Il film racconta la storia di una troupe cinematografica
impegnata con le riprese di un horror a basso budget all’interno di
una fabbrica abbandonata. Il gruppo, oltre alle difficoltà di
gestione di cast e denaro, si ritroverà a dover fronteggiare una
reale invasione di zombie, che porta confusione e terrore sul set.
A causa dell’improvvisa occupazione degli spazi da parte dei non
morti, la troupe faticherà a distinguere la realtà dalla finzione
cinematografica…
E’ stato presentato ieri alla
Festa del
cinema di Roma il film La cura. Sul red carpet hanno sfilato in
protagonisti, il regista Francesco Patierno e gli interpreti
Francesco Di Leva,
Alessandro Preziosi, Francesco Mandelli, Cristina Donadio,
Andrea Renzi, Antonino Iuorio, Peppe Lanzetta, Ernesto Mahieux,
Giuseppe D’Ambrosio, Eliana Miglio, Maritè Musella, Giancarlo
Cosentino, Francesco Biscione, Margherita Romeo, Viviana Cangiano,
Francesca Romana Bergamo, Vincenzo Del Prete, Pio Del Prete, Ramon
D’Andrea, Giuseppe. Ecco tutte le foto dal red carpet:
LA CURA un film di Francesco
Patierno | liberamente tratto da La Peste di Albert Camus, Editions
Gallimard 1947 verrà presentato in CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA alla
Festa del Cinema di Roma 2022 |una produzione RUN FILM in
associazione con IN BETWEEN ART FILM prodotto da Alessandro e
Andrea Cannavale con Beatrice Bulgari.
La trama del film
La storia della Peste di Albert
Camus, ambientata originariamente in Algeria nel 1947, si sposta
nella Napoli dei nostri tempi. Una troupe cinematografica, durante
i giorni più duri del lockdown, gira un film tratto dalla Peste di
Camus. La realtà delle vite degli attori si alterna alla finzione
dei personaggi che interpretano: gradualmente i due piani narrativi
si uniscono. Corso Umberto, il rione Sanità, le Terme, la stazione
di Mergellina, l’Hotel Oriente, la prefettura, strade, angoli, per
lo più deserti: Napoli in pieno lockdown. Una città spettrale e
fuori dal tempo per la rilettura contemporanea di Francesco
Patierno di La peste di Albert Camus, dove i sentimenti, le paure,
i conflitti del libro scivolano armoniosamente dentro il
disorientamento generato dalla pandemia, e pezzi di realtà, come un
uomo disperato che urla di notte per strada, riflettono il testo.
Un ospedale e i suoi medici e volontari, i funzionari, i
commercianti, le persone normali, tutti si mescolano con una troupe
che sta girando un film sulla Peste, in una coralità drammatica
asciutta e coinvolgente. Chi vuole scappare. Chi decide di restare.
Ma da soli non si resiste alla paura.
Sarà il pluripremiato regista di
fama internazionale Joe Wright (L’ora
più buia, Espiazione, Cyrano) a dirigere
M. Il figlio del secolo, la nuova serie Sky
Original adattamento dell’omonimo romanzo di Antonio
Scurati vincitore del Premio Strega e bestseller internazionale,
che racconta la nascita del fascismo in Italia e l’ascesa al potere
del Duce Benito Mussolini.
Wright, che dirigerà tutti gli otto
episodi della serie e batterà il primo ciak presso i Cinecittà
Studios nelle prossime settimane, ha dichiarato: «Portare sullo
schermo un romanzo come “M – Il figlio del secolo” è una sfida
incredibile che non vedo l’ora di affrontare. Spero di riuscire a
restituire le luci e le ombre di un periodo storico e di un
personaggio che, nel bene e nel male, hanno definito un’intera
era».
Nell’ambito della diciassettesima
edizione della Festa del Cinema di Roma, il 18 ottobre il regista
inglese sarà inoltre protagonista, insieme agli sceneggiatori
Stefano Bises e Davide Serino, dell’incontro “M. La serie”.
M. Il figlio del secolo è una serie prodotta da Sky
Studios e da Lorenzo Mieli per The Apartment Pictures, società del
gruppo Fremantle, in collaborazione con Pathé.
M. Il figlio del secolo, la
trama
La serie ripercorrerà la storia
dalla fondazione dei Fasci Italiani nel 1919 fino al famigerato
discorso di Mussolini in parlamento dopo l’omicidio del deputato
socialista Giacomo Matteotti nel 1925. Offrirà inoltre uno spaccato
del privato di Mussolini e delle sue relazioni personali, tra cui
quelle con la moglie Rachele, l’amante Margherita Sarfatti e con
altre figure iconiche dell’epoca. Come il romanzo, la serie
racconterà la storia di un paese che si è arreso alla dittatura e
la storia di un uomo che è stato capace di rinascere molte volte
dalle sue ceneri.
Scritta da Stefano Bises
(Gomorra – La Serie, The New Pope, ZeroZeroZero, Speravo de
morì prima) e Davide Serino (1992, 1993, Il Re, Esterno
Notte), la serie racconterà gli accadimenti con accuratezza
storica, con ogni evento, personaggio, dialogo e discorso
storicamente documentato o testimoniato da più fonti.
M. Il figlio del secolo arriverà in esclusiva su Sky e
in streaming solo su NOW in tutti i territori Sky in Europa. La
distribuzione internazionale è di Fremantle.
Pubblicato in Italia da Bompiani
nel 2018, il romanzo di Antonio Scurati M. IL FIGLIO DEL SECOLO è
stato tradotto ad oggi in 46 paesi, ha venduto oltre 600.000 copie.
Negli Stati Uniti è edito da HarperCollins.
È il primo di una trilogia dedicata
da Scurati al fascismo e a Benito Mussolini: il secondo romanzo è
M. L’UOMO DELLA PROVVIDENZA, cui ha fatto seguito da qualche
settimana il terzo romanzo della serie bestseller, M. GLI ULTIMI
GIORNI DELL’EUROPA, che si concentra sul cruciale triennio tra il
1938 e il 1940.
BIOGRAFIA JOE
WRIGHT
Il regista Joe Wright ha studiato
al St. Martin’s College di Londra. Con i suoi nove lungometraggi da
regista usciti ad oggi, Wright ha collezionato, tra candidature e
vittorie, 35 BAFTA, 24 Academy Awards e 12 Golden Globe.
Nel 2005 debutta alla regia di un
lungometraggio con ORGOGLIO & PREGIUDIZIO, con
Keira Knightley, Matthew MacFadyen, Rosamund Pike e Donald
Sutherland. Il film gli ha fatto vincere il Premio BAFTA come
miglior regista.
ESPIAZIONE,
adattamento del libro di Ian McEwan, esce nel 2007. Scritto da
Christopher Hampton e interpretato da Knightley e James McAvoy, il
film vince un Oscar per la migliore colonna sonora originale.
Nel 2009 esce il film IL
SOLISTA, con Robert Downey Jr. e Jamie Foxx, seguito nel
2011 da HANNA, che vede protagoniste Cate
Blanchett and Saoirse Ronan.
Nel settembre 2012 Wright presenta
al pubblico ANNA KARENINA con Keira
Knightley, Jude Law e Aaron Taylor-Johnson, che vince un BAFTA e un
Oscar per i migliori costumi. Poco dopo Wright debutta nel mondo
del teatro con TRELAWNY OF THE WELLS in scena al
Donmar Theatre, seguito da A SEASON IN THE CONGO
con Chiwetel Ejiofor, in scena al Young Vic.
Nel 2015 collabora con la Warner
Bros per il lungometraggio PAN – VIAGGIO SULL’ISOLA CHE NON
C’È. Il film, che vede Hugh Jackman fra i protagonisti, è
una lettera d’amore agli scritti di JM Barrie e segue un giovane
Peter mentre viaggia verso l’Isola che non c’è. Nel 2017 esce
L’ORA PIÙ BUIA con Kristin Scott Thomas, Lily
James e Gary Oldman che vince l’Oscar come miglior attore
protagonista per la sua performance nei panni di Sir Winston
Churchill.
LA DONNA ALLA
FINESTRA è arrivato nel maggio 2021 su Netflix. Il cast comprende Amy Adams, Julianne Moore
e Gary Oldman. L’ultimo film di Wright è CYRANO,
musical tratto dal “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand. Vede
come protagonisti Peter Dinklage, Haley Bennett, Kelvin Harrison
Jr. e Ben Mendelsohn.
Una vita tranquilla,
almeno apparentemente, è quella immaginata da Sandro
Veronesi nel suo romanzo vincitore del Premio Strega 2020.
Una storia difficile da sintetizzare e ricca di temi importanti,
che Francesca Archibugi porta in sala – a partire
dal 14 ottobre (distribuito da 01 Distribution) – nel
film omonimoIl Colibrì. Scelto come titolo
d’apertura della rinnovata Festa del Cinema di Roma, e inserito
nella sezione Grand Public dedicata al cinema per il grande
pubblico, il nuovo film della regista di Vivere colpisce al
cuore, ma non solo, visto il cast All-Star riunito per
l’occasione.
Quelli di Nanni
Moretti e Pierfrancesco Favino spiccano tra i nomi di
Kasia Smutniak,
Berenice Bejo,
Laura Morante,
Benedetta Porcaroli, Massimo
Ceccherini, Fotiní Peluso e
Pietro Ragusa – tra gli altri – ed è
paradossalmente tra loro due che si sviluppa il rapporto più
importante in Il Colibrì. Tra tante relazioni,
amorose o familiari, grandi amori e insopportabili dolori, la
tensione che lega Daniele e Marco cambia con il passare del tempo e
li lega sempre di più, dalle prime preoccupazioni professionali
all’atto più estremo di vicinanza e amicizia.
Chi è il
Colibrì?
Favino (che per una
curiosa coincidenza, da anni convive felicemente con il soprannome
di Picchio) è Marco Carrera, al quale sin da piccolo viene
affibbiato quel nomignolo, per via di uno squilibrio ormonale che
non lo faceva crescere e sviluppare come dovuto, ma che resta per
tutta la vita il Colibrì, sebbene una cura sperimentale gli avesse
permesso di avere infine una statura normale. Ed è la sua storia
che seguiamo, nella sua quasi interezza, di ricordo in ricordo,
saltando da un’epoca a un’altra, in un tempo liquido che va dai
primi anni ‘70 fino a un futuro prossimo – il 2030 – nel quale lo
Stato italiano si è finalmente deciso a dare una prova da tempo
richiesta di umanità e civiltà.
Ma tutto inizia da
bambini, quando al mare Marco conosce Luisa Lattes, una ragazzina
bellissima e inconsueta. Una passione idealizzata e quindi
ineguagliabile, un amore che mai verrà consumato e mai si spegnerà,
per tutta la vita. A differenza di quello per la moglie Marina,
madre della figlia Adele. Tra coincidenze incredibili e prove
durissime, Marco passa da Roma a Firenze, spesso accompagnato dal
vigile e amorevole sguardo di Daniele Carradori, lo psicoanalista
di Marina, che insegnerà a Marco come accogliere i cambi di rotta
più inaspettati.
La forza della
vita
Dicevamo della difficoltà
di adattare in maniera ineccepibile un intreccio tanto articolato,
ricco di personaggi e di connessioni diverse a seconda del momento
storico vissuto attraverso il costante alternarsi di passato e
presente. Un reticolo esistenziale notevole, che tra momenti da
ricordare e parentesi didascaliche non può che dare a tratti la
sensazione di non riuscire a legare ugualmente tutti gli elementi.
Nonostante la presenza di alcune costanti, veri fulcri della
narrazione.
In primis la telefonata
che riceve Marco, con cui si apre Il Colibrì e che
rivediamo – ogni volta inquadrata diversamente, sempre più da
vicino – mano a mano che prende forma il personaggio di Favino e si
forma la sua consapevolezza del proprio vissuto. Che passa anche
dalle rare e complicate riunioni familiare e dall’evoluzione del
suo amore – idealizzato – per la onnipresente Lucia
Lattes di Bérénice Bejo. Altro
personaggio chiave, testimone distante e ambiguo, forse la figura
femminile più interessante tra le varie (dalla Morante, alla sempre
eccessiva Smutniak).
Non è mai facile
assistere a una agonia, l’altrui come la propria, ma in quella che
Il Colibrì descrive come la “strenua lotta che
facciamo tutti noi per resistere a ciò che talvolta sembra
insostenibile” resta la speranza. Di trovare la felicità, dopo
tante finzioni e paure, di scoprirsi protagonisti di una vita vera,
di non aver sprecato il proprio tempo – come un colibrì, costretto
a uno sforzo “assurdo” per restare fermo – e anzi di aver trovato
il coraggio di diventarne padroni e disporne nel momento più
delicato di questo lungo addio.
L’account Instagram ha realizzato
una fanart che riunisce, in un incontro possibile nel Multiverso
MCU, le tre incarnazioni di Captain
America del Marvel Universe, almeno quelle che
abbiamo incontrato fino a questo momento.
Nell’immagine vediamo ovviamente lo
Steve Roger di Chris Evans al
centro, mentre ai suoi lati c’è Sam Wilson/Anthony
Mackie, che ha ufficialmente raccolto il suo testimone
alla fine di Avengers: Endgame, e Peggy
Carter/Hayley Atwell, che è stata brevemente Cap in
Doctor Strange nel Multiverso della Follia e
ancora prima in What
If…?
La star de I
Goonies, Ke Huy Quan, ha recentemente
condiviso sui social media il suo emozionante
ritorno sul set dopo 36 anni. Dopo aver iniziato come
co-protagonista di Harrison Ford in Indiana Jones e il Tempio Maledetto nel 1984,
Quan è tornato sul grande schermo nel successo degli anni ’80,
I Goonies. L’attore ha interpretato il ruolo
di Richard “Data” Wang, un membro di un gruppo di
amici nella città di Astoria, nell’Oregon. Conosciuto per la sua
personalità esuberante e i suoi gadget folli, Data ha assistito il
suo amico Mikey (Sean Astin) nella ricerca del
tesoro del pirata Willy l’Orbo.
Dopo il suo ruolo ne I
Goonies, Quan ha lottato per mantenere la sua carriera a
Hollywood. L’attore ha subito trovato difficile trovare ruoli
adatti a lui e ha cominciato a lavorare dietro alla macchina da
presa. Dopo aver completato il programma cinematografico presso
l’Università della California meridionale, Quan ha lavorato in
varie produzioni in tutto il mondo anche come stunt rigger in
Canada per X-Men (2000) e assistente alla regia
per Wong Kar Wai in 2046.
Tuttavia, dopo l’uscita di Crazy Rich Asians, Quan
è stato ispirato a tornare alla recitazione. È stato scelto per un
piccolo ruolo per il film NetflixAlla ricerca di Ohana,
un’avventura familiare chiaramente ispirata a I
Goonies, e in seguito ha ottenuto il ruolo di Waymond Wang
nell’acclamato Everything Everywhere All at Once.
Dopo 36 anni, Quan è finalmente
tornato allo studio di produzione dove aveva originariamente girato
parte di I Goonies e si è rivolto a Instagram per
condividere il momento. Nelle immagini, Quan indica una targa sul
muro della Warner Bros. Stage 16 che presenta un elenco di film
importanti girati in loco e che include proprio I
Goonies. L’attore ammette di essersi emozionato tornando
dopo così tanti anni.
In una recente intervista con Total
Film (tramite The
Direct), Tenoch Huerta, che dà vita a Namor in
Black
Panther: Wakanda Forever, discute del futuro di Namor
nel MCU dopo la sua introduzione nel
film di Ryan Coogler. Anche se l’attore non rivela
nulla di concreto, sembra certamente eccitato dalla prospettiva di
esplorare la ricca storia di Namor nel MCU, se gliene verrà data la
possibilità.
“Lo spero! Lo spero! Perché
voglio un contratto più grande! Voglio più zeri nel mio contratto!
No, sto scherzando. Voglio dire, la mitologia attorno a Namor è
enorme. Puoi impazzire con tutta questa cultura aspetto, e puoi
creare un sacco di cose con Namor, perché sono una fantastica fonte
di storie, mitologia, religione e tutto il resto. Quindi spero che
decidano di continuare con il personaggio, oltre la sua storia o
altro”.
I dettagli ufficiali della trama
sono ancora nascosti, ma ci è stato assicurato che il sequel del
MCU onorerà il defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever arriverà nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI. Il sequel si
concentrerà sulle parti inesplorate di Wakanda e sugli altri
personaggi precedentemente introdotti nei fumetti Marvel.
Letitia Wright (Shuri), Angela
Bassett (Ramonda), Lupita
Nyong’o (Nakia), Danai
Gurira (Okoye), Winston
Duke (M’Baku) e Martin
Freeman (Everett Ross) torneranno nei panni dei
rispettivi personaggi interpretati già nel primo film.
L’attore Tenoch Huerta è in trattative
con i Marvel Studios per
interpretare il villain principale del sequel.
Sono tanti gli attori del panorama
mondiale che, nelle ore serali di ieri, hanno rilasciato
dichiarazioni e omaggi alla memoria di Robbie Coltrane, attore scozzese scomparso
all’età di 72 anni. Tra questi anche Daniel Radcliffe ha rilasciato una
dichiarazione affidata a Deadline.
Coltrane era stato compagno di set
del giovanissimo Radcliffe in tutta la fase di produzione, oltre
dieci anni, del franchise di Harry Potter, in cui Robbie
interpretava il personaggio chiave di Rubeus Hagrid, il Custode
delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts e primo amico “magico” del
piccolo Harry (Daniel
Radcliffe). Ecco cosa ha dichiarato Radcliffe:
“Robbie era una delle persone
più divertenti che abbia mai incontrato e ci faceva ridere
costantemente da bambini sul set. Ho ricordi particolarmente
affettuosi di lui che teneva alto il morale durante la lavorazione
de Il Prigioniero di Azkaban, quando ci nascondevamo tutti dalla
pioggia torrenziale per ore nella capanna di Hagrid e lui
raccontava storie e scherzava per tenere alto il morale. Mi sento
incredibilmente fortunato di aver avuto modo di incontrarlo e
lavorare con lui e sono molto triste per la sua morte. Era un
attore incredibile e un uomo adorabile”.
Ryan Reynolds e il co-regista di Strange World stanno sviluppando un film
basato sull’attrazione dei parchi a tema Disney Society of
Explorers and Adventurers. Disneyland e Disney World hanno
avuto grandi influenze sul mondo in generale. Con la capacità di
questi parchi di immergere ed emozionare i visitatori con un layout
sapientemente progettato e le numerose offerte, i parchi a tema non
hanno mostrato segni di rallentamento. L’inclusione di contenuti
Marvel e Star
Wars nei parchi aggiunge divertimento generale e continua a
giustificare la convinzione di Walt Disney che i parchi a tema non
conosceranno mai crisi e continueranno a crescere e cambiare.
E’ già capitato in passato che la
Disney usasse attrazioni dei parchi a tema come base per dei film.
Chiaramente l’esempio più illustre è Pirati dei
Caraibi in quanto ha dimostrato di essere l’attrazione più
redditizia dei parchi a tema per avviare un franchise
cinematografico, segue poi Jungle Cruise di
Dwayne Johnson, che ha debuttato con recensioni
modeste e sottoperformato al botteghino durante la pandemia, ma sta
ottenendo ora un discreto seguito. Oltre ai due, la Disney ha
provato ad adattare altre giostre che però non hanno avuto un
impatto al botteghino tra cui Country Bears,
Mission to Mars, Tomorrowland e
The Haunted Mansion, e con la Disney che sta
attualmente riavviando quest’ultimo, sembra che ora stiano
arricchendo ulteriormente il loro elenco di progetti in base alle
loro attrazioni.
Come annunciato da The Hollywood
Reporter, Ryan Reynolds sta collaborando con
il co-regista di Strange WorldQui Nguyen per
produrre un adattamento cinematografico di Society of
Explorers and Adventurers. Il film non sarà correlato alla
serie televisiva Disney+ sviluppata da Ron
Moore, ma sarà invece un film autonomo che esplora il
mondo di SEA ai giorni nostri e includerà elementi soprannaturali e
nuove idee non presenti nelle giostre originali. Nguyen scriverà il
nuovo lungometraggio mentre Reynolds produrrà il film sotto il suo
marchio Maximum Effort.
Con Deadpool 3 che verrà prodotto sotto l’ombrello
della Walt Disney Company, sembra che per Ryan Reynoldssi stia
inaugurando una collaborazione importante con lo Studio.
In una recente intervista con
SlashFilm, il compositore Michael Giacchino ha
riflettuto sul periodo trascorso a mettere insieme la colonna
sonora di The
Batman. Il compositore della soundtrack del film DC ha
rivelato di non aver mai ascoltato la canzone dei Nirvana, chiave
per la colonna sonora del film, “Something in the Way”, e
che aveva iniziato a scrivere la musica prima ancora che Robert Pattinson venisse scelto per
interpretare il protagonista.
“Questo è davvero imbarazzante,
ma non conoscevo quella canzone. Non conoscevo affatto quella
canzone. Mi sento come un vecchio che dice che non lo sapeva.
Certo, ora lo so. Nel momento in cui stavo scrivendo, non ne avevo
idea. Non lo sapevo. È stata una fortuna eterna che quelle due
tracce (il tema di The
Batman e la canzone dei Nirvana, ndr) siano stati in grado, in
qualche modo con un piccolo ritocco, di coesistere per i trailer
nel modo in cui hanno fatto. Ha funzionato davvero bene. Non era
qualcosa che era stato pianificato in anticipo, era solo una specie
di, ho scritto quel tema dopo aver parlato della sceneggiatura con
[il regista Matt Reeves] per così tanto tempo e aver parlato dei
personaggi e di tutto il resto. Il tema è stato scritto, non so,
due anni prima che il film fosse finito. Matt aveva quel tema prima
che scegliessero ufficialmente Robert Pattinson. Voglio dire, è stato
pazzesco averlo così presto. È raro che succeda. Tutto ha
funzionato. E’ stata solo una fortuna. Il tema principale di Batman
è proprio quel dun dun dun, in un certo senso vivono insieme così
bene.”
The Batman, il film
The
Batman diretto da Matt Reeves è
uscito nelle sale il 4 marzo distribuito da Warner Bros Italia.
Protagonisti del film insieme a Robert Pattinson nei panni di Bruce
Wayne, ci saranno anche Colin
Farrell (Oswald Chesterfield/Pinguino), Zoe
Kravitz (Catwoman), Jeffrey Wright (Jim Gordon), Paul
Dano (Enigmista) e Andy
Serkis (Alfred). Infine, John
Turturro sarà il boss Carmine Falcone. Nel cast
anche Peter
Sarsgaard che sarà Gil Colson, il Procuratore
Distrettuale di Gotham.
Due anni trascorsi a pattugliare le
strade nei panni di Batman (Robert
Pattinson), incutendo timore nel cuore dei criminali,
hanno trascinato Bruce Wayne nel profondo delle tenebre di Gotham
City. Potendo contare su pochi fidati alleati – Alfred Pennyworth
(Andy
Serkis) e il tenente James Gordon (Jeffrey
Wright) – tra la rete corrotta di funzionari e figure
di alto profilo della città, il vigilante solitario si è affermato
come unica incarnazione della vendetta tra i suoi concittadini.
Quando un killer prende di mira l’élite di Gotham con una serie di
malvagi stratagemmi, una scia di indizi criptici spinge il più
grande detective del mondo a indagare nei bassifondi, incontrando
personaggi come Selina Kyle / alias Catwoman (Zoe
Kravitz), Oswald Cobblepot / alias il Pinguino
(Colin
Farrell), Carmine Falcone (John
Turturro) e Edward Nashton / alias l’Enigmista
(Paul
Dano). Mentre le prove iniziano a condurlo più vicino
alla soluzione e la portata dei piani del malfattore diventa
chiara, Batman deve stringere nuove alleanze, smascherare il
colpevole e rendere giustizia all’abuso di potere e alla corruzione
che da tempo affliggono Gotham City.
“Non sono mai stato bravo a
parlare di me, per questo ho iniziato a scrivere canzoni”. Si
apre con questa dichiarazione d’intenti il documentario
Mahmood, diretto da Giorgio Testi e
scritto da Virginia W. Ricci. Dedicato al celebre
cantautore che a neanche trent’anni ha già vinto due volte il
Festival di Sanremo, il film, che fa parte delle proiezioni
speciali del Panorama Italia di Alice nella città,
sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di
Roma, ancor prima di essere un’opera celebrativa nei
confronti del cantante, vuole dar prova della sua umiltà, della sua
umanità e, soprattutto, della sua sensibilità.
Si ripercorrono dunque le principali
tappe della sua vita e del suo percorso artistico, dai primi
concorsi alla delusione di X Factor, dalla vittoria a Sanremo
Giovani con Gioventù bruciata a quelle a Sanremo Big con
Soldi e Brividi, dalle partecipazioni
all’Eurovision Song Contest fino al recente tour europeo andato
sold out. Quello di Mahmood è un percorso ricco di ostacoli,
speranze, incidenti di percorso, cadute e ripartenze che hanno
portato infine al successo tanto sperato, dietro il quale si
nascondono profondi dolori personali da metabolizzare attraverso la
musica e un forte amore, ricambiato, per la propria famiglia.
Mahmood: dallo sgabuzzino di casa
ai palchi d’Europa
Quello dedicato a Mahmood è solo
l’ultima di una serie di opere audiovisive dedicati a popolari star
della scena musicale italiana. Da Ferro, documentario su
Tiziano Ferro a Famoso, con protagonista il trapper Sfera
Ebbasta, fino al più recente Laura Pausini: Piacere di
conoscerti, che ripercorre la vita della celebre cantante
in modo molto particolare. Di Mahmood non si può certo
dire che proponga un approccio originale da un punto di vista
narrativo. Il film è infatti costruito seguendo un ordine
cronologico che se da un lato offre un ovvio e piacevole ordine,
dall’altro rischia di rendere il progetto scontato e
dimenticabile.
Se ciò non avviene del tutto lo si
deve in particolare a due precisi aspetti, il cui “merito” di
entrambi va prima di tutto allo stesso Alessandro
Mahmoud. Il primo è relativo alle riprese dei concerti
sostenuti nel 2022 dal cantante in alcune capitali europee. Come
ormai risaputo, Mahmood ha molta cura per le immagini che lo
riguardo, i look da sfoggiare, le luci e le scenografie con cui
interagisce. La sua attenzione per questi dettagli fa sì che i suoi
concerti risultino dei veri e propri spettacoli visivi e
riproponendo alcuni frammenti di essi anche lo stesso film
acquisisce un po’ per osmosi quel fascino.
Il secondo aspetto è dato dal
vissuto di Mahmood. Non sono infatti tanto i retroscena dietro i
suoi successi musicali a generare interesse, bensì i racconti che
egli offre riguardo il suo ardente desiderio di fare musica
nonostante le tante porte in faccia, riguardo il rapporto con
l’amata madre, con quel padre assente e con quel desiderio di
potersi sentire a casa. Di Mahmood si è detto che il suo sguardo
sembra sempre rivolto altrove, come se ogni volta dovesse partire
per una nuova meta o tornare a casa dopo un lungo viaggio, più
nello specifico magari in quello sgabuzzino di casa dove da piccolo
racconta di essersi sentito al sicuro, costruendo i propri mondi di
fantasia.
Lo sguardo di Mahmood
Il film offre dunque un maggior
approfondimento della vita di Alessandro Mahmoud prima di diventare
il Mahmood cantante capace di emozionare persone proveniente di
contesti diversi, infrangendo barriere linguistiche e culturali.
All’interno di un documentario dalla struttura canonica, dunque, si
cerca di far emergere quel mondo emotivo che Mahmood non ha mai
saputo esprimere se non attraverso le proprie canzoni, svelando
tutto di sé attraverso queste. Addirittura la madre, che fornisce
una delle testimonianze più belle del film, racconta di aver
conosciuto meglio suo figlio attraverso tali testi che non tramite
le loro conversazioni quotidiane.
Si può naturalmente scegliere di
credere o non credere all’umiltà che il cantante mette sul piatto
con questo documentario. Mahmood è notoriamente un artista molto
divisivo, controverso e spesso difficile da definire (cosa,
quest’ultima, non necessariamente negativa). Il film manca di
essere tutto ciò, non raggiungendo dunque quella somiglianza tra
artista e opera a lui dedicata che in altri casi simili si è
dimostrata vincente, ma è certamente emozionante nell’offrire il
racconto di un ragazzo che ha creduto talmente tanto nei propri
sogni da riuscire infine a realizzarli. Un discorso che certamente
toccherà l’animo di quanti, si spera molti, coltivano i propri
sogni con cura e impazienza.
Crescere, che fatica! Se lo deve
essere ripetuta spesso Rakel, la protagonista di
Ninjababy, dal 13 ottobre nelle sale italiane. Il
dramedy norvegese della regista Yngvild Sve
Flikke, presentato al TIFF 2021 e al
Festival di
Berlino e tratto dalla graphic novel
Fallteknikk, illustra tutti gli spettri delle
gravidanze inaspettate da una prospettiva arguta e comica al punto
giusto, collegando all’enfasi fumettistica il conflitto di una
mamma in divenire e di una protagonista a cui deve essere ricordato
che è padrona della propria storia.
Ninjababy: dialogare con la nostra creatura
Un bambino si è depositato
inaspettamente nel ventre di Rakel
(Kristine Kujath Thorpe) e se c’è una cosa che
questa sa della sua vita è che non lo vuole. Sotto ai vestiti
ingombranti e al disordine apparente di un’esistenza che non
padroneggia, Rakel è una sognatrice dalla fervida immaginazione,
aspirante fumettista che disegna sempre la sua quotidianità. Forse
è proprio la matita, il segno, il mezzo perfetto per
cercare di stabilire un contatto con questa figura inafferrabile,
un Ninjababy che vuole continuare a lottare per
stare nella pancia della mamma.
Parlare con chi non conosciamo
ancora è quasi impossibile ed è per questo che l’unico modo che
Rakel ha per instaurare un dialogo con
l’inaspettato è tramite la sua creatività. Proiettando sull’effetto
figurativo un’idea a cui non siamo in grado di dare forma,
riusciamo quantomeno a pensare di poterne avere il controllo. La
verità con cui presto dovrà però confrontarsi Rakel è che la
creatura è sì figlia di una madre che rinnova la propria
coscienziosità, ma è illustratrice a suo modo: vaglia
assieme a lei le scelte che potrebbe effettuare, suggerisce ciò che
sarebbe meglio per lui/lei, avanza proposte di collaborazione,
quasi come se si stesse prefigurando un dialogo tra colleghi.
Chi è la vera ninja?
Con il proprio
Ninjababy, piccolo ma impavido lottatore, linfa
creativa che Rakel ha sempre portato con sè ma si
è probabilmente assopita in una quotidianità che ha lasciato il
passo alla negligenza, la giovane madre (ri)vive in maniera
inusuale un’infanzia di cui non ci viene detto niente: l’unico
tratto della backstory di Rakel che conserviamo è il fatto che
studiasse design ma si sia ritirata dall’università e, al di là di
una sorellastra che conosceremo lungo il corso del film, non
sappiamo nulla sui suoi genitori. Partendo già dall’idea di un
personaggio dal passato frammentato, Ninjababy fa
egregiamente i conti con la destrutturazione ulteriore del nucleo
famigliare, ormai scevro delle categorie genitoriali archetipiche,
e che ha assunto un’idea di fluidità, più legata allo
scegliere chi vogliamo lungo il nostro cammino.
Nel passaggio di testimone tra la
bambina che (non) è stata e che diventa durante il film,
Rakel assume consapevolezza dello scambio,
dialogico ed emotivo, necessario per dare forma a un mondo
disordinato, con la comicità sottile tipica del cinema nordico ma
un ritmo da vero e proprio coming-of-age statunitense.
Kristine Kujath Thorp è la vera ninja del
film: ipnotica e abilissima nel costruire la caratterizzazione di
Rakel partendo dallo sguardo, fulcro vero e proprio dei conflitti
che ne attraversano l’interiorità.
Cosa succede quando ci troviamo
faccia a faccia con la creatura che, fino a pochi secondi prima,
era solo una nostra proiezione? Ninjababy sfrutta
ogni svolta di trama per fare entrare lo spettatore sempre più
nella mente di Rakel, favorendo il processo
empatico anche con le parti più astruse del suo dialogo con il
feto, che si rivelano essere i frangenti in cui in realtà riusciamo
a scorgere molto più a fondo le crepe di una donna che, forse, non
è stata abbastanza bambina.
Ninjababy: ti regalo un libro
Forse Rakel non ha
mai imparato veramente il linguaggio dell’affetto, quasi certamente
fatica a essere anche madre di se stessa. Allora, la scoperta della
maternità passa attraverso la percezione idiomatica del suo,
particolarissimo, linguaggio. Il figlio che aspetta deve diventare
libro, l’idea deve assumere contorni e forma visuale per fare
comprendere a Rakel che madre e figlia si sono fatte a
vicenda, che i confini tra creatore e creatura sono estremamente
labili quando di mezzo c’è un legame indissolubile.
NinaBibbi:
nell’atto del nominare, nello scegliere chi si vuole essere e dove
ci si rincontrerà, assistiamo alla sinergia massima tra
Rakel e il suo bimbo: nel conservare parte del
nome che lo stesso Ninjababy avrebbe voluto –
Angelina, per ragioni spassosissime – Rakel decide di lasciarle
quello che vorrebbe le riservasse il futuro. Contemporaneamente, in
questa parola-macedonia, trattiene l’impronta creativa che questo
bambino porterà sempre con sè; il modo, di certo anomalo e
inconsapevole in cui Rakel, sotto mille strati di vestiti sdruciti,
si è sempre curata del suo piccolo ninja.
Di tutte le
storie narrate dai personaggi di The
Midnight Club, quella di Kevin è la più
ingombrante. Il racconto riguarda un serial killer di nome
Dusty e ha un significato importante per i personaggi
della serie
tvNetflix. La
storia si divide in tre parti e lascia col fiato sospeso per due
intere puntate. Quando finalmente scopriamo il significato del
racconto, appare chiaro perché la narrazione è così prolungata in
The Midnight Club.
Kevin
racconta di Dusty, un ragazzo che drante il giorno è un
perfetto studente ma di notte si trasforma e uccide spietatamente
le persone. Dusty agisce in modo metodico: usa un martello
per fare fuori le vittime e le seppellisce in una grotta segreta.
Inoltre, su ogni scena del crimine Dusty lascia un
biglietto con la clessidra, il simbolo del culto
Paragon.Dusty è perseguitato dai
fantasmi delle sue vittime e da quello di sua madre. DI volta in
volta, la mamma defunta pronuncia al figlio solo poche parole: dice
i nomi delle persone che Dusty deve uccidere. L’attività
notturna di Dusty assume una piega inaspettata quando
l’assassino fa amicizia con Sheila, una cara amica della
sua ultima vittima Nancy. Sarà proprio Sheila ad
incastrare Dusty.
Cosa succede a Dusty nella storia
narrata da Kevin
Sperando di ritrovare l’amica
scomparsa, Sheila si reca insieme a Dusty a casa
di Nancy. Non trovando
nessuno, chiama la polizia. I commissari iniziano a sospettare che
si tratti di un omicidio. Nonostante ciò, i sospetti non cadono su
Dusty. Il detective a cui viene affidato il caso crede che
il serial killer che usa il biglietto di Paragon si muova
a piede libero da almeno quarant’ani. Al
contrario il detective, interpretato da Georgina
Stanton di Brightcliffe Hospice, si serve di
Dustyper saperne di più sulla sua generazione. La
situazione inizia a scaldarsi ancora di più quando lo spirito della
madre di Dusty (interpretata da Veronika
Hadrava di Resident Alien) rivela al figlio che
la sua prossima vittima dev’essere Sheila.
Dusty
accetta a malincuore la sentenza della madre: invita
Sheila a casa sua, le confessa la folle tradizione omicida
della sua famiglia e poi solleva il martello per colpirla.
Tuttavia,Dusty viene
sopraffatto dai suoi sentimenti per Sheila ed esita.
Non appena sua madre percepisce la sua
titubanza, striscia nella stanza. Prontamente Dusty la
colpisce con il suo martello. Così facendo,
non solo lascia fuoriuscire dalla madre la forza oscura che
l’ha posseduta per buona parte di The Midnight
Club, ma libera anche gli spiriti di tutte le sue vittime
dal loro stato di limbo. La forza
malvagia entra nel corpo di Dusty e prova a costringerlo a
finire il lavoro. Dusty resiste e, per evitare di fare
danni, chiede a Sheila di ucciderlo. Lei lo mette soltanto
KO e chiama la polizia. Alla fine,
Dusty viene incarcerato e passa il resto della sua
vita in isolamento, dove continua a lottare per domare le voci
malvagie nella sua testa.
Il senso della storia
di Dusty in The Midnight
Club
La storia di
Dusty è il riflesso della vita reale del suo narratore.
Nel racconto, Dusty non può fare a meno di seguire gli
ordini omicida della madre. In The Midnight Club,
Kevin (interpretato da Igby Rigney di
Midnight Mass) non riesce a sottrarsi dall’ombra
della perfetta immagine che i suoi genitori hanno di lui. Ogni
volta che i genitori di Kevin vanno a trovarlo, parlano
solo di quanto fosse bravo a scuola. Kevin, come
Dusty, vuole liberarsi dalle aspettative dei suoi
genitori, ma fatica a farlo. I terribili omicidi di Dusty
riflettono il peso del ricordo della vita che Kevin
conduceva prima di entrare nell’ospizio. Kevin vorrebbe
chiudere le sue relazioni passate e ricominciare da capo – vuole
rompere con la sua ragazza e lasciare la sua vecchia scuola – ma
non riesce a trovare le parole giuste per farlo. I fantasmi delle
vittime di Dusty in The Midnight Club
alludono a tutte i rapporti che Kevin lascia in sospeso
per paura di ferire i suoi cari.
Alla fine,
Kevin sceglie di lasciare la sua ragazza, non senza sensi
di colpa. Kevin si punisce, proprio come fa Dusty
nel finale della sua storia: invece di darsi una seconda
possibilità con Sheila, l’assassino sceglie una vita di
sacrifici e di isolamento. Fortunatamente, la storia di
Kevin ha una piccola svolta poositiva nel finale di
The Midnight Club. Ilonka aiuta
Kevin a capire che può capitare di ferire le persone che
si amano, ma questo non è un motivo per vivere senza affetti.
The Midnight Club si conclude con un augurio:
anche se Kevin e Dusty si sono fatti sopraffare
dalla colpa e dagli errori del loro passato, tutti meritano un
nuovo inizio.
La
serie NetflixL’imperatriceracconta in 6 episodi la
storia dei primi anni di vita dell’imperatriceElisabetta d’Austria.
Tutticonoscono
Elisabeth per il celebre adattamento
cinematografico: la trilogia di Sissi
degli
anni Cinquanta con protagonista l’affascinante Romy Schneider.
Settant’anni dopo,
L’imperatrice fornisce una nuova interpretazione
della drammatica storia d’amore tra
Elisabeth e Franz. La prima (e per ora
unica) stagione della serie è incentrata sul
fatidico incontro tra la giovane duchessa bavarese
Elisabetta (Devrim Lingnau) e l’imperatore austriaco
Francesco Giuseppe I (Philip Froissant). Come spesso
accade con i drammi storici, L’imperatrice mescola fatti
storici e fiction.
L’obiettivo non è
quello di fornire la massima accuratezza storica, ma
piuttosto quello di narrare una storia
d’amore avvincente che possa affascinareil pubblico. Tuttavia, la curiosità
rimane: chi era davveroElisabetta e quali lotte ha dovuto affrontare per diventare la leggendaria imperatrice
d’Austria?
Realtà e
finzione
La duchessa Elisabetta Amalia Eugenia di
Wittelsbach era la terzogenita e la seconda figlia femmina del
duca Massimiliano Giuseppe di Baviera e di sua moglie
Ludovica. Anche al tempo era nota come Sissi ed era
una ragazza affascinante e la libertina che viveva con la sua
famiglia nel castello di Possenhofen. Come ogni giovane del
tempo, Sissi sognava la felicità e il vero amore. Nel
frattempo, alla corte viennese Sofia, la madre autoritaria
di Francesco Giuseppe (Melika
Foroutan) creava alleanze per trovare in fretta una moglie
per il monarca 22enne. La premura era stata scatenata da un
tentativo di assassinio a spese di Francesco (il 18 febbraio
1853), fatto che avrebbe potuto lasciare l’Austria senza un erede
maschio.
In realtà la duchessa bavarese non era stata la
prima scelta di Sofia. Il giovane imperatore Francesco
Giuseppe era piuttosto schizzinoso: disprezzava sia la
principessa Anna di Prussia che la principessa Sidonia di
Sassonia. Alla fine, la decisione era ricaduta sulla figlia
della duchessa Ludovica di Baviera, Helena (Elisa
Schlott). Francesco, impaziente di vedere la sua
promessa sposa, si era messo in viaggio verso Bad Ischl, la piccola
città austriaca in cui erano attese la duchessa Ludovica e
la figlia. Tuttavia, nel viaggio il giovane imperatore rimane
rapito dalla figlia quindicenne della zia, Elisabetta
appunto.
La serie Netflix è fedele ai fatti
storici?
L’imperatriceè
fedele alla realtà solo in una certa misura. Sicuramene, quello a
Bad Ischl non è stato il primo incontro tra Francesco
e i suoi cugini. In realtà, Elisabetta e Francesco
Giuseppe fanno conoscenza nel giugno 1848, quando la duchessa
Ludovica va a far visita a Innsbruck alla sorella
Sofia. All’epoca, Elisabettaera sicuramente troppo
giovane per suscitare l’interesse del futuro imperatore, troppo
impegnato ad occuparsi di eventi rivoluzionari che minacciavano di
far crollare la monarchia. Inoltre, L’imperatrice mostra una
versione romanzata dell’incontro. L’audace mossa dei “due balli di
fila” di Francesco Giuseppe (segno rivelatore di un
imminente fidanzamento), non è stata un’iniziativa spontanea, ma
nasce dal piano di Sofia. La proposta di fidanzamento
ufficiale viene fatta in modo molto più formale dall’arciduchessa
Sofia, che organizza con la sorella l’accordo tra le
famiglie per far sposare Elisabetta e Francesco
Giuseppe.
Poco dopo il matrimonio, Elisabetta
scopre che la favola d’amore è solo un’illusione. Fin dai primi
giorni, la giovane imperatrice si sente costretta in una trappola
per topi. L’etichetta rigorosa e gli ordini del tribunale soffocano
lo spirito libero di Sissi. Per non parlare delle pressioni
della suocera, che controlla costantemente la sua condotta. Seppur
romanzati nella serie, gli scontri tra Elisabetta,
l’arciduchessa Sofia e il fratello di suo marito
(Johannes Nussbaum) – entrambi desiderosi di prendere il
trono imperiale – hanno un fondamento reale: Sissi ne parla
anche nei suoi diari.
Un altro personaggio di spicco ne
L’imperatrice è infatti il fratello minore di Francesco
Giuseppe, l’arciduca FerdinandoMassimiliano
d’Asburgo. Anche se non ci sono prove dirette delle intenzioni
di Massimiliano di rovesciare Francesco Giuseppe, il
fatto che il minore appoggiasse le idee liberali e più progressiste
costituiva una minaccia dormiente per il maggiore.
La tragedia
de L’imperatrice è appena iniziata
Il drammatico
finale della prima stagione de
L’imperatrice lascia il pubblico
con il fiato sospeso: Elisabetta, dopo una discussione con
il marito e la suocera, è pronta a tornare a casa in
Baviera ma scopre di essere incinta. Nella serie, il rapporto tra Elisabetta e la
suocera Sofia peggiora in modo vorticoso. Sofia
controlla ossessivamente l’imperatrice perché crede che la giovane
donna non abbia ottenuto un’educazione adeguata. Nelle biografie che descrivono la vita di
Elisabetta, Sofia è spesso ritratta come un
tiranno assetato di potere che sottomette spietatamente la nuora
contro la sua volontà. Probabilmente,
la realtà è un po’ meno estrema. Sofia era
sicuramente una donna ambiziosa pronta a porre i doveri reali al di
sopra di ogni altra cosa. Elisabetta, al contrario, tendeva a trascurare i
suoi doveri reali e ufficiosi, conducendo uno stile di vita
appartato e stravagante.
Infatti, dal 1860 in poi,
l’imperatrice trascorre il suo tempo viaggiando e vede raramente il
marito e i suoi figli. Anche se
Francesco Giuseppe non limita le peregrinazioni della
moglie, il comportamento di Sissi viene ampiamente
condannato dalla nobiltà austriaca. Nel 1857,
durante uno dei viaggi in Ungheria, la figlia Sissi
muore per un’infezione. La morte della
bambina scuote così tanto Sissi che la donna delega
completamente l’educazione dei suoi figli più grandi
(Gisella e Rodolfo)
alla suocera. Anche per questo motivo,
il rapporto tra l’erede Rodolfo e la madre non è
particolarmente affettuoso. Tuttavia, quando il trentenne si toglie
la vita nel 1889, Elisabetta rimane così scossa che decide
di vestire a lutto per il resto della sua vita.
La morte de L’imperatrice
L’imperatriceElisabetta subisce una
tragica morte: nel 1898 viene assassinata a Ginevra dall’anarchico
italiano Luigi Lucheni. Nonostante la situazione
politica, Elisabeth non ha mai posto troppa attenzione
alla propria sicurezza personale, rifiutando persino di essere
protetta durante i suoi viaggi. Dopo la morte dell’amata moglie,
l’imperatore Francesco Giuseppe non ha emesso parola per
diversi mesi. Il sovrano ha conservato un ritratto di
Elizabeth nel suo studio fino alla fine della sua vita, in
segno dell’amore che li ha legati fin dal loro ‘’primo incontro’’ a
Bad Ischl. La loro potente storia d’amore ha cambiato la storia
dell’Europa, dando vita alla cascata di eventi che, alla fine, ha
portato all’inizio della Grande Guerra.
L’imperatriceElisabetta era per molti
aspetti una figura controversa. Tuttavia, è stata una donna
eccezionale che, anche dopo 150 anni, intriga e affascina
l’immaginazione delle nuove generazioni.
Halloween Ends
arriva nelle sale cinematografiche 44 anni dopo il
primo film di John Carpenter del 1978 e si presenta come il 13°
film di una delle saghe horror più longeve in assoluto. La nuova
trilogia a cura di David Gordon Green, iniziata
nel 2018, è stata concepita come una diretta continuazione della
prima, ovviando a tutti i remake che ci sono stati proposti nel
corso degli anni e convogliado l’attenzione del pubblico sul
ritorno del personaggio di Laurie Strode
interpretato nuovamente dall’impavida e magnetica Jamie Lee Curtis.
Halloween Ends: la paranoia del
Male
Senza entrare nel territorio degli
spoiler, chi ha seguito la saga sa che Laurie è
stata affidata alla nipote Allyson dopo il
drammatico finale di Halloween Kills. Dopo aver vissuto come una
sorta di predatrice con l’unico scopo di uccidere Michael
Myers e il massacro che ne è seguito, Laurie opta per una
vita più tranquilla, cercando di ricostruire gradualmente la sua
vita. Nonostante siano passati quattro anni in cui non si sa nulla
di lei, la paranoia sembra essersi insediata a Haddonfield, dove la
paura suscitata dal brutale serial killer continua a mietere
vittime.
Halloween Ends
inizia con una sequenza promettente, organizzata addirittura
secondo quella che era la tipica tecnica di ripresa degli oggetti
di scena hitchockciani. A Haddonfield, nella notte di Halloween del
2019, Corey Cunningham (Rohan
Campbell), personaggio centrale di questo terzo film,
viene scelto come babysitter di un ragazzino dispettoso di nome
Jeremy. Quando questi viene accusato di aver
ucciso il piccolo Jeremy, si scatena un’ondata di violenza e
terrore che costringerà Laurie a confrontarsi per l’ultima volta
con il male che ha reso la sua vita un inferno.
È uno strano incidente.
Corey non ha fatto nulla di male. Ma, anche se è
stato assolto dall’accusa di omicidio colposo, rimane emarginato
dalla comunità di Haddonfield, che inizia a designarlo come il
“babysitter sensitivo” che ha ucciso un bambino. Non sarebbe
l’unica persona nella saga ad essere accusata di cose che non ha
fatto. Si potrebbe pensare che Laurie Strode, a
questo punto, sia una sorta di eroina locale, ma no. La gente ora
la ritiene responsabile dell’attentato a un bambino. La gente ora
la ritiene responsabile della catena di eventi nefasti che ha avuto
inizio con Michael Myers.
Personaggi persi in un vicolo
cieco
Dall’interminabile body
count di Halloween Kills, si passa in questo terzo e
ultimo capitolo a una sorta di simulazione dell’intenzione seminale
di John Carpenter di trasformare la sua saga
originale di Halloween in capitoli autoconclusivi con il
fallimentare Halloween III: Day of the Witch
(1982). Volontà che è presente, appunto, in Halloween
Ends, dove ci viene presentato lo scontro finale tra
Laurie e Michael Myers, ma anche
la genesi di un nuovo criminale, diretta conseguenza del
precedente. È qui, soprattutto in questa nascita di una nuova forma
del male che risiede il “concetto alto” che Gordon
Green ha voluto venderci con la sua trilogia: un’indagine
su come il Male, la paura, si muova come un virus nell’America
contemporanea ma abbia anche bisogno di una radice interiore o di
una predisposizione per il suo sviluppo.
Per un po’, il film è all’altezza
della sua promessa. Se non ci troviamo esattamente in un terreno di
malvagità fuori dagli schemi, Halloween Ends è
almeno – in netto contrasto con i suoi predecessori – incentrato
sui personaggi, relativamente privo di sangue e meno ammaccatto
dall’umorismo pervasivo e spesso incongruo che il co-sceneggiatore
Danny McBride ha impresso alla serie.
In Halloween Ends,
Green gioca con un’idea a cui la serie ha
accennato nel corso dei due precedenti film: che Michael non sia un
semplice mortale, ma piuttosto una forza soprannaturale,
l’incarnazione fisica del male puro e incancellabile. Ognuno di noi
è suscettibile al virus di Michael Myers: bastano
umiliazioni, insulti e rifiuti per accendere la miccia della nostra
predisposizione interiore alla violenza. Ma dato che, come abbiamo
detto, l’attrazione principale del film è il duello
Myers/Strode, è sorprendente che gran parte dello
sviluppo del film non sia dedicato a loro, personaggi centrali del
film, ma ad altri comprimari che vengono presentati come eredi
della malvagità del villain, senza mai realmente incrociarsi: in
poche parole, troppe deviazioni per raggiungere un vicolo
cieco.
Un altro dei temi più importanti
degli spin-off di questa nuova trilogia è stato il trattamento e
l’evoluzione di Laurie Strode, che deve fare i
conti con il suo rancore e la sua furia ma non abbassa mai la
guardia. È in questo episodio che la percepiamo più umana, più
bisognosa di voltare pagina e di intraprendere un nuovo cammino,
lasciandosi alle spalle le sue paure più intime, che le hanno fatto
sviluppare un sesto senso per percepire la presenza di Myers o la
sua influenza malevola.
Haddonfield – oggi
più che mai una brutta città industriale – diventa sfondo per la
storia di personaggi secondari in un film che si cristallizza tra
la narrazione seriale televisiva, che segue direttamente il dramma
dei sopravvissuti, e i bruschi sfalsamenti di un sequel horror anni
Ottanta, con nuovi volti che rimangono ben poco impressi.
Halloween Ends è davvero la resa
dei conti?
Questo capitolo finale, che si
chiude non con un botto, ma piuttosto con un piagnisteo, non è solo
superfluo e pieno di cliché, ma rappresenta anche ciò che si prova
quando si raschia il fondo di un barile che è stato arido e sterile
per decenni. A parte la trama francamente assurda,
Halloween Ends non è spaventoso e neanche
satirico: in assenza di una premessa coerente, David Gordon
Green e i suoi co-sceneggiatori ricorrono ai peggiori
tropi slasher e nulla più.
Il film impiega troppo tempo a
svelare una storia che vorrebbe portare a un’escalation, con solo
gli ultimi 20 minuti che entrano davvero nel vivo della questione.
In questo ultimo frangente, tutto è studiato su misura per ottenere
effetti piuttosto drastici ed esageratamente sanguinosi:
semplicemente, non ci sono abbastanza vittime che possano morire in
pochi minuti e la disinvoltura con cui vengono commessi gli omicidi
sembra spesso del tutto disumana. Passo dopo passo, il film si
trasforma in un groviglio di uccisioni gratuite e cinico fan
service, mentre si avvia verso l’inevitabile conclusione: la resa
dei conti corpo a corpo tra Laurie e
Michael, una distruzione corporea tanto
prevedibile quanto insoddisfacente.
Ma si tratta davvero dell’ultimo
scontro? Halloween Ends sembra quasi riconoscere
la natura condizionale della sua stessa fine in una delle sue
battute finali, pronunciata da Laurie: “Il male non muore,
cambia forma“. Finchè ci sarà da guadagnare, sembra che
Micheal Myers rimarrà sempre in agguato
nell’ombra.
Girato in più fasi a
partire dall’inizio del lockdown, La Cura di Francesco Patierno è presentato nella sezione in
concorso della Festa del Cinema di Roma, oggi che i giorni
più diffcili dell’emergenza pandemica possono sembrare un ricordo
lontano e ci si sta avviando verso una sorta di normalità.
D’altra parte, un evento
drammatico e inaspettato come la pandemia, che ci ha messo di
fronte a scenari impensabili, non poteva non finire sotto la lente
del cinema italiano. Nel caso di Patierno, con la rilettura del
romanzo La Peste di Albert Camus, che fin troppo bene si
adatta al recente passato.
La trama deLa
Cura
Napoli. Una troupe cinematografica gira un film tratto da La
Peste di Camus durante i giorni più difficili della pandemia da
Covid -19. Le vicende di attori e tecnici si intrecciano con quelle
dei personaggi del romanzo. Bernard, Francesco Di Leva, è un
medico, la cui moglie gravemente malata, lascia
Napoli per curarsi. Intanto, in città si hanno i primi segni
del diffondersi di un’epidemia. Mentre il medico, assieme al
collega Castel, Giancarlo Cosentino, cerca di convincere le
autorità ad avvertire la popolazione del pericolo, l’epidemia si
aggrava sempre più e si rende necessario chiudere la città,
affinchè il contagio si diffonda il meno possibile. Di fronte
all’emergenza, c’è chi, come Tarrou, Alessandro Preziosi, si
mette a disposizione per ospitare chi ne ha bisogno e organizza un
gruppo di volontari per aiutare ad affrontare la situazione. Tra
lui e Bernard nasce una profonda amicizia. Rambert, Francesco
Mandelli, invece, è un attore che vuole tornare nella sua città
e cerca di farlo con ogni mezzo. C’è chi nega la pericolosità del
virus, chi dice di star bene, mentre soffre i primi sintomi del
male, come l’infermiere Grand, Antonino Iuorio; c’è chi
considera il male un flagello di Dio mandato sulla terra per punire
gli uomini, come Padre Paneloux, Peppe Lanzetta. Ci sono
vittime innocenti di un male sconosciuto in una
Napoli deserta. Su tutte, la piccola figlia del prefetto,
Andrea Renzi. La sfida per Bernard e i suoi colleghi, è
trovare al più presto un farmaco efficace, una cura contro il
virus.
Tra realtà, finzione
e metacinema
La Cura può
risultare nella prima parte un po’ confuso, vista la labilità del
confine tra la vita degli attori durante le riprese e la
messinscena de La Peste, tra realtà, finzione e riflessione
sul cinema, su se e come farlo in quei momenti drammatici. C’è il
rischio che diventi un mix farraginoso e poco chiaro. Invece, man
mano si entra nel meccanismo del film, i piani si fondono, diventa
più immediato seguire la vicenda e immedesimarsi. Non occorre molto
perché lo spettatore torni con la mente alle proprie giornate di
lockdown, mentre vede le immagini scorrere sullo schermo, grazie
anche a un gruppo di appassionati interpreti, su cui spiccano
Alessandro Preziosi e Francesco Di Leva. Ecco,
allora, la rappresentazione delle divisioni all’interno della
società, dei vari punti di vista che si sono scontrati anche in
modo acceso. Qualcuno si crede immune dal contagio, altri si
chiedono se “ne usciremo migliori”. Una costruzione d’impronta
teatrale, non verbosa, ma piuttosto minimalista, per trasporre il
romanzo di Camus e calarlo nel presente.
Napoli protagonista ne
La Cura
La vera protagonista del
film, tuttavia, è la
Napoli deserta del lockdown. È la città partenopea a destare la
maggiore impressione nello spettatore. La scelta dell’ambientazione
non poteva essere più appropriata.
Napoli, sempre così viva, piena di allegria, di schiamazzi e di
un vociare di per sé simbolo di vitalità, è invece qui silenziosa e
vuota. Rappresenta così, all’ennesima potenza, quello che è
accaduto nelle città italiane in quei mesi. Colpiscono le sue
strade vuote, in cui si sente solo il suono delle ambulanze o un
grido disperato. Quelle atmosfere sono le più efficaci per
riportare lo spettatore indietro a momenti che sembrano lontani,
sebbene con la pandemia ancora si conviva.
Umanità empatica e
pudore rispettoso del dolore e della morte
Da apprezzare anche il
pudore, il tatto, con cui Patierno tratta la malattia e la
morte, senza indulgere in esse, senza spettacolarizzarle. Il che,
nell’era della spettacolarizzazione eccessiva è una dote rara.
L’occhio della macchina da presa resta a distanza, rispetta, ci si
muove in punta di piedi.
La Cura è
poi un film con molti abbracci, quelli che sono mancati in quei
giorni, entrando a far parte dei “gesti proibiti” a causa del
virus. È anche un film senza troppi dispositivi di protezione,
neanche in ospedale. Ciò risulta un po’ straniante per lo
spettatore, ma sembra che il regista abbia tenuto a non perdere
l’umanità, il contatto anche fisico nel suo racconto, come invece
lo si è perso nella realtà. In questo modo, egli pone l’accento
sull’empatia, sul senso di comunità e dà spazio alla speranza e
alla fiducia nell’uomo, nonostante tutto. Sebbene al regista non
interessi esprimere un giudizio sui punti di vista e i
comportamenti che mostra, il suo sguardo è particolarmente benevolo
verso chi fa, chi si spende, aiuta e si sporca le mani, proprio
come i due protagonisti.
La Cura è
una lettura lucida e garbata dei giorni bui del lockdown, ma non
per questo meno appassionata. Invita lo spettatore a salvaguardare
i legami umani, l’amicizia, la comprensione, la solidarietà, a
riscoprire il senso di comunità. È questo che ha aiutato, assieme
alla scienza e al lavoro dei medici, a superare i momenti più
difficili.
Un’operazione
encomiabile, che non a caso ha ottenuto il patrocinio del WWF,
quella di Brando Quilici (Il
mio amico Nanuk), che porta alla Festa del Cinema
di Roma il suo nuovo film. Presentato in anteprima ad Alice nella
Città – e distribuito in sala da Medusa Film dal 14 ottobre 2022,
anno della Tigre secondo il calendario cinese – Il ragazzo e
la tigre racconta una storia ricca d’avventura ed emozioni
interpretata anche da Claudia Gerini, presenza familiare in un
Nepal splendido e ammaliante, vero e proprio protagonista al pari
dell’attrice romana e del giovanissimo Sunny Pawar.
Il ragazzo e la
tigre – Due cuccioli in fuga
E’ lui il piccolo Balmani
di dodici anni, scappato dall’orfanotrofio per tornare nella sua
Kathmandu, che sulla strada si imbatte in un gruppo di bracconieri
riuscendo a salvare un cucciolo di tigre del Bengala, Mukti. La
strana coppia intraprende così un viaggio pericoloso e rivelatore
verso il monastero Taktsang, noto come Tana della Tigre, dove i due
dovrebbero finalmente essere al sicuro e sotto la protezione dei
monaci buddhisti himalayani. Sulle loro tracce, oltre a cacciatori
senza scrupoli e personaggi ambigui, anche la preoccupata Hannah
(Claudia Gerini), direttrice della struttura che ospitava il
bambino e in apprensione dopo la sua scomparsa
Amore e fratellanza, ma
anche tradimento e delusioni si alternano in questa piccola grande
Odissea, che il regista ha immaginato a partire dalla leggenda del
Guru Rimpoche, l’uomo santo per i Buddisti, che volò nel IX secolo
a cavallo di una tigre dal Tibet al Bhutan per fondare il monastero
citato nel film. Uno spunto al quale sono seguiti diversi viaggi
nel Nepal distrutto dal terremoto del 2015, nei quali Quilici ha
potuto documentarsi e approfondire molti degli elementi che oggi
irrobustiscono la sua ultima fatica.
Salvate la
tigre
Coerentemente con gli
obiettivi del programma del WWF “Save the tigers now”, il film
racconta dei maestosi felini (dei quali restano solo 3900
esemplari, in libertà) e lo fa nella speranza di sensibilizzare il
pubblico, soprattutto – ed espressamente – dei più giovani. Anche
se forse potrebbero essere i “giovanissimi” gli spettatori ideali
di una vicenda che mette insieme “le emozioni della fanciullezza e
della crescita” e i temi della “conservazione della fauna selvatica
e la scomparsa delle specie”.
Obiettivi senza dubbio
raggiunti, da un prodotto che però oltre al grande lavoro di
preparazione e al messaggio non sembra in grado di offrire una pari
qualità a livello narrativo. Non è sicuramente facile lavorare con
una fiera, e questo giustifica sicuramente le sequenze che le
vedono in scena, ma a essere ancora più forzate sono alcuni snodi e
caratterizzazioni – tanto tra i villain quanto tra i protagonisti –
un po’ troppo ‘per bambini’.
Un limite che il film
avrebbe potuto non porsi (ammesso che questo sia l’effetto di una
strategia produttiva), consentendosi di raggiungere un pubblico più
vario ed esigente di quello della sezione “dedicata alle giovani
generazioni”. Che insieme a una generale perdita di spontaneità,
delle premesse e uno sviluppo piuttosto canonici e una immagine
degli animali quasi da cartoon d’altri tempi, offre qualche
lezioncina di troppo, pur mostrando una interessante alternanza tra
i diversi piani rappresentati da una Gerini meno sopra le righe di
altre volte e dal piccolo ed espressivo Sunny.
Impossibile non pensare
al Due fratelli di Jean-Jacques
Annaud e non restare a bocca aperta davanti alle splendide
location scelte da Quilici, non a caso produttore e regista di
oltre 100 special per reti televisive di tutto il mondo, tra cui
National Geographic e Discovery Channel. Panorami difficili da
vedere, quelli della giungla del Chitwan (dove riprese sono state
possibili solo dall’alto degli elefanti, per non disturbare le
tigri) e di Kathmandu, fino alle vette più alte dell’Himalaya, che
fanno passare in secondo – o terzo – piano anche la fretta con cui
si arriva al rassicurante (e un po’ slegato) finale.
Tutto chiede
salvezza è la
nuova serie originale italiana targata
Netflix che si potrà vedere solo sulla piattaforma a partire
dal 14 ottobre. Diretta da Francesco Bruni e sviluppata su sette
puntate, è liberamente tratta dal romanzo omonimo di Daniele
Mencarelli, per il quale lo scrittore ha vinto il Premio Strega
Giovani nel 2020. Ne spiegano entrambi la genesi, insieme alla
maggior parte del cast, tra cui
Federico Cesari,
Fotinì Peluso, Ricky Memphis, Vincenzo Crea, Raffaella
Lebboroni, Andrea Pennacchi e Lorenzo
Renzi.
Tutto chiede
salvezza racconta del trattamento sanitario obbligatorio che
subisce improvvisamente il giovane Daniele (Cesari) e di tutto
quello che si svela da quel momento in avanti nella sua vita
interiore ed esteriore, dentro e fuori la struttura in cui è
ricoverato.
«Questa storia è
dramedy», introduce Bruni, «genere che ha sempre fatto parte della
mia personale cifra stilistica, per quanto nelle prime puntate ci
siano più drammi che risate. Penso comunque che il produttore
Roberto Sessa (per Picomedia n.d.r.) mi abbia chiamato proprio per
questo mio modo di raccontare anche gli aspetti pesanti della vita.
Ho cercato in ogni momento di non scadere nel pietismo e, se
inavvertitamente me ne avvicinavo, ritornavo subito alla commedia.
Volevo che tutto fosse il più realistico possibile». Il microfono
passa poi subito allo scrittore Mencarelli che dice come sia stato
vedere le proprie parole scritte trasformarsi in immagini:
«All’inizio ho provato un po’ di terrore, ma poi è prevalso il
senso di responsabilità. Nel fare intrattenimento qui viene
mostrato seriamente un mondo di grande sofferenza. Questo è quello
che penso debba fare la letteratura: entrare nei mondi e scavarci
dentro. A proposito, ringrazio Francesco Bruni per come ha saputo
rendere il mio romanzo!».
Tutto chiede salvezza, la conferenza
stampa
Interviene poi Federico
Cesari, che gioca il ruolo principale di Tutto chiede
salvezza, e descrive quello che ha significato calarsi in un
profilo così: comprensibile ma non certo facile da incarnare. E
nella sua riflessione viene toccata una questione molto profonda:
«Ho approcciato al mio personaggio prima attraverso il romanzo e
poi con la sceneggiatura, perciò avevo ben chiaro quale fosse il
percorso narrativo. Ma ho dovuto trovare un modo per far sì che
emergesse anche nella mia corporeità. La caratteristica principale
del protagonista, Daniele, è quella di essere molto empatico, con
una sensibilità particolarmente spiccata, che difficilmente si
trova in giro. Per me è stata una rivelazione “incontrarlo” e farne
la conoscenza, scoprire questo suo superpotere».
«E io aggiungo una
cosa», interviene Mencarelli, «per me la grande scommessa di questa
serie è mostrare che questo superpotere in realtà è molto più
diffuso di quel che si pensi. C’è un grande sommerso, un “non
detto”, rispetto alla vita, all’esistenza, alla sensibilità, che
ognuno di noi porta in seno e c’è chi, spesso in maniera
patologica, malata, lo tira fuori. E sono convinto che la serie
farà vedere alle persone che la linea di confine è in realtà
inesistente tra chi fa un TSO e chi ha i galloni della normalità.
Perché nel momento in cui un uomo mette a disposizione la propria
sensibilità si trova a rispecchiarsi e riconoscersi nell’altro. Il
grande elemento poetico di Tutto chiede salvezza è che
nessuno mente. Nessuno passa attraverso delle convenzioni. Non c’è
il mondo borghese che giochi a nascondere quel che è imbarazzante
sotto al tappeto. Qui ognuno è semplicemente portatore di una
verità che spesso è dolorosa ma altre volte è ironica e divertente.
È questo il superpotere che abbiamo tutti, dobbiamo solo
ricordarcelo un po’ di più. Tanti uomini di potere non hanno mai
avviato un dialogo col loro mondo interiore. La serie mostra
semplicemente questo: affrontare insieme quel mondo interiore
conviene, perché da soli pesa troppo e schiaccia.
Diceva Ennio Flaiano che
la storia non insegna niente, quindi ogni periodo storico è buono
per fermarsi a riflettere. Dai quattordici anni in poi ho avuto la
fortuna d’incontrare la lingua che fa dei grandi temi della vita il
suo canto, che è la poesia. Ed è stata il mio supporto». Conclude,
infine, Francesco Bruni spiegando che Tutto chiede salvezza
è nettamente il naturale compimento del suo percorso registico
iniziato nel 2011 con Scialla! (Stai sereno) e sei anni dopo
con Tutto quello che vuoi, in quanto ogni tematica
affrontata attraverso l’uso dell’ironia, qui viene spalancata e
approfondita fino in fondo. Senza sconti.
La figura del ladro professionista
ha sempre avuto un certo fascino al cinema, specialmente nel
momento in cui assume i connotati di un antieroe per cui poter fare
il tifo. Celebre esempio di questo filone è il film Poter assoluto, di
Clint Eastwood,
ma più recentemente anche il premio Oscar Morgan
Freeman si è cimentato con un ruolo simile. Nel 2009
questi è infatti stato protagonista del film The
Code, diretto dalla regista Mimi
Leder, già nota per film adrenalinici come The Peacemaker e
Deep Impact. La vicenda
stavolta si svolge dunque nel mondo della criminalità, con
personaggi coinvolti in intrighi più grandi di loro, dai quali sarà
difficile uscire vivi.
Puro thriller d’azione, il film è
ancora oggi sconosciuto a molti dei fan del genere. Ciò è motivato
anche dal fatto che questo non ebbe modo di uscire in sala, venendo
invece distribuito direttamente per il mercato home video. A causa
di ciò le possibilità di popolarità sono decisamente state
inferiori, ma negli anni The Code è ugualmente riuscito a
conquistare una sua fetta di pubblico, attratto in particolare
dalla presenza di alcuni attori di fama internazionale. Oltre a
loro, è però possibile ritrovare un film dall’intrigante intreccio,
capace di costruire una tensione che porta direttamente con il
fiato sospeso sino alla risoluzione finale.
Si tratta dunque di un’opera da
riscoprire, che presenta una serie di caratteristiche che non
lasceranno indifferenti gli amanti del genere. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
The Code: la trama del
film
Protagonista del film è
Keith Ripley, ladro particolarmente esperto e
determinato, il quale vanta una lunga carriera alle spalle con
furti di grande valore. Anche lui deve però arrendersi all’avanzare
dell’età, trovando tuttavia ben poca comprensione nella mafia russa
e nel suo vecchio socio Viktor. Prima di lasciare
Keith alla sua pensione, il criminale vuole infatti commissionargli
un ultimo lavoro, da svolgere nel modo più delicato e possibile,
senza possibilità di fallire. Consapevole delle sue limitate
abilità, Keith decide di affidarsi al giovane
Gabriel, ladruncolo dalle capacità inespresse
incontrato in metropolitana. Per entrambi il colpo può
rappresentare una svolta nella loro vita, ma si tratterà anche del
più complesso mai fatto.
I due ladri devono infatti
introdursi in uno dei caveau più inaccessibili sulla faccia della
terra e rubare due uova Fabergé dal valore inestimabile. Ad
accompagnare i due uomini nella loro missione ci sarà anche la
bella Alexandra Korolenko, figlioccia adottiva di
Keith, la quale ben presto intreccerà una relazione molto
pericolosa con Gabriel. Il loro rapporto, infatti, rischierà di
compromettere il colpo, che non ammette errori. Studiando
attentamente il modo più sicuro per procedere, i tre ladri si
troveranno a dover mettere da parte ogni coinvolgimento esterno, ma
con l’aumentare della pressione sarà sempre più complesso non
cedere alle tentazioni.
The Code: il cast del film
Come anticipato, ad interpretare il
ruolo del ladro Keith Ripley vi è l’attore premio Oscar Morgan Freeman.
Questi, affascinato dalla possibilità di interpretare un
personaggio sfaccettato, si è subito dichiarato interessato al
progetto. Il suo coinvolgimento ha permesso la realizzazione del
film, e la performance di Freeman è poi stata lodata come
particolarmente credibile. Accanto a lui, nei panni di Gabriel, vi
è l’attore spagnolo Antonio Banderas. Per
calarsi nei panni del personaggio, questi ha raccontato di aver
approfondito le principali tecniche per i furti, avendo così modo
di poter risultare più realistico al momento di mostrare le sue
abilità.
Nel film sono poi presenti diversi
altri noti attori, a partire da Radha Mitchell.
Divenuta famosa per film come Neverland – Un sogno per la
vita e Melinda eMelinda, questa
interpreta qui il personaggio di Alexandra Korolenko, la figlioccia
di Keith. L’attore Robert Forster, celebre per
Jackie Brown, è invece presente nei panni del Tenente
Weber. Nei panni del criminale russo Viktor vi è invece l’attore,
poeta e musicista croato Rade Šerbedžija. Infine,
prima di diventare celebre grazie a film come Inception e
The Revenant, l’attore
Tom Hardy ha recitato
in The Code con il ruolo di Michaels.
The Code: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
The Code grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Rai Play e Now TV. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
venerdì 14 ottobre alle ore 21:10
sul canale Rai Movie.
Si è spento Robbie
Coltrane, celebre attore scozzese, famoso per aver
interpretato Rubeus Hagrid nei film di Harry
Potter, si è spento all’età di 72 anni.
A confermare la notizia l’Hollywood Reporter
tramite gli agenti dell’attore: Coltrane, malato da circa due anni,
si è spento in un ospedale vicino casa sua a Larbert, in
Scozia.
Lo avevamo visto l’ultima volta
nello speciale per i 20 anni di Harry Potter. In quell’occasione
aveva rilasciato una dichiarazione in cui con parole semplici e
dirette ha consegnato al mondo l’eredità di Hagrid.
“La generazione dei miei figli
mostrerà i film di Harry Potter ai loro figli, e così ancora, anche
tra 50 anni. Io non ci sarò, purtroppo, ma Hagrid sì. Hagrid
sì.”
Il Signore degli
Anelli: Gli Anelli del Potere 1×08 chiude la prima
stagione della titanica serie Amazon Prime Video con rivelazioni e svolte,
senza regalare grandi sorprese ma mirando a quel punto preciso di
un immaginario petto dell’audience che, arrivata a questo punto,
dovrebbe avere a cuore le sorti dei personaggi.
I finali di stagione
sono sempre molto complicati, perché se da una parte devono
chiudere un arco narrativo e dare soddisfazione allo spettatore,
devono anche trovare il giusto equilibrio con ciò che rimane da
raccontare e creare la strada per il ciclo successivo, in modo tale
che possa comunque suscitare l’interesse del pubblico. Quello che
realizza Alloyed (titolo indicativo, in italiano,
L’Amalgama) è un perfetto equilibrio tra le due strade,
giacché proprio nel bilanciamento degli ingredienti si trova il
cuore di questo episodio di congedo.
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere 1×08,
due location
Le vicende che
coinvolgono i protagonisti sono tutte legate a punti di svolta e
identità rivelate, per cui, in questa recensione de Il Signore
degli Anelli: Gli Anelli del Potere 1×08 ci si limiterà a dire
che il terreno di gioco scelto dagli showrunner per quest’ultima
(per il momento) ora nella Terra di Mezzo è diviso tra le stanze
elfiche dell’Eregion, nella bottega di Celebrimbor, e le colline
attraversate dai Pelopiede nelle loro migrazioni verso territori
non ostili a creature miti e indifese, quali sono gli antenati
degli Hobbit.
In questi due setting, seguiamo le
vicende delle specie che rappresentano a tutti gli effetti il grado
più alto e quello più basso della scala di valori tolkieniana, dove
alto e basso non hanno accezione negativa o positiva ma si
riferiscono alla distanza tra ciò che è terreno e concreto e ciò
che è nobile e divino. Da una parte ci sono gli elfi: creature che
vivono per sempre e che per questo hanno una percezione del tempo
dilatata e vedono il futuro, impegnandosi a proteggere i figli e le
terre di Arda sulla lunga distanza. Dall’altra i Pelopiede: quelli
che sono a tutti gli effetti antenati di Frodo, Sam, Merry e Pipino
sono creature semplici, ancorate alla terra, ancora di più in
questa loro versione “primitiva”, dal momento che si spostano con
il mutare delle stagioni, assecondando la natura e vivendo una vita
semplice in comunità, con la granitica convinzione che nulla può
essere affrontato o avere senso se non si è in gruppo, in
famiglia.
L’Amalgama perfetta tra valori alti e bassi di Tolkien
I nobili e eroici elfi e
i calorosi e terreni hobbit, quindi, entrambi testimoni di
manifestazioni che cambieranno per sempre gli ordini della Terra di
Mezzo. Ed è interessante il lavoro speculare, rispetto alle
rivelazioni a cui si è accennato, che si è fatto in fase di
sceneggiatura, dal momento che quella che chiude a tutti gli
effetti un momento importante della macro-storia che vedremo
raccontata su Prime Video, apre anche l’inizio dei giochi per la
Terra di Mezzo, mettendo sul campo i principali giocatori di questa
grande partita.
Senza però guardare
troppo al futuro e alle rivelazioni più o meno inaspettate che ci
regala questo finale di stagione, possiamo con buona ragione dire
che con Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere 1×08
gli spettatori sono testimoni della leggenda che si fa storia
raccontata, mostrata a schermo e riscoperta. Non è certo un segreto
che il finale di stagione mirava a mostrarci la forgiatura degli
anelli elfici, e questo accade nella forgia di Celebrimbor, il
mastro fabbro dell’Eregion, questo accade davanti agli occhi di
Galadriel e Elrond, i quali, si sa, diventeranno due dei tre
Portatori, testimoni dell’alba di un’era, quella degli Anelli, che
vedrà il mondo trasformarsi.
Un’eco distante e distinto de Le
Due Torri
Dopo l’emozionante
dittico formato da Udun e
The Eye, che porta la firma di Charlotte
Brändström, torna al timone de Gli Anelli del
PotereWayne Yip, che, proprio come nel
titolo della puntata, amalgama tutti gli elementi fondamentali di
questa prima stagione per un finale che non insiste sullo
spettacolo, ma guarda al dettaglio, al piccolo, alle conseguenze,
soprattutto guarda al cuore del pubblico. C’è una deferenza
spiccata nei confronti del lavoro su Tolkien fatto da Peter
Jackson, non solo nella scrittura di alcuni personaggi e
addirittura di alcune battute, ma nel tono che acquista la storia,
e l’ultima parte dell’episodio: c’è la salda speranza in due
viandanti con una missione, c’è la scintilla che nasce da un’opera
di collaborazione/una vittoria, c’è l’incertezza che striscia verso
i piedi del Monte Fato che ancora non si chiama così, c’è l’eco
fortissima del finale incerto e insidioso de Le Due
Torri, con tanto di brano sui titoli di coda che ricorda
quell’inquietante e affascinante Gollum’s Song, all’epoca
cantata da Emiliana Torrini. Musicalmente, il
brano di chiusura di Alloyed rievoca quella canzone in maniera
spudorata, ma il testo è ancora più noto, da brividi ai polsi.
Perché se è vero che
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere costeggia da
lontano molti dei fatti raccontati da Tolkien, omaggia i luoghi, i
personaggio, lo spirito epico e d’avventura che oltre la filologia
spicciola tiene conto della memoria emotiva.
Ancora una volta, il
mondo di Tolkien parla agli spettatori attraverso uno schermo, e di
nuovo lo fa con parole semplici quali amicizia, sacrificio,
scoperta, parole che ci avvicinano alla piccola Nori, ai suoi occhi
grandi, al suo cuore puro, ancora più grande e affamato di
avventura. Perché è quello il punto di vista privilegiato per avere
l’esperienza più completa della Terra di Mezzo, così come era
quella la prospettiva di Tolkien (che si definiva lui stesso un
Hobbit) sul suo creato.
Non è un segreto che il prossimo
film di Black
Adam presenterà vari cameo di altri personaggi
DC. Grazie a un nuovo scatto dietro le quinte, ora sappiamo che uno
di quelli sarà qualcuno che proviene dalla serie HBO
Peacemaker.
In una nuova ripresa del dietro le
quinte del film in uscita, Jennifer Holland, che
interpreta l’agente ARGUS Emilia Harcourt in Peacemaker,
può essere vista in piedi accanto a Hawkman di
Aldis Hodge e Doctor Fate di Pierce Brosnan. Proprio quello che sta
facendo nel film è sconosciuto al momento, ma per fortuna i fan non
dovranno aspettare troppo a lungo per capirlo. Di seguito la
foto:
Il cast completo
di Black
Adam, oltre a Dwayne
Johnson nei panni dell’anti-eroe del titolo,
annovera anche Noah
Centineo (Atom Smasher), Quintessa
Swindell (Cyclone), Aldis
Hodge (Hawkman) e Pierce
Brosnan (Doctor Fate). Insieme a loro ci saranno
anche Sarah Shahi, che interpreterà Isis,
e Marwan Kenzari, che sarà invece
l’antagonista principale (anche se il personaggio non è stato
ancora svelato).
Black
Adam, che sarà diretto da Jaume
Collet-Serra (già dietro Jungle
Cruise, sempre con Johnson), ha dovuto far fronte a non
pochi problemi durante il suo travagliatissimo sviluppo. Inoltre,
la pandemia di Coronavirus ha ulteriormente complicate le cose e
costretto la produzione del film all’ennesimo rinvio. L’uscita del
film nelle sale americane è fissata per il 29 luglio 2022. Black
Adam uscirà al cinema in Italia giovedì 21 ottobre 2022.
Il progetto originale della Warner
Bros. su Shazam!aveva
previsto l’epico scontro tra il supereroe e la sua
nemesi, Black
Adam appunto, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura
per dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla
sua origin story. A quanto pare, il film
su Black
Adam dovrebbe ispirarsi ai lavori di Geoff Johns dei
primi anni duemila.
L’acclamato regista
John Carpenter ha lanciato ancora una volta il suo
grido per un film sui videogiochi, dicendo che gli piacerebbe
dirigere un adattamento di Dead
Space. In una recente
intervista con The
AV Club, Carpenter è rimasto scioccato nello
scoprire che una serie basata su The
Last of Usstava uscendo e gli è stato
chiesto se avesse mai pensato di adattare un gioco o qualcosa di
quel genere. Carpenter ha detto che ce n’è solo uno che potrebbe
pensare di provare a fare, ovvero:Dead
Space .
“L’unico che mi viene in
mente, e l’ho menzionato prima, è Dead
Space . Sarebbe davvero un grande
film. Potrei farlo.” ha ammesso John
Carpenter. Gli è stato anche chiesto quale dei giochi
fosse il suo preferito, a lui ha risposto “qualcuno di loro”,
inclusa la terza e ultima partita. “Mi piace anche l’ultimo, quello
d’azione che non piaceva a nessun altro”, ha detto
Carpenter.
Questa non è la prima volta che
Carpenter parla di voler adattare Dead Space
in un film. Quasi un intero decennio fa, nel 2013, aveva anche
accennato al fatto che il gioco sarebbe potuto essere un
grande film, dicendo alla rivista Game Informer “Sostengo
che Dead Space sarebbe solo un grande film
perché hai queste persone che arrivano in un luogo abbandonato e
chiuso. – giù l’astronave e devono avviarla e qualcosa è a
bordo. È solo roba fantastica”.
Anche se non è chiaro se
Carpenter avrà mai la possibilità di dirigere un adattamento
di Dead Space,
presto del gioco potrà giocherà una versione aggiornata. Il remake
di Dead Spaceverrà
lanciato il 27 gennaio 2023 per PlayStation 5, Xbox Series X|S e
PC.
Il primo poster
dell’adattamento live-action de La
Sirenettadel 2023 è stato pubblicato su Twitter, offrendo ai fan uno
sguardo all’estetica del film. L’attrice protagonista che
interpreterà Ariel, Halle Bailey, ha utilizzato il suo account
Twitter per rivelare il nuovo poster, che mostra Ariel seduta su
una pietra sott’acqua e guardando malinconicamente verso la
superficie. Il poster include anche la data di uscita nelle sale
del film, il 26 maggio 2023.
La
Sirenettavedrà nel cast Halle
Bailey (nei panni di Ariel), Jonah
Hauer-King (nei panni del Principe
Eric), Javier
Bardem (in trattative per interpretare Re
Tritone), Melissa
McCarthy (nei panni di Ursula, la perfida strega
del mare), Daveed
Diggs (Sebastian), Jacob Tremblay (Flounder) e Awkwafina (Scuttle).
Questa versione del classico sarà diretta dal regista
di Il Ritorno di Mary
Poppins e Into The
Woods,Rob Marshall, e includerà sia
i brani dell’originale d’animazione del 1989, sia canzoni inedite a
cui lavoreranno Alan
Menken e Lin-Manuel Miranda. Il
film arriverà il 26 maggio 2023 al cinema.
Shazam!ci ha presentato un gruppo
di ragazzi adottivi che, grazie a Billy Batson e al Mago, hanno
acquisito incredibili poteri magici. Pronunciando la parola
“Shazam!” si trasformano in supereroi adulti ma mantengono la
loro personalità giovanile, facendo sentire la famiglia Shazam
diversa da qualsiasi altra squadra di eroi. Nel film del
2019, Michelle Borth ha interpretato la Mary Marvel adulta, qualcosa che molti
fan hanno sostenuto non avesse senso. Il personaggio è sempre stato
ritratto come se avesse la stessa età della sua controparte non
super, e Grace Caroline Currey sembrava
letteralmente perfetta per il ruolo che riprenderà anche in
Shazam!
Fury of the Gods.
Il prossimo sequel, Shazam! Fury
of the Gods vedrà Currey interpretare entrambi i
lati di Mary. In una recente intervista in occasione dell’uscita
del Blu-ray di Fall,
l’attrice ha rivelato com’è stato indossare un costume da supereroe
ed esplorare questo personaggio in un modo in cui il primo film non
le permetteva di farlo. “Oh, è un tale sogno! È davvero
speciale. Io e mio fratello adoriamo i fumetti e quando ho scoperto
per la prima volta il personaggio, Mary, era così stordito da
mostrarmi il fumetto e dire: ‘Oh amico, sei proprio come lei!
Questo ruolo è così pensato per.’ Anche con il casting, Rich
Delia me li ha mostrati e ha detto: “È pazzesco. Devi ottenere
questa parte”.
“Penso che interpretare la
sua forma da supereroe e la sua forma umana sia stato così
dolce”, continua l’attrice nel video qui
sopra. “Diventerò responsabile del cuore e dell’anima
di Mary in tutto il mondo, per non parlare del fatto che è davvero
divertente indossare l’abito da supereroe”. Alla Currey è
stato chiesto se avesse scoperto un lato completamente nuovo di
Mary e lei ha risposto: “Completamente! Inoltre, la
dinamica di lavorare con il ‘cast per bambini’ rispetto al ‘cast
per adulti’. È stato davvero divertente per me trovare
com’era”.“Tra le versioni per adulti dei
personaggi, sono l’unico che riesce a saltare tra i due, e vedere
le connessioni e le somiglianze è stato così divertente per me.
Solo vedere cosa ha fatto il nostro cast adulto con le parti più
giovani e viceversa . È stato davvero divertente essere la sorella
maggiore su tutta la linea e così divertente poter giocare con
tutti per tutto il tempo, rimbalzando avanti e indietro
[ride]”.
Shazam! Fury of the Gods, il
film
Shazam! Fury
of the Gods arriverà nelle sale il 17
marzo2023, e vedrà il ritorno di
Zachary Levi nei panni
dell’eroe del titolo. Nel cast è confermato anche il ritorno di
Asher Angel, mentre i villain saranno interpretati
dalle new entry Helen
Mirren,
Rachel ZeglereLucy
Liu. Mark Strong non
tornerà nei panni del Dottor Sivana, mentre Djimon Hounsou
sarà ancora una volta il Mago.
Spider-Gwen non ha ancora fatto il suo debutto
nell’MCU, ma ci
sono alcune attrici che sarebbero perfette per il ruolo. L’attore
Jacob Batalon ha parlato del possibile arrivo
di Spider-Man 4 e il pubblico ha subito iniziato ad
immaginarsi la versione live-action di una super-potenziata
Gwen Stacy. Dopo Spider-Man:
No Way Home e le aperture multiversali dell’MCU,
i fan si augurano di vedere Spider-Gwen in azione accanto
a Peter Parker di Tom
Holland.
Introdurre
Spider-Gwen nell’MCU potrebbe iniettare una
nuova scarica di energia nella serie di
Spider–Man. Se la storia d’amore tra
Peter e Gwen è stata per decenni un punto di
riferimento per i lettori dei fumetti, la storia a fumetti di
Spider-Gwen – dal debutto nel 2014 – è diventata
rapidamente popolare. Va detto che Spider-Gwen differisce
dall’umana Gwen Stacy. Nella trama originale, la morte di
Gwen Stacy è un punto di svolta nello sviluppo del
personaggio di Peter mentre nei fumetti di
Spider-Gwen la situazione è capovolta: Gwen è
l’eroina e la morte di Peter è cruciale per la sua
crescita.
Spider-Gwen è un personaggio moderno e d’impronta
femminista e merita un’attrice all’altezza del ruolo. Il
casting in questo caso sarebbe una sfida ancora più complessa del
lavoro fatto per creare la versione live-action di Gwen
Stacy (Bryce
Dallas Howard in Spider-Man 3, EmmaStone in The Amazing Spider-Man).Ecco chi sarebbe perfetta nel
ruolo di Spider-Gwen, se mai l’eroina dovesse fare la sua
apparizione live-action nell’MCU.
Milly
Alcock
L’MCU dovrebbe tenere in
considerazione Milly Alcock per il ruolo di
Spider-Gwen: la star di House of The Dragon presenta una somiglianza
incredibile con la Spider-Gwen dei fumetti e della serie
animata Spider-Man: Into the Spider-Verse. Inoltre, la
performance di Alcock nei panni della giovane
Rhaenrya
Targaryen dimostra che l’attrice sa interpretare
personaggi ribelli e potenti, proprio come la versione
super-potenziata di Gwen Stacy.
Anya Taylor-Joy
Dal suo debutto
nel lungometraggio The Witch, il potere di
Anya Taylor-Joy è costantemente aumentato. Il suo
talento, il suo aspetto particolare e la sua voce inconfondibile
hanno contribuito a renderla l’interprete ideale di film horror
come Split e Last Night in Soho. Il ruolo da
protagonista nella miniserie NetflixLa
regina degli scacchi le ha permesso di farsi notare a
livello globale e di guadagnarsi una prima nomination agli
Emmy. Si tratta di un’attrice più esperta e dallo spirito
più ribelle di Milly Alcock:
Taylor-Joy ha quello che serve per portare
Spider-Gwen nell’MCU. Infine, il casting
potrebbe essere una svolta rispetto alla parentesi fallimentare del
primo film di supereroi Marvel di
Anya Taylor-Joy, The New Mutants.
Joey King
Joey
King ha iniziato a recitare giovanissima in film come
Ramona e Beezus, Crazy Stupid Love e
Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Oggi
King è un’attrice affermata: si è fatta un nome
con il film NetflixThe Kissing Booth e,
recentemente, ha mostrato una propensione per ruoli più impegnati.
Visto il suo ruolo in film d’azione
come Bullet Train e The
Princess,King
potrebbe portare le sue abilità di combattimento
nell’MCU per
Spider-Gwen. In effetti, come abbiamo visto in
Spider-Man: No Way Home, ultimamente gli scontri
nell’MCU hanno assunto una
natura molto più fisica e brutale rispetto ai primi film.
Camila Mendes
L’MCU ha già dimostrato più
volte la volontà di essere più inclusivo, modificando in
live-action l’etnia di personaggi tradizionalmente bianchi: un caso
esemplare è MJ (Zendaya)
nella trilogia di Spider-Man. Allora perché non pensare a
Camila Mendes, la star di Riverdale, per il ruolo di
Spider-Gwen?. L’attrice ha dimostrato nella teen comedy di
NetflixDo Revenge di
poter ancora interpretare una liceale in modo credibile.Visti i
ruoli interpretati finora, Mendes saprebbe
adattarsi senza problemi al tono e all’umorismo
dell’MCU.Inoltre,
Mendes è nella stessa posizione in cui si trovava
Tom Holland quando è stato scelto come Peter
Parker: l’MCU può permettersi di
scommettere sul potenziale di un giovane talento.
Millie Bobby Brown
Nota per aver
interpretato Undici nella serie horror di
NetflixStranger Things e per i suoi ruoli in Enola
Holmes e Godzilla vs. Kong., Millie Bobby
Brown è probabilmente l’attrice più famosa di questa
lista. C’erano state alcune voci su un possibile casting di
Millie Bobby Brown per Eternals, ma forse è
Spider–Gwen il ruolo perfetto per far entrare la
giovane superstar nell’MCU.
Brown sta attualmente lavorando con i
FratelliRussosul film NetflixThe
Electric State, speriamo che la vicinanza a due nomi così
importanti per l’MCU possano creare un
collegamento tra l’attrice e Spider-Gwen.
Il Signore degli Anelli: Le Due Torriha
sbalordito tutti all’epoca dell’uscita quando ha presentato la
scena di battaglia di 40 minuti al fosso di Helm, ma trasformare
quella lunga sequenza in realtà è stato ancora più impegnativo di
quanto ci si potesse aspettare. Parlando
con The
Telegraph , il regista Peter
Jackson ha riflettuto sul tentativo di mettere insieme i
pezzi mentre trattava con il dirigente della New Line
CinemaBarrie Osbourne. Lo studio
stava tenendo d’occhio Jackson dopo che il budget della trilogia ha
iniziato a lievitare considerevolmente e la Battaglia per il Fosso
di Helm… beh, era piuttosto costoso.
Quindi, come ha fatto il regista a
mantenere la scena così come era stata concepita nonostante le
pressioni della New Line? Beh li ha ignorati.
“Era un periodo di tempo in cui la New Line era più
arrabbiata con noi in termini di
budget”, ricorda
Jackson. “Sono sul parapetto,
probabilmente con Viggo [Mortensen,
alias Aragorn], e vedo Barrie. Gli ci sono voluti circa 30 minuti
per sbuffare e sbuffare per arrivare in cima, quindi ho continuato
a girare”.
“Barrie arriva e
dice: ‘Ho lo studio, devo metterti in contatto con Michael Lynne
della New Line.’ Chiedo perché. Dice: ‘Oh, minaccerà di
denunciarti e venderà la società che sta sotto di te per coprire il
superamento dei costi.'”“Barrie era
solo il messaggero, ma è stato uno dei pochi momenti in cui ho
davvero sbroccato”, continua il
regista. “Ho detto: ‘Di’ a Michael Lynne
che sto girando questo fottuto film e sto facendo il miglior lavoro
possibile, e non interromperò la mia giornata per una telefonata
del genere.’ “
Alla fine, le cose hanno
funzionato per la trilogia di Jackson e Il
Signore degli Anelli, con un enorme
successo di critica, di pubblico e con tanti premi vinti dopo ogni
film. È interessante notare che questa scena è stata quella che ha
quasi rovinato Peter Jackson eil
budget, ma è anche una di quelle più citate e famose.
Si diceva il mese scorso che
l’annuncio fosse stato bloccato al D23 Expo, a causa del fatto che
Lucasfilm voleva mantenere l’attenzione sul suo canto del cigno
di
Indiana Jones , ma sembra
che, con questo ultimo aggiornamento, potremmo ottenere una
conferma più formale dalla Marvel Studios prima della fine di questo anno
solare.
Secondo Sneider, Ford farà il
suo debutto come Thunderbolt Ross in Captain America: New World
Order all’inizio del 2024, prima di
assumere un ruolo più importante in Thunderboltsdi quell’estate. Non si sa se vedremo il leggendario
attore candidato all’Oscar trasformarsi in Hulk rosso, ma di certo
non può essere fuori dal regno delle possibilità con altre
avventure insieme all’Hulk di Mark Ruffalo promesse dopo
l’entusiasmante generato daShe-Hulk.
Anthony Mackie, che ha interpretato il supereroe
Sam Wilson, alias il
Falcon, nel Marvel Cinematic Universe
dai tempi di Captain America: New World Order,
guida il film come nuovo Capitan America per la prima volta. Il
cast del quarto film di “Captain America” includerà anche
Shira Haas nei panni di Sabra e Tim Blake
Nelson nei panni di The Leader, oltre a Danny
Ramirez e Carl Lumbly, che sono apparsi
nella serie The Falcon and the Winter Soldier, nei panni di
Joaquin Torres e Isaiah Bradley, rispettivamente.
Lo sviluppo di Captain America
4 è stato annunciato il giorno del finale di The Falcon and the Winter Soldier, con il creatore
dello show Malcolm Spellman e lo sceneggiatore
Dalan Musson chiamati a firmare la sceneggiatura.
Nell’ambito del panel dello studio al Comic-Con di San Diego, a cui
era presente Screen Rant, la Marvel ha rivelato la data di
uscita del film: 3 maggio 2024, oltre al titolo ufficiale: Captain America: New World Order. A dirigere è
stato chiamato Julius Onah.
Jake Schreier
dirigerà Thunderbolts e
si baserà su una una sceneggiatura di Eric Pearson. Il cast
dell’ensemble è composto da Florence Pugh come Yelena Belova, Sebastian Stan come Bucky Barnes/Winter
Soldier, Wyatt Russell come John Walker/US Agent,
Olga Kurylenko come Antonia
Dreykov/Taskmaster, David Harbour come Alexei Shostakov/Red
Guardian, Hannah John-Kamen come Ava Starr/Ghost,
e Julia Louis-Dreyfus come Contessa Valentina
Allegra de Fontaine. Thunderbolts uscirà
nei cinema il 26 luglio 2024.
La star di Black AdamDwayne
Johnson non ha fatto esattamente un ottimo lavoro
nel mantenere segreta una delle più grandi rivelazioni del suo
film, quindi probabilmente non dovrebbe sorprendere che la sequenza
post-crediti del film sia trapelata online nella sua
interezza. Nonostante i tentativi di cancellarla da parte di
Warner Bros e New Line la scena si è diffusa a macchia d’olio su
Twitter e TikTok per tutto la notte e potrebbe essere difficile da
evitare prima del film uscirà finalmente nelle sale venerdì
prossimo, 21 ottobre.
Per quanto riguarda ciò che
contiene, Variety riporta
che la scena rivela infatti: ” Henry Cavill nei
panni di Superman, uscendo da un velo di fumo, affrontando il
Black
Adam di Johnson e dicendo: “È passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che qualcuno ha reso il mondo così
nervoso “. Ecco di seguito la scena presenta
ancora su youtube
https://www.youtube.com/shorts/7y0FlLybg8Y
Johnson ha espresso il suo
desiderio di riportare il Superman di Henry Cavill nel mix a un
ritmo piuttosto incessante durante il lungo tour stampa globale del
film ed è riuscito a generare un bel po’ di entusiasmo per
un’ipotetica resa dei conti cinematografica tra il suo
Black
Adam e il Uomo d’acciaio. Tuttavia, sembra che
realizzerà effettivamente il suo desiderio poiché Cavill è
apparentemente di nuovo in sella e pronto ad inaugurare una nuova
era della DC Films.
Il cast completo
di Black
Adam, oltre a Dwayne
Johnson nei panni dell’anti-eroe del titolo,
annovera anche Noah
Centineo (Atom Smasher), Quintessa
Swindell (Cyclone), Aldis
Hodge (Hawkman) e Pierce
Brosnan (Doctor Fate). Insieme a loro ci saranno
anche Sarah Shahi, che interpreterà Isis,
e Marwan Kenzari, che sarà invece
l’antagonista principale (anche se il personaggio non è stato
ancora svelato).
Black
Adam, che sarà diretto da Jaume
Collet-Serra (già dietro Jungle
Cruise, sempre con Johnson), ha dovuto far fronte a non
pochi problemi durante il suo travagliatissimo sviluppo. Inoltre,
la pandemia di Coronavirus ha ulteriormente complicate le cose e
costretto la produzione del film all’ennesimo rinvio. L’uscita del
film nelle sale americane è fissata per il 29 luglio 2022. Black
Adam uscirà al cinema in Italia giovedì 21 ottobre 2022.
Il progetto originale della Warner
Bros. su Shazam!aveva
previsto l’epico scontro tra il supereroe e la sua
nemesi, Black
Adam appunto, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura
per dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla
sua origin story. A quanto pare, il film
su Black
Adam dovrebbe ispirarsi ai lavori di Geoff Johns dei
primi anni duemila.
Autrice di alcune tra le più note e
apprezzate commedie sentimentali di Hollywood, la
sceneggiatrice e regista Nancy Meyers realizza nel
2006 uno dei suoi titoli più celebri: L’amore non va in
vacanza (qui la recensione). Al centro
della vicenda vi sono qui due donne stanche delle rispettive
routine, le quali accettano a scambiarsi le rispettive case per un
periodo di tempo. Una decisione, questa, che darà vita a risvolti
inaspettati e particolarmente graditi. Ancora una volta, dunque, la
regista torna a raccontare delle varie sfumature dell’amore, con
una commedia brillante ricca di humor e buoni sentimenti.
Girato tra le città di Los Angeles,
New York e nella contea di Surrey, in Inghilterra, il film è
ambientato durante il periodo natalizio, e ancora oggi è
considerato uno dei migliori film da guardare durante le festività.
Impreziosito da un cast di grandi attori, il titolo si è da subito
rivelato un grandissimo successo, arrivando a guadagnare circa 205
milioni di dollari a fronte di un budget di 85. Tale risultato ha
reso L’amore non va in vacanza una delle commedie di
maggior successo del suo anno, e ha dato inoltre vita al fenomeno
noto negli Stati Uniti come “home exchange“.
Prima di cimentarsi in una visione
di L’amore non va in vacanza, però, è certamente
consigliabile approfondire ulteriori dettagli circa la sua trama e
il cast di attori che lo compone. Proseguendo qui nella lettura
sarà inoltre possibile ritrovare alcune delle frasi più note e
belle del film, grazie alle quali si potrà avere un primo contatto
con quella che è l’atmosfera del film e il carattere dei suoi
personaggi. Infine, si elencheranno le principali piattaforme dove
sarà possibile ritrovare il film per una comoda visione in
streaming.
L’amore non va in vacanza:
la trama del film
Protagonista del film sono la
giornalista inglese Iris Simpkins e la montatrice
cinematografica statunitense Amanda Woods. Le due
donne, anche se divise dalla distanza geografica e dalle rispettive
diverse attività, hanno un significativo elemento in comune: sono
particolarmente sfortunate in amore. Iris, infatti, è ancora
innamorata del suo ex Jasper Bloom, il quale però
sembra ormai avere una nuova donna nella sua vita. Amanda, invece,
si ritrova a dover fare i conti con l’infedeltà del suo compagno.
Decisa ad allontanarsi da Los Angeles, questa si imbatte in un sito
di scambio di casa, dove ritrova Iris.
Dopo aver intrapreso un contatto, le
due acconsentiranno a scambiarsi le rispettive dimore. Così Iris si
ritrova in una lussuosa villa, mentre Amanda viene ospitata in una
rurale cittadina nel Surrey. Qui questa vive inizialmente una serie
di disagi, salvo poi incontrare Graham, il
fratello di Iris, per il quale inizierà a provare dei sentimenti
che la convinceranno a rimanere. A Los Angeles, invece, Iris
stringe amicizia con l’anziano Arthur Abbot,
finendo poi per essere corteggiata dal simpatico compositore
Miles. Entrambe le donne scopriranno ben presto
che se anche loro decidono di prendersi una vacanza, altrettanto
non farà l’amore, pronto a colpire nei momenti più inaspettati.
L’amore non va in vacanza:
il cast del film
Nello scrivere i quattro personaggi
principali del suo film, la Meyers ha da subito avuto in mente gli
attori a cui affidare questi, e che poi hanno puntualmente
accettato l’offerta. È così che l’affascinante Cameron
Diaz riveste i panni di Amanda, in quella che è stata
da lei definita come la prova fisica più complessa della sua
carriera. L’attrice, infatti, si è trovata a dover dar vita a
diverse sequenze in cui corre sui tacchi. Il ruolo di Iris è invece
interpretato dalla premio Oscar Kate
Winslet, la quale a sua volta ha raccontato di aver
gradito molto il set, nonostante l’iniziale paura di non essere
adatta alla parte affidatale. Ad interpretare suo fratello, Graham,
il quale intraprende una storia d’amore con Amanda è invece
Jude
Law, il quale dopo diversi ruoli in film di fantascienza e in costume fu
lieto di poter interpretare un personaggio contemporaneo.
A dar volto a Miles, il compositore
che stringerà una relazione con Iris, è invece Jack
Black. Noto per le sue commedie irriverenti, l’attore
era inizialmente scettico a recitare in un film romantico. Cambiò
tuttavia idea quando gli venne comunicato che avrebbe potuto
recitare al fianco della Winslet. Nel film è poi presente il
celebre attore Eli Wallach, noto in particolare
per Il buono, il brutto, il cattivo, che dà qui vita
all’anziano Arthur Abbott. Pur essendo ormai novantenne, l’attore
diede prova di grande energia durante le riprese. Rufus
Sewell è invece presente nei panni di Jasper, l’ex
fidanzato di Iris, mentre Shannyn
Sossamon è Maggie, l’iniziale ragazza di Miles. Nel
film è poi presente un cameo del premio Oscar Dustin
Hoffman, anche se questo non era originariamente
programmato. Trovatosi a passare nei luoghi scelti per le riprese,
egli venne infine coinvolto in una delle scene più divertenti del
film.
L’amore non va in vacanza:
le frasi, il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
Per gli appassionati del film è
possibile fruire di L’amore non va in
vacanza grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Il film è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV,
Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Netflix e Now TV. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno giovedì
13ottobre alle ore
21:10 sul canale La 5.
Nel film sono inoltre presenti
diverse frasi oggi entrate a far parte dell’immaginario comune. Si
tratta di battute e affermazioni che descrivono alla perfezione non
solo il contesto in cui si svolge la storia ma anche i protagonisti
che le pronunciano. Di seguito si riportano le più belle e più
importanti del film.
“Nei film c’è la protagonista e c’è la migliore amica. Tu,
te lo dico io, sei una protagonista, ma per qualche stupida ragione
ti comporti da migliore amica.” (Arthur)
“Sono innamorato di te. Perdona la brutale dichiarazione,
ma… per quanto problematica questa storia possa essere, mi sono
innamorato… di te. E non provo questo perché stai per partire, né
perché mi piace sentirmi così! Anzi, in realtà non mi piace o non
mi piaceva prima che tu parlassi. Non so capire la logica di questa
cosa, io so solo… che ti amo. È incredibile quante volte lo sto
dicendo.” (Graham)
“Iris, se tu fossi una melodia… userei solo le note
belle.” (Miles)
“Ho scoperto che quasi tutto ciò che è stato scritto
sull’amore è vero. Shakespeare ha detto: “Il viaggio termina quando
gli innamorati si incontrano”. Ah, che pensiero straordinario! Io
non ho mai sperimentato nulla di neanche vagamente simile a questo,
ma sono più che disposta a credere che a Shakespeare sia accaduto.
Credo di pensare all’amore più di quanto in realtà si dovrebbe;
resto sempre sbalordita dal potere assoluto che ha di alterare e
definire la nostra vita.” (Iris)