Figura portante della sesta
generazione del cinema cinese, il regista Jia
Zhang-Ke è stato protagonista, insieme alla moglie e
attrice Zhao Tao, di un incontro ravvicinato con
il pubblico all’interno della Festa del Cinema di
Roma. Per questa occasione, la coppia è stata intervistata
riguardo gli esordi nell’industria cinematografica, arrivando poi a
parlare nel dettaglio dei film che li hanno resi celebri.
“Dall’inizio degli anni novanta
mi sono avvicinato al mondo del cinema. – esordisce
Jia Zhang-Ke – A quel tempo c’era un grande
fervore all’interno dell’industria cinematografica cinese. In quel
periodo, attraverso le opere della quinta generazione di registi,
mi resi conto di come il cinema poteva essere un strumento di
incredibile valore. Decisi così di dedicarmi a quest’arte, ma c’era
solo un modo per farlo, ovvero entrare all’accademia del cinema di
Pechino.”
“Sono nato alla fine della
rivoluzione culturale che si diffuse in Cina tra gli anni sessanta
e settanta. – continua il regista – Questo ha permesso
l’arrivo nel Paese di alcuni film stranieri che mi segnarono
profondamente. Il primo fu senz’altro Ladri di Biciclette, di
Vittorio De Sica. Non mi era mai capitato di vedere protagonisti di
un film dei ladruncoli, come quelli che potevo incontrare
abitualmente per le strade della mia città. Erano personaggi di
vita quotidiana, e pur appartenenti ad una cultura diversa li
sentivo a me particolarmente vicini.”
Il regista passa poi a raccontare
delle prime difficoltà incontrate nel realizzare i suoi primi film.
Più di una volta infatti si è trovato ostacolato dalla censura
ancora vigente negli anni novanta. “All’epoca in Cina c’erano
soltanto sedici studi cinematografici, ed erano tutti a gestione
pubblica. Pertanto era difficile che questi permettessero di
raccontare storie di ladri, di gente ai margini, insomma storie di
vita quotidiana. Mi resi conto che fare i film che volevo era più
difficile del previsto. Perciò intrapresi la strada dei film
indipendenti, trovando i mezzi e i metodi per esprimere le mie
idee.”
Jia Zhang-Ke passa poi a raccontare
dell’incontro con Zhao Tao, divenuta attrice dei
suoi film, musa ispiratrice e sua moglie. “Il mio secondo film
si intitolava Platform. Per poter girare questo film mi occorreva
un’attrice protagonista che corrispondesse ai miei criteri.
Occorreva infatti che sapesse parlare il dialetto della provincia
di cui sono originario, perché desideravo girare lì il film. Dopo
alcune ricerche, incontrai proprio Zhao Tao.”
“Capii che era perfetta per i
miei film quando durante il set decisi di non seguire più il
copione, che non trovavo più soddisfacente, e di proseguire sulla
base di un improvvisazione il più spontanea possibile. La
spontaneità per me è tutto. Tao seppe adattarsi senza problemi a
tutto ciò, anzi in più di un’occasione mi aiutò a gestire e
indirizzare il film sulla strada giusta.”
È poi proprio l’attrice a raccontare
dal proprio punto di vista l’incontro che le cambiò la vita:
“Ero terrorizzata quando Jia mi scelse per il suo film. Non
avevo mai recitato prima, non sapevo cosa mi aspettasse. Però
decisi di provare, ed evidentemente il mio non essere
professionista si sposò a meraviglia con la sua ricerca di
spontaneità. La collaborazione si rivelò così un
successo.”

Il regista spiega poi la sua
attrazione per gli attori non professionisti, particolarmente
ricorrenti all’interno dei suoi film. “Ci sono diversi motivi
per cui preferisco lavorare con attori non professionisti. Il primo
è che voglio che recitino in dialetto. La Cina è un paese
grandissimo, con numerosissimi dialetti. Si tendeva però a recitare
esclusivamente in cinese mandarino così da poter essere compresi in
ogni angolo del Paese.”
“Questo però non faceva per me,
io volevo che si usassero i dialetti e le loro sottili sfumature.
Ciò poteva essere ottenuto solo con attori non professionisti. Un
altro motivo è che questi sanno essere spontanei, sono dotati di
una naturalezza tipica della vita quotidiana. Con loro posso poi
sapere se la sceneggiatura è sufficientemente realistica o se ha
bisogno di essere modificata. Anche i movimenti di macchina sono
dipendenti dai loro movimenti naturali, non il contrario. Tutto
deve mirare ad una sincera fedeltà della vita a cui si assiste ogni
giorno per strada.”
A prendere la parola è poi
nuovamente Zhao Tao, che racconta dell’esperienza avuta sul set
italiano del film Io sono lì, girato nel
2011 dal regista Andrea Segre. Per la sua
interpretazione nel film l’attrice ha vinto un David di Donatello
come miglior attrice protagonista. “Fino a quel momento le mie
esperienze cinematografiche si limitavano ai film di Jia, e lui
raramente lavora con una sceneggiatura. Per cui ero spaventata dal
dovermi confrontare con un metodo diverso di regia.”
“Con Andrea facemmo prove per un
mese intero. Era un lavoro completamente diverso da quello a cui
ero abituata, ma mi permise di entrare in stretto contatto con gli
altri attori, finendo con il sentirmi sempre meno una straniera.
Alla fine quel mese di prove, unito alla recitazione spontanea a
cui ero abituata, si combinarono particolarmente bene e riuscì a
dar vita ad un mio metodo, fatto di preparazione ma allo stesso
tempo di naturalezza.”
Per concludere l’incontro, l’autore
cinese parla di uno dei temi più ricorrenti nel suo cinema: quello
del silenzio. “Il silenzio per me è la lingua che contiene il
maggior numero di informazioni. Questo è legato anche ad una
caratteristica tipica del popolo cinese e di come esprimono o meno
i propri sentimenti. L’abitudine, nel parlare di questi, è quella
di rimanere in silenzio, e fare in modo che siano gli altri a
cercare di comprenderne il contenuto. Quello che tento di fare è
portare sullo schermo questo particolare modo di esprimersi. Il non
detto è fondamentale, permette agli altri, agli spettatori, di
cercare una spiegazione tramite le proprie emozioni. Solo così può
crearsi un’interazione attiva con il film.”