Dopo un lungo ritardo causato dallo
sciopero SAG-AFTRA, le riprese di Deadpool
3 dei Marvel Studios sono terminate, ha
annunciato oggi su Instagram la star Ryan Reynolds.
Reynolds ha ringraziato il cast e
la troupe di Deadpool
3 e il regista Shawn Levy,
prendendo in giro il suo co-protagonista Hugh Jackman.
Il messaggio toccante, al limite del sentito, è stato compensato –
nel classico modo di Reynolds e Deadpool – da una
foto del cavallo in spandex del supereroe.
“Il costume nasconde il sangue.
Anche il sudore… Ma oggi, con la confezione di ‘Deadpool’, sono
soprattutto lacrime. Un gigantesco e perenne ringraziamento al cast
e alla troupe del nostro film che hanno combattuto contro il vento,
la pioggia, gli scioperi e @thehughjackman, il tutto sotto la
strenua guida di @slevydirect”, ha scritto Reynolds su Instagram.
“Ho avuto modo di fare un film con i miei amici più cari e questo
non accade molto spesso. Ci vediamo il 26 luglio… ⚔️🥺⚔️“.
Deadpool 3
doveva originariamente uscire nelle sale il 3 maggio 2024, ma è
stato ritardato, insieme a molti altri film, durante lo sciopero
della SAG-AFTRA dello scorso anno. La nuova data è il 26 luglio e
segnerà l’ingresso ufficiale di Deadpool nel Marvel Cinematic Universe dopo
l’acquisizione della Fox da parte della Disney. I due precedenti
film di “Deadpool“, insieme all’intero franchise
degli “X-Men“,
erano di proprietà e distribuiti dalla Fox prima dell’acquisizione
da 71,3 miliardi di dollari, completata dalla Disney nel 2019.
Chi c’è in Deadpool
3?
Deadpool 3
riunisce il protagonista Ryan Reynolds con Shawn Levy, regista di
Free Guy e The Adam Project, che ha firmato la regia
dell’atteso progetto. Hugh Jackman
uscirà finalmente dal suo pensionamento da supereroi per riprendere
il ruolo di Wolverine. Sebbene i dettagli
ufficiali della storia di Deadpool 3, con
protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione
della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di
Reynolds si siano svolti in un universo diverso.
Ciò preserva i film degli X-Men
della Fox nel loro universo, consentendo al contempo a Deadpool e
Wolverine, di nuovo interpretato da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU. Nel film saranno poi presenti anche personaggi
presenti nei primi due film di Deadpool, come Colossus e
Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera che anche
altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck.
Una voce recente afferma che anche
Liev Schreiber
sia presente riprendendo il suo ruolo Sabretooth. Di certo,
Morena Baccarin
(Vanessa), Karan Soni (Dopinder), Leslie
Uggams (Blind Al), Rob Delaney (Peter) e
Shioli Kutsuna (Yukio) torneranno tutti nei panni
dei rispettivi personaggi, e a loro si uniranno i nuovi arrivati in
franchising Emma Corrin (The
Crown) e Matthew
Macfadyen (Succession), i cui ruoli sono ancora segreti. Un
recente report afferma inoltre che la TVA di Loki, incluso l’agente
Mobius (Owen Wilson) e
Miss Minutes, saranno coinvolti nel film. Deadpool 3
uscirà nei cinema il 26 luglio 2024.
Netflix
avrebbe cancellato il piano di distribuzione per il thriller
fantascientifico quasi completato con Halle Berry, The
Mothership.
Secondo The InSneider di
Jeff Sneider, Netflix non ha
più intenzione di distribuire The Mothership, un
film di fantascienza diretto da
Matt Charman e girato nel 2021. Oltre alla
Berry, il film era interpretato da
Omari Hardwick, Molly Parker, John Ortiz e Paul
Guilfoyle.
Perché The Mothership non verrà
distribuito?
Secondo il rapporto di Sneider,
The Mothership richiedeva “significative
riprese” aggiuntive che Netflix ha deciso di non effettuare. Questi
rimaneggiamenti sarebbero stati difficili da portare a termine,
dato che il film ha come protagonisti diversi bambini che sono
notevolmente invecchiati da quando sono state completate le riprese
principali.
Secondo quanto riferito, inoltre,
The Mothership ha avuto un “lungo processo di
post-produzione” e “ripetuti ritardi”, che hanno influito sulla
decisione di Netflix.
“Un insider di Netflix ha
dichiarato che tali decisioni non sono mai facili da prendere, né
vengono prese alla leggera, e che lo streamer è grato a tutti
coloro che hanno lavorato al film“, si legge
nell’articolo.
Questo sembra significare che la
piattaforma di streaming non ha staccato la spina a The
Mothership per ottenere una detrazione fiscale, cosa che
David Zaslav della Warner Bros. Discovery è solito
fare. Avendo già eliminato Batgirl e
Scoob! Holiday Haunt, l’anno scorso la Warner
Bros. Discovery è balzata agli onori della cronaca per aver
intascato un’ingente somma di denaro dopo aver cancellato l’uscita
del già completato Coyote vs. Acme.
“Un anno dopo la misteriosa
scomparsa del marito dalla loro fattoria rurale, la madre single
Sara Morse e i suoi figli scoprono uno strano oggetto
extraterrestre sotto la loro casa, che li porta a intraprendere una
corsa alla ricerca del marito, del padre e soprattutto della
verità“, si legge nella sinossi di The Mothership.
Charman, già
co-sceneggiatore de Il ponte delle Spie del 2015 con i
fratelli Coen, ha scritto e diretto The
Mothership. Fred Berger e Brian Kavanaugh-Jones sono stati
i produttori.
Halle Berry sta ancora lavorando con Netflix a
The Union, un nuovo thriller diretto da Julian
Farino e interpretato da
Mark Wahlberg,
J.K. Simmons e Jackie Earle Haley. The
Union non ha ancora una data di uscita.
Channing Dungey è
entrato a far parte del Warner Bros. TV Group in qualità di
presidente alla fine del 2020, proprio nel bel mezzo della pandemia
COVID-19, che ha reso interessante il primo anno di lavoro. Poi è
arrivata la fusione Warner Media-Discovery nel 2022 e la
ristrutturazione che ne è conseguita. Nel 2023, gli scioperi di
Hollywood sconvolsero nuovamente l’attività. In questi giorni
Dungey ha rilasciato una lunga intervista a
Variety nel quale ha fatto un po’ il punto e ha parlato anche del
destino di Ted
Lasso.
“Ci sono state molte turbolenze
da quando ho assunto questo ruolo“, ha dichiarato recentemente
Dungey a Variety. “Spero – e sto battendo il legno mentre lo
dico – che mentre giriamo l’angolo verso il 2024, ci siamo lasciati
alle spalle alcune delle sfide più grandi. Sono sicura che ci sarà
qualcosa di nuovo all’orizzonte, ma spero che il 2024 segni un
ritorno all’attività di sempre“.
Oltre a fornire freschi
aggiornamenti sullo stato dello sviluppo dell’annunciata e già
attesissima
serie tv su Harry Potter, il dirigente ha avuto modo di parlare
come anticipato anche di Ted
Lasso, una serie di successo prodotta da Warner e
trasmessa da Apple
TV+, vincitore di un Emmy, “Ted
Lasso“, che potrebbe essersi concluso dopo tre
stagioni – ma mai dire mai su una sorta di evoluzione o revival.
Ancora oggi, la star e co-creatore della serie Jason Sudeikis non vuole confermare se sia
davvero finita.
“Voglio dire, avete visto il
finale, c’è una piccola porta che potrebbe essere riaperta se
necessario”, ha detto Dungey. “Non metterei ancora il
punto alla fine della frase. C’è ancora molto amore per ‘Ted
Lasso’. E credo che ci sia ancora molto entusiasmo da parte di
Apple per ‘Ted Lasso’. Se dovesse presentarsi l’opportunità,
saremmo entusiasti di tornare a produrre altri ….. Ci sono sempre
conversazioni in corso, ma niente di ufficiale“.
Ted
Lasso è stato sviluppato da Jason Sudeikis,
Bill Lawrence, Brendan Hunt e Joe Kelly. I produttori
esecutivi erano Sudeikis, Lawrence, Jeff Ingold e Liza Katzer. Il
film è stato prodotto da Warner Bros. Television e Universal
Television.
Ted
Lasso è interpretato da Sudeikis (Saturday Night
Live), Hannah Waddingham (Game of Thrones), Brendan Hunt (We’re the
Millers), Jeremy Swift (Downton Abbey), Juno Temple (The Other
Boleyn Girl), Brett Goldstein (Derek), Phil Dunster (The Good Liar)
e Nick Mohammed (Intelligence).
FX ha rilasciato
un nuovo trailer red band di Shōgun,
il suo prossimo dramma epico, che si svolge durante il periodo Edo
del Giappone.
Il video mette in evidenza le
sequenze di combattimento ricche d’azione ed emozionanti dello show
Shōgun,
mentre i personaggi principali si preparano ad andare in guerra. Il
debutto della serie è previsto per il 27 febbraio su FX e Hulu.
In Italia in esclusiva su Disney+
La serie composta da 10 episodi è
ambientata in Giappone nell’anno 1600, all’alba di una guerra
civile che segnerà un secolo. Il produttore Hiroyuki Sanada
interpreta il ruolo di “Lord Yoshii Toranaga” che sta
lottando per la sua vita mentre i suoi nemici nel Consiglio dei
Reggenti si coalizzano contro di lui. Quando una misteriosa nave
europea viene ritrovata abbandonata in un vicino villaggio di
pescatori, il suo pilota inglese, “John Blackthorne”
(Cosmo Jarvis), arriva portando con sé segreti che potrebbero
aiutare Toranaga a ribaltare le sorti del potere e a distruggere la
temibile presenza dei nemici di Blackthorne, i preti gesuiti e i
mercanti portoghesi.
I destini di Toranaga e Blackthorne
diventano inestricabilmente legati alla loro interprete, “Toda
Mariko” (Anna Sawai), una misteriosa nobildonna cristiana, ultima
di una stirpe caduta in disgrazia. Mentre serve il suo signore in
questo scenario politico difficile, Mariko deve conciliare il suo
legame ritrovato con Blackthorne, il suo impegno verso la fede che
l’ha salvata e il suo dovere nei confronti del padre defunto.
La serie Shōgunsi
avvale di un cast giapponese di alto livello, senza precedenti per
una produzione americana, tra cui Tadanobu Asano nel ruolo di
“Kashigi Yabushige”, un noto traditore e stretto alleato di
Toranaga; Hiroto Kanai nei panni di “Kashigi Omi”, il giovane
leader del villaggio di pescatori dove viene trovata la nave di
Blackthorne; Takehiro Hira nel ruolo di “Ishido Kazunari”, un
potente burocrate che è il principale rivale di Toranaga; Moeka
Hoshi in quello di “Usami Fuji”, una vedova che deve trovare un
nuovo scopo nel mezzo della guerra del suo signore; Tokuma Nishioka
nel ruolo di “Toda Hiromatsu”, il generale fidato e il più caro
amico di Toranaga; Shinnosuke Abe nei panni di “Toda Hirokatsu”
(“Buntaro”), il geloso marito di Mariko; Yuki Kura in quelli di
“Yoshii Nagakado”, lo sfacciato figlio di Toranaga che ha un forte
desiderio di mettersi in gioco; e Fumi Nikaido nel ruolo di “Ochiba
no Kata”, la venerata madre dell’erede che non si fermerà davanti a
nulla pur di porre fine a Toranaga e alla sua minaccia al potere
del figlio.
Shōgun
è stata creata per la televisione da Rachel Kondo e Justin Marks,
con Marks in veste di showrunner e produttore esecutivo. I
produttori esecutivi sono Michaela Clavell, Edward L. McDonnell,
Michael De Luca e Kondo. Hiroyuki Sanada è produttore. La serie è
prodotta da FX Productions.
Un efficace sistema di parental
control assicura che Disney+ rimanga un’esperienza di
visione adatta a tutti i membri della famiglia. Oltre al “Profilo
Bambini” già presente sulla piattaforma, gli abbonati possono
impostare dei limiti di accesso ai contenuti per un pubblico più
adulto e creare profili con accesso tramite PIN, per garantire
massima tranquillità ai genitori.
Continua su Rai 1La Storia, fiction firmata Francesca Archibugi e adattamento
dell’omonimo romanzo di Elsa Morante, che con gli
ultimi episodi del 22 e 23 gennaio vince per share e
telespettatori, consolidando il proprio successo e decretandosi
vincitrice della serata sulle reti generaliste. Negli
episodi finali (quinto, sesto, settimo e ottavo)
subentrano nuovi personaggi, uno fra questi la prostituta Santina
di Asia Argento e il nuovo amore di Nino,
Patrizia, interpretata da Romana Maggiora Vergano
(la Marcella di C’è
ancora domani), e si completano gli archi narrativi dei
protagonisti, in particolare quelli di Ida, Useppe e Nino.
Ricordiamo, inoltre, che per chi non avesse avuto modo di seguirla
in diretta, La Storia può essere
recuperata sulla piattaforma Rai Play.
La Storia, trama degli
ultimi episodi
Nella puntata andata in onda il 15
gennaio, avevamo visto Ida e
Useppe abbandonare il caseificio di Pietralata
dove hanno trascorso diverso tempo con i Mille. La donna è riuscita
a trovare una camera in affitto dalla famiglia Marocco, in zona
Testaccio, ma la condizione di povertà in cui riversa le fa patire
la fame. Nel mentre, Useppe inizia a manifestare delle assenze,
seguite da alcune convulsioni, che portano alla diagnosi di
epilessia infantile, stessa patologia che aveva afflitto Ida da
piccola. Nel frattempo, lontano da Roma, Nino è
impegnato nel contrabbando e inizia a guadagnare soldi sporchi,
potendo così permettere alla sua famiglia di trovarsi una casa
tutta propria. Sfortuna vorrà che, in un viaggio per trasportare la
merce, sarà coinvolto in un incidente e morirà. Intanto, la
patologia di Useppe sembra non migliorare…
I difetti delle ultime due
puntate
In questi ultimi episodi andati in
onda di La Storia, si riscontra quasi
nell’immediato una maggiore falla all’interno della sceneggiatura e
dei piani temporali,
qualcosa che avevamo già accennato nella recensione del terzo e
quarto episodio, che qui però diventano più evidenti. Alcuni si
presentano come dei veri e propri buchi di trama, in cui a essere
compromessa è anche un po’ la linearità del racconto. Altri invece
sembrano delle disattenzioni in fase di montaggio, con alcune
sequenze narrative in cui non si distingue bene il cambiamento in
corso e che possono confondere gli spettatori.
Fra queste incrinature a essere più
evidente è in primis il tempo che passa su tutti i personaggi
tranne che sul piccolo Useppe, un comunque bravissimo
Mattia Basciani, che sembra essere graziato dalla
giovinezza eterna. Nei volti e nei corpi di Ida e degli altri
comprimari è invece ben rappresentato con un considerevole lavoro
su trucco e parrucco, il quale chiarisce gli anni che scorrono, e
dà un’idea di quanto gli orrori della guerra abbiano segnato e
stravolto. Inoltre, gli ultimi episodi appaiono ingolfati di
inserti tragici, provocando una reazione a catena che non permette
di prendere un respiro e dare la dovuta importanza a quanto sta
accadendo, pur riuscendo comunque ad essere emotivamente
impattanti. La regia, invece, risulta sempre raffinata ed
elegante, improntata a mettere in risalto ogni minimo
dettaglio di uno spazio scenografico curato minuziosamente.
Jasmine Trinca in stato di
grazia
Al netto di qualche problema
strutturale, non si può non lodare ancora una volta la performance
di Jasmine Trinca, che raggiunge lo stato
di grazia in questi ultimi episodi in cui il livello drammatico si
alza enormemente, riempiendo la scena e sorreggendo il
racconto, sempre più pesante e complesso, sulle proprie spalle.
Trinca ingloba alla perfezione dentro di sé rabbia, preoccupazione,
terrore, timori e coraggio di una madre che, se prima doveva
proteggere il figlio dai nazifascisti, ora si ritrova a doverne
affrontare gli strascichi.
La fame, la povertà e la malattia
galoppante di Useppe, traumatizzato e scosso dalla guerra, si fanno
sempre più presenti nella narrazione, diventando primari, e servono
a risaltare le capacità recitative di Trinca, la quale esprime con
il solo uso dello sguardo lo stato d’animo di una donna in
frantumi, spezzata dagli agghiaccianti eventi, che cerca in ogni
modo possibile di non soccombere al dolore e sollevarsi. Apparsi i
titoli di coda dell’ultima puntata, quello che resta da dire è:
Jasmine Trinca è stata davvero meravigliosa.
“Qui ha molto a che fare con
l’odio, ma ancor di più con l’amore”, scriveva William
Shakespeare in Romeo & Giulietta. Frase che il
regista Will Gluck inserisce
anche all’interno del suo nuovo film, Tutti
tranne te, a mo’ di dichiarazione
d’intenti. Ma in realtà l’intero film ha molto a che fare con
l’iconico drammaturgo inglese, essendo un adattamento in chiave
contemporanea della sua opera Molto rumore per
nulla. Gluck, già regista di note rom-com come
Easy Girl e Amici di letto,
riprende gli elementi base di quel racconto per dar vita ad un
nuovo film di questo genere con cui offrire nulla più che puro
intrattenimento, dove umorismo scorretto e buoni sentimenti vanno a
braccetto.
Tutti tranne
te vuole infatti dichiaratamente essere quel tipo di
commedia senza peli sulla lingua da primi anni Duemila (di cui
proprio Easy Girl è un ottimo esempio), capace con il suo
umorismo di divertire ma anche, all’occorrenza, di generare quel
gradito disagio nello spettatore. Il tutto includendo in modo
naturale elementi propri delle nuove sensibilità culturali, dando
così vita ad un sorprendente risultato. Con il coraggio di far ciò
senza rinunciare ad una classificazione “R” (ovvero vietato negli
Stati Uniti ai minori di 17 anni non accompagnati da adulto), il
film – da cui non ci si dovrebbe aspettare chissà che originalità o
intenti – è dunque del tutto piacevole per una visione
spensierata.
La trama di Tutti tranne
te: odiarsi fino ad amarsi
Protagonisti di questo film sono
Bea (Sydney
Sweeney) e Ben (Glen
Powell). I due potrebbero essere una coppia perfetta, ma
dopo un primo appuntamento fantastico una serie di incomprensioni
spengono la loro infuocata attrazione. Tempo dopo, tuttavia, i due
si ritrovano al matrimonio in Australia della sorella di Bea,
obbligati dunque ad una convivenza forzata. Con gli occhi di tutti
puntati su di loro, si vedranno ben presto costretti a fingere di
essere una coppia, ognuno con uno scopo diverso. Ma sarà difficile
fingere di piacersi con tutto l’odio che scorre tra di loro e i
problemi non tarderanno ad arrivare.
Una commedia di continui
inganni
Considerata la sua premessa, è
facile immaginare a quale conclusione giungerà il film. Ma come
spesso avviene per questo genere di opere, l’importante è ciò che
avviene nel mentre e il modo in cui si giunge a quel finale.
Difficile però non notare come diverse delle situazioni previste
per portare avanti il racconto avvengano in modo un po’
artificioso, a partire dal motivo del litigio tra i due
protagonisti. Quando però la vicenda si sposta in Australia, si
avverte un leggero distendersi di quelle forzature iniziali. Siamo
dove il regista – anche co-sceneggiatore insieme a Ilana
Wolpert – voleva portarci e da lì hanno inizio le
rocambolesche avventure di Bea e Ben.
La scrittura del film è dunque,
almeno in certi momenti, da intendersi come il suo principale
limite, anche se – come si accennava in apertura – probabilmente
non c’è mai stato l’intento di puntare ad un livello di maggiore
originalità o distintività. Eppure, c’è un aspetto di questa
narrazione che risulta affascinante ed è il gioco che si genera tra
i vari personaggi, dove ognuno cerca di far credere agli altri
qualcosa che in realtà non è, costruendo così un sempre più alto
castello di inganni destinato naturalmente prima o poi a crollare.
Si tratta di una dinamica non sempre portata avanti, ma che quando
proposta fa acquisire ad un racconto altrimenti banale un fascino
in più.
Il disagio di una generazione
Uno dei pregi maggiori del film è
però da ritrovarsi nella sua volontà di affrontare tutta una serie
di tematiche proprie dell’odierno mondo delle relazioni. Piano
piano che si impara a conoscere Bea e Ben, i due si svelano essere
a loro modo cantori di una certa incapacità a gestire le proprie
emozioni e, di conseguenza, le relazioni. È allora solo attraverso
un percorso inverso, durante il quale sembrano intenzionati a stare
alla larga dall’amore che scopriranno cosa davvero li frena nei
confronti di esso, permettendogli a quel punto di accoglierlo nelle
proprie vite. Tutti tranne
te, da questo punto di vista, si apre ad un niente affatto
scontato dialogo con la contemporaneità.
Sydney Sweeney e Glen Powell sono
la forza di Tutti tranne te
Ma se pure Tutti
tranne te non si distingue per la scrittura, lo fa
certamente grazie ai suoi due protagonisti. Sydney Sweeney e Glen Powell
sono tra i più promettenti interpreti della loro generazione: lei
ha conquistato tutti grazie alla serie
Euphoria ed è ora tra le protagoniste del cinecomic
Madame Web, mentre lui ha
conquistato grande popolarità grazie a Top Gun: Maverick ed è il
protagonista della nuova intelligentissima (quella sì) commedia di
Richard Linklater, Hit Man. I due dimostrano qui di essere credibili
protagonisti, capaci di misurarsi con la commedia e di poter far
divertire scena dopo scena, rimanendo sempre al completo servizio
dei propri personaggi.
Con due interpreti primari (ma anche
i secondari sanno farsi notare) dotati di una così forte chimica di
coppia e di un tale livello di carica erotica, lo spettatore può
anche non preoccuparsi troppo delle pecche di scrittura né di
alcuni dialoghi certamente discutibili in quanto a didascalismo.
Grazie a loro e alle diverse e divertenti situazioni in cui il
regista li pone (due su tutte: i goffi tentativi di palpeggiamento
durante l’escursione e il salvataggio in mare) prende forma una
commedia che arriva sì dove ci si immagina arriverà, ma lo fa con
un percorso dalla gioiosità contagiosa (e la colonna sonora guidata
da Unwritten di NatashaBedingfield offre a tal riguardo il suo
contribuito), capace di avere un certo eco nello spettatore.
Il film Searchlight
Pictures di Yorgos LanthimosPovere
Creature!, vincitore di due Golden Globe come Miglior
film musical o comedy e Miglior attrice in un film musical o comedy
(Emma
Stone), arriverà il 25 gennaio nelle sale italiane,
distribuito da The Walt Disney Company Italia.
Povere
Creature! ha inoltre ottenuto il Leone d’Oro
all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
e 11 nomination alla 96° edizione degli Academy Awards.
Dal regista Yorgos Lanthimos e
dalla produttrice Emma Stone arriva l’incredibile storia e la
fantastica evoluzione di Bella Baxter (Emma
Stone), una giovane donna riportata in vita dal
brillante e poco ortodosso scienziato Dr. Godwin Baxter
(Willem
Dafoe). Sotto la protezione di Baxter, Bella è
desiderosa di imparare. Affamata della mondanità che le manca,
Bella fugge con Duncan Wedderburn (Mark
Ruffalo), un abile e dissoluto avvocato, in una
travolgente avventura attraverso i continenti. Libera dai
pregiudizi del suo tempo, Bella è sempre più decisa nel suo
proposito di difendere l’uguaglianza e l’emancipazione.
Searchlight Pictures in
associazione con Film4 e TSG Entertainment, una produzione Element
Pictures, presenta Povere
Creature!, diretto dal candidato all’Academy Award
Yorgos Lanthimos (La favorita, The Lobster). Con una
sceneggiatura scritta dal candidato all’Academy Award Tony McNamara
(La favorita), basata sul romanzo di Alasdair Gray, il
film è prodotto dal candidato all’Oscar Ed Guiney p.g.a. (La
favorita, Room), Andrew Lowe p.g.a. (The Eternal
Daughter, The Souvenir: Part II), Yorgos Lanthimos p.g.a.
ed Emma Stone p.g.a..
La vincitrice dell’Academy Award®
Emma Stone, (La favorita, La La Land), è protagonista
insieme al candidato all’Academy Award® Willem Dafoe (The
Lighthouse, The French Dispatch), al candidato
all’Academy Award® Mark Ruffalo (Il caso
Spotlight, Foxcatcher – Una storia americana), al
vincitore del Golden Globe® Ramy Youssef (Ramy, Mr.
Robot), Christopher Abbott (Black
Bear, Possessor), il vincitore del Primetime Emmy® Award
Jerrod Carmichael (The Carmichael Show), Hanna Schygulla
(Ai confini del paradiso), Kathryn Hunter
(Macbeth) e la candidata al Primetime Emmy® Award Margaret
Qualley (C’era una volta a… Hollywood, Maid).
Il direttore della fotografia è il
candidato all’Oscar® Robbie Ryan, BSC, ISC (La
favorita, C’mon C’mon), gli scenografi sono James Price
(Judy) e Shona Heath, con i costumi di Holly Waddington
(Lady Macbeth, War Horse), e le acconciature e il
trucco prostetico della candidata all’Oscar® Nadia Stacey (La
favorita, Crudelia). La colonna sonora originale è
composta da Jerskin Fendrix, il montatore è il candidato all’Oscar®
Yorgos Mavropsaridis, ACE (La favorita, The Lobster)
e la set decorator è Zsuzsa Mihalek (La talpa).
Marvel Zombies è stato
rivelato per la prima volta al Comic-Con di San Diego del 2022 come
parte della rivelazione dello slate “Marvel Animation” dei
Marvel Studios. Da allora è stato rivelato ben
poco e, sebbene la serie sia ancora in cantiere, non si sa se
uscirà quest’anno o nel 2025.
Nel frattempo, si sta diffondendo
una nuova intrigante voce che suggerisce che Moon
Knight sarà uno degli eroi che avranno un ruolo nella
serie animata. Lo scooper @CanWeGetToast ha condiviso la notizia
oggi, rivelando che Marvel Zombies vedrà un
nuovo personaggio diventare il Pugno di
Khonshu.
Non sono stati forniti ulteriori
dettagli, quindi non sappiamo se sarà un eroe o un cattivo
esistente a ereditare il mantello o se sarà una creazione originale
a sostituire Marc Spector; in ogni caso, siamo sorpresi
che Oscar Isaac non stia tornando nei panni di
Marc Spector/Steven Grant/Jake Lockley.
L’attore ha già prestato la voce a
Poe Dameron nel film animato Star
Wars Resistance, quindi sarebbe sicuramente disposto a
farlo. In ogni caso, non dobbiamo necessariamente considerare
questo fatto come un’indicazione del fatto che l’attore non tornerà
a vestire i panni di Moon
Knight nel MCU.
Dopotutto, potrebbe esserci un
motivo convincente per non includere Marc in questo seguito
dell’episodio What If…?
“What
If…? Zombi?!“. Ricordiamo che questa storia si svolge
in una realtà post-apocalittica, quindi un eroe come Moon
Knight che cade a causa della piaga degli zombie
e viene poi sostituito ha senso. Con un po’ di fortuna, anche
Khonshu entrerà a far parte di questa storia cruenta.
Cosa sappiamo su Marvel
Zombies?
“Sarà pazzesco”, ha detto di
recente Bryan Andrews, regista e produttore di
What If…?, a proposito di Marvel Zombies. “Sì, [è]
completamente TV-MA. Nasce da ciò che è stato fatto in Episodio
[105]. L’idea era che c’è una certa ispirazione dal fumetto, il
fatto che siano zombie, ma non stiamo facendo il fumetto, in nessun
modo“.
“Abbiamo una nostra
interpretazione, e molte di quelle cose sono state messe a punto
dai nostri talentuosi scrittori di [What If…?] all’inizio, quindi,
abbiamo solo preso questo e… esplorato un po’ di più quella
mitologia in quell’episodio. Quindi, sì, è pazzesco“.
La serie animata reimmagina
l’Universo Marvel mentre una nuova generazione
di eroi combatte contro una piaga zombie sempre più diffusa. Nei
fumetti, Marvel Zombies è nata come
una serie limitata di cinque numeri pubblicata per la prima volta
nel 2005.
Prossimamente al cinema con Povere
Creature!, nuovo film di Yorgos
LanthimosLeone D’Oro a Venezia
80 (qui la nostra recensione), Willem Dafoe racconta la genesi del suo
personaggio, Godwin, un moderno Frankenstein che si lascia
trascinare dai sentimenti. Il suo viaggio nel mondo del cinema
inizia negli anni Ottanta e dopo oltre quarant’anni ottiene
finalmente la sua stella sulla Walk of Fame.
Questo riconoscimento tanto ambito lo ha condiviso con amici e
colleghi che sono stati al suo fianco durante la cerimonia:
“È stato un bel momento pieno di
amici e di persone con cui ho lavorato che sono venuti per me.
Pedro Pascal, con il quale avevo lavorato come attore, e Patricia
Arquette hanno tenuto discorsi meravigliosi, mi sono sentito parte
di una comunità. Il fatto di avere una stella è una cosa
universalmente riconosciuta, è difficile pensare che quella
mattonella vivrà più di me“.
Il lavoro con Povere
Creature!
Povere
Creature! sarà al cinema dal 25 gennaio. Willem Dafoe interpreta una versione moderna
di Frankenstein che si discosta moltissimo però dall’idea di orrore
e repulsione. Il merito è ovviamente del regista Yorgos
Lanthimos e di Emma Stone, protagonista indiscussa della
scena: “Lanthimos è veramente un regista che ha la capacità di
creare fantistici mondi. Il teso era molto forto e noi attori
entravamo in scena senza una guida poi era lui a guardarci e dare
tutte le indicazioni e gli aggiustamenti. Emma [Stone] è
fantastica, il film è incentrato su di lei, e noi eravamo lì per
darle supporto. Ho visto il bellissimo rapporto che ha con Yorgos.
È stato un set molto felice“.
I personaggi che interpretato negli
anni hanno sempre una cosa in comune: quello di trasformare Dafoe
in un uomo completamente nuovo. Che sia il Goblin in
Spider-Man o Godwin di Povere
Creature! passare il tempo nella sala trucco non è un
problema: “L’ho fatto in passato e probabilmente lo farò
ancora, è un fantastico mezzo perché hai la possibilità di lavorare
con una maschera. Puoi guardarti allo specchio e ti vedi scomparire
ma allo stesso tempo vedi apparire altro. È uno strumento
meraviglioso dove scopri che puoi provare altri tipi di sentimenti.
Non è comodo ma ne vale la pena“.
Nel film si parla tanto di libertà
soprattutto dal punto di vista femminile: “La rappresentazione
degli uomini in questo film è che sono oppressivi nei confronti
delle donne, però nel film viene mostrato anche che le donne hanno
una grande forma di libertà. Ma siamo ora in un momento dove c’è un
cambio di posizione delle donne rispetto al rapporto con gli uomini
nel passato. Questo film esprime una liberazione attiva ed è un
qualcosa che vediamo attraverso gli occhi di una donna“.
Il futuro di Willem Dafoe
Dopo la stella sulla Walk of
Fame e il tour promozionale per Povere
Creature! ci si chiede se Willem Dafoe abbia ancora sogni nel cassetto,
ruoli che vorrebbe interpretare: “Non ho una risposta a questa
domanda. Ho sempre progetti o ruoli che mi piacerebbe interpretare
che sono legati a proposte o persone. Ma allo stesso tempo do il
meglio di me quando ci sono personaggi da creare. il processo di
creazione che faccio con i personaggi che interpreto è la parte del
lavoro che conta di più per me”.
Lungo la sua carriera ha lavorato
con ogni genere di autori e registi che hanno contribuito a formare
il suo punto di vista cinematografico: “I registi sono sempre
stati importanti per me. Perché come attore è fondamentale
concedersi alla persona che ha una visione così forte di un film.
Quello che mi piace molto è avere a che fare con una persona che ha
una visione molto chiara e te la spiega, tu poi fai il resto:
cerchi in tutti i modi di abitare quella sensazione di farla tua.
Non deve essere qualcosa che capisco immediatamente ma qualcosa che
mi viene presentato e che poi posso trasformare a dare vita
all’idea del personaggio“.
Appuntamento a Land’s
End di
Gillies MacKinnon è il tipico film inglese.
Ovvero, quello che possiede in genere una storia piuttosto
semplice, piena di momenti toccanti e anche
bizzarri e non prevede sequenze d’azione ma si basa e si vanta su
una solida recitazione. Questo lungometraggio
racconta di un anziano che intraprende un viaggio in
autobus, attraverso la Gran Bretagna dalla Scozia
alla Cornovaglia, per mantenere una promessa fatta alla
moglie defunta. Non è esattamente un’idea che può attirare a prima
vista, ma grazie al suo protagonista, invecchiato per il ruolo e
interpretato dall’attore britannico
Timothy Spall, questo titolo possiede i suoi momenti che
emozioneranno chiunque lo vedrà.
La trama di Appuntamento a Land’s
End
Tom Harper è da
poco vedovo, è un uomo di ben 90
anni, ex soldato che ha combattuto la Seconda Guerra
Mondiale e che ha deciso d’intrapprendere forse il suo ultimo
viaggio. Questo signore che ha passato la vita lavorando come
meccanico, decide quindi di lasciare la sua casa,
quella degli ultimi 50 anni in cui ha vissuto con il suo amore
Mary, situata in una zona remota di una piccola
città nel Nord della Scozia, pianificando un
intero viaggio in autobus locali. Portando con se il minimo
disponsabile, una valigetta che contiene i suoi
affetti, tra cui anche le ceneri della moglie custodite in una
scatola e la sua tessera abbonamento per viaggiare
gratis sui bus parte per il luogo in cui è nato.
L’anziano è consapevole che questo
percorso non sarà di certo una passeggiata ma con lo spirito che da
sempre lo distingue come la costanza, la fedeltà e la serietà parte
e per fortuna incontrerà, soprattutto, gente che l’aiuterà nella
sua impresa. Inizia così questo viaggio di ben 1348
km fatto di splendidi paesaggi di natura incontaminata
della Scozia e quelli più metropolitani inglesi. Tom Harper durante
il film mostrerà anche tutto il suo carattere pieno di forza, del
tutto in contrasto con la sua vecchiaia, come quando difenderà una
ragazza musulmana molestata da un giovane
razzista. Un aspetto che sarà notato e poi postato su
instagram da alcuni ragazzi, tanto da far
diventare virale questo indomito vecchietto in
missione.
I primi che soccoreranno in
Appuntamento a Land’s End il vecchio Tom saranno
una giovane coppia di ritorno da una serata a teatro, che ospiterà
l’uomo a casa loro, durante la sua prima notte di viaggio, dopo
averlo trovato stanco e confuso in strada e alla ricerca del Bed
and Breakfast che aveva prenotato. La mattina dopo ovviamente
l’uomo lascia l’appartamento dei suoi gentili salvatori e ripartirà
alla via d’altre lunghe giornate in autobus. Dopo un brutto
episodio, in cui un controllore inglese
butterà giù da un pulmam il protagonista perchè il suo abbonamento
gratuito vale solo in Scozia, ovviamente la sua storia inizierà a
girare sui social, ancora di più, arrivando pure sulle frequenze di
una radio e nessuno più ostacolerà il suo viaggio.
Il signor Harper arriverà quindi a
Land’s End in Cornovaglia, il punto più
occidentale della terraferma d’Inghilterra, dove dopo aver visitato
da solo la tomba del figlia morta di un anno
Margaret, il protagonista viene accolto dagli
applausi della gente corsa ad accoglierlo. Per Tom però c’è un
ultimo passo da fare per concludere la sua
promessa, quella di distribuire le ceneri di Mary nel mare e anche
questa missione la concluderà al molo con l’aiuto di un bastone e
della sua forza d’animo che da sempre possiede.
Timothy Spall come non
l’aspetti
Timothy Spall è un volto noto del cinema, a lui sono sempre
riservati quei ruoli da caratterista o spalla del
cattivo di turno in saghe fantasy celebri come per citarne una
quella di Harry Potter. Quest’attore britannico però è molto di più
e in questo ruolo da protagonista ne conferma ancora una volta il
suo talento, premiato a Cannes nel 2014 con Il Prix
d’interprétation masculine per sua interpretazione del pittore
Turner.
Appuntamentoa Land’s End è molte cose, ma soprattutto è una
commovente meditazione sulla vita, sull’amore e sugli impegni che
prendiamo nei confronti delle persone a noi più care. È anche un
bellissimo viaggio della memoria quella di Tom fatta di flashback
ben gestiti dei momenti chiave con Mary, gli alti e bassi di un
grande amore, che hanno definito il loro matrimonio. Sono
incorniciati come ricordi riportati alla mente di Tom durante le
diverse tappe del suo pellegrinaggio meticolosamente pianificato
per onorare una promessa alla sua amata moglie.
“L’unico uomo di cui
abbia mai avuto paura è stata una donna, chiamata Griselda
Blanco”. Si apre con questa eloquente frase, attribuita a
Pablo Escobar, la serie Netflix in sei
episodi, disponibile dal 25 gennaio sulla piattaforma. Protagonista
assoluta è Sofía Vergara, in una inedita veste
drammatica, chiamata a dare corpo e anima alla Madrina del
narcotraffico colombiano che negli anni ’70 e ’80 era in totale
possesso dello spaccio in tutta Miami.
Griselda: l’Impero nato dalla fuga
Un impero, quello di
Griselda, nato dalla fuga e dalla paura. Non c’è
grande approfondimento nei fatti che la riguardano avvenuti a
Medellín, ma la storia prende le mosse da quando la donna trova il
modo di ribellarsi e scappare da suo marito Alberto,
narcotrafficante leader nel settore, che controllava i flussi dal
centro colombiano fino a New York. Intuiamo che l’infanzia e la
prima giovinezza di Griselda sono state dure, è
stata picchiata, forse violentata e costretta a prostituirsi, ma in
qualche modo è sopravvissuta e, quando il marito le ha chiesto
l’indicibile, lei ha trovato il coraggio di scappare, non senza
regalargli un colpo quasi letale, prima.
La troviamo in fuga a
Miami, sola, con un chilo chi cocaina purissima e tre figli. Quel
panetto è la chiave per la sua libertà, il primo mattone di un
impero che lei già immagina, e disegna nell’aria con la punta della
sua sigaretta, un gesto quasi rituale che l’accompagnerà fino alla
fine dei suoi giorni: tratteggiare i suoi possedimenti, che siano
esse case, persone, cose desiderate e che arriveranno.
Da questo punto in poi,
Griselda mette in atto il suo piano che la porterà
a governare letteralmente la città di Miami, mentre con pungo di
ferro, ferocia e determinazione costruisce il suo impero e la sua
ricchezza, facendosi strada, sola, in un mondo di uomini.
Un tentativo di empatizzare con un
mostro
Creata da Eric
Newman, Doug Miro, Ingrid Escajeda e Carlo
Bernard, la serie sembra porsi l’obbiettivo di raccontare
un personaggio sicuramente affascinante ma anche controverso e
oggettivamente malvagio, crudele. Tuttavia, forse perché si fatica
ancora a raccontare le donne con la stessa onestà con cui si
raccontano gli uomini, la scrittura e la regia tentano
costantemente di innalzare in qualche modo la figura di
Griselda.
Non è solo un’aspirante
narcotrafficante, è anche una donna in fuga, vittima di violenza,
non è solo una crudele mandante di omicidi efferati, è una donna
che combatte per il suo posto nel mondo, non è la Madrina della
droga di tutta Miami, è anche colei che tiene alla cura e alla
protezione di chi lavora per lei. E se da una parte è vero che
uomini e donne nelle stesso posizioni di potere possono avere
priorità e atteggiamenti differenti, è altrettanto vero che
raccontare una figura femminile così efferata e terribile, sembra
mentalmente ancora difficile, perché la donna è prima di tutto
“cura e rifugio” nel sentire comune. E quindi gli sceneggiatori
decidono di far leva sulla maternità di Griselda,
l’elemento che la tiene ancorata all’umanità, che dovrebbe creare
empatia con il pubblico e essere la chiave per la sua
comprensione.
Griselda Madre e
Madrina
Proprio su questo
elemento si fonda il punto di svolta nella trama della serie:
quando un bambino molto piccolo muore, vittima involontaria di
omicidi da lei ordinati, Griselda sembra avere una
crisi di identità e tutto quel valore che lei per prima attribuiva
al suo essere non solo madre amorevole per i suoi figli, ma anche
madrina protettrice per chi dipende da lei, sembra ritorcersi
contro di lei. Paranoia, insicurezza, mancanza di fiducia in se
stessa deflagrano nell’intimità del personaggio che si lascia
cadere in una spirale di autodistruzione che, ancora una volta,
trova la giustificazione in un trauma. Di nuovo, per essere “così
cattiva” una donna criminale ha bisogno di una causa scatenante
indotta. Sembra che sia ancora impossibile raccontare figure
femminili genuinamente cattive e negative (cosa che nessuno trova
difficile nei confronti invece di un uomo). Le conseguenze dello
stilnovismo, si potrebbe dire!
Due donne: una contro l’altra e
l’altra contro il mondo
Parallelamente alla vita
della protagonista, la serie ci racconta anche un’altra storia,
quella di June Hawkins (interpretata da Juliana Aidén
Martinez), detective della polizia di Miami che ha fatto
della caccia a Griselda la sua ragione di vita. Sarebbe improprio
però dire che le due donne sono l’una contro l’altra, perché non
hanno le stesse priorità né condividono gli stessi obbiettivi, pur
se lo loro storie partono dallo stesso presupposto: se da una parte
le accomuna la fatica di dover emergere in un mondo che non le vede
capaci di fare il loro lavoro, le allontana il fatto che la
poliziotta dedica la sua vita alla caccia della criminale, mentre
quest’ultima è sola contro il mondo, e June, per lei, rappresenta
solo un’altra difficoltà, l’ennesima.
La contrapposizione con
il personaggio di June concede a Sofía Vergara la possibilità di lavorare anche
per contrasto con una figura così inquadrata e equilibrata, decisa
e focalizzata sul suo obbiettivo. Griselda alterna invece momenti
di estrema lucidità e capacità di calcolo, con eccessi di ferocia e
disordine, permettendo all’attrice, che tutti amiamo nei panni di
Gloria Pritchett, di offrire una gamma di
emozioni molto intense, spesso esagerate, ma efficaci a restituire
questo personaggio così complesso.
Il regista Andrés
Baiz e il suo team hanno chiaramente lavorato con grande
affinità con Vergara che si è immedesimata nel ruolo anche grazie a
un lavoro di mimesi e costruzione del personaggio, dal trucco e
parrucco, alle movenze, al guardaroba fino alle sottilissime
sopracciglia e alle sigarette che Griselda fumava di continuo. Per
non parlare poi del contesto storico: Vergara stessa ha raccontato
che essendo cresciuta nel mondo della Colombia degli anni ’70-’80
conosce in prima persona il mondo di Griselda, e non le è stato
troppo difficile doverlo immaginare.
Pur essendo una potente
esplorazione della vita di uno dei personaggi più significativi
della storia del narcotraffico sudamericano,
Griselda denuncia il fatto che i narratori
contemporanei faticano ancora ad attribuire caratteristiche
completamente negative a un personaggio femminile protagonista. La
storia è solida, il ruolo offre mille sfide, i riferimenti reali
ricchi di possibilità, eppure il mondo non è ancora pronto per un
villain donna, anche se è passata alla storia come l’unica
ad aver mai intimorito Pablo Escobar.
Dal 26 gennaio al 15
marzo 2024
torna il Sudestival, il festival della Città di Monopoli,
progetto dell’Associazione Culturale Sguardi, fondato e diretto da
Michele Suma. Il festival è espressione dell’Apulia
Cinefestival Network, afferisce all’AFIC ed è componente della Rete
dei Festival dell’Adriatico.
Giunto alla sua
24esima edizione, il Sudestival è il punto di riferimento del
cinema italiano di qualità in Puglia, grande schermo delle
opere prime del cinema italiano, della recente produzione di DOC e
di cortometraggi italiani, nella splendida cornice della città di
Monopoli. Il tema
dell’imprevisto, del caso, dell’instabilità della vita sarà il
fil rouge dell’edizione, che vedrà il fulcro come sempre nel
concorso dei lungometraggi, con due anteprime nazionali, a
cui si affiancherà il concorso dei documentari – a cura di
Maurizio Di Rienzo -, la sezione Gli Imprescindibili,
le Masterclass, Corta è la notte – selezione di
cortometraggi a cura de La Rete dei festival dell’Adriatico – e il
cinema per i più piccoli con la sezione Kids – a cura di
Marino Guarnieri. A chiudere il ricco programma l’Omaggio
a Carlo Delle Piane e l’Omaggio a Walter Chiari nel
centenario della sua nascita.
Primo e unico festival di
cinema italiano a svolgersi lungo un inverno, il Sudestival
inaugura la sua 24esima edizione sabato 27 gennaio con la
tradizionale Sezione “L’attore/attrice dietro la macchina da
presa”. Due gli appuntamenti: la sera del 27 gennaio con
Alessandro Roja, ospite in sala, e la sua opera prima,
Con la grazia di un Dio, che vede protagonisti Tommaso Ragno
e Maya Sansa; la sera del 28 gennaio con Kasia Smutniak,
ospite in sala con il suo Mur, debutto dietro alla macchina
da presa dell’attrice sulle tragiche conseguenze sociali, culturali
e politiche del muro tra Polonia e Bielorussia.
Il ricco weekend
d’apertura sarà impreziosito dall’evento speciale, in occasione
della Giornata della Memoria, che vede protagonista Marco
Belpoliti e la sua lectio magistralis su “Leggere Se
questo è un uomo di Primo Levi”, a cui seguirà la
proiezione de La strada di Levi di Davide Ferrario, che
celebra l’appena trascorso sessantennale della pubblicazione de
La tregua di Primo Levi, testimoniando la consueta
attenzione del festival anche alla storia, alla letteratura e alla
formazione.
Si entra nel vivo del
concorso lungometraggi il 2 febbraio con Come pecore in mezzo ai
lupi, proiettato alla presenza della regista Lyda
Patitucci. A seguire, il 9 febbraio sarà la volta di
Castelrotto di Damiano Giacomelli – presentato in
anteprima, e la settimana successiva di Doppio Passo
di Lorenzo Borghini. Il 23 febbraio il quarto film
in concorso, Gli ospiti, diretto da Svevo Moltrasio e
il 1° marzo, seconda anteprima della sestina, Roma
Blues di Gianluca Manzetti. Ultimo titolo in concorso,
l’8 marzo, Denti da squalo di Davide Gentile.
Ad affiancare il concorso
dei lunghi, l’immancabile sezione DOC, che porta per la prima volta
in Puglia alcuni dei titoli più interessanti nello scenario dei
documentari italiani. La sezione concorsuale, curata da Maurizio
Di Rienzo, si apre il 1° febbraio con Adesso vinco io di
Herbert Simone Paragnani e Paolo Geremei
(anteprima), e prosegue l’8 febbraio con
Roma Santa e dannata di Daniele Ciprì;
il 15 febbraio con Semidei di Fabio Mollo e
Alessandra Cataleta (anteprima), Mimmo Lumano di
Vincenzo Caricari il 22 febbraio (anteprima), Profondo
Argento di Giancarlo Rolandi e Steve Della Casa il 29
febbraio e, infine, il 7 marzo Posso entrare? An ode to
Naples, di Trudie Styler.
Primo in Italia, alla
luce della recente scomparsa, il Sudestival dedica la propria
tradizionale retrospettiva “Gli imprescindibili” a Giuliano
Montaldo, regista e attore pietra miliare della storia del
cinema italiano. Si parte domenica 28 gennaio con Sacco e
Vanzetti, accompagnato dalla presenza del regista Inti
Carboni (nipote di Montaldo), che inaugurerà lo sguardo
retrospettivo della sezione. La retrospettiva proporrà Giordano
Bruno il 3 febbraio, il 10 febbraio L’Agnese va a
morire, il 17 febbraio I demoni di San Pietroburgo e,
infine, L’industriale il 24 febbraio.
Unico festival di cinema
in Italia che ha come cuore pulsante un gruppo di docenti di
istituti superiori, il Sudestival dedica grande attenzione ed
energie alle Masterclass, sezione che coinvolge con grande
entusiasmo centinaia di giovani studenti del territorio. È un
momento di arricchimento e di confronto del “cinema che ti parla”,
che anche quest’anno vedrà protagonisti nomi di fama internazionale
interloquire con i giovani delle scuole superiori. Ad aprire la
sezione, fiore all’occhiello del Festival, il direttore della
fotografia Luca Bigazzi sul tema “Il ruolo strategico della
luce nell’opera filmica: Amusia” insieme al regista
Marescotti Ruspoli. Un ritorno al Sudestival per Fabio
Mollo, che presentò la sua opera prima nel lontano 7 marzo
2014. L’autore terrà l’incontro, il 27 gennaio, intitolato “Dalla
pagina allo schermo: la regia di Nata per te”. Il 2 febbraio
Pippo Mezzapesa e Antonella Gaeta proporranno
il tema “Regia e scrittura cinematografica tra finzione e
realtà: Ti mangio il cuore”. Il 23 febbraio Ciro
D’Emilio, altro esordio del Sudestival, sarà protagonista de
“La regia tra narrazione e visione”. L’ultimo weekend del Festival
vedrà il 14 marzo il montatore Marco Spoletini con “Le
strategie di montaggio in Io capitano” e il 15 marzo lo
sceneggiatore Salvatore De Mola che illustrerà “La scrittura
della storia in Fango e Gloria”.
Insieme alle masterclass
pensate per i più giovani, la sezione Kids è invece dedicata
ai giovanissimi, ai bambini delle scuole primarie della città, con
la direzione artistica di Marino Guarnieri, regista e
illustratore, già presidente di ASIFA Italia, e i laboratori curati
da Jacopo Selicati, dell’Allegra Brigata di Monopoli.
Si parte il 9 febbraio con il laboratorio didattico a cura di
Marino Guarnieri, incentrato sul linguaggio del cinema
d’animazione e sulle tecniche di lavorazione adoperate nei film in
concorso.
In occasione del
centenario della nascita, il Sudestival dedicata un omaggio a
Walter Chiari, con la presentazione in anteprima al Sud di
100% Walter. Biografia di un genio irregolare (Baldini e
Castoldi) di Simone Annichiarico e Michele Sancisi,
entrambi ospiti in sala. Ad affiancare il libro anche la proiezione
del doc Meglio esser chiari di Cecilia Formenti, con
Simone Annichiarico, e del famoso Walter e i suoi cugini di
Marino Girolami. Il 26 gennaio sarà inoltre presentato in
anteprima regionale il libro Carlo Delle Piane, l’uomo che ho
amato (Martin Eden) a cura di Anna Crispino Delle Piane,
scrittrice e moglie dell’attore, ospite in sala.
Il festival vivrà anche
la propria dimensione internazionale grazie al gemellaggio con il
Golden Apricot International Film Festival di Jerevan (Armenia),
dedicando la giornata del 14 marzo alla proiezione di due opere
armene selezionate dal GAIFF: Luka di Jessika Woodworth e
Tonratun di Inna Sahakyan. Chiuderà la giornata l’Omaggio a
Charles Aznavour, in occasione del centenario della nascita, con la
proiezione di Tirate sul pianista di Francois Truffaut.
Ben 10 sono i premi che
saranno assegnati in questa edizione: il Faro d’Autore della Città
di Monopoli e il Premio “Masseria Santa Teresa Resort” al miglior
lungometraggio indicato dalla Giuria Nazionale Lungometraggi,
composta da Claudio Cupellini, Michela Andreozzi,
Alessandro Aronadio, Anne Ritta Ciccone e presieduta
da Giorgio Diritti; il Premio “900 – Albea”, assegnato dalla
Giuria del Pubblico al miglior lungometraggio; la Giuria Giovani Sudestival
School assegnerà il Premio “Monholiday” al miglior lungometraggio;
confermati anche quest’anno il CD d’argento per il Premio “Gianni
Lenoci” alla Miglior Colonna Sonora – la cui Giuria presieduta da
Francesco Conversano si compone di Gianpaolo Schiavo,
Paolo Vivaldi, Paolo Carlomè e Daniela Nasti; il
Premio Apulia Film Commission “Carlo Delle Piane” alla Miglior
Sceneggiatura, assegnato dalla Giuria composta da Antonella W.
Gaeta, Salvatore De Mola e Anna Crispino Delle
Piane, presidente. Il Premio “Albergo Diffuso”, sarà attribuito
dalla Giuria Nazionale DOC, composta da Viviana Del Bianco
(presidente) con Michele Sancisi e Alessandro Boschi,
al miglior documentario, a cui si affiancherà il Premio Giuria
Giovani al miglior DOC; il Premio “Rete dei Festival
dell’Adriatico” sarà assegnato al miglior cortometraggio. Infine,
la Giuria KIDS Sudestival School assegnerà il Premio al Miglior
Film di Animazione e l’ospite d’onore della Serata delle
Premiazioni del 15 marzo riceverà il Premio “Eccellenti Visioni”,
che sarà aperta dalla proiezione di Ballatoio n. 5 di
Chiara De Angelis, Premio “Raffaella Carrà” del Pop Corn –
Festival del Corto di Porto Santo Stefano.
LE SEZIONI
MASTERCLASS
26 gennaio – Luca Bigazzi: “Il ruolo
strategico della luce nell’opera filmica: Amusia “
27 gennaio – Fabio Mollo: “Dalla pagina allo
schermo: la regia di Nata per te”
2 febbraio – Pippo Mezzapesa e Antonella
Gaeta: “Regia e scrittura cinematografica tra finzione e
realtà: Ti mangio il cuore”
23 febbraio – Ciro d’Emilio: “La regia tra
narrazione e visione: Un giorno all’improvviso”
14 marzo – Marco Spoletini: “Le strategie di
montaggio in Io capitano”
15 marzo – Salvatore De Mola: “Le scelte di
sceneggiatura di Fango e Gloria”
GLI IMPRESCINDIBILI_ LA RETROSPETTIVA DEDICATA A
GIULIANO MONTALDO
28 gennaio – Sacco e Vanzetti (1971)
3 febbraio – Giordano Bruno (1973)
10 febbraio – L’Agnese va a morire
(1976)
17 febbraio – I demoni di San Pietroburgo
(2008)
24 febbraio – L’industriale (2011)
CONCORSO LUNGOMETRAGGIO
2 febbraio – Come pecore in mezzo ai lupi,
di Lyda Patitucci
9 febbraio – Castelrotto, di Giuliano
Giacomelli (ANTEPRIMA)
16 febbraio – Doppio passo, di Lorenzo
Borghini
23 febbraio – Gli ospiti, di Svevo
Moltrasio
1 marzo – Roma Blues, di Gianluca
Manzetti (ANTEPRIMA)
8 marzo – Denti da squalo, di Davide
Gentile
CONCORSO DOC
1 febbraio – Adesso vinco io, di Herbert
Simone Paragnani e Paolo Geremei
8 febbraio – Roma santa e dannata, di
Daniele Ciprì
15 febbraio – Semidei, di Fabio Mollo e
Alessandra Cataleta
22 febbraio – Mimmo Lumano, di Vincenzo
Caricari (ANTEPRIMA)
29 febbraio – Profondo Argento, di
Giancarlo Rolandi e Steve della Casa
7 marzo – Posso entrare? An ode to Naples,
di Trudie Styler
CORTA È LA NOTTE – 2 MARZO
Un bacio di troppo, di Vincenzo
Lamagna
Due battiti, di Marino Guarnieri
Beati i puri di cuore, di Matteo
Giampetruzzi
La nocchiera, di Martina Briglia
Happy New Year, di Andrea
Gatopoulos
Mariposa, di Maurizio Forcella
Stanza 5, di Rosario Capozzolo
Tu Quoque, di Luca Fattori
Giombi
SUDESTIVAL KIDS
9 febbraio – Laboratorio a cura di Marino
Guarnieri
16 febbraio – Mary e lo spirito di
mezzanotte, di Enzo d’Alò
1 marzo – Manodopera, di Alain
Ughetto
8 marzo – Argonuts missione Olimpo, di
David Alaux
Ridley Scott ha
appena concluso le riprese del suo prossimo film, il molto atteso
Il gladiatore
2. Il regista, che ha raggiunto uno status di maestro
dell’arte della regia sul campo, ha impiegato uno stile molto
particolare per le riprese di questo film, tecniche di ripresa che,
secondo lui, contribuiscono enormemente all’esperienza
cinematografica dei suoi film, oltre a dargli più scelta e varietà
nel processo di montaggio. Un aspetto notevole del suo approccio è
l’uso di più macchine da presa durante le riprese.
Scott utilizza spesso più camere,
fino a otto, contemporaneamente per catturare vari angoli e
prospettive, migliorando la narrazione visiva. Questa tecnica
consente una maggiore copertura di una scena, fornendo una ricca
gamma di inquadrature tra cui scegliere durante il montaggio, e
contribuisce alla qualità dinamica e coinvolgente dei suoi film.
Questo approccio è stato utilizzato ne Il gladiatore 2.
Uno degli attori del film,
Fred Hechinger, ha parlato della recitazione per
Scott e della sua esperienza complessiva in Il Gladiatore
2 durante un’intervista con Steve Weintraub
di Collider, durante il percorso promozionale per
il suo nuovo progetto, Thelma, insieme a
June Squibb e Clark Gregg. Mentre
parlava alla première del film al Sundance, Hechinger ha descritto
il processo di Scott associandolo a quello teatrale:
“È fantastico. Voglio dire, le
otto camere mi hanno ricordato il teatro perché hai un intero
ambiente creato nella macchina da presa. Ma devo dire che ciò che è
sorprendente è anche che quando qualcosa sembra vivo, sembra vivo
in modi unici ma connettivi. Quindi, si crea qualcosa di veramente
speciale, quello che stai facendo in quel momento e inizi a trovare
un ritmo… se sei fortunato, ti senti connesso a quella sensazione
di quando hai iniziato a fare teatro. Dai il nome che preferisci a
questa sensazione strana, ma ne avrai solo un’idea.”
Chi c’è nel cast de Il gladiatore 2?
Il gladiatore 2 è
diretto da Ridley Scott e
si basa su una sceneggiatura scritta da David Scarpa. A guidare
l’atteso sequel è Paul Mescal nel
ruolo di Lucio, il figlio di Lucilla e nipote dell’imperatore
Commodo del primo capitolo. A Paul Mescal si
aggiungono i membri del cast Connie Nielsen nel ruolo di Lucilla e
Derek Jacobi in quello di Gracco. Nel cast ci
saranno anche
Denzel Washington,
Pedro Pascal, Joseph Quinn, Fred Hechinger, May Calamawy, Lior
Raz e altri ancora.
Il gladiatore 2
è prodotto da Ridley Scott,
Michael Pruss, Douglas Wick e Lucy Fisher. Il film
è considerato una produzione in joint-venture tra
Paramount, Universal Pictures, Scott Free Productions e
Parkes/MacDonald Productions. Ricordiamo che Russell Crowe non è
coinvolto in alcun modo nel progetto, specialmente alla luce
del fatto che il suo Massimo muore, appunto, al termine del primo
film. La produzione de Il gladiatore 2 è
ripresa
all’inizio del mese dopo la fine degli scioperi a Hollywood.
Attualmente il film dovrebbe arrivare nelle sale il 22 novembre
2024.
Da quando gli Academy
Awards sono stati accusati di ignorare le registe donne e
non bianche in ogni cerimonia, la reazione e il cambiamento è
emerso, lentamente, ma ogni anno con maggiore forza e con sempre
nuovi record infranti: gli Oscar 2024 non fanno eccezione.
Anatomia di una caduta, Past
Lives e Barbie sono
tre dei dieci film nominati per il miglior lungometraggio: è la
prima volta che tre autrici vengono nominate contemporaneamente
nella categoria.
La denominazione “autore” sta a
indicare registi hanno anche scritto o co-scritto i propri film, il
che suggerisce che avevano un maggiore controllo creativo sul
materiale. Anatomia di una caduta è diretto dalla
regista francese Justine Triet, Past
Lives è diretto da Celine Song (al
suo debutto cinematografico) e Barbie da
Greta Gerwig. E, per fortuna, questa non è l’unica
categoria in cui gli Academy Awards celebrano il lavoro delle tre
donne.
Con altre sette nomination, Barbie è
diventato uno dei film più nominati agli Oscar quest’anno. Ha
ricevuto nomination nella categoria Miglior sceneggiatura non
originale, nonché Miglior attore e attrice non protagonista –
per Ryan Gosling e America
Ferrera – Miglior scenografia, Costumi e due
nomination per la canzone originale: ballata di successo “I’m Just
Ken” e “Per cosa sono stata creata” di Billie
Eilish.
Anche se i film usciti all’inizio
dell’anno faticano a essere ricordati dagli elettori durante le
nomination agli Academy Awards, Past
Lives è riuscito a ottenere due nomination:
Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Originale, e questo è
certamente successo perché del film si è parlato molto in generale.
Tuttavia, i fan del lavoro di Song sono già furiosi per l’affronto
nei confronti della protagonista Greta Lee e per
l’assenza di Celine Song nella categoria Miglior
regia.
Ultimo ma non meno importante,
Anatomia di una caduta ha rivendicato una
volta per tutte il titolo di uno dei migliori film usciti nel 2023
e questo si è tradotto in cinque nomination: oltre a quello per il
miglior film, ha ottenuto nomination per la migliore regia per
Triet, e anche per la migliore sceneggiatura originale per lei e il
suo partner di sceneggiatura Arthur Harari,
miglior montaggio e migliore attrice protagonista per
Sandra Hüller.
Continua la spola tra Stati Uniti e
Europa per la stagione dei premi in corso con l’annuncio delle
nomination ai César Awards 2024. Dopo i
SAG negli USA, i
BAFTA nel Regno Unito, ieri gli
Oscar da Los Angeles, si torna nel Vecchio Continente con i
riconoscimenti al cinema francese che quest’anno è protagonista
anche della scena internazionale con Anatomia di una caduta,
che ha ricevuto ben 5
candidature agli Oscar 2024. In patria viene però battuto dal
dramma fantasy di
Thomas Cailley,
The Animal Kingdom,
che è in cima alle nomination per i
César Awards 2024,
annunciati nelle ultime ore a Parigi. Il dramma ha ottenuto 13
nomination, tra cui quella per miglior regista, film e
sceneggiatura originale.
Il film candidato all’Oscar di Justine Triet è
arrivato secondo con “sole” 12 nomination, seguito da All
Your Faces di Jeanne Herry, con nove, e
The Goldman Case, con otto.
Come annunciato in precedenza, Christopher
Nolan e la regista francese Agnès Jaoui
riceveranno quest’anno i Césars onorari.
Ecco tutte le nomination ai César Awards 2024
Miglior film
Anatomia di una caduta, prodotto da Marie-Ange
Luciani, David Thion, diretto da Justine Triet
Chien de la casse, prodotto da Anais Bertrand, diretto
da Jean-Baptiste Durand
Je verrai toujours vos visages, prodotto da Hugo
Selignac, Alain Attal, diretto da Jeanne Herry
Le Procès Goldman, prodotto da Benjamin Elalouf,
diretto da Cédric Kahn
The Animal Kingdom, prodotto da Pierre Guyard, diretto
da Thomas Cailley
Miglior regista
Justine Triet per Anatomia di una caduta
Catherine Breillat per L’Été Dernier
Jeanne Herry per Je verrai toujours vos
visages
Cédric Khan per Le Procès Goldman
Thomas Cailley per The Animal Kingdom
Miglior attrice
Marion Cotillard per Little Girl Blue
Léa Drucker per L’Été Dernier
Virginie Efira per Il coraggio di Blanche
Hafsia Herzi per The Rapture
Sandra Hüller per Anatomia di una caduta
Miglior attore
Romain Duris per The Animal Kingdom
Benjamin Lavernhe per L’Abbé Pierre – Une vie de
combats
Melvil Poupaud per Il coraggio di Blanche
Raphaël Quenard per Yannick – La rivincita dello
spettatore
Arieh Worthalter per Le Procès Goldman
Miglior attrice non protagonista
Leïla Bekhti per Je verrai toujours vos
visages
Galatea Bellugi per Chien de la casse
Élodie Bouchez per Je verrai toujours vos
visages
Adèle Exarchopoulos per Je verrai toujours vos
visages
Miou Miou per Je verrai toujours vos visages
Miglior attore non protagonista
Swann Arlaud per Anatomia di una caduta
Anthony Bajon per Chien de la casse
Arthur Harari per Le Procès Goldman
Pio Marmaï per Yannick – La rivincita dello
spettatore
Antoine Reinartz per Anatomia di una caduta
Miglior attrice esordiente
Céleste Brunnquell per La fille de son père
Kim Higelin per Le Consentementement
Suzanne Jouannet per La Voie Royale
Rebecca Marder per Grand Expectations
Ella Rumpf per Le Théorème de Marguerite
Miglior attore esordiente
Julien Frison in Le Théorème de Marguerite
Paul Kircher per The Animal Kingdom
Samuel Kircher per L’Été Dernier
Ivilo Machado-Graner per Anatomia di una
caduta
Raphaël Quenard per Chien de la casse
Miglior sceneggiatura originale
Justine Triet, Arthur Harari per Anatomia di una
caduta
Jean-Baptiste Durand per Chien de la casse
Jeanne Herry per Je verrai toujours vos
visages
Nathalie Hertzberg, Cédric Kahn per Le Procès
Goldman
Thomas Cailley, Pauline Munier per The Animal
Kingdom
Miglior sceneggiatura non originale
Valerie Donzelli, Audrey Diwan per Il coraggio di
Blanche
Vanessa Filho per Le Consentement
Catherine Breillat per L’Été Dernier
Miglior colonna sonora originale
Gabriel Yared per Il coraggio di Blanche
Delphine Malaussena per Chien de la casse
Vitalic per Disco Boy
Andrea Laszlo de Simone per The Animal
Kingdom
Guillaume Roussel per I tre moschettieri (Parte 1:
D’Artagnan / Parte 2: Milady)
Miglior sonoro
Julien Sicart, Fanny Martin, Jeanne Delplancq, Olivier Goinard
per Anatomia di una caduta
Remi Daru, Guadalupe Cassius, Loic Prian, Marc Doisne
per Je verrai toujours vos visages
Erwan Kerzanet, Sylvian Malbrant, Olivier Guillaume
per Le Procès Goldman
Fabrice Osinkski, Raphael Sohier, Matthieu Fichet, Niels
Barletta per The Animal Kingdom
David Rit, Gwennole le Borgne, Oliver Touche, Cyril Holtz,
Niels Barletta per I tre moschettieri (Parte 1: D’Artagnan
/ Parte 2: Milady)
Miglior fotografia
Slivion Beaufils per Anatomia di una caduta
Jonathan Ricquebourg per La passion de Dodin
Bouffant
Patrick Ghiringhelli per Le Procès Goldman
Davio Cailley per The Animal Kingdom
Nicolas Bolduc per I tre moschettieri (Parte 1:
D’Artagnan / Parte 2: Milady)
Miglior montaggio
Laurent Sénéchal per Anatomia di una caduta
Francis Vesin per Je verrai toujours vos
visages
Valérie Loiseleux per Little Girl Blue
Yann Dedet per Le Procès Goldman
Lilian Corbeille per The Animal Kingdom
Migliori costumi
Jürgen Doering per Jeanne Du Barry – La Favorita del
Re
Pascaline Chavanne per Mon Crime – La colpevole sono
io
Tran Nu Yên Khê per La passion de Dodin
Bouffant
Ariane Daurat per The Animal Kingdom
Thierry Delettre per I tre moschettieri (Parte 1:
D’Artagnan / Parte 2: Milady)
Miglior scenografia
Emmanuelle Ouplay per Anatomia di una caduta
Angelo Zamparutti per Jeanne Du Barry – La Favorita
del Re
Toma Baquéni per La passion de Dodin
Bouffant
Julia Lemaire per The Animal Kingdom
Stéphane Taillasson per I tre moschettieri (Parte 1:
D’Artagnan / Parte 2: Milady)
Miglior effetti visivi
Thomas Duval per Acide
Lise Fischer, Cédric Fayolle per La Montagne
Cyrille Bonjean, Bruno Sommier, Jean-Louis Autret
per The Animal Kingdom
Olivier Cauwet per I tre moschettieri (Parte 1:
D’Artagnan / Parte 2: Milady)
Léo Ewald per Vermines
Miglior cortometraggio
L’Attente, diretto da Alice Douard, prodotto da Marie
Boitard, Alice Douaro
Bolero, diretto da Nans Laborde-Jourdaa, prodotto da
Margaux Lorier
Rapide, diretto da Paul Rigoux, prodotto da Anne
Luthaud
Les Silencieux diretto da Basile Vuillemin,
prodotto da Thomas Guent Ch
Miglior film d’animazione
Manodopera diretto da Alain Ughetto, prodotto da
Alexandre Cornu, Jean-François Le Corre, Mathieu Courtois
Linda e il pollo, diretto da Chiara Malta, Sébastien
Laudenbach, prodotto da Marc Irmer, Emmanuel-Alain Raynal, Pierre
Baussaron
Mars Express diretto da Jérémie Périn, prodotto
da Didier Creste
Miglior documentario
Atlantic Bar diretto da Fanny Molins, prodotto da
Chloé Servel, Nicolas Tiry
Les Filles d’Olfa diretto da Kaouther Ben Hania,
prodotto da Nadim Cheikhrouha
Little Girl Blue diretto da Mona Achache,
prodotto da Laetitia Gonzalez, Yaël Fogiel
Notre corps diretto da Claire Simon, prodotto da
Kristina Larsen
Sur l’Adamant diretto da Nicolas Philibert,
prodotto da Miléna Poylo, Gilles Sacuto, Céline Loiseau
Miglior opera prima
Bernadette diretto da Léa Domenach, prodotto da
Antoine Rein, Fabrice Goldstein
Chien de la casse diretto da Jean-Baptiste
Ourand, prodotto da Anaïs Bertrand
The Rapture diretto da Iris Kaltenbäck, prodotto
da Alice Bloch, Thierry de Clermont-Tonnerre
Vermines diretto da Sébastien Vanicek, prodotto
da Harry Tordjman
Vincent doit mourir diretto da Stephan Casting,
prodotto da Thierry Lounas, Claire Bonnefoy
Anche se
Thanos è morto in Avengers:
Endgame, in molti si chiedono se tornerà mai nel
MCU, visto che nei fumetti nessuno
muore davvero (a parte Iron Man…) e che il
personaggio è trai più amati dell’universo condiviso.
La grande popolarità del personaggio
potrebbe infatti spingere i Marvel Studios a ritirare fuori
Thanos per un film spin-off o magari una serie incentrata
tutta su di lui. Ma avrebbe davvero senso un racconto unico su un
villain che, pur avendo una statura tragica e delle ragioni dalla
sua, è pur sempre considerato un cattivo che difficilmente può
essere trasformato in anti-eroe, come sempre succede ai cattivi
raccontati come protagonisti?
Ma dove potrebbe mai rispuntare
Thanos? Una possibilità è rappresentata da un eventuale sequel di
Eternals,
visto che il Titano Pazzo ha già un legame stabilito con la squadra
tramite suo fratello Eros, alias Starfox. Forse il personaggio
interpretato da Josh Brolin potrebbe tornare in quel film
tramite un cameo o un flashback se il film decidesse di esplorare
il retroscena di Eros.
Tuttavia, la risposta più ovvia
sarebbe senza dubbio Avengers:
Secret Wars poiché si dice che quel film conterrà
praticamente tutti i personaggi Marvel (eroi e villain) che sono
apparsi in progetti sia ambientati all’interno che all’esterno del
MCU.
Ricordiamo anche una cosa
fondamentale: se è vero che Thanos è morto nella linea temporale
principale del MCU, potrebbe essere vivo nel
multiverso. Già What
If…? lo ha riportato in scena, e le possibilità di
modi paralleli sono infinite e tutte plausibili! (Almeno) Un cameo
di
Thanos, nel futuro del MCU, è più che probabile.
Il cast di Argylle
ha annunciato che il thriller di spionaggio di Matthew Vaughn è
“folle” e “sconvolgente” in una nuova featurette.
Condivisa sulla pagina YouTube della
Universal Pictures, la featurette di Argylle vede
Bryce Dallas Howard
Henry Cavill,
Sam Rockwell,
Bryan Cranstone Dua Lipa e altre
star del film discutere su come i fan di Vaughn dovrebbero
prepararsi a un thriller “senza sosta” e “leggermente
folle“.
“Nel film, Elly Conway è
un’autrice solitaria di una serie di romanzi di spionaggio
best-seller, la cui idea di felicità è una notte a casa con il suo
computer e il suo gatto, Alfie.” si legge sulla sinossi.
“Ma quando le trame dei libri di fantasia di Elly, incentrati
sull’agente segreto Argylle e sulla sua missione di svelare un
sindacato di spionaggio globale, iniziano a rispecchiare le azioni
segrete di un’organizzazione di spionaggio nella vita reale, le
serate tranquille a casa diventano un ricordo del passato.
Accompagnata da Aiden (Rockwell), una spia allergica ai gatti,
Elly (portando Alfie nel suo zaino) corre attraverso il mondo per
stare un passo avanti agli assassini mentre il confine tra il mondo
immaginario di Elly e quello reale inizia a confondersi.
Oltre al cast già citato,
Argylle – La super
spia è interpretato da Sam Rockwell, John
Cena, Ariana DeBose, Catherine O’Hara, Sofia Boutella e Samuel L.
Jackson. Il gatto Alfie è invece interpretato da Chip, il
felino realmente esistito che appartiene alla top model
Claudia Vaughn.
Argylle – La super
spia è stato scritto da Jason Fuchs, che produce il
film insieme a Vaughn e David Reid. Tra i produttori esecutivi
figurano Adam Fishbach, Zygi Kamasa, Carlos Peres e Claudia
Vaughn.
Argylle – La super
spia uscirà in Italia l’01 febbraio 2024,
mentre nelle sale statunitensi il 2 febbraio 2024,
distribuito da Universal Pictures e Apple Original Films. Verrà
presentato in anteprima su Apple
TV+ in un secondo momento.
Il co-CEO dei DC Studios,
James
Gunn, ha parlato dei direttori del casting e ha
rivelato una delle sue grandi sorprese sul casting di Guardiani della Galassia.
Su Threads, a Gunn è stato
chiesto se c’è mai stato un momento in cui, durante il casting, era
sicuro che un attore non sarebbe stato adatto a un ruolo, solo per
rimanerne stupefatto al punto da dargli il ruolo. Il regista ha
rivelato che inizialmente si sentiva così nei confronti di
Chris Pratt quando stava cercando l’attore per
interpretare Star-Lord.
Gunn ha anche approfondito il modo
in cui i direttori del casting svolgono il proprio lavoro, stilando
lunghi elenchi di attori che potrebbero essere adatti per i ruoli e
rimanendo aggiornati sui nuovi e talentuosi attori emergenti.
“I direttori di casting – ha scritto -vJames Gunn –
spesso cominciano creando lunghe liste di attori che potrebbero
interpretare un ruolo. Queste liste includono attori di serie A che
generalmente non fanno il provino e passano direttamente alla fase
di offerta, e attori meno noti che potrebbero essere buoni per il
ruolo e che attraversano il processo di audizioni (un bravo casting
director ha familiarità con il maggior numero di attori è possibile
nell’industria – ed è sempre alla ricerca di nuovi talenti). I
produttori e io aggiungeremo poi altri suggerimenti e idee a quella
lista, e io faccio una classifica di quelli che
preferisco.”
La collaborazione più recente tra
James Gunn e Chris Pratt è stata
Guardiani della Galassia Vol. 3, ancora una
volta scritto e diretto da James Gunn. I veterani
dell’MCU
Chris Pratt,
Zoe Saldana,
Dave Bautista, Sean Gunn,
Karen Gillan,
Pom Klementieff,
Bradley Coopere
Vin Diesel sono tornati per riprendere i
rispettivi ruoli di Star-Lord, Gamora, Drax, Kraglin, Nebula,
Mantis, Rocket e Groot, mentre Maria Bakalova è
tornata nei panni di Cosmo the Spacedog. Il sequel ha visto anche
l’introduzione dei nuovi arrivati in franchising Will
Poulter e Chukwudi Iwuji, che
interpretano i ruoli di Adam Warlock e l’Alto Evoluzionario.
Guarda due nuove clip tratte dal
terzo e quarto episodio della serie tvI
Fantastici 5prodotta da Lux Vide, società del
gruppo Fremantle, in collaborazione con RTI, che
andrà in onda oggi, mercoledì 24 gennaio, in prima serata
su Canale 5.
Nel cast
Raoul Bova, Gianluca Gobbi, Francesca Cavallin, Gaia
Messerklinger, Chiara Bordi, Vittorio Magazzù, Fiorenza D’Antonio,
Enea Barozzi, Rachele Luschi e Giulia
Patrignani. La regia è affidata ad Alexis
Sweet e Laszlo Barbo.
https://youtu.be/eR8bA2fd4zo
https://www.youtube.com/watch?v=JdEP6EzEtD8
I Fantastici 5: la trama del terzo
episodio
Proprio prima dei campionati
italiani, Riccardo sembra aver trovato un po’ di fiducia dai suoi
atleti, ma un nuovo problema sembra subito scalfire la loro
serenità: Marzia non si presenta agli allenamenti. Trovarla sarà
una corsa contro il tempo, mentre capire cosa c’è dietro alla sua
fuga racconterà aspetti nascosti del suo passato. Nel frattempo,
mentre Laura cerca di integrarsi nel gruppo e Christian si accorge
di alcuni comportamenti strani di Isabella, Riccardo esce per la
prima volta con Alessandra. Che tra i due stia per nascere
qualcosa?
I Fantastici 5: la trama del
quarto episodio
La squadra è ormai pronta per le
gare che potrebbero garantire la qualificazione agli Europei e la
tensione è alle stelle. Ma le prestazioni sportive di Christian e
Laura sono in calo: problemi sentimentali e questioni legali li
distraggono dalla pista. Nel frattempo, Anna cerca conferme nella
sua relazione con Elia, che sembra però allontanarsi da lei e
avvicinarsi sempre di più a Giorgia, con cui ha una chiara
sintonia. Le due sorelle, il cui legame corre così su un filo
sempre più sottile, scopriranno però qualcosa che potrebbe
sconvolgere il rapporto con il padre.
“Era già dalle prove di trucco e
parrucco, che giriamo in Imax e in bianco e nero“, ha detto
Nolan. “Si inizia a vedere l’attore che dà vita a un’icona,
mettendosi il cappello, la sigaretta all’angolo della bocca. Si
inizia a vedere come si muove. È un momento emozionante. Lo è in
ogni film. Vedere Cillian mettere insieme questa iconografia mi ha
ricordato le mie prove di trucco e parrucco con
Heath Ledger per il Joker“.
Come ha reagito Cillian
Murphy alla nomination agli Oscar per Oppenheimer di
Christopher Nolan?
Cillian Murphy, nel frattempo, ha detto che si
trovava a casa sua in Irlanda quando ha saputo di aver ricevuto una
nomination all’Oscar
per il suo ruolo, affidatogli da Christopher Nolan, di Oppenheimer.
“Le parole non rendono
giustizia“, ha detto Murphy a proposito della sua
nomination. “Credo che i superlativi non bastino a questo
punto. Sono davvero onorato e un po’ sopraffatto. Ma soprattutto
orgoglioso del film e del fatto che abbia ottenuto così tanto. Ha
superato tutte le nostre aspettative, di tutti coloro che hanno
partecipato alla realizzazione di questo film. Mi capita sempre che
la gente venga da me per strada e mi dica: “Ho visto il film cinque
volte. E poi si tratta di persone anziane, giovani e
ragazzi e ragazze. È pazzesco. E poi essere riconosciuti
dall’Academy come lo siamo stati noi, è semplicemente
sbalorditivo”.
Cillian Murphy ha detto di aver festeggiato la
nomination, di cui è venuto a conoscenza mentre si trovava a casa
sua in Irlanda, con una tazza di tè e una fetta di torta. “È
stato molto bello“, ha aggiunto. “Mia madre ha fatto un
pan di Spagna. Era molto gustoso“.
Gli altri candidati all’Oscar 2024
come attore protagonista sono Bradley Cooper per
Maestro, Colman Domingo per Rustin, Paul
Giamatti per The Holdovers e Jeffrey
Wright per American Fiction.
Oppenheimer,
invece, è stato nominato anche per Miglior film, Attore non
protagonista, Attrice non protagonista, Fotografia, Costumi, Regia,
Montaggio, Trucco e acconciature, Musica (colonna sonora
originale), Scenografia, Suono e Scrittura (sceneggiatura non
originale). I vincitori saranno annunciati domenica 10 marzo
2024.
Bethel è apparso nella terza
stagione della serie DaredevilNetflix nei panni di Poindexter, e il finale
suggeriva che in futuro sarebbe diventato l’iconico cattivo dei
fumetti. La fonte sottolinea che che non è chiaro quanto sarà ampio
il suo ruolo, ma Bullseye avrà una parte nella prossima avventura
televisiva del Diavolo di Hell’s Kitchen.
Entrambi i personaggi sono già
apparsi anche nel MCU: Daredevil è apparso in
She-Hulk: Attorney at Law e brevemente in
Echo,
mentre Fisk è tornato in Hawkeye
e in un ruolo importante sempre in Echo.
Ricordiamo che non è la prima volta
che vediamo una incarnazione di Bullseye. Colin
Farrell ha portato sul grande schermo il personaggio nel
Daredevil con Ben Affleck.
America Ferrera ha dichiarato di essere “un po’ sotto
shock”, nel bene e nel male, in merito alle nomination agli Oscar
2024. L’aspetto che la rende felice è sicuramente la sua prima
nomination personale, come Migliore attrice non protagonista, per
Barbie,
che lei definisce “surreale e incredibile”; il lato negativo è il
fatto che Greta
Gerwig e Margot Robbie, le visionarie dietro
l’innovativo blockbuster, sono state snobbate, rispettivamente
nelle categorie Regia e Miglior Attrice. Il suo disappunto segue
delle
dichiarazioni simili di
Ryan Gosling.
“Sono le mie ragazze e voglio
vedere celebrato il loro incredibile, straordinario lavoro. Hanno
fatto la storia, hanno fissato un nuovo standard”, ha detto
Ferrera a Deadline. “Non solo hanno
battuto i record al botteghino, ma hanno realizzato qualcosa che ha
avuto risonanza in tutto il mondo, e l’impatto di ciò che hanno
realizzato è e continuerà a farsi sentire nella nostra cultura.
Penso di unirmi a molte persone nel volerle vedere riconosciute per
questo.”
Per America
Ferrera, ciò che ha reso Barbie un progetto così unico è stato quanto
fosse inaspettato, a partire dalla decisione della star produttrice
Margot Robbie di rivolgersi a Greta
Gerwig come co-sceneggiatrice e regista. “Penso che da
quel momento la gente si sia interessata a ciò che la mente di
Greta come regista avrebbe fatto con Barbie, e lei ha messo insieme
artisti incredibili, davanti alla macchina da presa e dietro, per
dare vita alla sua visione” ha detto l’attrice. “La
sceneggiatura era così divertente, sovversiva e irriverente, ma
osava anche avere un cuore e un messaggio.”
“È un viaggio davvero
incredibile, incredibilmente divertente e sorprendente da
intraprendere, per tornare indietro e rendersi conto che il film
parlava sempre di noi, della bellezza della vita e della vita che
vale la pena vivere. Sento che è così che mi fanno sentire i grandi
film”, ha detto Ferrera. “Quando ho visto un film
fantastico, mi sento più entusiasta non solo di ciò che è possibile
nella narrazione, ma anche di ciò che è possibile nella vita, e
sento che questo è ciò che Greta è riuscita a realizzare con questo
film.”
La cerimonia degli Oscar 2024 si
terrà domenica 10 marzo alle 16:00. PT al Dolby Theatre
dell’Ovation Hollywood di Los Angeles. Jimmy
Kimmel torna come presentatore per il secondo anno
consecutivo e per la quarta volta complessiva.
Il cinema è fatto di
sguardi. Occhi che si posano su immagini impresse su un
telaio bianco, le cui forme e colori disegnano un mondo con una
lingua tutta propria, in cui perdersi è inevitabile, e a volte
persino necessario. Perché la settima arte è la
dimensione fittizia perfetta per evadere da una realtà in cui
sentirsi scomodi o ingombranti non è evento raro. Allora si cerca
altrove, in uno spazio fatto di luci e ombre, dove il solo guardare
diventa piacere viscerale, desiderio, bramosia, anche ossessione.
Essere spettatori delle vite altrui e trarne godimento è
un’esperienza che si può vivere con l’arte cinematografica, lì dove
il pubblico diventa voyeur eccitato, e si abbandona dentro
la cornice di un’inquadratura in cui ci si appropria di personaggi,
luoghi e situazioni. Un concetto che dagli albori del cinema ha
visto la sua massima rappresentazione in La finestra
sul cortile di Alfred
Hitchcock, film-manuale in technicolor datato 1954 che
quest’anno compie settant’anni, e che non sembra invecchiato di un
giorno.
La finestra sul cortile, la “regia pura”
Un lungometraggio fondato
su un concetto di regia puro, un vero e proprio manuale
per i filmmaker. Un thriller costruito ad hoc, come lo sono in
fondo anche gli altri della filmografia del maestro del
brivido, in cui le architetture scenografiche, esaltate
dal gioco visivo di inquadrature studiate, esprimono chiaramente
quale sia il significato del cinema stesso, esaltandolo, e come noi
dall’altra parte ne assorbiamo l’essenza. Un inno, perciò, a ciò
che è il linguaggio filmico, ma in particolare a chi ne fruisce,
diventandone a sua volta protagonista.
Pur essendo una storia di detection,La finestra sul cortile
si impianta su una trama lineare visivamente stratificata: Jeff,
interpretato da un meraviglioso
James Stewart
(che aveva già lavorato con Hitchcock in
Nodo alla gola),
è un fotoreporter costretto su una sedia a rotelle a causa di un
infortunio, che passa le sue giornate a guardare il vicinato dalla
finestra, entrando nelle quotidianità degli inquilini dei palazzi
di fronte. Man mano che il suo sguardo penetra nelle abitazioni,
invadendo la loro privacy, Jeff inizia a familiarizzare con la loro
routine, fino a quando un giorno non ipotizza l’assassinio della
signora Thorwald, perpetrato dal marito. Convinto di quanto crede
di aver visto, Jeff inizia a indagare con il solo uso dello
sguardo, finché la sua fidanzata, Lisa, un’incredibile e
elegantissima
Grace Kelly,
non decide di aiutarlo.
Jeff: spettatore e regista
Truffaut aveva
spiegato bene, in un’intervista, la natura di La
finestra sul cortile: “In questo film abbiamo un
uomo immobile che guarda fuori, poi ciò che vede e poi la sua
reazione. Ciò rappresenta la più pura idea cinematografica”.
Dove per idea cinematografica si intende quel meccanismo proprio
del cinema per cui osservazione e reazione sono strettamente
legate. È il cosiddetto Effetto Kuleshov, per il
quale ogni inquadratura acquisisce di senso grazie a quella che la
segue e la precede. Un principio su cui si fonda il film di
Hitchock, per dimostrare quanto siano potenti non solo gli
strumenti del cinema, ma anche la visione spettatoriale che ne
deriva. Con Jeff, il cineasta fa un’esericizio di tecnica –
magistrale – per raccontarci due figure
chiave della settima arte: il regista con la
sua macchina da presa, e il pubblico.
Per quanto riguarda il regista,
attraverso una meticolosa scelta di inquadrature, sembra che il
fotoreporter operi allo stesso modo di un cineasta: modella la sua
storia in base a ciò che capta al di là della sua finestra, dunque
sceglie cosa osservare, e soprattutto chi, a quale porzione di
spazio dare rilievo e cosa far essere importante e incisivo.
Taglia, cuce, seleziona delle immagini per dare forma a un racconto
che nel frattempo si concretizza. Allo stesso tempo, però, nella
sua immobilità, Jeff diventa lo spettatore, che
esaminando l’altro si immedesima, ipotizza e si fa coinvolgere a
tal punto da farsi delle idee, senza però poter agire. Proprio come
chi è in sala, seduto sulla poltrona, che subisce gli eventi senza
poter intervenire. Un’analogia che si riscontra anche nella
funzione dello sguardo, l’unica che il protagonista può esercitare:
fra Jeff e ciò che accade c’è una distanza che non si può colmare o
accorciare, e così per lo spettatore. Nessuno dei due può
influenzare ciò che avviene, non può intervenire.
Hitchcock usa lo spazio scenico per restituire questo concetto,
avvalendosi di soli due ambienti: quello esterno, che è primario,
focalizzato sui palazzi che si vedono dalla postazione del
protagonista, dove si svolge l’omicidio e si costruisce il tono
thriller, e quello interno, la casa in cui Jeff è bloccato, il
controcampo del primo ambiente.
Per ognuno di essi riserva
un tipo di inquadratura, scegliendo le
soggettive – la ripresa favorita e primaria del
film – quando Jeff è nell’atto dell’osservare, con zoom e
raccordi sull’asse nel momento in cui ricorre alla macchina
fotografica e imposta alcuni teleobiettivi. È in quell’istante che
noi spettatori siamo Jeff a tutti gli effetti. Diventiamo una sola
cosa con il protagonista perché ci riconosciamo: guardiamo come lui
guarda, ragioniamo come lui ragiona. Maciniamo pensieri, giusti o
sbagliati che siano, e abbiamo un’opinione come Jeff. Il culmine di
tale processo è quando l’assassino – Thorwald – si rende conto di
essere guardato e guarda a sua volta, ma direttamente in camera. I
suoi occhi incrociano quelli di Jeff, ma sembrano volgersi verso
noi spettatori, che nel frattempo ci siamo identificati con lui –
l’obbiettivo primario di Hitchcock – e veniamo trascinati
totalmente nella narrazione. Ci sentiamo in trappola, colti alla
sprovvista e spaventati. Ecco che qui Hitchcock ci mostra la prima
grande abilità del cinema: inghiottirci in un racconto fittizio in
cui però il processo di elaborazione, percezione e sentimenti sono
tutto, fuorché fasulli.
Il cinema come evasione dalla
realtà
Nella costruzione del suo discorso
narrativo e del suo protagonista Jeff, Hitchcock tiene a
sottolineare il valore del cinema come sfera dentro la quale
entrare per alienarsi dalla realtà vissuta, se la condizione in cui
si è non è confortevole. Il cinema, i film, sono
l’opportunità da una parte per estraniarsi, dall’altra per
riflettere su se stessi mentre guardiamo l’altro, che può
anche diventare il nostro doppio. Come se fosse in una sala
cinematografica, in cui la finestra diventa lo schermo dove si
svolge lo spettacolo, Jeff si stacca dalla sua realtà domestica,
nella quale sente il peso della responsabilità che ha nei confronti
della sua amata Lisa, per proiettare la sua attenzione sui
condomini che gli si palesano di fronte. La ragazza, molto più
giovane di lui, nel fargli visita ogni giorno, sfrutta l’occasione
per ricordare a Jeff del loro matrimonio, e di quanto sia
necessario iniziare i preparativi per le nozze. Il fotoreporter
però non è disposto a legarsi ufficialmente a lei poiché reputa i
loro stili di vita incompatibili, e vorrebbe che la loro relazione
rimanesse così per timore che, una volta sposati, si distrugga un
equilibrio che crede intoccabile.
Per evadere da quello che è
il suo contesto quotidiano, Jeff direziona il suo
impegno mentale sulle coppie degli appartamenti di fronte a
sé, proiettando sugli altri i suoi timori per la sua
relazione e trovando, specie i coniugi Thorwald, la conferma alle
sue paure, rispetto alle varie sfumature – anche negative – che può
avere un rapporto d’amore, e a come si può trasformare in un
rapporto tanto conflittuale che può portare all’omicidio. Lo
spettatore, similmente, opera allo stesso modo. Nel racconto che si
modella sullo schermo, Jeff trova una via di fuga che lo distoglie
dalle sue dinamiche personali, ma anche uno spunto che lo spinge a
riflettere ancora di più su quello che lo affligge. Come se,
rintracciando delle affinità con quelle persone, vedesse una
rappresentazione di sé e di un suo possibile futuro. È qui, dunque,
che Hitchcock dimostra quanto la macchina del cinema ha una doppia
funzione e svolge due compiti che si intrecciano l’uno all’altro,
facendoci capire quanto, pur non accorgendocene in maniera conscia,
la materia narrativa, ma soprattutto le immagini filmiche, possano
influenzare il nostro privato e essere rivelatrici.
Rendendoci, di conseguenza, parte integrante della
storia.
Il piacere del guardare
La tematica più centrale messa in
campo da Hitchcock in La finestra sul
cortile, che si lega a doppio filo al concetto di
spettatore, è il piacere del guardare, il
voyeurismo, su cui il maestro del brivido fa una
disamina quasi filosofica. Se il cinema è evasione e universo
parallelo attraverso cui ragionare su alcuni aspetti della propria
vita (come abbiamo detto poc’anzi), è anche dimostrazione di quanto
l’essere umano sia attratto dalle esistenze altrui e provi assoluto
godimento nel guardarle. Jeff è, infatti, rapito da ciò che può
vedere dalla finestra del suo appartamento, pezzi di vita
quotidiana che gli si dipanano davanti agli occhi e di cui non
riesce a fare a meno. Il fotoreporter rappresenta un’altra
caratteristica dello spettatore al cinema, interessato ai
personaggi che si muovono sullo schermo, desideroso di fare
ingresso – pur tacitamente – nel loro intimo quotidiano e così
interpretarlo. È un’attrazione la sua, una pulsione viva, un potere
che solo lui possiede, lo stesso che accomuna il protagonista
hitchcockniano al pubblico in sala, e a cui non riesce a sottrarsi,
tanto che Stella – l’infermiera che si prende cura di Jeff – a un
certo punto gli dirà “siamo diventati una razza di
guardoni”, dichiarando la sua, ma anche la nostra, posizione
voyeuristica (e spettatoriale).
Ecco perché quando nel film Lisa si
intrufola nella casa di Thorwald, diventando oggetto di visione e
soggetto attivo della diegesi, cresce in Jeff l’interesse per lei
che prima, quando gli era accanto, non provava. La ragazza è
entrata di diritto nella narrazione, è protagonista del racconto da
lui “fruito”, e riesce a guadagnarsi la sua attenzione totale, fino
a che il suo gesto da eroina non distenderà il loro rapporto (Jeff
si renderà conto di quanto tiene a lei) e risolverà, in ultimo, la
crisi.
La finestra sul
cortile è dunque un manifesto sul cinema e lo
spettatore e, come scrive Paolo Bertetto in
L’interpretazione dei film, è “un processo che insieme
esibisce e analizza non solo l’orizzonte tecnico del cinema, ma
anche quello comunicativo, e che progressivamente ci fa vedere come
funziona la macchina cinema, come si realizza il rapporto
spettatoriale, come si costruisce la visione filmica, come si
sviluppa la narrazione e la messa in scena cinematografica.”
In definitiva, uno dei capolavori indiscussi del
cinema, da vedere, studiare, ricordare in eterno.
Star
Wars ha finalmente confermato un importante cambiamento nel Din
Djarin di Pedro Pascal all’indomani della stagione
3 di The Mandalorian, qualcosa che offre
all’amato personaggio un futuro promettente nel franchise.
Mentre la stagione 3 di The
Mandalorian è stata accolta con recensioni contrastanti,
in particolare in termini di cambiamento e per come viene messo da
parte l’arco narrativo del personaggio di Din Djarin, la sua
eredità ha infine aperto la strada al prossimo film di The
Mandalorian & Grogu. Il finale della stagione
3 definisce ancora magnificamente il futuro di Din, con Star
Wars che ora ha confermato un importante cambiamento nel suo
personaggio.
In un comunicato stampa di Hasbro,
una nuova figura di Din Djarin – modellata sulla sua apparizione
nella stagione 3 di The Mandalorian, episodio 2
“Capitolo 18: Le miniere di Mandalore” – è stata fornita una
descrizione che definisce il suo futuro di Star
Wars. Hasbro scrive che Din Djarin era “una volta un
cacciatore di taglie solitario” prima di riunirsi con Grogu e
adottarlo come suo, confermando che Din non è più un cacciatore di
taglie. Questa è la prima volta che Star Wars parla veramente di
questo cambiamento chiave del personaggio, dopo che la stessa
stagione 3 di The Mandalorian ha anticipato il suo
nuovo ruolo nella Nuova Repubblica nel finale.
Anche la descrizione di Hasbro della
loro nuova figura di Grogu enfatizza questo nuovo ruolo di Din, dal
momento che vi si può leggere che il duo “prenderà posizione
contro i residui imperiali”. Si tratta di qualcosa che è stato
parzialmente visto nella stagione 3 di The
Mandalorian, ma sarà senza dubbio al centro del film
The
Mandalorian & Grogu, così come di una potenziale
stagione 4.
Abbiamo
già segnalato quanto sia importante e storica la nomination di
Lily Gladstone agli Oscar 2024. L’attrice è
infatti la prima donna nativa americana a entrare in categoria per
la sua performance in
Killers of the Flower Moon. Dopo mesi di successo di
critica, il film ha ottenuto diverse nomination agli Oscar, tra cui
Miglior film, Miglior regista e Miglior attrice per Gladstone.
Parlando con Entertainment Weekly, Gladstone
ha espresso una risposta emotiva a questa storica nomination
all’Oscar. L’attrice ha iniziato la sua dichiarazione rendendo
omaggio alle fantastiche attrici indigene che l’hanno preceduta,
tra cui Sheila Tousey di Cuore di
tuono e Keisha Castle-Hughes di
La ragazza delle balene, che è stata “la più
giovane e la prima candidata indigena nella categoria”. Ecco la
dichiarazione completa:
“È incredibile e gran parte di
me vuole solo dire che non avrei dovuto essere io. Questo sarebbe
dovuto accadere molto tempo fa. Ho condiviso lo schermo in questo
film con Tantoo Cardinal, che viene dal Canada, un
confine che ha attraversato molti di noi. Sono cresciuta guardando
le esibizioni di Sheila Tousey, con cui ho avuto
la fortuna di condividere il palco ad un certo punto della mia
carriera. Il suo lavoro in Cuore di tuono, lo
sento, sarebbe dovuto essere nominato in ogni cosa. Non esiste
attrice viva che superi il talento di Sheila. È una delle vere
grandi.
È incredibile che ciò sia
accaduto, e ci è voluto un po’ di tempo. Ricordo quando Keisha
Castle-Hughes fu nominata per La ragazza delle
balene, e ricordo come mi sentii quando guardai questa
incredibile attrice, la più giovane e la prima candidata indigena
nella categoria, raccontare questa storia. Sembrava così universale
e così vicino alla mia educazione, al mio rapporto con la mia
terra, con la mia famiglia, con mio padre, con la mia lingua, tutto
questo. È stato incredibile vedere la sua rappresentazione, e
sembra che sia un vero onore.
Lo dico sempre, non è del tutto
mio (questo traguardo). Appartiene a così tante persone: la nazione
Osage, la nazione dei piedi Neri, la nazione Nez Perce, ogni attore
indigeno sulle cui spalle sto. È circostanziale che io sia la prima
e ne sono molto grato. So solo che non sarò l’ultima, neanche
lontanamente.”
Netflix ha confermato che la seconda stagione di
Squid Game arriverà entro la fine del 2024.
Nell’annuncio in merito al secondo ciclo della serie in lingua
coreana del creatore Hwang Dong-hyuk, la
piattaforma ha dichiarato:
“Guardando al futuro, nonostante
gli scioperi dello scorso anno abbiano ritardato il lancio di
alcuni titoli, abbiamo un programma ampio e audace per il 2024. Il
pubblico potrà scegliere tra serie drammatiche di grande successo
come ‘The Diplomat’ S2, ‘Bridgerton’ S3, ‘Squid
Game’ S2 e ‘L’Imperatrice’ S2; serie senza sceneggiatura come
“Tour de France: Unchained” S2, “Love is Blind” S6, “F1: Drive to
Survive” S6 e “Full Swing” S2; e nuovissimi programmi come ‘3 Body
Problem’ (basato sul romanzo più venduto e dagli showrunner di
‘Il Trono di
Spade’), ‘Griselda’ (con Sofia Vegara, in anteprima questa
settimana), ‘The Gentlemen’ (di Guy Ritchie ), ‘Eric’ (con Benedict
Cumberbach), ‘Avatar: The Last Airbender’, ‘Cien Años de Soledad’,
dalla Colombia basato sul romanzo di Gabriel García Márquez e Senna
dal Brasile.”
I dirigenti di Netflix hanno
confermato che anche la quarta stagione di “Emily in Paris” verrà lanciata entro la fine
dell’anno.
La prima stagione di nove episodi di
Squid Game di Dong-hyuk è stata lanciata nel 2021.
Il dramma su una gara mortale tra poveri concorrenti per vincere
45,6 miliardi di ₩ si è rivelato un grande successo per Netflix ed
è stato nominato per 14 Emmy, inclusa la categoria riservata alla
migliore serie drammatica (la prima per una serie non in lingua
inglese), vincendo sei riconoscimenti.
Squid Game ha fatto
la storia anche agli Screen Actors Guild Awards
2022, diventando la prima serie in lingua non inglese e la
prima serie coreana a ottenere nomination per il cast di una serie
drammatica, l’attore in una serie drammatica (Lee
Jung-jae), attrice in una serie drammatica (Jung
Ho-yeon) e in un ensemble di stunt. Lee
Jung-jae e Ho-yeon hanno vinto i premi.
Squid Game ha vinto anche tre Golden Globe,
tra cui quello per la migliore serie drammatica.
Dopo mesi di speculazioni
sull’opportunità o meno per lo show di avere una seconda stagione,
Netflix ha confermato nel gennaio 2022 che la serie sarebbe stata
rinnovata. Il CEO di Netflix, Ted Sarandos, ha
dichiarato durante una call con gli analisti: “Assolutamente.
L’universo di ‘Squid Game’ è appena iniziato.” Da allora
l’universo di Squid Game è stato ampliato con una serie unscripted,
Squid Game: La Sfida, e un videogioco di
prossima uscita.
“Non c’è Ken senza Barbie“,
così ha detto
Ryan Gosling in una dichiarazione, dopo
l’annuncio delle
nomination agli Oscar 2024. Il protagonista maschile di
Barbie, che ha ricevuto una nomination come miglior
attore non protagonista, si è espressa contro l’Academy per aver
ignorato il lavoro di attrice di Margot Robbie e quello di regista di Greta
Gerwig.
“Sono estremamente onorato di
essere nominato dai miei colleghi insieme ad artisti così
straordinari in un anno di così tanti grandi film. E non avrei mai
pensato di dirlo, ma sono anche incredibilmente onorato e
orgoglioso che sia per aver interpretato una bambola di plastica di
nome Ken”, inizia la dichiarazione di Gosling. “Ma non
esiste Ken senza Barbie, e non esiste il film ‘Barbie’ senza Greta
Gerwig e Margot Robbie, le due persone maggiormente responsabili di
questo film storico e celebrato in tutto il mondo”.
Gerwig e Robbie erano due nomi che
si davano per scontati alla vigilia di queste nomination, tanto che
qualcuno pensava che Robbie avrebbe anche potuto ambire alla
vittoria. Entrambe hanno avuto la loro nomination, Margot Robbie
per il miglior film, essendo produttrice con la sua LuckyChap, e
Greta Gerwig come sceneggiatrice, nella categoria riservata agli
script adattati. Tuttavia si immaginavano per loro delle doppie
nomination che non sono arrivate, generando lo scontento, tra gli
altri, di Ryan Gosling.
“Nessun riconoscimento sarebbe
possibile per qualcuno che ha partecipato al film senza il loro
talento, la loro grinta e il loro genio. Dire che sono deluso dal
fatto che non siano state nominate nelle rispettive categorie
sarebbe un eufemismo”, continua Gosling. “Contro ogni
previsione, con nient’altro che un paio di bambole senz’anima, poco
vestite e, per fortuna, senza genitali, ci hanno fatto ridere, ci
hanno spezzato il cuore, hanno smosso la cultura e hanno fatto la
storia. Il loro lavoro dovrebbe essere riconosciuto insieme agli
altri candidati molto meritevoli. Detto questo, sono così felice
per America Ferrera e gli altri incredibili artisti che hanno
contribuito con il loro talento a realizzare questo film così
innovativo”.
Gosling nomina Ferrera, che ha
ottenuto una nomination come migliore attrice non protagonista per
la sua interpretazione in Barbie.
La commedia ha ottenuto otto nomination in totale, tra cui costumi,
scenografia e due canzoni originali (“I’m Just Ken” e “What Was I
Made For?”). Per Ryan Gosling è la terza candidatura all’Oscar per
l’attore, dopo due precedenti candidature per “Half Nelson” (2006)
e “La La Land” (2016).
Il cinema di Maria Sole
Tognazzi è donna. La regista, che ha all’attivo cinque
lungometraggi, un documentario e un corto, ama posare gli occhi – e
la macchina da presa – su sguardi, tormenti e gioie femminili, per
affrescarne un dipinto elegante, delicato e dettagliato. Da
Viaggio da sola a
Io e lei,fino
all’ultimoDieci minuti, Tognazzi
mette al centro della sua poetica le donne, figure che, come lei
stessa dice quando era agli inizi della sua carriera, non hanno mai
ricoperto un ruolo centrale e privilegiato, ma si sono spesso
dovute accontentare di essere un supporto, comprimarie secondarie,
“costrette” a rimanere un passo indietro e mai nel cono di luce che
meritavano.
I tempi, però, stanno cambiando, non
solo nel tessuto sociale ma anche in quello cinematografico, e lo
dimostrano i recenti prodotti audiovisivi in cui non solo ci sono
più protagoniste da raccontare, ma anche più registe che esprimono
la loro unica e attenta visione. E così la cineasta si inserisce in
quella categoria di artiste che sente l’esigenza di far emergere, o
per meglio dire irrompere, voci e presenze femminili sullo schermo,
partendo da un testo di riferimento scritto da una donna,
Chiara Gamberale, e avvalendosi di una
co-sceneggiatrice, Francesca
Archibugi (La
Storia), che la aiutasse a modellare la storia di Bianca,
nel romanzo Chiara. Dieci minuti è una
produzione Indiana Production e Vision Distribution, in
collaborazione con Netflix e Sky,
ed è nelle sale dal 25 gennaio, giorno in cui –
coincidenza – debutterà un altro film che si cuce addosso a una
donna e porta sulle spalle il suo percorso di crescita e scoperta:
il Leone d’Oro Povere
Creature!
Dieci minuti, la trama
Bianca è nel periodo peggiore della
sua vita. Il marito Niccolò l’ha lasciata all’improvviso e lei non
si capacita del perché: in fondo, secondo la sua distorta visione,
andava tutto bene. Eppure lui è risentito: non si sente ascoltato e
supportato, gira tutto intorno alla moglie. Non è riuscita nemmeno
ad accorgersi che ha un’altra. Sul fronte del lavoro, le cose
procedono allo stesso modo: sul treno verso casa, Bianca viene
chiamata dal suo responsabile e licenziata in tronco. In più, in un
gioco di flashback, pare che la donna sia segnata anche da un
incidente, avvenuto poco dopo la separazione, che l’ha fatta
smettere di guidare. Tutti questi eventi l’hanno destabilizzata,
rendendola assente e inerme davanti a tutto e tutti. Non riesce a
fare molto, Bianca, se non andare dalla dottoressa Brabanti,
psicanalista che le propone una sfida per scuoterla dal suo torpore
quotidiano: tutti i giorni, una volta al giorno, Bianca deve fare
qualcosa di completamente nuovo, che fuoriesca dalla sua normalità.
Qualcosa che magari non farebbe mai. Grazie a questa terapia,
Bianca farà nuovi incontri, scoprirà legami speciali e inizierà ad
ascoltare chi le ha sempre voluto bene. Tentando di affrontare la
sua crisi.
Oltre le barriere della mente
Il quasi omonimo romanzo di Chiara
Gamberale, Per dieci minuti, è un racconto intimo e
autobiografico di una donna nel pieno della sua
(ri)fioritura. Un percorso, ma anche un processo, di ardua
rinascita che si riscontra nel film liberamente ispirato di
Tognazzi, in cui a essere messa in luce è la paura dell’abbandono e
come questa lavori sulla psiche umana tanto da disintegrarla.
Bianca è piena di fragilità, spesso immobile e cieca davanti a una
vita che le scorre e in cui c’è un crocevia di persone a cui lei
non riesce a dare la dovuta attenzione. Neppure al marito. Crede di
essere partecipe delle esistenze degli altri, ma in realtà non
ascolta, non si connette con il resto del mondo e nel frattempo,
senza accorgersene, viene risucchiata in una solitudine che, se
prima era solo prigione mentale, diventa poi fisica con la
separazione da Niccolò.
Si intersecano in lei emozioni
contrastanti, ma è l’essere inerme a dominarla nel quotidiano e a
farla sprofondare nel buio. È spenta ed egoriferita la Bianca di
una quanto più umana e tenera Barbara Ronchi, consumata dalle sue
stesse paranoie e dal timore di conoscere verità che sarebbe meglio
sigillare in un cassetto faendo finta che non esistano. Perché
spesso è più semplice crearsi una realtà immaginaria, piuttosto che
fare i conti con quella vera, più dura e complessa. Occhi smarriti,
sguardo basso e cupo, labbra spesso arricciate: rimanendo fissa sul
suo volto sofferente, la regista intercetta tutte le
sfumature di un animo travagliato, compiendo un
viaggio nelle emozioni e nei turbamenti di una donna in piena crisi
esistenziale, che tenta alla fine di tornare a galla e
rinascere dalle sue ceneri. Dandosi la possibilità di riscoprirsi e
forse proprio di conoscersi nel profondo.
Un cast ben assortito
Come dicevamo all’inizio di questa
recensione, Maria Sole Tognazzi si dedica anima corpo e cuore alle
sue protagoniste, le accarezza dolcemente, ecco perché le donne del
film, e in particolare la sua Bianca, hanno una posizione di
assoluto rilievo. Ronchi ha due comprimarie di tutto rispetto, una
più che credibile Margherita Buy nelle vesti della psicanalista,
il cui ruolo le calza a pennello, e Fotinì Peluso,
il cui personaggio è stato scritto per il film, che interpreta
Jasmine, la sorella di Bianca, una ragazza da un lato esuberante,
dall’altro bisognosa di trovare un posto (che non è un luogo bensì
una persona) da chiamare casa. Nonostante Dieci
minuti sia una storia che favorisce il punto di vista
e la solidarietà femminile, la figura maschile – in questo caso
Niccolò in primis – non è mai posta sotto la lente del
giudizio.
La regista non è intenta a fare la
morale e non vuole trasformare un racconto prevalentemente
drammatico – con deliziosi inserti divertenti – in una narrazione
femminista, tanto che empatizzare e comprendere il personaggio di
Alessandro Tedeschi è pressoché naturale. Resta sì sullo sfondo, ma
è bilanciato e ben caratterizzato e considerato, non diventando mai
oggetto di critiche. Al netto di quanto scritto, ciò che invece
sembra mancare un po’ è la completezza del gioco dei “dieci
minuti”: seppur si riesca a mostrare come una soluzione divertente
e funzionale per far uscire Bianca dall’impasse in cui si trova,
sembra che non ci si sia voluti sbilanciare troppo sui vari momenti
in cui si dedica a fare quell’altro che le fa paura, schifo o la
entusiasmi. Sarebbe stato interessante esplorare meglio questo
aspetto, e vedere fin dove la fantasia delle creatrici potesse
spingersi. Ciononostante, Dieci minuti è
un film godibile, buono, che si lascia amare nel suo essere
delicato e calibrato, e dimostra quanto Maria Sole Tognazzi si
prenda cura delle sue antieroine, facendole brillare di luce
propria nonostante le ferite che si portano addosso.
Nel 2021 il regista e sceneggiatore
Yann
Gozlan, regista anche di Un homme idéal, Burn
Out e Visions porta al cinema un film che
da tempo desiderava realizzare: Black Box – La scatola
nera. Appassionato di aviazione civile, Gozlan si è
infatti sempre detto interessato a dar vita ad una storia su questo
tema, concentrandosi però sugli aspetti più cupi e drammatici
legati all’aviazione, ovvero quello dell’incidente aereo e di
quanto ne segue. “Questo universo, incredibilmente
cinematografico dal mio punto di vista, con una posta in gioco
finanziaria colossale, in cui coesistono interessi divergenti, mi
sembrava un’ambientazione originale ed emozionante per un
film“, ha dichiarato.
Gozlan, insieme ai tre
co-sceneggiatori Jérémie Guez, Simon
Moutaïrou e Nicolas Bouvet-Levrard dà
dunque vita ad un thriller ricco di colpi di scena, sospetti,
verità celate e la ricerca ossessiva per portarle alla luce. Ma
Black Box – La scatola nera è anche un film che vuole
riflettere sulla facilità con cui gli uomini o le aziende di potere
possano manipolare la realtà a loro piacere, scampando così alle
conseguenze dei problemi di cui sono più o meno direttamente
artefici. Offrendo tutto ciò, il film si è affermato come un grande
successo in Francia, ottenendo riscontri di pubblico e critica
particolarmente positivi.
Il film si è poi distinto per il suo
lavoro sul sonoro e il montaggio, che contribuiscono ad
un’esperienza visiva particolarmente accattivante. Per chi ha
apprezzato film simili come
Flight o Sully, Black Box – La scatola nera è dunque
un film da non perdere. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori e riguardo la spiegazione del
finale. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La trama e il cast di Black Box – La scatola nera
Quando il volo Dubai-Parigi con 300
passeggeri a bordo si schianta con una dinamica misteriosa, il
giovane Mathieu Vasseur, tecnico della BEA,
(l’autorità responsabile delle inchieste sulla sicurezza
nell’aviazione civile), viene chiamato ad occuparsi del caso.
Rinvenuta la scatola nera, questa non sembra riportare nulla di
anomalo e il caso viene chiuso in fretta. Tuttavia, Vasseur, poco
convinto dell’esito, continua le sue indagini personali. Le tracce
audio rivelano dei dettagli che gli fanno pensare a una
manomissione del contenuto della scatola nera. La sua ipotesi è
quella di attentato. Contravvenendo agli ordini del suo capo
Philippe Rénier, inizia una coraggiosa ricerca di
prove in grado di confermare la sua tesi.
Ad interpretare Mathieu Vasseur vi è
l’attore Pierre Niney, noto per i film
Yves Saint Laurent, Masquerade – Ladri
d’amore e Il
libro delle soluzioni. Per prepararsi al ruolo, Pierre
Niney ha trascorso diverse settimane lavorando a fianco degli
agenti del BEA. Per la sua interpretazione in questo film, Niney è
stato candidato al premio Cesar come Miglior attore. Accanto a lui,
nel ruolo di sua moglie Noémie vi è l’attrice Lou de
Laâge, recentemente vista anche in Un colpo di
fortuna – Coup de Chance. Recitano poi nel film gli attori
André Dussollier nel ruolo di Philippe
Rénier, capo di Mathieu, e Sébastien
Pouderoux in quelli di Xavier Renaud, capo
dell’azienda Pegase Security. Olivier
Rabourdin è infine Victor Pollock, superiore di
Mathieu.
La spiegazione del finale di
Black Box – La scatola nera
Tutto il film è dunque costruito sul
sospetto di una realtà diversa da quella che si cerca di portare
avanti. Le ricerche di Mathieu, infine, confermeranno questo
sospetto portando alla luce come le aziende operanti nel campo
della sicurezza – in questo caso in quello dell’aviazione – non
possano permettersi che avvengano incidenti che ne macchino la
reputazione. Quando questi però si verificano, l’unica soluzione
sembra essere quella di occultare le prove. Ecco allora che verso
il finale Mathieu scopre che proprio il suo superiore Victor
Pollock ha alterato le registrazioni audio dell’incidente aereo.
Arriva a tale scoperta dopo aver riascoltato le registrazioni audio
di un precedente incidente di elicottero.
In tale registrazione rileva dei
numeri che rappresentano delle coordinate GPS che conducono ad uno
stagno sul fondo del quale trova la vera registrazione della
scatola nera dell’aereo. Insieme ad essa c’è dunque un video di
Pollock che racconta di aver lavorato in segreto con Xavier Renaud,
per anni, il quale l’ha costretto a falsificare le scatole nere.
Nonostante Mathie rimanga poi ucciso in un incidente d’auto,
causato da coloro che lo tenevano d’occhio, la sua scoperta viene
comunque alla luce e durante una presentazione pubblica per la sua
azienda, Xavier viene infine arrestato per gli atti da lui commessi
contro la verità.
Black Box – La scatola nera è tratto da una storia
vera?
Il film Black Box – La scatola
nera non è ispirato ad una storia vera in particolare, ma
riprende in modo evidente elementi presenti nella realtà e propri
del mondo dell’aviazione. Il primo di questi è proprio la scatola
nera, il noto dispositivo elettronico di registrazione dei dati
installati in un aeromobile o una imbarcazione con lo scopo di
facilitare le indagini dopo un incidente. Questi apparati sono
generalmente progettati per resistere alle condizioni che si
possono creare in un incidente grave, preservando le registrazioni.
In numerosi noti casi di incidenti aerei, la scatola nera si è
infatti rivelata decisiva per stabilire cosa ha causato
l’incidente. Il film però costruisce da zero il complotto alla base
del film, non prendendo spunto in questo dalla realtà.
Il trailer di Black Box – La
scatola nera e dove vedere il film in streaming e in TV
Sfortunatamente il film non è
presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive
in Italia. È però presente presente nel palinsesto televisivo di
martedì 23 gennaio alle ore 21:20
sul canale Rai 4. Di conseguenza, per un limitato
periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai
Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il
momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma,
completamente gratuita, per trovare il film e far partire la
visione.
Dinamico film d’azione con l’attrice
Charlize
Theron, Atomica
Bionda è stato distribuito nelle sale nel 2017,
ottenendo un buon riscontro di critica e pubblico. In particolare
sono divenute memorabili l’interpretazione della protagonista, le
numerose sequenze d’azione e la regia, tutti elementi che hanno
aggiunto spessore ad una storia intrisa di toni thriller,
incentrata in contesto di spionaggio nella Berlino del 1989.
Ecco 10 cose che forse non
sai su Atomica Bionda.
Atomica Bionda: la trama del
film
1. È ambientato in un anno
cruciale. Nel 1989, alla vigilia del crollo del muro di
Berlino e del cambiamento nelle alleanze tra superpotenze, Lorraine
Broughton, una spia del massimo livello dell’MI6, viene inviata a
Berlino per recuperare una lista contenente i nomi di tutti gli
agenti occidentali in azione e i loro affari. La donna riceve
l’ordine di cooperare col direttore della sede di Berlino, David
Percival. I due formano un’incerta alleanza, scatenando tutto il
loro arsenale di abilità nel perseguire una minaccia che mette a
rischio l’intero mondo delle operazioni di spionaggio dei paesi
occidentali.
Atomica Bionda: il cast del
film
2. Ha una premio Oscar per
protagonista. Al centro del film vi è l’attrice premio
Oscar Charlize Theron, nel ruolo di Lorraine
Broughton. Accanto a lei è possibile ritrovare gli attori James
McAvoy, nel ruolo di David Percival, gli attori
John Goodman, Bill Skarsgård e EddieMarsan.
3. Charlize Theron si è
allenata duramente per il ruolo. Per essere in forma
smagliante e poter interpretare al meglio le dinamiche scene del
film, l’attrice si è allenata con otto personale trainer, che
l’hanno aiutata ad implementare le sue capacità fisiche. L’attrice
si è inoltre allenata insieme all’attore Keanu
Reeves, che stava invece lavorando al film
John Wick – Capitolo 2.
4. James McAvoy ha recitato
con una mano rotta. McAvoy si ruppe la mano sul set del
film Split, girato prima di Atomica
Bionda, e fu costretto a recitare le sue scene con la mano
ancora infortunata, cosa che si è fatta notevolmente sentire
specialmente nelle diverse sequenze d’azione.
Atomica Bionda è tratto da un
fumetto
5. Il film è la
trasposizione di un fumetto. La pellicola è l’adattamento
cinematografico della graphic novel del 2012 intitolata The
Coldest City, scritta da Antony Johnston e
illustrata da Sam Hart. La Theron, fan di tale
opera, ha speso ben 5 anni per riuscire a portare al cinema questa
storia.
Atomica Bionda: la colonna sonora
del film
6. Ha una colonna sonora
molto dinamica. Per accompagnare al meglio le sequenze più
spettacolari del film è stata scelta una colonna sonora composta da
brani di celebri artisti e musiche dai toni electro-pop. Tra i
pezzi più celebri della colonna sonora figurano Cat People
(Putting out fire) di David Bowie, 99
Luftballons dei Nena, Der Kommissar
dei After the Fire e London Calling del
gruppo The Clash.
Atomica Bionda è in streaming
7. È possibile rivedere il
film in streaming. Per gli amanti del film, è possibile
riguardare il film comodamente in streaming, grazie alla presenza
della pellicola su piattaforme come Rakuten TV,
Google Play, Apple iTunes e
Prime Video. Per vedere il film sarà
sufficiente noleggiarlo o sottoscrivere un abbonamento alla
piattaforma di riferimento.
Atomica Bionda: il finale del
film
8. Il finale ha generato
molteplici domande. Il finale del film si è rivelato
esplosivo tanto quanto il lungometraggio in sé. Esplicitamente
aperto ad un sequel, la conclusione lascia aperte numerose porte
per il futuro, introducendo nuovi elementi per un nuovo capitolo
della storia del personaggio. Molti spettatori sono rimasti confusi
dal modo in cui termina la pellicola, e gli interrogativi sollevati
potrebbero trovare risposta in futuro.
Atomica Bionda 2: il sequel è
ufficiale
9. È stato annunciato il
sequel del film. Dato l’enorme successo riportato al box
office, la Theron ha annunciato ufficialmente un sequel del film,
affermando che lo sceneggiatore del primo capitolo è già al lavoro
sulla nuova sceneggiatura. Si prevede inoltre una storia che si
svilupperà e completerà nel corso di tre film. Per anni, tuttavia,
sembrava che il progetto non dovesse concretizzarsi. Nel dicembre
del 2023, però, Theron ha confermato che Atomica Bionda 2
è in fase di sviluppo e