, di nuovo e di estremamente
intrigante che ci permettiamo di consigliare non solo agli amanti
dei Metallica, gruppo capace di vendere più di 110 milioni di album
in tutto il mondo, ma a tutti, indifferentemente dalle tendenze
musicali.
Il regista Barry
Sonnenfeld, che negli ultimi anni si è avvicinato a marchi
famosi come Men in Black e The Addams
Family, ha confermato telefonicamente a
comicbookmovie che il suo progetto DC Metal
Men, è tornato attivamente in sviluppo.
Sonnenfeld si è
avvicinato per la prima volta al progetto nel 2012 ma da allora non
si era più parlato del film. Adesso il regista, rispondendo alla
domanda in merito al suo interesse per i cinecomic, ha detto:
“Sai, è divertente perché sto sviluppando Metal Men con la
Warner Bros. Stiamo lavorando attivamente su un trattamento. Per
me, non è tanto una cosa da supereroi quanto costruire un mondo. Se
guardi al lavoro che ho fatto, che si tratti di The Addams Family,
Men in Black, Pushing Daisies, Schmigadoon! o A Series of
Unfortunate Events, si tratta di creare un mondo. Un tipo di mondo
insolito, leggermente eccentrico e diverso; questo è quello che amo
fare”.
In sviluppo i Metal Men alla Warner Bros
“Non è specificamente,
necessariamente un supereroe, ma anche in Metal Men, che sto
sviluppando, ci sarà un tipo di mondo molto specifico – ha
continuato Sonnenfeld – È un mondo reale perché mi piace sempre
che le cose siano basate sulla realtà, ma con una leggera
inclinazione. Tutto è iniziato con La famiglia Addams, è reale ma
leggermente spinta verso il suo mondo”.
Per quelli di voi che non hanno
familiarità con i Metal Men, sono stati creati da
uno scienziato chiamato Dr. William Magnus.
Ciascuno dei sei robot è stato creato da un singolo elemento
chimico con qualità che si riflettono nelle loro personalità,
abilità e nomi. Sono stati reinventati in più occasioni negli
ultimi anni, quindi Sonnenfeld può trarre ispirazione dai
fumetti.
La Warner Bros. ha ampliato la sua
lista DC in grande stile negli ultimi anni, con un progetto per
HBO Max come Batgirl con Leslie Grace. Con
questo in mente, una proprietà oscura come Metal Men potrebbe
facilmente trovare una casa sul servizio di streaming piuttosto che
nei cinema.