Il cinema di Maria Sole
Tognazzi è donna. La regista, che ha all’attivo cinque
lungometraggi, un documentario e un corto, ama posare gli occhi – e
la macchina da presa – su sguardi, tormenti e gioie femminili, per
affrescarne un dipinto elegante, delicato e dettagliato. Da
Viaggio da sola a
Io e lei, fino
all’ultimo Dieci minuti, Tognazzi
mette al centro della sua poetica le donne, figure che, come lei
stessa dice quando era agli inizi della sua carriera, non hanno mai
ricoperto un ruolo centrale e privilegiato, ma si sono spesso
dovute accontentare di essere un supporto, comprimarie secondarie,
“costrette” a rimanere un passo indietro e mai nel cono di luce che
meritavano.
I tempi, però, stanno cambiando, non
solo nel tessuto sociale ma anche in quello cinematografico, e lo
dimostrano i recenti prodotti audiovisivi in cui non solo ci sono
più protagoniste da raccontare, ma anche più registe che esprimono
la loro unica e attenta visione. E così la cineasta si inserisce in
quella categoria di artiste che sente l’esigenza di far emergere, o
per meglio dire irrompere, voci e presenze femminili sullo schermo,
partendo da un testo di riferimento scritto da una donna,
Chiara Gamberale, e avvalendosi di una
co-sceneggiatrice, Francesca
Archibugi (La
Storia), che la aiutasse a modellare la storia di Bianca,
nel romanzo Chiara. Dieci minuti è una
produzione Indiana Production e Vision Distribution, in
collaborazione con Netflix e Sky,
ed è nelle sale dal 25 gennaio, giorno in cui –
coincidenza – debutterà un altro film che si cuce addosso a una
donna e porta sulle spalle il suo percorso di crescita e scoperta:
il Leone d’Oro Povere
Creature!
Dieci minuti, la trama
Bianca è nel periodo peggiore della
sua vita. Il marito Niccolò l’ha lasciata all’improvviso e lei non
si capacita del perché: in fondo, secondo la sua distorta visione,
andava tutto bene. Eppure lui è risentito: non si sente ascoltato e
supportato, gira tutto intorno alla moglie. Non è riuscita nemmeno
ad accorgersi che ha un’altra. Sul fronte del lavoro, le cose
procedono allo stesso modo: sul treno verso casa, Bianca viene
chiamata dal suo responsabile e licenziata in tronco. In più, in un
gioco di flashback, pare che la donna sia segnata anche da un
incidente, avvenuto poco dopo la separazione, che l’ha fatta
smettere di guidare. Tutti questi eventi l’hanno destabilizzata,
rendendola assente e inerme davanti a tutto e tutti. Non riesce a
fare molto, Bianca, se non andare dalla dottoressa Brabanti,
psicanalista che le propone una sfida per scuoterla dal suo torpore
quotidiano: tutti i giorni, una volta al giorno, Bianca deve fare
qualcosa di completamente nuovo, che fuoriesca dalla sua normalità.
Qualcosa che magari non farebbe mai. Grazie a questa terapia,
Bianca farà nuovi incontri, scoprirà legami speciali e inizierà ad
ascoltare chi le ha sempre voluto bene. Tentando di affrontare la
sua crisi.

Oltre le barriere della mente
Il quasi omonimo romanzo di Chiara
Gamberale, Per dieci minuti, è un racconto intimo e
autobiografico di una donna nel pieno della sua
(ri)fioritura. Un percorso, ma anche un processo, di ardua
rinascita che si riscontra nel film liberamente ispirato di
Tognazzi, in cui a essere messa in luce è la paura dell’abbandono e
come questa lavori sulla psiche umana tanto da disintegrarla.
Bianca è piena di fragilità, spesso immobile e cieca davanti a una
vita che le scorre e in cui c’è un crocevia di persone a cui lei
non riesce a dare la dovuta attenzione. Neppure al marito. Crede di
essere partecipe delle esistenze degli altri, ma in realtà non
ascolta, non si connette con il resto del mondo e nel frattempo,
senza accorgersene, viene risucchiata in una solitudine che, se
prima era solo prigione mentale, diventa poi fisica con la
separazione da Niccolò.
Si intersecano in lei emozioni
contrastanti, ma è l’essere inerme a dominarla nel quotidiano e a
farla sprofondare nel buio. È spenta ed egoriferita la Bianca di
una quanto più umana e tenera Barbara Ronchi, consumata dalle sue
stesse paranoie e dal timore di conoscere verità che sarebbe meglio
sigillare in un cassetto faendo finta che non esistano. Perché
spesso è più semplice crearsi una realtà immaginaria, piuttosto che
fare i conti con quella vera, più dura e complessa. Occhi smarriti,
sguardo basso e cupo, labbra spesso arricciate: rimanendo fissa sul
suo volto sofferente, la regista intercetta tutte le
sfumature di un animo travagliato, compiendo un
viaggio nelle emozioni e nei turbamenti di una donna in piena crisi
esistenziale, che tenta alla fine di tornare a galla e
rinascere dalle sue ceneri. Dandosi la possibilità di riscoprirsi e
forse proprio di conoscersi nel profondo.
Un cast ben assortito
Come dicevamo all’inizio di questa
recensione, Maria Sole Tognazzi si dedica anima corpo e cuore alle
sue protagoniste, le accarezza dolcemente, ecco perché le donne del
film, e in particolare la sua Bianca, hanno una posizione di
assoluto rilievo. Ronchi ha due comprimarie di tutto rispetto, una
più che credibile
Margherita Buy nelle vesti della psicanalista,
il cui ruolo le calza a pennello, e Fotinì Peluso,
il cui personaggio è stato scritto per il film, che interpreta
Jasmine, la sorella di Bianca, una ragazza da un lato esuberante,
dall’altro bisognosa di trovare un posto (che non è un luogo bensì
una persona) da chiamare casa. Nonostante Dieci
minuti sia una storia che favorisce il punto di vista
e la solidarietà femminile, la figura maschile – in questo caso
Niccolò in primis – non è mai posta sotto la lente del
giudizio.
La regista non è intenta a fare la
morale e non vuole trasformare un racconto prevalentemente
drammatico – con deliziosi inserti divertenti – in una narrazione
femminista, tanto che empatizzare e comprendere il personaggio di
Alessandro Tedeschi è pressoché naturale. Resta sì sullo sfondo, ma
è bilanciato e ben caratterizzato e considerato, non diventando mai
oggetto di critiche. Al netto di quanto scritto, ciò che invece
sembra mancare un po’ è la completezza del gioco dei “dieci
minuti”: seppur si riesca a mostrare come una soluzione divertente
e funzionale per far uscire Bianca dall’impasse in cui si trova,
sembra che non ci si sia voluti sbilanciare troppo sui vari momenti
in cui si dedica a fare quell’altro che le fa paura, schifo o la
entusiasmi. Sarebbe stato interessante esplorare meglio questo
aspetto, e vedere fin dove la fantasia delle creatrici potesse
spingersi. Ciononostante, Dieci minuti è
un film godibile, buono, che si lascia amare nel suo essere
delicato e calibrato, e dimostra quanto Maria Sole Tognazzi si
prenda cura delle sue antieroine, facendole brillare di luce
propria nonostante le ferite che si portano addosso.